venerdì 10 maggio 2024

La melodia dei pifferai, il vantaggio dei topi

 

 

di Francesco Simoncelli

Molte volte su queste pagine ho ricordato di come gli Stati Uniti siano attualmente in guerra con sé stessi, o per meglio dire con infiltrati che ne stanno minando le basi fiscali e prim'ancora monetarie, e contro il resto del mondo. La Cina, così come l'Europa, non ha fatto altro che approfittare del sistema monetario a riserva frazionaria che l'eurodollaro ha messo a loro disposizione negli anni antecedenti al 2022; a corto di finanziamenti a basso costo, l'unico modo per averne ancora era che il Congresso spendesse senza freni. Le spese di guerra, così come il deficit federale in peggioramento, sono tutti figli di quest'unica volontà. Ma se Cina e Giappone, ad esempio, hanno un cuscinetto di asset che possono dispiegare per difendere le proprie valute, non ultimi i titoli di stato americani accumulati forsennatamente negli ultimi anni, lo stesso non lo si può dire dell'Europa. Nell'attuale race to the botom è perdente sotto tutti i punti di vista. Capiamoci, tutti i player in questa corsa sono destinati a schiantarsi... ma alcuni prima degli altri. Quindi per quanto la BNS abbia di recente offerto una mano, obtorto collo, alla BCE con la sua decisione di operare un taglio dei tassi, i risultati sono stati comunque sfavorevoli all'euro.

Perché? Perché i mercati hanno iniziato a credere alle parole di Powell, in special modo i mercati obbligazionari, e a chiamare il bluff della Lagarde. Ovvero, per quanto possa dirsi pronta a effettuare un taglio dei tassi a giugno, non può farlo da sola altrimenti sarà un chiaro segnale di short sull'euro. La posizione fiscale dei vari stati membri, Italia in primis, non offre credibilità alcuna alla narrativa secondo cui c'è una ripresa economica tale da giustificare un cambio di rotta nella politica monetaria. Per non parlare poi dell'inflazione dei prezzi.

Ecco perché Powell, avendo messo una pezza sul lato monetario dell'equazione, continua a pressare il Congresso affinché ne metta una anche sul lato fiscale. “Insostenibile” significa che non può andare avanti, ma è già andata avanti da molto, molto tempo. Infatti dal 1970 il PIL degli Stati Uniti è passato da $5.000 miliardi a $25.000 miliardi, un aumento di cinque volte; nel frattempo il debito pubblico è passato da $350 miliardi a $34.000 miliardi, ovvero un aumento di quasi 100 volte.

Un debito pubblico diventa insostenibile quando rappresenta un peso per la crescita e porta l’economia a un costante aumento delle tasse, a una crescita della produttività più debole e a una crescita dei salari reali più scarsa. L'accumulo può continuare perché lo stato stesso lo impone sui bilanci delle banche e costringe il settore finanziario a considerarlo come “asset a rischio più basso”, facendo altresì crescere la sua dimensione nell’economia ed erodendo il potenziale di crescita e produttività di quest'ultima. Un settore privato sempre più debole, salari reali deboli, crescita della produttività in calo e potere d’acquisto in diminuzione indicano tutti l’insostenibilità dei livelli di debito. Diventa sempre più difficile per le famiglie e le piccole imprese far quadrare i conti e pagare beni e servizi essenziali. Si inizia con un deficit di piccole dimensioni, il quale spinge a sua volta la spesa pubblica. Era solo nel 1982 che il debito americano superò i mille miliardi di dollari; ci sono voluti altri 27 anni, fino al 2009, affinché il debito pubblico raggiungesse i $10.000 miliardi.

A poco a poco i deficit sono aumentati e poi, all’improvviso, sono diventati giganteschi. Dal 2009 a oggi – in soli 15 anni – il debito pubblico americano è aumentato di $22.000 miliardi. E ora, sulla base dei primi 5 mesi di quest’anno fiscale, il deficit è diretto a circa $2.500 miliardi che verranno aggiunti al debito nazionale. Ciò che Powell intende non è un cambio di direzione, ma un cambio di velocità. La direzione fu stabilita nel 1971, quando gli Stati Uniti passarono al denaro fasullo e il “buon senso” economico venne sostituito con nuove abitudini insolite. Pareggiate il bilancio? Eliminare le spese inutili? Spegnere le luci quando si esce da una stanza? Chi lo fa più? In questo mondo nuovo e del tutto straordinario i deficit non avevano importanza. E finalmente qualcuno – oltre a me – sta suonando l’allarme.

Alan Greenspan, Ben Bernanke, Janet Yellen, stranamente nessuno di loro pensava che valesse la pena menzionare il debito. E così, anche se coloro al comando sono cambiati, non è stata apportata alcuna correzione di rotta. La nave si è semplicemente spinta sempre più verso il limite del mondo finanziario, dove le economie precipitano nel caos e nella catastrofe. E adesso? L'avvertimento di Powell è preso sul serio dai mercati obbligazionari, i quali hanno iniziato a credere alla sua strategia “higher for longer”, ma non dal Congresso il quale è popolato da politici che spacciano la credenza “la nave non è mai affondata prima e non affonderà neanche stavolta”. Infatti vanno avanti a tutta velocità: soldi per Israele, soldi per l'Ucraina, soldi per l'industria dei chip, soldi per l’industria della guerra, soldi per questo e per quello. Soldi per tutto, soldi per tutti. Ma non è finita qui, perché Trump dice che se verrà eletto una delle sue prime azioni sarà licenziare Jerome Powell. Tagliare i tassi è proprio ciò che Powell non ha fatto, invece ha ribadito più e più volte di voler vedere l’inflazione saldamente all'obiettivo del 2% prima di tagliare i tassi e ha avvertito il Congresso e l’opinione pubblica che prestiti, stampa di denaro e spesa scellerata dovranno essere tenuti sotto controllo.

Ma Trump ha ragione: se Powell mantiene le sue posizioni e vuole davvero tenere sotto controllo le spese scellerate, dovrà andarsene.


I PIFFERAI

Indipendentemente dalle motivazioni personali di Trump, per quanto possano far trasparire una volontà di cambiamento agli occhi del suo elettorato, dovrà sempre scontrarsi con la realtà dei fatti: deve rispondere a comandi che arrivano da più in alto. La maggior parte delle persone fatica ancora a venire a patti con un fatto cruciale: abbiamo di gran lunga superato il punto in cui l'attuale sistema poteva essere cambiato da un aggiustamento al centro, o da una singola persona, o da un singolo partito. Le ultime dichiarazioni di Trump sulla guerra, oltre a quelle su Powell, vanno in una direzione che si allinea alla narrativa dominante della realtà, non la realtà stessa. C'è da dire che la sua retorica è sempre stata accattivante agli occhi dell'elettorato americano, salvo poi vedersi circondato di personaggi di dubbia integrità morale e politica; la stessa cosa accade adesso. Gli equilibrismi geopolitici durante la sua presidenza nei confronti della Russia erano pensati per far fare due passi in avanti alla strategia americana e uno indietro: a tal proposito basti pensare all'uscita dal trattato sui missili balistici, alla propaganda pro-Ucraina e alle minacce di un'uscita dalla NATO. In questo modo le tensioni venivano ridotte al minimo affinché non ci fossero troppi scossoni; allo status quo non piace che le acque diventino troppo agitate.

Qual è il problema al giorno d'oggi? Lo spazio di manovra per quel singolo passo indietro è decisamente risicato, per non dire assente. L'uscita dalla NATO? Decisamente improbabile, per non dire impossibile. Allo stato attuale, e per come sono stati impantanati gli Stati Uniti nelle questioni ucraine, la credibilità stessa degli statunitensi verrebbe messa sul piatto andando a inficiare quanto di buono ha fatto Powell da solo negli ultimi 2 anni. Gli USA, purtroppo, sono stati instradati già su un percorso di guerra da cui sarà arduo tirarsene fuori. E questo grazie anche a membri del Congresso di cui non importa niente il benessere della nazione o degli americani, o a ricatti cui sono sottoposti altri come ad esempio la recente capitolazione alla Camera da parte di Johnson e del Partito repubblicano. Indebolire gli Stati Uniti è l'unico modo che hanno gli altri player affinché la loro situazione non appaia più drammatica. Tutte le grandi nazioni del mondo sono lanciate a velocità folle contro un muro di mattoni, la sola differenza tra di esse è chi ci arriverà prima e fungerà poi da cuscinetto che attenuerà l'impatto di chi arriverà dopo.

Data la delicatezza della situazione l'establishment non vuole che le mine vaganti fungano da propellente a eventi imprevisti e che possano agitare le famose acque. Trump è una di queste mine vaganti e i processi a suo carico sono un promemoria affinché capisca che il ruolo di presidente prevede il rispetto di determinate regole del gioco. Il suo essersi allineato alla narrativa dominante della realtà, almeno per il momento, pare proprio un'ammissione del fatto che abbia capito l'antifona. Ciononostante essersi cucito addosso l'etichetta della vittima del Deep State gli ha permesso di poter veicolare l'idea di un “cammino del martirio” al suo elettorato, rendendolo adesso un messia ai loro occhi. La retorica non gli è mai mancata, perché ha semplicemente detto all'entroterra statunitense quello che voleva sentirsi dire e adesso, con questa aura di “salvatore”, può giocarsi una carta vincente per raggiungere la poltrona di presidente per la seconda volta. In verità non esistono politici disallineati, o in qualche modo capaci da soli di traghettare una nazione verso un futuro avveniristico contro tutte quelle forze che cospirano contro la gente comune. Come ripeto spesso, quelle figure pubbliche che vediamo costantemente non sono altro che figuranti al soldo di una cupola mafiosa composta da diverse cosche. Queste ultime a volte hanno obiettivi convergenti e vanno tutte in una direzione, altre volte invece hanno obiettivi divergenti e, come ogni cosca mafiosa che si rispetti, si fanno la guerra.

L'obiettivo in questo particolare momento storico è quello di risolvere il problema del debito pubblico, ma ogni cosca ha un suo piano. Un conflitto scoppia nel momento in cui una cosca o alcune di esse si coalizzano per fare le scarpe a un'altra mentre apparentemente dicono di andare tutte per la stessa strada. È stato il caso della cricca di Davos che ha cercato di scalare in modo ostile gli Stati Uniti per ridurre i contraccolpi di un continente che non è in grado più di creare valore aggiunto attraverso la sia industria. Il coacervo di normative e regolamenti che caratterizzano l'Europa la rendono un blocco solamente in grado di sottrarre valore, non di aggiungerlo. La desertificazione industriale in UE è figlia dell'allungamento delle catene di approvvigionamento unito allo sfruttamento del mercato dell'eurodollaro affinché i Paesi sviluppati godessero dell'Effetto Cantillon mondiale tramite la riserva frazionaria. Tutti tranne gli Stati Uniti stessi, diventati involontariamente la garanzia collaterale di qualsiasi sconsideratezza economica all'estero; il tutto col beneplacito del governo americano, infiltrato da una cosca mafiosa che non aveva la pur minima considerazione della nazione. Ricordate ancora una volta, non dovete ragionare per confini nazionali bensì per dichiarazioni e decisioni conseguenti, altrimenti ogni volta sembra che ci sia schizofrenia a livello di linee di politica.

La giravolta di Trump, alla luce di queste constatazioni, s'inserisce in un contesto logico che può spiegare come mai abbia improvvisamente cambiato direzionalità per quanto riguarda la sua volontà di ripristinare la grandezza dell'America. I politici, quindi, sono inaffidabili perché rispondono ad agende al di sopra di quelle presentate agli elettori, i quali devono essere solamente un condotto attraverso il quale devono fluire energie e finanziamenti fiscali quanto più volontariamente possibile. E quindi possibile che Trump possa aver cambiato cosca mafiosa che rappresenta, non solo in quanto a circostanze ma anche a convenienza personale. Poche sono le persone che una volta portate in alto dall'attuale sistema possono rimanere a galla da sole. Un esempio nostrano a tal proposito è stato Berlusconi, il quale, grazie al suo patrimonio, è riuscito a barcamenarsi in un marasma giudiziario scatenato contro di lui nel momento in cui non voleva farsi da parte e scegliere il declino. Oppure pensate all'industria dell'intrattenimento, fucina per eccellenza del consenso nei confronti dell'establishment: oggi non si fa che parlare di una Taylor Swift elevata a status symbol solo per cristallizzare quanti più consensi possibile; oppure pensate a una Chiara Ferragni la cui attività è stata drammaticamente politicizzata negli ultimi 4 anni e nel momento in cui non è servita più la tempesta giudiziaria è stata una tragica conseguenza nonché foglia di fico. Per nascondere cosa? I ricatti sono all'ordine del giorno per tenere in riga le presunte mine vaganti e gli addestratori di cani di Pavlov.

Allinearsi significa prosperare in questo sistema in cui il clientelismo è il meccanismo sovrastante l'attività socioeconomica. Non si cresce per merito, bensì per servilismo. Così come le startup vengono create solo per venire assorbite poi dalle grandi corporazioni attraverso l'ingegneria finanziaria, l'industria dell'intrattenimento è una concorrenza a chi è più allineato e quindi sfondare a livello di fama. L'assenza di merito e talenti, quindi, impedisce a questi personaggi di sopravvivere con le proprie gambe nel momento in cui diventano inutili a livello utilitaristico e vengono scartati; allo stesso modo le grandi corporazioni assorbono le startup per prosciugare la concorrenza e ciclicamente sono costrette a licenziare parte del personale per sgonfiare la grandezza ipertrofica che raggiungono. Come si tengono a galla? Diversamente dalle piccole/medie imprese a cui il credito è precluso in questo momento storico, le grandi corporazioni hanno accesso alla liquidità e quindi possono ricorrere all'ingegneria finanziaria per sopravvivere (es. riacquisto di azioni proprie, fusioni/acquisizioni, LBO, ecc.). Infatti il motivo per sfoltire la platea di piccole/medie imprese è quello di eliminare la diversificazione all'interno del panorama economico, così come tutti quei residui d'indipendenza che ancora la popolano; oltre a essere la spina dorsale di un'economia esse sono essenzialmente il motivo di emancipazione dei singoli individui. Nei piani dell'establishment questo assetto, oltre a essere un fattore destabilizzante per il comando/controllo con cui traghettare l'attuale sistema verso quello nuovo, è pressoché inutile quindi meritevole d'essere cestinato.

Oltre a essere una degenerazione della cosiddetta economia mista, come illustrato anche da Mises dal punto di vista teorico in Planned Chaos, il controllo capillare dell'economia è paragonabile a un esperimento di laboratorio controllato in cui si tenta di tenere in considerazione tutti i fattori possibili immaginabili. Il solo problema è che si tratta di variabili e, inevitabilmente, alcune di esse possono impazzire. L'iperregolamentazione e l'ipertrofia del governo europeo replicano esattamente questo stato di cose, soprattutto perché, come accade in tanti casi in cui la persona che ha la delega per amministrare il patrimonio di quell'anziano ricco le cui facoltà cognitive vacillano, il fine ultimo è arrivare a mettere le mani sui risparmi degli europei e in questo modo guadagnare tempo nella race to the bottom in atto. Il sistema attuale ha iniziato a declinare vistosamente dalla Brexit in poi e con la fine del LIBOR il prossimo settembre ci saranno le esequie, di conseguenza è in corso una transizione verso un nuovo sistema, ma i pianificatori centrali di questo faranno di tutto per di continuare ad avere un ruolo cardine nel processo decisionale del prossimo. I ricchi/ammanicati, i privilegiati artificiali, i clientes vogliono continuare ad avere lo status che hanno adesso e non ci riusciranno sequestrando le proprietà altrui. No, questo è solo un passaggio intermedio, dato che non è denaro o immobili quello che vogliono realmente. Ciò che vogliono davvero per portare a termine con relativo successo il traghettamento verso il nuovo sistema è una connessione stabile con i contribuenti attraverso le proprietà di questi ultimi. I perpetual bond, l'economia degli stakeholder, una società basato sul prendere in prestito le cose che le servono: sono tutti mezzi per rubare il tempo attraverso la proprietà privata. Il partenariato pubblico/privato che si profila all'orizzonte riguarda esclusivamente questo fine.

Ecco perché Bitcoin è particolarmente osteggiato in Europa. Diversamente dagli Stati Uniti, i quali hanno indipendenza finanziaria ed energetica con cui assicurarsi una posizione dominante nella race to the bottom, oltre al fatto che stanno veramente dando un senso al concetto di valuta di riserva mondiale per quanto riguarda il dollaro, l'Europa non possiede niente di tutto ciò credendo di poter sopravvivere alla prova del tempo sfruttando indefinitamente il sistema dell'eurodollaro. La fuga dei contribuenti dalla morsa predatrice della burocrazia europea significa non poter perorare in modo efficiente il furto del tempo e, a sua volta, esporsi significativamente alla disfatta. Le caratteristiche di Bitcoin, infatti, alimentano e potenziano l'indipendenza individuale, in particolar modo la trasparenza e la natura pubblica della sua rete P2P. Il clientelismo del sistema attuale è stato possibile cementificarlo grazie all'opacità che lo caratterizza. E questa opacità verrà altresì traghettata nel prossimo sistema, più precisamente nella cinghia di trasmissione del comando/controllo per eccellenza: le valute digitali delle banche centrali. Infatti per quanto si voglia forzare nel mondo moderno un'economia di guerra, quella preponderante è l'economia del welfare state, la quale è molto più pervasiva e assuefacente della prima. Questa è un'arma a doppio taglio perché è vero che la maggior parte delle persone diventa estremamente dipendente da questa manna dal cielo e di conseguenza altamente manipolabile, ma è altrettanto vero che vengono annientati creazione di valore aggiunto e risparmi reali/bacino della ricchezza reale. È vero che il potenziamento/sostegno del comparto pubblico e l'assunzione di una platea sempre più ampia di dipendenti pubblici giocoforza costringe il comparto privato ad adattarsi, ma è altrettanto vero che aumento la sclerosi dell'economia reale: piuttosto che tornare a produrre ricchezza reale chi continua a ricevere bonus li incassa e, ad esempio, preferisce giocare sui mercati.

I BRICS, e la Cina in particolar modo, hanno capito l'antifona e quindi continuano a commerciare in oro e a emanciparsi industrialmente.

Ecco perché, tra i tanti altri motivi, gli Stati Uniti possono continuare a logorare finanziariamente l'Europa visto che essa s'è scavata la fossa da sola, ma temono la Cina e le sue nuove sfere d'influenza.


CONCLUSIONE

Quando la posizione fiscale è insostenibile, l’unico modo affinché lo stato possa forzare l’accettazione del suo debito è attraverso la coercizione e la repressione. Il debito di uno stato è un asset solo quando il settore privato valorizza la sua solvibilità e lo utilizza come riserva, quando invece impone la sua insolvenza al resto dell’economia, il suo fallimento si manifesta nella distruzione del potere d’acquisto della valuta attraverso l’inflazione e l’indebolimento della capacità di acquisto dei salari reali. Lo stato sostanzialmente conduce un processo di lento default dell’economia attraverso l’aumento delle tasse e l’indebolimento del potere d’acquisto della valuta, cosa che porta a una crescita più debole e all’erosione della classe media. Il deficit pubblico non crea risparmi per l’economia privata, anzi li distrugge. Quando lo stato trascura il funzionamento dell’economia produttiva, posizionandosi come fonte di ricchezza, mina le fondamenta stesse che pretende di proteggere: il tenore di vita del cittadino medio.

Il debito pubblico è una creazione artificiale di valuta perché lo stato non crea ricchezza reale, amministra solo il denaro che raccoglie dal settore privato che soffoca attraverso tasse e inflazione. Il debito degli Stati Uniti ha iniziato a diventare insostenibile quando la Federal Reserve ha smesso di difendere la valuta e di prestare attenzione agli aggregati monetari per attuare linee di politica volte a mascherare il costo dell’indebitamento derivante da una spesa in deficit sfrenata. Non solo, ma anche per trovare una soluzione al problema degli eurodollari che avevano cacciato nei guai l'economia americana fino a quel punto senza che gli economisti si spiegassero il motivo.

La creazione arbitraria di valuta fiat non è mai neutrale, avvantaggia in modo sproporzionato i primi che la ricevono, lo stato, e danneggia gravemente gli ultimi, i salari reali e i risparmi. Si tratta di un grande trasferimento di ricchezza dall’economia produttiva e dai risparmiatori alla burocrazia: la distruzione della classe media e il deterioramento del tessuto delle piccole/medie imprese a favore di una macchina burocratica che vive di tasse e genera ancora più debito e deficit. Il debito può continuare ad aumentare? Ovviamente. Il graduale processo d'impoverimento e schiavitù del debito passa sotto traccia quando lo stato può imporre l’uso della valuta e forzare il proprio debito nel sistema finanziario attraverso leggi e regolamenti. Pensare che durerà per sempre e che non accadrà nulla è solo l'ennesimo esempio di una mentalità sconsiderata “acceleriamo, non siamo ancora precipitati”.

Credete che a questa gente manchino i soldi? Non sanno che farsene in realtà. Sono uno strumento, così come dovrebbero essere, solo che li utilizzano come arma contro qualcun altro. Chi? Il resto della popolazione a cui sottraggono tempo ed energie. Ecco, queste sono le due componenti a cui si mira davvero.

Lo status quo non può sopravvivere, ma non è niente di nuovo sotto il solo visto che, dal punto di vista storico, ci sono stati altri momenti in cui è accaduta la stessa cosa. Tutte le volte che è successo è accaduto in concomitanza di guerre, rivoluzioni, o entrambe le cose. In sostanza, viene provocato uno strappo. E infatti oggi le tensioni sociali si moltiplicano, oltre alle guerre cinetiche che si diffondono territorialmente e a macchia di leopardo. Inutile dire che sono un ottimo catalizzatore di pressione sociale. Il vantaggio comparato non sta nel “denunciare lo status quo”, bensì di riconoscerlo per quello che è e sfruttare tale conoscenza a proprio vantaggio. L'attuale sistema deve sopravvivere finché non si passa a quello successivo e i pianificatori centrali, ovvero la cupola mafiosa composta da varie cosche, devono poter trovare il modo di riciclarsi nel nuovo sistema conservando status e influenza, oltre che ricchezza. Devono quindi organizzare il nuovo sistema ad hoc guadagnando tempo attraverso la sopravvivenza di quello attuale, allungandone la vita fino all'estremo. Infatti quello che viene prelevato è il tempo delle persone attraverso la capacità lavorativa: il sistema economico di oggi è talmente indebitato che richiederebbe oltre 100 anni per essere ripagato se la gente lavorasse a tempo pieno senza percepire uno stipendio.

Le cose devono quindi cambiare, ma per far sopravvivere l'attuale sistema fino al passaggio con quello nuovo c'è bisogno che la gente lavori e dovrà farlo sostanzialmente gratis, in cambio di denaro che perde progressivamente il proprio valore. Per emanciparsi da questa ruota temporale per criceti fiat è importante conoscere e saper usare quella forma di denaro che invece conserva il proprio valore, in modo da poter effettuare il passaggio nel nuovo sistema con relativa tranquillità personale. E, badate bene, non è qualcosa che avviene in automatico dato che non esiste alcun politico o “agitatore di folle” che lo farà al posto vostro. È una cosa che può essere fatta a livello individuale perché nel momento in cui si crea una rete indipendente, i pianificatori centrali non potranno far altro che accettarlo... con tutte le conseguenze del caso per i loro piani (presumibilmente) ben congegnati e gli istituti TBTF. Il “blat” è superiore a Stalin.


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giovedì 9 maggio 2024

Hayek e Bitcoin

 

 

di Emile Phaneuf III

Il defunto economista F. A. Hayek aveva molto da dire sul denaro privato, sull’inflazione e sulla preservazione delle libertà individuali contro uno stato tirannico. Mentre ci avviciniamo al 15° anniversario della pubblicazione del whitepaper di Bitcoin da parte di Satoshi Nakamoto, vale la pena riflettere su cosa avrebbe potuto pensare Hayek di questa svolta tecnologica.

Nell’ottobre 2008 Satoshi Nakamoto annunciò di aver pubblicato un documento in cui spiegava come un “sistema monetario elettronico” peer-to-peer potesse funzionare “senza terze parti fidate”. Nel gennaio dell’anno successivo lanciò Bitcoin citando un articolo del quotidiano britannico The Times: “The Times 03/Jan/2009 Chancellor on brink of second bailout for banks”. L'avvio di questo sistema di denaro elettronico peer-to-peer era una risposta al clientelismo che aveva visto nelle banche centrali durante la crisi finanziaria mondiale.

Sfortunatamente Hayek morì molto prima della nascita di Bitcoin, ma nel suo libro, The Denationalisation of Money, sostenne la sottrazione allo stato del suo potere monopolistico sul denaro. Oltre a ciò, Hayek immaginava un sistema economico in cui “diversi tipi di denaro distinti e concorrenti sono simultaneamente in uso nello stesso territorio”. Se Bitcoin fosse esistito durante la vita di Hayek, probabilmente egli non avrebbe sostenuto (come fanno molti bitcoiner) di “bitcoinizzare tutto”, proprio perché un'unica forma di denaro non era ciò che aveva in mente. Hayek voleva la competizione nel campo monetario.


Furbo e inarrestabile

Hayek avrebbe sicuramente apprezzato l'incrollabile resistenza di Bitcoin alle pressioni politiche, ma, soprattutto, mi piace pensare che avrebbe apprezzato Bitcoin per almeno altri due importanti motivi: furbizia e impossibile da fermare. In un'intervista del 1984 Hayek affermò che:

Non credo che avremo mai più una forma di denaro sano/onesto se prima non lo togliamo dalle mani dello stato. Se non ci riusciamo con la violenza, [allora] tutto ciò che possiamo fare è introdurre subdolamente qualcosa che non possa fermare.

La cosiddetta “via indiretta furba” che Satoshi ha ideato (prendendo in prestito da quelli prima di lui) voleva che Bitcoin fosse semplicemente un protocollo – una forma monetaria TCP/IP – altamente decentralizzato, il che significa che nessuna parte sarebbe stata in grado di controllarlo a proprio vantaggio. Ed essendo un asset digitale nativo di Internet, non ci sarebbe stato alcun punto di fallimento centralizzato nel mondo reale, con asset tangibili che avrebbero potuto essere sequestrati (come è successo invece ad almeno due valute digitali prima di Bitcoin).


Bitcoin e oro

Satoshi ha cercato di imitare l'oro nel mondo digitale. Nel white paper di Bitcoin ha scritto che: “L'aggiunta costante di una quantità costante di nuove monete è analoga ai minatori d'oro che spendono risorse per aggiungere nuovo oro in circolazione [...] [anche se nel] nostro caso, è il tempo della CPU e l'elettricità che vengono consumati”. Cosa pensava Hayek dell'oro?

Hayek scrisse che se l’oro fosse rimasto nelle mani dello stato, avrebbe considerato questo standard metallico “l’unico sistema tollerabilmente sicuro”. Ma l’oro rappresentava solo “un’ancora traballante” per proteggersi dai “rischi di frode da parte dello stato” e “non sarà mai una moneta valida come quella emessa da un’agenzia la cui intera attività si basa sul suo successo nel fornire una moneta sostenibile al pubblico”.

Hayek disse anche che l’oro ci ha dato una “regolazione semi-automatica della quantità di denaro” (qualcosa che vedeva favorevolmente), ma avrebbe potuto trovare interessante l’idea di una politica monetaria algoritmica impenetrabile, come quella di Bitcoin.

Ciò che Hayek considerava una forma monetaria migliore dell’oro era la sua proposta di una moneta emessa dalle banche in un ambiente di competizione monetaria e coperta da asset reali. L’economista Lawrence H. White fa giustamente distinzione tra “la proposta di Hayek – consentire la libera scelta e la concorrenza tra le valute – e la sua previsione su quale tipo di moneta avrebbe poi dominato il campo”.

Hayek credeva anche che la popolazione avrebbe probabilmente preferito una moneta “il cui potere d’acquisto è predittivamente stabile”. Un potere d’acquisto stabile, scrisse, avrebbe ridotto la tensione sui rapporti debitore-creditore (un argomento che Hayek tratta in dettaglio nel suo libro).

White sostiene, nel suo nuovo libro Better Money: Gold, Fiat or Bitcoin?, che un aumento del potere d’acquisto dell’oro stimola (attraverso la motivazione del profitto) una risposta a produrne di più “finché il potere d’acquisto non ritorna alla media”. Al contrario, poiché un aumento simile del potere d'acquisto di Bitcoin non può provocare un aumento nell'offerta oltre il programma di creazione di nuove coin fisso e codificato nel suo protocollo, non ci sono “aspettative di un ritorno [alla media] per smorzare la volatilità”.


Conclusione

Se il potere d’acquisto di Bitcoin si stabilizzerà nel tempo in modo sufficiente da diventare un mezzo di scambio comunemente utilizzato è un tema di acceso dibattito. Dal mio punto di vista ciò che Bitcoin sacrifica in termini di potere d’acquisto stabile essendo insensibile agli aumenti della domanda, viene ampiamente compensato altrove come sistema monetario superiore basato su regole ferree, non essendo soggetto né alla discrezione umana dei pianificatori centrali né ai miner che potrebbero voler creare più unità di quelle che il suo protocollo è programmato per creare. Questo è precisamente il motivo per cui le masse potrebbero inevitabilmente adottarlo (ogniqualvolta i loro stati si dimostrano incapaci o non interessati a dissuaderle dal farlo), non solo come riserva di valore ma anche come mezzo di scambio. E avendo un asset digitale nativo di Internet che non risponde a forze esterne per la sua offerta, otteniamo una moneta radicalmente decentralizzata, senza precedenti nella storia umana.

Inoltre molti utenti Bitcoin non sembrano preoccuparsi della volatilità e il suo utilizzo continua a crescere: sia sulla catena principale che sul cosiddetto strato secondario. E i tentativi di repressione nei suoi confronti – soprattutto negli Stati Uniti e in Europa – così come la fretta di implementare le CBDC in tutto il mondo, suggeriscono che i regolatori sono preoccupati per quanto sia potente.

Quindi ad Hayek piacerebbe Bitcoin? Non l'ho mai conosciuto, ma penso che gli sarebbe piaciuto ciò che rappresenta così come la misura in cui toglie il denaro dalle mani dello stato (poiché le persone in tutto il mondo effettuano transazioni peer-to-peer, senza autorizzazione, con questo asset digitale apolide). Bitcoin è quel modo subdolo e indiretto che potrebbe non fermarsi mai. Oh, e ricordate la menzione di Satoshi dell'articolo del The Times sui salvataggi bancari? Per una coincidenza enorme, egli/ella/loro (assumendo che non ne fosse/fossero a conoscenza in quel momento) sarebbe/sarebbero probabilmente felice/i di apprendere che nella stessa video intervista di Hayek quest'ultimo mostrò una copia del The Times e disse: “Lo leggo ogni giorno. Le grandi menti pensano allo stesso modo”.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 8 maggio 2024

Bisogna evitare il disastro fiscale all'orizzonte

 

 

di David Stockman

Quando si parla di sistema bancario centrale keynesiano, esso ha trasformato il suo obiettivo d'inflazione al 2,00% in un Santo Graal economico e quindi non osa rischiare un rimbalzo delle pressioni inflazionistiche che rimangono nello specchietto retrovisore.

È vero, gli indicatori dell’inflazione si sono notevolmente raffreddati dopo il picco dell’IPC (indice dei prezzi al consumo) al 9% a giugno 2022, ma la FED non è ancora fuori dai guai. Infatti quando l’ondata di inflazione viene vista attraverso la lente più stabile e affidabile dell’IPC 16% trimmed mean, che ha raggiunto il picco a un livello leggermente inferiore del 7,2% nel 2022, l'aumento su base annua è pari al 3,7% a gennaio, quindi appena a metà strada dal sacrosanto obiettivo del 2,00%.

Infatti il tasso di variazione annuo a tre mesi dell’IPC trimmed mean è già rimbalzato al 4,0%, mentre il tasso annuo per gennaio si è attestato a un rovente 5,7%.

Quindi per quanto i tizi a Wall Street insistano per un taglio dei tassi, l’Eccles Building non gliene darà alcuno.

Variazione annua dell'IPC 16% trimmed mean, da aprile 2020 a gennaio 2024

Basta ricordare gli orribili grafici dal 1967 al 1982. Allora le persone a capo della FED non erano esplicitamente coinvolte nel business della pianificazione monetaria centrale greenspaniana, ma dovevano comunque generare quattro recessioni durante quell’arco di tempo per tenere il genio dell’inflazione nella lampada.

I trader ventenni di Wall Street, che ragliano sempre più insistentemente per il prossimo ciclo di tagli dei tassi, senza dubbio confondono gli anni ’70 con gli anni ’90 del 1700. A quanto pare è tutta un'unica confusione.

Gli stagionati nell'Eccles Building, però, ricordano il triplo picco dell’inflazione di quell’epoca. Il fragoroso fallimento della linea di politica della banca centrale, implicito in tre ondate inflazionistiche (barre rosse) e quattro contrazioni recessive (aree bianche), in poco più di un decennio ha quasi distrutto il suo doppio mandato come politburo monetario non eletto della nazione, per non parlare della sua credibilità a New York e Washington, DC.

Variazione annua dell'indice dei prezzi al consumo, dal 1967 al 1984

Pertanto l’attuale gruppo al comando non ha intenzione di tirarsi indietro davanti al suo appello “higher for longer” finché non rivedrà chiaramente il 2,00%.

Non ci aspettiamo che questa condizione venga raggiunta tanto presto, questo perché il miraggio della “bassa inflazione” degli ultimi decenni non era altro che un'illusione.

Ci riferiamo, ovviamente, al fatto che c'è stata molta inflazione a causa della folle stampa di denaro da parte del sistema bancario centrale ancor prima che la arroventassero ulteriormente in risposta alla crisi sanitaria nel marzo 2020. La maggior parte di tale stampa di denaro è finita nei prezzi degli asset finanziari e nel settore immobiliare.

Il resto è stato temporaneamente esportato nel resto del mondo attraverso l’ondata di passività in dollari che sono state raccolte dalle banche centrali mercantiliste in Cina, dai petro-stati e da quei Paesi con catene di approvvigionamento a basso costo.

Il grafico seguente non è semplicemente una prova lampante del fatto che il tasso d'inflazione medio all’1,8% durante i primi due decenni di questo secolo fosse un’aberrazione; in realtà è la pistola fumante!

Indice dei costi unitari del lavoro negli Stati Uniti, dal 1970 al 2020

La FED aveva gonfiato in modo grottesco l’economia statunitense durante i cicli degli anni ’70 sopra indicati e si era semplicemente accontentata di rallentare l’ulteriore aumento del livello dei prezzi, più alti del suddetto 2,0% annuo, durante la fine degli anni ’80 e ’90. Ciò avvenne proprio mentre Deng stava convertendo l’economia comunista di Mao in una potenza manifatturiera grazie alla stampante monetaria presso la Banca Popolare Cinese e diverse centinaia di milioni di nuovi lavoratori cacciati dalle risaie e spediti nelle fabbriche.

L’industria americana e i lavoratori salariati non avevano alcuna possibilità. Grazie alle politiche pro-inflazione della FED, sia prima che dopo Greenspan – salvo il breve intervallo del salvataggio dell’economia americana dal baratro inflazionistico da parte di “Tall Paul” Volcker – i costi unitari del lavoro nel 2000 erano più alti del 235% rispetto al 1970 e alla vigilia della crisi sanitaria nel marzo 2020 erano aumentati del 310%.

Secondo gli economisti keynesiani che gestiscono la politica economica statunitense, la linea viola in ascesa nel grafico qui sopra non avrebbe dovuto avere tanta importanza. Se il deficit commerciale americano fosse diventato troppo ampio, a causa della massiccia delocalizzazione e del crescente deficit commerciale, i Paesi in surplus all’estero, come la Cina, avrebbero dovuto sperimentare un apprezzamento nel tasso di cambio e quindi una riduzione compensativa del loro vantaggio competitivo in termini di costi.

Purtroppo ciò presupponeva che il denaro stampato negli Stati Uniti sarebbe stato contrastato da una moneta sana/onesta all’estero. Ma neanche per sogno!

Le banche centrali estere hanno stampato passo dopo passo con la FED, in base a quella che poteva essere descritta come “sporca flottiglia”. Così facendo hanno acquistato migliaia di miliardi di dollari, hanno espanso la propria offerta di denaro, hanno mantenuti intatti i surplus commerciali e inondato le loro industrie dell'export con credito e capitale a basso costo.

Quindi la delocalizzazione non ha mai rallentato e le correzioni nel tasso di cambio, così come il riequilibrio dei conti commerciali, non sono mai avvenuti.

Non vi è alcun mistero sulla causa di questo grande arbitraggio nel mondo del lavoro e della conseguente delocalizzazione dell’economia industriale americana negli ultimi 40 anni: la condizione oggettiva dell’economia mondiale e i collegamenti Internet di produttori/consumatori in tutto il pianeta hanno fatto sì che gli Stati Uniti avessero bisogno di un periodo prolungato di deflazione dei costi per eliminare gli eccessi inflazionistici degli anni ’70 e successivi, e non della linea di politica pro-inflazione che la FED ha perseguito.

Il grafico qui sotto vi dice tutto ciò che dovete sapere. Poco dopo la fine del secolo scorso il divario salariale nel settore manifatturiero tra Stati Uniti e Cina era di 22 volte e nel 2015 era ancora nell’ordine di 5 volte. Ciononostante i keynesiani dell’Eccles Building hanno ritenuto opportuno sostenere che una maggiore inflazione fosse la chiave per la prosperità, come il loro obiettivo al 2,00%.

Tuttavia il grande arbitraggio nel mondo del lavoro si sta ora avvicinando rapidamente alla fine, in gran parte perché la Cina ha completamente prosciugato le sue risaie. Vale a dire, per una questione demografica e per l’eredità della linea di politica del figlio unico, la forza lavoro dello Schema Rosso di Ponzi ha raggiunto il picco nel 2015 e ora si sta riducendo e continuerà a ridursi nel futuro prossimo.

Di conseguenza i costi salariali stanno aumentando rapidamente in Cina, perché neanche quest'ultima è riuscito a trovare un modo per abrogare le leggi della domanda e dell’offerta. Di conseguenza il divario salariale si è ridotto a meno del 20% e probabilmente scomparirà del tutto prima della fine dell’attuale decennio.

Il grande arbitraggio sul costo del lavoro, dal 2000 al 2025

La verità è che il Grande Arbitraggio nel Mondo del Lavoro è stato un evento irripetibile, non una condizione permanente dell’economia mondiale. Non sono più rimasti cinesi sul pianeta Terra e nemmeno nel vicino sistema solare.

La FED è stata in grado di stampare con relativa impunità dal 1990 al 2020 perché l’esportazione una tantum dell’economia industriale statunitense ha causato una deformazione del tutto aberrante nel livello dei prezzi interni.

In altre parole, i prezzi delle merci che rientravano nell’economia statunitense dalla produzione offshore erano ben al di sotto del livello gonfiato dei costi di produzione nazionali. Di conseguenza il deflatore delle spese per consumi personali (PCE) per i beni durevoli (linea nera) è in realtà diminuito di quasi il 40% tra il 1995 e l’inizio del 2020. Ciò riflette non solo l’aumento della quota di importazioni di beni durevoli, ma il fatto che le spese a margine per le importazioni determinano anche il prezzo dei beni prodotti internamente.

Deflatore PCE: beni durevoli e servizi, dal 1995 al 2020

Non si è mai verificato nulla di simile a una deflazione così ampia nell’era economica moderna. Si è trattato letteralmente di uno scherzo della storia economica, al di là di ogni plausibile via di continuazione o replica.

Al contrario il deflatore PCE per i servizi, che sono in gran parte prodotti a livello nazionale e quindi nell'ambito d'influenza della FED, è aumentato di oltre l'85% nello stesso periodo.

In termini annui, quindi, l’indice dei beni durevoli è sceso del 2% annuo per un intero quarto di secolo, mentre l’indice dei servizi è aumentato del 2,5% annuo. È stata una pura anomalia statistica e un colpo di fortuna per l’Eccles Building che il risultante deflatore PCE complessivo sia aumentato, in termini matematici, all’1,85% annuo.

Ciononostante i keynesiani alla FED hanno dichiarato che questo episodio fortunato è stato un problema di “bassa inflazione”, cosa che ha richiesto operazioni aggressive e prolungate da parte della sua stampante monetaria.

Inutile dire che, con i salari e i costi cinesi in rapido aumento e il divario di arbitraggio quasi chiuso, non c’era alcuna possibilità che la linea nera nel grafico qui sopra scendesse di un altro 40%. Nemmeno tra un milione di anni.

E ciò significa, a sua volta, che il divario enorme nel grafico qui sopra tra la deflazione dei prezzi dei beni e l’inflazione dei prezzi dei servizi non si ripresenterà. In realtà l’inflazione dei servizi sottostanti è ancora nell’intervallo del +5% annuo e in futuro dominerà il livello principale dei prezzi in modo molto più pesante di quanto accaduto durante l’aberrante era della deflazione dei prezzi dei beni durevoli.

Di conseguenza la scusa della “bassa inflazione” per stampare denaro era, quindi, a dir poco fuori luogo.

Il fatto è che l'inflazione non è e non sarà mai contenuta tramite l'obiettivo del 2,00%. E gli ultimi due decenni hanno dimostrato senza ombra di dubbio che la stampa aggressiva di denaro non stimola gli investimenti e la produttività nazionali, e quindi nemmeno la crescita economica complessiva.

Ciò che fa è gonfiare bolle a Wall Street perché i tassi d'interesse estremamente bassi giustificano multipli prezzo/utili più elevati. E questa è stata la scusa per portare il bilancio della FED da $300 miliardi nell'ottobre 1987 a un picco di $9.000 miliardi  fino a qualche mese fa.

Purtroppo neanche le bolle degli asset finanziari sono sostenibili indefinitamente. Un monito è arrivato giovedì scorso quando NVIDIA ha sfiorato una capitalizzazione di mercato da $2.000 miliardi, 30 volte le vendite di chip che consentono all'intelligenza artificiale generativa di Google di riprodurre ritratti di persone di colore vestite da vichinghi.

Nemmeno la bolla dei tulipani del 1637 è stata così folle.

Cambiamento annuo nell'IPC dei servizi, dal 2011 al 2024

L’assurdità più incredibile è che l’America sta precipitando a capofitto in una crisi fiscale, ma nessuno dei due candidati alla presidenza menziona mai questo pericolo, per non parlare di proporre anche solo una parvenza di un piano correttivo.

Durante il suo recente discorso sullo stato dell’Unione (SOTU), ad esempio, Joe Biden ha avuto persino il coraggio di vantarsi di “aver già tagliato il deficit federale di oltre $1.000 miliardi”.

A parte i $6.000 miliardi di deficit dell'Unipartito accumulati sin dal 2020-2021, il deficit da $1.700 miliardi sostenuto nel 2023 è stato di gran lunga il più grande nella storia americana.

Deficit/avanzo federale, dal 1955 al 2023

Se ancora fosse necessario un bagno di realtà sulle rive del Potomac, ci viene in soccorso la pubblicazione di marzo delle ultime prospettive di bilancio a lungo termine del CBO. Si basa su una serie di ipotesi ottimiste in cui non ci sono recessioni, nessuna fiammata dell'inflazione dei prezzi, nessun picco dei tassi d'interesse, nessuna crisi finanziaria, nessuna grande guerra, nessuna crisi energetica mondiale: solo una buona navigazione economica per i prossimi 30 anni!

D’altra parte il luogo in cui si può finire è decisamente terrificante, anche se lo scenario roseo alla base della relazione è del tutto incompatibile con il disastro fiscale che prevede. Di conseguenza i numeri del debito reale saranno sicuramente molto peggiori con l’evolversi del futuro.

Le proiezioni ottimistiche del CBO mostrano che il debito pubblico raggiungerà il 166% del PIL entro il 2054, una percentuale ben superiore anche al picco del 106% nella Seconda guerra mondiale. E allora c’erano tanti acquirenti di titoli del Tesoro a causa del tasso di risparmio nazionale pari al 24% del PIL generato da un’economia completamente mobilitata per la guerra e soggetta a un razionamento talmente duro che c’erano pochi beni di consumo da acquistare.

Non sorprende, quindi, se i dipendenti del Congressional Budget Office siano stati abbastanza discreti da presentare questa triste storia nel sistema di misurazione della “percentuale del PIL”, perché i numeri effettivi espressi in biglietti verdi sono letteralmente da infarto. La linea blu qui sotto corrisponde a $140.000 miliardi in debito pubblico nel 2054.

I membri dello staff di Capitol Hill che hanno redatto la relazione non desiderano che qualche deputato del Kansas faccia i conti con una calcolatrice, questo perché al tasso d'interesse medio del 3,8% che si prevede pagherà il Tesoro americano alla fine di questo periodo di 30 anni, la spesa annuale per interessi federali ammonterà a $5.300 miliardi all'anno

Proprio così. E ciò presuppone anche che lo Zio Sam possa prendere in prestito $7.000 miliardi solo nel 2054 per coprire il deficit previsto di quell’anno e farlo a soli 180 punti base al di sopra del tasso d'inflazione ipotizzato (2,0%).

Inutile dire che la relazione sopraccitata incarna una fantasia che va ben oltre ogni limite. È evidente che ci sarà una crisi economica e finanziaria molto prima del 2054.

La spesa per interessi di cui sopra supererebbe di gran lunga ogni altra voce importante nel budget federale. Ancora una volta trasformare questi rapporti in dollari aggiunge un po’ di vivacità al messaggio che si vuole veicolare.

I repubblicani, ad esempio, hanno trascorso più di un decennio a denunciare l'ObamaCare, la relativa espansione del Medicaid e vari crediti d’imposta orientati ai redditi bassi. malgrado ciò tra un paio di decenni la spesa per interessi che hanno contribuito a sostenere con le massicce spese per la difesa e le guerre neocon, oltre a qualche bella spinta allo stato sociale, sarà più del doppio dei $2.400 miliardi previsti dai programmi dei democratici.

Ironia della sorte anche la spesa per interessi sarà pari a 2,5 volte la spesa per la difesa di base – presupponendo che non ci siano più Guerre Infinite – e supererà di gran lunga sia la previdenza sociale che l’assistenza sanitaria statale.

Inoltre la relazione mostra anche che ben il 61% del bottino dell’imposta federale sul reddito andrà agli interessi passivi e il 10,3% del PIL in questione non è esattamente poco. La riscossione delle imposte sul reddito ammonterebbe in realtà a $8.700 miliardi nel 2054 e la maggior parte andrebbe ai detentori di obbligazioni.

Tutto apparentemente bello per gli obbligazionisti, solo che acquistare $110.000 miliardi in nuove obbligazioni durante i prossimi 30 anni significherà un rendimento medio ponderato 120 punti base inferiore al rendimento medio sulla curva questa stessa settimana!

Infatti i rendimenti attuali vanno dal 5,4% al 4,6% in un ampio spettro che va dai bond a 30 giorni a quelli a 30 anni. Se i tassi d'interesse rimarranno nell’intervallo medio del 5,0% – per non parlare di un livello sostanzialmente più alto – la spesa per interessi nel 2054 salirebbe a $8.000 miliardi a causa del tasso più elevato e delle aggiunte al debito.

Vale a dire, gli interessi passivi consumerebbero il 92% del denaro proveniente dalla principale fonte di entrate dello Zio Sam.

Proiezioni di spesa del CBO per il 2054:

• Spesa per interessi: $5.300 miliardi

• Previdenza sociale: $5.000 miliardi

• Medicare: $4.600 miliardi

• Medicaid, ObamaCare e relativi crediti d’imposta: $2.400 miliardi

• Difesa: $2.100 miliardi

Prospettive a lungo termine per il bilancio federale in percentuale del PIL

Alla fine ci sono tre numeri che vi dicono tutto ciò che dovete sapere: la maggior parte degli ultimi 30 anni nella prima colonna della tabella, dal 1994 al 2023, è stata caratterizzata da una dilagante dissolutezza fiscale. Il deficit federale è stato in media pari al 3,8% del PIL, il cui flusso cumulativo di inchiostro rosso ha aumentato il debito pubblico da $3.500 miliardi a $27.000 miliardi durante tale arco di tre decenni.

Ma questo era solo un allenamento primaverile per ciò che ci aspetta. Sulla base della politica fiscale attualmente in vigore, il deficit strutturale di Washington peserà quest’anno al 5,6% del PIL, per poi salire oltre il 6,0% nel corso del prossimo decennio. Raggiungerà il 7,0% nella decade succesiva e il già citato 8,5% del PIL entro il 2054.

Inutile dire che quanto sopra smentisce tutti i principali principi fiscali che il Partito repubblicano offre ora agli elettori. Infatti esso dice che non ci saranno tagli alla previdenza sociale e all’assistenza sanitaria statale, ma questi programmi, che sono costati l’8,4% del PIL nel 2023, saliranno all’11,3% del PIL entro il 2054 a causa dell’aumento dei benefici.

Entro il 2054 tale rapporto ammonterà a $9.500 miliardi in spese annuali tra previdenza sociale/Medicare, con una crescita di $2.400 miliardi all’anno rispetto all’attuale rapporto (8,4%).

Infatti se si includono Medicaid e altri programmi sanitari, la cifra del costo annuale passa da $8.100 miliardi nel 2024 a $12.000 miliardi nel 2054. Come mostrato di seguito, l’impatto più elevato dei costi dei benefici pro capite è particolarmente pronunciato nei programmi di assistenza sanitaria.

Costo in percentuale del PIL dei principali programmi dello stato sociale, 2024 rispetto al 2054

D’altro canto lo scenario di base del CBO mostra che l’imposta sul reddito individuale aumenterà dall’8,1% del PIL nel 2023 al 10,3% entro il 2054, principalmente a causa della scadenza dei decantati (e non pagati) tagli fiscali di Trump del 2017 e di tre decenni di vero e proprio lassismo fiscale. Ciò significa che, nonostante l’indicizzazione in base agli aumenti nominali del reddito, la crescita del reddito reale nel tempo sposterà sempre più contribuenti verso fasce di aliquota più elevate. Tra il 2034 e il 2054, ad esempio, la quota di reddito tassata tra il 20% e il 39,6% aumenterà dal 37% al 44%.

Inutile dire che il Partito repubblicano e i sostenitori dello stato sociale insistono sull’estensione permanente dei tagli fiscali di Trump e sulla compensazione anche dello slittamento delle fasce. Ciononostante l’effetto di questi “tagli” sarebbe l’incredibile cifra di $1.900 miliardi in riduzione delle entrate federali entro il 2054.

Proprio così. Con l’attuale tasso dell’8,1%, l’imposta federale sul reddito genererebbe solo $6.843 miliardi all’anno di entrate annuali entro il 2054 rispetto agli $8.701 miliardi previsti dal CBO secondo le proiezioni attuali.

A dire il vero i democratici non fanno nemmeno finta di affrontare questo disastro fiscale, lo ignoreranno, mentieranno come fa Biden, o si aspetteranno che la FED stampi decine di migliaia di miliardi di dollari aggiuntivi nei decenni a venire.

In breve, Washington è bloccata in una morsa fiscale mortale. Nessuno dei candidati dell'Unipartito ha il minimo interesse ad affrontare la calamità che sicuramente si prospetta all'orizzonte.

Distribuzione del reddito imponibile per scaglioni di aliquota, 2034 & 2054

Alcuni decenni fa il principale consigliere economico di Nixon, Herb Stein, disse notoriamente che ciò che non è più sostenibile tenderà a finire! Ciò che intendiamo è che quella roba marrone arriverà al ventilatore molto prima del 2054. Questo perché c'è una bomba fiscale a orologeria incorporata nei fondi fiduciari della previdenza sociale e che è destinata a esplodere nel giro di uno o due mandati presidenziali, al massimo.

A causa della falsa contabilità dei fondi fiduciari in vigore sin dagli anni '30, essi vivono ora con tempi contabili presi in prestito e non da poco. Cioè, per decenni lo Zio Sam ha raccolto più tasse sui salari rispetto all'importo dei benefici pagati e ha utilizzato l'eccesso per finanziare portaerei, sprechi per il trasporto di massa, sussidi agli agricoltori benestanti, ecc. Ai fondi fiduciari sono stati poi accreditati “attivi” intergovernativi che ora possono essere utilizzati per coprire eventuali carenze tra le uscite per i benefici e la riscossione delle imposte sui salari.

Il problema è che tali saldi “patrimoniali” si stanno riducendo rapidamente, anche se il deficit di liquidità annuale nei fondi fiduciari aumenta inesorabilmente a causa dell’ondata di pensionamenti dei baby boomer e dell’alto livello di benefici attuarilmente non acquisiti e integrati nei programmi. Vale a dire, alla fine dell’anno fiscale 2024 il saldo “attivo” del fondo fiduciario OASDI sarà pari a $2.727 miliardi, mentre le uscite di cassa supereranno le riscossioni delle imposte sui salari di $373 miliardi durante l’anno a venire (anno fiscale 2025). A sua volta il deficit di cassa aumenterà costantemente, raggiungendo i $532 miliardi all’anno entro il 2034. Di conseguenza nei prossimi dieci anni il deficit di cassa dell’OASDI raggiungerà i $3.495 miliardi.

A quel punto gli anziani e i disabili finiranno sotto un ponte perché il falso saldo “attivo” nei fondi fiduciari sarà stato interamente consumato dai deficit di cassa temporanei. Nell’anno fiscale 2034 i benefici annuali in denaro e le spese amministrative ammonteranno a $2.479 miliardi, mentre gli incassi dalle imposte sui salari ammonteranno a soli $1.947 miliardi.

Secondo le normative attuali, se i fondi fiduciari AVS e AI vengono uniti le prestazioni si riducono come minimo del 21,5%, in caso contrario sul lato AVS (prestazioni per la vecchiaia) ancora di più. In realtà le prestazioni previdenziali medie previste per il 2034 ammonteranno a $28.000 all’anno, il che significa una riduzione di $6.000 per il beneficiario medio.

Naturalmente negli anni a venire diventerà evidente a più di 80 milioni di pensionati che i loro redditi verranno ridotti di $6.000 dollari all’anno. E molto di più tra coloro che ricevono il massimo beneficio; in quest’ultimo caso la perdita ammonterà a $15.000 all’anno.

È possibile evitare l’armageddon fiscale?

Non se l'Unipartito riuscirà a cavarsela anche stavolta. Bisogna impegnarsi per intraprendere un percorso onesto, giusto e fattibile per pareggiare il bilancio e salvare i fondi fiduciari entro il 2034, facendo perno su alcuni dei principali parametri fiscali, economici e politici esistenti nel 1998-2001, l’ultima volta che il bilancio è stato in pareggio.

Deficit/surplus federale in percentuale del PIL, 50 anni tra il 1974 e il 2023


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 7 maggio 2024

L'eco-ansia è un lusso che non ci possiamo permettere e che danneggia la civiltà stessa

 

 

di Joakim Book

Vivo in un piccolo villaggio ai margini di terre circondate dalla natura selvaggia. Coloro che occupavano queste valli in epoche passate vivevano vite pericolose, dove la fame era una preoccupazione costante, il mare tanto spesso nutriva quanto portava via e gli inverni erano lunghi e rigidi. Al giorno d'oggi, mentre cammino sulle montagne desolate o ammiro le violente tempeste, nella mia testa echeggiano le descrizioni di Thomas Hobbes della vita pre-civilizzata dell'essere umano: “Solitaria, povera, cattiva, brutale e breve”.

Oggi qui viviamo una vita abbastanza confortevole, io e i miei compaesani. I nostri focolari sono caldi, il nostro controllo sui beni economici è eccellente. Viviamo vite lunghe e sicure, dove nessuno muore di fame e dove quasi nessuno muore a causa delle esplosioni d'ira della natura. Usiamo macchine — costruite molto, molto lontano utilizzando materiali che non abbiamo, che funzionano con combustibili fossili che queste terre non contengono — per rimuovere la neve che frequentemente cade sulle nostre porte e che altrimenti renderebbe le nostre strade impraticabili e le nostre case prigioni. Usiamo diverse macchine — costruite molto, molto lontano utilizzando materiali che non abbiamo, che funzionano con combustibili fossili che queste terre non contengono — per uscire dalla nostra valle e trasportare beni e servizi, compresi frutta e verdura esotiche che qui non crescono (non certo in inverno!).

È davvero affascinante osservare le cose sorprendenti che il commercio globalizzato e il capitalismo possono realizzare. Fare un passo indietro e pensare ai miracoli del commercio moderno, dell’innovazione e della divisione del lavoro è davvero umiliante.

Eppure noi moderni benestanti ci preoccupiamo della nostra esistenza collettiva al punto che i bambini hanno incubi e la maggior parte delle persone afferma che il cambiamento climatico metterà fine alla razza umana. Circa un terzo dei giovani afferma di non volere figli per paura di peggiorare le condizioni climatiche. “L’ansia per il clima è diffusa tra i giovani”, riferisce National Geographic. “Come possiamo aiutare i nostri figli ad affrontare l’eco-ansia?” si chiede la British Broadcasting Corporation. La stragrande maggioranza degli intervistati in uno studio condotto a livello mondiale su diecimila persone e pubblicato su Lancet nel 2021, ha ammesso di essere molto o estremamente preoccupata. Gli scrittori di Vox si preoccupano dell'etica dell'educazione dei figli. Un nuovo studio, pubblicato da  Phys.org, ha evidenziato quanti giovani non avranno figli a causa del cambiamento climatico: sarebbe ingiusto “mettere al mondo un bambino” che dovrebbe convivere con la costante “sensazione di rovina, ogni giorno, per tutta la vita”, dice un aspirante genitore intervistato.

Molti dei miei compaesani nutrono tutte queste stesse idee – scioglimento dei ghiacciai e parti per milione – numeri, inondazioni e dilemmi etici su noi esseri umani che rendono la Terra inospitale o inabitabile.

È una cosa strana di cui preoccuparsi ossessivamente, mentre la violenta tempesta che infuria fuori dalle finestre con doppi vetri non influisce in alcun modo sulle nostre forniture di cibo, sul consumo di elettricità, sul riscaldamento, o sulla capacità di partecipare alla divisione globale del lavoro, sia nei nostri uffici che a distanza tramite Internet ad alta velocità. È a dir poco contraddittorio manifestare contro il capitalismo dalle comodità di case, hotel e pub costruiti e mantenuti in modo molto capitalistico; o inveire contro l’uso dei combustibili fossili che letteralmente ci tengono in vita.

Tutto ciò mi fa pensare all'assioma dell'azione umana, punto di partenza della prasseologia di Ludwig von Mises e pilastro su cui poggia l'economia Austriaca. La versione colloquiale di questa massima è “fate parlare i soldi non le parole” o “le azioni parlano più delle parole”. Dimostriamo con le nostre azioni dove si trovano le nostre preferenze e i nostri valori; li riveliamo al mondo (li realizziamo, in realtà) quando facciamo una cosa invece di un'altra, quando acquistiamo un bene invece di un altro, quando lavoriamo invece di rilassarci. Tutto ciò è avvolto nell’incertezza, nelle speranze e nei desideri soggettivi che si contrappongono ad altri desideri simili; col senno di poi possiamo pentirci delle scelte che abbiamo fatto. Ciononostante, dice Murray Rothbard, le “preferenze di un essere umano sono deducibili da ciò che ha scelto con le sue azioni”.

Forse questo clima ansiogeno è semplicemente un becero sfoggio di moralismo, in un mondo in cui le emozioni contano più dei fatti. Il distacco dai processi fisici della vita di base – energia, materiali, trasporti e, nelle economie monetarie complesse, denaro – ha reso molte persone ignoranti, tanto da dare per scontati gli stili di vita e gli standard di vita che abbiamo. Ci ha permesso di iniziare a pensare che i sistemi fondamentali e portatori di civiltà come il denaro, i combustibili fossili o le istituzioni commerciali siano facoltativi, una mera questione di scelta ideologica tra persone buone e persone cattive. Non è così.

Mi vengono in mente anche quelle credenze che sono un lusso che non ci si può permettere, un concetto coniato da Rob Henderson, psicologo dell'Università di Cambridge e autore del libro Troubled. Henderson trasferisce il “consumo vistoso” di Thorstein Veblen – l'acquisto di beni costosi, spesso inutili ma con lo scopo di ostentare la propria ricchezza – al dominio morale e politico. Una convinzione come lusso che non ci si può permettere, al pari di un bene vistoso, viene acquisita per impressionare gli altri ed è progettata per “conferire status alla classe superiore e a un costo minimo, imponendo, però, costi alti alle classi inferiori”.

Tali convinzioni non hanno molto senso e periscono nel mondo reale degli atomi e della temperatura, della natura e della fame. Ma siamo così distaccati dal mondo reale che ci sostiene fisicamente – così ricchi, così illusi, così benestanti – da attaccare quegli stessi sistemi che sostengono la nostra esistenza: l'eco-ansia e l’anticapitalismo. Presi alla lettera, e mettendo in atto linee di politica basate su tali follie, siamo diretti verso l’orrore e la povertà.

La buona notizia è che questi sistemi sono straordinariamente resilienti e queste voci potrebbero ancora essere tutte “chiacchiere”, come direbbe Nassim Taleb.

L'analista finanziario Doomberg ha proposto un'osservazione simile lo scorso febbraio, elencando in due paragrafi i principali eventi accaduti a partire dal 1971: crisi petrolifera, Iran-Iraq, guerre in Kuwait, conflitti in Medio Oriente, crolli finanziari dell'Asia, del peso e del rublo, gli attacchi terroristici, Libia-Siria-Ucraina, la crisi finanziaria mondiale e la crisi sanitaria. Attraverso tutti questi fenomeni, per quanto tumultuosi potessero sembrare al momento della loro comparsa e per quanto rilevanti restino nella coscienza politica, il consumo energetico totale del mondo è una linea retta che li attraversa. Ecco  il grafico:

Revisione statistica del consumo energetico totale mondiale. Fonte: Doomberg

Eventi socioeconomici radicali come i diritti delle donne o l'uguaglianza razziale; leader di sinistra o di destra; crisi e recessioni, inflazioni e anni di boom; generazioni di studiosi e scienziati e movimenti politici... e non c'è alcun impatto sulla cosa fondamentale che alimenta la nostra civiltà.

L'85% del consumo energetico primario del pianeta proviene direttamente da combustibili fossili, lo stesso avveniva più di trent'anni fa, quando sono nato. Si possono esprimere le proprie convinzioni sul cambiamento climatico, su obiettivi politici non credibili, come le emissioni zero (sempre da raggiungere entro anni che finiscono sospettosamente con zero o cinque), sulla riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, o su quanto sia “pulita” l’energia rinnovabile. I governi possono investire soldi, approvare leggi, o pontificare nelle sale dei bottoni, negli auditorium legislativi, o nella pubblica piazza, ma non cambieranno la situazione. Non possono cambiarla.

I cypherpunk usano il codice informatico; le persone intelligenti ignorano la politica. Dovreste uscire di casa, smettere di preoccuparvi dei pazzi che gestiscono questo manicomio e ammirare invece la natura per quello che è.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 6 maggio 2024

L'amministrazione Biden continua a implementare linee di politica idiote riguardo l'acciaio

 

 

di James Bovard

L'amministrazione Biden sta cercando di rafforzare la sua campagna di rielezione silurando le importazioni cinesi. In un discorso del 17 aprile a Pittsburgh, il cuore dell’industria siderurgica americana, Biden ha annunciato di voler triplicare i dazi sulle importazioni cinesi di acciaio e alluminio. I dazi attualmente ammontano a circa il 7,5%. Un comunicato stampa della Casa Bianca affermava: “ Il presidente Biden sa che l’acciaio è la spina dorsale dell’economia americana e un fondamento della nostra sicurezza nazionale”. Questa è l’ennesima prova che, per quanto riguarda la politica commerciale, i politici americani non hanno imparato nulla e non hanno dimenticato nulla.

Biden non aveva promesso di lasciarsi alle spalle le linee di politica stupide? Ricordate l'affermazione di Donald Trump del 2018 secondo cui “le guerre commerciali sono positive e facili da vincere”? Quando Trump impose un dazio del 25% sulle importazioni di acciaio nel 2018 venne ampiamente criticato per aver sovvertito la salute del settore manifatturiero americano solo per tenere in piedi un’unica industria.

Adesso Biden ha raddoppiato la posta in gioco. Il Washington Post scrisse nel 2021: “Una delle iniziative commerciali più controverse di Trump, che ha fatto arrabbiare gli alleati degli Stati Uniti e ha attirato il disprezzo di molti economisti, è diventata un pilastro della politica commerciale 'incentrata sui lavoratori' di Biden”. Ci sono 135.000 lavoratori in questo settore negli Stati Uniti rispetto ai più di sei milioni nelle industrie che usano l'acciaio. Politici e burocrati fanno finta che quest'ultimo numero non esista. Il Post scrisse che “l’amministrazione Biden è determinata a mantenere il proprio sostegno agli United Steelworkers, una forza portante negli stati chiave del Midwest”. I dazi sono diventati sempre più distruttivi; il prezzo dell’acciaio laminato a caldo è aumentato di oltre il 300% e i produttori si sono lamentati della carenza di materiali, dell’aumento dei prezzi e dei ritardi nelle consegne.

I produttori di acciaio sono stati i più grandi piagnucoloni e criminali del mondo commerciale nella storia americana moderna. L’industria dell’acciaio è stata fortemente protetta sin dalla costruzione della prima acciaieria in America nel 1875. Grazie a dazi elevati, Andrew Carnegie progettò il trust dell’acciaio, diventato leggendario per la vendita di acciaio all’estero a un prezzo di gran lunga inferiore rispetto a quello negli Stati Uniti. La US Steel si fece un occhio nero quando il presidente Theodore Roosevelt acquistò acciaio prodotto negli Stati Uniti direttamente in America Centrale, al 40% in meno rispetto a Pittsburgh, per la costruzione del Canale di Panama.

Durante le amministrazioni Johnson, Nixon e Carter, le importazioni di acciaio dall’Europa e dal Giappone furono soffocate dalle cosiddette restrizioni volontarie, che gli stranieri accettarono a malincuore invece di essere totalmente banditi dal mercato statunitense. Ma vietare i prodotti stranieri fece emergere il peggio delle aziende statunitensi. L'allora vice ambasciatore commerciale statunitense, Linn Williams, ammise che nel 1984 gli Stati Uniti erano “uno dei produttori [di acciaio] meno efficienti al mondo”. Il capo della Nucor Minimill, Ken Iverson, osservò nel 1986:

Non appena i prezzi cominciarono a salire [grazie alle restrizioni all’importazione] e le aziende siderurgiche cominciarono ad essere redditizie, queste ultime smisero di modernizzarsi. È solo sotto l'intensa pressione competitiva – sia internamente da parte delle mini-acciaierie, sia esternamente da parte di giapponesi e coreani – che le grandi aziende siderurgiche sono costrette a modernizzarsi.

Ma queste realtà di base non impedirono all’amministrazione Reagan di limitare severamente le importazioni di acciaio dal 1982 in poi. Nel 1984 il Congresso approvò un disegno di legge che conteneva una disposizione sulla scarsità di offerta, intesa “a proteggere gli acquirenti nazionali di prodotti siderurgici da eccessive turbolenze dovute all’incapacità di ottenere forniture adeguate da fonti nazionali”. Ma il Dipartimento del Commercio decise che nessun onere era troppo grande, nessun prezzo troppo alto e nessuna qualità troppo bassa per costringere i produttori americani a finanziare i produttori di acciaio statunitensi.

Nel 1986 lo stesso Dipartimento del Commercio impiegò in media 236 giorni per approvare una richiesta di fornitura scarsa. Come testimoniò Allan Mendelowitz del General Accounting Office: “Uno dei motivi per cui le decisioni hanno richiesto così tanto tempo [...] era specificamente quello di creare ostacoli all’acquisizione di acciaio attraverso il nostro programma”. Il vice segretario aggiunto Gilbert Kaplan, che gestiva tale programma, dichiarò nel 1988 che una scarsità di scorte “non è una situazione negativa. [...] è una situazione positiva”, il che significa che il settore “sta andando molto bene”. La linea di politica federale sull’acciaio conferiva a un solo uomo l’autorità di giudicare se i produttori americani avessero davvero bisogno dell’acciaio che chiedevano. Bill Lane, un alto funzionario della Caterpillar, ci ha ricordato che: “I prezzi elevati dell’acciaio e le carenze indotte dalle quote stavano minando l’efficienza delle fabbriche poiché i processi just-in-time hanno lasciato il posto a soluzioni alternative just-in-case”.

Le quote sull'acciaio dell'amministrazione Reagan distrussero molti più posti di lavoro di quanti ne salvarono. Il professor Hans Mueller ha stimato che esse comportarono la perdita di tredici posti di lavoro nelle industrie che utilizzavano l'acciaio per ogni posto di lavoro salvato di un operaio siderurgico. L’Institute for International Economics ha stimato che le quote costavano l’equivalente di $750.000 all’anno per ogni lavoro siderurgico salvato. Uno studio della Federal Trade Commission del 1984 stimava che le quote sull’acciaio costavano all’economia statunitense $25 per ogni dollaro aggiuntivo di profitto netto dei produttori di acciaio americani.

Nonostante la devastazione economica, nel 1989 il presidente George H. W. Bush estese le quote di importazione dell’acciaio per altri due anni e mezzo. Bush definì l’estensione delle quote un “programma di liberalizzazione del commercio dell’acciaio”, come se la retorica del libero mercato potesse magicamente trasformare la natura di un sistema invece protezionistico. Le quote del 1989 furono ampliate per includere tubi per il petrolio, assali e ruote di locomotive ferroviarie, danneggiando così sia l'industria petrolifera statunitense che i produttori di treni. Con l'amministrazione Bush gli Stati Uniti imposero 231 quote separate che coprivano 500 diversi prodotti siderurgici sulle importazioni di acciaio da diverse nazioni.

La linea di politica siderurgica di Reagan e Bush mise in ginocchio la competitività degli Stati Uniti. L’ex-presidente della International Trade Commission (ITC), Paula Stern, ha osservato: “I prezzi gonfiati dell’acciaio negli Stati Uniti sono stati un fattore importante nell’erosione della preminenza manifatturiera e dell’occupazione degli Stati Uniti dagli anni ’60 alla metà degli anni ’80”. L’ITC ha concluso che le quote di importazione sull’acciaio fecero salire il deficit commerciale degli Stati Uniti, causando un aumento significativo delle importazioni di manufatti contenenti acciaio e una diminuzione delle esportazioni statunitensi di prodotti siderurgici.

I politici che sostenevano il blocco dei porti americani contro l’acciaio estero non hanno mai ammesso che l’acciaio americano fosse ampiamente percepito come di qualità inferiore rispetto a quello estero. Il rifiuto della Ford Motor Company per l'acciaio prodotto negli Stati Uniti durante gli anni '80 era cinque volte superiore a quello per l'acciaio estero. Un sondaggio ITC del 1990 mostrò che il 55% degli acquirenti americani di barre e tondini di acciaio inossidabile valutava la qualità dei prodotti e il servizio clienti giapponesi “eccellenti”, mentre solo il 2% valutava altrettanto positivamente la qualità dei prodotti e del servizio statunitensi.

Ma le follie protezionistiche della fine del XX secolo non impedirono a George W. Bush, il primo presidente del nuovo secolo, di imporre nuove restrizioni sulle importazioni di acciaio. Quando entrò in carica più della metà di tutte le importazioni di acciaio erano limitate dal controllo federale sui prezzi, attraverso sanzioni contro i sussidi esteri o sanzioni contro i prezzi bassi (il cosiddetto dumping). I lobbisti dell’acciaio ebbero un ruolo importante nella stesura delle leggi statunitensi sul “commercio equo”, le quali aiutavano a garantire che la concorrenza estera venisse giudicata colpevole nonostante l’assenza di illeciti.

Anche se all’inizio degli anni 2000 le importazioni complessive di acciaio erano in calo, l’ITC ha concluso che le acciaierie americane erano state danneggiate da una “impennata” delle stesse. L’unico prodotto con importazioni in forte aumento erano le bramme di acciaio: prodotti non finiti acquistati dalle acciaierie americane e trasformati in prodotti finiti di valore più elevato. L’ITC ha sottolineato che le acciaierie americane erano state gravemente danneggiate dalle lastre straniere che avevano volontariamente acquistato e da cui avevano tratto profitto. Non aveva alcun senso ma, poiché era la legge commerciale degli Stati Uniti, non doveva avere senso.

L'amministrazione Bush sapeva già prima d'imporre nuovi dazi che i problemi dell'industria siderurgica non erano dovuti al commercio sleale. All'inizio del 2001 il Dipartimento del Tesoro incaricò il Boston Consulting Group di analizzare l'industria siderurgica statunitense e la situazione mondiale dell'acciaio. L’American Metal Market riferì che lo studio “ha evidenziato le inefficienze nella produzione di acciaio statunitense rispetto ai concorrenti mondiali” e “ha misurato l’efficienza dell’industria siderurgica statunitense, posizionandola nell’ultimo terzo di un confronto globale”. Le aziende siderurgiche statunitensi furono indignate dallo studio, quindi il Dipartimento del Tesoro cancellò quella relazione.

Il 5 marzo 2002 il presidente Bush impose un nuovo dazio del 30% sulle importazioni di acciaio: “Il libero scambio è un importante motore della crescita economica e una pietra angolare della mia agenda economica”. Disse poi come avrebbe protetto i lavoratori americani da quella pietra angolare:

Parte integrante del nostro impegno per il libero scambio è far rispettare le leggi sul commercio e garantire che le industrie e i lavoratori americani possano competere in base a condizioni di parità [...]. Oggi annuncio la mia decisione d'imporre misure di salvaguardia temporanee per dare all’industria siderurgica americana e ai suoi lavoratori la possibilità di adattarsi al grande afflusso di acciaio estero.

Bush invocò le leggi statunitensi sul commercio equo e la “parità di condizioni” e poi annunciò che stava fornendo un sollievo speciale ai produttori di acciaio che non avevano nulla a che fare con le leggi sulle presunte importazioni sleali.

L’amministrazione Bush sapeva che i dazi sull’acciaio avrebbero distrutto posti di lavoro nel settore manifatturiero americano, ma li impose comunque. Il principale consigliere economico di Bush, Glenn Hubbard, “ha pubblicato analisi dettagliate contro i dazi, comprese le perdite di posti di lavoro stato per stato che ha previsto per il settore manifatturiero”, scrisse il Washington Post. Le perdite di posti di lavoro stimate non sono mai state rese pubbliche. Un’analisi economica della fine del 2001, condotta dalla società di consulenza Trade Partnership Worldwide, stimava che “i nuovi dazi sull’acciaio costeranno circa otto posti di lavoro americani per ogni lavoro siderurgico protetto”.

I prezzi dell’acciaio laminato a caldo raddoppiarono tra il momento in cui l’ITC raccomandò i dazi sulle importazioni, nel dicembre 2001, e l’estate del 2002. Anche i produttori statunitensi vennero devastati dalla carenza di prodotti siderurgici, poiché i dazi interruppero il commercio internazionale e scoraggiaribi le esportazioni verso gli Stati Uniti. In molti casi le acciaierie statunitensi infransero i contratti e costrinsero i clienti americani a pagare prezzi molto più alti. La Consuming Industries Trade Action Coalition ha stimato che “l’aumento dei prezzi dell’acciaio è costato 200.000 posti di lavoro americani e $4 miliardi in salari persi da febbraio a novembre 2002”. Un’analisi dell’ITC ha concluso che i nuovi dazi costarono alle industrie consumatrici di acciaio $9 per ogni dollaro di profitti aggiuntivi. Alla fine del 2003, di fronte alle minacce di ritorsioni commerciali europee dopo le sentenze del World Trade Center contro i dazi, Bush li sospese.

Trump ha fatto eco alle follie dei presidenti repubblicani pre-Depressione come Herbert Hoover.  I dazi sull’acciaio e sull’alluminio hanno scatenato ritorsioni estere che a loro volta hanno distrutto circa trecentomila posti di lavoro. Il 7 aprile 2021 la segretaria al Commercio Gina Raimondo ha dichiarato che tali dazi “hanno contribuito a salvare posti di lavoro americani nelle industrie dell’acciaio e dell’alluminio”. Li ha anche giustificati come un modo per “livellare il campo di gioco”. La Raimondo ha continuato la tradizione dei segretari del Commercio rifiutandosi di utilizzare la partita doppia, guardando invece esclusivamente al profitto delle industrie protette. Sfortunatamente l’amministrazione Biden ha considerato quei dazi un brillante successo.

Se il protezionismo producesse competitività, i produttori di acciaio americani sarebbero diventati leader mondiali già da tempo. I dazi sull’acciaio sono una delle linee di politica anti-industriali più sfacciate, un avvertimento eterno sull’incorreggibilità dei politici a caccia di voti e contributi elettorali. Il futuro della politica commerciale è cruciale per il futuro della libertà. Ogni restrizione su un venditore estero è un controllo su un acquirente americano. Non dovrebbe essere un crimine federale che i produttori americani possano acquistare acciaio a prezzi bassi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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