venerdì 30 maggio 2025

La grande riorganizzazione degli USA (Parte #2)

 


di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-grande-riorganizzazione-degli-ae4)

COPRIRE IL DOLLARO E RICAPITALIZZARE L'AMERICA

I mercati hanno iniziato a scontare una ricapitalizzazione degli Stati Uniti il ​​giorno dopo le elezioni presidenziali, quando è stato chiaro che sarebbe stato Trump a vincere. È più comune parlare di ricapitalizzazione in termini di un'azienda, ma lo stesso concetto può essere applicato a un Paese. Fa riferimento a una ristrutturazione del quadro finanziario ed economico di un'entità, oltre a stabilizzare la struttura del capitale. Per gli Stati Uniti, questo deve essere fatto sui seguenti livelli:

• Debito pubblico e salute fiscale;

• Stabilità del dollaro;

• Rilancio economico.

Se il team DOGE avrà successo, il suo sforzo contribuirà notevolmente a consolidare le finanze del governo federale e a stabilizzare il dollaro. Eviterebbe anche una crisi del debito sovrano, poiché la domanda di titoli del Tesoro statunitensi aumenterebbe quasi certamente. E se riuscisse a tagliare in modo netto l'attuale struttura normativa e amministrativa, ciò contribuirebbe notevolmente alla rivitalizzazione economica. Ci vorrebbe del tempo, ma assisteremmo a una rinascita delle piccole imprese in questo Paese se lo Stato profondo venisse smantellato. Allo stesso tempo tassi d'interesse normalizzati contribuirebbero a invertire cinque decenni di finanziarizzazione, il che aprirebbe la strada a una rinascita della classe media americana, un tempo fiorente.

Ma non si può essere totalmente ottimisti: anche se tutto ciò si verificasse, non cancellerebbe 50 anni di pessime politiche economiche dall'oggi al domani. Né cancellerebbe il debito nazionale di circa $36.000 miliardi.

Ed è qui che emerge un nuovo, curioso piano...

La senatrice del Wyoming, Cynthia Lummis, ha presentato un disegno di legge per istituire una “Riserva strategica in Bitcoin” per il governo degli Stati Uniti. La legge propone che il Dipartimento del Tesoro e la FED acquistino 200.000 bitcoin all'anno per cinque anni. L'obiettivo è accumulare un milione di bitcoin, quasi il 5% dell'offerta totale. Ai prezzi attuali, ciò equivale a oltre $100 miliardi in Bitcoin, ma se la FED portasse a termine questo piano, il prezzo in dollari aumenterebbe notevolmente, probabilmente di 5 volte o più. Donald Trump ha espresso il suo sostegno a questo piano, così come numerosi dirigenti aziendali.

Marc Andreessen, fondatore di Netscape e della società di venture capital Andreessen Horowitz, è uno di questi. Di recente ha rivelato di aver trascorso circa metà del suo tempo a Mar-a-Lago a lavorare con la nuova amministrazione Trump dopo le elezioni. Alla domanda su quale sarebbe la destinazione d'uso di questa “Riserva Strategica in Bitcoin”, le risposte fornite sono vaghe, incentrate sulla stabilità economica, la sicurezza nazionale e il rimborso del debito pubblico... ma c'è anche un altro aspetto. La mia scommessa è che Bitcoin sarà reso una forma di collaterale e quindi utilizzato per ricapitalizzare il sistema bancario e coprire i mercati dei titoli del Tesoro statunitensi. Bitcoin sarebbe perfetto per questo compito.

Naturalmente questo non era il suo scopo originale, non è per questo che mi sono avvicinato a questa tecnologia nel 2011. All'epoca ero interessato a Bitcoin come moneta, non come un meccanismo per contribuire a ricapitalizzare il sistema finanziario attuale. Tuttavia ho imparato a non lasciare che la “perfezione” fosse nemica della “scelta migliore”.


IL PIANO “AMERICA FIRST” SI CONCRETIZZA

Trump ha nominato Howard Lutnick come Segretario al Commercio. Non credo che sia molto noto, ma è l'amministratore delegato della società di investimenti Cantor Fitzgerald. Essa offre ai clienti istituzionali una vasta gamma di servizi finanziari ed è anche uno dei 24 Primary dealer del Federal Reserve System. Si tratta di una posizione davvero privilegiata, dato che i Primary dealer partecipano all'asta dei titoli del Tesoro USA e ricevono accesso diretto ai finanziamenti a basso costo della FED attraverso la “finestra di sconto” e il mercato pronti contro termine. Tutto questo per dire che Lutnick è un vero insider ed è in sintonia con i meccanismi che stanno alla base del sistema finanziario basato sul dollaro. Ed è qui che la storia si fa interessante...

All'inizio di quest'anno Cantor Fitzgerald ha investito $600 milioni in una società chiamata Tether. Cantor ora detiene circa il 5% della società. Tether emette l'omonima stablecoin in dollari: una criptovaluta che funziona in modo simile a Bitcoin, solo che è agganciata 1 a 1 al dollaro. Ciò significa che un USDT equivale sempre a circa 1 dollaro. Mantenere questo ancoraggio è piuttosto semplice: gli utenti acquistano USDT con dollari, Tether prende poi quei dollari e li investe in vari asset, tra cui titoli del Tesoro USA, Bitcoin e oro. Questo crea una riserva di asset a supporto di ogni USDT emesso.

Poco dopo l'investimento di Cantor in Tether, negli ambienti finanziari ha iniziato a diffondersi la voce che stesse anche sviluppando un fondo per prestare dollari a fronte di garanzie in Bitcoin, con Tether come elemento fondamentale di tale infrastruttura. E ora possiamo vedere il piano iniziare a prendere forma...

Sotto la guida di Cantor Fitzgerald, vedremo il sistema finanziario tradizionale iniziare a prestare dollari coperti da Bitcoin, proprio come accade con altri beni durevoli come gli immobili. Ciò significa che il governo statunitense potrà prendere in prestito dollari coperti dalla sua “Riserva Strategica in Bitcoin”, ottenendo così una seconda fonte di finanziamento oltre all'emissione di titoli del Tesoro. L'effetto netto è che il dollaro sarà in una certa misura coperto da Bitcoin e quest'ultimo sarà monetizzato. Ciò a sua volta stimolerà anche la domanda di USDT, in quanto rappresenta lo strato intermedio tra i dollari tradizionali e Bitcoin. Con l'afflusso di capitali verso USDT, Tether li investirà in asset di riserva, rafforzando ulteriormente il dollaro; e con un Primary dealer come Cantor che ora sostiene l'azienda, possiamo aspettarci che Tether investirà anche in titoli del Tesoro statunitensi.

Più ci penso, più mi rendo conto che si tratta di un piano davvero brillante.

Il governo degli Stati Uniti acquisterà un milione di bitcoin nei prossimi cinque anni per creare la sua riserva strategica. Nel frattempo il sistema finanziario sta creando l'infrastruttura necessaria per erogare prestiti in Bitcoin come garanzia. Ciò significa che la “Riserva Strategica in Bitcoin” coprirà il dollaro. Allo stesso tempo altre istituzioni e individui useranno questi prestiti garantiti da Bitcoin, consentendo a quest'ultimo di fungere da riserva personale. Questo convoglierà un maggiore capitale in Tether, che a sua volta acquisterà titoli del Tesoro statunitensi, cosa che a sua volta sosterrà le finanze del governo americano riducendo la necessità di investimenti esteri. Una tale dinamica sbloccherà un'immensa quantità di valore attualmente depositata in Bitcoin. È logico che gran parte di questo capitale verrà utilizzato per stimolare l'attività economica e forse anche per iniziare a risolvere il problema delle infrastrutture americane in rovina.

E non deve per forza fermarsi a Bitcoin...


LA RIMONETIZZAZIONE DELL'ORO

Il governo degli Stati Uniti possiede ancora 8.133,46 tonnellate d'oro. Si tratta della più grande riserva aurea conosciuta al mondo. Precedenti funzionari, tra cui l'ex-presidente della FED, Ben Bernanke, hanno sempre minimizzato la questione. Quando gli venne chiesto perché il governo degli Stati Uniti detenesse ancora oro, Bernanke rispose che era “per tradizione”... a dir poco assurda come risposta. Ovviamente il governo degli Stati Uniti ha sempre riconosciuto l'importanza strategica della sua enorme riserva aurea, altrimenti l'avrebbe venduta molto tempo fa. Se il governo monetizza Bitcoin come descritto sopra, è ragionevole che monetizzi anche l'oro. La stessa infrastruttura utilizzata per garantire Bitcoin potrebbe essere utilizzata per l'oro.

È interessante notare che il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti contabilizza ancora le sue riserve auree a un valore contabile di $42,22 l'oncia in bilancio. Questo valore stima l'oro del governo statunitense a $10,4 miliardi... una goccia nell'oceano oggi. Tuttavia l'oro oggi viene scambiato oltre $3.000 l'oncia mentre scrivo. Le riserve auree statunitensi valgono circa $800 miliardi ai prezzi correnti e il prezzo dell'oro salirebbe ancora di più se venisse rimonetizzato. Un aumento del prezzo dell'oro (in dollari) ricapitalizzerebbe ulteriormente l'America e contribuirebbe a fornire un'altra soluzione al debito nazionale.

Infatti negli ultimi anni abbiamo assistito a numerose proposte per operazioni del Dipartimento del Tesoro coperte dall'oro. L'ex-capo stratega di Trump, Steve Bannon, ha suggerito che la seconda amministrazione Trump potrebbe perseguire politiche monetarie coperte dall'oro nel tentativo di ridurre il debito nazionale; anche l'ex-candidata di Trump alla FED, Judy Shelton, ha promosso l'idea di titoli del Tesoro coperti dall'oro.

Inoltre il Project 2025 della Heritage Foundation richiede esplicitamente la rimonetizzazione dell'oro. Trump vi ha preso le distanze durante la campagna elettorale, ma due dei suoi nuovi membri del gabinetto vi hanno contribuito direttamente, tra cui il direttore entrante dell'OMB Russell Vought, il più influente per quanto riguarda le questioni monetarie.

Ripristinare il ruolo monetario dell'oro all'interno del sistema finanziario basato sul dollaro aumenterebbe quasi certamente la fiducia globale nel biglietto verde e nei titoli del Tesoro statunitensi. Insieme alla monetizzazione di Bitcoin, questo potrebbe anche sbloccare migliaia di miliardi di dollari di valore intrappolato che potrebbero essere utilizzati per ripagare il debito nazionale.


DAVVERO POTREBBE ACCADERE?

Prima di tre anni fa non pensavo che nulla di simile potesse mai essere possibile. Ero “black-pilled”, come si dice oggi: non pensavo che il sistema potesse essere riformato, soprattutto a causa di un'esperienza passata, ovvero quella di Ron Paul nel 2012. All'epoca esisteva un sito chiamato The Daily Paul attraverso il quale i sostenitori riportavano tutto ciò che vedevano accadere nelle loro contee e nei loro stati. I media tradizionali, inclusa Fox News, facevano di tutto per far sembrare Ron Paul un pazzo senza alcun supporto popolare; la realtà è che aveva il Partito Repubblicano contro. Arrivò addirittura un momento in cui un numero significativo di suoi delegati venne eletto alla convention nazionale, i quali avevano intenzione di votare per Ron Paul come candidato repubblicano alla presidenza. Ma gli imbrogli erano proprio dietro l'angolo: il Partito Repubblicano arrivò ​​al punto di revocare le credenziali a intere liste di delegati di Ron Paul e poi a sostituirli con quei nomi che più gli aggradava.

Per il Partito Repubblicano nel suo complesso, si trattava solo di assicurarsi che l'elettore repubblicano medio credesse che Ron Paul fosse un candidato marginale con idee folli. Non voleva che la gente sentisse cosa avesse realmente da dire, perché sapeva che avrebbe trovato eco in molti elettori. Una giornalista di nome Deborah Smarth ha scritto un libro su quanto accaduto durante quella stagione delle primarie repubblicane, intitolato America's Lost Opportunity: Stolen Victories 2012.

La Smarth ha documentato molti esempi di pratiche ingannevoli e ostili da parte del Partito Repubblicano durante quella campagna elettorale. Inutile dire che il cinismo era tutto quello che mi sono portato dietro dopo quell'esperienza, soprattutto quando si vede un candidato che sosteneva la riforma fiscale e un ritorno ai principi fondanti dell'America venir sostituito da un sostenitore dei globalisti come Mitt Romney.

Mi sono, quindi, aggrappato al cinismo per un decennio. Per il momento, però, l'ho messo da parte: c'è qualcosa di diverso in quello che sta succedendo oggi. Considerati tutti i punti che abbiamo collegato in questo saggio, e tutte le briciole di pane che ci hanno portato fin qui e raccolte nel mio ultimo libro intitolato Il Grande Default, credo che all'agenda “America First” gli si debba dare una possibilità. Certo, non è filosoficamente coerente come il piano di Ron Paul, ma è certamente migliore di quello che abbiamo ora ed è decisamente migliore di quello che i globalisti vorrebbero imporre.

Ecco cosa c'è di diverso in quello che sta succedendo oggi... Stiamo assistendo a una strana coalizione di giganti della tecnologia, addetti ai lavori di Wall Street, i nuovi media (con Joe Rogan e Tucker Carlson come protagonisti) ed ex-Democratici che si uniscono attorno al team di Trump e alla sua agenda “America First”. Anche Robert F. Kennedy Jr. è a bordo e il suo cognome rappresenta forse la dinastia politica più iconica del Partito Democratico nella storia americana. Sulla stessa linea Joe Rogan ha appoggiato Bernie Sanders nel 2016; ora sostiene attivamente il programma “America-First”.

Questa non è altro che una controrivoluzione contro il programma globalista. 

È di natura apartitica ed è guidata da qualcosa di più dell'interesse personale: è guidata dall'autoconservazione. Di chi? Del sistema bancario commerciale statunitense. Quindi sono convinto che lo sforzo di riforma a cui stiamo assistendo oggi sia sincero. C'è un piano in atto e non ha nulla a che vedere con l'amministrazione Trump del 2016, la quale nominò un gruppo di vecchi neoconservatori repubblicani (neocon) che alla fine fecero saltare tutto in aria. Ovviamente non so se i NY Boys e l'amministrazione Trump riusciranno a portare a termine il loro piano, ma penso che abbiano una ragionevole possibilità di successo. Sarà affascinante osservare come si evolverà il tutto.

E ci sono anche importanti implicazioni per gli investimenti...


INVESTIRE IN UN MONDO IN CUI L'AMERICA È AL PRIMO POSTO

Se ciò di cui abbiamo discusso oggi si realizzerà, entreremo in un mondo che nessuno di noi ha mai conosciuto prima. Non avrei mai pensato, nemmeno per un secondo, che una cosa del genere sarebbe stata possibile ma se i puntini si uniscono come li abbiamo uniti, ci troveremo in un mondo deflazionistico in cui la massa monetaria statunitense si ridurrà, così come la dimensione del governo federale stesso.

Questa non è una buona notizia per i multipli di valutazione nei mercati azionari. I titoli tecnologici in forte crescita, attualmente scambiati oltre 30X il valore di vendita, quasi certamente torneranno a livelli di valutazione più ragionevoli. Non credo però che questo scenario porterebbe a un'Armageddon nel mercato azionario, semplicemente perché il capitale d'investimento troverebbe probabilmente interessanti le azioni statunitensi in un mondo in cui la spesa pubblica è sotto controllo e la regolamentazione non è apertamente ostile alle imprese e al commercio. Inoltre il mondo che stiamo descrivendo è un mondo in cui 50 anni di finanziarizzazione verrebbero gradualmente invertiti.

In questo mondo, il mercato azionario tornerebbe gradualmente a rispecchiare l'economia reale. Proprio come ai vecchi tempi. Naturalmente ci saranno delle aziende che ne trarranno vantaggio e altre no. Nel frattempo Bitcoin e oro continueranno a salire in dollari. Per Bitcoin non c'è altro da fare che salire se il governo degli Stati Uniti inizierà ad acquistare 200.000 unità all'anno. Pensate a questo: ci saranno solo 21 milioni di bitcoin in circolazione, ma 19,8 milioni di questi sono già stati minati e ne restano solo 1,2 milioni da immettere in circolazione. Non solo, ma il protocollo di Bitcoin riduce esponenzialmente il numero di nuovi bitcoin minati nel tempo. Possiamo calcolare con certezza matematica che l'ultimo blocco non verrà minato prima del 2140; sono 116 anni da oggi e questa scarsità è il motivo per cui Bitcoin è prezioso come asset finanziario.

La prospettiva rialzista per l'oro in questo scenario non è così diretta. Infatti ci si aspetterebbe che la deflazione risulterà negativa per il suo prezzo in dollari. La rimonetizzazione dell'oro aumenterà la domanda da parte delle banche centrali e degli investitori istituzionali. Ogni istituto che attualmente detiene titoli del Tesoro USA come asset di riserva allocherà molto probabilmente anche una parte delle proprie riserve in oro.

Allo stesso tempo il dollaro si rafforzerà rispetto alle valute estere; soprattutto nei confronti dell'euro. Come investitori, penso che sostenere le proprie finanze con oro e Bitcoin sia la cosa più importante che si possa fare. Dovrebbero essere trattati entrambi come vere e propri asset di riserva, non come veicoli d'investimento. In altre parole, lo scopo di acquistare oro e Bitcoin non è investire valuta oggi nella speranza di ottenere più valuta domani. No, si tratta di scambiarla con le due principali riserve ufficiali mondiali. In questo modo ci si ritroverà un bilancio solido con una solida copertura finanziaria.

Questo apre una serie di strategie interessanti, soprattutto in un mondo in cui si possono usare queste riserve per collateralizzare e accelerare i propri investimenti. Una delle strategie più interessanti oggi, a livello aziendale, riguarda le “convertible note”: emettere obbligazioni a leva coperte da Bitcoin, ad esempio.

A livello individuale, invece, ci sono le “mortgage note” (cambiali ipotecarie). La maggior parte degli investitori sa che esiste un mercato immobiliare in ogni grande città degli Stati Uniti. Le persone comprano e vendono immobili ogni giorno. Non credo che molti si rendano conto che esiste anche un mercato per le cambiali ipotecarie: mutui su case unifamiliari e terreni. In qualsiasi momento ci sono centinaia di questi mutui in vendita e sono disponibili per gli investitori al dettaglio, senza bisogno di accreditamento. Acquistare cambiali ipotecarie è l'altra faccia della medaglia rispetto all'acquisto di immobili da dare in affitto. Con le cambiali non si possiede la casa, solo il debito. E questo significa che non si è responsabili per la pulizia dei tappeti, la tinteggiatura delle pareti o la riparazione della doccia che perde. Non ci sono spese impreviste che potrebbero intaccare il flusso di cassa mensile.

Inoltre si possono sempre trovare mutui a prezzi accessibili. Che ci crediate o no, la maggior parte delle cambiali ipotecarie disponibili sul mercato secondario si colloca nella fascia di prezzo più bassa. Questo perché banche, compagnie assicurative e hedge fund tendono a vendere le loro vecchie cambiali ogni volta che acquistano un blocco di cambiali più consistenti con durate più lunghe. Devono costantemente mantenere una “scala” di durata all'interno del loro portafoglio. Le cambiali ipotecarie sono un investimento molto interessante in un mondo deflazionistico, dove non bisogna preoccuparsi di un drastico calo del potere d'acquisto della valuta.

Inoltre le cambiali ipotecarie offrono rendimenti più elevati rispetto agli immobili in affitto nel clima attuale, dato l'aumento dei tassi d'interesse. Sono un ottimo strumento per creare un reddito mensile passivo. E se si usasse quest'ultimo per finanziare altri investimenti, inclusi investimenti con tassi di rendimento garantiti contrattualmente?

Ci sono parecchi pezzi di questo puzzle, ma una volta compresi – e come si incastrano tra loro – creare un sistema di investimento è alla portata di chiunque. L'idea alla base di un sistema di investimento del genere è semplice ed è quella che viene adesso usata da quelle aziende che utilizzano le “convertible note” per comprare Bitcoin: sostengono le proprie finanze con oro e Bitcoin, poi usano il loro flusso di cassa per coprire gli strumenti finanziari emessi e finanziare nuovi investimenti, inclusi quelli che aumentano ulteriormente il loro flusso di cassa. In questo modo si viene a creare un “effetto valanga” che aumenta il proprio patrimonio e il reddito nel tempo.

Il punto chiave è che questa strategia funziona meglio in un contesto in cui il potere d'acquisto del dollaro rimane relativamente stabile. Ecco perché il programma “America First” potrebbe rivelarsi un’importante manna per gli investitori in futuro.

Generare un flusso di cassa mensile: investire, ad esempio, in cambiali ipotecarie per creare un reddito passivo senza le complicazioni della gestione immobiliare;

Sfruttare il proprio flusso di cassa (sottoponendolo eventualmente a leva): usare tale questo reddito per finanziare altri investimenti ad alto rendimento, creando un “effetto valanga” che fa crescere il proprio patrimonio in modo esponenziale.

Proteggere il proprio patrimonio: integrare i modi migliori per sostenere le proprie finanze con oro e Bitcoin, garantendo stabilità, anche in un contesto deflazionistico.

Inutile ricordare che si tratta di ipotesi personali e non rappresentano un invito automatico all'azione. Questi comunque sono temi che vengono trattati in maggiore dettaglio nel servizio di consulenza del blog prenotabile su Calendly.


CONCLUSIONE

Quando parlo della cricca di Davos mi riferisco a quel gruppo costituito da banchieri e famiglie europei le cui ambizioni colonialiste non sono mai scomparse. Il loro modus operandi è sempre stato uno: destabilizzazione, estrazione di ricchezza, crollo, obiettivo successivo. Il modo migliore per pensare a essi è quello di immaginarli come locuste: si spostano in un territorio, lo destabilizzano dall'interno, creano caos nella società, cambiano leggi/regole, estraggono il capitale, lo spediscono altrove e riniziano il processo da lì. Gli Stati Uniti sarebbero dovuti essere i prossimi e la Cina dopo di essi. C'hanno provato con la Russia ma sono stati rispediti al mittente. Lo strappo con gli Stati Uniti, invece, è avvenuto nel momento in cui Powell e Williams sono stati posti come governatore e vice, e hanno iniziato a lavorare sul SOFR (forse anche prima, ma con loro due alla FED è stato lapalissiano). Come ho scritto nel Capitolo 3 del mio ultimo libro, Il Grande Default, il coordinamento a livello di banche centrali sin dalla crisi del 2008 denotava una volontà comune di portare l'attuale sistema economico/finanziario post-Seconda guerra mondiale alla sua naturale morte e riciclare la classe dirigente che l'ha scombussolato in quello nuovo.

Se la classe oligarchica americana, la classe bancaria americana, ha infine guardato cosa c'era oltre l'orizzonte e ha capito che non avrebbero fatto parte di coloro che avrebbero dettato le regole nel nuovo sistema, allora avevano tutti gli incentivi di questo mondo a opporre resistenza. E il modo migliore affinché la opponessero era quello di combattere, inizialmente, a livello finanziario e poi seguire il flusso del denaro: passare successivamente al livello culturale, al livello giudiziario, al livello politico, ecc. Nel caso in particolare, controllare il flusso di denaro tramite la riconquista della politica monetaria da parte della FED avrebbe significato rimuovere quegli “agenti infiltrati” che facevano gli interessi dei globalisti. Ed è qui che siamo ora: la rimozione di quel cancro che ha corrotto le istituzioni americane. Inutile dire che questo passaggio è meglio esemplificato nella concretezza dal marciume portato a galla dalle investigazioni del DOGE.

Quanto detto accade internamente, a livello internazionale la stessa “pulizia” viene portata avanti dai dazi e dagli accordi commerciali. Avete notato come 48 ore dopo la visita di Vance in India e l'intavolamento di un nuovo accordo commerciale con Modi, Pakistan e India hanno rischiato di far partire i razzi nucleari? E chi ha profonde radici di intrallazzi nella regione? Gli inglesi. Quel tipo di relazioni sono vecchie e radicate, e cambiarne la dinamica comporta una reazione violenta ed esagerata. Ecco perché la stampa (di stampo inglese) attacca senza tregua la nuova amministrazione facendola passare per spacciata e ingenua. Non analizza per niente il suo piano messo in campo, facendo invece apparire i membri che ne fanno parte come spaesati e divisi. Classico esempio di modus operandi dell'MI6, tra l'altro.

La rinegoziazione dei vecchi accordi commerciali viene fatta, adesso, a vantaggio degli USA, non più un volano per spolpare la nazione della sua prosperità e trasferirla all'estero. Infatti la politica estera americana, ad esempio, è stata fino al 2024 in mano ai globalisti oltreoceano. Il passo successivo è quello di cambiare il modo in cui vengono tassati gli americani, riformando una delle più grandi ingiustizie fiscali del mondo: l'imposta sul reddito. Saranno gli altri a pagare per la gigantesca mole di debito emessa, ad esempio, dalla Yellen nel 2024 per fare un favore a Londra e Bruxelles. Non si può non partire da un fatto: il collaterale è ciò che conta e conterà sempre, e quello di qualità superiore a livello internazionale e che permette di accedere al mercato dei finanziamenti rapidi più liquido al mondo è rappresentato dai titoli di stato americani. E questo lo sappiamo dal fatto che, secondo un articolo recente della Reuters, la BCE è preoccupata dal fatto che non tutti gli stati membri dell'UE potranno accedere alle linee di swap della FED in caso di difficoltà. Ed è una realtà già adesso, visto che la BCE stessa deve presentarsi alla finestra di sconto della FED, cappello in mano, per ottenere prestiti. Li ottiene, però, a un tasso d'interesse superiore rispetto a quello pagato dalle banche americane (uno spread di circa 80 punti base). Questo a sua volta significa che il margine attraverso il quale la nazione può assorbire e sostenere il rollover del debito interno sta aumentando. Prosciugare all'estero il mercato degli eurodollari e all'interno far rimanere quanto più possibile i titoli di stato americani. Non scordiamoci che i più grandi possessori di obbligazioni statunitensi, a oggi, sono Londra e Bruxelles (insieme alle loro succursali) ammassati durante la presenza della Yellen al Dipartimento del Tesoro. Stanno usando questo stock per puntellare i loro di problemi economici, perché nelle prime fasi di una crisi della valuta, il valore della stessa aumenta dato che i capitali vengono richiamati in patria per affrontare i problemi. Poi scende. Sia l'euro che lo yen si trovano nella stessa situazione, ma per ragioni diverse ed entrambi sono alla mercé della FED. Gli accordi commerciali sulla scia dei dazi serviranno a capire chi è “amico” e “nemico” degli USA, e ovviamente chi avrà accesso alle linee di swap.

Questa strategia viene ulteriormente portata avanti dalla proposta di legge al vaglio adesso al Congresso, la quale prevederebbe il decadimento delle agevolazioni fiscali per quelle compagnie estere che decidono di acquistare titoli obbligazionari americani. Per quanto possa esserci un selloff iniziale, i titoli di stato americani rimangono ancora il collaterale per eccellenza nei mercati mondiali. Il SOFR ha cambiato tutte le carte in tavola e adesso per avere dollari bisogna andare solo dalla FED. In parole povere, contrazione dell'offerta di dollari all'estero, rimpatrio di capitali, rinnovo del debito americano in scadenza attraverso la domanda interna e strangolamento degli avversari tramite carenza di dollari (BCE e BOE). Infatti gli USA non hanno affatto bisogno di $36.000 miliardi in debito da emettere, ma solo $4-5.000 miliardi per rendere liquidi i mercati monetari interni. Ecco perché il resto del mondo avrà un prezzo per i dollari che circoleranno all'estero diverso da quelli che circoleranno internamente.

L'obiettivo principale dei NY Boys è quello di difendere il prezzo del dollaro in patria, non all'estero. Il LIBOR, invece, era stato progettato per ottenere il contrario. Adesso saranno gli altri a pagare un premio per usare i dollari. I cambiamenti messi in moto sono epocali e stanno segnalando la fine di un'era che ci portiamo dietro sin dalla nascita della Banca d'Inghilterra.

Senza togliere di mezzo quei figuri che hanno corrotto il denaro, non ci potrà essere denaro sano/onesto o libertà individuale. E la guerra tra i NY Boys e la cricca di Davos è la miglior occasione per ottenere entrambi come sottoprodotto delle loro schermaglie. Non esistono player più potenti sulla faccia della Terra della Federal Reserve e del Dipartimento del Tesoro statunitense che lavorano insieme; e se l'indipendenza degli USA passa dalle strategie che ho messo in evidenza in questo saggio e se anche solo la metà di esse verranno messe in pratica, allora questa è l'occasione d'oro che stavano aspettando anarcocapitalisti e libertari. È a dir poco ironico che potranno essere quelle due entità a realizzare il loro sogno. In passato erano divisi, oppure catturati dall'unica visione delle linee di politica impostata dal Partito democratico e dai globalisti. L'Unipartito del passato, infatti, ha costantemente lavorato per sconquassare l'America; il nuovo Unipartito sta lavorando per rimettere insieme i cocci e assicurarsi che per i prossimi 20 anni i Democratici rimangano a bordo campo.

Come ho documentato nel mio ultimo libro, Il Grande Default, è stata la crescita incontrollata del mercato dell'eurodollaro che ha distrutto il Paese, che l'ha fatto arrivare sull'orlo della bancarotta dal punto di vista dei bilanci. Per quanto riguarda la questione fiscale, non è difficile mettere a posto le cose... basta solo la volontà di farlo. Lato attivi e passivi, invece, beh lì è più complicato. Però pensate a questo adesso: davvero gli USA sono in debito per la cifra ufficiale che ascoltiamo sempre? E se parte di quel debito può essere cancellato mandando in bancarotta quelle entità a cui è dovuto? E se il sottosuolo dell'Alaska venisse finalmente contabilizzato attraverso i fondi sovrani che Trump vorrebbe creare in tutto il Paese?

E se, sempre restando in termini di attivi, il problema di Fort Knox non fosse l'assenza di oro fisico bensì la presenza di un numero superiore di metallo giallo rispetto alle cifre ufficiali?

I giorni in cui i globalisti erano al comando negli Stati Uniti sono finiti e questo significa anche la manipolazione del mercato dell'oro per pompare l'eurodollaro e facilitare il ripagamento dei prestiti esteri, nonché accedere a finanziamenti facilitati senza garanzie, sono finiti. Sono finite le manipolazioni all'apertura di Londra e New York in cui l'oro subiva violenta volatilità si stabilizzava durante l'apertura dei mercati asiatici e infine veniva abbattuto alla chiusura di New York. Se, però, Trump riuscirà a staccare un accordo di pace durevole in Europa orientale l'oro quest'anno terminerà la sua corsa... almeno fino alla crisi del debito sovrano che imperverserà nell'UE. E se un accordo di pace verrà trovato anche in Medio Oriente, allora il capitale restante in Europa non avrà altra scelta che volarsene in toto negli USA dato che non vedrà alcun futuro nel Vecchio continente.

Man mano che l'amministrazione Trump continuerà a ridurre “G” nel conteggio del PIL e gli investimenti privati ne prenderanno il posto, i prezzi delle commodity saliranno in risposta alla domanda industriale. La FED, di conseguenza, non avrà alcuna pressione a rialzare i tassi, anzi potrà abbassarli anche in virtù del fatto che l'economia statunitense, date queste premesse, è una cold economy ovvero gli aumenti dei prezzi sono trainati dalle materie prime, principalmente il petrolio. Ci sono tre modi in cui l'amministrazione Trump sta sgonfiando il prezzo di quest'ultimo (rompendo il cartello dell'OPEC e costringendo i mercati arabi alla trattativa):

  1. Nuovi permessi per le raffinerie;
  2. Smantellare i privilegi per l'industria dei veicoli elettrici;
  3. Porre fine alla miscelazione dell'etanolo dal mais.

Man mano che la ri-industrializzazione farà il suo corso, i prezzi nel lungo periodo tenderanno a scendere e favorire una crescita economica organica. Questo fornirà anche la giustificazione ideale per la FED affinché tagli i tassi e agevoli il mercato del credito interno. Come detto in passati articoli, in questa nuova era la FED non tornerà più allo zero e la sua linea di politica si assesterà intorno al 3% dei tassi di riferimento senza la paura di una crisi del credito. Un piano già in moto e di cui vedremo i risultati tra 18 mesi, giusto in tempo per le elezioni di medio termine.


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👉 Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2025/05/la-grande-riorganizzazione-degli-usa.html


giovedì 29 maggio 2025

Il mantra per ogni ciclo: allocare, come minimo, l'1% su Bitcoin

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Mark Jeftovic

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-mantra-per-ogni-ciclo-allocare)

Ogni ciclo di Bitcoin ha un tema e un motore centrale, e a volte siamo così vicini a esso che non riusciamo a capire esattamente di cosa si tratta (o di cosa si è trattato) finché non lo abbiamo ormai superato.

Nel 2013 furono i bail-in a Cipro e la consapevolezza che il sistema bancario stava andando in una direzione dove l'espressione “sicuro come il denaro in banca” non sarebbe stata più del tutto vera. Il motore principale fu l'ascesa degli exchange centralizzati, anche se uno di questi, Mt. Gox, implose su sé stesso e le macerie sono ancora fumanti oggi.

Il ciclo del 2017 segnò l'esplosione del settore delle criptovalute come classe di asset a sé stante: Ethereum fece il suo ingresso sulla scena con la specifica del token ERC-20, innescando la mania di “tokenizzare tutto”. Il boom delle ICO alimentò lo slancio e l'avvento di stablecoin come Tether fornì il lubrificante per immettere capitali nel settore degli asset digitali.

Per il ciclo del 2020 fu l'arrivo dei primi miliardari anticonformisti (Paul Tudor Jones, Stan Druckenmiller, Elon Musk, Michael Saylor), in un momento in cui il loro ingresso era erroneamente interpretato come il segnale che “le istituzioni stanno entrando” in Bitcoin come classe di asset.

Nemmeno lontanamente. Ma quello che è successo è che molti hedge fund e investitori di alto livello, che erano all'avanguardia e miravano a catturare l'alfa, iniziarono a investire in quello che all'epoca veniva chiamato “l'arbitraggio GBTC” – una lunga storia, spiegata in dettaglio qui, ma che in sostanza significava che i trading desk potevano registrare profitti consistenti prima ancora che venissero effettivamente realizzati, al costo di bloccare il capitale per sei mesi.

Quando infine si disgregò (ovvero il ciclo terminò), il premio di GBTC si trasformò in uno sconto sul NAV e quando le cose andarono davvero male (LUNA, 3AC, Celsius... FTX) la stessa entità madre di GBTC, DCG, andò in bancarotta e GBTC divenne un'isola di capitale intrappolato, del valore di oltre $30 miliardi.

Ora siamo in un nuovo ciclo di Bitcoin...

Abbiamo un nuovo tema e un nuovo catalizzatore. GBTC entra di nuovo in gioco, perché è la ragione per cui il prezzo di Bitcoin è rimasto un po' smorzato dopo l'arrivo del nuovo catalizzatore.

Ricordate quello che diciamo da un anno, forse più: nel prossimo ciclo le istituzioni si faranno avanti e, a causa dell'enorme asimmetria nell'ecosistema di Bitcoin, troveranno la situazione abbastanza interessante da assegnargli una piccola percentuale del loro portafoglio.

Ho previsto un nuovo mantra di investimento per i gestori di fondi istituzionali: “L'allocazione dell'1%”.

Cominciamo con i dati: Fidelity, con $12.600 miliardi di asset in gestione e uno dei fornitori di ETF spot (l'unico ad aver creato un proprio depositario per gestirli), ha aggiunto un'allocazione di “criptovalute” come suo fiore all'occhiello, “All-In-One Conservative ETF”, autoproclamato “una soluzione unica diversificata per regioni, capitalizzazioni di mercato e stili/fattori di investimento, con il vantaggio di una gestione professionale”.

L'allocazione dell'1% risale ad anni fa: la prima volta che l'ho vista era in un documento di lavoro della Banca centrale delle Barbados, redatto da una coppia di economisti del posto che raccomandava alla banca centrale del Paese di detenere l'1% delle sue riserve estere in Bitcoin; era il 2015.

Nel 2022 anche il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria stava definendo delle linee guida sulle allocazioni “crypto” per le attività di riserva di livello 1:

Limite di esposizione del Gruppo 2: l' esposizione totale di una banca alle criptovalute del Gruppo 2 non deve superare il 2% del capitale di livello 1 della banca e dovrebbe generalmente essere inferiore all'1%.
(Quel documento della BRI non faceva distinzione tra  Bitcoin  e “crypto”, sebbene avesse dovuto farlo...)

E questo articolo di Motley Fool, che parla principalmente dell'aumento della quota di Cathy Woods in ARK Funds al 19%, cita l'allocazione dell'1% come una prassi piuttosto convenzionale:

Fino a quest'anno l'opinione prevalente era che Bitcoin dovesse rappresentare solo una piccola parte del portafoglio complessivo. Come regola generale, l'1% era la norma, e qualsiasi percentuale superiore al 5% era considerata ultra-aggressiva.


La nuova regola dell'1%: comprate Bitcoin

Conosciamo tutti il vecchio adagio “Nessuno è stato licenziato per aver comprato azioni di IBM”, un mantra ai tempi dei “Nifty Fifty” (poi ci sono state le iterazioni successive: sostituite IBM con Microsoft, Google, Apple, ecc.).

Ecco cosa penso che succeda ora: mentre oggi nessuno potrebbe essere licenziato per aver comprato, per esempio, una delle Magnifiche Sette, domani potreste benissimo essere licenziati per non aver investito, come minimo, l'1% su Bitcoin. Sì, davvero.

Che effetto avrà sul valore di Bitcoin un'allocazione dell'1% dell'intero spettro della ricchezza istituzionale? Il mio modello mentale, risalente al The Crypto Capitalist Manifesto, è sempre stato quello di considerare la dimensione totale del mercato obbligazionario, confrontandola con Bitcoin e metalli preziosi.

Da lì, ipotizzo cosa accadrebbe se solo l'1% di quel “rendimento senza rischi” (obbligazioni) si trasferisse su Bitcoin. Considerando che quest'ultimo ha riconquistato solo di recente la capitalizzazione di mercato di $1.000 miliardi, e che ci sono tra i $150.000 e i $300.000 miliardi in obbligazioni globali (a seconda di cosa si include), un solo 1% di uscita dalle obbligazioni raddoppierebbe come minimo la capitalizzazione di mercato di Bitcoin.

Siamo appena entrati in questa nuova era in cui Bitcoin è disponibile come strategia di allocazione istituzionale e ci sono già i primi segnali che indicano che gli allocatori di capitale stanno addirittura scegliendo Bitcoin rispetto all'oro, cosa che, lo ammetto, mi ha sorpreso.

Pensavo che coloro che avevano già investito in oro sarebbero rimasti fermi e avrebbero aggiunto Bitcoin, ma ora sembra che i gestori di fondi istituzionali che avevano investito in oro come copertura abbiano perso la pazienza con i ripetuti crolli dell'oro dai massimi storici.

L'oro ha fatto registrare un nuovo massimo storico a dicembre, ma come ho osservato, dal precedente massimo del 2020, un nuovo massimo storico per l'oro potrebbe significare un calo pluriennale piuttosto che un imminente massimo più alto.

Al contrario, Bitcoin sembra destinato a dar vita a una nuova serie di criptovalute, almeno per i prossimi due anni.

Quindi ora vi presento umilmente “Il Tema” di questo ciclo:

Il tema è: Le istituzioni stanno arrivando.

Il motore principale è: gli ETF spot di Bitcoin.

Il mantra sarà: allocare come minimo l'1% su Bitcoin.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


mercoledì 28 maggio 2025

Ingegnerizzare il dissenso

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joshua Stylman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/ingegnerizzare-il-dissenso)

Come spesso faccio la domenica mattina, stavo bevendo il mio caffè e scorrendo il mio feed di notizie quando ho notato qualcosa di sorprendente. Forse era il mio algoritmo, ma i contenuti erano inondati da un'insolita dose di veleno contro la nomina di Robert F. Kennedy Jr. a Segretario dell'HHS. Il messaggio coordinato era impossibile da ignorare: voci di corridoio su tutte le reti lo etichettavano uniformemente come “complottista” e un “pericolo per la salute pubblica”, senza mai affrontare le sue reali posizioni. Gli attacchi concertati dei media su Kennedy rivelano molto più della loro opinione sulla sua nomina: espongono una profonda crisi di credibilità all'interno di istituzioni che un tempo godevano della fiducia del loro pubblico.


Il paradosso della credibilità

L'ironia di chi ha guidato questi attacchi non mi è sfuggita: si trattava in gran parte delle stesse voci che hanno sostenuto le linee di politica pandemiche più distruttive. Come ha giustamente osservato Jeffrey Tucker su X questa mattina:


La risposta coordinata

Questa ipocrisia diventa ancora più evidente nella recente copertura del New York Times, dove una retorica sprezzante sostituisce sistematicamente un impegno concreto per la notizia. In un articolo recente il quotidiano riconosce le tendenze preoccupanti nella salute dei bambini, dichiarando con disprezzo che “vaccini e fluoro non sono la causa”, senza però prendere in considerazione le prove. In un altro pezzo, Zeynep Tufekci – che in particolare ha sostenuto alcune delle misure più draconiane contro il Covid – avverte che Kennedy potrebbe “distruggere una delle più grandi conquiste della civiltà”, dipingendo scenari apocalittici e ignorando le sue reali posizioni politiche.

Nel frattempo la loro redazione politica ipotizza come la sua posizione sulle grandi aziende alimentari potrebbe “alienare i suoi alleati repubblicani”. Ogni articolo affronta il tema da una prospettiva diversa, ma lo schema è chiaro: messaggi coordinati volti a minare la sua credibilità prima che possa assumere la carica istituzionale.


L'effetto camera di risonanza

Si può quasi sentire il nastro trasportatore editoriale che si apre mentre i redattori elaborano la realtà approvata del giorno per il loro pubblico. Il tono tra gli articoli non rivela un'analisi indipendente bensì un modello molto familiare: i media beffardi ancora in azione. Come ho spiegato nel mio pezzo L'industria dell'informazione, questo approccio a catena di montaggio rispetto la produzione della realtà è diventato sempre più evidente a chiunque presti un minimo di attenzione.

Ciò che questi guardiani non riescono a comprendere è che un tale e compiaciuto sdegno, questo rifiuto di confrontarsi con argomentazioni sostanziali, è proprio ciò che alimenta il crescente scetticismo del loro pubblico. Il panico sembra crescere in modo direttamente proporzionale alla vicinanza di Kennedy al potere reale. Questo sdegno orchestrato è più di un difetto giornalistico: riflette un dilemma istituzionale più ampio, che diventa inevitabile con l'aumento del consenso per Kennedy.


La trappola istituzionale

Il Times si trova di fronte a un dilemma: a un certo punto dovrà affrontare la sostanza delle argomentazioni di Kennedy piuttosto che affidarsi a caratterizzazioni sprezzanti, soprattutto se assumerà il controllo dell'apparato sanitario americano. Proprio stamattina i conduttori della MSNBC urlavano letteralmente che “Kennedy farà uccidere delle persone” – l'ennesimo esempio di come si faccia ricorso a melodrammi e paura invece di confrontarsi con le sue reali posizioni. La strategia della ridicolizzazione si ritorce loro contro, proprio perché evitano di confrontarsi con le prove e le preoccupazioni che coinvolgono genitori e cittadini di ogni orientamento politico. Ogni tentativo di mantenere il controllo narrativo attraverso l'autorità, piuttosto che attraverso le prove, accelera il collasso della credibilità istituzionale.


Oltre Kennedy: ridefinire le linee di politica

L'analisi del NYT sul potenziale alienamento degli alleati repubblicani a causa di Kennedy evidenzia in particolare la loro incomprensione del mutevole panorama politico. Da democratico di lunga data che continua a sostenere molti valori progressisti tradizionali, Kennedy trascende i confini politici convenzionali. Il suo messaggio – “Dobbiamo amare i nostri figli più di quanto ci odiamo a vicenda” – viene accettato proprio perché chiunque liquida questa crociata per ripristinare la vitalità americana come mero teatrino politico è cieco di fronte all'ondata di persone stanche di vedere le proprie comunità sgretolarsi sotto il peso di un declino artificiale.

Non si tratta solo di Kennedy, ma dell'incapacità dei media di affrontare le legittime preoccupazioni di un pubblico disilluso. Quando le istituzioni si rifiutano di confrontarsi con le voci dissenzienti, accrescono la sfiducia e incrinano il fondamento condiviso necessario per un dibattito democratico. Mentre il messaggio di RFK Jr. ha risuonato oltre i confini politici, l'incapacità dei media di affrontare questioni fondamentali, come le carenze normative, rivela quanto siano ormai fuori dal mondo.


L'arte di mancare il punto

Prendete in considerazione questa verifica dei fatti tratta dal sopraccitato articolo. Il Times tenta di screditare l'esempio di Kennedy sui Fruit Loops, ma inavvertitamente conferma il suo punto: ingredienti vietati nei mercati europei sono in effetti consentiti nei prodotti americani. Concentrandosi sulla precisione semantica invece che sulla questione più ampia – perché le autorità di regolamentazione statunitensi consentano ingredienti non sicuri – i media distolgono l'attenzione dai dibattiti sostanziali.

La senatrice Elizabeth Warren ha dichiarato questa settimana: “RFK Jr. rappresenta un pericolo per la salute pubblica, la ricerca scientifica, la medicina e la copertura sanitaria per milioni di persone. Vuole impedire ai genitori di proteggere i propri figli dal morbillo e le sue idee accoglierebbero con favore il ritorno della poliomielite”. Eppure questa inquadratura allarmistica elude la semplice domanda che Kennedy in realtà solleva: perché non dovremmo volere test di sicurezza adeguati per le sostanze chimiche che dovremmo iniettare nelle vene dei nostri figli? Il silenzio in risposta a questa domanda la dice lunga sulle priorità istituzionali e sulla loro paura di qualcuno con il potere di esigere risposte.


Un referendum sull'ingegnerizzazione del consenso

Dite quello che volete di Trump, ma le sue dichiarazioni sulle “fake news” hanno toccato un nervo scoperto che emana sempre più dolore ogni giorno che passa. Chi un tempo derideva queste affermazioni ora osserva con gli occhi spalancati le narrazioni coordinate che si diffondono sulle piattaforme mediatiche. Il gaslighting è diventato troppo evidente per essere ignorato. Questo risveglio trascende i tradizionali confini politici, gli americani di ogni estrazione sociale sono stanchi di sentirsi dire di non credere ai propri occhi, che si tratti di linee di politica pandemiche, realtà economiche o soppressione delle voci dissidenti.

«Il partito vi ha detto di rifiutare l'evidenza dei vostri occhi e delle vostre orecchie.

Fu il suo ultimo, e più essenziale, comando.»

~ George Orwell, 1984


Il momento della verità

Con Kennedy a capo dell'infrastruttura sanitaria americana, le istituzioni mediatiche si trovano di fronte a un punto di svolta cruciale. Campagne di paura e attacchi ad hominem non saranno sufficienti quando le sue posizioni politiche richiederanno un esame approfondito. Il meccanismo del licenziamento coordinato – visibile in identici punti di discussione su tutte le reti – rivela più sulla fedeltà istituzionale che sull'integrità giornalistica.

Questo momento richiede qualcosa di diverso. Quando Kennedy solleva questioni sui test di sicurezza farmaceutica o sulle tossine ambientali – questioni che coinvolgono famiglie di ogni orientamento politico – un dibattito critico deve sostituire la ridicolizzazione delle posizioni altrui. Le sue posizioni reali, ascoltate direttamente piuttosto che attraverso i filtri dei media, spesso si allineano con le preoccupazioni di buon senso sull'influenza delle aziende farmaceutiche riguardo la salute pubblica.

Questo modello istituzionale di autorità artificiale si collega direttamente ai temi che ho esplorato in un altro articolo intitolato Tutto svuotato: sistemi basati su decreti piuttosto che su un valore dimostrato. Non vendono armi, vendono paura. Le stesse forze che controllano la politica monetaria ora cercano di dettare il dibattito sulla salute pubblica.


Rompere la macchina del consenso

La soluzione non verrà dai guardiani istituzionali (sono loro che ci hanno portati fin qui), ma da un esame diretto. Dobbiamo tutti:

• Ascoltare i discorsi completi di Kennedy piuttosto che frammenti audio editati;

• Leggere le sue posizioni politiche piuttosto che le caratterizzazioni dei media;

• Esaminare le prove che cita piuttosto che i riassunti dei fact-checker;

• Capire perché alcune questioni relative alla sanità pubblica siano considerate off-limits.

Non sto suggerendo di accettare ogni posizione contraria, ma piuttosto che la fiducia e l'autorevolezza debbano essere guadagnate attraverso un'analisi rigorosa piuttosto che essere presunte tramite l'autorità. Fino ad allora, articoli come quelli segnalati qui continueranno a esemplificare gli stessi fallimenti istituzionali che alimentano i movimenti che cercano di screditare. Con l'avvicinarsi del vero potere istituzionale di Kennedy, aspettatevi che questi attacchi si intensifichino: un chiaro segnale di quanto i guardiani del nostro consenso artificiale e ingegnerizzato abbiano da perdere.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 27 maggio 2025

Perché l'America non ha bisogno di “alleati”

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-lamerica-non-ha-bisogno-di)

D'accordo, il titolo è un po' forte e ha un tono volutamente beffardo, ma deve esserlo perché nel catechismo della politica estera nazionale è radicata una presunzione, quasi sacra, secondo cui “alleati”, “alleanze” e “coalizioni dei volenterosi” sono il fondamento di una politica estera illuminata, necessaria ed efficace.

I politici e i diplomatici americani non dovrebbero quindi mai lasciare queste coste al resto del mondo. Questo dogma ha raggiunto la sua massima espressione nella “coalizione dei volenterosi” del Segretario di Stato, James Baker, durante la prima, assolutamente inutile, Guerra del Golfo nel 1991 e da allora ci tormenta... purtroppo.

In realtà, la verità è più o meno l'opposto, quindi va espressa in modo crudo, quasi provocatorio. In altre parole, gli alleati nel mondo di oggi sono per lo più un peso, del tutto irrilevanti per la sicurezza militare della patria americana e una fonte importante di inutili attriti e persino di veri e propri conflitti tra le nazioni.

In parole povere, l'America è stata resa un egemone economico e militare da tutte le piccole e medie nazioni che ha schierato in alleanze formali e di fatto, dato che sono incentivate a perseguire politiche che minimizzano i propri investimenti nella difesa e incoraggiate a gettare al vento la cautela diplomatica. In altre parole, le “alleanze” di Washington consentono ai politici interni o ai governi eletti di questi piccoli alleati di essere più aggressivi o conflittuali nei confronti dei “cattivi” designati da Washington di quanto non sarebbero sicuramente se operassero solo con le proprie forze.

Ad esempio, l'ex-primo ministro estone tra il 2021 e il 2024, Kaja Kallas, e ora Capo degli affari esteri dell'UE, è stata una critica sguaiata e al vetriolo della Russia e una sostenitrice intransigente dell'invio di denaro altrui [cioè il vostro] a sostegno dell'altrettanto inutile guerra per procura contro la Russia nelle steppe ucraine.

Con una popolazione di appena 1,3 milioni di abitanti, un PIL di appena $40 miliardi e una forza armata di 8.000 unità, l'Estonia rappresenta un alleato insignificante nello schema generale delle cose. Quindi non contribuisce in alcun modo alla sicurezza nazionale americana.

D'altronde, se non esistessero la NATO e lo scudo militare degli Stati Uniti previsto dall'Articolo 5, pensate che la Kallas esulterebbe a gran voce per Zelensky? Il suo popolo avrebbe tollerato il suo atteggiamento da piccolo Davide che brandisce una fionda contro il Golia della porta accanto?

Osiamo dire che sarebbe prevalso l'esatto opposto. L'Estonia e il suo leader si sarebbero preoccupati di comportarsi bene con il loro vicino di dimensioni extra large, come hanno sempre fatto i piccoli Paesi da tempo immemore.

E se per qualche motivo la buona diplomazia e la conduzione di un commercio economico reciprocamente vantaggioso non avessero funzionato, cosa che accade quasi sempre, sarebbero stati obbligati ad armarsi fino al collo. Ovvero, mobilitare il 10-25% del PIL per la difesa, se necessario, anziché il misero 2,9% del PIL che l'Estonia effettivamente spende. A sua volta ciò avrebbe creato un deterrente: la resistenza a un potenziale aggressore, l'alto costo in sangue e denaro che sarebbe stato costretto ad affrontare violando i confini e la sovranità di un vicino più piccolo.

E, per l'amor del cielo, il mondo del XXI secolo non è certo un caso isolato per quanto riguarda le relazioni tra nazioni grandi, piccole e medie. “Fare pace” in diplomazia ed economia e rendere chiara la deterrenza è in realtà il modo in cui il mondo delle nazioni dovrebbe funzionare e, prima dell'ascesa dell'Egemone sulle rive del Potomac, di solito funzionava.

Di certo gli dei della storia non hanno conferito ai politici e ai burocrati di Washington il mandato di farsi amici e di salvaguardare, da un capo all'altro del pianeta, ogni piccolo uomo dal respiro affannoso dei grandi uomini nelle vicinanze.

Infatti in un mondo senza l'Egemone sulle rive del Potomac, nessuno avrebbe pensato di definire “ispirazione” la sconsiderata follia di Kiev nell'attaccare militarmente e brutalizzare le popolazioni russofone del Donbass dopo il colpo di stato di Piazza Maidan nel febbraio 2014. Si è trattato di una stupidaggine incredibile – qualcosa che i vicini non storditi dallo scudo militare dell'Egemone o istigati da CIA, NED, USAID, Dipartimento di Stato e Pentagono non avrebbero avuto problemi a riconoscere e comprendere.

Infatti questa osservazione si applica a tutta la schiera di piccoli Paesi che sono stati ammessi nella NATO dall'inizio del secolo. Ad esempio, per quanto riguarda i cinque piccoli Paesi balcanici che non condividono nemmeno le coste del Mar Nero con la Russia, ecco la misera capacità militare e il peso della difesa (misurati in percentuale del PIL) che apportano alla sicurezza nazionale americana.

Per mettere in prospettiva questa esiguità di personale militare, prendiamo in considerazione innanzitutto, a titolo di confronto, le dimensioni delle forze di polizia nelle principali città statunitensi. Mentre questi poliziotti possono mangiare troppe ciambelle sul lavoro e quindi non superare qualsiasi test di prontezza al combattimento, quando si tratta di pura forza umana, le forze di polizia cittadine elencate qui superano la maggior parte di quelle che questi “alleati” balcanici offrono.

Dimensioni delle forze di polizia nelle principali città degli Stati Uniti:

• New York City: 36.000 unità

• Chicago: 13.100 unità

• Los Angeles: 10.000 unità

• Filadelfia: 6.500 unità

Questo per dire che tutte le città sopra menzionate hanno forze di uomini in blu più numerose rispetto alla maggior parte dei piccoli alleati della NATO raffigurati di seguito, dove mostriamo la loro forza militare attiva e la loro spesa per la difesa in percentuale del PIL.

• Croazia: 14.300 unità/1,8% del PIL

• Macedonia del Nord: 8.000 unità/1,7% del PIL

• Slovenia: 7.300 unità/1,5% del PIL

• Albania: 6.600 unità/1,7% del PIL

• Montenegro: 2.350 unità/1,6% del PIL

Chiaramente questi Paesi non tremano per niente di fronte all'orso russo. Nell'ultimo anno di guerra per procura tra NATO e Russia nelle sventurate steppe dell'Ucraina, nessuno di questi cinque si è nemmeno preoccupato di spendere il 2% del PIL per la difesa!

Infatti persino i pesci più grossi, posizionati gomito a gomito con la Russia sul Mar Nero, non hanno mostrato una paura maggiore di fronte all'orso russo. La Romania spende solo il 2,2% del PIL per la difesa e i suoi elettori volevano eleggere un presidente che voleva stringere amicizia con Putin – un leader eletto democraticamente, ovviamente, odiato dagli “alleati” della Romania a Bruxelles e Washington.

Allo stesso modo, la Bulgaria spende solo il 2,2% per la difesa e la Serbia non ha nemmeno ritenuto opportuno aderire alla NATO. Beh, non da quando la sua capitale è stata bombardata in mille pezzi nel 1999 dagli aerei da guerra della NATO, a causa della sua insistenza sul fatto che il Kosovo non fosse separato dal suo territorio sovrano in base al mandato di Bill e Hillary Clinton.

Anche in quanto alleato fermo della Russia nella regione, la Serbia spende circa il 2,3% del PIL per la difesa e ha circa 28.000 uomini attivi in ​​uniforme nelle sue forze armate. Vale a dire, le forze neutrali serbe ammontano a circa la stessa potenza militare combinata dei cinque piccoli Paesi della sponda adriatica dei Balcani.

Inoltre risulta anche che questi cinque piccoli membri della NATO spendono in realtà circa la stessa miseria per le capacità militari di Ungheria e Slovacchia, confinanti con l'Ucraina. La prima spende circa il 2,0% del PIL per la difesa, mentre la spesa militare della seconda è del 2,1% del PIL. Eppure entrambi i governi, vicini all'orso russo, si oppongono con fermezza alla guerra per procura della NATO in Ucraina e vanno piuttosto d'accordo con Mosca!

In breve, nessuno di questi Paesi sembra davvero temere l'orso russo, altrimenti spenderebbero percentuali a due cifre del loro PIL per armarsi così bene da offrire un pasto poco invitante al presunto aggressore russo. Al contrario, o hanno aderito alla NATO per entrare nel Club Atlantico, o hanno semplicemente rifiutato l'opportunità (Serbia) o si sono lasciati trasportare (Ungheria e Slovacchia).

Il punto è che estendere la NATO ai Balcani è stata una stupidaggine perpetrata dai burocrati dello Stato militare a Washington e Bruxelles. Non contribuisce assolutamente alla difesa nazionale americana dal punto di vista militare, mentre consente ai piccoli vicini di casa della Russia di spendere una miseria per la difesa e di tanto in tanto provocare l'orso russo, cosa che non si sognerebbero mai di fare con i loro 8.000 soldati armati alla leggera.

Naturalmente lo stesso discorso vale a nord, sul Baltico. Le tre repubbliche baltiche hanno entrambe vissuto e ricordano i decenni di occupazione sovietica, eppure i loro attuali bilanci pubblici dimostrano ampiamente che non percepiscono affatto la Russia postcomunista come una minaccia esistenziale. Ecco perché spendono soldi in eserciti fittizi, mentre i loro politici, come la Kallas, fanno demagogia su Putin per aizzare gli elettori e ottenere il favore dei burocrati neocon guerrafondai che dominano la NATO e l'UE.

Tuttavia nessun Paese con le scarse capacità militari illustrate nei numeri qui sotto teme davvero il vicino russo. Se lo facesse, con o senza la NATO, investirebbe i propri fondi di bilancio laddove si cela la deplorevole retorica di alcuni politici dalla lingua lunga.

Dimensioni delle forze armate e di difesa in % del PIL:

• Lituania: 14.100 unità/2,8% del PIL

• Estonia: 7.700 unità/2,9% del PIL

• Lettonia: 6.750 unità/2,4% del PIL

In breve, le osservazioni di Trump hanno colto nel segno nel caso di tutti questi insignificanti alleati della NATO.

In altre parole, tutti questi alleati sono molto più problematici di quanto valgano. La sicurezza militare del territorio americano può essere garantita da un'invincibile triade nucleare strategica basata su bombardieri, missili balistici intercontinentali terrestri e sottomarini nucleari – nessuno dei quali richiede basi o “alleati” stranieri. Questo, unito a una potente difesa convenzionale delle sue coste e del suo spazio aereo, sarebbe più che sufficiente a garantire la sicurezza militare del territorio americano nel mondo odierno.

Nessuna di queste capacità militari è minimamente rafforzata dagli alleati insignificanti che sono stati arruolati nella NATO sin dal 1999. Né nel mondo odierno vi è alcun rischio che una potenza come la Russia, o la Cina, possa attaccare, conquistare e accumulare decine di migliaia di miliardi di PIL, manodopera in età militare e capacità di produzione militare.

Infatti sia la Russia che la Cina sanno bene che il costo dell'invasione, della conquista e della pacificazione nel mondo odierno non varrebbero minimamente la candela. Ecco perché la risposta alla domanda su quanti Paesi la Cina comunista abbia conquistato negli ultimi quattro decenni è zero!

Al contrario, le 750 basi americane e i 160.000 militari dislocati all'estero, dal Giappone alla Germania, dall'Italia al Regno Unito, rappresentano in realtà dei pericolosi “cavi di inciampo” progettati per:

• Fornire una scusa alle aziende della difesa statunitense per vendere armi alle nazioni alleate in cui hanno sede le forze armate statunitensi.

• Creare una scusa per intromettersi nei conflitti stranieri basandosi sul fatto che i militari americani sono in pericolo.

Durante il periodo di massimo sviluppo dell'America come la più grande nazione sulla Terra (dalla cancellazione del trattato con la Francia nel 1797 alla ratifica del trattato NATO nel 1949), l'America non aveva alleanze, trattati militari o alleati autorizzati a provocare conflitti con i propri vicini, con l'intesa che lo Zio Sam avesse coperto loro le spalle.

Durante quei 152 anni tutto andò per il meglio per l'America, così come per qualsiasi altra nazione nella storia, prima e dopo di essa. E assolutamente nulla è cambiato affinché la saggezza di Washington e Jefferson venissero alterate riguardo l'evitare alleanze all'estero.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 26 maggio 2025

Il ruolo della Cina nella crisi fentanyl negli Stati Uniti

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da The Epoch Times

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-ruolo-della-cina-nella-crisi-fentanyl)

Le tensioni tra gli Stati Uniti e la Cina sono aumentate, con i due Paesi che hanno aumentato i dazi sulle rispettive importazioni. Nel frattempo la retorica di Pechino è diventata sempre più conflittuale.

All'inizio di marzo l'ambasciata cinese a Washington ha condiviso sui social media un post del suo Ministero degli esteri, in cui ribadiva: “Se gli Stati Uniti vogliono la guerra, che sia una guerra tariffaria, commerciale o di qualsiasi altro tipo, siamo pronti a combattere fino alla fine”.

Il presidente Donald Trump ha avvertito che, sebbene gli Stati Uniti non vogliano dichiarare guerra alla Cina, sono “ben equipaggiati per gestirla”.

Trump ha imposto un ulteriore dazio del 20% su tutti i beni fabbricati in Cina, citando l'emergenza nazionale sul continuo traffico di fentanyl negli Stati Uniti, un oppioide mortale da 50 a 100 volte più potente della morfina.

Ancora oggi la Cina rimane la principale fonte di precursori del fentanyl, i quali vengono spediti in Messico, dove vengono trasformati in questa droga. Poi viene introdotta illegalmente negli Stati Uniti, principalmente attraverso il confine meridionale.

In risposta all'ulteriore dazio di Trump, Pechino ha imposto un dazio aggiuntivo del 15% sul carbone e sul gas naturale degli Stati Uniti e un ulteriore 10% sulle attrezzature agricole e sui pick-up.

Il regime comunista ha anche definito l'epidemia di fentanyl un “problema interno” degli Stati Uniti e ha bollato i dazi statunitensi come un “ricatto”.

Yuan Hongbing, ex-professore di legge all'Università di Pechino in Cina, ora residente in Australia, ha affermato che l'epidemia di oppioidi negli Stati Uniti è ben lungi dall'essere la ferita autoinflitta che il PCC ha lasciato intendere.

Il regime cinese ha avuto un ruolo significativo nella crisi del fentanyl in America e incolpare gli Stati Uniti per questo è da tempo la strategia del leader del Partito Comunista Cinese (PCC), Xi Jinping, ha detto lo stesso Yuan a NTD, organo di stampa gemello di Epoch Times, in una recente puntata del programma in lingua cinese “Pinnacle View”.

Yuan, che ha accesso privilegiato ai vertici del PCC, ha affermato che Xi ha costantemente impartito direttive interne durante il primo e il secondo mandato di Trump, secondo cui Pechino deve continuare a sostenere che la crisi della droga in Europa e negli Stati Uniti non è collegata alla Cina.

Yuan ha affermato che il regime ha anche ricevuto da Xi l'ordine di affermare che la Cina produce legalmente i precursori chimici e che se questi vengono trasformati in farmaci mortali e introdotti di contrabbando negli Stati Uniti o in Europa, la responsabilità non ricade sulla Cina.

L'esperto cinese ha inoltre affermato che il fentanyl è al centro del tentativo di Xi di “vendicarsi” dell'Occidente. Ha detto che Xi incolpa quest'ultimo di aver sottoposto la Cina a un secolo di umiliazioni a seguito delle Guerre dell'oppio a metà del XIX secolo. Durante quel periodo la Cina doveva firmare una serie di trattati ingiusti che prevedevano la cessione dei territori cinesi e apriva i porti cinesi al controllo straniero.

“È proprio grazie alle direttive di Xi che stiamo assistendo a un aumento sia della produzione di precursori del fentanyl in Cina sia alla loro esportazione, alimentando l'attuale crisi negli Stati Uniti”, ha affermato Yuan.

I decessi per overdose da fentanyl sono diventati una crisi nazionale, con oltre 200 vittime americane al giorno, secondo la Drug Enforcement Administration. Solo nel 2023 circa 75.000 americani sono morti per overdose da fentanyl, un aumento impressionante di 23 volte rispetto a 10 anni fa.

Oggi le overdose accidentali da farmaci sono la principale causa di morte tra gli americani di età compresa tra i 18 e i 45 anni. Un dato più positivo è che il numero di decessi per overdose correlati agli oppioidi è diminuito di oltre il 20% nel 2024, secondo i Centers for Disease Control and Prevention.

La crisi fentanyl è diventata una delle principali preoccupazioni degli elettori americani ed è diventata una delle forze trainanti delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, ha affermato l'esperto cinese Alexander Liao.

Quest'ultimo ha affermato che le relazioni tra Pechino e Washington sono cambiate radicalmente. Durante l'amministrazione Biden i due Paesi hanno attraversato una “glaciazione” diplomatica, durante la quale le comunicazioni tra alti funzionari si sono bloccate per circa 10 mesi nel 2022 e nel 2023. Tuttavia Liao ritiene che il confronto abbia ora raggiunto un nuovo livello.

“Che si tratti di commercio o di altri aspetti, gli Stati Uniti e la Cina si sono rivoltati l'uno contro l'altro”, ha detto Liao a Epoch Times.

“Poco rumore ma fatti feroci” è il modo in cui definisce la situazione attuale tra Pechino e Washington, in contrasto con le “grandi discussioni e pochi fatti” in corso tra Stati Uniti ed Europa.

“La politica funziona diversamente tra nemici e amici”, ha aggiunto.


Gli Stati Uniti sono il nemico perfetto per il regime cinese

Nell'ultimo decennio la Cina ha fatto registrare una crescita economica significativa. Secondo i dati della Banca Mondiale, il suo PIL nominale è ora superiore a tre quarti di quello degli Stati Uniti. In termini di potere d'acquisto, l'economia cinese ha superato quella degli Stati Uniti nel 2016.

Qualche anno prima Xi aveva scalato i ranghi del PCC e nel 2013 ne aveva assunto la leadership.

Secondo Yuan, la natura comunista di Xi lo ha spinto a sfruttare immediatamente la forza economica della Cina per istituire un programma di politica estera, la Belt and Road Initiative, finalizzato a espandere il totalitarismo comunista in tutto il mondo.

Con il pretesto dello sviluppo infrastrutturale, la piattaforma geopolitica da $1.000 miliardi si appropria delle risorse naturali di altri Paesi, tra cui minerali essenziali per la produzione di chip per computer, ed espande l'uso dei loro porti per i propri scopi civili e militari.

Lo slogan politico distintivo di Xi è “realizzare il grande ringiovanimento della nazione cinese”.

La sua spinta verso il dominio cinese inizia con il declino del Paese 200 anni fa. Secondo il PCC, l'Occidente è responsabile della trasformazione della Cina da un vincitore a un perdente nel mondo. Il sistema educativo e la propaganda del regime comunista enfatizzano spesso le Guerre dell'oppio come l'inizio del “Secolo dell'umiliazione”.

Xi ha affermato che la riconquista di Hong Kong e Macao, rispettivamente dal Regno Unito e dal Portogallo, ha “cancellato l'umiliazione di un secolo” e che il passo successivo è l'unificazione di Taiwan con la Cina continentale.

Nonostante l'apparente promozione del nazionalismo, ha affermato Liao, la logica di Xi rimane radicata nella dottrina comunista nel perseguire la diffusione globale del comunismo – o, nel gergo del Partito, “alzare la bandiera rossa in tutto il mondo”.

Questo rende gli Stati Uniti il ​​nemico numero uno del PCC, ha aggiunto Liao. In qualità di protettori di Taiwan e leader dell'attuale ordine mondiale, gli Stati Uniti rappresentano il principale ostacolo ai piani di Xi.

Il PCC ha sfruttato decenni di rapida crescita economica della Cina per giustificare il proprio dominio. Tuttavia le draconiane misure di lockdown imposte da Xi per il COVID-19 hanno esacerbato i problemi di lunga data della sua economia alimentata dal debito e guidata dall'offerta. Dopo la revoca dei lockdown, il crollo del mercato immobiliare e la carenza di liquidità delle amministrazioni locali hanno lasciato l'economia in stagnazione.

Istigare il risentimento contro un nemico esterno è un'altra tattica utilizzata dal PCC per rafforzare il proprio potere. Gli Stati Uniti diventano quindi il bersaglio perfetto e il Partito può propagandare i propri sforzi per contrastarlo.


L'obiettivo finale di Xi

L'obiettivo finale di Xi, ha affermato Yuan, è “sostituire gli Stati Uniti nel ruolo di garante dell'ordine mondiale”. Yuan ha aggiunto che lui e Xi erano soliti bere insieme quando quest'ultimo era ancora una figura di potere a livello provinciale. Un anno dopo l'insediamento di Xi in Cina, il bilancio delle vittime per overdose di fentanyl negli Stati Uniti è aumentato vertiginosamente. Nel 2017 i decessi annuali hanno raggiunto quota 28.000; nel 2023 il numero è balzato a 75.000.

Nel 2017, quando Pechino sapeva che la Cina aveva superato gli Stati Uniti in termini di PIL misurato in termini di potere d'acquisto, Xi e i suoi seguaci credevano che il “problema americano” sarebbe stato risolto entro un decennio – con la sostituzione degli Stati Uniti da parte della Cina come superpotenza mondiale.

Liao ha affermato che le sue fonti interne a Pechino gli hanno riferito di un clima di ottimismo crescente all'interno del PCC, il quale ha portato a un atteggiamento sprezzante nei confronti degli Stati Uniti tra i leader del partito.

“In quel clima, i sostenitori della linea dura all'interno del PCC si sono sostanzialmente immessi su un percorso irreversibile di scontro con gli Stati Uniti”, ha affermato Liao.

Il fallimento degli Stati Uniti nel contenere l'epidemia di droga ha anche rafforzato l'orgoglio e la fiducia di Xi, ha affermato Yuan, aggiungendo che Xi vede la crisi fentanyl negli Stati Uniti come la prova che “l'Oriente sta crescendo, l'Occidente sta declinando”.

Secondo le fonti di Liao, durante la prima visita di stato di Trump in Cina nel novembre 2017, un alto funzionario del PCC disse a Trump: “Deve solo fornirci materie prime e un mercato di consumo per la nostra produzione”.

Una fonte interna a Pechino ha riferito a Liao che quell'incontro spinse Trump ad applicare dazi sulla Cina non appena tornato a Washington. La fonte ha affermato che l'arroganza e il tono condiscendente del funzionario cinese avevano messo Trump profondamente a disagio, in quanto la dipendenza degli Stati Uniti dalla produzione manifatturiera cinese stava sfuggendo di mano.

Epoch Times ha contattato la Casa Bianca per un commento.

Nel gennaio 2018 Trump ha iniziato a imporre dazi sulle importazioni cinesi per ridurre lo squilibrio commerciale e costringere la Cina a interrompere il furto di segreti commerciali e proprietà intellettuale statunitensi.

Due anni dopo Pechino e Washington firmarono un accordo commerciale in base al quale la Cina si impegnava ad acquistare più prodotti statunitensi.

Due mesi dopo sarebbe scoppiata la “pandemia”.

Il primo giorno del suo secondo mandato, Trump ha ordinato un'indagine sulla politica commerciale da condurre entro il 1° aprile. Lo studio individuava la Cina come bersaglio per la valutazione dell'adempimento dell'accordo commerciale e per l'esame di eventuali pratiche commerciali ingiuste o sbilanciate.

Trump ha definito il 2 aprile il “Giorno della liberazione” degli Stati Uniti, giorno in cui ha imposto dazi reciproci per livellare il campo con tutti i suoi partner commerciali. Un risultato probabile è che la Casa Bianca imporrà dazi aggiuntivi sulle importazioni cinesi.

L'economia cinese è più debole rispetto al primo mandato di Trump e dipende maggiormente dalle esportazioni.

Il senatore Steve Daines (R-Mont.), il primo politico statunitense a visitare Pechino durante il secondo mandato di Trump, ha trasmesso il messaggio del presidente agli alti dirigenti cinesi, richiedendo “azioni decisive da parte della Cina per fermare il flusso di precursori del fentanyl”. Il 23 marzo ha ribadito la richiesta degli Stati Uniti in un'intervista a Bloomberg.

“Sarà difficile discutere di dazi e barriere non tariffarie finché la questione dei precursori del fentanyl non sarà risolta”, ha affermato.

Indipendentemente dalle concessioni che Pechino proporrà a Trump in un possibile vertice Trump-Xi a giugno, i due Paesi sono su una rotta di collisione “inevitabile”, ha affermato Yuan.

“Non si tratta di un conflitto temporaneo innescato da un singolo evento, che si tratti di dazi o di altre questioni specifiche”, ha aggiunto, “il confronto è critico e inevitabile, guidato da forze più ampie e di lungo periodo”.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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