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venerdì 11 luglio 2025

La radice di tutte le tensioni in Medio Oriente: gli inglesi

 


di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-radice-di-tutte-le-tensioni-in)

Mettiamo un po' di cose in prospettiva per non perdere la bussola. L'amministrazione Trump sta cercando di rimuovere incrostazioni burocratiche negli Stati Uniti che vanno indietro di centinaia di anni. Più del Congresso, il suo compito è quello di convincere l'elettorato (come sta facendo Alberta in Canada affinché non vengano etichettati “separatisti”, o peggio dalla stampa). Portarlo dalla sua, che abbia fiducia è cruciale affinché non si debba improvvisare. La maggior parte delle affermazioni fatte sulla stampa sono fuorvianti, perché fino a ora i nemici lungo la strada non hanno fatto che moltiplicarsi... tutti quelli che nel precedente sistema dell'eurodollaro avevano privilegi. La stampa è uno di questi nemici e Trump piuttosto che dire apertamente le sue reali intenzioni deve sparare tutta una serie di bizzarrie prima di arrivare davvero al punto. Questo, a sua volta, significa dover accettare un certo livello di ambiguità e incertezza in questo momento storico di transizione. Transizione degli Stati Uniti da cosa? Dal sistema di “libero scambio” inglese al sistema americano di politica economica. La ricostruzione della credibilità passa anche da qui.

E questo ci porta altresì al motivo per cui ci sono tanti venti contrari contro la Big Beautiful Bill e perché ci sono tante menzogne a riguardo. Nell'alveo della Reconciliation Bill solo le spese non discrezionali possono essere toccate. Si può discutere del lato entrate e tasse, ma i tagli del DOGE alla spesa non possono essere approvati subito perché gran parte di essi riguardano la spesa discrezionale e vengono approvati nella Rescission Bill. La legge, quindi, è stata tenuta ostaggio dal Senato dai “soliti noti” affinché gli aiuti all'Ucraina, e quindi i dollari all'estero, continuassero a scorrere. Rand Paul e Massie, opponendosi, dato che non hanno mai affrontato una Reconciliation Bill, hanno fatto il gioco di neocon come Murkowski, Collins, Graham, ecc. (senza contare che molti senatori affrontano le elezioni l'anno prossimo, quindi è “comprensibile” un'opposizione da falchi sul lato fiscale dell'equazione). La cricca di Davos, quindi, non sta facendo altro che mettere pressione sui suoi infiltrati al Congresso affinché rallentino questo processo e si possa vendere la narrativa “l'amministrazione Trump non sta facendo niente” oppure “la legge aumenta il deficit”. Davvero? Ci siamo scordati della USAID? Senza contare che le proiezioni del CBO considerano erroneamente i tagli delle tasse come un aumento automatico delle spese.

Non solo, ma il momento era diventato più impellente perché a fine giugno terminavano gli ultimi aiuti all'Ucraina approvati dall'amministrazione Biden. Non solo, ma questa settimana scattano i dazi contro l'UE. Una crisi, quindi, di qualunque natura è necessaria per spostare questi eventi ancora più avanti nel tempo e farli coincidere inoltre con il rollover del debito ($7.000 miliardi) previsto per questa estate. Occasione che non mancherà di essere sfruttata dalla stampa e dagli utili idioti al seguito per far passare l'idea, erronea, che nessuno voglia i titoli di stato americani (ignorando comodamente il gioco portato avanti dalla cricca di Davos di vendere il back-end della curva dei rendimenti e comprare il front-end in modo da dare l'idea di un'inversione della stessa).

Infatti il front-end della curva dei rendimenti americana continua a mostrare un'inversione sempre più pronunciata, questo significa che i possessori esteri stanno vendendo per tenere liquidi i loro mercati e saldare i debiti denominati in dollari. Secondo gli ultimi dati TIC il Canada è stato il venditore più accanito di recente, questo soprattutto grazie al carry trade che è stato impostato da Carney tra la curva dei rendimenti canadese e quella americana tramite l'emissione a marzo di una tranche di bond denominati in dollari americani. Ecco perché Powell, tra l'altro, s'è ostinato a tenere alti i tassi e a tenere il DXY in una banda di prezzo definita facendo in modo che non cadesse al di sotto dei 90 punti: ha semplificato la vita agli esportatori, ha continuato a contrarre l'offerta di dollari ombra e, al contempo, ha reso la vita difficile a chi voleva ancora sfruttare il mercato dell'eurodollaro.

Tra gli altri venditori importanti è risultato Hong Kong che di recente ha visto una severa svalutazione del dollaro honkonghense rispetto a quello americano perdendo il “peg”. Due delle valute più importanti al mondo per il loro “peg” col dollaro americano sono il dollaro di Hong Kong e il riyal saudita. Quest'ultimo non sta mostrando nessun segno di stress, invece. Anche Singapore s'è mostrato un venditore di titoli di stato ad aprile e questo mi fa pensare che c'è canalizzazione di biglietti verdi, da queste “succursali”, laddove servono di più: a Londra. Se mettiamo le due cose insieme, ovvero fame di dollari a livello internazionale e i guai emergenti a Hong Kong, la scena potrebbe essere pronta per una nuova crisi sovrana con epicentro la città cinese e riverberarsi subito a Londra e Bruxelles. Per quanto anche gli USA possano essere travolti da una crisi del genere, la loro condizione economica è nettamente superiore rispetto a quella del resto del mondo. Infatti la maggior parte della salita dell'indice S&P500 è stata dovuta alle Mag 7 negli ultimi dieci anni o giù di lì. Una rotazione della liquidità da queste, e quindi una correzione degli indici azionari principali, all'economia generale significherebbe un buon periodo di consolidamento. Nel frattempo la fuga di capitali dall'Europa attenuerebbe la correzione delle azioni americane facendole tornare, meno traumaticamente, a una media storica sostenibile. Nel secondo trimestre l'Eurostoxx è già inferiore in quanto a performance rispetto al Dow Jones. Una crisi del debito sovrano seguirà a ruota, così come una monetaria. Ricordate, se l'euro e la sterlina sono riuscite a rimbalzare dal fosso in cui stavano finendo è perché hanno venduto (e continuano a vendere) asset denominati in dollari e dollari per ripagare i propri debiti in una valuta la cui offerta è in contrazione.

Per quanto Trump possa voler un dollaro relativamente “basso”, il DXY non può scendere oltre una certa soglia altrimenti ciò significherebbe importare inflazione in eccesso. Questo significa che il DXY tornerà a salire, rimanendo nel range dei 100-105. Più in alto significa che il mondo sta implodendo. Infatti i livelli attuali nei mercati dei cambi da parte di sterlina ed euro sono artificialmente gonfiati, considerando come Ripple sia destinato a disintermediare Londra dal Forex e dallo Swift (Bitcoin è un'altra cosa invece, più collaterale e asset al portatore digitale che fornitore di liquidità).

Nel momento in cui il dollaro risalirà, seguito dal Dow Jones e dal back-end dei titoli di stato americani, insieme a una moderazione dell'inflazione, una crescita solida in generale e una riorganizzazione industriale degli USA, quello sarà anche il momento in cui la FED taglierà i tassi. Molto probabilmente già da questo mese e altre 3 volte durante gli ultimi 6 mesi di quest'anno. L'eccezione a questo percorso è un prezzo del petrolio sui $90 al barile, dato che un'inflazione spinta dalle materie prime più virulenta impedirà a Powell di tagliare i tassi. Se invece ci sarà moderazione nelle vicende geopolitiche, l'oro lateralizzerà e il dollaro salirà insieme al mercato azionario e quello obbligazionario americano, allora avrà le giustificazioni politiche per tagliare i tassi (al di là delle richieste di Trump). 

Il duplice mandato della FED, adesso, al di là dell'Humprey-Hawkins Act, è quello di stabilizzare i prezzi interni dopo la più grande botta d'inflazione mai vista dagli USA sulla scia del Build Back Better di Biden; l'altro punto è prosciugare l'offerta di dollari ombra all'estero. Il lavoro di Powell, da questo punto di vista, è stato tanto arduo quanto egregio... e continuerà a esserlo fintato che riduce il bilancio della FED, toglie il conservatorship da Fannie/Freddie e stabilizza i prezzi immobiliari e ci si sbarazza del SLR permettendo alle banche americane di usare il loro bilancio per rendere più efficiente il mercato dei mutui coprendolo coi titoli di stato statunitensi. I prezzi del 2010 non torneranno, troppe distorsioni monetarie sono accadute sin da allora; l'unica cosa che si può fare è stabilizzare l'economia. E un ulteriore modo di farlo è il processo di snellimento fiscale e taglio delle tasse.

Parecchi fronti sono aperti adesso ma quello fiscale è decisamente più importante. Più verrà ritardata la sua risoluzione, per qualunque motivo, più la cricca di Davos avrà leva nel sabotare gli USA. Non scordatevi le recenti parole di Dimon.

Poi c'è la politica estera. Infatti ho aperto questo pezzo parlando della Big Beautiful Bill perché parte tutto da essa. Inutile dire che nella maggioranza erpubblicana al Congresso ci sono franchi tiratori, come hanno dimostrato ad esempio Pompeo e Graham volati a Kiev per mandare un messaggio; oppure Massie e Paul che avrebbero voluto spacchettare la legge e farla approvare a pezzi... ma questo avrebbe significato una maggioranza di 60, non di 51, al Senato. Quindi piuttosto che continuare ad attenzionare un luogo su cui Trump ha, molto probabilmente, un dialogo con Putin, meglio dirottare il focus altrove e, in questo modo, accontentare i falchi neocon. I fronti aperti sono tanti e il tempo passa, e questa è una situazione che va a vantaggio della cricca di Davos.

Il Medio Oriente è uno di questi fronti, visto che il governo di Israele è facile da agitare. Anche qui, gli inglesi c'hanno messo lo zampino visto che “consigliano” entrambe le fazioni (Hamas in Qatar) e il loro gioco, come hanno sempre fatto, è tradire una di esse per creare una faida. Ed è quello che ha fatto l'MI6 il famoso 7 ottobre scatenando il vespaio a Gaza che vediamo ancora oggi. Gli Stati Uniti, con Trump, hanno lavorato per gettare le basi di una pacificazione nell'area, ecco perché gli arabi in Oman, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Siria, Turchia, Kuwait sono rimasti, all'atto pratico, in silenzio quando l'aviazione americana ha effettuato la sua operazione in Iran. Così come sono rimasti in silenzio Russia e Cina.

Francia e Inghilterra vedono cosa accade e gonfiano l'isterismo di Israele, perché vogliono continuare ad avere influenza nella regione e fare in modo che continui a essere instabile: va a loro vantaggio e tiene impantanati gli USA, con potenziale di intervento diretto e quindi spesa di dollari all'estero. Inutile dire che francesi e inglesi cercheranno altresì di approfittare della confusione nel governo iraniano per insinuarsi. È un gioco pericoloso e più si andrà avanti diventerà ancor più pericoloso, visto che c'è la sopravvivenza della cricca di Davos in gioco. L'azzardo americano è stato quello di lasciar scatenare Israele il giorno dopo la scadenza dei 60 giorni per un accordo sul nucleare: in questo modo si manda un messaggio che le deadline devono essere rispettate (power politics) e il mancato rispetto porta conseguenze per la parte attenzionata... che sono progressivamente più severe in proporzione alla sua reticenza a trattare (si veda la pronta capitolazione dell'UE sui dazi al 10%).

Come si inserisce in questo contesto l'attacco americano sul suolo iraniano? Ha spostato l'attenzione in Medio Oriente dalla Russia e accontentato i neocon (tutti in festa) affinché votassero per la Big Beautiful Bill; ha indispettito l'Iran al punto da voler chiudere lo Stretto di Hormuz (cosa che farà male solo all'UE in termini energetici); è stato un indispettimento mirato visto che gli USA hanno avvertito l'Iran per tempo prima di attaccare (e chissà se prima della deadline una bozza d'accordo sottobanco non sia stata raggiunta); ha accontentato Israele nella sua richiesta di intervento americano; quest'ultima è stata una soddisfazione, però, che ha fatto continuare lo scontro tra Iran e Israele, i due agitatori più pronunciati in quella zona. Con il ridimensionamento dell'Iran andranno a morire tutti quei gruppi terroristici che hanno messo a ferro e fuoco il Medio Oriente (Houthi, Hezbollah, Hamas); con il ridimensionamento di Israele potrebbe cadere l'attuale governo in carica di cui l'amministrazione Trump non si fida.

Il “vero” tradimento del MAGA sarebbe stato se il 30 giugno, alla scadenza degli aiuti in Ucraina, essi fossero stati rinnovati; il tradimento assoluto del MAGA sarebbe se venisse salvata la City di Londra. Fino ad allora si tratta solo di muovere la prossima tessera sul tavolo del GO.

Circa due settimane fa parlavo di come in Iran ci fossero fazioni così come in tutti gli altri Paesi del mondo. La fonte di destabilizzazione nell'aerea è sempre stata la sua possibilità di avere armi nucleari, cosa che ha dato a Israele la motivazione per essere costantemente agitato e opporsi a questa eventualità. Non è necessario che fosse reale adesso o in passato, il solo fatto che pendesse questa spada di Damocle nella regione era sufficiente per creare tensioni. E Israele aveva tutte le ragioni per opporsi; la power politics funziona così, bisogna farsene una ragione.

Torniamo un attimo indietro nel tempo. L'accordo JCPOA stretto da Obama con l'Iran serviva a far arrivare gas e petrolio in Europa a prezzi più convenienti. Di contro l'Iran ci guadagnava la possibilità di accedere a fonti di uranio per scopi civili. Gli USA non ci guadagnavano niente e servivano solo da garanti dell'accordo. Anzi, ci avrebbero rimesso solamente in caso di guai, ma sappiamo che l'amministrazione Obama non lavorava nell'interesse della nazione. C'è da aggiungere, anche, che gli inglesi sono i responsabili dietro le quinte per le tensioni nella regione dato che il loro obiettivo, oltre che controllare indirettamente l'Iran tramite un governo fantoccio, è quello di impedire alla Russia di collegarsi con l'Oceano indiano bypassando così il Mar Nero. Iran e Russia sono due vecchi pallini inglesi. Questi ultimi si sono garantiti che una ferrovia da San Pietroburgo fino a Chabahar non venisse mai costruita (così come si sono assicurati che non fosse costruita dall'Alaska alla Russia). Anche il fermento in Georgia si inserisce in questo contesto.

Comunque, sin dall'accordo Sykes-Picot e dalla Dichiarazione di Balfour (anche perché la Prima guerra mondiale è stata scatenata per smantellare definitivamente l'impero ottomano), gli inglesi hanno continuato a manovrare nell'ombra in Medio Oriente per estendere e conservare la loro impronta colonialista. Questo significa tramite Israele e anche attraverso il proxy Stati Uniti. Quando questi ultimi, però, hanno iniziato a emanciparsi dall'influenza della City di Londra, principalmente con l'abbandono del LIBOR, ciò ha sparigliato le carte anche a livello geopolitico. Il caos è stata una conseguenza, soprattutto a livello bellico col moltiplicarsi dei conflitti a livello mondiale sulla scia di un riassestamento delle alleanze a immagine e somiglianza di suddetta indipendenza americana. Uno di questi conflitti è stato ovviamente quello tra Israele e Palestina, dove entrambi i popoli sono stati traditi dagli inglesi per accendere la miccia e far continuare poi ad ardere il fuoco della guerra. Ecco perché è saltata fuori adesso la storia che Israele ha finanziato per anni Hamas. Ecco perché, da due anni a questa parte, è diventato legittimo criticare aspramente gli israeliani. Il 7 ottobre è stata un'operazione palesemente portata avanti dai servizi segreti inglesi dell'MI6, i quali hanno ha usato il proxy di Hamas in Qatar per attivare la falange in Palestina e quindi “tradire” Israele.

Ecco perché Netanyahu è stato messo da parte durante i negoziati di Trump in Medio Oriente con gli altri stati arabi ed è stato pronto ad attaccare l'Iran senza esitazione per conto degli USA. Questi ultimi avevano bisogno di una dimostrazione di forza per pacificare l'Iran, mandare un segnale agli altri player mondiali che l'amministrazione Trump fa sul serio quando imposta delle deadline (messaggio rivolto a Bruxelles e Ottawa) e accontentare i neocon al Senato affinché togliessero il “veto” alla Big Beautiful Bill. In questo contesto Netanyahu rimane uno strumento di persuasione, come ha potuto constatare lui stesso avendo dovuto combattere da solo contro l'Iran. Ritengo che il suo ascendente sul resto del mondo fosse dovuto all'affiliazione con gli inglesi, ma adesso quei tempi sono andati e, ciononostante, rimane comunque inaffidabile visto che s'è fatto terra bruciata intornio a lui a livello politico. Altresì, per quanto l'AIPAC abbia finanziato la campagna di Trump, non ha la stessa influenza che aveva durante il suo primo mandato.

E questo ci porta al momento attuale, dove le fazioni all'interno dell'Iran si stanno dando battaglia per determinare chi emergerà come classe dirigente. Sono dell'idea che gli inglesi non si lasceranno scappare l'opportunità creata dagli USA per intrufolarsi finalmente nel Paese, come leggiamo dalla seguente notizia. È un modus operandi già conosciuto ai lettori del mio blog. Credo altresì che l'amministrazione Trump abbia staccato il proprio accordo una delle fazioni in Iran affinché emerga come vincitrice in quella che adesso è una guerra civile sotterranea nel Paese mediorientale. Ecco perché ha dichiarato la scorsa settimana che “otterremo ciò che vogliamo in Iran”. Questa partita ancora non è finita e gli inglesi, per quanto ridimensionati a ogni livello (sociale, finanziario, geopolitico), non sono sconfitti. La loro rete d'influenza va indietro di centinaia di anni e non sarà affatto facile incrinarla. Sta di fatto, però, che Russia e Cina sono rimasti a bordo campo, e questo mi fa pensare che sottobanco Putin e Xi siano d'accordo con la riorganizzazione della regione mediorientale portata avanti da Trump. Così come gli altri stati arabi che hanno stretto accordi commerciali con l'amministrazione Trump.

È un gioco ricco di azzardi e qualunque cosa potrebbe andare storta da adesso in poi. Ad esempio, tra Israele e Iran c'è la Siria ed essa è un punto di pressione nell'area. Inutile dire che gli inglesi sono molto presenti anche lì, attraverso di essa sarebbe relativamente facile far deragliare la pace di Trump. In aggiunta a ciò ci sono anche i Balcani, dove ci sono i serbi che sono cristiani ortodossi, i croati che sono cattolici e i musulmani. Di conseguenza è relativamente facile che “qualcosa vada storto” da quelle parti, ma non perché quelle persone si odino a vicenda bensì attraverso il solito modo di fomentare attriti attraverso eventi terroristici che attizzano un odio artificiale tra i vari gruppi religosi/etnici. Ho già descritto il meccanismo in un altro pezzo e ciò avviene tramite ONG, lavoratori dell'ONU, organizzazioni filantropiche, media generalisti, organizzazioni di relazioni pubbliche, ecc. Poi uno si ricorda dei legami rafforzati a livello di intelligence tra Bosnia e Inghilterra e il quadro diventa più chiaro. A tutti questi punti di pressione dobbiamo aggiungere anche l'area del Baltico, dove anche qui gli inglesi stanno avendo influenza in particolar modo sull'Estonia. Insomma il minimo comun denominatore è che le aree menzionate sono state riempite di dinamite e il “divide et impera” per gli inglesi è una passeggiata nel parco; sono maestri nell'agitare, scuotere e destabilizzare.

Purtroppo non sarà un percorso in linea retta e sarà irto di ostacoli. Ma badate bene sempre a un fattore per capire chi vuole cosa: fate caso a coloro che parlano di accordi e coloro che invece vogliono alimentare il conflitto per il proprio tornaconto. 


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