venerdì 2 maggio 2025

“Fuga dal dollaro?”: un manuale per comprendere il flusso di dollari all'estero

 


di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/fuga-dal-dollaro-un-manuale-per-comprendere)

Così come accaduto col tema dei dazi, oggi prenderò un altro tema che viene tanto discusso a livello di commenti e analisi ma che, in realtà, non viene minimamente compreso. Oppure viene volutamente travisato. Sto parlando della presunta “fuga dal dollaro” da parte del mondo intero e parallelamente della favola secondo cui la Cina sarà in grado di mettere in piedi un “sistema di pagamento alternativo” che risucchierà la forza del dollaro. Negli ultimi 40 anni circa il mercato dei titoli sovrani ha visto un enorme boom sulla scia della finanziarizzazione delle economie del mondo, ovverosia i mercati finanziari hanno spiazzato sempre di più la ricchezza reale generata dai mercati industriali ed è servita per creare una base di leva scriteriata che è cresciuta a livelli estremi oggi. Soprattutto sulla scia della ZIRP degli ultimi 15 anni. La piattaforma attraverso cui tutto ciò è stato possibile si chiama eurodollaro ed è stato il tema che ho esposto nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Il gioco è stato quello di saturare tutti i bilanci possibili, arrivando infine al proverbiale Picco del debito. Questo, inutile dirlo, porta con se una pulizia inevitabile di tutti quegli errori accumulati e ciò significa a sua volta una crisi del debito sovrano. Per come è strutturata l'architettura finanziaria del mondo intero, questo significa che una crisi del genere fa schizzare in alto i tassi d'interesse e insieme a essi anche il dollaro; dato che il dollaro esiste anche nella sua versione offshore, ciò significa che le stesse dinamiche si riverberano sul mondo intero.

Infatti le economie del mondo al di fuori degli Stati Uniti, oltre ad avere attivi e passivi denominati nella valuta locale, ne hanno anche di denominati in dollari e questo non significa necessariamente debiti nei confronti degli USA, ma anche tra di essi. Avendo, quindi, dei debiti denominati in una valuta che (apparentemente) non controllano, i capitali finiscono per volare oltreoceano e sostenere i prezzi delle azioni statunitensi e dell'oro. A tal proposito non importa chi sia il giocatore che immette nuova liquidità sui mercati, ciò che conta è chi la risucchia. E il luogo dove i capitali vengono trattati meglio è solo uno: gli Stati Uniti. Infatti è importante ricordare una cosa: non è una questione che ci piaccia o meno quello che sta facendo l'amministrazione Trump, che la sua linea d'azione sia più o meno allineata alla corretta teoria economica, è una questione che non dobbiamo mettere i nostri desideri davanti a ciò che accade in modo da avere un quadro di riferimento oggettivo con cui ipotizzare dove andranno a parare i mercati dei capitali. E quello che Trump sta facendo è cambiare il modo in cui gli USA hanno fatto affari negli ultimi 60 anni. Perché? Perché sebbene a livello superficiale le cose andassero bene, sotto la superficie era tutto il contrario.

Se prendiamo in considerazione la traiettoria percorsa dagli USA, in particolar modo, i prezzi degli asset salivano e l'economia era in crescita, ma era tutto in funzione del mercato azionario, Main Street è stato lasciato indietro. Il tutto mentre entrambi i deficit, commerciale e pubblico, crescevano. Per quanto uno si possa impegnare a riflettere su quale possa essere il percorso “giusto” da intraprendere per risolvere i guai americani, non credo possa essercene uno migliore rispetto a quello che viene portato avanti adesso dall'amministrazione Trump. Non sarà perfetto, ma è il meglio che abbiamo; soprattutto se si tratta di mandare in bancarotta la cricca di Davos. Infatti è quest'ultimo obiettivo che ha consolidato tutte le visioni all'interno dei vari dipartimenti governativi ed è come se si muovessero tutti all'unisono. La proverbiale “bonifica della palude”, altro non era che l'elenco di tutti quei player all'interno degli USA, e soprattutto nello Stato profondo, per capire chi fosse interessato al “benessere nazionale” e chi invece faceva interessi esteri. Il primo mandato Trump è servito per farli venire allo scoperto; il secondo sta servendo a rastrellarli e fare loro un'offerta: “Siete con noi o contro di noi?” Il coordinamento tra grandi banche ed esercito sta facendo in modo che Trump abbia poca opposizione a livello interno.

Per quanto la stampa lo possa attaccare a livello internazionale, l'assenza di “franchi tiratori” permette alla sua amministrazione di distinguere tra “amici” e “nemici” all'estero a questo giro. Questo è evidente dal comunicato post-sospensione dei dazi, il quale va ben oltre la semplice imposizione di barriere doganali. Il messaggio è chiaro: adesso sono gli USA che determinano la loro politica monetaria e fiscale, non viene più forzata all'estero. Di conseguenza nuovi rapporti commerciali devono essere stabiliti bilateralmente, perché adesso l'unico modo che hanno i player esteri di accedere ai dollari è quello di chiederli direttamente alla FED (con l'avvento del SOFR). Infatti il calo più recente del dollaro non è un segno che punta verso la “de-dollarizzazione”, anzi è il contrario punta alla “ri-dollarizzazione”. Ogni nazione, oltre a essere indebitata nella propria divisa, ha anche debiti denominati in dollari non solo nei confronti degli USA ma anche di altre nazioni. Se non ha accesso ai dollari, finisce nei guai. E data la volatilità sui mercati, l'offerta in contrazione degli eurodollari e i guai economico/finanziario che ogni nazione del mondo oggi ha, vendere asset denominati in dollari e con i dollari risultati comprare la propria divisa è l'unico modo che hanno per stabilizzare la situazione. Questo, ad esempio, è quello che è successo di recente in Europa e Inghilterra con la vendita di T-bond americani e successivo acquisto di sterlina ed euro (non era la Cina o il Giappone, visto che yuan e yen a malapena si sono mossi).

I mercati statunitensi sono una gigantesca fonte di liquidità e quando l'incertezza inizia a montare vengono venduti asset americani per ripagare i propri debiti. È sempre successo durante tutti gli altri momenti di crisi. Nelle fasi iniziali gli asset americani e il dollaro scendono perché sono una fonte di liquidità, ma quando la crisi entra nel vivo ecco che tornano a salire. Anche qui, Trump e Bessent non vogliono una crisi sistemica; vogliono invece una quantità tale di turbolenza all'estero da forzare gli altri al tavolo delle trattative. Uno di questi è senza dubbio la Cina, ridimensionarne la capacità d'influenza a livello interno statunitense. Come si fa a negoziare qualcosa con qualcun altro se si è dipendente da quest'ultimo? Soprattutto a livello di forniture militari. Per quanto possa essere duro il braccio di ferro con la Cina, non è lei l'obiettivo finale degli USA: l'Europa lo è. O per meglio dire la classe dirigente europea e quella inglese. E il modo di affrontare un reset necessario delle valute fiat è quello di avere le carte migliori da giocare al tavolo delle trattative; inutile dire che ciò passa per forza di cose tramite la messa ordine dell'equazione fiscale e monetaria.

Siete rimasti sorpresi dal recente crash dei mercati azionari? Non dovreste. Bessent era da settimane che parlava di una correzione necessaria dei mercati, soprattutto in un ambiente finanziario in cui i rapporti P/E sono ancora fuori scala rispetto al passato. Affermare che l'amministrazione Trump sia stata “travolta” è ingenuo. L'unico parametro che conta è la base monetaria, le altre misure M sono solamente la leva cui è stata sottoposta (per non parlare poi dello stock del dollaro offshore). Ridimensionare questi parametri significa passare attraverso un processo di pulizia che per forza di cose richiederà dolore economico, ma che creerà spazio nei bilanci della nazione tramite la produzione reale e il puntellamento dell'economia di Main Street. È un percorso irto di ostacoli, ovviamente, nessuno dice qui che riescano pienamente a portare a termine questo compito; quando si entra in guerra significa prepararsi alla possibilità di venire colpiti, ma questo non significa una sconfitta... è chi rimane in piedi per ultimo che vince.

Per quanto la stampa voglia vendere la storia secondo cui gli Stati Uniti ci perdono di più dalla guerra commerciale, in realtà sono il miglior cliente per qualsiasi esportatore sulla Terra e sono in realtà gli esportatori che ci perdono di più. Un ottimo esempio a tal proposito è il mercato dei derivati del petrolio e della plastica. Così come i più recenti accordi con l'India andranno a scardinare l'asse del BRICS attraverso il quale la cricca di Davos cercava di espandersi a Est. Non solo, ma adesso possiedono il pieno controllo sul dollaro dopo lo smantellamento del LIBOR. Questo significa che, nel caso in cui la FED dovesse tornare a fare QE, non tutti avranno accesso alle linee di swap con cui alleviare le proprie economie. Sono convinto che verranno aperte solo a nazioni specifiche che hanno stipulato accordi bilaterali con gli USA, come già accaduto due anni fa con la Banca nazionale svizzera.


IL MONDO CHE VORREMMO & IL MONDO CHE ABBIAMO

Ha perfettamente senso che l'amministrazione Trump, e i NY Boys che stanno dietro di essa, si difendano da quello che viene partorito oltreoceano come “soluzione” all'enorme mole di debiti e valuta ombra creati nel tempo. Se l'Europa vuole un euro digitale, andare in default per il debito, fomentare crisi finanziarie ad hoc e spazzare via il sistema bancario commerciale (l'intermediario tra chi usa il denaro e la banca centrale), ha perfettamente senso che Jamie Dimon abbia qualcosa da dire contro questa linea d'azione. Non si tratta più del mondo che vorremmo, ma del mondo che abbiamo. Di conseguenza la teoria economica è utile per fare analisi, ma poi di fronte a una cricca di Davos che muove le leve sotterranee del mondo tramite le varie incrostazioni degli Stati profondi c'è poco che la teoria possa fare.

Alla fine della fiera tutto si riduce a una sola domanda: “Come si può togliere realmente dalle mani dell'Europa e dell'Inghilterra la possibilità d'impostare al margine il prezzo del dollaro all'estero?” L'eurodollaro è il mercato per eccellenza che imposta il prezzo del dollaro. Con il SOFR, e il pensionamento del LIBOR, abbiamo avuto la risposta e non è più possibile che player esterni agli USA possano impostare indisturbati il prezzo del dollaro. Ora se si vuole accedere a liquidità in dollari bisogna pagare quanto determinato dal tasso di riferimento della FED, mentre la City di Londra cerca modi alternativi per tenere in moto la macchina della leva finanziaria dell'offerta di dollari ombra. Come? Cercando di costringere la FED a tornare allo zero sui tassi di riferimento. L'ultimo “attacco” sui mercati, dove UK + UE, possedendo insieme alle loro succursali estere più di $3.400 miliardi in titoli sovrani americani, hanno venduto titoli sul back end della curva dei rendimenti e comprato titoli sul front end (inversione nel medio e grida di recessione sulla stampa), oltre a vendere dollari per comprare euro, sterlina, dollaro canadese e titoli sovrani tedeschi.

Nel mondo pre-SOFR ciò avrebbe forzato la FED a intervenire e impedire che il mercato obbligazionario americano divenisse bidless. Cos'è successo invece? Che le aste dei titoli di stato americani a 5 anni, 10 anni, 20 anni e 30 anni sono andate a ruba. Perché? Perché sin dal 2019 i titoli di stato americani sono l'unica garanzia collaterale accettata nel mercato dei pronti contro termine americano, i mercati dei finanziamenti a breve termine più liquidi e affidabili del mondo. Come ho documentato nel mio ultimo libro, Il Grande Default, con l'avvio del SOFR siamo entrati in un gioco completamente diverso.

Lo scopo, quindi, dell'amministrazione Trump è quello di sgonfiare progressivamente la quantità di leva finanziaria immessa nel sistema economico e finanziario senza trasformare la società in qualcosa uscito fuori dalle pellicole di George Miller su Mad Max. Da un punto di vista pragmatico ci sono quattro possibilità dinanzi a noi: tutte le nazioni finiscono nei guai simultaneamente e crollano insieme, tutte le nazioni ne escono indenni e crescono insieme, gli Stati Uniti schivano il famigerato “proiettile d'argento” e il resto del mondo affonda, gli Stati Uniti affondano e il resto del mondo schiva il famigerato “proiettile d'argento”. L'ipotesi 2 e 4 sono altamente inverosimili, e anche se la 4 dovesse verificarsi per una qualche remota possibilità la transizione verso il nuovo sistema sarebbe lo stesso devastante.

Il primo mandato Trump è stato un chiaro messaggio al resto del mondo che lo status quo non era più accettabile e non è un caso che i lavori per il SOFR sono iniziati nel 2017. Lui è stato molto furbo nel modo in cui ha criticato il resto del mondo, portando l'attenzione sulla leadership statunitense e le “infiltrazioni” che l'hanno corrotta. In questo modo ha costretto l'amministrazione Biden a seguire la stessa linea di politica per quanto riguarda la Cina, ad esempio. Al di là di ciò non riesco a immaginare il passaggio da un'economia in cui lo stato è preponderante dal punto di vista fiscale a una in cui lo è meno, da un'economia che importa gran parte di quello che ha bisogno a una in cui produce gran parte di quello che ha bisogno, diverso da come lo sta portando avanti l'amministrazione Trump. Forse c'è un altro modo, ma non riesco proprio a immaginarlo. Certo, ci saranno conseguenze impreviste, il percorso sarà dissestato, ma davvero non vedo altri modi dal punto di vista strettamente pratico. Credo che le probabilità siano alte di un successo di questo piano di “rinsavimento” economico; credo che le industrie estere verranno negli Stati Uniti per aprire impianti industriali; credo che la maggior parte del resto del mondo lascerà cadere i dazi imposti agli USA o vi continueranno a fare affari nonostante questi ultimi imporranno dazi. La ragione di base è semplice: gli USA sono il più grande mercato al consumo al mondo. Quelle stesse industrie potrebbero smettere di vendere agli USA e vendere a qualcun altro? Forse, ma non venderebbero allo stesso prezzo a cui vendono negli USA e tutto il denaro preso in prestito per finanziare la loro produzione verrebbe spazzato via nel momento in cui dovrebbero vendere a prezzi più bassi i loro inventari.

Questo la Cina lo sa, ad esempio, ed è per questo che Xi ha cercato di focalizzare la produzione sul consumo interno. Le cose non stanno andando bene, perché questa “riflessione” interna non è in grado di sostenere la complessità a cui è arrivata la società cinese. Ecco perché sono convinto che alla fine Cina e USA troveranno un modo per negoziare. Sicuramente ciò significherà cedere quote di mercato mondiali da parte americana, ma alla fine della fiera va bene perché se si riesce a rompere la mentalità colonialista europea e la sua profonda influenza sui mercati mondiali (es. intermediazione del Forex a Londra, ecc.), il ribilanciamentio globale sarà più liscio. E questo significherà anche un ridimensionamento del sistema bancario centrale così come lo conosciamo e una FED che tornerà a essere quello che era prima dell'era Roosevelt, senza che una sua eliminazione tout court vada a vantaggio di chi ha esarcebato le funzioni e l'intromissione nell'economia delle banche centrali.

Inoltre, con la benedizione a Tether e la volontà di rendere Bitcoin uno snodo nei mezzi di pagamento ufficiali, il ritorno degli asset al portatore rappresenta un salto tecnologico che va a soddisfare la domanda precedentemente insoddisfatta di coloro che chiedevano un'evoluzione dello strumento denaro. Infatti il gold standard è stato “superato” per la sua incapacità di stare al passo con la domanda tecnologica di denaro. Bitcoin, ad esempio, permette lo spostamento di ingenti somme di denaro a livello internazionale nell'arco di minuti e non di giorni come accade con le istituzioni di terze parti odierne. Questa evoluzione permette altresì di calmare shock di liquidità e fornire sollievo quasi immediato in caso di necessità. E in momenti di stress finanziario questo significa avere una maggiore possibilità rispetto ai concorrenti di sopravvivere, perché è qui che il mercato dell'eurodollaro mostra tutta la sua importanza: la quantità di credito che è stata estesa tra i Paesi al di fuori degli Stati Uniti, tra di essi senza che questi ultimi siano stati coinvolti, è più grande del debito pubblico americano. Quindi se questi Paesi vanno in default per il debito denominato in eurodollari, vanno in default tra di loro e non nei confronti degli Stati Uniti.

Le conseguenze saranno estreme. Ma questo non si riverbererà anche sugli Stati Uniti? Sì, come ho scritto prima nessuno si aspetta di entrare in guerra senza sapere che potrà essere colpito. Gli USA, però, potranno usare a questo giro il Dilemma di Triffin a loro vantaggio piuttosto che subirne gli effetti come in passato. Visto che il resto del mondo non è più in grado di entrare in possesso di finanziamenti a basso costo tramite il mercato del dollaro offshore senza grossi rischi per i suoi bilanci nazionali, questo significa che sulla graticola non c'è più il bacino della ricchezza reale degli USA ma quello delle varie nazioni. I pasti gratis sono finiti. Ciò che rischiano è un crollo della loro divisa. Il risultato ultimo di questo processo è un'impennata estrema del dollaro sulla scia di preoccupazioni lato offerta.


IL “FRULLATORE DEL DOLLARO” DIMINUISCE LA VELOCITÀ, MA NON SI FERMA

Per semplificare la comprensione dell'eurodollaro dovete immaginarlo come una stablecoin. È un dollaro digitale offshore parcheggiato in depositi esteri e che serve a rendere liquidi i mercati finanziari oltreoceano. In passato, quando ancora c'era il LIBOR, non c'era bisogno di garanzie a supporto: si potevano trattare obbligazioni denominate in dollari senza collaterale sottostante. Poi, un giorno, ci svegliamo e ci accorgiamo che quel mondo non esiste più e invece c'è una domanda senza precedenti per il collaterale. L'abbattimento di quel mondo, in precedenza impostato per risucchiare ricchezza reale agli USA e far credere che esistessero i pasti gratis, ha creato una corsa “agli sportelli” per le garanzie collaterali. La più liquida è rappresentata dai bond americani (non è un caso che le aste per i ventennali e trentennali di questa settimana sono andate alla grande). Pezzo dopo pezzo vengono smantellati quei trade che potevano sfoggiare una leva folle grazie a una frazione di collaterale posta come misera garanzia. Ecco perché la Yellen, nel suo ultimo anno al Dipartimento del Tesoro, ha supervisionato un QE fatto di titoli americani che sono stati incanalati nei bilanci dei Paesi che sarebbero stati più colpiti: Europa e Inghilterra. Ecco perché Tether, dopo l'approvazione a livello di strategia ufficiale da parte dei NY Boys, è un compratore marginale di titoli sovrani americani e sostituirà l'eurodollaro che avevamo conosciuto fino al 2022. Solo che adesso sarà pienamente collateralizzato e impostato da linee di politica decise a Washington, non a Bruxelles o a Londra.

La fine della “globalizzazione” significa principalmente la fine della finanziarizzazione dei sistemi economici, un ritorno alla ponderazione del rischio più in sintonia con l'economia reale (Main Street) e la recisione di quell'interconnessione dei bilanci mondiali che andava a far pesare sulle intere spalle statunitensi la socializzazione delle perdite durante le crisi.

A meno che l'attuale sistema non venga ridisegnato (esito a cui si dovrà infine arrivare), il dollaro tornerà a salire. Nonostante tutti i salvataggi e la stampa di denaro, l'indice DXY è salito del 30% negli ultimi 15 anni. Il modo in cui viene fornita liquidità a breve termine nel sistema è lo stesso processo che influenza la domanda a medio e lungo termine. E questo perché il sistema monetario attuale prevede l'iniezione di nuovi capitale tramite prestiti: in questo modo viene fornita liquidità a breve termine, la pressione sui mercati viene allentata, i prezzi degli asset salgono e il dollaro scende. Ma alla fine il risultato principale è l'aumento dei debiti e la saturazione dei bilanci, ed è questo che conta. E quando inizia a contare il dollaro torna a salire: il debito creato per fornire liquidità è la domanda futura per il dollaro. Finché l'architettura dell'attuale sistema economico/finanziario non verrà ridisegnata (facendo entrare in gioco anche oro e Bitcoin), assisteremo al ripetersi di questa storia.


CONCLUSIONE

Poiché il dollaro è la valuta di riserva globale viene ampiamente utilizzato per una varietà di scopi, tra cui:

Regolamento degli scambi commerciali (es. fatture, cambiali, ecc.);

Riserve monetarie delle banche centrali (es. una Banca del Giappone che utilizza i titoli di stato per sostenere lo yen);

Prestiti per debiti e prestiti internazionali (es. FMI, Banca Mondiale e altri istituti prestano denaro ai Paesi del mondo);

Mercato dei cambi, Forex (es. la maggior parte delle coppie di valute è quotata rispetto al dollaro, ad esempio, EUR/USD, USD/JPY, rendendolo centrale nei mercati monetari globali);

Dollarizzazione diretta (es. alcuni Paesi utilizzano il dollaro come valuta ufficiale, ad esempio Ecuador o El Salvador, oppure insieme alla valuta locale);

Rimesse e trasferimenti transfrontalieri (es. il dollaro è ampiamente utilizzato per inviare denaro oltre confine, in particolare nei Paesi in via di sviluppo);

Asset di rifugio (es. durante le crisi gli investitori acquistano dollari per sicurezza, causando flussi globali di capitali verso asset statunitensi come i titoli del Tesoro americani);

Mercato dell'eurodollaro, forse il più importante di tutti (es. i dollari dominano le transazioni SWIFT, le riserve bancarie internazionali e i sistemi bancari offshore, il sistema offshore è chiamato mercato dell'eurodollaro. I dollari vengono lentamente introdotti dalle banche straniere e utilizzati per finanziare il commercio globale. Ad esempio le banche in Pakistan prestano eurodollari alle raffinerie di petrolio in Iran per il commercio).

Tutto ciò crea una DOMANDA persistente e onnipresente per i dollari. La domanda deve essere soddisfatta dall'OFFERTA, altrimenti il ​​sistema monetario globale si inceppa: questo è ciò di cui l'economista belga, Robert Triffin, parlava 65 anni fa. Gli Stati Uniti hanno la scelta se soddisfare o meno suddetta domanda, e se non lo fanno la deflazione dell'offerta di denaro globale sarà una conseguenza assicurata. Molti attribuiscono l'esplosione del deficit commerciale americano alla manipolazione monetaria da parte dei Paesi del terzo mondo, a pratiche commerciali sleali, o a pratiche di sfruttamento del lavoro: tutti fattori veri e che contribuiscono sicuramente al deficit, ma non spiegano il quadro generale. Infatti man mano che il sistema monetario globale è stato sganciato sempre più dai principi fondamentali del denaro sano/onesto, ha fatto sempre più affidamento sulla liquidità, che in sostanza significa liquidità in dollari. Pertanto la delocalizzazione della base industriale statunitense (una perdita di produzione manifatturiera pari a quella di una guerra!) non è stata fatta solo per aumentare i profitti delle aziende coinvolte, ma è stata una conseguenza dell'esportazione di dollari nel mondo.

In breve, questo significa che se gli Stati Uniti vogliono mantenere in funzione il sistema monetario globale, devono mantenere uno squilibrio commerciale e aggravarlo nel tempo se il mondo continua a crescere più velocemente degli USA stessi. Questa tendenza è accelerata con l'adesione del terzo mondo (in particolare dell'Asia) al mercato dell'eurodollaro negli anni '90 e 2000.

Tutto ciò ha contribuito al proverbiale “frullato del dollaro”, processo che è uno dei motivi per cui i mercati azionari e obbligazionari statunitensi hanno registrato un andamento positivo negli ultimi 3-4 decenni. Questo costante afflusso di capitali crea una domanda costante di asset negli Stati Uniti. La sovraperformance dei mercati statunitensi è enorme: se uno avesse investito $1 nell'indice S&P 500 nel 1980, il suo valore sarebbe stato di circa $98,68 a fine 2023. Lo stesso dollaro investito nell'indice MSCI World, escludendo gli Stati Uniti, sarebbe valso circa $19,63 nello stesso periodo. Ancora una volta il fattore di differenziazione chiave, soprattutto in termini monetari, è che gli Stati Uniti sono l'UNICA valuta con una domanda esterna: NESSUN'ALTRA valuta fiat ce l'ha. L'ideatore di questa teoria, Brent Johnson, ci dice che il sistema finanziario mondiale può essere immaginato come un gigantesco frullatore composto da liquidità, debito e capitale. Gli Stati Uniti detengono la cannuccia più grande che consente loro di “bere” capitali dal resto del mondo. Mentre molti Paesi adottano politiche monetarie simili, come tassi d'interesse bassi e quantitative easing, gli Stati Uniti godono di una posizione unica, poiché emettono la valuta di riserva mondiale e dispongono dei mercati finanziari più liquidi e affidabili.

Certo, gli Stati Uniti potrebbero avere una miriade di problemi fiscali, ma li hanno anche tutti gli altri: questo li rende la “camicia sporca” più pulita nella cesta dei panni sporchi. Questo comportamento crea un flusso di capitali verso gli Stati Uniti che a sua volta rafforza il dollaro. Quando il dollaro si apprezza mette pressione sugli altri Paesi, in particolare su quelli emergenti che hanno contratto prestiti in dollari perché devono ripagare i propri debiti in una valuta che è diventata più costosa. Questa dinamica può creare un circolo vizioso, in cui le tensioni finanziarie all'estero portano a un dollaro più forte, cosa che a sua volta causa ulteriore stress per i debitori in dollari al di fuori degli Stati Uniti.

Se gli stranieri vendono titoli del Tesoro americani per intervenire sui loro mercati, questo peggiora la situazione. L'aumento del DXY è quindi un sintomo di problemi di liquidità sistemica, non un segno che gli investitori hanno necessariamente più fiducia nell'America. Gli acquisti di dollari da parte della Cina, o gli acquisti di asset denominati in dollari da parte dell'Argentina, riguardano più gli investitori che cercano di sfuggire alla propria valuta in difficoltà, che i fondamentali reali dell'economia americana. Sebbene questo possa avvantaggiare gli Stati Uniti nel breve termine, attraendo capitali e mantenendo forti i propri mercati, Brent ammette anche che la situazione non è sostenibile per sempre. A un certo punto il sistema potrebbe crollare sotto la pressione di un dollaro troppo forte e delle pressioni che esercita sulle economie globali.

Cosa sta succedendo adesso con il DXY? Ebbene, negli ultimi 3 mesi abbiamo assistito a un continuo indebolimento del dollaro dovuto alla reazione dei mercati dopo il “Giorno della Liberazione”. Il dollaro relativamente più basso di fatto rafforzerà il sopraccitato “frullato”. Il debito denominato in dollari viene spesso creato al di fuori degli Stati Uniti attraverso il cosiddetto sistema dell'eurodollaro, una vasta rete di attività bancarie offshore non regolamentata dalla Federal Reserve. In questo sistema le banche straniere concedono prestiti in dollari a mutuatari non statunitensi, come società minerarie in Cile, produttori di petrolio in Nigeria o case automobilistiche in Corea del Sud.

Queste aziende possono operare interamente nei loro Paesi e generare entrate nelle loro valute locali, ma i prestiti che contraggono sono quotati e devono essere rimborsati in dollari. Una volta che queste aziende contraggono debito in dollari, si trovano bloccate in una struttura finanziaria in cui le loro passività sono in dollari, ma i loro ricavi di solito no. Una società che estrae il rame in Perù potrebbe venderlo sul mercato ed essere pagata in soles, o in un'altra valuta diversa dal dollaro. Per far fronte ai propri oneri di debito in dollari (es. pagamento degli interessi o il rimborso completo del prestito), deve convertire in dollari i suoi ricavi in ​​valuta locale. Questo in genere comporta l'accesso ai mercati monetari per scambiare la sua valuta locale con dollari. Se quest'ultimo si apprezza rispetto alla valuta nazionale della società che estrae rame, il costo di tale scambio aumenta, rendendo più costoso e più arduo il rimborso del debito. L'azienda in questo modo non si limita a gestire la propria attività, ma specula anche sui tassi di cambio senza volerlo. Pertanto quando il DXY scende, ovvero quando il dollaro è relativamente più debole rispetto alle altre principali valute, diventa più facile per le aziende straniere onorare i propri debiti denominati in dollari.

Non solo possono estinguere più facilmente le passività in dollari esistenti, ma potrebbero anche sentirsi abbastanza sicure da contrarre ancora più debiti in dollari per finanziare l'espansione o la speculazione. È qui che inizia il circolo vizioso: man mano che un numero sempre maggiore di aziende in tutto il mondo contrae prestiti in dollari durante i periodi di debolezza di quest'ultimo, la dimensione complessiva del sistema del debito in dollari si espande. Questo non riguarda solo le aziende: anche gli stati ne subiscono gli effetti. Quando il dollaro è più debole, diventa anche più facile per gli stati esteri accumulare riserve in dollari, una parte cruciale dei loro meccanismi di difesa finanziaria. Poiché le loro valute sono più forti rispetto al dollaro in un contesto con un DXY più basso, possono scambiare meno unità della loro valuta locale per acquistare più dollari. Questo rende l'accumulo di riserve monetarie molto meno costoso.

Mentre i detrattori del dollaro indicano l'aumento del debito statunitense o la “de-dollarizzazione” come segnali del declino del biglietto verde, la realtà è che la fame globale di liquidità in dollari è viva e, per molti versi, sta crescendo, non diminuendo. Paradossalmente tutto ciò significa che la “fine dei giochi” (in mancanza di termini migliori) non si svolgerà come i detrattori pensano. Un crollo monetario globale significherà che l'indice del dollaro salirà, non scenderà. E se il DXY scende, come dice Brent, significa solo che il gioco continuerà con la “ri-dollarizzazione”. Il dollaro ha lo status di asset di riserva e valuta di riserva ed esse sono due funzioni distinte; sebbene interconnesse, in teoria il biglietto verde potrebbe perdere la prima senza perdere la seconda. Il “frullato del dollaro”, almeno nel medio termine, significa che non perderà lo status di valuta di riserva.


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