Bibliografia

martedì 29 aprile 2025

Siamo tutti affetti da sindrome post-traumatica?

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/siamo-tutti-affetti-da-sindrome-post)

Non è possibile quantificare con esattezza quanto trauma mentale e psicologico esista oggi nel Paese e nel mondo, e non mi fiderei di nessuno studio che ci abbia provato a quantificarlo. Ma una cosa è chiara, abbiamo perso l'equilibrio nella conoscenza di qualcosa che gli scienziati credevano da tempo di poter sapere: se e in che misura un'economia stia crescendo e prosperando, o stia andando nella direzione opposta.

Sembra che tutti stiano improvvisando, ultimamente. Da quando i lockdown hanno interrotto l'informazione, è stato difficile distinguere tra un'evoluzione positiva e una negativa.

I notevoli ribassi subiti dai principali indici finanziari negli ultimi due mesi sembrano aver innescato un cambiamento nel sentimento pubblico, da indifferente a cupo. Probabilmente questo non ha nulla a che fare con l'enorme ricchezza detenuta nei conti pensionistici.

Ogni aggiornamento della pagina sembra portare altre cattive notizie.

Questo ha a sua volta influenzato la propensione alla spesa e le prospettive in generale.

Eppure c'è qualcosa di strano che sta accadendo: l'inflazione è effettivamente in calo rispetto al trend quadriennale e mostra i dati migliori sin dal 2020. Anche l'indice dei prezzi al consumo (IPC) riflette questo dato. Le prospettive occupazionali nel settore privato stanno leggermente migliorando.

Perché il sentiment dei consumatori è improvvisamente crollato? È strano perché ci sono scarse prove di un cambiamento improvviso, a meno che non siano i dazi a essere la causa, il che è inverosimile (secondo me).

Una possibile teoria: la popolazione soffre di una forma di disturbo da stress post-traumatico economico, un termine clinico per quello che un tempo veniva chiamato stanchezza da battaglia e shock da bombardamento. È ciò che accade allo spirito umano di fronte a qualcosa di inaspettato, terribile e in definitiva traumatizzante. Ci sono fasi di recupero che vanno dalla negazione, alla rabbia, alla contrattazione e alla depressione, con l'accettazione come fase finale.

Potremmo essere arrivati ​​a questo punto. Da anni ormai i media nazionali e le agenzie governative sostengono che tutto va bene. L'inflazione si sta raffreddando, la crescita dell'occupazione è forte, la ripresa è alle porte. Innumerevoli articoli sui media hanno lamentato il divario che separa i dati reali dalle percezioni dell'opinione pubblica. Siamo stati incoraggiati a credere che “chiudere l'economia” non sia stato poi così grave, solo qualcosa che si fa prima di riaccenderla.

Smettetela di lamentarvi! Siete ricchi!

È stato il picco del gaslighting economico, qualcosa di cui molti di noi si lamentano ormai da cinque anni.

Nel 2024 il Brownstone Institute ha commissionato uno studio più approfondito e ha rilevato che gli Stati Uniti erano in recessione tecnica dal 2022 e senza una vera ripresa sin dal 2020. Gli autori sono giunti a questa conclusione esaminando i dati sui prezzi del settore piuttosto che le sottostime del Bureau of Labor Statistics. Li hanno confrontati con una stima realistica della produzione e hanno mostrato tutto il loro lavoro. Nessuno ha mai contestato lo studio.

Questo è anche il quinto anniversario del più grande trauma delle nostre vite, i lockdown che hanno distrutto milioni di aziende, chiuso ospedali e chiese, limitato la circolazione e decimato la vita economica. Nessuno avrebbe mai pensato che una cosa del genere fosse possibile.

È stato un trauma pari a quello di un tempo di guerra. Ancora oggi la gente è riluttante a parlarne, proprio come il nonno non ha mai parlato delle sue esperienze durante la Seconda guerra mondiale.

Eccoci qui oggi, disperatamente vicini a ritrovare la normalità e con questo è arrivato un campanello d'allarme per quanto riguarda le finanze delle famiglie. Il reddito reale è in calo, i risparmi sono in calo, le bollette sono in aumento, i tagli sono necessari. Sono stati rinviati per anni, mentre i mass media strombazzavano le glorie della ripresa di Biden che invece non esisteva o era un ologramma alimentato dal debito.

Ora arriva l'indice sulla fiducia dei consumatori dell'Università del Michigan: dopo tre anni di grandi guadagni, stranamente coincidenti con la presidenza Biden, adesso mostra un crollo tremendo, stranamente coincidente con l'insediamento di Trump. Ciò che lo rende particolarmente strano è che l'inflazione è in realtà inferiore ora rispetto a quattro anni fa. Gli ultimi dati non mostrano nulla di tutto ciò.

Vi mostrerei un grafico, ma l'Istituto per la Ricerca Sociale dell'Università del Michigan non pubblica i suoi dati più recenti per un mese intero. Bisogna pagare per averli. Ecco perché nessun servizio pubblico di grafici può fornirvi quei dati. Ehi, devono pur guadagnare qualcosa, no? Chi può biasimarli per questo?

Beh, c'è un problema, uno che non mi sarei mai aspettato. Ho sempre pensato che i dati dell'Università del Michigan fossero più affidabili di quelli di un'agenzia federale. Sembrano provenire dalla “vera” America, uno stato di passaggio con veri scienziati indipendenti.

È bastata una rapida occhiata su Grok per scoprire che l'Istituto per la Ricerca Sociale, e questo sondaggio in particolare, è uno dei principali destinatari dei finanziamenti federali. Provengono dal National Institutes of Health, dalla National Science Foundation, dalla Social Security Administration e da altri.

Il totale ammonta a circa $100 milioni all'anno, dalle vostre tasche alle loro. Poi vendono i loro dati al settore privato – che derivano da un sondaggio su 1.000 persone – realizzando un profitto. Questa storia prima era sconosciuta e, in verità, nessuno ha mai pensato di mettere in discussione dati gloriosi e oggettivi provenienti dai migliori capoccioni che abbiamo.

In passato non mi sarebbe mai venuto in mente di esaminare le fonti di finanziamento per questo tipo di ricerca. Ma le cose stanno cambiando: ora capiamo il meccanismo. Il governo federale vi tassa, alimenta le università e le ONG, queste generano ricerca e propaganda per alimentare la macchina burocratica, e il ciclo continua. Gli esempi sono innumerevoli e hanno portato a una valanga di scienza fasulla negli ultimi cinque anni.

Non abbiamo prove dirette che gli ultimi dati sul sentiment dei consumatori siano falsi. Potrebbero essere del tutto reali, un'indicazione che solo ora le persone si stanno svegliando da uno stato onirico di negazione e confusione durato quattro anni – sintomatico di stress post-traumatico o di shock post-traumatico dovuto al trauma dei lockdown. D'altra parte viene da chiederselo, dato che ora sappiamo che questo centro di ricerca è in realtà a sussidio federale.

L'altro giorno ero al bar di un aeroporto e un uomo mi ha chiesto del mio braccialetto di sensibilizzazione. C'è scritto: “Non sarò più messo in lockdown”. Si chiedeva cosa significasse.

Sapendo che probabilmente era ancora nella fase di negazione, gli ho spiegato che cinque anni prima tutti i nostri diritti erano stati cancellati, l'economia era stata fatta crollare deliberatamente e la vita era stata stravolta da decreti, in attesa dell'uscita di un nuovo vaccino che non avrebbe funzionato ma che tutti erano stati costretti a iniettarsi comunque.

Ho cercato di non dare troppo nell'occhio o di non dilungarmi troppo, quindi ho lasciato perdere.

La sua risposta: “Sì, che schifo”.

Lunga pausa.

Ha poi proseguito: “Non abbiamo ancora fatto i conti con tutto questo, vero?”

“No”, ho risposto.

È tornato alla sua birra e non ha detto altro.

I giorni prima del lockdown sono stati davvero il nostro ultimo momento di innocenza.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 28 aprile 2025

Potere istituzionale: il racconto di due visioni del mondo

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joshua Stylman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/potere-istituzionale-il-racconto)

Potere e governance raramente mirano a servire il pubblico, ma a preservare il controllo. Un commento sul mio ultimo articolo, Il prezzo della convenienza, lo riassumeva perfettamente: “Il problema cambia completamente quando lo stato decide di volerti controllare invece di servirti”.

Ciò descrive uno schema che sta diventando sempre più chiaro: una società divisa non tra sinistra e destra, ma tra coloro che credono che le istituzioni governative abbiano buone intenzioni ma necessitino di riforme, e coloro che capiscono che consolidare il potere e il controllo è la loro natura intrinseca.

Il mio percorso personale verso questa comprensione è stato graduale. In decenni di esperienza nel settore tecnologico, ho visto come sistemi pensati per democratizzare l'informazione potessero trasformarsi in strumenti di sorveglianza e controllo.

Guardando indietro, è chiaro che stavamo costruendo l'infrastruttura per un monitoraggio e un controllo sociale senza precedenti, anche se ci ho messo un po' a rendermene conto. Come molti nel settore delle dot-com (come lo chiamavamo all'epoca), credevo che stessimo democratizzando l'informazione e connettendo l'umanità. Invece stavamo creando gli strumenti perfetti per la sorveglianza di massa e il controllo sociale.

I segnali di questo schema più ampio erano ovunque: guerre infinite scatenate sulla base di premesse false, la porta girevole tra aziende e stato, la costante erosione della privacy. Come molti, inizialmente li ho visti come bug piuttosto che come caratteristiche del sistema.


L'illusione del riformatore

Essere realistici sulla natura del potere non rende pessimisti. Capire come funzionano realmente i sistemi è il primo passo verso la costruzione di alternative migliori. Ma questa illusione è potente perché offre speranza: se solo riuscissimo a riformare il sistema, tutto funzionerebbe come previsto.

Questo modello di crescita istituzionale segue un ciclo prevedibile che sfrutta la psicologia umana: in primo luogo emerge un problema (reale o artificiale) che innesca una reazione pubblica, in genere paura o indignazione, infine le autorità implementano “soluzioni” pre-pianificate che espandono il loro controllo. Si consideri quanto segue:

• COVID: Problema (emerge il virus), Reazione (paura pubblica), Soluzione (ampliare i poteri statali, interventi medici obbligatori);

• Crisi finanziaria: problema (crollo del mercato), reazione (panico economico), soluzione (salvataggi e controllo ampliato del sistema bancario centrale);

• Terrorismo: problema (attacchi dell'11 settembre), reazione (paura e incertezza), soluzione (sorveglianza di massa e guerre senza fine).

Le misure temporanee di “emergenza” diventano permanenti, eppure cadiamo ripetutamente in questo schema perché offre la consolazione di un'azione apparente.

Questa visione del mondo sostiene che quando lo stato fallisce, ciò è a causa di corruzione, incompetenza o controlli insufficienti. La soluzione è sempre di più: più controllo, più regolamenti, più esperti “qualificati” (come ho approfondito in L'illusione degli esperti). È un programma di riforma perpetuo che non si chiede mai se l'istituzione stessa possa essere il problema.

Pensiamo adesso a come tutto ciò si traduce in pratica. La FDA non riesce a proteggerci dai farmaci pericolosi, quindi chiediamo maggiore autorità per la FDA. La SEC non riesce a prevenire le frodi finanziarie, quindi ne espandiamo i poteri normativi. Il Dipartimento dell'Agricoltura non riesce a proteggere i piccoli agricoltori, quindi gli diamo più potere sulla produzione alimentare. Ogni fallimento diventa una giustificazione per espandere le stesse istituzioni che hanno fallito.

Questa mentalità riformista, per quanto convincente, trascura una verità fondamentale sul potere stesso.


La consapevolezza del realista

Mentre i riformatori inseguono il miraggio di una migliore supervisione, i realisti comprendono ciò che Machiavelli aveva capito secoli fa: il potere cerca di preservarsi e di espandersi.

La Rivoluzione americana fu innescata da tirannie molto meno invasive di quelle che oggi accettiamo silenziosamente. Una tassa sul tè e qualche soldato nelle case private scatenarono una rivolta; oggi rinunciamo alle nostre comunicazioni private, ai dati di geolocalizzazione e all'autonomia medica senza quasi protestare.

Non si tratta di individui malintenzionati. Molte persone entrano al servizio dello stato con un sincero desiderio di aiutare le proprie comunità. Il problema è sistemico. Proprio come la FDA inevitabilmente serve le aziende farmaceutiche e la SEC protegge Wall Street, ogni ente di regolamentazione alla fine serve la struttura di potere che presumibilmente dovrebbe monitorare.

Osservate come si ripete questo schema. Lo stato crea una scarsità artificiale nell'assistenza sanitaria attraverso restrizioni di licenze e brevetti, poi si propone come soluzione ai costi elevati. Svaluta la moneta stampandola all'infinito, poi scarica l'inflazione sulle imprese private. Ogni crisi diventa un'opportunità di espansione, ogni fallimento una giustificazione per un maggiore controllo.

Un tempo promettenti per democratizzare l'informazione, le piattaforme tecnologiche sono invece diventate gli strumenti perfetti per il controllo centralizzato, come dimostra la loro collaborazione con le agenzie governative durante il COVID. Abbiamo assistito a un coordinamento senza precedenti tra agenzie governative e piattaforme tecnologiche per sopprimere opinioni mediche dissenzienti, persino da parte di esperti altamente qualificati. La censura si è estesa alle discussioni sulle origini dai laboratori, sull'efficacia delle mascherine e sui trattamenti alternativi – posizioni poi confermate dalle prove. Queste etichette di “disinformazione” sono state cancellate dalla memoria con il cambiamento della narrazione, ma il precedente per il controllo è rimasto.

Lo stesso schema si ripete in ogni ambito. Le valute digitali delle banche centrali vengono pubblicizzate come convenienti e sicure, ma rappresentano un potenziale senza precedenti per la sorveglianza e il controllo finanziario. Analogamente le politiche climatiche creano quadri normativi complessi che favoriscono le grandi aziende, ampliando al contempo la sorveglianza attraverso obblighi di tecnologia “smart”. Ogni cosiddetta “soluzione” rafforza il potere centralizzato, scaricando i costi su chi è meno in grado di sostenerli.


L'inversione di scopo

Ogni agenzia governativa mina sistematicamente la propria missione dichiarata, non per incompetenza, ma per disegno intenzionale. Il Dipartimento della Difesa – forse nel rebranding più riuscito della storia – rinominato dal suo nome originale, Dipartimento della Guerra, ci ha tenuti in un conflitto perpetuo, consumando il più grande bilancio militare della storia e fallendo il suo settimo audit consecutivo nel 2024. Il Dipartimento dell'Istruzione ha supervisionato un calo dei punteggi dei test e dei tassi di alfabetizzazione, con solo il 34% degli studenti di quarta elementare che leggono a livello scolastico. Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani presiede una nazione in cui i tassi delle malattie croniche sono raddoppiati sin dal 1980.

Persino il Dipartimento del Tesoro, incaricato di mantenere la stabilità della nostra valuta, ha assistito a un calo del 96% del potere d'acquisto del dollaro sin dal 1913. L'Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA) spesso protegge le aziende inquinanti, limitando al contempo le soluzioni a livello individuale e comunitario. La FDA funge da dipartimento marketing dell'industria farmaceutica piuttosto che da agenzia per la tutela dei consumatori, con il 45% del suo budget per la revisione dei farmaci proveniente dalle commissioni dell'industria farmaceutica.

Questa non è incompetenza; è una progettazione intenzionale. Ogni agenzia diventa un meccanismo per concentrare il potere proprio negli stessi settori che dovrebbe regolamentare.


Rivendicare la sovranità

L'Islanda medievale prosperò per 300 anni senza un governo centralizzato, dove le controversie venivano risolte attraverso un sofisticato sistema di tribunali e risarcimenti, anziché con sanzioni statali. La Lega Anseatica, una rete di città commerciali libere, dominò il commercio nordeuropeo per tre secoli attraverso accordi commerciali volontari e patti di mutua difesa, anziché attraverso il controllo statale, a dimostrazione del fatto che la cooperazione volontaria può creare una prosperità duratura.

Oggi stiamo assistendo all'emergere di versioni moderne. Le reti alimentari locali stanno aggirando l'agricoltura industriale controllata dalla burocrazia. I giornalisti indipendenti stanno aggirando i controlli dei media aziendali. Stanno emergendo economie parallele basate sullo scambio diretto e sulla fiducia della comunità piuttosto che sul controllo centralizzato. I soli mercati agricoli su piccola scala sono cresciuti da 1.755 a oltre 8.600 negli ultimi due decenni, migliorando la sicurezza alimentare, riducendo l'impatto ambientale e mantenendo la ricchezza all'interno delle comunità.

Queste non sono solo proteste contro il sistema attuale: sono progetti per un futuro più libero. Ogni cooperativa di homeschooling e ogni rete commerciale locale dimostrano come la prosperità umana avvenga in modo spontaneo quando le persone collaborano volontariamente.

La vera battaglia non è tra i nemici artificiali presentati dalle organizzazioni giornalistiche di parte, progettate per dividerci, ma tra coloro che ancora credono nella benevolenza del potere centralizzato e coloro che lo vedono per quello che è. Il primo gruppo continua a cercare di riformare un sistema il cui scopo primario è il controllo. Il secondo gruppo è impegnato a costruire alternative. La vera soluzione non sta nella riforma, ma nella creazione. Ogni iniziativa locale, ogni rete indipendente, ogni atto di cooperazione volontaria indebolisce la presa del controllo centralizzato. La questione non è se possiamo riparare istituzioni in rovina; è se costruiremo alternative migliori prima che la prossima crisi giustifichi un potere centralizzato ancora maggiore.

La buona notizia? Una volta che vedete il sistema per quello che è, non potete più non vederlo. Con ogni azione decentralizzata, ogni rete costruita e ogni comunità rafforzata, piantiamo i semi di un vero cambiamento. La sovranità non viene data, viene rivendicata.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 25 aprile 2025

In che modo gli inglesi hanno venduto il globalismo all'America

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Richard Poe

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/in-che-modo-gli-inglesi-hanno-venduto)

Il 13 aprile 1919 un distaccamento di cinquanta soldati britannici aprì il fuoco sui manifestanti ad Amritsar, in India, uccidendone a centinaia.

I soldati erano indiani, in uniforme britannica.

Il loro comandante era un inglese.

Quando il colonnello Reginald Dyer diede l'ordine, cinquanta indiani aprirono il fuoco sui loro connazionali senza esitazione e continuarono a sparare per dieci minuti.

Questo si chiama soft power.

Su di esso è stato edificato l'Impero britannico.

Il soft power è la capacità di sedurre e convincere gli altri a fare ciò che non vogliono.

Alcuni lo chiamerebbero controllo mentale.

Grazie all'uso del soft power, un piccolo Paese come l'Inghilterra è riuscito a dominare Paesi più grandi e popolosi.

Persino i potenti Stati Uniti cedettero all'influenza britannica in modi che la maggior parte degli americani non comprese.

Per più di cento anni noi americani siamo stati spinti inesorabilmente verso la globalizzazione, contro i nostri interessi e contro la nostra naturale inclinazione.

La spinta verso la globalizzazione proviene principalmente da gruppi di facciata britannici che si spacciano per think tank americani. Tra questi il più importante è il Council on Foreign Relations.


Origine del Council on Foreign Relations

Il Council on Foreign Relations è nato dal Movimento della Tavola Rotonda britannico.

Nel mio ultimo articolo, “Come gli inglesi hanno inventato il globalismo”, ho spiegato come i leader britannici iniziarono a formulare piani per un governo globale nel corso del XIX secolo.

Grazie ai finanziamenti del Rhodes Trust, nel 1909 venne fondato un gruppo segreto chiamato Tavola Rotonda. Fondò sezioni nei Paesi di lingua inglese, tra cui gli Stati Uniti, per promuovere una federazione mondiale di popoli di lingua inglese uniti in un unico superstato.

L'obiettivo a lungo termine della Tavola Rotonda, come chiarito da Cecil Rhodes nel suo testamento del 1877, era raggiungere la pace nel mondo attraverso l'egemonia britannica.

Nel frattempo Rhodes cercò anche (e cito) il “recupero definitivo degli Stati Uniti d'America come parte integrante dell'Impero britannico”.


I Dominion

Si scoprì che le colonie anglofone della Gran Bretagna non volevano far parte della federazione di Rodhes. Volevano l'indipendenza.

Così i membri della Tavola Rotonda proposero un compromesso: offrirono lo status di “Dominion”, o una parziale indipendenza.

Il Canada doveva essere il modello. Aveva ottenuto lo status di Dominion nel 1867 e ciò significava che si autogovernava internamente, mentre la Gran Bretagna gestiva la sua politica estera. I canadesi rimanevano sudditi della Corona.

Gli inglesi proposero lo stesso accordo anche alle altre colonie di lingua inglese.

Era prevista una guerra contro la Germania, quindi i membri della Tavola Rotonda dovettero agire in fretta.

La Gran Bretagna aveva bisogno di placare i Dominion con l'autogoverno, in modo che accettassero di fornire truppe per la guerra imminente.

L'Australia divenne un Dominion nel 1901, la Nuova Zelanda nel 1907 e il Sudafrica nel 1910.


Corteggiare gli Stati Uniti

Gli Stati Uniti rappresentavano una sfida particolare. Eravamo indipendenti dal 1776. Inoltre i nostri rapporti con la Gran Bretagna erano stati burrascosi, rovinati da una sanguinosa Rivoluzione, dalla Guerra del 1812, dalle dispute di confine con il Canada e dall'ingerenza britannica nella nostra Guerra Civile.

A partire dagli anni Novanta dell'Ottocento, gli inglesi lanciarono un'offensiva di pubbliche relazioni chiamata “Grande riavvicinamento” per promuovere l'unità anglo-americana.

Nel 1893 il magnate dell'acciaio di origine scozzese, Andrew Carnegie, chiese apertamente un'“Unione anglo-americana”. Sostenne il ritorno dell'America all'Impero britannico.

Nel 1901 il giornalista britannico, W. T. Stead, sostenne la necessità di creare “Stati Uniti di lingua inglese nel mondo”.


Una soluzione “canadese” per l’America

Dal punto di vista britannico il Grande Riavvicinamento fu un fiasco.

Quando la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania nel 1914, le truppe arrivarono da ogni angolo dell'Impero ma non dall'America. Gli Stati Uniti inviarono truppe solo nell'aprile del 1917, dopo due anni e mezzo di accanite pressioni britanniche.

Per gli inglesi quel ritardo era intollerabile. Dimostrava che non ci si poteva fidare degli americani per prendere decisioni importanti.

La Tavola Rotonda cercò una soluzione “canadese”, manipolando gli Stati Uniti per ottenere un accordo di tipo Dominion, con la Gran Bretagna che controllava la nostra politica estera.

Tutto ciò doveva essere fatto in silenzio, attraverso canali segreti.

Durante i colloqui di pace di Parigi del 1919, gli agenti della Tavola Rotonda collaborarono con anglofili statunitensi accuratamente selezionati (molti dei quali membri della Tavola Rotonda) per ideare meccanismi formali in modo da coordinare la politica estera statunitense e britannica.


Il meccanismo di controllo

Il 30 maggio 1919 venne fondato l'Anglo-American Institute of International Affairs (AAIIA), con filiali a New York e Londra.

Per la prima volta fu istituita una struttura formale per armonizzare al massimo livello le linee di politica degli Stati Uniti e del Regno Unito.

Tuttavia il momento storico era pessimo. In America stava crescendo un sentimento anti-britannico, molti accusavano l'Inghilterra di averci trascinato in guerra. Allo stesso tempo i globalisti inglesi denunciavano gli americani come scansafatiche per non aver sostenuto la Società delle Nazioni.

Poiché l'unità anglo-americana era temporaneamente in discredito, nel 1920 i membri della Tavola Rotonda decisero di separare le filiali di New York e Londra, per salvare le apparenze.

Dopo la separazione la filiale londinese fu ribattezzata British Institute of International Affairs (BIIA). Nel 1926 il BIIA ricevette uno statuto reale, diventando il Royal Institute of International Affairs (RIIA), comunemente noto come Chatham House.

Nel frattempo, nel 1921, la filiale di New York divenne il Council on Foreign Relations.

Dopo la separazione da Chatham House, il Council on Foreign Relations continuò a collaborare strettamente con la controparte britannica, nel rispetto di un rigido codice di segretezza denominato “regole di Chatham House”.


L'agenda del Council on Foreign Relations

Il Council on Foreign Relations afferma sul suo sito web di “non prendere posizioni istituzionali su questioni politiche”, ma questo non è vero.

“L'impronta dell'internazionalismo” è evidente in tutte le pubblicazioni del Council on Foreign Relations, osserva il politologo britannico, Inderjeet Parmar, nel suo libro del 2004 “Think Tanks and Power in Foreign Policy”. Negli scritti del Council on Foreign Relations è evidente anche una marcata ostilità a ciò che esso definisce “isolazionismo”.

Parmar conclude che il Council on Foreign Relations persegue due obiettivi:

  1. Unità anglo-americana
  2. Globalismo

Si tratta degli stessi obiettivi stabiliti nel testamento di Rhodes, il quale auspicava un'unione globale anglo-americana così potente da “rendere in seguito impossibili le guerre [...]”.


“La nave madre”

Protetto dalle “regole di Chatham House”, il Council on Foreign Relations ha a lungo operato nell’ombra e la sua stessa esistenza è sconosciuta alla maggior parte degli americani.

Ciononostante nel corso degli anni sono trapelate voci sul suo potere.

“Poche istituzioni di spicco nella società americana sono state messe alla gogna con tanta costanza quanto il Council on Foreign Relations”, scrisse lo storico Robert J. McMahon nel 1985. “Per i complottisti di destra, così come per i critici radicali di sinistra, l'organizzazione con sede a New York ha spesso evocato il timore di una piccola élite che tira i fili della politica estera americana con una certa cattiveria”.

In realtà il controllo del Council on Foreign Relations sulla politica estera degli Stati Uniti non è un complotto, ma piuttosto un fatto ben noto tra gli addetti ai lavori di Washington, i quali hanno soprannominato il Council on Foreign Relations “il vero Dipartimento di Stato”.

Nel 2009 il Segretario di Stato Hillary Clinton ammise di aver ricevuto istruzioni dal Council on Foreign Relations definendo la sede centrale di New York “la nave madre”.

Parlando presso il suo nuovo ufficio a Washington, la Clinton dichiarò: “Sono stata spesso nella sede principale di New York, ma è positivo avere una sede distaccata proprio qui, a due passi dal Dipartimento di Stato. Riceviamo molti consigli da questo organo, quindi significa che non dovrò andare lontano per sentirmi dire cosa dovremmo fare e come dovremmo pensare al futuro”.


Il Council on Foreign Relations contro Trump

Trump non condivideva l'entusiasmo di Hillary per i “consigli” britannici.

Al contrario le politiche di Trump si opponevano espressamente alle posizioni britanniche sul cambiamento climatico, sulle frontiere aperte, sugli accordi commerciali truccati e sulle guerre senza fine. La politica “America First” di Trump incarnava ciò che il Council on Foreign Relations definisce “isolazionismo”.

Tutto ciò era troppo per gli inglesi e i loro collaboratori statunitensi.

È nata la “Resistenza” anti-Trump.

Il 16 giugno 2015 Trump annunciò la sua candidatura alla presidenza.

Verso la fine del 2015 l'agenzia britannica di intercettazioni, il GCHQ, avrebbe scoperto delle “interazioni” tra la campagna di Trump e l'intelligence russa.

Nell'estate del 2016 il GCHQ trasmise questo “materiale” all'allora capo della CIA, John Brennan.

Un titolo del 13 aprile 2017 del quotidiano britannico The Guardian annunciava con orgoglio: “Le spie britanniche sono state le prime a individuare i legami del team di Trump con la Russia”.

L'articolo spiegava: “Fonti di intelligence statunitensi e britanniche riconoscono che il GCHQ ha avuto un ruolo iniziale e di primo piano nell'avvio dell'indagine dell'FBI su Trump e la Russia [...]. Una fonte ha definito l'agenzia britannica di intercettazioni il 'principale informatore'”.

Così l’intelligence britannica ha preparato il terreno per l’inchiesta Mueller e per l’impeachment del “Russiagate” più di un anno prima dell’elezione di Trump.


Richieste di ammutinamento militare

Solo 10 giorni dopo l'insediamento di Trump nel 2017,  la rivista Foreign Policy chiese un “colpo di stato militare” contro il nuovo presidente.

L'articolo del 20 gennaio 2017 recava il titolo “3 modi per sbarazzarsi del presidente Trump prima del 2020”. In esso la professoressa di diritto Rosa Brooks chiedeva l'impeachment di Trump o la sua rimozione ai sensi del 25° emendamento.

Come ultima risorsa, disse la Brooks, si poteva provare un metodo “che fino a poco tempo fa avrei ritenuto impensabile negli Stati Uniti d’America: un colpo di stato militare [...]”.

Foreign Policy è di proprietà della famiglia Graham, la cui matriarca Katharine Graham contribuì a rovesciare Nixon quando era direttrice del Washington Post.

I Graham sono degli esperti di Washington. Non avrebbero mai invocato un “colpo di stato militare” senza il via libera della “nave madre”.


Destabilizzare l'America

La prova della complicità del Council on Foreign Relations è arrivata nel novembre 2017, quando la rivista Foreign Affairs ha fatto eco a Foreign Policy esortando i “leader militari di alto rango” a “resistere agli ordini” di Trump e a prendere in considerazione la sua rimozione ai sensi del 25° emendamento.

Foreign Affairs è la rivista ufficiale del Council on Foreign Relations.

Durante la presidenza Trump il Dipartimento degli Esteri lo accusò ripetutamente di instabilità mentale, esortando i “leader militari” e i “funzionari di gabinetto” a tenersi pronti a estrometterlo.

Provenienti dalla “nave madre”, questi incitamenti avevano un'autorità insolitamente forte. Soffiarono sulle fiamme della retorica di Washington fino a livelli indicibili, scuotendo la nazione e affermando l'insurrezione e il colpo di stato come la “nuova normalità” nella politica statunitense.

Considerata l'innegabile discendenza britannica del Council on Foreign Relations, la retorica della rivista Foreign Affairs solleva interrogativi sulle motivazioni britanniche.

Chiaramente Whitehall considerava Trump una minaccia esistenziale. Ma perché? Perché le obiezioni di Trump sulla politica commerciale erano considerate così minacciose per gli interessi britannici da giustificare un ammutinamento militare?


Neutralizzare la minaccia americana

Credo che la risposta si possa trovare negli scritti originali del gruppo Rhodes.

Nel suo libro del 1901, The Americanization of the World, il giornalista britannico W. T. Stead, stretto collaboratore di Rhodes, sosteneva che l'Inghilterra avesse solo due scelte: fondersi con l'America o essere sostituita da essa.

La scelta era chiara: unirsi agli Stati Uniti avrebbe potuto salvare la Gran Bretagna, mentre qualsiasi tentativo di competere con gli Stati Uniti si sarebbe concluso solo con una sconfitta.

Già negli anni Novanta dell'Ottocento, i leader britannici sapevano che sorvegliare il loro Impero era diventato troppo costoso. Concedere l'autogoverno ai Dominion permise di risparmiare denaro, rendendoli responsabili della propria difesa, ma la spesa militare era ancora troppo elevata.

Nel 1906 il banchiere britannico Lord Avebury si lamentò del fatto che gli Stati Uniti si stessero arricchendo a spese della Gran Bretagna. Mentre gli Stati Uniti traevano profitto dalla Pax Britannica, la Gran Bretagna spendeva il 60% in più dell'America per le sue spese militari, per garantire la sicurezza del mondo per gli affari.

Oggi, grazie al Council on Foreign Relations, la situazione è capovolta a favore della Gran Bretagna.

Ora l'America controlla il mondo, mentre gli investitori britannici si arricchiscono grazie alla Pax Americana. La spesa militare britannica è ormai una frazione della nostra.

Alla luce di questi fatti, diventa più facile capire perché gli inglesi non vogliono che Trump rovini la situazione.


I nuovi imperialisti

Le élite britanniche non si accontentavano di scaricare il costo dell'impero sull'America, volevano anche mantenere il controllo della politica imperiale, ottenendo così la botte piena e la moglie ubriaca. Con l'aiuto del Council on Foreign Relations, sono arrivate molto vicine a raggiungere questo obiettivo.

Il movimento “Nuovo Imperialismo” in Gran Bretagna mira a ricostruire l'influenza globale del Regno Unito, appoggiandosi alle forze armate statunitensi. Lo storico britannico Andrew Roberts annunciò questo nuovo movimento in un articolo del Daily Mail dell'8 gennaio 2005.

Il titolo riassume bene la loro filosofia: “Ricolonizzare l'Africa”.

Sostenendo che “l'Africa non ha mai conosciuto tempi migliori che durante il dominio britannico”, Roberts invocava senza mezzi termini la “ricolonizzazione”. Affermava che importanti statisti britannici sostenevano “in privato” questa linea di politica, ma “non si sarebbero mai sognati di approvarla pubblicamente [...]”.

Roberts si vantava che la maggior parte delle dittature africane sarebbero crollate al “semplice arrivo all’orizzonte di una portaerei proveniente da un Paese di lingua inglese [...]”.

Non specificò quale “Paese anglofono” avrebbe dovuto fornire portaerei per simili avventure, ma ve lo lascio immaginare.


La rivoluzione incompiuta dell'America

Sono passati più di cento anni da quando W. T. Stead avvertì che la Gran Bretagna avrebbe dovuto fondersi con l'America, o essere sostituita da essa. Poco è cambiato.

Le élite britanniche si trovano ancora di fronte alla stessa scelta. Non possono accettare un mondo guidato dagli americani, quindi devono trovare il modo di controllarci.

Da parte nostra, non dobbiamo accettare il loro controllo.

La sfida della nostra generazione è quella di rompere l'incantesimo del soft power britannico.

Completiamo l'opera della nostra rivoluzione incompiuta.


I nuovi imperialisti spingono CANZUK

Sedici anni dopo aver annunciato il “Nuovo Imperialismo”, Andrew Roberts e i suoi compagni imperialisti continuano a sostenere il sogno di Cecil Rhodes di un'unione di lingua inglese.

In un editoriale sul Wall Street Journal dell'8 agosto 2020, Roberts promosse il cosiddetto Trattato CANZUK, il quale mira a unire Canada, Australia, Nuova Zelanda e Gran Bretagna in un superstato globale “in grado di stare fianco a fianco con gli Stati Uniti” contro “una Cina sempre più revanscista”.

Come sempre, Roberts sta facendo progetti per noi.

Come al solito, i suoi piani prevedono di trascinarci in guerra.


Le élite britanniche non ci capiranno mai

Nel suo libro del 2006, A History of the English-Speaking Peoples Since 1900, Roberts suggerisce con leggerezza che l'America potrebbe vivere meglio sotto una monarchia.

Un governo monarchico ci avrebbe risparmiato il trauma del Watergate; un monarca sarebbe intervenuto e avrebbe licenziato Nixon, proprio come la regina Elisabetta II licenziò il primo ministro australiano Gough Whitlam nel 1975.

Non c'è bisogno di alcun processo democratico.

Roberts non arriva a capire come un simile intervento reale sarebbe stato recepito dalla “maggioranza silenziosa” che aveva votato per Nixon e lo aveva sostenuto.


MAGA contro MABA

In conclusione, Trump ha voluto realizzare il programma “Make America Great Again” (MAGA) ripristinando la nostra indipendenza e autosufficienza.

Il Council on Foreign Relations si propone di rendere l'America di nuovo britannica (MABA).

È semplice.

Se c'è una cosa che ci hanno insegnato gli anni di Trump è che MAGA e MABA non vanno d'accordo.

Nel momento in cui abbiamo un presidente che difende la sovranità americana, gli inglesi impazziscono, spingendo il nostro Paese sull'orlo della guerra civile.

È chiaro che non possiamo essere “grandi” e “britannici” allo stesso tempo.

Dobbiamo scegliere l'uno o l'altro.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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giovedì 24 aprile 2025

Il valore fondamentale di Bitcoin

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Kane McGukin

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-valore-fondamentale-di-bitcoin)

In questo articolo spiegherò come Bitcoin sia strutturato come il TCP/IP, i due protocolli alla base di Internet. Senza protocolli, non ci sarebbe rivoluzione digitale e le nostre vite sarebbero radicalmente diverse.

In tutto il testo troverete estratti da Valley of Code di Flavio Copes che utilizzerò per spiegare perché il valore di Bitcoin risiede più nel protocollo che nell'asset in sé.

Il sito di Flavio è dedicato alla programmazione e all'apprendimento di altre competenze legate al web. Diversi anni fa mi sono imbattuto nel suo lavoro e sono rimasto molto colpito dalla semplicità con cui uno dei suoi tutorial spiegava il fondamento di Internet: il TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol).

In passato ho scritto alcuni articoli correlati qui e qui. In questo aggiornamento spero di spiegare il valore fondamentale che sta dietro l'importanza di Bitcoin/bitcoin.

I fattori fondamentali sono più importanti del prezzo.

Nel lungo termine i fondamentali sono il vero motore di qualsiasi asset; si basano su una bassa preferenza temporale (Bitcoin Standard). Sebbene questo mantra sia un principio fondamentale della comunità Bitcoin, si osservano ancora comportamenti orientati al mercato fiat e con un'elevata preferenza temporale... soprattutto verso la fine dei mercati rialzisti.

Questo è il classico comportamento del TradFi. Un'emozione umana che sono quasi convinto non riusciremo mai a eliminare finché il prezzo sarà parte dell'equazione. Il “denaro”, o meglio la valuta, ci fa fare cose folli!

Ciò che mi ha colpito della descrizione di Flavio è stata la semplicità con cui ha spiegato un argomento piuttosto complesso, e la sua efficacia nel descrivere Bitcoin. Sono passati più di vent'anni da quando mi sono immerso in protocolli, architettura di rete e altri dettagli correlati. Questo è stato un buon ripasso. Una descrizione basilare di Internet è la seguente:

Al centro di Bitcoin troverete molte di queste stesse caratteristiche, con nodi collegati in rete per supportare gli indirizzi dei wallet Bitcoin che effettuano transazioni, compilate ed elaborate da miner che agiscono in modo simile agli ISP tradizionali (Internet Service Provider). Essi confermano e raggruppano le transazioni in modo che i trasferimenti avvengano attraverso la rete Bitcoin.

Questa tecnologia ci sta facendo passare da una società industriale a una digitale, e il passaggio è tanto drastico quanto l'ultimo salto da una società agraria a una società industriale (XVIII-XX secolo).

I futuri vincitori saranno ricompensati altrettanto generosamente e i perdenti si troveranno altrettanto debilitati quanto coloro che hanno assistito all'ultimo grande trasferimento di ricchezza. L'unica cosa certa è che opereremo tutti in un “nuovo mondo” con standard diversi.

Il potere del mondo digitale è che tutto sarà connesso.

In un mondo interconnesso il valore della rete è molto più potente di quello di silos scarsamente interconnessi. La differenza nel XXI secolo è che abbiamo “reso di nuovo grande la matematica”. La statistica basata sulla Legge della potenza (crescita esponenziale) e la Legge di Metcalfe sono i motori della nuova era, che opera con i dati come il nuovo petrolio.

Abbiamo già assistito a questa storia: l'evoluzione e l'adozione dell'Internet tradizionale (TCP/IP). Abbiamo visto cosa succede quando informazioni, affari e comunicazioni vengono resi accessibili a quasi tutti, ovunque. Ora, con l'avvento di Bitcoin, vedremo la stessa cosa accadere con il denaro. In pratica, avremo una moneta API.

Nel nuovo mondo banche, portafogli digitali, nodi, persone, aziende, media, ecc. avranno tutti un indirizzo che potrà inviare dati o ricevere denaro. Crea opzionalità. Qualcosa di vero per le persone.

Non abbiamo mai avuto una situazione simile prima con questo livello di potenziale integrazione, ma abbiamo visto le ramificazioni della digitalizzazione in quasi tutti i settori. Quest'ondata sarà molto più grande e molto più drastica, soprattutto se si considera il potenziale dell'intelligenza artificiale, ma questo esula dall'ambito di questa discussione.

Le reti locali (digitali) sono ormai una parte fondamentale delle nostre vite. Una rete locale di qualche tipo influenza praticamente tutto ciò che facciamo. Poiché le nostre reti sono ancora piuttosto isolate, è fantastico avere accesso, ma non altrettanto quando non possiamo connetterci. A meno di non disporre di un FTP, di un cloud o di un accesso remoto a un server, potremmo essere esclusi.

Leggendo tra le righe, sembra molto simile alla situazione attuale del sistema bancario.

In generale i banchieri, in particolare quelli nelle banche centrali, hanno respinto la trasformazione digitale con regolamentazione, burocrazia e interessi fasulli per una serie di ragioni. Lascio a voi indovinarle, anche se sono piuttosto ovvie.

Bitcoin e altre criptovalute stanno colmando non solo il divario tra denaro frammentato e disconnesso, ma stanno anche aprendo la strada a una nuova infrastruttura digitale più connessa, più integrata e più disponibile dell'attuale configurazione TCP/IP.

Certo, alcune sono più sicure (Bitcoin) di altre (crypto), ma insieme daranno vita a una nuova ondata di innovazione che aprirà la strada ai prossimi Google, Amazon, Netflix, ecc.

Il protocollo Bitcoin funziona allo stesso modo del TCP, ma con sicurezza e crittografia come fondamento basilare. Restituendo la proprietà all'utente anziché alla piattaforma.

Una comunicazione più diretta, tra pari, avviene senza la necessità di un intermediario che storicamente ha sottratto i dati per il proprio tornaconto personale, o ha imposto una qualche forma di censura ogni volta che alla piattaforma è sembrato opportuno farlo.

Questa è fondamentalmente la differenza del protocollo Bitcoin, che si basa sul TCP/IP, il protocollo Internet tradizionale.

Per semplificare le cose su Internet, non dobbiamo ricordare indirizzi IP, server, ecc. dobbiamo solo digitare il nome del dominio (google.com, espn.com, enterwebsitename.com) e le informazioni verranno visualizzate.

Bitcoin è attualmente (e sta cambiando rapidamente) in uno stato in cui inseriamo gli indirizzi IP e dobbiamo conoscere i dettagli dei server, ecc. MA questo cambierà e sta cambiando. Immagino che, presto, la prossima ondata porterà una serie di applicazioni con un'interfaccia utente/esperienza utente migliore, in modo che gran parte di queste informazioni rimanga nascosta.

Si stanno iniziando a vedere nomi di dominio e funzioni di email a pagamento simili a quelle con cui ci sentiamo a nostro agio sull'Internet tradizionale. È così che Bitcoin diventa mainstream: quando i lunghi e complessi indirizzi vengono rimossi, proprio come non è più necessario usare indirizzi IP su internet.

Un amico, Mark Jeftovic, che gestisce un'attività di domini Internet tradizionali, ha svolto alcuni studi preliminari su come potrebbero apparire i domini nell'ecosistema Bitcoin. Questo tipo di innovazione è in arrivo ed è necessaria se vogliamo che 4-6 miliardi di persone accedano a Bitcoin.

Ciò che è importante quando si fa riferimento a queste prime RFC di Internet è che sono strutturate esattamente come i Bitcoin Improvement Process. Queste RFC sono il modo in cui la DARPA costruì le prime fasi di Internet. RFC 793

Era il modo in cui hanno votato e discusso intellettualmente quali *standard* fossero necessari per gestire un sistema informativo funzionale e accessibile a tutto il mondo. Erano alcuni degli “hackerì” più intelligenti tra i più intelligenti, impegnati a costruire un sistema che avrebbe alimentato la successiva grande ondata dell'evoluzione umana: la rivoluzione digitale.

Quindici anni fa, Satoshi fece lo stesso. Chiunque fosse, lui, lei, loro o qualsiasi gruppo che abbia creato il protocollo Bitcoin, comprese il valore di costruire un sistema globale.

Sembra che Satoshi abbia copiato questo modello, scoprendo anche come incorporare la crittografia. Soprattutto Satoshi ha risolto il problema della doppia spesa. Per la prima volta il denaro digitale non poteva essere copiato, consentendo allo stesso e ai dati di vivere sulla stessa catena. A mio parere, questo ha implicazioni molto più profonde del cloud computing e abbiamo un riferimento a come è andata a finire.

Entrando in una nuova era, abbiamo creato una moneta digitale in grado di sfruttare nuove fonti di energia, integrare e alimentare meglio il commercio, e proseguire una storia di innovazione tecnologica in tutto il mondo. Non solo in aree centralizzate del globo.

Oggi gli sviluppatori di Bitcoin Core portano avanti questa fiaccola, “hackerando” e portando avanti dibattiti di alto livello ed estremamente intelligenti per costruire un sistema monetario più connesso e sicuro.

Come con il TCP/IP, Bitcoin è alla ricerca di un protocollo secondario (livello 2) che sia l'opzione più leggera, veloce, meno macchinosa e più economica. UDP mi ricorda il protocollo Lightning Network, o potenzialmente Fedimint o qualsiasi altro livello 2 che alla fine diventerà: “Più veloce, ogni pacchetto inviato è più leggero, poiché non contiene tutte le informazioni necessarie in TCP, e ha un processo di handshake più leggero. Lo svantaggio è che UDP non è affidabile quanto TCP”. RFC 768

Nel sistema monetario tradizionale, il denaro funziona più o meno allo stesso modo. Negli Stati Uniti abbiamo l'oro come valuta di base, mentre i titoli del Tesoro e i dollari come valuta di base più leggera e veloce (livello 2). In Cina lo yuan è la valuta di base e il renminbi il livello 2.

Sebbene Bitcoin sia un protocollo innovativo, è solo un'ulteriore aggiunta per connettere meglio i nostri sistemi globali, le persone e il denaro. È anche un caso di “niente di nuovo sotto il sole”.

Con l'innovazione il tempo, i nomi, la tecnologia e il denaro cambiano, ma le emozioni umane no. Il viaggio sarà lo stesso, ma diverso a seconda dei nostri comportamenti e delle raccomandazioni di chi si sente minacciato.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 23 aprile 2025

Tokenizzazione: la nuova frontiera per i mercati dei capitali

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Michael Lebowitz

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/tokenizzazione-la-nuova-frontiera)

Il mondo delle criptovalute ha un valore enorme! La tokenizzazione digitale degli asset, resa possibile dalla struttura crypto-blockchain, può aumentare l'efficienza nei mercati dei capitali, oliando così gli ingranaggi che muovono l'economia.

Le nostre opinioni sulle criptovalute e sulle meme coin non sono cambiate, ma la tokenizzazione degli asset digitali è diversa e potrebbe ridisegnare radicalmente i mercati finanziari a vantaggio dei mercati dei capitali e dell'economia.


Che cos'è la tokenizzazione?

La tokenizzazione degli asset è l'atto di digitalizzare la proprietà di un asset. A un livello molto alto, non è poi così diverso dal modo in cui la vostra banca gestisce un conto corrente. Essa non ha un caveau pieno di contanti, invece ha un computer con una serie di 1 e 0 che rappresentano il vostro saldo di cassa. Le banche, in sostanza, digitalizzano il nostro denaro.

I token di asset digitali rappresentano asset del mondo reale, proprio come gli 1 e gli 0 delle banche rappresentano il vostro denaro. La gamma di asset che possono essere tokenizzati è illimitata. Prima di entrare nei dettagli della tokenizzazione degli asset, vale la pena condividere alcuni esempi unici di come la tokenizzazione degli asset avvantaggi i venditori e gli acquirenti dei token. Prendiamo in considerazione le seguenti possibilità...


Diritti di proprietà cinematografici

Un produttore cinematografico può emettere token per finanziare la produzione di un film. Questo non solo finanzierebbe la relativa creazione, ma potrebbe anche consentire al produttore una maggiore libertà artistica, evitando le grandi case di produzione che spesso dettano i budget e molti aspetti del film.

In cambio del loro finanziamento, i possessori di token potrebbero ricevere una percentuale dei futuri incassi del film e i diritti, anche parziali, sul film stesso. Inoltre potrebbero anche ricevere biglietti omaggio per la première come bonus.


Sviluppo di farmaci

Uno scienziato o un'azienda farmaceutica potrebbero reperire capitali per la ricerca su un nuovo farmaco antitumorale tramite token. In cambio del finanziamento, i proprietari dei token potrebbero ricevere i diritti e i ricavi futuri derivanti dal farmaco. Ciò non solo fornirebbe una nuova fonte di finanziamento per l'industria farmaceutica, ma rappresenterebbe anche un nuovo modo per i cittadini di donare a una causa a cui tengono e da cui potrebbero trarre un beneficio economico.


Arte

Un dipinto potrebbe essere tokenizzato per condividere la proprietà di un'opera o di una collezione d'arte. I possessori di token, da parte loro, potrebbero ricevere entrate se l'opera d'arte viene affittata ai musei. Inoltre i possessori di token sono proprietari di una frazione di un'opera d'arte di valore. Sebbene le entrate possano o meno avvantaggiare il possessore di token, alcuni attribuiscono un notevole valore non finanziario al possesso di tali opere d'arte. 


Guadagni futuri di un atleta

Un atleta sedicenne con un talento eccezionale nel baseball, ma con pochi soldi, potrebbe trasformare in token i suoi futuri guadagni nel baseball. I possessori di tali token che sanno individuare il talento in giovane età possono fornire un reddito al ragazzo nel presente e condividere i suoi guadagni se un giorno dovesse arrivare alle Major League.


Camere d'albergo

Un investitore o un'azienda potrebbe acquistare un hotel e finanziarne l'acquisto con i token delle singole camere. I possessori dei token potrebbero ricevere entrate future ogni volta che la camera viene affittata. Inoltre i token potrebbero garantire all'investitore uno sconto per quella camera o per altre di proprietà del proprietario dell'hotel.

Ecco alcune altre idee per evidenziare quanto sia vasto e distintivo il potenziale di raccolta e investimento di capitali:

• Esplorazione subacquea di relitti

• Diritti sui podcast

• Valori di compensazione sulle emissioni di anidride carbonica

• Vigneti

• Vincite dei giocatori di poker

• Un brevetto o un copyright

• Camion che trasportano cibo

• Macchine arcade/distributori automatici

• Una squadra sportiva

Nelle sezioni seguenti approfondiremo un po' i dettagli della tokenizzazione. Tuttavia, che voi smettiate di leggere qui o meno, speriamo che l'insegnamento che trarrete da questo articolo è che il processo di tokenizzazione apre nuove porte a chi è alla ricerca di finanziamenti. Allo stesso tempo aumenta significativamente il numero di opportunità di investimento uniche e diversificate per gli investitori.

In parole più semplici, rende i mercati dei capitali più efficaci!


Come funziona

Di seguito è riportato un riepilogo passo passo del processo di tokenizzazione:

• Identificazione della risorsa: selezionare una risorsa tangibile o intangibile da tokenizzare.

• Verifica della proprietà e della conformità legale: confermare il legittimo proprietario della risorsa e la conformità legale e normativa con la relativa vendita.

• Definizione della struttura: scegliere le proprietà del token, come il suo valore, la sua divisibilità e il numero da emettere.

• Creazione di uno smart contract: sviluppare uno smart contract basato su blockchain per governare l'emissione, le regole e i diritti di trasferibilità del token.

• Conio dei token: rendere attivo lo smart contract sulla blockchain e generare i token digitali.

• Vendita dei token: commercializzare e vendere i token. Esistono numerosi modi per farlo, tra cui un'offerta iniziale di coin (ICO), un'offerta di security token (STO), una vendita privata o l'emissione diretta a specifici investitori o stakeholder. Ai token si applicano tutte le norme di accreditamento e qualificazione degli investitori.

• Gestione e trading: consentire ai possessori di token di fare trading ed eventualmente riscattare i token mantenendo la completa trasparenza di tutte le attività sulla blockchain.


Piattaforme e luoghi dove scambiare i token

Piattaforme specializzate e gli exchange trasformano i token digitali da un'idea in un meccanismo di finanziamento fino a un asset negoziabile.

Le piattaforme dei token sono come una fabbrica del proprio prodotto: include avvocati, analisti tecnici e back office responsabili della creazione della sicurezza digitale. Pertanto è qui che i token vengono creati, ospitati e gestiti. Ciò comprende la conformità normativa, l'avvio di smart contract e la creazione di token. Ethereum, Binance Smart Chain, Polygon e Solana sono alcune delle piattaforme più grandi. L'emittente di token è principalmente responsabile della gestione delle attività relative alla piattaforma.

Gli exchange di token, come le borse valori, sono il luogo in cui essi vengono scambiati dopo la loro creazione sulle piattaforme. Alcuni esempi includono Coinbase, Binance e Kraken. Trader, investitori e broker/dealer sono i principali utenti degli exchange.

Alcune aziende, come tZERO, offrono sia servizi di piattaforma che di exchange. Inoltre sono broker-dealer specializzati registrati presso la SEC per token digitali.

L'importanza della tecnologia blockchain risiede nella sua capacità di offrire una trasparenza maggiore rispetto all'attuale sistema finanziario. La proprietà di un token e l'intera cronologia delle transazioni sono accessibili a chiunque. Inoltre le piattaforme e gli exchange garantiscono che i token siano vincolati a un asset e verificati da fonti di dati esterne per garantire il valore e la veridicità degli asset che li supportano. Infine qualsiasi pagamento agli investitori o all'emittente può essere effettuato istantaneamente. Questo evita il processo di liquidazione che richiede diversi giorni o settimane e mesi di pratiche burocratiche, che molte transazioni di asset attualmente comportano.


Riepilogo

Ecco i principali vantaggi della tokenizzazione digitale:

• Migliore liquidità

• Più trasparenza

• Accesso al mercato 24 ore su 24

• Riduzione dei costi

• Frazionalizzazione

• Rende i mercati dei capitali più inclusivi per finanziatori e investitori

• Amplia il bacino delle attività investibili

In base a tali vantaggi, la tokenizzazione digitale rappresenta un significativo miglioramento rispetto all'attuale sistema finanziario. Nonostante le prospettive promettenti, però, il processo di adattamento è lento. Affinché il mercato dei token possa competere con i mercati dei capitali tradizionali, sono necessarie normative più esplicite e una maggiore comprensione e fiducia nella blockchain da parte degli investitori al dettaglio e istituzionali. Spetterà allo stato, al settore finanziario e alle alleanze degli investitori definire linee guida, normative e governance per contribuire a creare una base solida e affidabile.

I benefici economici della tokenizzazione sono enormi. I mercati finanziari per asset liquidi e illiquidi saranno più efficienti, più economici da finanziare e negoziare e meno esclusivi. Se la tokenizzazione decollerà come pensiamo, i benefici potrebbero essere sostanziali per i mercati dei capitali, ma soprattutto per l'economia e la popolazione.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 22 aprile 2025

Guerra commerciale: i dazi servono per sconfiggere il globalismo

Mentre i globalisti e la stampa generalista reagiscono ai dazi americani con la consueta isteria, i produttori americani hanno reagito con sollievo. Sotto la mentalità “America Last” di Joe Biden e Kamala Harris, i Paesi esteri erano liberi di sfruttare le scappatoie della Sezione 232 per inondare l'industria nazionale dell'alluminio e dell'acciaio con prodotti a basso costo. Canada, Messico e Australia si sono alleati con lo Stato profondo per ottenere esclusioni ed esenzioni, a scapito dei lavoratori americani. Le esportazioni di alluminio dall'Australia verso gli Stati Uniti sono aumentate drasticamente e, allo stesso tempo, Cina e Russia hanno sfruttato scappatoie per far passare l'alluminio attraverso Messico e Canada e inondare il mercato americano. A seguito di ciò Alcoa ha annunciato la chiusura definitiva della sua fonderia nello stato di Washington. Tra le altre chiusure figurano lo stabilimento Century Aluminum in Kentucky, che ha interrotto la produzione nel 2022, e Magnitude 7 Metals in Missouri, costretta a chiudere nel 2024. Molti globalisti sostengono che i dazi sull'alluminio aumenteranno i costi per i consumatori. Si tratta della stessa argomentazione che abbiamo sentito durante la prima amministrazione Trump; non era vera allora e non lo è nemmeno oggi. I dazi non hanno avuto alcun impatto sulla quantità di acciaio o alluminio consumata, non hanno indebolito l'economia e non hanno causato ingenti perdite di posti di lavoro. Al contrario l'utilizzo della capacità produttiva per l'alluminio è aumentato durante il primo mandato Trump e ora sono stati annunciati importanti investimenti nell'industria siderurgica. Mentre alcune aziende attaccano i dazi, altre dicono ai loro investitori che “se tutti i Paesi dovessero ricevere un dazio, l'impatto per noi sarebbe nullo”. E mentre alcuni globalisti proprietari di fonderie di alluminio in Canada attaccano i dazi al 25%, la realtà è che Trump è stato eletto per riportare posti di lavoro ben retribuiti nel settore manifatturiero negli USA, e questo è un impegno che intende mantenere come sottoprodotto alla guerra contro la cricca di Davos. Come ha ripetuto più volte, l'America ha smesso di sovvenzionare il Canada e il resto del mondo. Il cuore di tutta questa storia, comunque, è che la produzione di alluminio e acciaio è fondamentale per la base industriale della difesa americana e la continua dipendenza dai fornitori stranieri ha reso vulnerabili gli americani in un modo a dir poco imbarazzante.

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di Brandon Smith

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/guerra-commerciale-i-dazi-servono)

Fin dai tempi di Herbert Hoover e dall'inizio ufficiale della Grande Depressione, il concetto di dazi è stato demonizzato da gran parte del mondo accademico e dalla maggior parte delle ideologie economiche moderne. È in realtà un ambito in cui globalisti ed economisti di libero mercato tendono ad allinearsi (sebbene ogni gruppo abbia motivazioni molto diverse).

I sostenitori della filosofia di libero mercato di Adam Smith o Ludwig Von Mises e la sua Scuola Austriaca hanno le stesse probabilità di opporsi ai piani di Donald Trump di qualsiasi altro globalista presente nelle aule di Davos.

Innanzitutto dobbiamo chiarire cosa sono i dazi: sono tasse sulle imprese internazionali che importano beni da altre nazioni. Queste tasse sono concepite per costringere le imprese a importare da Paesi al di fuori dell'elenco sanzionato o a produrre beni a livello nazionale. I bersagli principali dei dazi sono in realtà le imprese; i bersagli secondari sono i Paesi inclusi nell'elenco dai dazi.

Gli economisti Austriaci, opponendosi ai dazi, partono dal presupposto che le grandi aziende siano entità di “libero mercato”. Presumono anche che la globalizzazione sia un prodotto del libero mercato.

Adam Smith potrebbe aver assistito alla corruzione del mercantilismo, ma non aveva idea della mostruosità del globalismo moderno e di come avrebbe finito per pervertire l'ideale del libero mercato. Lo stesso vale per Mises. Il loro sostegno al commercio globale era condizionato dall'idea che l'interferenza dello stato fosse sempre la radice dei problemi.

Non hanno tenuto conto della sfumatura dei confini tra aziende, stati e ONG, del governo ombra delle multinazionali di Davos e della manipolazione dei mercati in nome del “libero scambio”. Non avrebbero nemmeno potuto immaginare la creazione di organizzazioni come l'FMI, la Banca Mondiale, la BRI, ecc., all'epoca in cui elaborarono le loro teorie economiche.

Dopo la conferenza di Bretton Woods, Mises avrebbe continuato a mettere in discussione le motivazioni del nuovo “ordine globale” e degli accordi commerciali in vigore. Si sarebbe anche opposto ad alcuni aspetti del globalismo prima della sua morte, lasciando gli Austriaci a dibattere sui meriti del “globalismo buono” e del “globalismo cattivo”.

La realtà è che non esiste un “globalismo buono”. Non esiste perché le entità che dettano il commercio globale colludono invece di competere. Non sono realmente interessate al libero mercato, sono interessate al monopolio globale. E le multinazionali sono la chiave di questo monopolio.

Adam Smith criticò l'idea di “società per azioni” (corporation), ma molti Austriaci e anarco-capitalisti difendono le società internazionali come se fossero un'evoluzione del progresso del libero mercato. Non è così. Le multinazionali (e le banche centrali) sono costrutti socialisti, autorizzati dagli stati e dotati di una protezione speciale. La loro immunità alle restrizioni costituzionali serve gli interessi statali e i cavilli legali statali servono gli interessi delle multinazionali.

Questo è l'opposto del libero mercato. Lo ripeto: nelle condizioni attuali i conglomerati globali NON sono organizzazioni di libero mercato. Lo distruggono, invece, utilizzando partnership starali per eliminare la concorrenza.

Il COVID e l'ascesa della propaganda woke negli Stati Uniti sono esempi perfetti della collusione tra aziende e stati per istituire l'ingegneria sociale e cancellare la libera partecipazione economica. Chiunque non sospetti di queste entità dopo tutto quello che è successo, a questo punto è irrecuperabile.

Queste aziende agiscono anche come sifoni di ricchezza: risucchiano denaro dei consumatori in un Paese solo per depositarlo in altri Paesi invece di reinvestire quella ricchezza (dopo la sua spartizione) nell'economia da cui dipendono per le vendite. In altre parole, le multinazionali agiscono come una sorta di macchina di ridistribuzione della ricchezza che sottrae denaro e posti di lavoro agli americani e li distribuisce in tutto il mondo a scapito degli stessi americani.

In qualità di intermediari di questo schema di ridistribuzione della ricchezza, le aziende generano enormi profitti, mentre le persone su entrambe le estremità dello scambio ricevono ben poco in cambio. Il Messico potrebbe sembrare avvantaggiato dagli squilibri commerciali del NAFTA, ma non è così: il popolo messicano e il suo tenore di vita godono di benefici minimi; le aziende che lo sfruttano per la manodopera ne traggono il vantaggio, insieme ad alcuni funzionari statali corrotti.

A sua volta il PIL degli Stati Uniti e la nostra presunta ricchezza nazionale continuano ad aumentare grazie alle multinazionali. Ma la maggior parte di questo aumento di ricchezza non finisce nelle tasche degli americani, bensì in quelle dello 0,0001% delle élite. Più a lungo persiste la globalizzazione, più ampio diventa il divario di ricchezza. Questo è un fatto innegabile e credo che la maggior parte delle persone, sia a sinistra che a destra, concordi su questo punto, ma nessuno vuole prendere decisioni difficili e intervenire.

La sinistra pensa che la soluzione sia un apparato statale più grande e una maggiore regolamentazione. I conservatori pensano che la soluzione sia un apparato statale più piccolo e meno regolamentazione. I conservatori sono più vicini al punto, ma nessuna delle due soluzioni affronta il problema fondamentale della collusione tra stati e conglomerati.

Tenete presente che gli Stati Uniti hanno applicato dazi per centinaia di anni. La parola con la “D” non è diventata una brutta parola fino alla creazione delle società per azioni, del sistema della Federal Reserve e dell'imposta sul reddito.

Quindi concordo con i miei amici economisti della Scuola Austriaca su quasi tutto, ma quando si lamentano dei dazi di Trump, devo ricordare loro che la situazione non è così semplice come rissunto dalla formuletta “l'interferenza statale è dannosa”. Il sistema attuale ha bisogno da tempo di una correzione di rotta e il libertarismo fiscale non la fornirà. Pensano di difendere il libero mercato, ma non è così.

Un altro problema chiave del globalismo è l'interdipendenza forzata. Se ogni nazione produce un'ampia quantità delle proprie risorse necessarie, ha una creazione di posti di lavoro interni resiliente e decide di scambiare beni in eccesso tra di esse, allora i mercati globali hanno senso. Ma cosa succede quando ogni nazione è costretta, attraverso accordi commerciali, a fare affidamento su ogni altra nazione per i bisogni economici fondamentali della propria popolazione?

Allora dobbiamo riesaminare il valore del globalismo in generale.

L'interdipendenza economica internazionale è una forma di schiavitù, soprattutto quando sono coinvolte aziende e intermediari delle ONG. Solo la ridondanza delle risorse e il localismo promuovono veri mercati liberi e libertà individuale. I dazi possono contribuire a stimolare la produzione e il commercio locali e a rendere le comunità più autosufficienti. Detto questo, ci sarà un costo.

I paragoni tra Donald Trump e Herbert Hoover sono dilaganti e risalgono al 2016. Durante il primo mandato di Trump, avevo lanciato l'allarme: l'accelerazione del declino fiscale e la crescente stagflazione avrebbero potuto essere scaricati sulle sue spalle e attribuiti alle linee di politica dei conservatori. In altre parole, l'anti-globalizzazione sarebbe stata ritenuta responsabile della distruzione finanziaria causata dai globalisti. Continuo a credere che questo programma sia ancora in atto.

Hoover fu accusato di aver aggravato la Grande Depressione con i suoi dazi Smoot-Hawley. In realtà, la Grande Depressione si diffuse a causa di una serie di decisioni politiche delle principali banche e di aumenti dei tassi da parte della Federal Reserve (l'ex-presidente della FED, Ben Bernanke, lo ammise apertamente nel 2002). All'epoca non importava chi ne fosse la causa: Hoover era presidente e quindi era il capro espiatorio.

La stessa situazione potrebbe verificarsi per Trump se non sta attento, e tutti i conservatori ne saranno incolpati per estensione. È importante ricordare che la produzione statunitense è stata indebolita da decenni di interferenze statali a sostegno della globalizzazione, insieme a un potere aziendale incontrastato. Limitare le aziende con i dazi non sarà sufficiente: devono anche esserci incentivi per invertire i danni causati da decenni di corruzione statale.

Non riesco a pensare ad altro modo per ricostruire la base produttiva americana abbastanza rapidamente da contrastare gli inevitabili aumenti di prezzo che deriveranno dai dazi. Sconfiggere l'inflazione richiederebbe uno sforzo nazionale senza precedenti per rilanciare la produzione manifatturiera, specificatamente per i beni di prima necessità. I ​​dazi da soli non basteranno a farlo.

Abbiamo bisogno di beni di consumo, energia e immobili ORA, non tra diversi anni. Altrimenti, a lungo termine, i dazi non faranno che peggiorare la situazione. I libertari hanno ragione a mettere in guardia dagli effetti negativi sui consumatori americani, ma la soluzione non è lasciare che le aziende facciano ciò che vogliono e che il globalismo continui incontrastato. La soluzione è spezzare il globalismo e tornare a un modello di indipendenza nazionale.

Infine c'è la questione del dollaro e del suo status di valuta di riserva mondiale. Dopo Bretton Woods, il tacito accordo prevedeva che l'America avrebbe agito come pilastro militare del mondo occidentale (e a quanto pare come la vacca da mungere da parte dei consumatori del mondo). In cambio gli Stati Uniti avrebbero goduto dei vantaggi derivanti dal possedere la valuta di riserva mondiale.

Quali vantaggi? In particolare il dollaro avrebbe potuto essere stampato ben oltre qualsiasi altra valuta per decenni senza subire gli effetti immediati dell'iperinflazione, poiché la maggior parte di quei dollari sarebbe stata detenuta all'estero. Lo scioglimento della NATO e una guerra commerciale potrebbero innescare la fine di questo accordo. Ciò significa che tutti quei dollari detenuti in banche estere potrebbero riversarsi negli Stati Uniti e causare un'inflazione.

Lo status di riserva è stato a lungo il tallone d'Achille degli Stati Uniti e prima o poi dovrà finire. Basti pensare che i globalisti si stanno preparando a questo cambiamento almeno dal 2008 con i DSP e le CBDC. La scorsa settimana l'UE ha annunciato che distribuirà CBDC al dettaglio entro la fine dell'anno. Sanno cosa sta per succedere. Una guerra commerciale richiederà non solo all'amministrazione Trump di agevolare l'aumento della produzione interna, ma anche di promuovere un nuovo sistema monetario basato sulle materie prime per proteggersi dalla caduta del dollaro.

Nel frattempo i singoli cittadini e comunità dovranno prepararsi al crollo della globalizzazione. Ciò significa produzione locale di beni, commercianti al dettaglio che cercano fornitori locali, persone che scambiano beni e servizi attraverso reti di baratto, ecc. I leader politici dovrebbero valutare l'introduzione di titoli garantiti da materie prime per compensare qualsiasi potenziale danno al dollaro. Dovrebbero anche sfruttare maggiori risorse naturali per migliorare l'industria locale.

C'è molto da fare e poco tempo per farlo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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