venerdì 10 ottobre 2025

Un labirinto di aggiustamenti: interni ed esterni

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/un-labirinto-di-aggiustamenti-interni)

Uno dei migliori insegnamenti che Hayek avrebbe lasciato in eredità era quello legato alla conoscenza di mercato. Quest'ultimo ha al suo interno una così grande mole di informazioni che è impossibile per un solo individuo, o un gruppo di essi, riuscire a padroneggiarla interamente. Nel bellissimo saggio, The Use of Knowledge in Society, questa lezione viene ribadita aggiungendo a corredo un altro aspetto: quello che gli individui possono fare è creare un filo coerente tra i pezzi di informazione che trovano sparsi e utilizzarli per fare impresa. Quando, poi, questi fili si intrecciano con quelli intessuti da altri, ecco che si viene a creare una rete che dà vita al famoso ordine spontaneo di cui lo stesso Hayek aveva approfondito l'esistenza aggiungendoci la teoria del capitale di Bawerk. Questa rete è replicabile e visibile in altri ambiti, non solo quello economico: Bitcoin, ad esempio. Anche in quello della divulgazione vale lo stesso principio e raccogliere informazioni intriganti/interessanti nel mare magnum delle idee è un compito alquanto arduo; i flutti presenti in questo oceano sono in gran parte confusionari e non permettono l'accesso a qualcosa di utile. La combinazione di idee, molto spesso, conduce a un vicolo cieco.

Occorre un lavoro di scandagliamento approfondito e un processo di trial/error altrettanto accurato. Quando avete letto nel mio ultimo libro, Il Grande Default, di come la cricca di Davos si fosse infiltrata a più livelli nelle stanze dei bottoni americane, avete avuto una chiave di lettura completa della situazione. Ne avete una parziale quando Trump parla in modo vago di “nemici interni”. Anche JP Morgan, ad esempio, aveva uffici in Europa, ma questo non impediva alle 17 banche europee di impostare il LIBOR e svuotare della ricchezza reale gli USA tramite il mercato dell'eurodollaro. Questo concetto è ancora sconosciuto ai più, anche a molti della Scuola Austriaca e seguaci della stessa, ed è grazie al mio manoscritto e al mio blog se in Italia è possibile approfondire questo tema. Non lo troverete trattato da nessun altra parte.

Fatto sta che una istituzione non è monolitica, così come non lo è uno stato. Entrambi sono costituiti da persone, che possono essere trasformati in asset... infiltrati. I confini nazionali servono solo a giustificare davanti agli occhi dei contribuenti il fatto che essi debbano essere spremuti per sostenere la nazione; esistono in realtà famiglie, interessi e gruppi di pressione che si spartiscono il diritto di governare un territorio. Negli USA sta prevalendo uno in particolare, che per amore di semplificazione chiameremo NY Boys, facendo valere le proprie ragioni anche all'estero avendo rimpatriato il controllo del dollaro offshore. Qui non esistono buoni o cattivi, ma solo interessi e alleanze/tradimenti. Per la gente comune, invece, solo occasioni per trarre vantaggio dalla corretta lettura di queste dinamiche.

Addirittura anche all'interno dell'FOMC esistono queste divisioni e sono state evidenti sin dal 2017, per chi sapeva dove guardare, quando Powell ha avviato il processo di riorganizzazione della nazione. Lui era uno di quelli contrari all'obiettivo del 2% d'inflazione come impostato da Bernanke e poi seguito dalla Yellen. Infatti è stato grazie a questo escamotage che entrambi sono stati in grado di applicare con relativa facilità la ZIRP e, quindi, permettere l'ipertrofia del mercato dei dollari offshore. Powell era dell'idea di seguire la linea di Singapore ad esempio: mirare alla banda di un tasso di cambio, non a quella dell'inflazione o del mercato del lavoro. A Jackson Hole, lo scorso agosto, ha praticamente cestinato la regola del “2% d'inflazione come obiettivo” (flexible targeting). Ciò avvalora ancora di più la tesi secondo cui la FED e l'amministrazione Trump, nonostante le scaramucce di facciata da dare in pasto alla stampa generalista per sviarla, stanno lavorando insieme per riformare la FED stessa. A tal proposito, a essere licenziata è stata Lisa Cook, non Powell.

L'obiettivo è cambiare il modo in cui la FED interagisce con l'economia e un primo passo in questa direzione è tornare a un'istituzione antecedente al 1935, anno i cui Roosevelt la trasformò nella realtà attivamente interventista di oggi. Non più un ente centralizzatore, ma uno con un ruolo sempre più marginale per ciò che concerne politica monetaria e fiscale. Mi spiego meglio. Con l'approvazione del GENIUS e STABLE Act gli Stati Uniti avranno un dollaro “interno” che avrà un certo prezzo e un dollaro “esterno” che ne avrà un altro di prezzo (superiore al primo, data la presenza di una commissione per il privilegio di usarlo). In questo modo l'economia interna sarà distaccata, o perlomeno di gran lunga meno influenzata, da ciò che accade esternamente. Il SOFR imposta i tassi d'interesse in base agli andamenti dei mercati del debito/credito statunitensi, non più internazionali. Lo stress finanziario, che in precedenza partiva dall'Europa e dal Regno Unito tramite il LIBOR, ha meno capacità di influenzare il resto del mondo e forzare una linea di politica coordinata a livello di banche centrali.

I salti mortali per conciliare l'economia interna con quella esterna possono essere abbandonati e concentrarsi sulla ricostruzione della classe media americana, fatta a pezzi dalla ZIRP e dalla progressiva finanziarizzazione dell'economia. La correzione di Wall Street sarà assorbita da Main Street ed ecco perché Trump ha solleticato i mercati con la retorica dell'abbassamento dei tassi: prima che potesse accadere questi ultimi dovevano essere convinti che ci fossero prove, che l'attuale amministrazione avesse davvero intenzione di rimettere a posto l'equazione fiscale della nazione. L'approvazione della Big Beautiful Bill è stato un passo in questa direzione, la politica commerciale un altro e la deregolamentazione/snellimento burocratico un altro ancora. I risultati non si sono fatti attendere, con buona pace di chi sventolava il feticcio della bancarotta.

Con tassi lievemente più bassi, ora, è possibile mettere una pezza a uno dei mercati più importanti per la classe media americana: quello immobiliare. “Aggiustare” i prezzi delle case in modo da rapportarli agli stipendi pagati, affinché i giovani possano uscire dalle case dei genitori, creare nuovi nuclei famigliari e infine ricostruire il “sogno americano”. Ecco perché sarà fondamentale la IPO riguardante Fannie Mae e Freddie Mac, questo li porterà entrambi fuori dalla conservatorship e li farà tornare entrambi in profitto rivitalizzando il mercato dei mutui trentennali americano. Fannie e Freddie sono la nona compagnia più profittevole al mondo, solo l'anno scorso hanno fatto registrare $29 miliardi in commissioni e Obama le usava per finanziare l'Obamacare: immaginate ora cosa potrebbero fare se portate fuori dall'alveo pubblico e liberalizzate, soprattutto se fondi pensione e agenzie di assicurazione possono investire e tirarci fuori rendimenti decenti. Se ci aggiungiamo anche la rimozione della Supplemental Leverage Ratio e la liberazione del capitale bancario immobilizzato (parliamo di circa $5.500 miliardi in riserve in eccesso) che doveva essere detenuto nei loro bilanci come ulteriore garanzia a supporto dei titoli di stato americani (l'asset più liquido e affidabile al mondo dal 2022), le banche americane ottengono un vantaggio non indifferente rispetto alle controparti europee e la concessione di prestiti diventerà più facile.

Per quanto JP Morgan e Solomon Bank siano state le voci più forti nel sostenere questa causa, non significa che vogliano tornare a giocare d'azzardo sui mercati e far perdere le tracce di un qualsiasi confine tra investment banking e reserve banking. Significa principalmente tornare ad avere un margine netto d'interesse attraverso la loro attività principale: concedere prestiti. Gli strati aggiuntivi di burocrazia applicati dal Dodd-Frank Act hanno costretto le banche americane a concentrarsi fondamentalmente sul settore finanziario, incapaci di fare soldi col margine netto d'interesse. È questo che le banche dovrebbero fare: prestare soldi al 6%, dare il 3% d'interesse ai depositanti e trattenere per loro il restante 3%. Invece di analizzare il gradiente di rischio di un'azienda a cui concedere un mutuo, sono state indirizzate lungo la strada dell'ingegneria finanziaria e della finanziarizzazione dei loro bilanci (e indirettamente a quella di Main Street). Senza contare che anche le regole di Basilea 3 hanno rappresentato dei legacci importati alla profittabilità delle banche americane, mantenendo competitive le loro controparti europee. La zombificazione degli istituti di credito americani ha rappresentato un costante drenaggio di risorse, tramite la burocrazia, oltreoceano. Così come la raffica di norme di conformità a livello commerciale ha costretto il resto del mondo ad adattarsi agli standard normativi europei (assurdi), allo stesso modo ha funzionato la normativa bancaria; e non scordiamoci i tentativi multipli di trascinare in una guerra cinetica gli USA in Medio Oriente o in Ucraina. Cos'è che non fa notizia sui media generalisti, però? La crescita dei salari, i quali rispetto all'anno precedente mostrano, sebbene timidi, segni di ripresa. Ma per avere un quadro completo della situazione bisogna aggiungere anche un grosso cambiamento che sta avvenendo a livello di movimenti nei posti di lavoro. In sintesi, i colletti bianchi, i cui lavori sono scoppiati grazie agli strati di burocrazia posti sulla nazione, hanno esercitato una sorta di effetto crowding out nei confronti dei colletti blu: spostare un foglio sarebbe diventato più profittevole di creare un bene di consumo. E carriere del genere hanno significato mutui, bonus e tutta una serie di agi garantiti da un lavoro che non aggiungeva niente alla ricchezza reale, anzi col tempo l'ha sottratta. Un processo del genere non poteva far altro che “appaltare” al resto del mondo la manifattura, il settore secondario, a fronte di un progressivo affogare nel debito. Dollari uscivano ed entrava ciarpame di qualità progressivamente inferiore, ma i debiti rimanevano. È così che l'ipertrofia del mercato dell'eurodollaro ha tenuto in piedi la City di Londra e, come sottoprodotto, anche Bruxelles a scapito di Washington.

L'inversione di questa tendenza deve avvenire con gradualità e in modo organico, nonostante Trump volesse (apparentemente) forzare la mano a Powell. I numeri della disoccupazione non sono allarmanti perché è in atto un mutamento delle condizioni professionali negli USA, coadiuvato dalla R&S nel campo dell'IA, il quale permetterà di ricreare una sostenibilità effettiva nel mondo del lavoro. Parallelamente a ciò corre il binario degli investimenti esteri, la cui barriera all'ingresso sarà il possesso di titoli del Tesoro americani: oltre a far pagare al resto del mondo gli eccessi che ha contribuito a creare negli USA in passato, l'acquisto di titoli sovrani americani rappresenterà il biglietto d'ingresso al mercato più liquido, affidabile e profittevole del mondo. La cosiddetta “idraulica” del sistema finanziario americano viene così resa un asset nel bilancio della nazione. Ma non finisce qui, perché la tokenizzazione di questa classe di asset permetterà agli investitori non solo di scommettere sulla riorganizzazione del Paese ma anche su singoli progetti (industriali, ad esempio) in modo da ottenere un doppio rendimento.

Di conseguenza anche se Powell è “lento” nell'abbassare i tassi di riferimento, la progressione di questi eventi puntellerà il settore immobiliare mentre la classe media cercherà di uscire dal pantano di stagnazione creato ad hoc da una classe dirigente del passato intenzionata a svuotare la nazione piuttosto che a farla prosperare. Pensateci: se il vostro scopo è quello di saccheggiare un posto per mandare i proventi altrove, ciò non riuscirà a conciliarsi con una crescita sostenibile, nel tempo, di suddetto posto. Perché? Legge dei rendimenti marginali decrescenti. Se invece il vostro scopo è quello di spartire il bottino della nazione tra gli “amici degli amici” in patria e voi stessi, sarà decisamente più facile lasciare qualcosa anche al resto della popolazione. La felicità, relativa, di quest'ultima la incentiverà a chiudere un occhio sul resto delle scorribande ai piani alti. Perché? Legge dei rendimenti marginali acceleranti. Se prima del 2022 i partner commerciali degli USA erano tali solo per prenderne un pezzo, adesso è finalmente un rapporto paritario. Infatti quello che non capiscono gran parte degli Austriaci è che una volta tolto di mezzo lo strato di normative scritto dai nemici degli Stati Uniti e applicato da un Congresso di traditori, il mondo cambia letteralmente e diventa irriconoscibile.


IL CENTRO DEL LABIRINTO

Aggiustamento interno e poi aggiustamento esterno. Nel primo caso si tratta di ridare “speranza” a un'intera generazione, forse due, di americani che durante l'amministrazione Biden sono stati letteralmente privati di una qualsiasi preferenza temporale orientata al futuro. Guerre all'estero, inflazione e disoccupazione sono stati gli elementi principali del declino della classe media; l'amministrazione Trump “è stata chiamata” a risolvere soprattutto questi temi riducendo gli sprechi all'estero e aumentando gli impegni d'investimento internamente. Qualsiasi correzione non avviene senza dolore economico: può essere attenuato, ma non può essere cancellato. Questo a sua volta significa che la riorganizzazione del mondo lavoro non ci sarà senza scossoni iniziali che dovranno trovare successivamente un nuovo equilibrio; i numeri grigi che abbiamo letto di recente sono influenzati non solo da questa tendenza, ma anche dalla regolazione dei flussi migratori. L'effetto di ciò si sta già sentendo a livello immobiliare, dove gli affitti hanno smesso di correre ad esempio. Secondo le ultime stime ce ne sono altri 18 milioni circa in circolazione entrati nel Paese illegalmente grazie alle politiche migratorie lasche dell'amministrazione Biden e, inutile dirlo, l'effetto deflazionistico che avrà questa tendenza (espulsioni o incentivi monetari per andarsene) andrà a contrastare quelli inflazionistici ancora derivanti dallo stimolo fiscale del Build Back Better della precedente amministrazione.

Parallelamente al mondo del lavoro corre la politica commerciale, dove i dazi non solo non stati inflazionistici mentre invece hanno portato vitalità nelle casse del Dipartimento del Tesoro. Infatti hanno un effetto temporaneo su prodotti specifici, sempre che non sia il produttore/distributore a volerne assorbire l'impatto, ma soprattutto generano un gettito interessante per il governo americano. Questo significa che se Trump dovesse essere avvicendato da una presidenza democratica nel 2028, difficilmente verrebbero aboliti (così come la precedente amministrazione Biden non ha abolito i dazi sui prodotti cinesi). Se ci aggiungiamo anche che la Big Beautiful Bill avrà un effetto positivo sul bilancio federale, allora abbiamo di fronte un sentimento popolare/elettorale tutto sommato positivo nei confronti dell'attuale amministrazione.

Gli aggiustamenti esterni sono quelli più problematici, invece. Gli europei non possono permettersi di perdere la guerra in Ucraina perché significherebbe una caduta libera per il progetto UE e l'euro, visto che verrebbe a mancare la disponibilità di materie prime/risorse finanziarie (es. asset finanziari congelati nelle banche europee) che sono attualmente in Russia e che sono estremamente importanti per sostenere la credibilità del sistema bancario dell'Eurozona. Devono per forza andare avanti, quindi, ma non hanno affatto i mezzi per farlo se non attraverso gli Stati Uniti che però non vogliono affatto essere coinvolti in una guerra cinetica. Uno degli ultimi messaggi dati da Trump a tal proposito è possibile parafrasarlo in questo modo: “Volete che questa guerra continui a tutti i costi? Bene, allora li pagherete VOI questi costi. Se la NATO si vuole muovere verso un conflitto diretto allora noi vi venderemo le armi, ma ce le pagherete in anticipo”.

La domanda è: con cosa le pagheranno? Dal punto di vista energetico l'UE è in grossi guai: il petrolio al largo della Gran Bretagna è praticamente impossibile da estrarre causa burocrazia e tasse, e la Norvegia è sostanzialmente un circuito a sé stante. Dal punto di vista finanziario l'UE è in grossi guai: la fonte da cui accedeva a finanziamenti facili, il mercato dell'eurodollaro, viene prosciugata dalla FED; dopo l'entrata a pieno regime del SOFR, o si comprano titoli del Tesoro americani per accedere alla liquidità in dollari oppure si chiede una linea di credito (swap) alla FED... ma solo se si è ritenuti “degni”, come l'Argentina ad esempio. Infatti le politiche commerciali servono anche a questo: determinare chi è “amico” e chi non lo è. In questo modo l'accesso alla liquidità in dollari non sarà negato, ma arriverà con clausole come ad esempio una commissione d'accesso per usare la valuta più affidabile, credibile e necessaria al mondo. Questo scenario per l'Europa significa doversi preparare a sostenere dei costi, sia per la difesa sia per il comparto bancario/monetario/economico, che sottoporranno a forti pressioni al ribasso la moneta unica e accentueranno ancora di più la fuga di capitali verso gli Stati Uniti da parte di risparmi europei destinati al macello se resteranno nell'UE.

Prima di una crisi del debito sovrana, la valuta che successivamente imploderà sale nel mercato dei cambi. Infatti l'Europa ha bisogno di liquidità in euro sia per pagare i salari, sia di liquidità in dollari per tenere in piedi tutti i suoi carry trade. Come ricordato in tempi non sospetti, il mondo si ri-dollarizza quando il DXY scende dato che la pressione di acquisto/vendita del dollaro viene di poco superata da quella d'acquisto dell'euro ad esempio.

È una giostra che può andare avanti fin quando esistono riserve in dollari da cui attingere, fino a quando qualcosa si rompe come a Hong Kong o a Singapore. Questi due hub sono da sempre stati una fonte non indifferente di dollari offshore, ma difendere ancoraggi del genere è diventato arduo da quando non esiste più il LIBOR. L'Autorità monetaria di Hong Kong, ad esempio, mantiene un differenziale di 25 punti base sul suo tasso di riferimento rispetto a quello della FED, il che significa che è stato impostato un carry trade da sfruttare. A sua volta stiamo parlando di un differenziale di 50-60 punti base tra i T-bill americani a 30 giorni e i loro omologhi di Hong Kong. L'HIBOR, la versione di Hong Kong del LIBOR, è stato appiattito fino allo 0,5% a maggio e da allora è rimasto lì: qualcuno sta vendendo dollari a sconto a Hong Kong. E visto che stiamo parlando di una colonia inglese da tempo immemore, tutti i sospetti ricadono sulla City di Londra.


CONCLUSIONE

È passato un anno da quando ho pubblicato il mio ultimo libro, Il Grande Default, e uno dei temi trattati in esso era il motivo per cui Stati Uniti ed Europa sono ai ferri corti. Tutto ciò che avete trovato nel mio manoscritto ha rappresentato una narrazione prevalentemente in linea con quanto osservato finora. Lo studio del sistema dell'eurodollaro, le sue criticità nel passato e l'origine del suo controllo, mi hanno permesso di avere una proverbiale “finestra sul futuro”. Quest'ultima affaccia su un presente, adesso, in cui l'UE viene costantemente costretta ad accettare il ritiro sulle proprie sponde da parte degli USA; qualunque deviazione da questa linea di politica verrà accolta da un'azione uguale e contraria fatta di power politics.

La consensus politics era solamente una scusa per permettere all'UE di insinuarsi nell'ordine mondiale e diventarne il punto di riferimento, sacrificando nel contempo gli Stati Uniti. I New York Boys hanno preso in mano le redini della situazione americana e hanno fatto ricorso a tutta la loro influenza territoriale per arginare questo assalto e con l'elezione di Trump è partito il contrattacco.

Le principali pedine geopolitiche sono state schierate: Giappone in Asia, Israele/Arabia Saudita/Azerbaijan/Armenia in Medio Oriente, Polonia/Italia/Grecia/Turchia in Europa. Alla Gran Bretagna, invece, verrà dato l'onore delle armi in cambio del ritiro/neutralità dalle sue zone d'influenza attualmente caratterizzate da conflitti e la resa di qualsiasi pretesa sul Canada. Chi viene estromesso dal rimodellamento del mondo di fronte al gigantesco cambiamento di rotta di Washington è il “nucleo” dell'Europa: Francia, Germania e Belgio/Olanda principalmente. Ecco perché sono propenso a pensare che l'UE si frammenterà lungo questi confini e si verranno a creare 2 (o forse più) Eurosistemi. Già adesso la BCE è praticamente un pro-forma, dato che le singole banche centrali nazionali non hanno mai smesso realmente di impostare/influenzare la politica monetaria delle rispettive nazioni attraverso i pronti contro termine.

Alla fine della fiera sono 3 i centri di potere nel mondo: Washington, City di Londra e Vaticano. Bruxelles, Francoforte, Parigi, ecc. non sono pervenute.


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giovedì 9 ottobre 2025

Rosso, bianco e Bitcoin

Tutto rimandato all'anno prossimo... forse. Fanno ridere poi queste inchieste della stampa generalista, proprio perché mancano consapevolmente il punto. Qual è? Non sanno come fare. Come ho già detto in tempi non sospetti, l'approvazione negli USA del GENIUS e STABLE Act hanno reso in un singolo istante obsoleto qualunque sogno autoritario europeo tramite la valuta unica digitale. Già adesso Tether raggiunge in modo capillare ogni angolo del mondo e lo fa a costi irrisori; un euro digitale non potrà mai competere (senza contare che la versione digitale dell'euro è stata offerta anche da Tether stesso, ma nessuno l'ha voluta/usata). I mercati dei capitali, soprattutto, hanno capito qual è il destino dell'UE: frammentazione. Il mio orizzonte temporale è da 2 a 5 anni. E questo lo sta capendo anche la classe dirigente europea, passo dopo passo, stretta mortale dopo stretta mortale da parte delle nuove linee di politica americane. Infatti le due leggi sopraccitate sono un veicolo perfetto non solo per internazionalizzare il dollaro sotto l'egida esclusiva degli USA (non più condivisa con l'estero come invece accadeva col LIBOR), ma per creare una domanda aggiuntiva di titoli di stato americani e stabilizzarne le finanze interne. Dove sono finiti i “profeti di sventura” che si flagellavano in pubblica piazza parlando di bancarotta degli USA a fronte dei $7000 miliardi di debiti americani da rinnovare? Scomparsi, così come le loro chiacchiere inutili... utili idioti della propaganda inglese/europea di queste sciocchezze. Per quanto l'UE abbia provato con un'unione fiscale e obbligazionaria tramite i bond SURE, rimarrà un'utopia ormai. L'inevitabile spaccatura in due tronconi (come minimo) segnerà la fine di questo esperimento “turbo-socialista”, ma questo non significa che nel frattempo non ci sarà ulteriore temporeggiare per ritardare suddetto esito. Infatti, per quanto il progetto dell'euro digitale sia stato sospeso per il momento (e chissà se davvero il test pilota verrà messo in atto l'anno prossimo), è in fase di gestazione l'idea di “tokenizzare” il risparmio europeo per creare “rivendicazioni digitali” e quindi emettere dal nulla garanzie collaterali con cui sostenere Stati sociali fuori controllo, spese militari sempre più asfissianti e costi energetici alle stelle. Collaterale sintetico ovviamente, proprio perché l'Europa manca di qualsiasi garanzia credibile sui mercati (talmente disperata da continuare a fare “ammuina” sugli asset russi congelati perché altrimenti creerebbero giganteschi e nuovi buchi di bilancio negli istituti finanziari europei). Di conseguenza, quando sentirete la grancassa della propaganda europea spingere di nuovo sull'acceleratore riguardo i “russi cattivi” e la necessità di “riarmarsi”, perché questa narrativa fraudolenta sarà intensificata, sappiate che sono gli eurocrati che vi vogliono mettere furbescamente le mani nel portafoglio. All'angolo, sempre più schiacciata, c'è l'URSSE.

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di Logan Beirne

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/rosso-bianco-e-bitcoin)

Bitcoin può sembrare futuristico, ma una volta rimossa la sua patina digitale, è solo l'ultimo capitolo di una lunga storia di 2.600 anni fatta di valore, fiducia e ingegno umano. Dopo aver raggiunto livelli record, Bitcoin ha fatto notizia mentre le nazioni dichiaravano di avere riserve strategiche e le aziende americane abbracciavano questa nuova classe di asset. Perché proprio ora?

La risposta risiede in un modello antico quanto la civiltà stessa: quando gli stati corrompono una valuta, le persone cercano di innovare per ottenere qualcosa di meglio.

Come dice il proverbio: “La storia non si ripete, ma spesso fa rima”. Quando la prima moneta apparve nel 600 a.C., non era semplicemente una lega d'oro e d'argento con impresso il volto del re lidio. Fu una rivoluzione finanziaria. Per la prima volta le persone potevano superare le inefficienze del baratto e utilizzare invece un mezzo di scambio per commerciare, ma questo valore non risiedeva nel luccichio bensì nella consapevolezza collettiva degli individui che queste monete avevano valore.

L'integrità di quel sistema ha avuto alti e bassi nel corso dei millenni successivi, tipicamente a causa delle politiche di spesa governative. I denari romani con il dorso in argento permisero all'impero di prosperare, ma quando i successivi imperatori ne diluirono il valore – riducendo il contenuto d'argento per finanziare guerre e costruire grandi palazzi – i cittadini persero fiducia nella loro moneta. Quando l'imperatore Nerone ridusse il contenuto d'argento dal 98% all'83% nel 64 d.C., i Romani iniziarono ad accumulare vecchie monete e a rifiutare quelle nuove. Nel 260 d.C. il denario conteneva solo il 5% d'argento. L'inflazione aumentò vertiginosamente e il commercio crollò, contribuendo alla caduta finale dell'impero.

Gli Stati Uniti hanno combattuto crisi monetarie fin dalla nascita della nazione, ma a differenza di Roma, l'America ha costantemente innovato e trovato soluzioni lungo il percorso. Dopo aver dichiarato l'indipendenza dalla Gran Bretagna, il Congresso Continentale stampò la prima moneta cartacea della nazione. Chiamata “Continental”, non era coperta né da oro né da argento, solo dalla fiducia nel suo valore. Mentre l'oro e l'argento sono metalli relativamente scarsi con l'offerta limitata, la carta può essere stampata ed è esattamente ciò che fece il primo governo degli Stati Uniti.

Nel disperato tentativo di pagare le truppe e acquistare i rifornimenti necessari per combattere la Guerra d'Indipendenza, il Congresso si dedicò alla produzione di altre banconote. Esse inondarono il mercato, facendone crollare il valore, mentre gli americani si chiedevano se la nuova nazione avrebbe potuto mantenere le sue promesse. Nel 1777 un patriota si lamentò con suo padre dell'aumento dell'inflazione stimato al 200%, scrivendo: “L'America ha molto più da temere dagli effetti di grandi quantità di cartamoneta che dalle operazioni dei generali britannici”.

I prezzi salirono così rapidamente che lo stesso George Washington finì per rifiutare i Continental come pagamento. Divenne infatti comune descrivere qualcosa di scarso valore come “non degno di un Continental”. La valuta divenne così ridicola che i marinai la cucivano sui vestiti e sfilavano per la città per schernirla. Ma anziché crollare come l'Impero Romano, gli Stati Uniti innovarono: questa crisi monetaria fu la forza trainante che spinse i Padri Fondatori ad abolire il governo americano con gli Articoli della Confederazione e a redigere l'attuale Costituzione.

Questo cambiamento rappresentò più di una semplice riforma politica: fu un progresso monetario, con il passaggio da una moneta discrezionale a una basata su regole. Il nuovo governo degli Stati Uniti adottò un sistema bimetallico nel 1792, che legava il valore del dollaro sia all'oro che all'argento. Il Paese alla fine semplificò il suo approccio passando di fatto a un gold standard nel 1834, il quale durò fino al 1971, quando il presidente Nixon lo abbandonò a favore della moneta fiat. Come i Paesi continentali prima di esso, il dollaro è stato da allora coperto dalla fiducia nel suo valore: “full faith and credit” del governo degli Stati Uniti.

E poi arrivò la crisi finanziaria del 2008. Lehman Brothers crollò, le banche vacillarono... e la popolazione? Cominciò a chiedersi: “Cos'è il denaro?” Fu allora, dalle ombre digitali, che una figura anonima – Satoshi Nakamoto – lasciò cadere un white paper come un patriota che lancia un volantino alla vigilia della Guerra d'Indipendenza: Bitcoin, un sistema di moneta elettronica peer-to-peer. Niente imperatori, niente banche; solo matematica, crittografia e un record indistruttibile chiamato blockchain. Nacque un nuovo tipo di fiducia: non in un sovrano, ma in un codice informatico.

Quella che inizialmente era considerata un'interessante idea è stata rapidamente messa in pratica nel mondo reale. Gli utenti generano altri utenti, la fiducia cresce, gli imprenditori sognano. È una vera e propria saga storica che si svolge in tempo reale.

Bitcoin si è distinto dalle altre crittovalute che ha ispirato, in gran parte grazie alla sua scarsità: un imperatore non potrebbe più aggiungere rame a basso costo a monete d'argento, o il Congresso stampare altra carta, perché è codificato che esisteranno solo 21 milioni di bitcoin. Inoltre tutte le transazioni Bitcoin sono verificate da una rete decentralizzata di circa 20.000 computer in tutto il mondo che si controllano a vicenda al di là del volere dei politici. In un'epoca di spesa pubblica incontrollata, gli investitori si sono rivolti a Bitcoin che nessun governo può diluire. Un sistema decentralizzato che protegge i cittadini dal dominio dello stato: quanto è americano!

Non è un caso che il Bitcoin sia schizzato a una valutazione di $2.000 miliardi proprio mentre il debito pubblico degli Stati Uniti ha raggiunto livelli record. I ricercatori dibattono sulla durata media delle valute fiat nel corso della storia, con alcuni che collocano il momento della loro morte tra i 27 e i 35 anni. Poiché gli Stati Uniti sono fuori dal gold standard da oltre 50 anni, la storia suggerisce che il dollaro è destinato alla sostituzione.

Le persone si pongono l'annosa domanda: cos'è davvero il denaro? Mentre la fiducia nella moneta cartacea viene scossa dall'inflazione e dall'aumento della spesa federale, molti si stanno rivolgendo all'innovazione. Persino le nazioni stesse hanno iniziato a costituire riserve strategiche. Di fatto gli Stati Uniti sono il maggiore detentore di Bitcoin, posizionando ancora una volta l'America all'avanguardia nell'evoluzione monetaria.

Come consigliò John Adams nel 1787: “Tutte le perplessità, la confusione e l'angoscia in America non derivano dai difetti della Costituzione, né dalla mancanza di onore o virtù, quanto piuttosto dalla totale ignoranza della natura della moneta, del credito e della loro circolazione”. È dovere degli americani armarsi di conoscenza e impegnarsi nell'antica tradizione americana di sfidare i sistemi corrotti con idee migliori nel perseguimento della libertà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 8 ottobre 2025

La resa dei conti della Francia: il secondo gigante dell'Eurozona sarà il prossimo in linea?

Il cappio al collo dell'UE continua a essere stretto, soprattutto dal punto di vista energetico. È un ricatto mafioso quello degli USA quando la vogliono costringere, pena dazi, ad acquistare il loro GNL... ma questa è power politics. Tutti fanno parte di una cupola mafiosa, solo che adesso gli USA si sono stancati di essere fregati dagli intrallazzi europei/inglesi. O scendono a più miti consigli accettando le condizioni di un nuovo assetto mondiale in cui gli USA dettano per davvero le regole (senza infiltrati esteri... inglesi... nelle loro stanze dei bottoni), oppure pagano le conseguenze fino in fondo della loro narrativa (in questo caso essersi tagliati fuori da una fonte energetica a basso costo come quella russa per trascinare in guerra gli stessi USA). Le recenti ondate di “terrorismo mediatico” su sconfinamenti russi o potenziali attacchi degli stessi in territorio europeo servono principalmente a far ingoiare il boccone amaro ai contribuenti europei: “Siete voi la nostra garanzia collaterale e pagherete per la nostra testardaggine, perché altrimenti verremo spazzati via come classe dirigente”. Questa tesi è supportata anche dalle recenti dichiarazioni del Pentagono in ambito “assistenza militare” nei confronti dei Paesi Baltici. Nel frattempo, come ricordato anche altre volte, gli Stati Uniti si apprestano a spostare l'asse commerciale del mondo verso l'Artico, costituendo un polo di scambi tra Russia e Cina. La notizia del WSJ riguardo la Exxon è un ulteriore segnale in tale direzione.

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di Thomas Kolbe

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-resa-dei-conti-della-francia-il)

La Francia è intrappolata in una spirale di debito e ora il presidente della Corte dei conti francese mette in guardia dalle conseguenze dell'inazione politica.

Pierre Moscovici è presidente della Corte dei conti francese da cinque anni, la quale supervisiona le revisioni periodiche delle finanze pubbliche del Paese. Dal 2012 al 2014 è stato Ministro delle finanze francese e poi ha ricoperto per cinque anni la carica di Commissario europeo per gli Affari economici e finanziari, la fiscalità e le dogane. Un uomo che sa come gestire le casse vuote.

Di recente Moscovici ha invitato il Primo ministro, François Bayrou, ad adottare misure urgenti per consolidare le finanze pubbliche. La situazione di bilancio della Francia, ha affermato, è sfuggita di mano, soprattutto nel 2023 e nel 2024. Se non si raggiungerà presto un'inversione di tendenza, i mercati dei capitali la imporranno. “Possiamo ancora agire volontariamente”, ha avvertito il governo, “ma domani i mercati potrebbero imporre misure di austerità”.


Per ora regna la calma nei mercati obbligazionari

Una volta che le tessere del domino iniziano a cadere, la situazione precipita: gli investitori si liberano in massa dei titoli di stato francesi, i rendimenti aumentano, i prezzi crollano e rifinanziare l'enorme debito pubblico del Paese diventa ancora più costoso. Già oggi il pagamento degli interessi assorbe il 10,6% del bilancio statale francese, all'incirca la stessa cifra destinata all'istruzione. Con l'aumento del debito, il margine di manovra fiscale si riduce.

Con un debito sovrano al 114% del PIL, la trappola potrebbe scattare inaspettatamente. Per ora i funzionari europei continuano a puntare il dito contro gli Stati Uniti, i cui indici di indebitamento sono simili, ma nessuno può dire per quanto tempo questa tattica di sviamento funzionerà. Il rischio di credito si materializza all'improvviso, di solito senza preavviso.


Punto di non ritorno

Ciò che sappiamo è questo: un rapporto debito/PIL superiore al 100% è già considerato critico. A quel punto anche ambiziosi sforzi di riforma raramente bastano a uscire dalla situazione critica e a meno che il Paese indebitato non emetta la valuta di riserva mondiale, saranno i mercati dei capitali a emettere il loro verdetto, come abbiamo visto durante la crisi del debito dell'Eurozona quindici anni fa.

Ciò che segue è familiare: l'intervento della banca centrale per mantenere liquide le finanze pubbliche, azionando la stampante monetaria e trasferendo il conto ai cittadini attraverso l'inflazione.

La Francia non è mai stata nota per il suo conservatorismo fiscale. Anni di stallo politico, maggioranze mutevoli e coalizioni instabili hanno spinto i deficit annuali ben oltre la soglia del 3% di Maastricht. Nel 2024 il deficit ha raggiunto il 5,8% del PIL. Anche con le prime misure di risanamento, si prevede che quest'anno rimarrà al 5,5%, ben al di sopra dell'obiettivo.


Nessuna ripresa economica in vista

Se i policymaker francesi contano su una ripresa della crescita economica, potrebbero rimanere delusi. A maggio l'indice dei direttori degli acquisti (indice PMI) per il settore manifatturiero si è attestato a 48,1 e per i servizi a 49,6, entrambi in territorio di contrazione. I PMI riflettono il sentiment delle imprese, valori superiori a 50 indicano crescita e inferiori, invece, una contrazione. Sono considerati indicatori precoci delle tendenze economiche e industriali.

In altre parole: nonostante – o forse proprio a causa – dell’ingente spesa pubblica, l’economia francese è bloccata in recessione.


Rischio di contagio

La crisi fiscale che si sta profilando in Francia è più di una semplice tragedia nazionale. Insieme a Germania e Italia, la Francia è sottoposta a un attento esame da parte di analisti e investitori di tutto il mondo. Parigi riuscirà a portare a termine il consolidamento fiscale? La fiducia nell'affidabilità creditizia della Francia è instabile da anni. Nel 2023 Moody's è stata l'ultima grande agenzia di rating a declassare la Francia dal rating AAA, assegnandole un outlook negativo.

Se i mercati dei capitali dovessero ulteriormente declassare il debito francese, le conseguenze si estenderebbero all'intera Eurozona. Qui vale la vecchia regola: o si resta uniti, o si muore divisi. I mercati obbligazionari tendono a passare da un anello debole all'altro, rivalutando rigorosamente l'affidabilità creditizia in situazioni di crisi. Chi vacilla paga interessi più alti, o perde del tutto l'accesso al mercato. Moscovici lo sa bene.

La pressione sui governi nazionali sta aumentando: o si vara una riforma di bilancio drastica, o si aumenta il carico fiscale sui cittadini.


L'eccezione francese

La Francia è un caso speciale. Con un rapporto spesa pubblica/PIL pari al 57,3%, il suo Stato sociale si colloca tra quelli più pesanti al mondo. Di conseguenza la pressione fiscale complessiva è salita al 45,6%, ben al di sopra della media UE di circa il 40%. I cittadini stanno già rinunciando a quasi metà del loro reddito per mantenere le illusioni assistenziali di Parigi.

La pace sociale viene comprata con denaro che non esiste più, finanziata dal debito e sostenuta dall'illusione della sovranità fiscale. Quando persino il massimo revisore dei conti del Paese chiede un consolidamento, una cosa è chiara: la situazione sta per farsi seria. L'equilibrio sociale stesso, fondamento del patto politico ombra che tiene a bada i disordini nelle banlieue, è in gioco.

La storia ce lo insegna: quando i governi tagliano i programmi sociali in Francia, la pace sociale crolla e le periferie – da Parigi a Marsiglia a Lione – vanno a fuoco.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 7 ottobre 2025

Lo smantellamento di un gruppo di lavoro segreto nello Stato profondo americano accresce le speranze di pace con la Russia

Come si ferma una guerra che rischia di diventare mondiale? Si impedisce che le tensioni arrivino al punto di attivazione dell' esplosione di energia. Dalla guerra in Ucraina sino alla carneficina del 7 ottobre in Israele, passando anche per altri conflitti settari in tutto il mondo, la pressione è montata progressivamente. Lo zampino degli inglesi è ovunque: dal fondamentalismo politico israeliano al fondamentalismo religioso islamico, la regione è stata caricata di così tanta “dinamite” sociale che basta una leggera pressione affinché scoppi (così come fecero nel primo novecento con l'Impero Ottomano per impedire che esso e Germania creassero legami commerciali tramite la ferrovia verso Baghdad). Non scordiamoci che è stata la falange qatarina di Hamas a innescare gli eventi che hanno portato ai fatti dell'ottobre 2023 e non senza aiuto dell'MI6 (il recente attacco a Doha da parte di Israele era un messaggio mafioso recapitato per conto USA). Israele, Palestina, Turchia, India, Pakistan, ecc. hanno tutti legami nel “sottobosco” statale che giungono fino a Londra. Le nazioni del mondo non sono monolitiche: al loro interno hanno correnti e fazioni, i confini statali servono solo come giustificazione affinché i contribuenti paghino le tasse. Ma come si disinnesca un conflitto religioso e dogmatico? Si cambia paradigma, soprattutto economico: ecco perché Trump parla di sviluppo immobiliare nella striscia di Gaza. Ecco perché ad esempio gli accordi di Camp David del '78 fallirono: non ebbe seguito un piano di sviluppo economico. Il primo viaggio di Trump in Medio Oriente è stato in Arabia Saudita, chiedendo loro di tagliare i ponti coi fondamentalisti islamici; l'attacco chirurgico in Iran è servito a mandare un messaggio che gli USA non si fanno impantanare in guerre altrui. Non fatevi fregare, quindi, non cedete alle divisioni e alla violenza. Chiedetevi sempre: “Cui prodest?” A chi giova inzeppare una regione con fondamentalisti di ogni risma? A chi ha come scopo il colonialismo, l'imperialismo, dominazione, guerra eterna. Agli inglesi non interessa niente di coloro con cui fanno accordi: sono solo asset in rapido deprezzamento da essere usati per i propri scopi.

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di Andrew Korybko

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lo-smantellamento-di-un-gruppo-di)

A metà giugno la Reuters ha riferito che l'amministrazione Trump aveva sciolto un gruppo di lavoro segreto inter-agenzia supervisionato da membri del Consiglio di sicurezza nazionale, ora dimessi, incaricato di formulare strategie per costringere la Russia a fare concessioni all'Ucraina.

Secondo le tre fonti ufficiali statunitensi rimaste anonime, il rifiuto finora espresso da Trump di intensificare il coinvolgimento americano nel conflitto ha fatto sì che questa iniziativa perdesse slancio, anche se in futuro potrebbe ancora potenzialmente fare marcia indietro.

In ogni caso l'aspetto più significativo dell'articolo della Reuters è che conferma che un gruppo segreto di funzionari delle burocrazie militari, di intelligence e diplomatiche degli Stati Uniti (ovvero lo Stato profondo americano) è stato creato per manipolare Trump e spingerlo a fare pressione sulla Russia, il che avrebbe potuto peggiorare le tensioni se avesse avuto successo. Altrettanto significativo è stato il suo fallimento finora. Ciononostante i piani da loro ideati potrebbero ancora essere attuati da elementi sovversivi dello Stato profondo americano, e qui sta il problema.

Secondo la Reuters: “Le idee spaziavano da accordi economici mirati a isolare alcuni Paesi nell'orbita geopolitica russa a operazioni segrete”; il primo scenario includeva una proposta per “incentivare” il Kazakistan a reprimere l'evasione russa delle sanzioni occidentali. Quel Paese si sta già spostando verso ovest da un po' di tempo, il che potrebbe rappresentare una sfida per Russia e Cina, come spiegato nell'estate del 2023, ma non sembra che da questo schema sia emerso nulla.

Il secondo scenario potrebbe essere stato collegato agli attacchi strategici con droni dell'Ucraina contro la Russia all'inizio di giugno. Nessuno può dire con certezza se Trump ne fosse a conoscenza in anticipo, ma la rivelazione della Reuters sull'esistenza di questo gruppo di lavoro nello Stato profondo americano dà credito a coloro che sostenevano il contrario. Dopotutto è del tutto possibile che l'operazione sia stata orchestrata da loro a sua insaputa, cosa che potrebbe aver detto a Putin.

C'è anche la possibilità che questi “sforzi di operazioni speciali segrete” includessero i  due complotti nel Mar Baltico, di cui ha messo in guardia il Servizio di intelligence estero russo.

Sebbene abbiano affermato che si trattava di sforzi congiunti britannico-ucraini, non si può escludere che i suddetti elementi sovversivi dello Stato profondo americano possano aver avuto un ruolo nella loro pianificazione e/o possano aver avuto pronto un piano dettagliato per fare pressione su Trump affinché intensificasse gli attacchi contro la Russia.

Lo smantellamento di questo gruppo di lavoro inter-agenzia nello Stato profondo americano alimenta quindi speranze di pace con la Russia e potrebbe in parte spiegare il recente pragmatismo dell'amministrazione Trump nei suoi confronti.

Il Segretario alla Difesa ha di recente annunciato che gli aiuti all'Ucraina saranno tagliati nel prossimo bilancio, mentre il Segretario al Tesoro ha messo in guardia contro nuove sanzioni anti-russe. Trump si è poi opposto a ulteriori sanzioni di questo tipo al G7, ha bloccato i tentativi di abbassare il tetto massimo al prezzo del petrolio russo e ha attaccato Zelensky.

Sebbene sia prematuro celebrare, dato che Trump potrebbe sempre cambiare idea o essere manipolato per indurlo a intensificare la sua linea d'azione, si tratta comunque di sviluppi positivi per la pace.

Resta da vedere se manterrà la barra dritta, ma ciò che conta è che sia tornato al suo approccio pragmatico, che era stato brevemente interrotto da una serie di post arrabbiati su Putin.

Lo scenario migliore è che egli sfidi con orgoglio lo Stato profondo americano costringendo finalmente l'Ucraina ad accettare le concessioni di pace richieste dalla Russia.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 6 ottobre 2025

La BCE interrompe il ciclo di allentamento, ma la crisi dell'Eurozona è appena iniziata

Da 3 anni a questa parte il lavoro della FED è tornato a essere quello di proteggere il sistema bancario americano e il mercato dei titoli sovrani americani. Questo è il suo vero doppio mandato. L'agenda della cricca di Davos è quella di rimuovere dalla scacchiera le singole banche e avere un unico polo di riferimento a livello mondiale. In sintesi, la rimozione del settore bancario commerciale e, soprattutto, il suo interesse netto a livello commerciale. Non è un caso che sul suolo statunitense non ci sarà mai una CBDC del tipo immaginato dalla Lagarde: programmabile, a tempo, censurabile. In questo contesto, ricordate che la FED non è tra i “buoni”; bisogna vedere per chi lavora e cosa vogliono difendere. L'agenda del WEF è un anatema per Wall Street e il settore bancario commerciale. La prima amministrazione Trump, già allora, era la prima iterazione dei NY Boys che cercavano di mettere paletti alle infiltrazioni della cricca di Davos nelle stanze dei bottoni americane e limitare i danni. Cambiare il sistema monetario, il modo in cui il tasso di riferimento interconnette i vari mercati, non è qualcosa che si può fare dalla sera alla mattina, o in sei mesi. Passare dal LIBOR al SOFR in tal lasso di tempo sarebbe risultato in un fallimento, i mercati l'avrebbero rigettato. Doveva avvenire lentamente, nel modo appropriato per permettere al sistema finanziario ed economico americano di essere indicizzato al SOFR. Ci sono voluti 5 anni... e cosa è arrivato alla fine del primo mandato di Trump? La “pandemia”. Oltre a un attacco diretto al SOFR quando ancora era in fase di prova. La crisi dei pronti contro termine del 2019, trasformatasi poi nella crisi del marzo del 2020, costrinse la FED a intervenire e a inchiodarsi allo zero bound per togliere dai guai i titoli sovrani americani diventati bidless. La cricca di Davos ha riprovato lo stesso attacco nel 2023, ma la FED nel bel mezzo di una “crisi bancaria” rialzò i tassi di 25 punti base; c'ha riprovato anche ad aprile di quest'anno ma ha fallito. Il risultato è una base da cui imbastire, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, un'indipendenza monetaria visto che in passato sono sempre stati legati all'Europa a causa dei flussi commerciali e del sistema bancario centrale. Tutta la storia del deficit commerciale degli USA nei confronti dell'Europa e del singolo tasso di riferimento, usato per muovere capitali in California a scapito del resto della nazione, rappresenta uno sforzo politico, burocratico e monetario di risucchiare la ricchezza americana e trasferirla nelle casse della cricca di Davos. Fu questo, oltre alla prima crisi nel mercato degli eurodollari, che spinse la nazione nel 1971 ad abbandonare il gold standard. Il processo di riforma della FED è in atto e gli spasmi sono avvertiti principalmente da UE/UK, i principali benenficiari del sistema dell'eurodollaro.

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di Thomas Kolbe

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-bce-interrompe-il-ciclo-di-allentamento)

La Banca Centrale Europea ha raggiunto la fine del suo ciclo di tassi, intrappolandosi proprio in quei problemi che aveva contribuito a creare. A Sintra tutto questo era praticamente nascosto dietro una facciata di chiacchiere.

La conferenza annuale, appena a ovest di Lisbona, è utile alla BCE tanto quanto Jackson Hole lo è per la Federal Reserve. È un momento per fare il punto della situazione, guardare al futuro e collegare la politica monetaria dell'anno precedente a una narrazione più ampia. Per la presidente della BCE, Christine Lagarde, questa narrazione è facilmente riassumibile: dopo otto tagli i tassi ora si attestano al 2%, l'inflazione si aggira intorno all'obiettivo del 2%, l'occupazione nell'Eurozona rimane stabile e una nuova crisi del debito non è all'orizzonte.

Questa è stata l'essenza del discorso della Lagarde a Sintra, concepito per trasmettere un messaggio unico: tutto è sotto controllo. Persino incertezze come la volatilità commerciale dell'era Trump, gli sconvolgimenti geopolitici, o il crollo dell'industria tedesca non dovrebbero far deragliare la rotta prefissata dalla BCE. Dopo lo sconquasso durante i lockdown, la situazione è ora considerata normale: i mercati “oscillano” attorno al loro equilibrio. Nel gergo delle banche centrali: hanno trovato il “tasso neutrale”.


La chimera di un tasso neutrale

Il “tasso neutrale” è il Santo Graal del misticismo delle banche centrali. Quando i policymaker si sentono sicuri e le campagne mediatiche mascherano con successo l'erosione della moneta fiat, diventa un mantra. In questa visione del mondo, il tasso di riferimento della BCE e alcuni tassi di mercato teorici e consolidati si allineano, non per caso, ma intenzionalmente. Ancor prima delle osservazioni conclusive della Lagarde, i membri del Comitato esecutivo della BCE, Joachim Nagel e Philip Lane, avevano gettato le basi per tutto giugno trasmettendo ripetutamente il messaggio del “tasso neutrale”.

Il messaggio? Che avevano bilanciato le forze inflazionistiche e deflazionistiche e riportato l'Eurozona su una traiettoria di crescita. Tralasciamo i dibattiti sulle statistiche manipolate riguardo l'inflazione e sui dati sulla disoccupazione drasticamente sottostimati. Queste narrazioni sui tassi neutrali non sono altro che favole: comunicati stampa preconfezionati volti a evocare controllo. I ​​processi economici non si riducono a schemi così semplicistici, ma non è proprio questo il punto: la storia dei tassi neutrali è un sedativo, sia per gli stati che per i mercati.


Il peccato originale fiscale

La storia della BCE come custode della stabilità monetaria è una reliquia dei tempi della Bundesbank. Quell'epoca è ormai lontana. Le banche centrali di tutto il mondo, coinvolte in intricati intrecci politico-fiscali durante l'ultima crisi del debito di 15 anni fa, ne sono diventate dipendenti. Solo durante i lockdown, il PEPP della BCE ha assorbito €1.850 miliardi in debito sovrano dell'Eurozona e oggi detiene ancora circa un terzo di quella montagna di obbligazioni.

Oggi l'unico obiettivo della BCE è quello di mantenere liquidi questi debiti sovrani, acquistando obbligazioni scansate dal mercato per mantenere l'illusione che debito pubblico, Stati sociali generosi e interventismo keynesiano siano tutti elementi conciliabili.

I governi dell'Eurozona hanno a lungo fatto affidamento sulla liquidità esterna. Con un debito pubblico medio pari al 100% del PIL, molti stati membri sarebbero insolventi senza il sostegno della BCE. Ciò avrebbe conseguenze non solo per i mercati, ma anche per la coesione sociale, la stabilità interna e l'immagine di un'Unione Europea costruita su motori di welfare sovradimensionati che offrono ai cittadini un falso senso di sicurezza e sottovalutano pericolosamente la capacità pubblica.

Un ritiro della BCE da questo nesso di irresponsabilità fiscale, sostegno monetario ed eccesso politico è quindi impensabile. La banca centrale non è più solo un guardiano della moneta, ma lo stabilizzatore di un modello sociale in erosione. Attraverso mezzi indiretti e canali secondari, sta finanziando pensioni, bilanci previdenziali, ingranaggi burocratici e oscurando al contempo la fragilità dell'intero edificio.

La BCE è l'ultimo pilastro che tiene insieme questa struttura in rovina. Rimuovendola, il castello di carte crollerà all'istante. Ecco perché la Lagarde e i suoi collaboratori devono preservare l'illusione di un'Eurozona governabile.


I fatti raccontano una storia diversa

Al di là della patina di Sintra, nel mondo reale dei dati l'Eurozona è in grave crisi. L'industria continua a contrarsi e l'edilizia è in profonda recessione. Oltre il 50% delle aziende lamenta ordini insufficienti. Dal 2021 la sola industria tedesca ha tagliato 217.000 posti di lavoro ed entro la fine dell'anno ne perderà altri 100.000. La deindustrializzazione avanza, la produzione viene trasferita all'estero, i capitali fuggono e la produttività è ferma da otto anni consecutivi.

Il risultato: le basi imponibili dei Paesi si stanno erodendo. Le entrate diminuiscono e i costi del welfare aumentano, facendo aumentare il peso del debito. Senza riforme concrete, l'Eurozona rischia una crisi del debito che costringerà ancora una volta la BCE a fungere da prestatore di ultima istanza.

Anni di tassi di interesse pari a zero hanno immerso l'Eurozona nel dolce veleno del credito a basso costo. Ora le aziende dipendenti dai sussidi stanno crollando sotto i tassi reali positivi. Questa è “economia zombi”. E l'ultima vittima della pianificazione industriale verde – Northvolt – è solo l'ennesima a chiudere i battenti, conseguenza di una politica economica gestita centralmente.


La FED tiene duro

A peggiorare la situazione, dall'altra parte dell'Atlantico, la Federal Reserve mantiene ferma la sua strategia di consolidamento, mantenendo i tassi al 4,5%, ben al di sopra di quelli delle altre principali banche centrali. Gli Stati Uniti sono chiaramente disposti ad accettare un tasso di mercato positivo, dando alla loro economia lo spazio per eliminare gli elementi improduttivi. Ciò consente al capitale produttivo di riposizionarsi e alimentare un nuovo ciclo di investimenti. Con tagli fiscali, deregolamentazione energetica e ridimensionamento dei programmi verdi, gli Stati Uniti stanno diventando una calamita per i capitali, che le economie europee non possono che invidiare.

A Washington la visione è chiara: un periodo di sofferenza porta grandi ricompense. Mentre gli Stati Uniti si attrezzano amministrativamente, tecnicamente e innovativamente per l'era digitale, l'UE inscena una competizione su piani di welfare in continua espansione: limiti agli affitti, sussidi sociali, sussidi verdi, consumi decretati e regolamentati per sostituire i meccanismi produttivi della creazione di reddito.

L'Europa è diventata dipendente dalle sovvenzioni dello Stato sociale, aggrappandosi a un modello iperstatalista per rinviare le sofferenze sociali ed economiche. E sempre in agguato ci sono la BCE e la sua fatale pressione monetaria. Quanto durerà tutto questo solo il tempo ce lo dirà, ma le tensioni sui mercati stanno aumentando. Il giorno in cui queste tensioni innescheranno un terremoto, scuotendo le placche tettoniche dell'economia per un nuovo riallineamento, si avvicina sempre di più.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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