venerdì 8 novembre 2024

Un testo elementare sul libero mercato dell'elettricità

 

 

di Robert Bradley

L'elettricità è uno dei settori più regolamentati dell'economia statunitense. Un secolo di barriere all'ingresso e tariffe dei servizi pubblici non ha fatto altro che far soccombere il settore a tutta una serie di nuovi interventi governativi. L'elettricità all'ingrosso è pianificata centralmente nella maggior parte degli stati, creando un mercato al dettaglio artificiale. Allo stesso tempo le politiche governative hanno sempre più sostituito la generazione termica (gas naturale, petrolio, carbone e nucleare) con energia eolica e solare intermittente, cosa che richiede costosi accumulatori di energia sotto forma di batterie.

Oggi un numero crescente di regioni è soggetto a tariffe elettriche in aumento, appelli per la conservazione e interruzioni del servizio. Il grande blackout del Texas del febbraio 2021 ha causato centinaia di morti per mancanza di riscaldamento e altri servizi, per non parlare di cento miliardi di dollari di danni. La California, che nel 2000-2001 ha subito carenze che hanno portato alla chiusura di aziende e scuole, sopporta tariffe “verdi” che sono il doppio rispetto alla media nazionale. Altri stati e regioni stanno perseguendo linee di politica che preannunciano risultati simili.

La discoordinazione economica può creare disagi, interrompere il servizio e persino uccidere, ma questa minaccia all'elettricità affidabile e conveniente non è il risultato di un fallimento del mercato, bensì di un fallimento dello stato, alimentato anche dagli errori dei cosiddetti esperti fuorviati dal problema della conoscenza e dalla politicizzazione.


Elettricità regolamentata

Per più di un secolo, l'elettricità è stata regolamentata come un “monopolio naturale”. Negli ultimi decenni la rete interconnessa per la distribuzione dell'elettricità (“la rete”) è stata regolamentata come un “bene comune”.[1] Una transizione forzata all'eolico e al solare, guidata da Big Green, ha creato una tempesta perfetta di aumenti dei costi e instabilità del servizio. Questo tsunami statalista implora un'alternativa non governativa.

La teoria del monopolio naturale postula situazioni in cui un'azienda porta all'esaurimento le economie di scala, acquistando concorrenti e raggiungere una posizione dominante al minor costo. La progressione naturale verso il controllo del singolo permette a un'azienda di “sfruttare” i consumatori.

“È riconosciuto che la moltiplicazione dei cavi aerei è un male e un pericolo impellente", scrisse un riformatore nel 1889. “Si può dubitare che sia il colmo della follia continuare lungo questa strada, e che davvero l'unico modo razionale di affidare il servizio elettrico a società costituite sia consentire a una sola società di operare in un distretto e controllare i prezzi con mezzi diversi dalla concorrenza?”[2]

Circa 80 anni dopo l'economista Alfred Kahn descrisse la “prestazione accettabile” per il “monopolio regolamentato” come una situazione in cui c'è bisogno di “barriere all'ingresso, impostazione dei prezzi, prescrizione della qualità e delle condizioni del servizio, e l'imposizione di un obbligo di servire tutti i richiedenti a condizioni ragionevoli”.[3] Il quid pro quo della protezione del franchising per l'azienda in cambio di tariffe massime autorizzate da un'autorità centrale divenne noto come patto di regolamentazione.

La regolamentazione dell'elettricità da parte dei servizi pubblici è stata affiancata negli ultimi decenni da un regime normativo più completo: un mercato energetico all'ingrosso pianificato centralmente e basato sull'accesso aperto obbligatorio (AAO) nella trasmissione, da cui può emergere la “concorrenza” sia nella generazione che nella distribuzione. Per portare l'energia alle case e alle aziende, la regolamentazione interstatale da parte della Federal Energy Regulatory Commission (FERC) a metà degli anni '90 è stata affiancata dall'AAO intrastatale a partire dalla California (1996) e dal Texas (1999).[4]

Sotto il cosiddetto retail wheeling, l'utility in franchising ha mantenuto il suo monopolio di trasmissione con tariffe “disaggregate” limitate più un ragionevole ritorno (secondo la regolamentazione dei servizi pubblici). Ma l'utility ha dovuto consentire ai generatori e ai rivenditori esterni di accedere ai suoi cavi, creando rivalità con l'utility in franchising.

Questo sistema non è né una deregolamentazione né una stazione di passaggio verso la deregolamentazione. L'accesso aperto obbligatorio viola i diritti di proprietà privata sottraendo il controllo ai proprietari (dei servizi). “Quello che è tuo è mio”, hanno scritto due critici di questo “socialismo infrastrutturale”.[5]

In secondo luogo, il collegamento vitale della trasmissione è rimasto sotto una rigida regolamentazione in fatto di servizi pubblici.

In terzo luogo, un'entità governativa è tenuta a pianificare e coordinare la rete socializzata di fatto. Ciò che veniva fatto prima dall'azienda, ovvero acquistare, trasportare e vendere energia in base “all'obbligo di servire”, adesso è coordinato dai dipendenti dell'Independent System Operator (ISO) o del Regional Transmission Organization (RTO). Entrambe le agenzie governative si spingono ben oltre il controllo ingegneristico delle operazioni di rete: determinano i prelievi, i prezzi e il rilascio.[6]

Le sette agenzie centrali sono mostrate nella Figura 1, con la regolamentazione tradizionale che governa il Nordovest, il Sudovest e il Sudest (tutti o parte di 17 stati).

Fonte: Federal Energy Regulatory Commission

La decantata “concorrenza” in base all'AAO è artificiale, forzata, sollevando il problema dell'eccesso di entrate e dello spreco di risorse rispetto a ciò che emergerebbe in un vero processo di scoperta di libero mercato.

“Ma niente è così permanente come un programma governativo temporaneo”, scrissero Milton e Rose Friedman nel 1983.[7] La spinta alimentata dallo stato per l'energia eolica e solare dimostra questo punto.

Operativamente collaudati a New York fin dal 1880, le turbine eoliche e i pannelli solari non sono industrie nascenti. Essendo diluite e intermittenti (il sole non splende sempre, né il vento soffia perennemente), entrambe le fonti di energia erano antieconomiche e indesiderate per generare elettricità, soprattutto se confrontate con l'elettricità più affidabile e distribuibile generata prima col carbone e l'idroelettrico, poi con il petrolio e il gas naturale.

L'attuale boom dell'energia eolica può essere ricondotto all'Energy Policy Act del 1992, il quale ha introdotto un considerevole credito d'imposta per ogni kilowattora generato. Destinato a scadere nel 1999, il credito è stato prorogato 14 volte. Il beneficio fiscale ha persino consentito ai produttori di energia eolica di offrire prezzi negativi, pagando le persone per usare l'elettricità. Tale situazione paradossale ha causato il ritiro prematuro di mezzi affidabili di produzione di energia e l'assenza di nuovi ingressi nel settore, esponendo la rete a problemi di affidabilità in periodi di picco della domanda o eventi imprevisti.

I sussidi federali per l'energia solare risalgono al 1978 e sono stati prorogati 15 volte. Il boom risale all'EPAct del 1992, il quale ha triplicato l'Investment Tax Credit (ITC) per coprire il 30% dei costi di installazione dell'energia solare.

La duplicazione della rete con una generazione più costosa e inaffidabile è una storia di lobbying spiegata dal fenomeno dei benefici concentrati, dei costi diffusi e dalla politica dei battisti (ambientalisti) e dei contrabbandieri (aziende eoliche e solari). La linea di politica governativa in questi casi ha creato grandi industrie che avrebbero avuto solo applicazioni di nicchia, come l'energia solare fuori dalla rete.

Il controllo della rete da parte di ISO/RTO ha semplificato l'ingresso dell'energia eolica e solare in grandi regioni. Le preferenze fiscali sproporzionate, le disposizioni federali obbligatorie e il basso costo marginale hanno garantito un rapido ingresso dell'elettricità più costosa e meno affidabile. La politica climatica della decarbonizzazione è evidente nelle sette regioni di controllo.


Normativa di libero mercato

Un libero mercato dell'elettricità è definito come l'assenza di proprietà, controllo o regolamentazione governativa. Elettricità e stato sono separati, a parte la protezione legale contro la forza o la frode. Lo stato sostiene in modo neutrale l'applicabilità dei contratti privati e di altre norme di mercato in base allo stato di diritto.

La proprietà e il controllo privati dirigono ogni fase del settore, dalla generazione alla trasmissione fino alla consegna e all'utilizzo finali. Entrata, uscita, prezzi e altri termini di servizio non sono prescritti dallo stato in un contesto di libero mercato. L'organizzazione industriale (come l'integrazione verticale o orizzontale) non è limitata; il coordinamento dei gruppi commerciali e la cooperazione tra aziende sono esenti da controllo antitrust. Oltre a ciò, un processo di scoperta del mercato determinerebbe i particolari del settore.

Il liberalismo classico mette in guardia contro la direzione e il controllo dello stato, dal socialismo assoluto (proprietà municipale) alla protezione del franchising e ai massimali tariffari basati sui costi (regolamentazione dei servizi pubblici), all'accesso aperto obbligatorio per le parti esterne (un'acquisizione non compensata), ai requisiti dell'energia rinnovabile (la sostituzione forzata dell'energia eolica e solare).[8]

La storia offre forti prove a favore dei mercati liberi rispetto al controllo statale dell'elettricità. I problemi di regolamentazione e pianificazione in un contesto politico hanno portato a un secolo di interventi in espansione, da locali a statali fino a quelli federali (si veda la Figura 2).

L'era dell'elettricità di libero mercato, frutto dell'azione umana ma non della progettazione umana, risale all'inizio del settore fino all'avvento della regolamentazione dei servizi pubblici. La “regolamentazione tramite concorrenza” è durata decenni: a New York dal 1882 al 1905; in Illinois dal 1881 al 1914; in California dal 1879 al 1911.[9]

L'era del mercato fu caratterizzata da tariffe in calo, utilizzo in espansione e servizio affidabile.[10] “Vendi il tuo prodotto a un prezzo [che] ti consentirà di ottenere un monopolio”, disse il padre del moderno servizio elettrico integrato (e protetto di Thomas Edison), Samuel Insull, prima della regolamentazione dei servizi pubblici nel suo stato.[11]

La politica tariffaria “taglia e vinci” e “ridicolmente bassa” di Insull consolidò ed espanse il mercato di Chicago, un modello che poi portò nei sobborghi e nelle campagne.[12] Con il suo territorio assicurato, questo cosiddetto monopolista naturale cercò di “fare di tutto per abbassare i costi di produzione [...] in modo da servire il pubblico e ottenere/conservarne la buona volontà”.[13]

Il processo di mercato non veniva mai terminato dopo che un'azienda aveva consolidato un'area sostituendo piccole e inefficienti “dinamo” con grandi generatori in stazioni centrali e installando una trasmissione a valle per raggiungere utenti distanti. La competizione per il mercato era un processo, non un punto di arrivo.

Insull sfruttò le economie di scala, dalla “produzione di massa” al “vangelo del consumo”. Il fattore di carico fondamentale, ovvero l'utilizzo medio delle apparecchiature di generazione e trasmissione, richiedeva di riempire le valli di utilizzo tra i picchi. La redditività della stazione centrale, per non parlare dell'affidabilità, era guidata da una tariffazione in due parti, in base alla quale gli utenti pagavano un sovrapprezzo speciale per i macchinari in modo che fossero pronti per il loro picco di domanda. Le utility interconnettevano le loro reti (la “superutility”) per migliorare i fattori di carico con meno investimenti.[14] Tutto questo come se fosse guidato da una “mano invisibile”.

La fisica dell'elettricità guidava gli imprenditori di mercato. L'integrazione verticale e orizzontale rifletteva economie di scala con una merce che doveva essere consumata nel momento in cui veniva generata. L'affidabilità doveva essere infallibile, le case elettrificate e gli uffici cablati non potevano rimanere al buio, gli ascensori e i tram non potevano essere bloccati. L'accumulo in batterie di emergenza entrò in scena a metà del decennio del 1890, per quanto costoso serviva a evitare i costi umani e finanziari dei blackout.[15]

Le operazioni integrate e dirette dal mercato determinarono un'accessibilità economica senza precedenti e un servizio continuo e coordinato. La responsabilità era sotto lo stesso tetto del capitale di quella (grande) azienda a rischio di blackout. È vero, pochi o nessun indipendente nella generazione, trasmissione o distribuzione potevano competere con il “monopolio naturale”, tuttavia l'unicità dell'elettricità richiedeva un funzionamento multifase altamente coordinato, evidente nel petrolio e nel gas naturale (in un libero mercato). La protezione governativa del franchising non era necessaria.

L'elettricità non è mai stata considerata una risorsa comune in contrasto con i diritti di proprietà privata definibili e un funzionamento efficiente. La teoria dei “beni comuni” è nata solo con la trasmissione ad accesso aperto imposta dallo stato, di per sé una chiara violazione dei diritti di proprietà privata. Durante l'era di mercato dell'elettricità, ampie aree di controllo o bilanciamento (economie di scala) erano all'interno dell'azienda, non all'esterno.


Regolamentazione guidata dalle utility: monopolio innaturale

Le economie di scala riducono notevolmente la rivalità tra aziende, ma lo “sfruttamento”, in cui un monopolista naturale trattiene l'offerta o aumenta i prezzi per i suoi clienti prigionieri, non è pervenuto. “La teoria economica del monopolio naturale è estremamente breve ed [...] estremamente poco chiara”, ha osservato l'economista Harold Demsetz. “Non riesce a dimostrare i passaggi logici che la portano dalle economie di scala nella produzione al prezzo di monopolio sul mercato”.[16]

Infatti i “monopolisti naturali” si sono rivolti al monopolio innaturale tramite la regolamentazione dei servizi pubblici a livello statale. In un discorso storico del 1898 davanti alla National Electric Light Association (ora Edison Electric Institute), Samuel Insull della Chicago Edison Company chiese una via di mezzo tra “socialismo municipale” e “concorrenza”.

Il franchising competitivo, si lamentava, “spaventa l'investitore e costringe le aziende a pagare un prezzo molto alto per il capitale”. Un consolidamento “inevitabile” pone fine allo spreco economico di strutture duplicate. La soluzione era il quid pro quo di franchigie esclusive per la regolamentazione delle tariffe.

Il miglior servizio al prezzo più basso possibile può essere ottenuto solo [tramite] franchigie esclusive [...] unite alla condizione del controllo pubblico che richiede che tutti i prezzi per i servizi stabiliti dagli enti pubblici siano basati sul costo, più un profitto ragionevole [...]. Più certa è la protezione [del franchising], più basso sarà il tasso d'interesse e più basso sarà il costo totale di esercizio e, di conseguenza, più basso sarà il prezzo del servizio per gli utenti pubblici e privati.[17]

Le tariffe scesero e il servizio si espanse rapidamente senza tale regolamentazione. Non c'era alcun “fallimento del mercato”, tanto meno un notevole malcontento dei contribuenti. I leader del settore dovevano creare la domanda di regolamentazione con campagne di pubbliche relazioni e sforzi di lobbying.[18]

Insull e altri leader del settore desideravano bloccare nuovi entranti e assicurarsi un profitto migliore con la regolamentazione del costo del servizio, ma una preoccupazione primaria era quella di evitare una regolamentazione locale potenzialmente punitiva e la minaccia della municipalizzazione.[19] L'economia politica della regolamentazione, che come una valanga avrebbe portato a una serie di nuove norme, era evidente.

Fallimento ed espansione della regolamentazione

Le commissioni statali che regolamentavano l'elettricità come servizio pubblico iniziarono nel Massachusetts (1887), New York (1905) e Wisconsin (1907). Il fervore intellettuale e industriale per tale controllo portò all'adesione di altri 35 stati all'inizio degli anni '20 del Novecento.[20]

Adottati come ideale progressista, esperti imparziali si misero a implementare una regolamentazione “scientifica” basata su dati determinabili, ma la soggettività intervenne e i monopolisti legali “impararono a regolamentare la regolamentazione”.[21] Le utility giocarono con la regolamentazione del costo del servizio massimizzando (gonfiando) la base tariffaria e sfuggirono alla giurisdizione delle commissioni statali tramite transazioni interaziendali o interstatali.

“I primi sostenitori della regolamentazione statale”, osservò l'economista John Bauer, “pensavano di aver trovato il modo di sfruttare il monopolio privato a vantaggio pubblico”. Invece

la regolamentazione è stata inefficace. Non ha fornito l'estensione e la regolarità della protezione dei consumatori come previsto [...]. Peggio ancora, ha permesso le perversioni di organizzazione e gestione nel settore dell'energia elettrica durante gli anni '20, le quali hanno creato ulteriori barriere a una regolamentazione soddisfacente.[22]

Un crollo della regolamentazione portò a un intervento sempre più ampio.[23] Due importanti leggi del New Deal vennero promulgate nel 1935: il Federal Power Act estese la regolamentazione dei servizi pubblici al commercio interstatale, conferendo poteri alla Federal Power Commission (ora Federal Energy Regulatory Commission); il Public Utility Holding Company Act impedì alle società di holding elettriche (e del gas) di possedere proprietà separate in stati diversi. L'integrazione orizzontale era limitata a una proprietà contigua. Seguirono importanti disinvestimenti di società di gas ed elettricità.[24]

Colmare le lacune normative con un intervento sempre più ampio (da locale a statale a federale) era all'ordine del giorno (vedere Figura 2). L'affidamento alla “regolamentazione tramite la concorrenza” venne politicamente dimenticato.[25]

Fonte: Immagine dell'autore


Replica liberale classica

La regolamentazione dei servizi di pubblica utilità venne poco contestata fino agli anni '60, quando gli economisti di libero mercato riesaminarono il caso del fallimento del mercato e dell'intervento statale “correttivo”.

In Capitalism and Freedom, Milton Friedman sosteneva il “monopolio privato non regolamentato ovunque questo fosse tollerabile”.[26] George Stigler si schierò dalla parte dei mercati imperfetti, confrontando la teoria con la pratica: “I meriti del laissez-faire si basano meno sui suoi fondamenti teorici e più sui suoi vantaggi nei confronti delle prestazioni effettive di forme rivali di organizzazione economica”.[27]

Harvey Averch e Leland Johnson spiegarono il gold-plating, un processo mediante il quale le aziende soggette a regolamentazione dei servizi di pubblica utilità sono incentivate ad ampliare artificialmente (e in modo antieconomico) la base tariffaria su cui viene calcolato il loro tasso di rendimento regolamentato.[28] Più investimenti di capitale, maggiori profitti. Con una base tariffaria deprezzabile su cui applicare il tasso di rendimento consentito, si incoraggiava un investimento eccessivo per mantenere la redditività. Mantenere le apparecchiature obsolete nei libri contabili era una strategia; stipulare contratti per centrali nucleari nonostante il rischio di ritardi nella costruzione e costi gonfiati era un'altra.

“Why Regulate Utilities?” (1968) di Harold Demsetz fornì un'indicazione per la libera concorrenza di mercato. Sosteneva che la rivalità per un franchising forniva concorrenza per il settore. In altre parole, più aziende potevano fare offerte per vincere i diritti di monopolio dove i vantaggi delle economie di scala si sarebbero riflessi nelle tariffe e in altri termini di servizio.

Gli acquirenti, seguendo questa linea di ragionamento, potevano organizzarsi come un monopsonio per stipulare contratti contro un'unica azienda già operativa. Senza regolamentazione, gli imprenditori terzi potevano sottoscrivere blocchi di contribuenti per contrastare un'azienda di servizi di pubblica utilità con un unico venditore ed evitare lo “sfruttamento”. Avvocati e consulenti avrebbero avuto una nicchia di libero mercato per realizzare l'autoregolamentazione e lo stato sarebbe stato messo da parte.

Scrisse Demsetz: “[L]a rivalità del mercato aperto disciplina in modo più efficace rispetto ai processi normativi delle commissioni. Se i dirigenti delle aziende di servizi di pubblica utilità dubitano di questa convinzione, suggerisco loro di riesaminare la storia del loro settore per scoprire chi ha fornito la maggior parte della forza dietro il movimento normativo”.[29] Infatti non sono stati i consumatori, ma coloro che dovevano essere regolamentati, con gli esperti al seguito, a fare pressioni per ottenere il patto normativo.

Non furono solo gli economisti della Scuola di Chicago a mettere in discussione il monopolio naturale come pretesto per la regolamentazione dei servizi di pubblica utilità.[30] L'economista aziendale Walter Primeaux Jr. ha documentato la rivalità tra aziende, definita come “situazione in cui due aziende elettriche servono la stessa città e i consumatori hanno la possibilità di essere serviti da un'azienda o dall'altra”.[31] Furono identificate quasi 50 città in una situazione di monopolio non così naturale. Altrimenti esisteva una competizione tra combustibili per diversi servizi energetici, tra cui gas naturale, propano, elettricità e petrolio.

Anche la Scuola Austriaca era in disaccordo con il fallimento del mercato e la regolamentazione dei servizi di pubblica utilità. “Un settore di 'servizi pubblici' non differisce concettualmente da nessun altro, e non esiste un metodo non arbitrario con cui possiamo designare alcuni settori come 'vestiti di interesse pubblico', mentre altri no”, scrisse Murray Rothbard nel 1962.[32] La concorrenza in sé non riguardava il numero di aziende (anche se ce n'era solo una), ma le condizioni di entrata/uscita e di funzionamento senza barriere.

Una visione liberale classica spiegava il processo di mercato intrinsecamente competitivo. La concorrenza poteva comportare una rivalità diretta con strutture duplicate, oppure poteva essere un'unica azienda a mantenere un mercato contro potenziali rivali. In entrambi i casi, i costi privati e pubblici dell'intervento statale potevano essere aggirati e i segnali di mercato ripristinati.

Questa tradizione venne resa popolare da un libro curato da Robert Poole Jr., Unnatural Monopolies: The Case for Deregulating Public Utilities (1985). L'eccesso di capitale e il ritardo normativo erano solo due problemi che impedivano “la modernizzazione e un servizio più responsabile”, spiegava l'introduzione.[33]


Socialismo infrastrutturale: accesso aperto obbligatorio

Gli incentivi perversi basati sulle tariffe (maggiori profitti derivanti dalla sovracapitalizzazione) raggiunsero il loro apice con gli sforamenti di costo associati alle centrali nucleari, di per sé un'industria alimentata dallo stato.[34] I grandi impegni per il nucleare da parte delle utility negli anni '60 provocarono problemi senza precedenti negli anni '70, persino cancellazioni in fase di costruzione. Nel frattempo il rapido miglioramento della generazione a gas naturale creò una grande disparità tra il costo marginale dell'energia generata dai nuovi impianti rispetto al costo medio dell'energia gonfiato dalle utility.

Con la legislazione federale del Public Utility Regulatory Policies Act del 1978 (PURPA), che sovvenzionava i produttori di energia indipendenti, in particolare la cogenerazione a gas, i gruppi di clienti fecero pressioni per un'elettricità più economica che potesse essere trasportata a tariffe con tetto massimo dei costi. Ciò suscitò entusiasmo tra economisti e regolatori a favore dell'accesso aperto obbligatorio, in base al quale le utility erano obbligate ad aprire i loro cavi (regolati dalle tariffe) a terze parti tra l'impianto di generazione e il consumatore. L'Energy Policy Act del 1992 prescriveva tale “wheeling” interstatale, così come le successive iniziative a livello statale per l'accesso all'ultimo miglio (al dettaglio).[35]

L'AAO ha declassato la pianificazione e il servizio di pubblica utilità all'autorità dello stato per quanto riguarda chi, cosa, dove e quanta energia, e su più aree di pubblica utilità. I bacini di energia centralizzati ISO/RTO hanno consentito alle nuove aziende di acquistare e vendere la merce. La continua regolamentazione della trasmissione-distribuzione da parte dei servizi pubblici (“mettere in quarantena il monopolio”) ha consolidato la protezione del franchising, eliminando al contempo l'incentivo del profitto per il miglioramento.

Il calcolo economico ha tormentato le ISO/RTO: per le aziende la determinazione dei prezzi in due parti (tariffa di domanda e tariffa volumetrica) ha consentito di soddisfare la domanda di picco in modo redditizio, ma per i pianificatori centrali incaricati dell'affidabilità dell'intero sistema le diverse opzioni si sono rivelate difficili e persino distruttive. Alcune regioni hanno implementato “tariffe di capacità” per premiare i generatori per la capacità di riserva. Altre hanno puntato su prezzi “solo energia”, scommettendo che un'ampia capacità sarebbe stata incitata da periodici cali di prezzo. La “taglia unica” ha sostituito una tariffa personalizzata e meno centralizzata per il cliente.

Il benessere dei consumatori e “l'obbligo di servire” sono andati perduti nella transizione alla pianificazione centralizzata, così come nella ricerca governativa di decarbonizzazione. Peggio ancora, gli errori delle agenzie governative (come l'aumento in preda al panico dei prezzi della sola energia in Texas nel febbraio 2021) sono stati protetti dall'immunità sovrana.


Riforma di libero mercato

Un libero mercato dell'elettricità porrebbe fine alle attuali disposizioni di statuti federali come il Power Act del 1935, il Public Utility Holding Company Act del 1935, il Public Utility Regulatory Policies Act del 1978, l'Energy Policy Act del 1992, l'Energy Policy Act del 1995 e l'Inflation Reduction Act del 2022. L'abrogazione della regolamentazione dei servizi pubblici sarebbe richiesta a livello statale, tra cui il Public Utility Regulatory Act del 1975 del Texas, il Public Utility Regulatory Act del 1995 e l'Electric Restructuring Act del 1999.

Le riforme di cui sopra eliminerebbero le funzioni elettriche della Federal Energy Regulatory Commission (nata Federal Power Commission) e della Securities and Exchange Commission, nonché, in Texas, della Public Utility Commission e dell'Electric Reliability Council. Organismi semi-governativi come la North American Electric Reliability Corporation e la National Association of Regulatory Utility Commissioners verrebbero riorganizzati secondo linee private, o chiusi.

In altre parole, un programma di riforma di libero mercato eliminerebbe:

• Protezione delle franchigie, regolamentazione delle tariffe e regole di entrata/uscita

• Decreti di trasmissione a livello federale e statale

• Limitazioni della struttura del settore

• Sussidi fiscali e altre preferenze per nucleare, eolico, solare, batterie, ecc.

• Restrizioni sugli accordi volontari tra aziende (legge antitrust)

Un vero libero mercato basato sui diritti di proprietà privata mette gli imprenditori in cerca di profitto, non i regolatori e i pianificatori, a capo della produzione, trasmissione e distribuzione dell'elettricità. Le aziende sarebbero contrattualmente soggette ai consumatori o ai loro rappresentanti. Cesserebbero gli incentivi malevoli che aumentano le tariffe, così come le spese associate a terze parti.

Dell'esercito di esperti e pianificatori nel mondo dell'elettricità politicizzata, alcuni diventerebbero dipendenti o consulenti per le aziende con potere di mercato o rappresenterebbero blocchi di consumatori che negoziano con queste aziende. Con la pianificazione centralizzata e i dettagli normativi declassati, le risorse liberate e l'imprenditorialità ampliata spingerebbero il processo di distruzione creativa alla ricerca di tariffe migliori e altri termini di servizio.


Conclusione

Il libero mercato non ha fallito nell'offrire i suoi benefici nei decenni iniziali dell'elettricità commerciale. Gli imprenditori, sebbene ostacolati dallo stato, hanno servito con successo case, aziende e industrie. Il risultato complessivo è stato un ordine non progettato che ha premiato sia i fornitori che i consumatori.

La svolta verso la regolamentazione dei servizi pubblici era politica, non economica. Una fede ingenua nel controllo capillare ha conferito nuovi poteri allo stato, ma le soluzioni si sono rivelate illusorie poiché tale interventismo ha creato nuovi problemi. I regolatori non erano imparziali e le questioni complicate sui costi “prudenti” e sui profitti “ragionevoli” sono diventate punti critici.

Le basi tariffarie gonfiate dei servizi hanno creato una grande discrepanza nei costi che l'accesso aperto obbligatorio pretendeva di fornire ai consumatori. Ma la pianificazione centrale, unita all'integrazione della generazione eolica e solare alimentate dallo stato, ha lasciato i contribuenti e l'economia con il peggiore dei mondi possibili.

L'elettricità di libero mercato si basa su fondamenta teoriche ed evidenti consolidate nel tempo. Purtroppo l'alternativa liberale classica alla regolamentazione pesante è stata ignorata (non confutata) per più di un secolo. Un ripensamento radicale e una successiva riforma politica promettono di abbassare le tariffe, garantire l'affidabilità e liberare risorse per il resto dell'economia: una vittoria quasi per tutti, tranne che per una parte della popolazione politica che, giustamente, dovrebbe essere smantellata.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Note

[1] La tesi delle risorse comuni organizzate dallo stato è stata avanzata da L. Lynne Kiesling, Deregulation, Innovation and Market Liberalization: Electricity Regulation in a Continually Evolving Environment (New York: Routledge, 2009), capitolo 8.

[2] Charles Whiting Baker, Monopolies and the People (New York: G. P. Putnam’s Sons, 1889), pp. 66–67. Nel 1920 la questione principale era come regolare al meglio il mercato. Si veda, per esempio, Charles Stillman Morgan, Regulation and the Management of Public Utilities (Boston, MA: Houghton Mifflin, 1923).

[3] Alfred Kahn, The Economics of Regulation: Principles and Institutions (Cambridge, MA: The MIT Press, 1970, 1995), vol. 1, pp. 3, 11.

[4] Questo intervento fu preceduto dalle leggi del diciannovesimo secolo sugli acquirenti comuni e sui trasportatori comuni emanate grazie alla forza politica dei produttori di petrolio greggio a spese degli oleodotti. Robert L. Bradley Jr., Oil, Gas, and Government: The U.S. Experience (Lanham, MD: Rowman & Littlefield, 1996), pp. 118–119, 609–18. Ha sfruttato la cosa anche l'AAO a spese degli oleodotti di gas naturale. Robert L. Bradley Jr., “The Distortions and Dynamics of Gas Regulation” in New Horizons in Natural Gas Deregulation, ed. Jerry Ellig and Joseph Kalt (Westport, CT: Praeger, 1996), pp. 16–19.

[5] Adam D. Thierer and Clyde Wayne Crews Jr., What’s Yours Is Mine: Open Access and the Rise of Infrastructure Socialism (Washington, DC: Cato Institute, 2003).

[6] In termini di economia politica queste agenzie svolgono una “pianificazione non esaustiva”, in contrapposizione alla piena proprietà e al controllo delo stato. Don Lavoie, National Economic Planning: What Is Left? (Cambridge, MA: Ballinger Publishing, 1985), pp. 3–4.

[7] Milton and Rose Friedman, Tyranny of the Status Quo (New York: Harcourt Brace Jovanovich, 1983), p. 115.

[8] I mandati di utilizzo finale e la regolamentazione della conservazione sarebbero un'altra intrusione al di fuori delle azioni di mercato nel settore elettrico. La domanda sarebbe regolata da prezzi e contratti, non da politiche governative.

[9] Prima della regolamentazione statale i comuni emettevano franchigie e spesso prescrivevano tariffe massime. Ma non tutti lo facevano e le utility avevano generalmente margine di manovra entro i vincoli tariffari. Anche sfide legali e lasca applicazione delle norme hanno caratterizzato l'era del libero mercato dell'elettricità.

[10] Robert Bradley, Jr. “The Origins of Political Electricity: Market Failure or Political Opportunism?Energy Law Journal 17, no. 1 (1996), pp. 60–61, 70.

[11] Samuel Insull, “Sell Your Product at a Price Which Will Enable You to Get a Monopoly,” in Central-Station Electric Service: Selected Speeches, 1897–1914 (Chicago, IL: Privately Printed, 1915), p. 116.

[12]
Un biografo di Insull ha descritto la strategia come “una parte di servizio di qualità, due parti di vendita aggressiva e tre parti di tagli alle tariffe”. Forrest McDonald, Insull (Chicago, IL: University of Chicago Press, 1962), p. 104. Si veda Robert L. Bradley Jr., Edison to Enron: Energy Markets and Political Strategies (Hoboken, NJ: John Wiley & Sons; and Salem, MA: Scrivener Publishing, 2011), pp. 71–72.

[13] Samuel Insull, “The Obligations of Monopoly Must Be Accepted”, in Central-Station Electric Service, p. 122.

[14] Bradley, Edison to Enron, pp. 71–77.

[15] Bradley, Edison to Enron, p. 90.

[16] Harold Demsetz, “Why Regulate Utilities?The Journal of Law and Economics 11, no. 1 (April 1968), p. 56.

[17] Insull, “Standardization, Cost System of Rates, and Public Control”, June 7, 1898. Ristampato in Insull, Central-Station Electric Service, p. 45.

[18] Lo sforzo di Insull (e di Theodore Vail) per influenzare l'opinione pubblica verso la regolamentazione implicava “servizi editoriali standard, l'invio di manager a diventare leader di gruppi comunitari, la produzione di articoli scritti da ghostwriter e la modifica dei libri di testo scolastici”. Si veda Marvin N. Olasky, Corporate Public Relations: A New Historical Perspective (Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum Associates, 1987), capitolo 4.

[19] Bradley, Edison to Enron, pp. 86–88.

[20] Robert L. Bradley Jr. “The Origins of Political Electricity”, pp. 65–66.

[21] William E. Mosher et al., Electrical Utilities: The Crisis in Public Control, ed. Mosher (New York: Harper & Bros., 1929), p. 1.

[22] John Bauer and Peter Costello, Public Organization of Electric Power: Conditions, Policies, and Programs (New York: Harper & Brothers, 1949), pp. 37–38.

[23] Si veda Bradley, “The Origins of Political Electricity”, pp. 81–82.

[24] Douglas W. Hawes, Utility Holding Companies: A Modern View of the Business, Financial, SEC, Corporate Law, Tax, and Accounting Aspects of Their Establishment, Operation, Regulation, and Role in Diversification (New York: Clark Boardman Co., 1987), at 2-18.

[25] Bradley, “The Origins of Political Electricity”, pp. 75–76, 77–78, 78–82.

[26] Milton Friedman, Capitalism and Freedom (Chicago, IL: University of Chicago Press, 1962), p. 155.

[27] George J. Stigler, “Monopoly”, in The Fortune Encyclopedia of Economics, ed.David R. Henderson (New York: Warner Books, 1993), p. 409.

[28] Harvey Averch and Leland L. Johnson, “Behavior of the Firm Under Regulatory Constraint”, American Economic Review 52, no. 5 (1962): 1052–69.

[29] Demsetz, “Why Regulate Utilities?”, p. 65.

[30] Demsetz, “Why Regulate Utilities?”, p. 55. Richard A. Posner, Natural Monopoly and Its Regulation (Preface of the 30th Anniversary Edition. Washington, DC: Cato Institute, [1969], 1999), p. vi.

[31] Walter J. Primeaux Jr., Direct Electric Utility Competition: The Natural Monopoly Myth (New York: Praeger, 1986), p. ix.

[32] Murray Rothbard, Man, Economy and State: A Treatise on Economic Principles (Los Angeles, CA: Nash Publishing, 1962), pp. 619–20.

[33] Robert W. Poole Jr.,Unnatural Monopolies: The Case for Deregulating Public Utilities (Lexington, MA: Lexington Books, 1985). Un capitolo era di Primeaux, presentato a Poole da Gordon Tullock, uno dei fondatori della scuola Public Choice.

[34] Negli anni '50 le centrali nucleari richiedevano limiti di responsabilità (il Price Anderson Act del 1957), cinque anni di uranio arricchito gratuito dalla Atomic Energy Commission e un'azione di pressione da parte dei funzionari statali e federali affinché le aziende di servizi pubblici stipulassero contratti nucleari sotto la protezione della regolamentazione dei servizi pubblici (per il trasferimento dei costi e un profitto).

[35] Si veda Paul L. Joskow, “The Difficult Transition to Competitive Electricity Markets in the United States,” in Electricity Deregulation: Choices and Challenges, ed. James M. Griffin and Steven L. Puller (Chicago, IL: University of Chicago Press, 2005), pp. 31–97. Si veda qui per la versione originale del 2003.

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giovedì 7 novembre 2024

Sfatiamo i 10 più grandi equivoci su Bitcoin

 

 

di Nick Giambruno

Bitcoin è stato spesso paragonato all'ornitorinco... il che sembra un paragone strano.

L'ornitorinco è uno strano mammifero dal becco d'anatra con zampe palmate e un corpo peloso come un castoro. Praticamente ha caratteristiche di uccelli, mammiferi e rettili. Le femmine depongono le uova ma allattano anche i loro piccoli; i maschi producono un potente veleno.

Quando gli europei scoprirono l'ornitorinco in Australia nel 1798, scrissero lettere alla gente a casa per descrivere questo bizzarro e nuovo animale: si pensava che fosse uno scherzo o una bufala, perché non rientrava nella classificazione degli animali a quel tempo.

Ma era un animale vero.

La gente non lo capiva perché era una cosa nuova che non rientrava nei paradigmi consolidati.

Bitcoin è più o meno la stessa cosa: non rientra nel quadro delle metriche di analisi finanziaria tradizionali.

Non esiste un rapporto P/E (prezzo-utile) perché Bitcoin non ha utili; non esiste un rapporto P/B (prezzo/valore contabile) perché Bitcoin non ha un valore contabile.

Bitcoin non ha un amministratore delegato, un reparto marketing e nessun dipendente.

Bitcoin è un asset completamente nuovo che le persone stanno adottando come denaro per le sue proprietà monetarie superiori, vale a dire, la sua resistenza all'inflazione.

La sua monetizzazione è davvero diversa da qualsiasi cosa chiunque abbia mai visto prima. Non c'è niente di altrettanto paragonabile.

Come l'ornitorinco, Bitcoin è un animale completamente nuovo; ecco perché confonde molte persone, compresi importanti professionisti nel mondo degli investimenti.

Di seguito, quindi, provvederò a sfatare gli equivoci più diffusi su di esso.


Equivoco n°1: Bitcoin è denaro fiat

Bitcoin è una forma di moneta di libero mercato.

Oltre 114 milioni di persone in tutto il mondo hanno determinato soggettivamente che ha valore per loro. Hanno scelto volontariamente di scambiare altre forme di valore con Bitcoin. Non l'hanno scelto perché le leggi sulla moneta a corso legale o i decreti statali li hanno costretti a farlo, come accade per la moneta fiat.

L'Oxford English Dictionary definisce la moneta fiat come “moneta cartacea inconvertibile resa a corso legale da un decreto statale”.

Bitcoin non è chiaramente moneta fiat.


Equivoco n°2: Bitcoin non ha valore intrinseco

Una delle prime e più importanti cose che l'economia Austriaca insegna è che tutto il valore è soggettivo.

Non esiste un valore intrinseco.

Qualcosa ha valore solo perché gli individui determinano soggettivamente che ce l'ha per loro.

Ad esempio, quando le persone non capivano cosa fosse il petrolio greggio, lo trovavano nei loro cortili e pensavano che fosse uno scarto. Quindi pagavano per farlo rimuovere dalla loro proprietà.

Una volta che hanno capito il potenziale economico del petrolio greggio, si è trasformato da rifiuto indesiderato in merce redditizia.

Il petrolio non è cambiato; è rimasto sempre lo stesso. Ciò che è cambiato è stato il modo in cui le persone lo hanno valutato.

I marxisti dissentono in quanto credono che il lavoro abbia un valore intrinseco, ma questa ridicola nozione è facilmente sfatata.

Il grande economista Murray Rothbard confutò questo punto quando chiedeva di fare e poi vendere torte di fango, non dolci al cioccolato.

Secondo i marxisti le torte hanno un valore oggettivo e intrinseco a causa del lavoro che qualcuno impiega per realizzarle. Buona fortuna nel convincere qualcuno a pagare, volontariamente, per torte fatte con la terra.

Il concetto che tutto il valore è soggettivo si applica a tutti i beni, compresi quelli monetari come l'oro e Bitcoin.


Equivoco n°3: Bitcoin non può essere denaro perché non ha un uso industriale

Il denaro è qualcosa di utile per immagazzinare e scambiare valore. È una tecnologia per inviare valore attraverso il tempo e lo spazio. Tutto qui.

Un'idea sbagliata comune vuole che il denaro debba anche avere un uso industriale per essere un buon denaro.

È come dire che una scarpa deve anche essere utile come martello per essere una buona scarpa.

Molte persone sostengono erroneamente che Bitcoin non può essere una buona forma di denaro perché non ha alcuna utilità industriale o non monetaria.

Tuttavia l'uso industriale non è necessario per rendere qualcosa utile come denaro. Usare qualcosa in tal senso ovvero per immagazzinare e scambiare valore, è sufficiente affinché lo sia.

Il fatto che l'oro abbia un qualche uso industriale non gli conferisce proprietà monetarie superiori. Le persone lo valutano come moneta principalmente perché è la merce fisica più resistente alla svalutazione, non perché viene utilizzata in odontoiatria, elettronica o altri settori.

Al contrario, direi che gli usi industriali ridotti dell'oro non ne migliorano le caratteristiche monetarie. Se lo facessero, perché i metalli con un uso più industriale, come rame o nichel, non sono più desiderabili come moneta?

Quando si tratta di denaro, ci interessa solo la sua capacità di immagazzinare e scambiare valore. Non ci interessa qualcosa il cui valore è ostaggio dei capricci delle condizioni industriali mutevoli.

Ecco perché l'uso industriale non è un beneficio monetario ma, in realtà, un potenziale danno.

L'oro sarebbe una forma di denaro migliore senza la variazione della domanda/offerta derivante dai suoi usi industriali, i quali non sono correlati al suo uso come moneta.


Equivoco n°4: Bitcoin non è denaro perché il supermercato non lo accetta

Il processo di un nuovo asset che diventa una moneta globale non avviene da un giorno all'altro ed è intrinsecamente volatile.

Bitcoin è una forma emergente di denaro che centinaia di milioni, presto miliardi, adotteranno per le sue proprietà monetarie superiori, vale a dire la sua totale resistenza alla svalutazione e l'estrema portabilità.

Ci sono voluti secoli affinché l'oro percorresse il sentiero della monetizzazione.

Bitcoin ha buone probabilità di fare lo stesso in un periodo di tempo molto più breve ed è già sulla buona strada.

Bitcoin è passato dall'avere nessun valore di mercato nel 2009 all'essere utilizzato per acquistare due pizze nel 2010, il primo scambio commerciale, fino a generare oggi decine di miliardi di dollari in volume di transazioni giornaliere in tutto il mondo.

Molte migliaia di commercianti accettano Bitcoin come pagamento e il loro numero sta crescendo rapidamente.

Se fosse una valuta statale, Bitcoin sarebbe la diciottesima valuta più grande per capitalizzazione di mercato, appena prima del dollaro di Singapore. In altre parole, Bitcoin è già più grande della maggior parte delle valute nazionali.

Grandi aziende e stati stanno iniziando a detenere Bitcoin come asset di riserva.

Ecco come appare il processo di un nuovo asset che diventa denaro ed è appena iniziato.

Man mano che gli effetti di rete di Bitcoin crescono, crescerà anche il numero di persone che lo accetteranno (o lo richiederanno) come pagamento.


Equivoco n°5: Bitcoin è troppo lento e le commissioni sono troppo alte

Bitcoin non è solo un nuovo modo per effettuare pagamenti, come un concorrente di PayPal o Venmo, è qualcosa di molto più profondo; è un'alternativa superiore alle banche centrali.

Molti pensano erroneamente che, poiché le transazioni Bitcoin possono richiedere 10 minuti (o più) per essere confermate e hanno commissioni che variano (a seconda delle condizioni di mercato) da $0,05 a $40 per transazione, esso non sia adatto come denaro.

Ecco il modo corretto di pensarla...

Quando usate la carta di credito per comprare un caffè da Starbucks, il denaro non finisce sul conto bancario di Starbucks quando Visa approva la transazione.

Entra in gioco un intermediario che processa il pagamento, aggrega un mucchio di altre transazioni in un certo periodo di tempo e utilizza una banca commerciale, che a sua volta utilizza la Federal Reserve (la banca centrale degli Stati Uniti), per spostare il denaro dal suo conto al conto di Starbucks per la liquidazione finale.

A parte le transazioni fisiche in contanti, non è pratico per Starbucks ottenere immediatamente la liquidazione finale. L'azienda non deve compensare con la Federal Reserve ogni tazza di caffè che vende, invece utilizza questo approccio a strati per facilitare le transazioni quotidiane.

Tutti i sistemi finanziari di successo hanno utilizzato un approccio a strati per la scalabilità, incluso quello basato sul gold standard, l'attuale sistema di valuta fiat e ora Bitcoin.

La caratteristica principale delle transazioni finanziarie di Livello 1 è la finalità. Rappresentano la capacità di eseguire transazioni irreversibili che possono trascendere i confini.

Nell'attuale sistema di valuta fiat, il Livello 1 prevede che la banca centrale compensi le transazioni per la liquidazione finale.

In un gold standard le banche centrali di due nazioni erano solite regolare i saldi tra loro con oro fisico. Una volta che il Paese A consegnava l'oro fisico al Paese B, si verificava la liquidazione finale.

Le transazioni sulla blockchain di Bitcoin sono paragonabili a queste: rappresentano la liquidazione internazionale finale.

Il Livello 1 è tipico per transazioni di alto valore che necessitano di sicurezza e saldo finale. Sono, invece, inappropriate per la maggior parte delle transazioni dei consumatori: non è necessario utilizzare un bonifico internazionale per pagare una tazza di caffè, che invece può avvenire sul Livello 2.

Le transazioni sul Livello 2 non dovrebbero essere confrontate con le transazioni sul Livello 1: sono totalmente diverse.

Il Livello 2 coinvolge sistemi costruiti al di sopra del Livello 1 e offre maggiore praticità.

Usare una carta di credito per pagare una tazza di caffè è un esempio di transazione sul Livello 2: coinvolge una società di carte di credito e chi processa il pagamento abilitando transazioni comode oltre all'autorizzazione della Federal Reserve per la liquidazione finale.

Quindi quali transazioni Bitcoin dovrebbero essere sul Livello 1 e 2?

Queste sono decisioni soggettive che ogni individuo deve prendere.

Il libero mercato per la risorsa scarsa (spazio sulla blockchain di Bitcoin) deciderà il suo uso più efficiente e, quindi, quali transazioni dovrebbero essere sul Livello 1 o 2.

In altre parole, chiunque sia disposto a pagare la commissione di transazione ai miner può far registrare le proprie transazioni sulla blockchain di Bitcoin (Livello 1).

È probabile che le transazioni più grandi, e che richiedono un elevato livello di sicurezza, utilizzeranno la blockchain di Bitcoin.

Le transazioni più piccole utilizzeranno probabilmente soluzionidi Livello 2: più comode, proprio come accade ora e accadeva con il gold standard.

L'idea è di mantenere sicuro il livello di base di Bitcoin e di scalare costruendoci sopra. Non avrebbe senso scalare Bitcoin compromettendo il suo Livello 1. Sarebbe cattiva ingegneria.

Molte soluzioni di Livello 2 per Bitcoin emergeranno inevitabilmente, tuttavia Lightning Network è la più dominante.

Lightning Network è una rete aperta peer-to-peer costruita su Bitcoin.

Su Lightning Network le persone possono eseguire un numero illimitato di transazioni senza doverle aggiungere subito alla blockchain di Bitcoin. Non è necessario delegare la custodia dei fondi a una terza parte: si può sempre mantenerne il controllo.

Lightning Network può eventualmente gestire ogni transazione dei consumatori nel mondo, molti milioni al secondo.

Lightning Network consente anche micro-transazioni istantanee che sono frazioni di un centesimo e che possono essere la base per tutti i tipi di applicazioni, tra cui monetizzazione dei contenuti, marketing aziendale, paywall web e controlli aziendali interni.

A differenza delle transazioni sul Livello 1 e che possono richiedere 10 minuti o più per essere saldate, Lightning Network ha una velocità quasi istantanea e commissioni quasi pari a zero.

In veste di commerciante, per accettare transazioni sul Livello 2 come una carta di credito nell'attuale sistema monetario fiat è necessario ottenere la benedizione di chi processa il pagamento: una banca e la banca centrale.

Lightning Network è una rete aperta e senza autorizzazione con zero rischi di controparte. Chiunque può unirsi a essa e a nessuno può essere impedito di utilizzarla.


Equivoco n°6: non c'è privacy su Bitcoin

Come si ottiene la privacy sulla blockchain pubblica di Bitcoin?

È una buona domanda che confonde molte persone.

La risposta riguarda il nascondersi tra la folla.

Ottenere la privacy su Bitcoin è stato paragonato alla scena del film V per Vendetta in cui migliaia di persone mascherate marciano per strada. Tutti impegnati in un atto pubblico, ma le loro identità sono nascoste perché indossano tutti la stessa maschera, il che consente loro di nascondersi tra la folla.

La privacy su Bitcoin funziona in modo simile.

Diversi strumenti per la privacy sono disponibili per chiunque in questo momento e migliorano ogni giorno.

Ad esempio, potete trovare una tipica transazione JoinMarket, una transazione speciale ottimizzata per la privacy, a questo link.

Riuscite a dire chi è il mittente e chi il destinatario?


Equivoco n°7: i miner controllano Bitcoin

A dire il vero, non sono un fan del termine “mining” perché è confusionario riguardo al processo che vuole descrivere.

Il processo di mining di Bitcoin è meglio concepito come una competizione con ricompense finite, come vincere una medaglia d'oro alle Olimpiadi.

Circa ogni 10 minuti i miner inviano un nuovo blocco, o set di transazioni, alla rete Bitcoin, aggiungendolo al database esistente (blockchain) ma solo se il blocco segue il protocollo.

La rete Bitcoin verifica la validità del blocco ed eventualmente il miner guadagnerà nuovi bitcoin, oltre alle commissioni di transazione associate, come ricompensa.

Tuttavia prima che un miner possa inviare un nuovo blocco alla rete, e quindi guadagnare le ricompense, deve competere per risolvere problemi matematici difficili da risolvere ma facili da verificare. Il primo miner che risolve il problema matematico ha la possibilità di proporre un nuovo blocco alla rete e quindi guadagnare le ricompense. Il processo, poi, ricomincia da capo.

I miner devono sostenere costi reali, hardware costoso per computer e grandi quantità di elettricità, per risolvere questi problemi matematici e avere la possibilità di inviare un nuovo blocco alla rete per guadagnare le ricompense.

Se il blocco che inviano non segue il protocollo Bitcoin, o è altrimenti non valido, la rete lo rifiuterà immediatamente. Se ciò accade, il miner non guadagnerà alcuna ricompensa nonostante abbia sostenuto costi enormi per inviare il blocco in primo luogo.

La genialità del modello di sicurezza asimmetrica di Bitcoin è che è difficile e costoso per i miner inviare un nuovo blocco, ma è facile, economico e veloce per la rete verificare se è legittimo.

È ciò che mantiene una rete monetaria globale del valore di centinaia di miliardi, presto migliaia di miliardi, in funzione senza problemi e senza che nessuno se ne occupi.

Se un miner provasse ad allontanarsi dal protocollo Bitcoin o a includere transazioni non valide nel blocco, la rete lo rileverebbe facilmente e lo rifiuterebbe immediatamente.

Non sarebbe solo uno sforzo infruttuoso per il miner, ma imporrebbe dei costi effettivi. In altre parole, ci vogliono molti sforzi e costa molto proporre un nuovo blocco alla rete Bitcoin, e se il miner non segue il protocollo sprecherà tutto.

Saifedean Ammous lo ha detto meglio di chiunque altro: “I miner sono schiavi di Bitcoin, non padroni”.

Saifedean intende che i miner devono soddisfare la rete Bitcoin, non il contrario.

I miner devono seguire il protocollo Bitcoin ed essere onesti. Se non lo fanno, non faranno altro che sprecare soldi e alla fine dovranno affrontare la bancarotta.


Equivoco n°8: il Deep State ha creato Bitcoin per inaugurare le CBDC

Sebbene la vera identità del creatore di Bitcoin, che ha utilizzato lo pseudonimo Satoshi Nakamoto, sia incerta, sappiamo che proveniva dal movimento cypherpunk e che Bitcoin è stato il culmine dei loro sforzi per molti anni.

I cypherpunk sono un gruppo di attivisti che sostengono tecnologie di crittografia e privacy come via per il cambiamento sociale e politico.

Mirano a dare potere all'individuo e a toglierlo allo stato, non impegnandosi nel processo politico o chiedendo il permesso, ma scrivendo codice e rilasciando software inarrestabili.

I cypherpunk sono i buoni.

Sono dietro non solo a Bitcoin, ma anche ad altre tecnologie e organizzazioni orientate alla libertà che hanno causato grande costernazione al governo degli Stati Uniti, come WikiLeaks, BitTorrent, Tor, Pretty Good Privacy (PGP), l'Electronic Frontier Foundation e altri.

Di conseguenza i cypherpunk avevano spesso un rapporto ostile con il governo degli Stati Uniti.

Sono quindi scettico sull'affermazione che un cypherpunk lavorasse segretamente per il governo degli Stati Uniti. L'onere della prova ricade sulla persona che avanza l'accusa (infondata) secondo cui il Deep State abbia in qualche modo dato vita a Bitcoin. A meno che non emergano prove convincenti, non sono propenso a crederci.

Inoltre Bitcoin è un software open source, il che significa che il suo codice è disponibile per chiunque voglia scaricarlo, ispezionarlo, suggerire modifiche ed eseguirlo.

Bitcoin è stato rilasciato nel 2009 e chiunque ha avuto molti anni per ispezionarne il codice open source, ma nessuno ha mai trovato nulla di sinistro. Se pensate che ci sia qualcosa di sinistro nel codice Bitcoin, niente vi impedisce di dimostrarlo.

Ancora una volta, l'onere della prova ricade sulle persone che avanzano queste affermazioni e, finora, non ne hanno fornita alcuna, quindi non le trovo credibili.

Per quanto riguarda le valute digitali delle banche centrali (CBDC), è fondamentale capire che esse sono una reazione a Bitcoin.

Le banche centrali hanno notato il potenziale dirompente di Bitcoin e hanno capito che era meglio fare qualcosa. Le CBDC sono la loro risposta e, come vedrete, è patetica.

In breve, nonostante tutto il clamore, le CBDC non sono altro che un rebranding della truffa della valuta fiat. È vino vecchio in bottiglie nuove.

Le CBDC e Bitcoin condividono alcune caratteristiche, ad esempio, sono entrambe digitali e facilitano i pagamenti rapidi da un telefono cellulare, ma è qui che finiscono le somiglianze.

La realtà è che le CBDC e Bitcoin sono completamente diverse nelle caratteristiche chiave.

Avete bisogno del permesso e della benedizione dello stato per usare una CBDC, mentre Bitcoin non ha permessi.

Gli stati possono (e lo faranno) creare tutte le unità che vogliono. Con Bitcoin non potranno mai essere più di 21 milioni e non c'è nulla che qualcuno possa fare per svalutarlo.

Le CBDC sono centralizzate; Bitcoin è decentralizzato.

Gli stati possono censurare le transazioni e congelare, sanzionare e confiscare le unità CBDC quando vogliono; Bitcoin è resistente alla censura, nessuna sanzione o legge di un Paese può influenzarne il protocollo.

Non c'è privacy con le CBDC; con Bitcoin, se si adottano misure specifiche, è possibile mantenere una ragionevole privacy.

Le CBDC sono denaro statale facile da produrre e danno ai politici una quantità terrificante di controllo sulla vita delle persone; Bitcoin è denaro non statale che aiuta a liberare gli individui da suddetto controllo.

In breve, le CBDC sono un patetico tentativo di competere con Bitcoin. Sono un disperato tentativo disperato per mantenere in vita la truffa della moneta fiat.


Equivoco n°9: lo stato lo vieterà

È certamente possibile che il presidente degli Stati Uniti possa emettere un ordine esecutivo che vieti Bitcoin.

Ricordate, l'Ordine esecutivo 6102 mise al bando la proprietà dell'oro per i cittadini americani dal 1933 fino alla sua abrogazione nel 1974.

Tuttavia tale risultato è improbabile per tre motivi.

Motivo 1: il codice informatico è linguaggio protetto

Bitcoin è codice informatico.

Nel caso Bernstein contro il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, le corti federali hanno stabilito che il codice informatico è equivalente alla libertà di parola protetta dal primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.

D'altra parte la Costituzione non è un protettore affidabile dei diritti, come hanno dimostrato l'isteria del Covid, la guerra al terrorismo e la guerra alla droga, quindi non farei affidamento esclusivamente su di essa per proteggere Bitcoin.

Tuttavia i precedenti che stabiliscono il codice informatico come equivalente alla libertà di parola complicano qualsiasi tentativo di vietarlo.

Motivo 2: esiste già chiarezza normativa

Il governo degli Stati Uniti ha definito Bitcoin come una merce e una proprietà.

L'IRS, la SEC, la CFTC e altre agenzie federali hanno dato a Bitcoin quadri normativi e fiscali chiari.

Ciò ha aiutato molte grandi aziende statunitensi a entrare in Bitcoin, tra cui molti grandi istituti finanziari. Invertire queste linee guida genererebbe una forte resistenza e sarebbe arduo.

Motivo 3: vietare Bitcoin è impraticabile

I divieti statali possono limitare qualcosa, ma non possono farlo sparire approvando una legge.

Pensate ai governi in Argentina, Venezuela e numerosi altri Paesi che hanno leggi che limitano l'accesso dei loro cittadini ai dollari.

Queste leggi hanno scarso effetto sul desiderio e sulla capacità dei loro cittadini di utilizzarli; creano, invece, un fiorente mercato nero o, più precisamente, un libero mercato.

Allo stesso modo pensate a quanto successo hanno avuto gli stati nel proibire la cannabis nel corso dei decenni. Nonostante i loro sforzi essa è sempre stata disponibile nella maggior parte delle grandi città.

Cercare di imporre un divieto su qualcosa di digitale e senza confini come Bitcoin è del tutto impraticabile. Sarebbe molto più difficile per gli stati vietare Bitcoin rispetto ai dollari o a una pianta.

Inoltre molti wallet Bitcoin usano seed word di 12 parole per recuperare i fondi e se riuscite a memorizzarle, potete potenzialmente immagazzinare miliardi di dollari di valore solo nella vostra testa.

Provate a vietarlo: è come cercare di vietare la matematica.

Anche se fosse pratico farlo, è già troppo tardi: c'è una massa critica di sostenitori di Bitcoin tra grandi aziende, politici e persone normali.

Schiereranno tutti i loro avvocati, lobbisti e contatti politici per sostenere Bitcoin. È un sacco di potenza di fuoco e i loro numeri non fanno che crescere.

Secondo un sondaggio di NYDIG, 46 milioni di americani possiedono Bitcoin. Si tratta di circa il 22% di tutti gli adulti negli Stati Uniti.

Sostenere un divieto di Bitcoin significa andare contro decine di milioni di americani, non pochi dei quali sono ricchi, potenti e con agganci importanti.

In breve, mettere fuori legge Bitcoin non aiuterà nessuno a vincere le elezioni.

Bitcoin ha già raggiunto la velocità di fuga. In altre parole, è troppo popolare politicamente per essere messo fuori legge e ogni giorno diventa più forte man mano che aumenta l'adozione.

Inoltre se il governo degli Stati Uniti fosse abbastanza sciocco da vietare Bitcoin nonostante tutto questo, darebbe a Russia, Cina e altri rivali un'opportunità d'oro per essere in prima linea in una nuova industria redditizia.

Vietare Bitcoin sarebbe un errore finanziario e geopolitico di primissimo ordine.

Anche se vietarlo sarebbe politicamente impopolare e incostituzionale, potrebbe comunque prendere in considerazione la mossa se potesse farlo in modo efficace e senza dare un vantaggio ai suoi rivali.

Ma non può, quindi non lo farà.

Penso che il governo degli Stati Uniti dovrà adattarsi a questa realtà e lo ha già fatto dando a Bitcoin un chiaro quadro normativo per aziende e investitori.


Equivoco n°10: BlackRock cambierà Bitcoin o manipolerà il prezzo

Voglio essere chiaro: non sono un fan di Fink, BlackRock e dei loro nefandi programmi.

Francamente mi piacerebbe vedere BlackRock andare in bancarotta e Fink pulire i bagni per guadagnarsi da vivere.

Tuttavia è importante ricordare che Bitcoin è una rete monetaria apolitica, aperta e senza permessi, accessibile a chiunque e non controllata da nessuno. A nessuno può essere impedito di usare Bitcoin.

Bitcoin è per tutti, comprese le persone che non vi piacciono.

Alcuni temono che BlackRock possa cambiare Bitcoin, ma è infondato.

Ricordate, nessuno può cambiare il protocollo di Bitcoin, nemmeno Elon Musk, Jeff Bezos, il governo cinese, il governo degli Stati Uniti o una qualsiasi di queste potenti entità messe insieme.

Anche se Satoshi Nakamoto tornasse dopo essere scomparso nel 2011, non potrebbe alterare Bitcoin.

Le Blocksize War, che sono culminate nel 2017, ne sono la prova.

Fu allora che la stragrande maggioranza dei miner (principalmente con sede in Cina) e altri importanti insider e grandi aziende tentarono di unirsi e cambiare il protocollo di Bitcoin per aumentare la dimensione dei blocchi.

Sebbene rappresentassero la maggior parte dei miner, alcuni degli insider più potenti, importanti influencer e grandi aziende, il loro tentativo non portò a niente.

Invece di forzare un cambiamento in Bitcoin, come desideravano, crearono semplicemente un fork noto come Bitcoin Cash.

Non mi preoccuperei troppo del fatto che BlackRock cercasse di creare un “Bitcoin nuovo” o di cambiarlo in altro modo, anche se fossero abbastanza sciocchi da farlo, l'evento risulterebbe in un semplice fork.

Un'altra preoccupazione è che BlackRock possa manipolare il prezzo di Bitcoin creando più rivendicazioni su di esso di quelle che esistono realmente.

Prendere la consegna fisica dell'asset sottostante sarebbe un modo per rivelare la frode e con Bitcoin è semplice come inviare un'e-mail.

Se qualcuno è abbastanza idiota da creare più rivendicazioni su Bitcoin di quanti ne esistano realmente, rivelare la frode sarà molto più facile che con altri asset.

Se BlackRock o qualche altra entità tenterà questa strada, consideratelo un regalo.

Sarete in grado di accumulare più Bitcoin a prezzi artificialmente più bassi finché il loro schema Ponzi non esploderà, proprio come è successo con FTX.


Conclusione

Bitcoin rappresenta un miglioramento rivoluzionario nel denaro.

Quando mettete insieme tutto, avete una forma di denaro inarrestabile e superiore che conquista il mondo. Non è difficile capire come andranno le cose.

Eppure molte persone non capiscono ancora Bitcoin o le sue implicazioni.

Bitcoin può dare sovranità monetaria all'individuo, consente a chiunque nel mondo di possedere e utilizzare denaro incorruttibile e a prova di svalutazione senza bisogno di terze parti.

In breve, Bitcoin elimina le banche centrali e le loro valute fiat inflazionistiche. Non è un risultato da poco: è l'innovazione più importante nel denaro in centinaia di anni e altera profondamente lo status quo.

Le implicazioni di Bitcoin potrebbero infrangere i paradigmi esistenti ed essere dirompenti come l'invenzione della polvere da sparo, della stampa e di Internet.

Ecco perché ho pochi dubbi che Bitcoin continuerà a essere una delle più grandi tendenze finanziarie del decennio.

Pensateci.

Avete la possibilità di anticipare i principali investitori, le grandi multinazionali e persino i governi entrando in questa tendenza prima di loro.

È un'enorme opportunità irripetibile e la più grande storia d'investimento che abbiate mai visto.

Eppure la stragrande maggioranza dell'umanità non possiede o non comprende Bitcoin. Molte persone credono in uno o più dei preconcetti di cui sopra.

Questo divario di percezione è una benedizione, poiché ci consente di capitalizzare questa asimmetria informativa con investimenti che sfruttano questa potente tendenza.

Scommetto che non passerà molto tempo prima che il resto del mondo capisca il potenziale di Bitcoin e agisca in base a tale conoscenza. E quando lo faranno, l'opportunità di realizzare profitti probabilmente sarà persa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 6 novembre 2024

Perché la democrazia ha una tale resistenza

 

 

di Finn Andreen

Come è stato sottolineato in precedenza, la “regola della maggioranza”, in senso politico, non esiste nel modo in cui viene presentata dalle istituzioni dominanti nelle cosiddette “democrazie” occidentali. L'avversione della popolazione occidentale alle critiche alla “democrazia” è a dir poco sconcertante.

La resistenza della democrazia rappresentativa in Occidente può essere spiegata come segue: la democrazia è acriticamente vista come un sistema politico progressista e illuminato che ha sostituito le monarchie, solitamente descritte come retrograde e repressive; nonostante le criticità del “governo della maggioranza”, la democrazia svolge un ruolo di canalizzazione del dissenso dell'opinione pubblica in una società politicizzata. Questi due punti verranno spiegati di seguito.


La democrazia come presunto miglioramento rispetto alla monarchia

La narrativa dominante è quella che vede la democrazia come un miglioramento morale rispetto alla monarchia. I governi odierni ricevono la loro legittimità dalla “volontà del popolo” e non più dal diritto divino dei re. Tuttavia questa è una visione in gran parte caricaturale e controfattuale, non da ultimo perché le elezioni e le pratiche di voto non sono specifiche delle “democrazie liberali”; alcune erano in uso molto prima che venisse introdotta la rappresentanza politica.

La tanto decantata “volontà del popolo” è l’ultima “formula politica”, per usare l’espressione dello storico italiano Gaetano Mosca, che consente alla “minoranza organizzata” di giustificare il suo dominio su una “maggioranza disorganizzata e disinteressata” nell’era dei diritti individuali. Da questo punto di vista non c’è alcuna differenza tra democrazia e monarchia.

Come riassunse James Burnham in The Machiavellians (1943):

L'esistenza di una classe dirigente minoritaria è, bisogna sottolinearlo, una caratteristica universale di tutte le società organizzate di cui abbiamo traccia. Essa vale indipendentemente dalle forme sociali e politiche, che la società sia feudale o capitalista o schiavista o collettivista, monarchica o oligarchica o democratica, indipendentemente dalle costituzioni e dalle leggi, indipendentemente dalle professioni e dalle credenze.

Sebbene oggi sia comune parlare bene della democrazia rispetto alla monarchia, ciò diventa problematico quando il metro di paragone è la libertà. La libertà economica e politica non sono una conseguenza ovvia del diritto di voto, come dovrebbe essere chiaro oggi in Occidente. La libertà è correlata alla protezione della proprietà privata e dovrebbe essere vista come inversamente correlata alle dimensioni e al potere dello stato.

Nonostante i difetti della monarchia, specialmente nella sua tarda espressione assolutista, come sistema politico che collega il potere alla proprietà privata della terra essa aveva una naturale inclinazione a proteggere i diritti di proprietà. Con il tempo, in particolare nell'era democratica, il demanio pubblico è cresciuto a spese della proprietà privata. Non a caso la crescita dello stato regolatore moderno, finanziato da un'esplosione di stampa di denaro e tassazione, è iniziata quando le società sono diventate democratiche.

Nelle democrazie moderne le differenze tra i partiti politici sono diminuite sulla scia della forza centripeta del centro politico. L'elettorato spesso vota per programmi che conosce a malapena e che, in seguito, difficilmente vengono implementati. La frode elettorale è diffusa. Troppo spesso le promesse elettorali hanno poco a che fare con la politica effettiva. Rousseau potrebbe non aver esagerato quando scrisse, in The Social Contract (1762) sul parlamentarismo britannico, che tra un'elezione e l'altra “l'individuo è uno schiavo, non è niente”.

Questa realtà sta iniziando a far capolino sempre di più in Occidente, come si può notare dalle crescenti tensioni politiche, ma l'illusione rimane così forte, non da ultimo tra le persone istruite, che la maggior parte sembra, come nella favola “I vestiti nuovi dell'imperatore”, complice volontaria di questo inganno.


La democrazia come valvola di sfogo per l’opinione pubblica

L'importanza dell'opinione pubblica per il potere politico fu riconosciuta da Tommaso d'Aquino nel XIII secolo e poi espressa da Etienne de la Boétie nel suo Discorso sulla servitù volontaria (1549). David Hume scrisse (1777) che “È [...] solo sull'opinione che si fonda lo stato e questa massima si estende ai governi più dispotici e più militari, così come a quelli più liberi e popolari”.

Le democrazie tengono quindi conto dell'opinione pubblica, ma non tanto per la loro natura “democratica” quanto perché sono obbligate a farlo. Ma poiché i governanti traggono la loro legittimità dalla “volontà del popolo”, la gestione dell'opinione pubblica è decisamente più importante nei sistemi politici “rappresentativi” che nei regimi autoritari, come ha osservato anche Noam Chomsky. Di conseguenza gli stati democratici saranno tentati di usare propaganda, disinformazione e censura al fine di ottenere, o mantenere, il consenso del popolo, come riconobbe con lungimiranza Aldous Huxley.

Un quarto potere forte e indipendente è ovviamente cruciale. Come scrisse il teorico del diritto tedesco, Carl Schmitt, “discussione” e “apertura” sono prerequisiti affinché una democrazia rappresentativa non scivoli nell’autoritarismo.

Alla discussione appartengono le convinzioni condivise, la volontà di essere persuasi, l'indipendenza dai legami di partito, la libertà da interessi egoistici. La maggior parte delle persone oggi considererebbe un tale disinteresse come implausibile, ma anche questo scetticismo appartiene alla crisi del parlamentarismo.

Infatti una democrazia che soddisfi questi prerequisiti, ovvero che consenta tali condizioni di trasparenza nella società, è “implausibile” perché tende inevitabilmente a diventare vittima del suo stesso successo. La minoranza al potere, pressata dall'inevitabile controllo politico e dalla sana critica consentita dalle condizioni sopraccitate, cerca di indebolire proprio “discussione” e “apertura” che inizialmente hanno contribuito a legittimarne il governo. I tentativi di restrizioni e controllo dei contenuti sui social media sono esempi per eccellenza di una tale deriva.

A differenza dei regimi autoritari, il processo democratico può consentire alla maggioranza di sanzionare o premiare pubblicamente diverse forze politiche all'interno della minoranza dominante, agendo come un canale per l'opinione pubblica. Come spiegò Mosca: “La funzione elettorale è un mezzo con cui alcune forze politiche controllano e limitano l'azione di altre, quando viene esercitata in buone condizioni sociali”. Queste “buone condizioni sociali” includono i criteri di Carl Schmitt di cui sopra.

Anche Ludwig von Mises riconobbe la “funzione sociale” della democrazia, “quella forma di costituzione politica che rende possibile l’adattamento del governo ai desideri dei governati senza lotte violente”. In particolare, nell’Occidente politicizzato, con i suoi stati altamente interventisti, il processo democratico può, quando le condizioni lo consentono, fungere da valvola di sfogo per l’insoddisfazione politica repressa della maggioranza.

Quando le condizioni sociali sono sfavorevoli affinché questo processo abbia un effetto significativo, allora la democrazia come sistema politico inizia a essere messa in discussione e ne consegue una crisi politica. Questo è ciò che sta accadendo oggi in Occidente, poiché le elezioni difficilmente portano cambiamenti politici e l'oligarchia globalista occidentale cerca di rafforzare il suo controllo sull'agenda politica internazionale.

Nonostante le debolezze della democrazia, essa ha comunque una notevole capacità di resistenza in Occidente per le ragioni di cui sopra. Poiché questa capacità di resistenza si sta progressivamente erodendo, è essenziale ricordare al pubblico i principi e i benefici della libertà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 5 novembre 2024

L'oro è tornato e anche Judy Shelton

 

 

di Joe Vidueira

L'oro è in ascesa e anche la tipica nostalgia per il gold standard che è esplosa ogni volta che l'inflazione dei prezzi, le crisi bancarie e/o le preoccupazioni sul debito si sono regolarmente ripresentate dopo la caduta di Bretton Woods. L'ascesa del metallo giallo, come al solito, sta segnalando che non tutto va bene.

All'inizio di quest'anno il metallo giallo è salito oltre i $2500 l'oncia, raggiungendo i massimi storici e diventando uno degli asset con le migliori performance del 2024, dopo un aumento del prezzo del 13% nel 2023, risultato di persistenti incertezze economiche e geopolitiche. Ancora più interessante è il fatto che il World Gold Council riferisca che le banche centrali sono state gli acquirenti più aggressivi, acquistando 1.037 tonnellate di oro solo nel 2023, il secondo acquisto annuale più alto della storia, dopo il record di 1.082 tonnellate nel 2022. Infatti un sondaggio del Gold Council ha rivelato che il 29% delle banche centrali intervistate ha pianificato di aumentare le proprie riserve auree nel prossimo anno, la percentuale più alta da quando il World Gold Council ha iniziato questo sondaggio nel 2018.

Un articolo recente sul The Times (di Londra) riassume il momento:

L'oro non può più essere ignorato. La prospettiva di tassi d'interesse statunitensi in discesa, un calo del dollaro e preoccupazioni sulla sostenibilità del debito americano dovrebbero portare più denaro istituzionale e al dettaglio ad affluire nell'oro [...]. Si dice persino che la nuova valuta a lungo discussa creata dai BRICS sarà coperta da una serie di asset, tra cui l'oro. A un secolo dalla fine del Gold Standard [classico], crollato negli anni tra le due guerre in mezzo a una crisi della cooperazione delle banche centrali su come gestirlo, l'oro sta silenziosamente diventando un punto di riferimento importante nel nostro sistema finanziario piuttosto che una reliquia obsoleta del XX secolo.

Tutto ciò ha scatenato discussioni su una moneta sana, criptovalute e persino della fattibilità di un nuovo gold standard, come attesta l'ultimo libro dell'ex-consigliere economico dell'amministrazione Trump e sostenitrice di lunga data di una moneta sana/onesta, Judy Shelton: Good as Gold: How to Unleash the Power of Sound Money, attualmente un best-seller su Amazon.

Shelton, di ritorno da un recente incontro a Nuova Delhi alla Mont Pelerin Society, la conferenza sull'economia di libero mercato fondata da Friedrich Hayek e Milton Friedman, rimane sorprendentemente ottimista sulle prospettive monetarie del metallo giallo, nonostante la miriade di battute d'arresto degli ultimi cinquant'anni.

“Ce l'abbiamo l'oro”, dice, riferendosi alle riserve dichiarate dal governo degli Stati Uniti pari a 261,5 milioni di once, più di qualsiasi altra nazione. “Perché non utilizzarlo?”

Shelton, sostenitrice di una moneta sana/onesta, ritiene che il momento attuale è particolarmente propizio, soprattutto a livello internazionale. Il fatto che l'acquisto di oro da parte delle banche centrali abbia raggiunto quasi la frenesia “testimonia buone prospettive per la seria considerazione di una nuova proposta”.

E ne ha una, ovviamente: un piano ben articolato per riaffermare la convertibilità dell'oro per la prima volta dai tempi del Gold Standard Classico (1815-1914) e tutto inizia con la proprietà di obbligazioni del Tesoro USA legate all'oro. Per la Shelton il diritto alla convertibilità dollaro-oro, il suo obiettivo finale per l'intero sistema monetario statunitense, è essenziale: non significherebbe solo rettitudine fiscale e monetaria “fornirebbe la regola semplice e definitiva per regolare l'offerta di denaro in conformità con i diritti individuali e i principi del libero mercato”, uno degli argomenti chiave del libro.

La sua proposta prevede una nuova emissione di titoli del Tesoro a cedola zero, denominati Treasury Trust Bonds, che offrono tassi d'interesse più bassi rispetto ai titoli del Tesoro tradizionali (riducendo così i deficit correnti), ma con la caratteristica distintiva che possono essere rimborsati alla scadenza in dollari o a un equivalente prestabilito in oro, a discrezione dell'acquirente.

In altre parole, se la politica monetaria dovesse continuare sulla sua attuale traiettoria fuori dai binari e il potere d'acquisto del dollaro dovesse diminuire in modo significativo, ciò potrebbe comportare una perdita significativa di oro del governo statunitense. In caso contrario, e se gli Stati Uniti raddrizzassero le proprie finanze, la maggior parte delle obbligazioni verrebbe rimborsata in dollari. In sostanza offrirebbero una disposizione “fidati ma verifica”, come la chiama Shelton, puntando le riserve auree della nazione su una nuova rotta e dimostrare rettitudine fiscale e monetaria. “Tutto ciò che i funzionari pubblici dovrebbero fare per rendere l'emissione un successo è superare le aspettative”, perché se lo facessero le obbligazioni aprirebbero la strada “a uno strumento finanziario denominato in dollari che è, letteralmente, tanto buono quanto l'oro”.

Riconoscendo che la sua proposta appare modesta in confronto alla “proposta impressionante di gold standard” uscita dalla Commissione statunitense sull’oro durante gli anni di Reagan, la Shelton sostiene che stabilendo con successo questo tipo di “testa di ponte per una moneta sana/onesta” e “baluardo per l’integrità fiscale e monetaria”, ne seguirebbe una sostanziale riforma monetaria qui e all’estero, forse persino dando luogo a un nuovo sistema monetario internazionale basato sull’oro.

In tal caso il potere della Federal Reserve dovrebbe essere sostanzialmente ridotto, ovviamente. Descrivendo le sue opinioni economiche come “più vicine a quelle della Scuola Austriaca rispetto ad altre”, nonostante la sua lunga associazione con sostenitori e teorie supply-side, la Shelton concorda con gli Austriaci sul fatto che il difetto fatale di Bretton Woods (1945-1971), così come di una miriade di altre proposte basate simili, è che si basano sulle “inclinazioni discrezionali delle autorità tecnocratiche”. Infatti riconosce che il gold standard classico della fine del diciannovesimo secolo era “molto meglio” del gold exchange standard annacquato di Bretton Woods (in cui agli individui veniva negata la convertibilità diretta) dato che “dava agli individui, non allo Stato, il potere di controllare l'offerta di denaro”.

Inoltre il nuovo libro chiarisce che

  1. la pianificazione centrale non ha mai funzionato e mai funzionerà, né nella vecchia Unione Sovietica né nella moderna politica delle banche centrali;
  2. la “soppressione dei risultati di libero mercato da parte della Federal Reserve potrebbe un giorno generare lo stesso tipo di cinismo che ha causato il crollo dell'approccio sovietico”.

La conclusione per la Shelton è che “il livello più alto di performance a cui una banca centrale potrebbe aspirare sarebbe quello di eguagliare le interazioni economiche e i risultati che probabilmente si verificherebbero con un gold standard”, una tesi che il suo libro sostiene esaminando i risultati dei precedenti sistemi monetari. In alternativa, alludendo al libro più noto di Hayek, “sostituire la perspicacia delle autorità monetarie all'acume condiviso di centinaia di milioni di persone che eseguono transazioni volontarie per facilitare le loro esigenze quotidiane e i loro sogni futuri significa percorrere la strada verso la schiavitù”.

In breve, mentre il nuovo piano della Shelton potrebbe rappresentare l'ennesima riforma monetaria tutt'altro che ideale, segnerebbe certamente un passo positivo nella direzione inequivocabile di una moneta sana/onesta. Forse genererà persino un entusiasmo popolare per la vera libertà monetaria, il motivo per cui spera che i bond sopraccitati vengano inaugurati nel 2026, il 250° anniversario della Dichiarazione di Indipendenza.

Infatti il nuovo libro presenta una difesa così solida e articolata del capitalismo di libero mercato nel contesto della storia americana e dei suoi principi fondanti, che fa chiedere se le prospettive per una linea di politica sana/onesta siano migliori oggi perché a Judy Shelton è stato impedito di entrare nella Federal Reserve nel 2020.

Con il nuovo libro, la Shelton ha raddoppiato tutto ciò che l'ha fatta etichettare come membro della “destra eccentrica ed estremista” e “gold bug” da parte di scrittori e analisti mainstream. E il suo piano Treasury Trust Bond, e una visione più ampia per una moneta sana/onesta, avrà avuto successo, dice, se condurrà la nazione verso un futuro in cui “il pagamento in dollari è considerato letteralmente tanto buono quanto l'oro”.

“Questo”, dice, “sarebbe un evento di portata storica”. Lo sarebbe sicuramente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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