martedì 22 ottobre 2024

La Cina è sull'orlo della recessione

 

 

di Peter St. Onge

La Cina è sull'orlo della recessione, escludendo la crisi sanitaria, per la prima volta sin dal 2008, poiché i nuovi dati hanno mostrato che il settore manifatturiero ha subito una contrazione per il quarto mese consecutivo, con una particolare debolezza nei nuovi ordini.

In altre parole, si tratta di un arresto e poi c'è un crollo.

La produzione manifatturiera costituisce un terzo dell'economia cinese, molto più degli Stati Uniti. Il crollo del mercato immobiliare cinese, un altro terzo dell'economia cinese, sta gettando ulteriore benzina sul fuoco.


Uffici più vuoti rispetto al periodo della crisi sanitaria

Il Financial Times riporta che gli edifici per uffici in Cina sono più vuoti di quanto non fossero durante i lockdown. Il FT ci fa notare che il lavoro da casa non è decollato in Cina, il che implica che il principale fattore che determina gli uffici vuoti siano i licenziamenti.

A Shanghai i posti vacanti negli uffici sono al 21%. A Shenzhen, il principale polo di esportazione della Cina, i posti vacanti sono al 27%. Entrambe le cifre sono peggiori dei posti vacanti durante i lockdown.

Per darvi un'idea, gli affitti a Shenzhen sono crollati del 15% su base annua.

Naturalmente i dati ufficiali del PIL cinese sono immuni alle tempeste, ma d'altronde nessuno ci crede, nemmeno in Cina.

È interessante notare che non tutti i licenziamenti riguardano aziende nazionali: gli investimenti esteri in Cina sono crollati di un terzo nell'ultimo anno, poiché l'autoritarismo del presidente Xi sta allontanando le aziende estere.

Stanno abbandonando i loro uffici in Cina e si stanno trasferendo in posti più sicuri, come il Vietnam o il Messico, e presto apriranno anche le fabbriche.


La crisi dei giovani in Cina

La contrazione colpisce più duramente i giovani cinesi, con la disoccupazione giovanile che sfiora quasi un quarto di tale popolazione.

Con un numero record di 12 milioni di studenti universitari cinesi in procinto di laurearsi e di entrare nel mercato del lavoro, non apprezzeranno ciò che troveranno.

Tutto questo è, ovviamente, un disastro sociale al rallentatore. Ora in Cina si stanno moltiplicando le proteste pubbliche, con striscioni sui cavalcavia che chiedono elezioni libere ed ex-soldati che accusano il governo di “strangolare” i funzionari pubblici.

Gli scioperi dei lavoratori sono aumentati, compresi quelli di 1.000 lavoratori in una fabbrica Nike che, ironicamente, si sono ribellati dopo che la produzione è stata spostata in Indonesia; poi ci sono le centinaia di scioperi di lavoratori edili non pagati, mentre gli sviluppatori immobiliari crollano come birilli.

Il contesto è questo: centinaia di milioni di cinesi lavorano in modo informale e per trasferirsi in una grande città dove gli stipendi sono dignitosi è necessario un passaporto nazionale, mentre la maggior parte dei cinesi che vivono in zone rurali non ne ha uno.

Ma servono anche quindici anni di lavoro formale per ottenere le pensioni governative. Ciò significa che per i lavoratori più anziani, in particolare quelli senza figli a causa del controllo delle nascite, i licenziamenti potrebbero significare morire di fame in vecchiaia. Sono disperati.


Cos'è andato storto nel miracolo cinese?

La crescita sotto la presidenza di Xi è crollata alla metà del suo vecchio tasso: la Cina ora cresce come un Paese normale a medio reddito.

Questo perché Xi, adoratore di Mao, ha represso il mondo degli affari, arrivando persino a far “scomparire” importanti uomini d'affari come Jack Ma quando si sono opposti a lui.

Nel frattempo Xi ha investito migliaia di miliardi in settori privilegiati dallo stato, soprattutto energia verde ed edilizia abitativa. Entrambi sono crollati tra eccessi di capacità e sotto-domanda.

Per fare un esempio, a un certo punto la Cina aveva quasi 1.500 produttori di auto elettriche; quasi tutti sono falliti o sono in procinto di fallire.

Nel frattempo il settore immobiliare registra almeno cinquemilacinquecento miliardi di dollari di prestiti inesigibili, con milioni di cinesi che stanno perdendo gli appartamenti a metà costruzione in cui avevano parcheggiato i risparmi di una vita, mentre gli imprenditori edili falliscono.

Tra il crollo del mercato immobiliare e le azioni ferme sin dal 2008, i cinesi non hanno più i soldi per continuare a spendere, il che sta trascinando ulteriormente in basso l'economia.


Cosa c'è dopo?

L'ultima volta che la Cina è entrata in recessione, nel 2008, Pechino ha riversato massicci stimoli nell'economia. Questa volta il debito della Cina, oltre $50.000 miliardi, è cresciuto al punto che non può più permetterselo.

E se la Cina fallisce? Il contratto sociale in Cina si basa sull'obbedienza in cambio di crescita economica. Se il governo cinese non riesce a sostenere la crescita, i cinesi diventano molto irrequieti. C'è una ragione per cui Xi ha insediato uno stato di polizia, ma se l'opposizione è abbastanza diffusa, anche la polizia cambia lato.

La Cina si trova su una strada dissestata e se diventa disperata, e avrà bisogno di una distrazione, potrebbe trascinare Taiwan (e l'America) nella tempesta.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 21 ottobre 2024

Hunger Games non è più solo un film ormai

 

 

di Jeffrey Tucker

Quando Hunger Games è uscito nelle sale più di un decennio fa, la distopia che presentava era intrigante, ma anche inverosimile. Di recente mi sono chiesto come avesse retto alla prova del tempo e ho riguardato i tre film della serie.

È più lungimirante di quanto sembrasse all'epoca, inclusa la stratificazione della ricchezza, la decadenza del privilegio, l'abuso di potere e le complicazioni della resistenza. Questa serie affronta diversi temi, ma è una delle storie di fantasia più rivelatrici per quanto riguarda la sovrapposizione di decadenza materiale, povertà diffusa e l'uso della paura come strumento di propaganda.

In quanto ad allegoria politica, calca lo stesso terreno intellettuale della “Politica” di Aristotele, del “Principe” di Machiavelli e del “Dei poteri” di de Jouvenel, ma in un modo più penetrante per lettori e spettatori, e particolarmente rilevante per i nostri tempi.

L'intera serie affronta il più grande conflitto della storia, quello tra libertà e potere. Coloro che sono abbastanza fortunati vivono nel Distretto Uno, il centro dell'impero, e socializzano con i migliori, mangiano bene, si vestono in modi sempre più assurdi (capelli tinti con colori innaturali), seguono tutte le tendenze, vanno alle feste giuste e cercano di stare al passo con la scena sociale.

Ciascuno degli altri Distretti svolge la funzione economica assegnata, il tutto per mantenere il centro in condizioni di lusso. I confini tra di essi sono rigorosamente rispettati. Il posto nell'ordine sociopolitico è determinato da dove si nasce, senza mobilità economica.

Per mantenere l'ordine e tenere a bada la ribellione, i leader del Distretto Uno organizzano una stravaganza annuale che unisce moda, giochi violenti e messaggi politici sui pericoli della ribellione. Ogni Distretto è tenuto a inviare due tributi ai giochi, i quali si affrontano in una battaglia all'ultimo sangue mentre le persone in cima guardano con intensa fascinazione.

Il potere di essere spettatori dell'evento è ciò che lega psicologicamente le élite alla struttura sociale e politica, mentre la paura di essere chiamati come tributo per i giochi è ciò che imprime nella popolazione la necessità di obbedienza. Lo scenario è coerente con il principio di Carl Schmitt della distinzione amico/nemico nel suo Concept of the Political, concetto reso reale dallo spargimento di sangue.

Chi ha seguito la storia fino all'ultimo film potrebbe aver pensato che il problema fosse chiaro: un uomo crudele, il presidente Snow, deteneva tutto il potere e usava ogni mezzo per mantenerlo. Sedeva al centro di una capitale che saccheggiava i distretti dalle sue risorse e deteneva il potere attraverso la paura.

Se fosse stato solo questo il problema, la soluzione sarebbe stata chiara: il presidente Snow poteva essere spodestato. Una volta tolto di mezzo, tutto sarebbe andato bene. Questo era inizialmente il pensiero dell'eroina del Distretto 12, Katniss Everdeen. E si può capire perché: Snow era una figura orribile ed era personalmente responsabile di crimini enormi. Meritava di essere rovesciato e che la giustizia prevalesse.

Inoltre lei supponeva che tutti coloro che conosceva condividessero la sua visione dell'obiettivo finale: una vita normale senza oppressione, senza violenza, senza saccheggi, senza rigide classificazioni geografiche e di casta, e senza scontri mortali trasmessi in televisione e orchestrati per incutere paura nella popolazione.

Ma c'era di più sotto la superficie. La capitale Panem era un'autocrazia, ma anche il centro di uno stato-nazione, il che significa che la burocrazia, l'apparato amministrativo, un esercito permanente, una lobby mediatica e i suoi metodi di governo potevano sopravvivere alla morte del leader. Questa è la differenza tra uno stato-persona e uno stato-nazione. L'apparato di potere dello stato-nazione cerca l'immortalità, una vita indipendentemente da chi ne sia a capo.

Il presidente Snow era l'autocrate paranoico che, come Katniss avrebbe scoperto, era lui stesso intrappolato in un sistema che doveva mantenere mentre cercava un successore. C'erano masse nella capitale da tenere intrattenute, potenziali traditori da scovare e ribellioni in continua preparazione da sedare. Sapeva per certo che il suo governo era fragile e che il pugno di ferro era l'unico modo per tenere in piedi tale sistema instabile.

Un altro problema era che il sistema stesso era attraente per i concorrenti che non desideravano la libertà in quanto tale, ma piuttosto abitare le vette della società. Un mondo senza potere, quindi, era più complicato del semplice rovesciamento dell'autocrate esistente.

In ogni situazione rivoluzionaria coloro che sono più motivati ​​a raggiungere l'obiettivo sono quelli che cercano di raggiungere il potere. Finché esisterà il meccanismo della violenza a norma di legge, ci saranno coloro che cercheranno di controllarla e, come disse Friedrich Hayek, di solito sono i peggiori ad arrivare in cima e a trascorrere la vita cercando di arrivarci. Non sono solo coloro che governano, ma anche coloro che cercano di governare a costituire una minaccia per la libertà. Ecco come l'esistenza di potenti stati-nazione finisce per creare molteplici livelli di pericoli.

Questa è la storia di come Rousseau divenne Robespierre, di come il liberalismo russo divenne bolscevismo e di come tanti movimenti contro il colonialismo e il corporativismo si siano conclusi con dittatura, tirannia e carestia.

Chiunque voglia porre fine all'oppressione deve tenere gli occhi aperti per coloro che vorrebbero usare il caos e la confusione degli stravolgimenti politici per prendere ed esercitare il potere in futuro. Questo è ciò che Katniss ha imparato quando ha gradualmente scoperto che i suoi ex-alleati erano diventati abili nella condotta della guerra, apprezzavano lo status che deriva dalla leadership e desideravano ardentemente esercitare il potere loro stessi.

Avrebbe scoperto questa oscura verità sugli eserciti ribelli quando il loro leader avrebbe ammesso di avere intenzione di mantenere gli Hunger Games come meccanismo di controllo dopo il colpo di stato.

Attraverso questa sconvolgente rivelazione, Katniss avrebbe imparato la grande lezione della storia: non sono solo i despoti a dover essere tenuti a bada, ma anche coloro che cercano di rovesciarli. Per realizzare la libertà, c'è bisogno di più del semplice odio per chi è al comando; c'è bisogno dell'amore per la libertà stessa e di un sistema che la protegga da ogni tentativo di rovesciarla.

Una volta che Katniss avrebbe capito cosa stava succedendo intorno a lei, avrebbe dovuto prendere una decisione: rispettare i dettami delle forze rivoluzionarie, o fare di testa sua? L'urgenza di questa decisione è ciò che ha trasformato il film da una semplice lotta manichea tra bene e male in una versione della realtà.

Ci sono molte applicazioni di questo principio nella storia, ma una potrebbe riguardare la politica estera degli Stati Uniti. Negli anni '80 cercarono di cacciare i sovietici dall'Afghanistan sostenendo i fondamentalisti islamici, che allora venivano chiamati “combattenti per la libertà”, e ricevettero armi e supporto logistico. Dopo che i sovietici se ne andarono, la ribellione si metastatizzò gradualmente nei talebani, i quali avrebbero governato col pugno di ferro e sarebbero stati i protagonisti dell'11 settembre, portando poi a 20 anni di occupazione statunitense e risentimento tra la popolazione. I talebani sono rimasti al comando e hanno rafforzato il loro dominio con le armi che gli Stati Uniti si sono lasciati dietro quando hanno fatto marcia indietro con la coda tra le gambe.

E non dimentichiamo l'Iraq dopo il 2003, in seguito a un decennio di embarghi, bombardamenti a intermittenza e dure sanzioni. Il rovesciamento del dittatore, un tempo alleato, Saddam Hussein portò al potere costituzionalisti tutt'altro che amanti della libertà, una maggioranza sciita che avrebbe oppresso la minoranza sunnita che Hussein aveva rappresentato. L'insurrezione sunnita contro lo stato iracheno, poi, causò una sanguinosa guerra civile in Iraq che alla fine sfociò nella ribellione contro il dittatore siriano Bashar al-Assad e si trasformò nello “Stato islamico”. In 25 anni l'Iraq è passato dall'essere uno stato sconfitto e relativamente quiescente a un focolaio ribollente di povertà, violenza e odio.

Facciamo un salto in avanti fino al caso libico in cui il rovesciamento di un altro dittatore, Muammar Gheddafi, ha scatenato quella che sembrava una reazione populista, ma in realtà faceva parte di una serie di “rivoluzioni colorate” che hanno manipolato i social media e i media tradizionali per fargli seguire le priorità della politica estera degli Stati Uniti. In combinazione con tutti gli altri interventi e insieme a un tentativo surrettizio di cacciare il dittatore siriano, la fase successiva ha visto l'ascesa dell'ISIS che intendeva governare la regione attraverso lo spargimento di sangue, represso infine dall'amministrazione Trump.

Il punto è che i tentativi di ripulire il mondo da un male esistente sollevano la rischiosissima prospettiva di crearne uno peggiore. E non riguarda solo i regimi stranieri. Un tratto famoso della democrazia è che l'impulso a cacciare un gruppo di leader è necessariamente legato all'arrivo al potere di un altro gruppo. Questi ultimi spesso non sono migliori, anzi a volte sono peggiori dei primi. Questo è uno dei motivi di tanta nostalgia nei confronti della politica statunitense: uno sguardo al passato fornisce quasi sempre un quadro migliore di uno sguardo al presente.

La lezione di Hunger Games è che le persone potenti possono fare cose terribili; dobbiamo resistere per fermarle. La lezione più complicata è che le istituzioni potenti sono corrotte e che ci saranno sempre coloro privi di scrupoli morali disposti a indossare il mantello del potere.

È proprio per questo che i Padri Fondatori si sono impegnati per creare un quadro di governo che garantisse, come prima priorità, i diritti e le libertà del popolo: una repubblica se il popolo riesce a mantenerla.

Oggi c'è un consenso generale sul fatto che gli Stati Uniti siano sull'orlo di un cambiamento epocale, perché lo squilibrio esistente non è sostenibile su più livelli. La domanda chiave è: in che tipo di società vogliamo vivere? Oggi tutti hanno bisogno di una risposta chiara e convincente a questa domanda. Non c'è più spazio per stare in disparte a guardare l'azione dall'esterno, come gli spettatori degli Hunger Games.

Alla fine del film vediamo Katniss senza equipaggiamento da battaglia, seduta sull'erba, a casa sua, immersa nella luce del sole, intenta a vivere la propria vita, coltivando la visione personale di libertà, lontana dai riflettori. Governando sé stessa, non gli altri, e avendo riacquistato una vita normale. Forse quella scena offre la lezione migliore di tutte.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 18 ottobre 2024

Il piatto europeo non deve saltare

 

 

di Francesco Simoncelli

Nei miei ultimi pezzi ho analizzato alcuni fattori che ci permettono di avere un quadro della situazione economica abbastanza chiaro: le due cose principali che fanno crollare una nazione sono la guerra e il debito, le nazioni del mondo stanno alimentando entrambi, il debito della maggior parte di loro supera la soglia critica del 130% del PIL, tutti utilizzano la stessa “carta di credito” per le spese pubbliche e rinviano il debito a qualcun altro, in un altro momento, e in una democrazia moderna chi decide compete per potere e denaro; nessuno ha l'incentivo a smettere di calciare il barattolo lungo la strada. Mettiamo queste intuizioni in prospettiva adesso. Il mercato obbligazionario europeo ha raggiunto il picco (con rendimenti minimi record) a dicembre 2020; il mercato azionario ha raggiunto il picco alla fine del 2000. A tutti gli effetti inversioni nel Trend primario, da allora infatti non è successo nulla che suggerisca il contrario: il picco locale del 2007, ad esempio nell'EuroStoxxx 50, è inferiore a quello precedente, così come l'ascesa attuale non ha ancora superato il massimo relativo del 2007. Molto probabilmente assisteremo a prezzi reali di azioni e obbligazioni più bassi (con tassi d'interesse più elevati) per molti anni a venire.

Abbiamo visto i massimi, ora aspettiamo i minimi. Gli investitori avveduti, quelli di lungo termine soprattutto, dovrebbero essere in modalità “prudenza massima”. Potranno allentare la tensione e vendere oro quando i prezzi delle azioni scenderanno così tanto che si potranno acquistare tutte le azioni nell'indice Dow per cinque monete d'oro da un'oncia. Molto probabilmente anche il governo degli Stati Uniti dovrà toccare un fondo: dovrà entrare nel mezzo di una vera e propria crisi del debito prima di potere rimettere insieme i cocci della nazione. Solo dopo potrà tornare a linee di politica finanziarie sostenibili.

Ma aspettate, c'è sempre qualcosa di più. Javier Milei non sta forse ribaltando le sorti dell'Argentina? Trump non sta suggerendo che farà lo stesso con gli Stati Uniti? La Giamaica, ad esempio, non è forse uscita con successo da una crisi del debito... e anche la Grecia? Sì, sì, sì e forse.

Solo pochi anni fa la Giamaica era sull'orlo di un crollo finanziario. Aveva speso troppo e preso in prestito troppo, i creditori si rifiutavano di concedere altro credito, l'inflazione era alle stelle e la valuta stava perdendo valore. Ma invece di andare in default la Giamaica si è rimboccata le maniche e si è messa al lavoro. Un paio di studi accademici, riportati anche dal Financial Times, ci raccontano cosa è successo:

La Giamaica ha dimezzato il rapporto debito pubblico/PIL dal 144% tra il 2012 e il 2023 [...]. Lo ha fatto attraverso surplus primari sostenuti (eccesso di entrate rispetto alla spesa, esclusi i pagamenti degli interessi) superiori al 7% del PIL per sette anni consecutivi.

Per riferimento, l'Italia attualmente sta operando con un deficit di bilancio di circa il 7% del PIL. Gli autori del lavoro accademico, professori di Stanford e Berkeley insieme a Serkan Arslanalp dell'FMI, hanno concluso che è stata una “dura lotta di costruzione del consenso”. In qualche modo il governo giamaicano è riuscito a convincere quasi tutti a stringere la cinghia mentre comprimeva sempre di più il proprio bilancio.

La Grecia è un altro caso di studio. Le finanze pubbliche della Grecia erano gestite in modo assurdo e notoriamente corrotto. Il governo greco era stato in “quasi default” per tutto il XIX secolo e gran parte del XX secolo, ha speso soldi che non aveva e poi ha mentito sui suoi numeri in modo che non si potesse capire cosa stesse realmente succedendo. Nel 2008, ad esempio, la sua spesa militare era il doppio della media dell'UE. Nel 2009, poi, è arrivato il giorno del giudizio, con un debito superiore al 130% del PIL. In circostanze normali le persone non avrebbero prestato tutti quei soldi, ma Goldman Sachs l'aveva aiutata a mascherare la sua situazione finanziaria reale in modo che ottenesse l'adesione all'Unione Europea. Come membro dell'UE è stata in grado di prendere in prestito in una valuta stabile, l'euro, e sembrava avere il sostegno di Germania e Francia. Poi, quando sono iniziati i guai, i tedeschi hanno protestato: non volevano salvare i greci, pigri e dissoluti.

Questi ultimi hanno fatto quello che hanno sempre fatto: sono diventati la prima nazione sviluppata a non pagare un prestito dell'FMI. Ci sono state rivolte, chiusure di banche, caos e tumulti. Le spese sono state tagliate, sono stati negoziati salvataggi, altre crisi, altre negoziazioni. Nel 2012 un bond greco a 20 anni era quasi senza valore, con un rendimento salito quasi del 140%. La Grecia era un “caso disperato”, ma la vita continuava. Gli sportelli bancomat non funzionavano, ma i ristoranti erano aperti. La disoccupazione era salita, ma molti greci erano comunque abituati a non lavorare.

Nel 2011 la Grecia era in depressione, con un PIL in calo del 7%. Più di 100.000 aziende erano fallite e il tasso di disoccupazione aveva raggiunto il 23%. Il rapporto debito/PIL aveva raggiunto il 177% nel 2014 e nel 2016 sembrava aver toccato il fondo, con un greco su tre che si diceva vivesse in povertà. Ma può sempre peggiorare: le crisi economiche spesso diventano anche crisi politiche. Se siete fortunati le persone perdono soldi, perdono il lavoro, le aziende e gli investitori vanno in rovina e questa è la fine; se invece siete sfortunati, volano proiettili e ci sono carri armati nelle strade. Finora la Grecia è stata fortunata.

Avrebbe potuto scappare dall'Europa e dire alla “Troika” (FMI, Banca Mondiale e UE) di andarsene al diavolo; avrebbe potuto tornare alla sua moneta, la dracma, come consigliato da Paul Krugman, e lanciarsi in un baccanale di stampa di denaro e iperinflazione. Invece si è rimboccata le maniche, ha tagliato la spesa, ha aumentato le tasse, licenziato “dipendenti pubblici” fannulloni ed è riuscita a ottenere un surplus di bilancio di circa il 4% del PIL. Il suo rapporto debito/PIL è sceso dal 180% al 160%, ma con l'aiuto della Troika sembra tenere le cose insieme mentre riduce il suo debito.

Cosa possiamo imparare da questi esempi? Probabilmente non molto. Sono piccoli Paesi, dove la democrazia sembra funzionare meglio. E, a differenza degli Stati Uniti ad esempio, non sono mai stati in grado di prendere in prestito grandi quantità in una valuta il cui valore controllavano... quindi non potevano “svalutare” i loro debiti.


L'INCALZANTE STRETTA SULLE PENSIONI

Nel frattempo ci sono anche schemi negli affari politici e a volte è difficile collegare le due cose: finanza e politica (un campo che viene definito Megapolitica). Ma i massimi da record nel mercato obbligazionario e azionario sono stati chiaramente il prodotto di linee di politica governative, due in particolare: debito e guerra. Gli stimoli fiscali/monetari, le guerre e i debiti sono aumentati, così come i prezzi al consumo, e poi l'inflazione ha costretto le banche centrali ad abbandonare il loro sostegno ai mercati azionari e obbligazionari. Le azioni sono scese, così come il valore delle obbligazioni (i rendimenti sono aumentati), anche se nel mercato azionario il danno è stato mascherato dall'inflazione stessa. Ciononostante l'impatto vero sui mercati obbligazionari non è stato ancora avvertito. Fondi pensione, compagnie assicurative e banche commerciali detengono miliardi di euro in obbligazioni sovrane e molti di essi sono stati obbligati ad acquistarle come forme “sicure” di riserve di capitale; poi quando hanno iniziato a perdere valore, i loro proprietari le hanno tenute al valore nominale, impegnandosi a detenerle fino alla scadenza e fingendo che non avrebbero perso denaro.

Ecco perché si parla tanto di abbassare i tassi d'interesse. Non c'è nulla di intrinsecamente buono in tassi d'interesse più bassi. Le persone li pagano e li ricevono sui loro risparmi, ma sono solo informazioni. I principali player nel nostro sistema finanziario, ovvero banche commerciali e agenzie governative, sono tutti grandi proprietari e venditori di obbligazioni sovrane. Quando i tassi d'interesse salgono, non solo per loro diventa più difficile prendere in prestito denaro, ma diminuisce anche il valore dei titoli obbligazionari in loro possesso.

I fondi pensione, ad esempio, dedicano circa il 56% dei loro portafogli alle obbligazioni sovrane. Man mano che queste ultime perdono valore a causa dell'inflazione, i rendimenti dei fondi pensione vengono schiacciati. I deflussi, i pagamenti ai pensionati, vengono aggiustati all'inflazione, ma i loro titoli di Stato no. Devono quindi raccogliere più denaro per coprire il deficit nelle loro riserve e ciò richiede più prestiti, il che spinge i tassi d'interesse verso l'alto.

Nel frattempo sempre più persone vanno in pensione mettendo ulteriore pressione sulle finanze degli stati. I pensionati diventano a tutti gli effetti dipendenti dalla previdenza sociale.

Questo schema segue i modelli di Trend primario nei mercati. Le linee di politica delle banche centrali, in particolare i tassi d'interesse estremamente bassi, hanno ingannato i mercati azionari e obbligazionari fino a farli raggiungere massimi estremi. Ora, e nei decenni a venire, le politiche fiscali/monetarie, guerra e debito li spingeranno a minimi estremi.


LENTO E PROGRESSIVO IMPOVERIMENTO PER NON FAR SALTARE IL PIATTO

Il succo del benessere, di cui tanti hanno nostalgia, degli ultimi 40+ anni era questo: la ricchezza ha abbandonato l'economia dei consumatori (grazie ai prezzi più bassi dei beni di fabbricazione estera e alla perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero) ed è entrata nell'economia finanziarizzata (grazie ai tassi di interesse ultra bassi). Le azioni sono salite alle stelle, gli stipendi sono rimasti stagnanti. Il periodo successivo sarà l'opposto: il denaro verrà sottratto all'economia del capitale e immesso nell'economia dei consumatori (tramite deficit). Tassi più alti, prezzi delle azioni più bassi.

Quanto è utile questa intuizione? Ci permette di capire come il Trend primario nei mercati (tassi d'interesse più alti, prezzi delle azioni più bassi) si collega ai modelli della politica. Non si può capire come funziona una colonia di formiche diventando una formica, né si può capire la politica moderna diventando un democratico o un repubblicano. Bisogna fare un passo indietro e osservare. Come un antropologo che cerca di studiare una tribù mai contattata prima. Anche nel mondo della finanza, conviene essere invisibili, non partigiani. Imparziali.

L'inflazione è diventata parte integrante del sistema, non è più alimentata principalmente dalla politica monetaria (tassi d'interesse bassissimi) ma dalla politica fiscale (deficit elevatissimi). Ogni anno le banche centrali sottraggono dall'economia finanziaria da uno a due mila miliardi di dollari in più (in deficit). Gli investitori acquistano obbligazioni e i fondi finiscono nei “programmi non discrezionali”, come la previdenza sociale e le pensioni. E anche nei programmi discrezionali, come i miliardi spesi in armi da usare nei vari conflitti nel mondo. Questo denaro alla fine arriva negli stipendi e poi nei prezzi al consumo. Il processo è insidioso: vent'anni fa, ad esempio, si poteva comprare un chilo di pane a circa €1,85; oggi costa €4,2 circa, quasi il 70% di più. Il pane è l'alimento più economico e veloce per la classe operaia quando si tratta di mangiare. Una paga oraria media nei primi anni 2000 era di €8 l'ora circa: ci volevano circa 15 minuti di lavoro per comprare un chilo di pane. Oggi la paga oraria media è di €19 circa, il che equivale a circa 18 minuti per comprare un chilo di pane... tre minuti in più. Non è solo inflazione; è un impoverimento lento e progressivo. Negli ultimi 24 anni i lavoratori sono diventati più poveri.

Jeffrey Tucker ci mostra, poi, come i dati ufficiali sull'inflazione distorcono ulteriormente la percezione della realtà.

La politica degli stati è cambiata. Le banche centrali non possono più dare una spinta all'economia finanziaria tramite tassi d'interesse ultra bassi, la Legge dei rendimenti decrescenti sta decretando erosione di PIL e non creazione aggiuntiva mediante nuove unità di debito immesse nel sistema. Il cambio di rotta da parte della BCE, ad esempio, non sta facendo altro che incentivare la fuga di capitali dal mercato obbligazionario europeo e ciò rende più difficile per gli stati membri prendere in prestito i soldi di cui hanno bisogno. E questo, a sua volta, necessita di misure più stringenti sui sottoposti.

Questa “carta di credito”, però, per quanto possa essere profonda, soprattutto in Italia, non è infinita e serve solo a comprare tempo. Perché? Perché con la chiusura dei rubinetti dell'eurodollaro i sogni di scalare gli Stati Uniti sono stati infranti. Questa era la fonte prediletta dei presunti pasti gratis che per molto tempo hanno tenuto in piedi le illusioni burocratiche dell'UE di far marciare in avanti l'idea che l'URSS aveva senso solo che “era gestita male”. Le illusioni socialiste sono sempre le stesse: “Abbiamo imparato dalla storia e non commetteremo gli stessi errori”. Finché i guai economici potevano essere trasferiti a qualcun altro, questo assioma pareva reggere... poi, nel 2017, sono iniziati i lavori per implementare il SOFR negli Stati Uniti e nel 2019 i sogni socialisti dell'UE sono definitivamente tramontati quando i mercati dei pronti contro termine statunitensi sono stati chiusi alle garanzie extra-americane.

Il resto è storia e potete approfondirne i vari aspetti nell'ultimo libro che ho pubblicato di recente, Il Grande Default.

Il succo della storia è che la nave europea sta seguendo la direzione del fallimento e l'unico modo che ha per salvarsi, o almeno per provarci, è quello di accentrare ancora di più il potere. Questo significa la possibilità di tassare direttamente i contribuenti di ogni singolo stato europeo e il trasferimento di tali competenze direttamente a Bruxelles. Non solo, ma anche la possibilità di emettere debito comune, ovvero obbligazioni sovrane comuni. I piani come il Next Generation EU o le obbligazioni SURE sono tutti strumenti che puntano in tale direzione. Chi ha il potere decisionale, infatti, sa benissimo che questa è solo una fase di transizione e affinché rimanga saldamente al comando deve assolutamente condurre il gioco verso suddetto finale di partita. Pensateci, il tessuto industriale è sfilacciato, la capacità innovativa inesistente e la produzione continua a perdere vigore a vista d'occhio; il presunto monopsonio europeo era un'illusione tenuta in piedi dall'accesso al mercato dell'eurodollaro che, a sua volta, permetteva all'UE di accedere a finanziamenti a basso costo. Tale accesso adesso è precluso e lo è in un momento storico in cui le principali potenze del mondo, Cina e Stati Uniti, stanno progressivamente autarchizzando le proprie economie. Se gli Stati Uniti hanno dalla loro l'innovazione tecnologica e l'energia relativamente a basso costo, la Cina può contare anche su un allargamento della sua sfera d'influenza tramite i BIRCS. Cos'ha l'Europa invece? Niente di tutto ciò, così come ha sottolineato di recente anche Draghi nella sua relazione.

Se fino al 2017 l'accentramento progressivo era stato messo sul pilota automatico, abbiamo visto che con la crisi sanitaria e l'escalation in Europa orientale e Medio Oriente ci sono state nuove vampate d'accelerazione in tal senso. Aspettiamocene, quindi, un'altra nell'arco di questa Commissione europea dato che senza tale propellente la macchina europea si ingolfa e salta in aria.


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giovedì 17 ottobre 2024

Più solido dell'oro, più veloce della moneta fiat

 

 

di Nick Giambruno

L'imperatore francese Napoleone III usava un set unico di posate in alluminio solo per i suoi ospiti più onorati a cena.

Agli ospiti normali, invece, faceva trovare utensili d'oro.

A metà del XIX secolo l'alluminio era più raro e desiderabile persino dell'oro.

Di conseguenza i lingotti di alluminio trovarono un posto tra i tesori nazionali della Francia e i gioielli in alluminio divennero un simbolo dell'aristocrazia francese.

L'alluminio, noto per il suo numero atomico 13 nella tavola periodica, è un elemento onnipresente, ma esiste principalmente in composti chimici complessi e non nel suo stato metallico.

La procedura di trasformazione dei composti di alluminio in metallo puro era costosa, rendendolo più difficile da produrre rispetto all'oro. Il prezzo dell'alluminio all'epoca rifletteva esattamente questo.

Nel 1852 costava intorno ai $37 l'oncia, più costoso dell'oro a $20,67 l'oncia.

Ma il destino dell'alluminio stava per vedere una svolta drammatica verso la fine del XIX secolo.

Una scoperta monumentale nel 1886 rese possibile la produzione di alluminio puro su vasta scala a una frazione del costo precedente.

Prima di questa scoperta, la produzione globale era di appena una manciata di once al mese.

Successivamente la principale azienda americana di alluminio ne produceva 800 once al giorno. Nel giro di due decenni, tale azienda, che in seguito sarebbe diventata Alcoa, produceva oltre 1,4 milioni di once di alluminio al giorno.

Il prezzo crollò da un incredibile $550 per libbra nel 1852 a soli $12 nel 1880. All'alba del XX secolo una libbra di alluminio costava circa 20 centesimi.

In meno di un decennio e mezzo l'alluminio passò dall'essere il metallo più costoso del pianeta a uno dei più economici.

Oggigiorno non è più un metallo prezioso adatto alle feste reali, o al tesoro nazionale di un Paese. È diventato un elemento di uso quotidiano utilizzato nelle lattine di soda e nella carta stagnola per cucinare.

La trasformazione dell'alluminio da metallo molto apprezzato a materiale domestico poco costoso è esemplificativo della sua “durezza”, la caratteristica più importante di un buona forma di denaro.

Durezza non significa qualcosa che è necessariamente tangibile o fisicamente duro, come il metallo. Invece significa “difficile da produrre”; al contrario “denaro morbido” è facile da produrre.

Il modo migliore per pensare alla durezza è in termini di “resistenza alla svalutazione”, cosa che aiuta a renderla una buona riserva di valore, una funzione essenziale del denaro.

Vorreste investire i vostri risparmi in qualcosa che qualcun altro può creare senza sforzo o costo? Ovviamente no.

Sarebbe come conservare i vostri risparmi di una vita in gettoni per i videogiochi, alluminio, o valute fiat.

Di desiderabile in una buona forma di denaro è che qualcun altro non la possa realizzare facilmente.


Il rapporto Stock-to-flow

Il rapporto Stock-to-flow misura la durezza di un asset.

Rapporto Stock-to-flow = Offerta/Flusso

La parte “stock” si riferisce alla quantità di qualcosa, come le scorte correnti. È l'offerta già estratta, disponibile subito.

La parte “flusso” si riferisce alla nuova offerta aggiunta dalla produzione e da altre fonti ogni anno.

Un rapporto Stock-to-flow elevato significa che la crescita annuale dell'offerta è piccola rispetto a quella esistente, il che indica un asset durevole e resistente alla svalutazione.

Un rapporto Stock-to-flow basso indica il contrario: la nuova produzione annuale può facilmente influenzare l'offerta complessiva e i prezzi. Ciò non è auspicabile affinché qualcosa funzioni come riserva di valore.

Nel grafico qui sotto possiamo vedere la durezza di varie materie prime fisiche.

Nessun'altra materia prima fisica si avvicina alla durezza o alla resistenza alla svalutazione dell'oro.

Le materie prime monetarie, come l'oro e l'argento, hanno rapporti Stock-to-flow più elevati. Dall'altro lato, invece, le materie prime industriali hanno rapporti Stock-to-flow bassi, in genere intorno a 1x.

Con un rapporto Stock-to-flow di 60x, ci vorrebbero circa 60 anni di produzione attuale per eguagliare l'attuale offerta di oro.

Un altro modo di pensarci è guardare all'inverso del rapporto Stock-to-flow: il tasso di produzione annuale relativo alle scorte esistenti. Ad esempio, la produzione annuale di oro è circa un 1,7% rispetto alle sue scorte esistenti.

Due cose possono spiegare l'eccezionale rapporto Stock-to-flow dell'oro.

Innanzitutto il metallo giallo è indistruttibile.

L'oro non decade, né si corrode; ciò significa che la maggior parte di quello prodotto anche migliaia di anni fa è ancora in circolazione oggi e contribuisce alle attuali scorte.

In secondo luogo, l'oro ha una storia di migliaia di anni di produzione, a differenza di altri metalli.

Questi due fattori rendono le scorte esistenti di oro più grandi rispetto alla nuova produzione. Ciò significa che nessuno può aumentarne arbitrariamente l'offerta, il che contribuisce a renderlo una riserva di valore neutrale. È ciò che conferisce all'oro proprietà monetarie uniche e ineguagliabili tra gli altri metalli.

È importante chiarire che durezza non è la stessa cosa di scarsità. Sono concetti correlati, ma non la stessa cosa.

Ad esempio, platino e palladio sono più rari dell'oro, ma non sono beni durevoli. La produzione attuale è elevata rispetto alle scorte esistenti.

A differenza di quelle auree, le riserve di platino e palladio non sono state accumulate nel corso di migliaia di anni. È il motivo principale per cui una nuova offerta può facilmente far tremare il mercato.

A causa dei loro rapporti Stock-to-flow bassi, il platino (0,4x) e il palladio (1,1x) sono ancora meno adatti a funzionare come moneta rispetto all'argento. I loro rapporti Stock-to-flow bassi indicano che sono principalmente metalli industriali, corrispondenti a come le persone li usano oggi. Quasi nessuno usa platino e palladio come moneta.

Ecco il punto principale: la durezza è la caratteristica più importante di una buona moneta; tutte le altre caratteristiche monetarie sono prive di significato se essa è facile da produrre.

Ecco perché la storia della moneta è la storia della vittoria di quell'asset più solido e perché l'oro ha sempre regnato sovrano.

Ma ora ha un serio concorrente...

Il rapporto Stock-to-flow di Bitcoin oggi è circa 57x, leggermente al di sotto di quello dell'oro.

Secondo il suo protocollo, sappiamo esattamente come crescerà la sua offerta in futuro.

Una caratteristica fondamentale è che la nuova offerta viene dimezzata ogni quattro anni, il che fa sì che la durezza di Bitcoin raddoppi ogni quattro anni.

Il processo in cui la nuova offerta di bitcoin viene dimezzata ogni quattro anni è noto come “halving”, o come paice definirlo a me “indurimento quantitativo”.

Ecco un altro modo di pensarci: nel 2023 il mercato dell'oro doveva assorbire circa 117 milioni di once troy in nuova offerta; quest'anno il mercato dell'oro deve assorbirne leggermente di più, circa 119 milioni di once troy in nuova offerta.

Negli anni successivi possiamo aspettarci che la quantità di nuova offerta aumenti gradualmente.

Bitcoin ha la dinamica opposta: la quantità di nuova offerta che il mercato deve assorbire si riduce costantemente.

Nel 2023 il mercato di Bitcoin doveva assorbire circa 328.500 bitcoin in nuova offerta; dopo l'halving di maggio, dovrà assorbirne circa 164.250 bitcoin ogni anno fino all'halving del 2028.

Dopo quest'ultimo, il mercato di Bitcoin dovrà assorbire circa 82.128 bitcoin aggiuntivi ogni anno fino all'halving del 2032.

Questo processo di riduzione della nuova offerta continuerà fino al 2140, quando verrà creato l'ultimo bitcoin. È allora che la fornitura totale raggiungerà i 21 milioni. Oggi è di circa 19,5 milioni, il che significa che la stragrande maggioranza, circa il 93%, dell'offerta totale di bitcoin è già stata creata.

Ciò significa anche che solo 1,5 milioni di bitcoin in più saranno creati nei prossimi 117 anni.

In altre parole, l'offerta di bitcoin crescerà di circa il 7% nei prossimi 117 anni. Per fare un paragone, la massa monetaria degli Stati Uniti è aumentata di circa il 35% sin da marzo 2020.

Dal punto di vista storico gli halving e i loro enormi shock di offerta hanno catalizzato mercati rialzisti da capogiro, dove Bitcoin è salito alle stelle (10 volte o più).

L'halving del maggio scorso, però, è stato molto diverso...

Questo perché la durezza di Bitcoin, misurata dal rapporto Stock-to-flow, è il doppio di quella dell'oro.

Ecco come Bitcoin diventerà presto la moneta più solida che il mondo abbia mai conosciuto e continuerà a diventare più solida man mano che il suo rapporto Stock-to-flow si avvicina all'infinito.

Per migliaia di anni l'oro è sempre stata la moneta più solida dell'umanità. Tutto questo è destinato a cambiare e la maggior parte delle persone non ne ha idea.


Scarsità assoluta

Bitcoin ha un altro attributo unico: non è solo scarso, ma lo è in senso assoluto.

Ad esempio, immaginate che il prezzo del rame aumenti di 5 o 10 volte.

Potete star certi che ciò stimolerebbe una maggiore produzione, espandendo alla fine la fornitura di rame. Ovviamente lo stesso vale per qualsiasi altra materia prima.

Ecco perché c'è un famoso detto nel settore minerario: “La cura per i prezzi alti sono i prezzi alti”.

Tale dinamica che incentiva una maggiore produzione e, in definitiva, una maggiore fornitura, facendo poi scendere i prezzi, esiste per ogni materia prima fisica. Tuttavia l'oro è il più resistente a questo processo.

Questa risposta dell'offerta è il motivo per cui la maggior parte dei prezzi delle materie prime nel tempo tende a invertirsi fino ad arrivare intorno al costo di produzione.

Questa dinamica è ancora più marcata per il denaro.

Quando un asset ottiene proprietà monetarie, la reazione naturale è che le persone ne producano di più, molto di più.

Questa è nota come la trappola del denaro facile.

Bitcoin la scardina, perché la sua offerta è inflessibile. È l'unica merce in cui prezzi più alti non possono indurre una maggiore offerta.

In altre parole, Bitcoin è il primo e unico asset monetario con un'offerta completamente non influenzata dall'aumento della domanda.

Questa è una caratteristica sorprendente e rivoluzionaria.

Ecco la conclusione: l'oro e altre merci sono scarse, ma solo Bitcoin lo è in senso assoluto.

Ciò significa che l'unico modo in cui può rispondere a un aumento della domanda è che il suo prezzo salga. A differenza di ogni altra merce, aumentare l'offerta in risposta all'aumento della domanda non è un'opzione.

La capitalizzazione di mercato di Bitcoin oggi è di circa $528 miliardi.

La capitalizzazione di mercato di tutto l'oro estratto nel mondo, che ha impiegato migliaia di anni per accumularsi, è di circa $12.300 miliardi.

Ciò significa che Bitcoin ha una capitalizzazione di mercato all'incirca pari al 4,2% di quella dell'oro, anche se ne ha superato (del doppio) la durezza.

Supponendo che l'oro rimanga stabile e Bitcoin salga di circa 23 volte, avrebbe una capitalizzazione di mercato all'incirca pari all'oro. A quel punto un singolo bitcoin varrebbe oltre $620.000.

Penso che sia una possibilità reale negli anni a venire, anche se potrebbe accadere molto prima poiché la truffa della valuta fiat continua a sgretolarsi a un ritmo accelerato.

Se questo vi sembra impossibile, allora pensate a questo...

Dieci anni fa il prezzo di Bitcoin era di circa $100; oggi è circa 271 volte tanto.

Bitcoin ha fatto numerosi movimenti mozzafiato al rialzo in passato. Penso che possa farlo di nuovo, soprattutto ora che le aziende, gli investitori istituzionali e persino gli stati iniziano ad acquistarlo per la prima volta. Ovviamente è importante ricordare che le performance passate non sono un'indicazione per risultati futuri, per nessun investimento.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


mercoledì 16 ottobre 2024

Il mio terzo libro: “Il Grande Default”

Ho pubblicato il mio terzo libro, il titolo è Il Grande Default. Lo trovate disponibile per l'acquisto al seguente link su Amazon: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9

L'accumulo di capitale è necessario per fornire i finanziamenti alle imprese sostenibili, le quali generano occupazione, reddito e gettito fiscale. La determinazione dei prezzi nei mercati dei capitali è essenziale per valutare accuratamente il rapporto rischio/rendimento sia degli investimenti economici reali che delle attività finanziarie. La determinazione dei prezzi alimenta quindi l'allocazione efficiente del capitale al suo impiego più redditizio sulla base delle informazioni raccolte da milioni di investitori. Questo concetto è uno dei fondamenti cruciali della teoria capitalista.

Quando le banche centrali hanno spinto i tassi d'interesse sia a lungo che a breve termine ai minimi storici, sono successe due cose:

• Gli investimenti meno attraenti sono diventati "redditizi";

• L'allocazione del capitale ha iniziato a subire distorsioni.

Il tasso d'interesse è essenzialmente il "prezzo del tempo", poiché il futuro tende ad essere più rischioso del presente. Quando prendiamo in prestito dal futuro per investire, un tasso d'interesse cerca di riflettere questo rischio: maggiore è l'incertezza, maggiore è il tasso d'interesse. O è così che dovrebbe andare, ma le banche centrali hanno fatto e stanno facendo di tutto per aggirare questa legge economica. Con tassi d'interesse molto bassi o negativi, che sono diventati comuni dal 2010 in poi, i finanziamenti diventano disponibili anche per quegli investimenti che non sono redditizi.  Questa è un'allocazione del capitale pericolosa perché tali imprese non redditizie dovrebbero fallire, ma schivano il proverbiale proiettile d'argento grazie ai finanziamenti artificialmente a buon mercato. Queste imprese "zombi" sprecano capitale che invece potrebbe essere utilizzato per finanziare investimenti più redditizi, il che a sua volta si tradurrebbe in salari più elevati, dividendi e plusvalenze per gli azionisti e un'economia più vigorosa e dinamica.

Questo è il fardello che le banche centrali hanno apposto sulle spalle dell'economia mondiale, e si vede anche nei numeri ufficiali. La misurazione dell'impatto della distruzione creativa, ovvero il flusso di innovazioni tecnologiche nell'economia, è ostacolata dal fatto che non è osservabile. Quando si manifesta un'innovazione tecnologica in grado di aumentare la redditività, le imprese acquisiscono nuove attrezzature e lavoratori più qualificati per integrarle nella produzione. Sebbene possiamo misurare attrezzature, macchinari e persino la qualità del lavoro, l'aumento effettivo della produttività dell'innovazione non può essere osservato direttamente, almeno a livello "macro".

Tuttavia conosciamo il livello di aumento della produzione, gli investimenti in attrezzature e macchinari (capitale) e il miglioramento della quantità/qualità della forza lavoro. La parte riguardante l'aumento della produzione che non può essere spiegata da questi elementi può essere interpretata come crescita della produttività in tutta l'economia.

Le banche centrali hanno svuotato l'economia mondiale indebolendo seriamente il processo di distruzione creativa e hanno distrutto il meccanismo di determinazione dei prezzi nei mercati dei capitali, il che ha portato a gravi distorsioni (bolle) nei mercati finanziari. La conseguente fragilità dell'economia mondiale e dei mercati finanziari significa che siamo soggetti ad un crollo epico, che danneggerà gravemente famiglie, aziende e persino i Paesi. Le probabilità che il suo epicentro sia l'Europa sono molto alte. In un periodo come questo in cui le finanze delle imprese sono sotto forte stress ed il loro patrimonio netto fortemente eroso, le banche commerciali finiranno nuovamente nell'occhio del ciclone a causa dell'inettitudine del governo italiano e dell'azzardo morale generato dal denaro facile.

E quando tale crollo arriverà, con esso verrà deciso il destino delle nostre generazioni e di quelle future. Se lasciamo che le banche centrali assumano il pieno controllo delle nostre economie, emergerà uno scenario futuro davvero orribile. La generazione degli anni '30 e '40 ha affrontato tempi difficili e ha imparato a lavorare duro, a risparmiare denaro e a lasciare che l'economia facesse il suo corso. Questo semplice fatto è ciò che ha prodotto i bei tempi degli anni '50 e '60, rendendo gli Stati Uniti leader mondiali senza pari, in tutti i sensi. Il 1955, infatti, fu l'ultimo anno in cui gli USA sperimentarono una deflazione dei prezzi al consumo. Però, come dice il proverbio, ciò che una generazione impara quella successiva dimentica.

Richard Nixon si ritrovò a far fronte ad un aumento dell'inflazione dei prezzi: 4,3% nel 1971. Il dollaro era in calo ed i francesi stavano arrivando con le portaerei sui lidi americani per scambiare i loro dollari in oro. Cosa fece Nixon? Tagliò la spesa pubblica, le tasse e si rimboccò le maniche per trovare una via d'uscita dal buco in cui lo aveva scaraventato Lyndon Johnson con le politiche di "Guns and butter"? No, ordinò invece la chiusura della "finestra dell'oro". Da allora in poi l'America avrebbe operato con un nuovo tipo di denaro fasullo, coperto solo dalla credibilità dei futuri capi del Tesoro e della FED.

L'inflazione salì al 13% nel 1980 e sembrava inarrestabile, almeno fino a quando Paul Volcker la riportò sotto controllo. Questa spallata garantì agli Stati Uniti 20 anni di relativa prosperità. Ma da allora è come se fosse stato reciso l'ultimo barlume di sanità economica nelle menti degli economisti mainstream e degli imbonitori nei media generalisti.

In primo luogo, nel 2001 George W. Bush cedette ai guerrafondai e all'ala militare/industriale del Deep State dando il via alla guerra più lunga, più costosa e più inutile nella storia degli Stati Uniti. Non c'era un nemico identificabile. Nel frattempo anche il capo della FED, Alan Greenspan, imboccò la strada dell'azzardo morale infinito: piuttosto che lasciare che l'economia guarisse da sola dopo la recessione del 2001, la manipolò e la distorse ulteriormente abbassando il tasso di riferimento oltre 500 punti base.

Questi tassi d'interesse artificialmente bassi generarono la crisi dei mutui del 2008-2009. Poi sia la FED, con il successore di Greenspan, Ben Bernanke, che il governo federale, con Barack Obama, hanno raddoppiato la dose. Bernanke giustificò la propria mancanza di spina dorsale nel suo libro, The Courage to Act, e come il suo predecessore tagliò il tasso di riferimento di oltre 5 punti percentuali fino a quasi zero. Obama continuò a finanziare le cattedrali nel deserto avviate dalla precedente amministrazione e sebbene si fosse impegnato a far uscire l'America dalle futili guerre di Bush, quando arrivò il momento critico piuttosto che scontrarsi con i guerrafondai, compresi Hillary Clinton e Joe Biden, si lasciò andare.

La crisi successiva, nel settembre 2019, non ha fatto altro che portare alla luce tutti quegli errori economici spazzati sotto il tappeto in passato ma moltiplicati nei costi. La continua distorsione dei mercati attraverso gli interventi progressivi e crescenti da parte del sistema bancario centrale non solo ha creato un scollamento gigantesco tra Main Street e Wall Street, ma i presunti guadagni generati da quest'ultimo comparto sono stati il risultato di un trasferimento di ricchezza grazie alla stampa di denaro. Ma l'Effetto Cantillon non ha ripercussioni solo sull'inflazione dei prezzi, anche e soprattutto sulla qualità degli investimenti" (o pseudo tali) che vengono intrapresi.

Infatti esso toglie risorse preziose a quelle attività che avrebbero creato una prosperità genuina, come abbiamo visto nella sezione precedente, e le costringe al fallimento. Cosa che non sarebbe accaduta in un mercato non ostacolato. Nel contempo quelle realtà privilegiate artificialmente restano in piedi e non si dedicano più a servire il cliente, bensì gozzovigliano con l'ingegneria finanziaria. La speculazione forsennata che ne emerge non è più quel processo migliorativo che funge da collante tra produzione presente e futura, bensì una mania che spinge gli attori di mercato a rincorrere tutti quegli asset che ancora mostrano un rendimento positivo. Non esiste più un mark-to-market, ma solo un market maker (banca centrale) che man mano socializza comparti interi dell'economia nel momento in cui finiscono sotto pressione a causa degli interventi precedenti.

Accade per eccellenza nel mercato obbligazionario statale e si sta diffondendo al resto dei mercati, come quello obbligazionario societario.

Mises aveva messo in guardia nel suo piccolo gioiello degli anni '50, Planned Chaos, da questo percorso pericoloso. È una strada verso la rovina che infatti richiede interventi sempre più grandi ed invadenti per permettere allo status quo di andare avanti ancora un giorno in più. Il problema è il prezzo da pagare e stiamo vedendo che più passa il tempo più si fa salato, sia in termini economici che in termini sociali. Non dovrebbe sorprendere quindi che il vicepresidente della Banca mondiale, Carmen Reinhardt, ha detto che un disastro finanziario è all'orizzonte: default sovrano e default per il debito aziendale. Il fatto stesso di un crollo imminente non dovrebbe essere una sorpresa, specialmente se ci si ricorda di $1,5 triliardi di derivati in un'economia mondiale che genera solo $80.000 miliardi/anno in beni e scambi misurabili. Non importa ciò che le banche centrali hanno tentato di fare per fermare un nuovo crash dei mercati, niente ha funzionato. I tassi d'interesse da zero a negativi non hanno funzionato, l'apertura di prestiti repo overnight per $100 miliardi a banche fallite non ha funzionato, né il salvataggio da $4.500 miliardi. Non importa cosa provano a fare questi maghi finanziari, la situazione continua a peggiorare. Piuttosto che riconoscere ciò che sta realmente accadendo, sono stati selezionati capri espiatori per spostare la colpa.

Dallo schema Ponzi delle pensioni fino alla "Everything bubble" dei giorni nostri, il sistema in cui operiamo è stato distorto a tal punto che ormai inizia ad essere una passività anche per chi è ai posti di comando. L'incapacità di attuare un calcolo economico in accordo coi mercati è il cuore del problema. La teoria Austriaca del ciclo economico, annunciata da Ludwig von Mises nel 1912, ci dice che un'offerta di denaro gonfiata porta a distorsioni dei prezzi nei mercati dei capitali. Queste distorsioni promuovono investimenti in linee di produzione che produrranno perdite quando l'offerta di moneta smetterà di crescere, peggio quando si contrae.

La tesi di un Grande Reset è la demolizione controllata dell'economia. Questa non è un'ipotesi campata in aria, bensì documentata sin dal 1977 e avanzata nientemeno che da Paul Volcker. Il settore più colpito è quello della piccola/media impresa. Questo è il cuore della classe media, la quale è indebitata a livelli senza precedenti e quindi ferma al proverbiale Picco del Debito. Non è più in grado di rispondere agli stimoli monetari e non essendoci più bilanci da saturare attraverso il credito facile la pianificazione centrale fallisce. Nessuna forward guidance è in grado di aggirare questo esito.

Quindi cosa fanno i pianificatori monetari centrali? Agirebbero in base alla fallacia della finestra rotta, annientando il sopraccitato settore per poi permettergli, attraverso sovvenzioni, di tornare a produrre. Un deleveraging classico di quell'ammontare di debiti significherebbe anche la deflagrazione di tutte quelle entità che sono connesse col sistema bancario centrale e che ne traggono profitto: grandi banche commerciali e stati. Libero mercato significa necessariamente libera scelta,  e la piccola/media impresa è la quintessenza del decentramento e dell'imprevidibilità. La spasmodica ricerca del controllo da parte delle autorità centrali, sventolando il feticcio delle emergenze, serve quindi a tenere tutti buoni mentre si riorganizza il "giocattolo". Una strategia, questa, che diventa sempre più impellente per l'UE in particolar modo man mano che passa il tempo. Senza integrazione fiscale, e soprattutto senza un sistema di emissione obbligazionaria di debito comune, non supererà la proverbiale notte. Ha bisogno come il pane di questa soluzione e ciò significa maggiore centralizzazione dei poteri, con tutte le conseguenze del caso.

Il mio libro, in definitiva, esplora e analizza la logica conclusione dell'economia mista, un viaggio per comprendere e svelare le meccaniche ombra che regolano il mondo dell'economia e della finanza di oggi. L'esperimento di fondere insieme economia e geopolitica chiarisce il caos socioeconomico dei giorni nostri, permettendo al lettore di acquisire un nuovo grado di consapevolezza e quindi la possibilità di sfruttare opportunità che prima non vedeva. Un vantaggio comparato rispetto agli altri che, al giorno d'oggi, significa salvezza (economica) oppure dannazione (economica). Il manoscritto va a concludere la mia trilogia di testi dedicati alla corretta e facile comprensione dei temi economici attraverso gli occhiali della Scuola Austriaca. Tutto è iniziato con L'economia è un gioco da ragazzi che presentava ai lettori la teoria basilare, poi ho proseguito con La fine delle fallacie economiche in cui portavo a un livello avanzato la teoria e ora sono pronto a chiudere questo filone con la "messa in pratica", facendo evolvere la teoria del ciclo economico attraverso l'inclusione del sistema bancario ombra e le tematiche geopolitiche.

Un testo, Il Grande Default (qui la versione cartacea) (qui la versione digitale), che sicuramente vi prenderà del tempo ma in cambio di questo investimento metterà insieme i tasselli di quel mosaico che ancora appare confuso a molti.