Ragionare a “mente calda” è una scorciatoia che corrompe i processi mentali e che il defunto Daniel Kahneman identificò attraverso esperimenti nel processo decisionale finanziario. La rapidità di pensiero affligge la risposta alla nuova minaccia dell’inflazione dei prezzi. Tale minaccia era emersa ancor prima che l’inflazione dei prezzi post-crisi sanitaria, scoppiata alla fine del 2022, si raffreddasse rispetto ai livelli di picco. L’impennata più recente dei prezzi si è materializzata anche se i suoi sintomi nei mercati dei beni sono stati attenuati dall’inversione delle precedenti dislocazioni sul lato dell’offerta.
Un tema spesso citato, e che illustra l’attuale angoscia inflazionistica, suggerisce che la FED inizierà a tagliare il suo tasso di riferimento entro l’estate di quest'anno. Secondo alcuni di coloro che temono l’inflazione dei prezzi, questa politica dei tassi striderebbe con un’economia americana che è straordinariamente forte – almeno secondo l’esercito di osservatori di dati le cui dimensioni sono aumentate in risposta al mantra ufficiale secondo cui le decisioni monetarie della FED sono diventate strettamente “dipendenti dai dati”.
L’ex-segretario al Tesoro (sotto Clinton) e consigliere economico capo di Obama, il professor Larry Summers – ora uno dei principali collaboratori di Bloomberg TV – dichiara categoricamente che il tasso d'interesse di equilibrio è salito ben al di sopra del livello degli anni 2000 e 2010, pertanto i piani della FED per “normalizzare i tassi ufficiali” aggraveranno il fenomeno inflazione.
In che modo questo è un esempio di ragionamento a “mente calda” difettoso? Nel rispondere dovremmo ricordare le osservazioni di Kahneman secondo cui la mente, nel prendere scorciatoie per facilitare una risposta rapida (in questo caso al pericolo percepito dell'inflazione dei prezzi), ignora i limiti della razionalità. Esempi di tali difetti includono l’eccessivo affidamento su campioni di piccole dimensioni e su ipotesi controverse, sebbene attualmente plausibili.
La piccola dimensione del campione è evidente in qualsiasi controversia sui tassi d'interesse di equilibrio. Esistono pochi periodi lunghi non sovrapposti e rilevanti ai fini della stima e il concetto di tasso di equilibrio è esso stesso un costrutto teorico a dir poco discutibile.
Il controverso “tasso d'interesse di equilibrio”
Il tasso d'interesse di equilibrio, per quanto ne sappiamo, avrebbe potuto essere anormalmente elevato per gran parte del quarto di secolo precedente la pandemia; le banche centrali hanno pilotato i tassi ufficiali molto al di sotto di tal livello.
Un’influenza chiave dietro l’elevato livello dei tassi d'interesse di equilibrio nel 1995-2020, come qui ipotizzato, è stata il boom (alcuni direbbero una bolla) nella costituzione delle catene di approvvigionamento industriali a livello mondiale. La rivoluzione della digitalizzazione aveva consentito il controllo micromanageriale su vaste aree geografiche e organizzative. Tutto ciò avvenne nel contesto dell'ingresso della Cina nell'OMC (come raccomandato al Congresso dal presidente Clinton nel 2000) e dell'accelerazione dell'integrazione economica regionale (compresa l'espansione del NAFTA e dell'UE dopo la caduta del muro di Berlino).
In un libero mercato i prezzi sarebbero scesi per 20 anni
In un sistema monetario sano/onesto, i prezzi al consumo sarebbero crollati nel corso di questi due decenni di costituzione delle catene di approvvigionamento internazionali, ma nulla di tutto ciò si è verificato con l’attuale standard dell'inflazione al 2%.
Le banche centrali hanno pilotato i tassi ufficiali per “contrastare la minaccia della deflazione”. La virulenta inflazione dei prezzi degli asset è diventata un ulteriore elemento motore della spesa aziendale, inclusa in questo caso non solo la costituzione delle catene di approvvigionamento internazionali ma anche più in generale la digitalizzazione per inseguire potenziali rendite di monopolio rese possibili dalla nuova tecnologia.
Uno degli esempi più estremi di tale distorsione monetaria si è verificato durante il periodo Bernanke/Yellen del 2013-2017. La bolla mondiale dei prezzi delle materie prime era scoppiata ed era stata originariamente alimentata dalle politiche monetarie e fiscali estreme della Cina nel 2009-2012, possibili solo nel contesto dell'inflazione monetaria alimentata dalla FED. Il crollo dei prezzi delle materie prime avrebbe dovuto significare un periodo di calo dei prezzi al consumo su un ampio arco temporale.
Invece abbiamo avuto un’inflazione dei prezzi degli asset
Invece Yellen/Bernanke hanno alimentato un’enorme inflazione dei prezzi degli asset, vantandosi di un tasso d'inflazione appena superiore allo zero. A sua volta il nuovo slancio dell’inflazione monetaria statunitense ha alimentato il boom della spesa per investimenti. Ora la rotta è stata invertita, pertanto non è chiaro il motivo per cui Summers dovrebbe avere ragione riguardo la sua ipotesi secondo cui il “tasso d'interesse di equilibrio” dovrebbe spostarsi a un livello più alto.
Infatti potremmo trovarci in un lungo periodo di tempo in cui questo tasso di equilibrio potrebbe scendere rispetto al periodo 1995-2020 e i debiti/deficit fiscali degli Stati Uniti non contraddicono questa conclusione. L’elevato debito pubblico statunitense, finanziato da diverse forme di tassazione schiacciante – tra cui la riscossione periodica della tassa sull’inflazione e altre forme di tassazione monetaria – difficilmente è una ricetta per il dinamismo economico. Al contrario, queste sono le caratteristiche di imperi un tempo prosperi e adesso in declino.
Le normative statali soffocano la crescita economica
Uno scenario decisamente non dinamico si profila all'orizzonte per gli Stati Uniti e per gran parte dell’economia mondiale sulla scia della Grande Inflazione Monetaria 1995-2024. Gli investimenti sbagliati in tutte le loro dimensioni vengono al pettine. Sì, l’intelligenza artificiale potrebbe essere uno stimolo alla crescita se davvero le forze dell’innovazione finissero nelle mani di coloro che trovano e sviluppano nuovi percorsi verso la fortuna economica. Tutto ciò, però, è tutt’altro che certo.
L’ormai lunga esperienza sulla rivoluzione tecnologica digitale con le sue caratteristiche speciali – chi vince prende tutto, soppressione del libero ingresso, corrosione dei diritti di proprietà (compresi i dati) – impone cautela. Non s'è rivelata un grande elemento motore per il tenore di vita nelle economie avanzate, in contrasto con gli indubbi vantaggi per le economie in via di sviluppo derivanti soprattutto dalla rivoluzione nelle catene di approvvigionamento mondiali.
E poi abbiamo le squallide prospettive per la seconda economia mondiale: la Cina. Sotto uno statalismo e una pesante repressione finanziaria, dove i timori di una futura povertà – soprattutto in età avanzata – spingono i risparmi a livelli record, il surplus netto di questa economia nel commercio di beni e servizi con il resto del mondo diventa gigantesco. Il corollario sono i massicci flussi di esportazioni di capitali dalla Cina, che influiscono negativamente sul livello di equilibrio mondiale dei tassi d'interesse.
Un paesaggio pericoloso davanti a sé
È ora di chiamare le cose col loro nome: quando ragioniamo a mente fredda piuttosto che a mente calda alla minaccia dell’inflazione, ci rendiamo conto che il concetto di “tasso d'interesse di equilibrio” è di scarso aiuto, se non nullo, alla nostra comprensione economica – a prescindere dalla persistente popolarità che ha goduto nei sistemi monetari fiat. È vero, nell'odierno sistema monetario le banche centrali formulano giudizi chiave sulla relazione tra il tasso ufficiale e il cosiddetto tasso neutrale, ma molto, se non tutto, questo è falso – sintomatico dell'attuale epoca oscura.
Tuttavia non vi è alcuna prospettiva che i sistemi monetari si allontanino dall’attuale diktat dei tassi di riferimento. Una tendenza al ribasso del tasso ufficiale, nonostante le proteste del professor Summers su Bloomberg TV, ci direbbe che l’attuale celebrazione del dinamismo economico statunitense sta ignorando le profonde controforze all’opera.
Ciò significherebbe un futuro meno inflazionistico di quanto molti temono oggi? No, ma è probabile che l’elevata inflazione futura arrivi a scatti: i prezzi generalmente virano verso l’alto e in gran parte in risposta a shock dell’offerta che non incontrano resistenza da parte del sistema monetario. E quando gli shock sull’offerta subiscono un’inversione, le banche centrali approfittano della situazione per potenziare l’inflazione monetaria piuttosto che consentire ai prezzi di ricadere verso il livello precedente allo shock.
Esempi di tali potenziali shock di offerta includono sconvolgimenti geopolitici, pandemie, carestie e altre disgrazie provocate da Madre Natura, caos sociale e politico interno ed espansione fiscale. Infatti dovremmo aspettarci che lo stato, incluso il sistema bancario centrale, sfrutti appieno questi episodi per avere l’opportunità di imporre periodi di dolorose tasse derivanti dall’inflazione e quindi frenare, almeno temporaneamente, una crescita inesorabile dell’ammontare reale del suo debito.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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