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martedì 5 agosto 2025

Fuori di testa per la Georgia

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, Il Grande Default : https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato fuori controllo negli ultimi quattro anni in particolare. Questa una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non pu avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorit . Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/fuori-di-testa-per-la-georgia)

La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato il “Mobilizing and Enhancing Georgia's Options for Building Accountability, Resilience, and Independence Act” (MEGOBARI Act) con 349 voti a favore e 42 contrari. Questi ultimi hanno visto la partecipazione di 34 Repubblicani non interventisti, sostenitori di America First, e di soli 8 Democratici dell'ala AOC. Il resto della massa bipartisan dell'Unipartito ha votato a favore della più stupida legge ficcanaso che si intromette in questioni che non riguardano assolutamente l'America.

La Georgia in questione è un piccolo Paese situato in un angolo remoto del Caucaso meridionale. Ciò che la legge fa è mobilitare l'intero governo di Washington – comprese sanzioni, aiuti esteri e persino la potenza militare – per punire il suo principale partito politico, “Sogno Georgiano”, per non essere sufficientemente antirusso e filo-atlantista.

Vediamo. Per quanto ne sappiamo, il piccolo puntino rosso sulla mappa qui sotto non potrebbe essere individuato da uno su cento membri del Congresso senza una freccia colorata. È ovvio che la Georgia sia circondata dall'Orso Russo e, di fatto, è stata una parte integrante dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche per oltre 70 anni, avendo notoriamente dato i natali persino a Joseph Stalin in persona. E 120 anni prima era stata parte integrante della Russia zarista dopo l'annessione di un regno precedente nel 1801.

Allo stesso tempo la sua capitale, Tbilisi, si trova a 3.500 chilometri in linea d'aria dal punto più vicino all'Atlantico, altrimenti noto come Canale della Manica. Mai, in tutta la storia, prima delle agitazioni neoconservatrici degli ultimi due decenni, nessuno al mondo aveva associato la Georgia al mondo atlantico.

Allora perché diavolo qualcuno può pensare che questo Paese non abbia il diritto – nella sua saggezza o meno – di ignorare le richieste di adesione alla NATO e non debba avere buoni rapporti con il suo grande vicino di casa, e parente storico, che è stata la linea di politica del partito Sogno Georgiano fin dalla sua ascesa al potere nel 2012?

I 3,8 milioni di abitanti della Georgia sono appena quelli di Los Angeles; il suo PIL di $34 miliardi equivale a circa 8 ore di produzione statunitense; il suo anemico reddito nazionale pro capite di $9.150 è all'incirca uguale a quello della Repubblica Dominicana.

Quindi, cosa diavolo c'entra questo con la sicurezza nazionale degli Stati Uniti? E perché mai il Congresso insiste affinché la Georgia entri nella NATO, che a sua volta avrebbe dovuto essere sciolta 34 anni fa, quando l'Impero Sovietico scomparve nel dimenticatoio della storia? Inoltre la minuscola forza armata della Georgia, composta da 20.000 uomini, non è nemmeno la metà dei 53.000 dipendenti del dipartimento di polizia di New York.

Tuttavia il MEGOBARI Act insiste sul fatto che la Georgia è fondamentale per gli interessi nazionali degli Stati Uniti e che deve diventare un alleato nella battaglia contro la presunta aggressione russa:

Il consolidamento della democrazia in Georgia è fondamentale per la stabilità regionale e gli interessi nazionali degli Stati Uniti [...] (quindi) la linea di politica degli Stati Uniti è quella di sostenere le aspirazioni costituzionalmente dichiarate della Georgia di diventare membro dell’Unione Europea e della NATO, di continuare a sostenere la capacità del governo della Georgia di proteggere la propria sovranità e integrità territoriale [...] (e) di combattere l’aggressione russa, anche attraverso sanzioni sul commercio contro di essa e l’attuazione e l’applicazione di sanzioni mondiali contro la Russia.

Ebbene, dopo la calamità di una sequenza infinita delle Guerre Infinite e il catastrofico spreco di $160 miliardi di risparmi americani nella guerra per procura del tutto inutile contro la Russia nella vicina Ucraina, è quasi impossibile immaginare cosa stiano pensando questi idioti di Capitol Hill.

La verità è che alla sicurezza nazionale americana non importa un fico secco di chi governa la Georgia e se la sua politica estera sia filo-russa, anti-russa, o puntigliosamente neutrale come quella della Svizzera. E l'ultima cosa che Washington dovrebbe fare è tentare di mettere un altro cavallo di Troia della NATO alle porte della Russia, quando il fatto è che quest'ultima non rappresenta alcuna minaccia per la sicurezza nazionale americana.

Tanto per ricordarlo: il PIL russo da $2.000 miliardi rappresenta solo il 7% dei $29.000 miliardi dell'economia americana; il suo bilancio ordinario per la difesa, pari a $70 miliardi, rappresenta solo il 7% del mostro da $1.000 miliardi del Pentagono; la sua forza nucleare è orientata alla deterrenza proprio come la nostra, senza nulla che si avvicini minimamente a una capacità di primo attacco; la sua capacità di trasporto aereo e marittimo convenzionale è così scarsa che non riuscirebbe a far arrivare nemmeno un battaglione sulla sua portaerei degli anni '80 prima che venisse relegata a far compagnia allo scrigno di Davy Jones dalle formidabili difese costiere americane.

In altre parole, tutta questa baraonda legislativa per conto di un “alleato” di cui non abbiamo bisogno, e che in ogni caso non desidera esserlo, mira a indebolire ulteriormente la Russia, che non rappresenta in alcun modo una minaccia per la sicurezza nazionale americana. Eppure questi legislatori dell'Unipartito, ossessionati dalla guerra, intendono fare tutto il possibile per spingere l'Impero statunitense nel profondo dell'Eurasia.

Subito dopo aver dichiarato che la linea di politica degli Stati Uniti è quella di imporre la propria volontà alla Georgia e degradare la Russia, il disegno di legge impone la consegna alle commissioni del Congresso di una relazione classificata appositamente preparata “che esamini la penetrazione di elementi dell'intelligence russa e delle loro risorse in Georgia; include un allegato che esamina l'influenza cinese e la potenziale intersezione della cooperazione russo-cinese in Georgia”.

Cosa?! Non sono affari di Washington se il governo eletto di Sogno Georgiano di un remoto micro-Paese irrilevante per la sicurezza nazionale americana sceglie di tollerare, o ignorare, la presenza nel suo Paese di presunti agenti dell'intelligence straniera. Per l'amor del cielo, con questo standard gli Stati Uniti dovrebbero chiudere metà delle loro 200 ambasciate in tutto il mondo perché pullulano di agenti della CIA che operano sotto copertura diplomatica e di agenti di NED, USAID, International Broadcasting Agency e altri il cui compiuto è cambiare i governi.

Infatti l'assoluta arroganza di questa parte del disegno di legge in particolare non può essere negata. L'implicazione nella relativa sezione del MEGOBARI Act sulle sanzioni è che Washington intraprenderebbe una guerra economica contro un Paese che non ha mai fatto alcun male all'America, e non ha la capacità di farlo, nonostante alcuni idioti ideologici e ficcanaso a Washington sostengano il contrario.

Il disegno di legge autorizza inoltre il Presidente a iniziare a usare l'arma interventista per eccellenza, le sanzioni, contro i membri del Parlamento georgiano e i funzionari dei partiti politici che “si sono consapevolmente macchiati di significativi atti di corruzione, violenza, o intimidazione in relazione al blocco dell'integrazione euro-atlantica in Georgia”.

Ecco fatto: il Congresso degli Stati Uniti afferma di avere giurisdizione sulla politica estera di quasi ogni nazione del pianeta. E se ci fossero dubbi su questa intenzione, un ulteriore testo statutario chiarisce che, se necessario, la Georgia verrebbe arruolata per un servizio militare contro la Russia, come disposto da Washington:

[...] in consultazione con il Segretario alla Difesa [...] per espandere la cooperazione militare con la Georgia, anche fornendo ulteriori equipaggiamenti di sicurezza e difesa ideali per la difesa territoriale contro l’aggressione russa e relativi elementi di addestramento, manutenzione e supporto alle operazioni.

Se il passaggio qui sopra sembra un'altra Ucraina in divenire, la somiglianza è in realtà ancora più sorprendente. Questo perché quello che abbiamo qui è un altro problema di adattamento territoriale ed etnico, scaturito dalla disgregazione dell'Unione Sovietica. E come nel caso dell'Ucraina, i neoconservatori e i mercanti d'armi di Washington l'hanno trasformato in una questione di “Stato di diritto” e di sovranità di confine, che, come nel caso dell'Ucraina, non lo è affatto.

Infatti, come il colpo di stato a Kiev del febbraio 2014 sponsorizzato da Washington, la Rivoluzione delle Rose in Georgia del 2003, che rovesciò il presidente sovietico e filo-russo, Eduard Shevardnadze, ebbe non poco sostegno dai soliti noti di Washington: NED, USAID, Dipartimento di Stato e CIA. Proteste diffuse, guidate da Mikheil Saakashvili, un provocatore addestrato da ONG sponsorizzate da Washington, culminarono con l'assalto dei dimostranti al parlamento con rose rosse, chiedendo le dimissioni di Shevardnadze. Queste ultime si verificarono nel novembre 2003, seguite da nuove elezioni.

Sostenuto dall'appoggio statunitense ed europeo, inclusi milioni di dollari stanziati dall'USAID per la mobilitazione elettorale e dall'Open Society Institute di George Soros, Saakashvili vinse le elezioni presidenziali del gennaio 2004. Questo, a sua volta, diede inizio a un programma filo-occidentale che mirava all'integrazione nella NATO e nell'UE e al ripristino dell'integrità territoriale della Georgia sulle province separatiste dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhazia. Di conseguenza il suo governo aumentò massicciamente la spesa militare (dallo 0,8% del PIL nel 2003 all'8% nel 2008) e condusse operazioni per riaffermare il controllo su queste regioni separatiste, che portarono agli scontri del 2004 in Ossezia del Sud e all'operazione delle Gole di Kodori in Abkhazia nel 2006.

Queste regioni separatiste, raffigurate nella mappa qui sotto, erano enclave etniche distinte che parlavano un dialetto iraniano diverso da quello della popolazione principale della Georgia. Durante il periodo sovietico, infatti, queste due province erano state amministrate indipendentemente dalla Repubblica Georgiana, perché persino i comunisti si rendevano conto che le popolazioni non erano compatibili. Così, alla caduta dell'Unione Sovietica, entrambe le province dichiararono la propria indipendenza e da allora in poi operarono su base separatista di fatto.

Tuttavia l'escalation delle tensioni in Ossezia del Sud tra la grande maggioranza osseta e i villaggi georgiani minoritari spinse Saakashvili a lanciare un'offensiva militare nell'agosto 2008, prendendo di mira Tskhinvali, la capitale dell'Ossezia del Sud. Un successivo rapporto dell'UE sul conflitto condannò il “bombardamento indiscriminato con fuoco di artiglieria” della Georgia come causa dello scoppio della guerra.

Infatti nell'Ossezia settentrionale era presente anche una consistente popolazione osseta, rimasta in territorio russo dopo la dissoluzione dell'URSS nel 1991. Di conseguenza la Russia rispose all'offensiva georgiana con un massiccio contrattacco che respinse l'esercito georgiano dall'Ossezia meridionale e portò a una tregua mediata dalla Francia, che lasciò l'Ossezia meridionale e l'Abkhazia occupate dalle forze russe.

Successivamente queste due regioni separatiste furono riconosciute da Mosca come stati indipendenti e da allora sono rimaste fuori dal controllo georgiano. L'errore di calcolo di Saakashvili nello scatenare la guerra contro l'Ossezia del Sud nel 2008 e i continui fallimenti economici in Georgia portarono alla sua caduta nel 2012. Nell'ottobre di quell'anno il partito filorusso Sogno Georgiano, guidato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, salì al potere con una vittoria democratica alle elezioni parlamentari, ottenendo il 55% dei voti e sconfiggendo il Movimento Nazionale Unito di Mikheil Saakashvili.

Tuttavia la disputa etnica locale del 2008, in aree così piccole da essere appena paragonabili a un puntino nel riquadro nero che raffigura la Georgia nell'angolo in alto a destra della mappa, è diventata la base per l'affermazione neoconservatrice secondo cui la Russia è una pericolosa potenza espansionista che deve essere fermata a ogni costo.

Ed è semplicemente assurdo. Nel panorama globale della storia recente, il conflitto dell'Ossezia del Sud del 2008, in questo angolo sperduto del pianeta, e che ha causato solo 228 vittime civili e 169 morti tra i militari, è stato un nulla di fatto. L'ennesima frittata tra “nazionalità” frammentate sparse lungo i confini russi quando l'Unione Sovietica è caduta e secoli di espansione territoriale zarista e comunista sono stati improvvisamente, e spesso, violentemente annullati.

In altri termini, non c'erano principi universali in gioco nel modo in cui i frammenti dell'Impero sovietico furono sistemati dopo il 1991. Si è trattato solo di un episodio isolato della storia e che non ha alcuna attinenza con la sicurezza nazionale americana.

Di conseguenza è stata solo l'aggressione ideologica del Partito della Guerra a Washington e dei suoi finanziatori nel complesso militare-industriale a causarne la diffusione. E ciò è avvenuto soprattutto attraverso istituzioni obsolete come la NATO e la cosiddetta Commissione di Helsinki del Congresso degli Stati Uniti – quest'ultima la vera istigatrice di questa assurda legislazione ficcanaso.

Washington non ha smesso di impegnarsi per provocare un atteggiamento anti-russo a Tbilisi, anche quando il suo stesso governo, dal 2012, ha scelto di rimanere amichevole con il vicino russo e di astenersi da qualsiasi tentativo di adesione alla NATO.

Tutto questo è abbastanza chiaro. Il MEGOBARI Act è una sciocchezza sfacciata. Nulla di ciò che è accaduto negli ultimi trent'anni sulla mappa qui sopra riguarda la sicurezza nazionale dell'America, a 10.000 chilometri di distanza, dall'altra parte del fossato atlantico.

Il fatto che una schiacciante maggioranza della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti abbia ritenuto opportuno promulgare questa follia dimostra che Washington è la capitale mondiale della guerra. Invece di concentrarsi sul vero problema – tamponare l'enorme flusso di deficit di bilancio della nazione attraverso una radicale riforma dei sussidi e tagliare del 50% il bilancio militare americano da $1.000 miliardi – la maggioranza dell'Unipartito si aggrappa alle illusioni di un Impero al collasso.

Inoltre, non c'è mistero sul perché. Dopo decenni di dominio del complesso militare-industriale a Capitol Hill sono rimasti pochi funzionari eletti che abbiano vissuto la vera Guerra Fredda prima del 1991. Quindi si aggrappano a istituzioni ormai del tutto residuali, come la NATO e alleanze globali, quando nel mondo multipolare di oggi non ce n'è più bisogno.

Infatti un esame delle carriere dei quattro principali sostenitori (Steve Cohen, Joe Wilson, Richard Hudson, Marc Veasey) dell'Unipartito di questa legge assolutamente assurda vi dirà tutto ciò che c'è da sapere. Sono politici arrivisti che complessivamente hanno servito al Congresso per 65 anni e hanno trascorso complessivamente 128 anni al servizio della comunità.

Naturalmente i profittatori arrivisti sono sempre alla ricerca di missioni e progetti per giustificare la propria esistenza e per trovare l'occasione di far sentire la propria voce. Ma tentare di arruolare la Georgia, uno stato senza potere decisionale, contro la volontà del suo stesso elettorato, nell'assurda crociata di Washington contro Putin e la Russia si riduce sicuramente a un livello di menzogna a dir poco imbarazzante.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 16 giugno 2025

L'attacco con i droni ordito dallo Stato profondo mirava ad aggravare la guerra in Ucraina

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lattacco-con-i-droni-ordito-dallo)

Lo Stato profondo sta cercando, ancora una volta, di mettere i bastoni tra le ruote a Trump.

Ci riferiamo all'attacco assolutamente sconsiderato al deterrente nucleare strategico russo, presumibilmente da parte dell'esercito ucraino. Sì, proprio quello, così debole e incompetente da aver finora perso un quinto del suo territorio, nonostante oltre 150.000 soldati morti secondo il colonnello Douglas Macgregor e oltre $200 miliardi in aiuti militari ed economici statunitensi ed europei.

Il recente attacco coi droni, secondo lo stesso Zelensky, è stato pianificato in quasi 20 mesi. Quindi è stato sicuramente concepito, preparato e preposizionato con il supporto delle operazioni segrete statunitensi e poi lanciato e guidato dai servizi segreti statunitensi.

Detto in senso inverso, sembra che forze che sicuramente non erano le malconce forze armate ucraine abbiano attaccato il cuore del deterrente nucleare russo. Ed è probabile anche che Trump non ne sia stato informato in anticipo!

Dopotutto quando Trump ha affermato che “Putin è impazzito” qualche giorno fa, non sapeva nemmeno – per sua stessa ammissione pubblica – che uno sciame di droni ucraini avrebbe attaccato l'elicottero di Putin. E ancora una volta, dati gli ingenti livelli di protezione che lo circondano, non c'è la minima possibilità che l'esercito ucraino sia riuscito a sfiorare il demonizzato dittatore russo senza il supporto dell'intelligence statunitense.

Pertanto siamo fortemente propensi a credere che lo Stato profondo stia ancora una volta sabotando Donald Trump, tenendolo all'oscuro di operazioni cruciali che incidono pesantemente sul rischio di un'escalation e di una guerra contro la Russia.

Inoltre crediamo che Trump stia cercando di fungere da onesto pacificatore sul fronte ucraino e non crediamo nemmeno per un attimo che sarebbe stato talmente tanto sconsiderato, consapevolmente, da mettere a repentaglio quanto fatto finora autorizzando attacchi contro quattro o cinque aeroporti strategici russi.

È quindi necessario comprendere che quanto viene riportato, ovvero la distruzione o il grave danneggiamento di un certo numero di bombardieri strategici intercontinentali pesanti della Russia, in almeno quattro diverse basi russe a migliaia di chilometri dai confini dell'Ucraina e tra loro, costituisce una escalation della guerra per procura contro la Russia, che si sta avvicinando al baratro di uno scontro nucleare.

Questi attacchi ai bombardieri strategici russi tramite sciami di droni nominalmente “ucraini” – circa 120 dispositivi in ​​totale – rappresentano oltre il 20-25% del ramo bombardieri della triade di deterrenza nucleare russa. Ciononostante questi ultimi non hanno avuto quasi alcun ruolo negli attacchi russi all'Ucraina, perché nel teatro di guerra vero e proprio la Russia utilizza principalmente bombardieri a medio raggio per lanciare attacchi missilistici da crociera e, se necessario, potrebbe utilizzare anche rampe di lancio terrestri.

Quindi l'attacco dei droni di domenica non ha avuto alcuna somiglianza con un colpo da KO di rilevanza militare. Si è invece tradotto in un'escalation di un ordine di grandezza verso uno scontro nucleare, progettata per prolungare e intensificare la guerra per procura di Washington contro la Russia e creare nuovi ed enormi ostacoli sul cammino verso un accordo di pace.

In particolare questi attacchi sconsiderati erano irrilevanti alla luce del rapido deterioramento della posizione ucraina sul fronte di battaglia lungo la linea di contatto nell'Ucraina orientale. Infatti solo durante l'ultima settimana di maggio le forze russe hanno conquistato altri 18 insediamenti e villaggi e oltre 200 chilometri quadrati di territorio, il che significa che l'esercito ucraino non è più in grado di mantenere le proprie linee difensive e che la fine è vicina.

Allo stesso tempo questo attacco con droni ha messo in discussione il fondamentale equilibrio strategico nucleare tra le due superpotenze nucleari mondiali. In altre parole l'attacco ha infranto le regole della deterrenza strategica e ciò che resta degli accordi New Start sul controllo degli armamenti del 2010, che nominalmente rimarranno in vigore fino a febbraio 2026.

Sebbene il programma New Start sia stato sospeso dalla Russia in risposta alle sanzioni statunitensi e al sequestro da parte della NATO di $300 miliardi in asset russi nel sistema bancario globale, i limiti e i protocolli di attuazione sono stati ampiamente rispettati da entrambe le parti. Tra questi, il mantenimento del limite di 700 vettori nucleari strategici schierati.

Inoltre il regime di ispezione di New Start aveva garantito una sostanziale trasparenza in merito all'ubicazione e ai dettagli operativi di ciascun veicolo di consegna terrestre, marittimo e aereo dichiarato al di sotto del limite di 700 veicoli schierati. Pertanto utilizzare ora queste informazioni di conformità basate su New Start per attaccare e distruggere unilateralmente sistemi d'arma precedentemente dichiarati costituiva una palese violazione dell'intero regime di rafforzamento della fiducia nel controllo degli armamenti, evolutosi nel corso dei decenni a partire dagli anni '70 e dall'epoca sovietica.

Nel caso della Russia, essa aveva scelto di elencare e far ispezionare 300-400 missili balistici intercontinentali terrestri, 200-300 missili balistici navali e 50-60 bombardieri pesanti. Tra questi ultimi c'erano 40-50 bombardieri Tu-95MS e 15 Tu-160, del tipo distrutto nell'attacco coi droni e di cui gli Stati Uniti hanno una conoscenza approfondita. Questo perché i protocolli di ispezione e applicazione relativi a questi vettori divulgati includevano scambi di dati semestrali, notifiche di cambiamenti di stato (ad esempio, attivazione/disattivazione dei silos) e fino a 18 ispezioni annuali.

Nel caso della Russia, i suoi bombardieri pesanti, sottoposti a questo regime di ispezione completa, erano generalmente visibili su aeroporti aperti, come mostra la foto illustrativa qui sotto.

Quindi, per ripeterci: l'attacco indiscriminato contro le posizioni note e i bombardieri strategici regolarmente ispezionati nel deterrente nucleare russo, come quelli qui raffigurati, è stato una violazione dell'intero regime di controllo degli armamenti.

Altrettanto importante, è dannatamente ovvio che Washington fosse in piena combutta con l'esercito ucraino. I circa 120 droni utilizzati per attaccare i bombardieri russi nelle località disperse mostrate nella mappa sopra sono stati introdotti clandestinamente in Russia in container coperti. Sono stati poi trasportati segretamente nei pressi degli aeroporti russi e preparati per i successivi lanci simultanei.

Ancora una volta, le probabilità che nessuno nell'esercito americano o ai piani alti dello Stato profondo a Washington sia stato coinvolto in questa vasta e audace operazione sono tra scarse, nulle e terribilmente impossibili.

Alla fine, dopo essere state pre-posizionate vicino agli aeroporti bersaglio, le casse sono state aperte, rivelando i droni d'attacco al loro interno. Abbiamo rinunciato da tempo a indossare i nostri cappelli di carta stagnola, ma siamo dannatamente certi che il lancio simultaneo di 120 di questi piccoli velivoli nello stesso momento attraverso migliaia di chilometri di territorio russo sia stato il risultato di un intricato complotto orchestrato da Washington.

Nessun cowboy ucraino avrebbe potuto realizzare tutto questo con le proprie forze.

Nello stesso preciso istante, quindi, i bombardieri russi pesanti, distribuiti sul continente eurasiatico, hanno subito il destino descritto di seguito. E sebbene questa impresa abbia fatto sì che i falchi di Washington e della NATO e i neoconservatori esultassero per la presunta genialità del piano, questa non è nemmeno la metà della storia.

Il vero scopo dell'attacco era distruggere ogni residuo di fiducia tra Donald e Putin, lasciando a quest'ultimo altra scelta se non quella di reagire a tono. Ma un'ulteriore escalation nella zona della MAD (mutua distruzione assicurata), la quale ha mantenuto la pace per 60 anni durante la Guerra fredda, è sicuramente la cosa più pericolosa accaduta dall'ottobre 1962, quando la crisi missilistica cubana portò il mondo sull'orlo dell'annientamento.

Quindi l'ora è davvero tarda. Lo Stato militare e il complesso militare-industriale vogliono ristabilire di nuovo il loro dominio su Donald. Questa volta con implicazioni praticamente esistenziali.

Quindi, si faccia coraggio, Presidente, e tagli i finanziamenti a Zelensky e ai suoi burattinai nello Stato profondo: chiuda il rubinetto di tutti gli aiuti, di tutte le consegne di armi, di tutta l'intelligence e di ogni altro supporto operativo, chieda un cessate il fuoco e inviti sia Zelensky che Putin a Camp David.

Poi li tenga lì finché non accetteranno di smantellare l'opera di Lenin, Stalin e Krusciov. Dopotutto furono proprio questi ultimi i veri e sanguinari artefici degli attuali confini e di uno stato ucraino che non era mai esistito prima del 1922.

Non dovrebbe volerci molto per spartire la mappa e permettere alla Crimea e alle quattro province del Donbass e del sud di tornare alla Madre Russia. E le uniche “garanzie” necessarie sarebbero un impegno russo a non permettere alle province spartite di attaccare ciò che resta dell'Ucraina, e che gli Stati Uniti garantiscano che lo stato ucraino, o ciò che ne rimane, non aderirà alla NATO né attaccherà le province perdute.

Infatti è proprio questo che Putin ha sempre desiderato. E per gli Stati Uniti significherebbe non solo chiudere un altro capitolo orribilmente stupido delle Guerre eterne, ma anche l'opportunità di intraprendere un nuovo percorso verso la pace e il disarmo globali, che potrebbe effettivamente offrire a Donald una reale possibilità di ottenere il Premio Nobel.

Inutile dire che un vertice a Camp David darebbe anche a Donald la possibilità di riprendersi la sua presidenza, che è stata chiaramente usurpata quando i due principali guerrafondai ucraini del Senato, Graham e Blumenthal, si sono presentati a Kiev la scorsa settimana alla vigilia di questa folle escalation.

I falchi ucraini guidati dallo spregevole Lindsay Graham, infatti, sono ormai così fuori di testa che hanno presentato al Senato nuove sanzioni ultraterrene contro la Russia, le quali imporrebbero dazi del 500% ai Paesi che acquistano energia, uranio e altre materie prime russe – misure mirate principalmente a India e Cina. Riuscite a dire: “Siamo alla Terza Guerra Mondiale!”

Infatti rimettere i tre tirapiedi dell'ultimo disastro ucraino nell'angolo degli idioti, dove dovrebbero stare, sarebbe già di per sé un progresso. Evidentemente Graham e Blumenthal sapevano cosa sarebbe successo, ma non Donald, almeno secondo una fuga di notizie fatta a Tanya Noury ​​di NewsNation da un alto funzionario dell'amministrazione: come nel caso dell'attacco all'elicottero di Putin, nemmeno Trump era stato informato dell'attacco con i droni.

Bene, ora Donald sa sicuramente che sono alle sue calcagna, quindi è meglio che si dia da fare a prendere nomi, a spaccare tutto e a fare pulizia, altrimenti la sua seconda amministrazione sarà finita prima ancora di iniziare. E questo per non parlare di tutti noi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 27 maggio 2025

Perché l'America non ha bisogno di “alleati”

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-lamerica-non-ha-bisogno-di)

D'accordo, il titolo è un po' forte e ha un tono volutamente beffardo, ma deve esserlo perché nel catechismo della politica estera nazionale è radicata una presunzione, quasi sacra, secondo cui “alleati”, “alleanze” e “coalizioni dei volenterosi” sono il fondamento di una politica estera illuminata, necessaria ed efficace.

I politici e i diplomatici americani non dovrebbero quindi mai lasciare queste coste al resto del mondo. Questo dogma ha raggiunto la sua massima espressione nella “coalizione dei volenterosi” del Segretario di Stato, James Baker, durante la prima, assolutamente inutile, Guerra del Golfo nel 1991 e da allora ci tormenta... purtroppo.

In realtà, la verità è più o meno l'opposto, quindi va espressa in modo crudo, quasi provocatorio. In altre parole, gli alleati nel mondo di oggi sono per lo più un peso, del tutto irrilevanti per la sicurezza militare della patria americana e una fonte importante di inutili attriti e persino di veri e propri conflitti tra le nazioni.

In parole povere, l'America è stata resa un egemone economico e militare da tutte le piccole e medie nazioni che ha schierato in alleanze formali e di fatto, dato che sono incentivate a perseguire politiche che minimizzano i propri investimenti nella difesa e incoraggiate a gettare al vento la cautela diplomatica. In altre parole, le “alleanze” di Washington consentono ai politici interni o ai governi eletti di questi piccoli alleati di essere più aggressivi o conflittuali nei confronti dei “cattivi” designati da Washington di quanto non sarebbero sicuramente se operassero solo con le proprie forze.

Ad esempio, l'ex-primo ministro estone tra il 2021 e il 2024, Kaja Kallas, e ora Capo degli affari esteri dell'UE, è stata una critica sguaiata e al vetriolo della Russia e una sostenitrice intransigente dell'invio di denaro altrui [cioè il vostro] a sostegno dell'altrettanto inutile guerra per procura contro la Russia nelle steppe ucraine.

Con una popolazione di appena 1,3 milioni di abitanti, un PIL di appena $40 miliardi e una forza armata di 8.000 unità, l'Estonia rappresenta un alleato insignificante nello schema generale delle cose. Quindi non contribuisce in alcun modo alla sicurezza nazionale americana.

D'altronde, se non esistessero la NATO e lo scudo militare degli Stati Uniti previsto dall'Articolo 5, pensate che la Kallas esulterebbe a gran voce per Zelensky? Il suo popolo avrebbe tollerato il suo atteggiamento da piccolo Davide che brandisce una fionda contro il Golia della porta accanto?

Osiamo dire che sarebbe prevalso l'esatto opposto. L'Estonia e il suo leader si sarebbero preoccupati di comportarsi bene con il loro vicino di dimensioni extra large, come hanno sempre fatto i piccoli Paesi da tempo immemore.

E se per qualche motivo la buona diplomazia e la conduzione di un commercio economico reciprocamente vantaggioso non avessero funzionato, cosa che accade quasi sempre, sarebbero stati obbligati ad armarsi fino al collo. Ovvero, mobilitare il 10-25% del PIL per la difesa, se necessario, anziché il misero 2,9% del PIL che l'Estonia effettivamente spende. A sua volta ciò avrebbe creato un deterrente: la resistenza a un potenziale aggressore, l'alto costo in sangue e denaro che sarebbe stato costretto ad affrontare violando i confini e la sovranità di un vicino più piccolo.

E, per l'amor del cielo, il mondo del XXI secolo non è certo un caso isolato per quanto riguarda le relazioni tra nazioni grandi, piccole e medie. “Fare pace” in diplomazia ed economia e rendere chiara la deterrenza è in realtà il modo in cui il mondo delle nazioni dovrebbe funzionare e, prima dell'ascesa dell'Egemone sulle rive del Potomac, di solito funzionava.

Di certo gli dei della storia non hanno conferito ai politici e ai burocrati di Washington il mandato di farsi amici e di salvaguardare, da un capo all'altro del pianeta, ogni piccolo uomo dal respiro affannoso dei grandi uomini nelle vicinanze.

Infatti in un mondo senza l'Egemone sulle rive del Potomac, nessuno avrebbe pensato di definire “ispirazione” la sconsiderata follia di Kiev nell'attaccare militarmente e brutalizzare le popolazioni russofone del Donbass dopo il colpo di stato di Piazza Maidan nel febbraio 2014. Si è trattato di una stupidaggine incredibile – qualcosa che i vicini non storditi dallo scudo militare dell'Egemone o istigati da CIA, NED, USAID, Dipartimento di Stato e Pentagono non avrebbero avuto problemi a riconoscere e comprendere.

Infatti questa osservazione si applica a tutta la schiera di piccoli Paesi che sono stati ammessi nella NATO dall'inizio del secolo. Ad esempio, per quanto riguarda i cinque piccoli Paesi balcanici che non condividono nemmeno le coste del Mar Nero con la Russia, ecco la misera capacità militare e il peso della difesa (misurati in percentuale del PIL) che apportano alla sicurezza nazionale americana.

Per mettere in prospettiva questa esiguità di personale militare, prendiamo in considerazione innanzitutto, a titolo di confronto, le dimensioni delle forze di polizia nelle principali città statunitensi. Mentre questi poliziotti possono mangiare troppe ciambelle sul lavoro e quindi non superare qualsiasi test di prontezza al combattimento, quando si tratta di pura forza umana, le forze di polizia cittadine elencate qui superano la maggior parte di quelle che questi “alleati” balcanici offrono.

Dimensioni delle forze di polizia nelle principali città degli Stati Uniti:

• New York City: 36.000 unità

• Chicago: 13.100 unità

• Los Angeles: 10.000 unità

• Filadelfia: 6.500 unità

Questo per dire che tutte le città sopra menzionate hanno forze di uomini in blu più numerose rispetto alla maggior parte dei piccoli alleati della NATO raffigurati di seguito, dove mostriamo la loro forza militare attiva e la loro spesa per la difesa in percentuale del PIL.

• Croazia: 14.300 unità/1,8% del PIL

• Macedonia del Nord: 8.000 unità/1,7% del PIL

• Slovenia: 7.300 unità/1,5% del PIL

• Albania: 6.600 unità/1,7% del PIL

• Montenegro: 2.350 unità/1,6% del PIL

Chiaramente questi Paesi non tremano per niente di fronte all'orso russo. Nell'ultimo anno di guerra per procura tra NATO e Russia nelle sventurate steppe dell'Ucraina, nessuno di questi cinque si è nemmeno preoccupato di spendere il 2% del PIL per la difesa!

Infatti persino i pesci più grossi, posizionati gomito a gomito con la Russia sul Mar Nero, non hanno mostrato una paura maggiore di fronte all'orso russo. La Romania spende solo il 2,2% del PIL per la difesa e i suoi elettori volevano eleggere un presidente che voleva stringere amicizia con Putin – un leader eletto democraticamente, ovviamente, odiato dagli “alleati” della Romania a Bruxelles e Washington.

Allo stesso modo, la Bulgaria spende solo il 2,2% per la difesa e la Serbia non ha nemmeno ritenuto opportuno aderire alla NATO. Beh, non da quando la sua capitale è stata bombardata in mille pezzi nel 1999 dagli aerei da guerra della NATO, a causa della sua insistenza sul fatto che il Kosovo non fosse separato dal suo territorio sovrano in base al mandato di Bill e Hillary Clinton.

Anche in quanto alleato fermo della Russia nella regione, la Serbia spende circa il 2,3% del PIL per la difesa e ha circa 28.000 uomini attivi in ​​uniforme nelle sue forze armate. Vale a dire, le forze neutrali serbe ammontano a circa la stessa potenza militare combinata dei cinque piccoli Paesi della sponda adriatica dei Balcani.

Inoltre risulta anche che questi cinque piccoli membri della NATO spendono in realtà circa la stessa miseria per le capacità militari di Ungheria e Slovacchia, confinanti con l'Ucraina. La prima spende circa il 2,0% del PIL per la difesa, mentre la spesa militare della seconda è del 2,1% del PIL. Eppure entrambi i governi, vicini all'orso russo, si oppongono con fermezza alla guerra per procura della NATO in Ucraina e vanno piuttosto d'accordo con Mosca!

In breve, nessuno di questi Paesi sembra davvero temere l'orso russo, altrimenti spenderebbero percentuali a due cifre del loro PIL per armarsi così bene da offrire un pasto poco invitante al presunto aggressore russo. Al contrario, o hanno aderito alla NATO per entrare nel Club Atlantico, o hanno semplicemente rifiutato l'opportunità (Serbia) o si sono lasciati trasportare (Ungheria e Slovacchia).

Il punto è che estendere la NATO ai Balcani è stata una stupidaggine perpetrata dai burocrati dello Stato militare a Washington e Bruxelles. Non contribuisce assolutamente alla difesa nazionale americana dal punto di vista militare, mentre consente ai piccoli vicini di casa della Russia di spendere una miseria per la difesa e di tanto in tanto provocare l'orso russo, cosa che non si sognerebbero mai di fare con i loro 8.000 soldati armati alla leggera.

Naturalmente lo stesso discorso vale a nord, sul Baltico. Le tre repubbliche baltiche hanno entrambe vissuto e ricordano i decenni di occupazione sovietica, eppure i loro attuali bilanci pubblici dimostrano ampiamente che non percepiscono affatto la Russia postcomunista come una minaccia esistenziale. Ecco perché spendono soldi in eserciti fittizi, mentre i loro politici, come la Kallas, fanno demagogia su Putin per aizzare gli elettori e ottenere il favore dei burocrati neocon guerrafondai che dominano la NATO e l'UE.

Tuttavia nessun Paese con le scarse capacità militari illustrate nei numeri qui sotto teme davvero il vicino russo. Se lo facesse, con o senza la NATO, investirebbe i propri fondi di bilancio laddove si cela la deplorevole retorica di alcuni politici dalla lingua lunga.

Dimensioni delle forze armate e di difesa in % del PIL:

• Lituania: 14.100 unità/2,8% del PIL

• Estonia: 7.700 unità/2,9% del PIL

• Lettonia: 6.750 unità/2,4% del PIL

In breve, le osservazioni di Trump hanno colto nel segno nel caso di tutti questi insignificanti alleati della NATO.

In altre parole, tutti questi alleati sono molto più problematici di quanto valgano. La sicurezza militare del territorio americano può essere garantita da un'invincibile triade nucleare strategica basata su bombardieri, missili balistici intercontinentali terrestri e sottomarini nucleari – nessuno dei quali richiede basi o “alleati” stranieri. Questo, unito a una potente difesa convenzionale delle sue coste e del suo spazio aereo, sarebbe più che sufficiente a garantire la sicurezza militare del territorio americano nel mondo odierno.

Nessuna di queste capacità militari è minimamente rafforzata dagli alleati insignificanti che sono stati arruolati nella NATO sin dal 1999. Né nel mondo odierno vi è alcun rischio che una potenza come la Russia, o la Cina, possa attaccare, conquistare e accumulare decine di migliaia di miliardi di PIL, manodopera in età militare e capacità di produzione militare.

Infatti sia la Russia che la Cina sanno bene che il costo dell'invasione, della conquista e della pacificazione nel mondo odierno non varrebbero minimamente la candela. Ecco perché la risposta alla domanda su quanti Paesi la Cina comunista abbia conquistato negli ultimi quattro decenni è zero!

Al contrario, le 750 basi americane e i 160.000 militari dislocati all'estero, dal Giappone alla Germania, dall'Italia al Regno Unito, rappresentano in realtà dei pericolosi “cavi di inciampo” progettati per:

• Fornire una scusa alle aziende della difesa statunitense per vendere armi alle nazioni alleate in cui hanno sede le forze armate statunitensi.

• Creare una scusa per intromettersi nei conflitti stranieri basandosi sul fatto che i militari americani sono in pericolo.

Durante il periodo di massimo sviluppo dell'America come la più grande nazione sulla Terra (dalla cancellazione del trattato con la Francia nel 1797 alla ratifica del trattato NATO nel 1949), l'America non aveva alleanze, trattati militari o alleati autorizzati a provocare conflitti con i propri vicini, con l'intesa che lo Zio Sam avesse coperto loro le spalle.

Durante quei 152 anni tutto andò per il meglio per l'America, così come per qualsiasi altra nazione nella storia, prima e dopo di essa. E assolutamente nulla è cambiato affinché la saggezza di Washington e Jefferson venissero alterate riguardo l'evitare alleanze all'estero.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 12 marzo 2025

Il ridimensionamento del fenomeno da baraccone chiamato Zelensky

Il motivo per cui Zelensky ha fatto il gradasso alla Casa Bianca, poi è volato subito a Londra, la sua voglia di fare guerra a tutti i costi e gli USA che hanno messo in discussione la mancanza di elezioni in Ucraina? La risposta è il patto siglato a inizio anno. Il “presidente” ucraino è un pupazzo: fa quello che gli viene detto, così come l'ha fatto due anni fa in Turchia. Dietro di lui ci sono cricca di Davos e neocon inglesi (più questi ultimi in realtà), le cui pedine hanno lavorato all'interno delle amministrazioni statunitensi precedenti per impantanare gli USA in guerre inutili e drenare le loro risorse a vantaggio di UK ed Europa. Ecco perché burocrati come Gentiloni affermano che “è gravissimo tagliare gli aiuti all'Ucraina”: hanno vissuto talmente tanto tempo all'ombra dell'eurodollaro e di agenzie come la USAID che le davano per scontate. La festa è finita adesso, cosa confermata anche dalla bonifica di politici che sono chiaramente franchi tiratori nei confronti degli USA stessi e non solo della fazione politica cui fanno parte (es. McConnell). Il fatto che Trump abbia detto che rivoglia i soldi indietro è in realtà una stoccata agli “intermediari” che li hanno rubati. Poi ci sono i moralisti d'accatto sulla stampa che si indignano davanti al potenziale accordo sulle terre rare, ma glissano bellamente il fatto che le stesse dovevano essere poste a garanzia dei prestiti che UK ed Europa avrebbero dovuto elargire per la “ricostruzione”. La cosa che bisogna ricordare è che i vari trattati delle precedenti amministrazioni e le concessioni che sono sempre andate contro gli interessi della popolazione americana, erano un tassello nella scalata ostile degli USA e nel mantenimento dell'impero inglese sotto mentite spoglie. Tutte le strade conducono a Londra. Infatti se guardiamo il tabellone di gioco vediamo la classica strategia inglese in azione: fomentare discordia tra due player, finanziarli entrambi (si vedano le importazioni di combustibili fossili dalla Russia e le esportazioni via Kirghizistan) e raggiungere l'obiettivo (impantanare in guerra gli USA affinché continuino a spendere). Dal 2016 i NY Boys hanno alzato il dito medio, come ho documentato nel mio ultimo libro intitolato “Il Grande Default”, e Trump sta agendo per conto loro passando sotto il suo rullo compressore tutti quegli strumenti puntati contro gli interessi esclusivi della nazione. Così facendo sta anche rompendo il cartello della cricca di Davos, cosa per cui tutti dovrebbero essere grati. La rottura del cartello di Davos diventa più palpabile nel momento in cui, in Europa, vengono indetti vertici che non concludono niente e vengono date risposte da “cartolina vacanza” a eventi geopolitici significativi. La velocità con cui l'amministrazione Trump e il DOGE hanno smantellato la USAID era propedeutica a chiudere i rubinetti a tutte quelle ONG e think tank che, con la patina della filantropia, fomentano caos sociale e disordini. Questo significa che gli USA solo adesso si possono focalizzare sulla questione Ucraina, perché in caso di sconfitta della cricca di Davos sul tema della guerra, la risposta successiva di quest'ultima è la violenza per le strade, il terrorismo. La Germania ad esempio lo sa, il nuovo cancelliere tedesco ha recepito il messaggio. Questa è gente che è disposta a far saltare il tavolo da gioco pur di non cedere le armi, perché sa che sarà destinata all'irrilevanza altrimenti. Togliere finanziamenti a quella coorte di attori eterodiretti all'estero era fondamentale per colpire duramente un potenziale fronte aperto (e di ricatto). Adesso gli agenti infiltrati devono spendere i loro soldi, vedere i loro asset per finanziarsi.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-ridimensionamento-del-fenomeno)

Inutile dire che Donald non ne ha mai abbastanza delle luci della ribalta. Ma venerdì scorso, in una trasmissione in diretta dallo Studio Ovale vista in tutto il mondo, quella sete di attenzione pubblica potrebbe aver effettivamente cambiato il corso della storia. E in meglio, anche se il grilletto è stato premuto da un comico di terza categoria che non è nemmeno riuscito a capire come leccare il deretano a uno degli ego più grandi del pianeta.

Pertanto la malata avventura di Washington nella distruzione di una nazione tenuta insieme col nastro isolante, insieme alle morti inutili di decine di migliaia di persone reali che abitano il territorio ucraino, è ormai finita.

Zelensky se ne andrà presto in un nascondiglio in Costa Rica, o in una tomba senza nome, a seconda dei casi. Dopodiché un reggente ad interim, per quella che è una nazione costruita ad hoc da Lenin, Stalin e Krusciov con sangue e armi bolsceviche, sottoscriverà un cessate il fuoco e un accordo di spartizione, quest'ultimo in divenire da quando il giogo del comunismo è stato sollevato nel 1991.

Infatti la frammentazione dell'Ucraina smaschererà la farsa che è stata la guerra per procura della NATO contro la Russia nelle sue stesse “zone di confine”. Quest'ultimo termine, ovviamente, è il significato della parola “Ucraina” in russo.

E non esagero quando scrivo farsa monumentale. Mentre il capitolo più recente e desolante si è svolto da febbraio 2022, gli Stati Uniti e l'UE insieme hanno speso la sbalorditiva cifra di quasi $400 miliardi per organizzare un'opera di demolizione alle porte della Russia... per cosa?

Apparentemente per deliziare i mercanti d'armi degli Stati Uniti e dell'Europa con una grande occasione per la vendita di un sacco di nuove armi e rimpinguare gli arsenali NATO esauriti. E tutto in nome di altre vecchie sciocchezze sulla sicurezza collettiva e un “ordine internazionale basato sulle regole”.

Ma sono tutte cazzate di Washington. Non c'è stata una briciola della sicurezza nazionale americana implicata nel destino dell'ex-Repubblica Socialista Sovietica Ucraina dopo che si è separata dal cadavere estinto dell'Unione Sovietica nel 1991. E poiché l'Ucraina era un simulacro di una nazione costruita dai comunisti, non era destinata a durare, né la sua fine sarebbe stata minimamente notata o ricordata dal mondo in generale.

Vale a dire, lo stato artificiale dell'Ucraina incarna i territori di confine che la Russia aveva acquisito, conquistato, popolato e sviluppato alla fine del XVIII secolo sotto la guida di Grigory Potemkin. Quest'ultimo era il primo ministro della nazione, il quale aveva letteralmente una relazione intima con l'imperatrice russa, Caterina la Grande.

Dopo l'acquisizione della Crimea dall'Impero ottomano da parte di Caterina nel 1783 e la liquidazione di un piccolo principato cosacco lungo il corso meridionale del fiume Dnepr chiamato Zaporozhian Sich, che aveva governato i territori adiacenti per oltre 200 anni, Potemkin divenne governatore della regione. Chiamò questi nuovi territori Novorossiya, o “Nuova Russia” in onore della sua amante/sovrana. Alla fine il popolo russo, il capitale e il commercio si riversarono nelle steppe fino ad allora in gran parte deserte.

I compiti principali di Potemkin erano pacificare e ricostruire quella che era stata una regione dilaniata dalla guerra, portandovi coloni russi e gettando le basi per nuove fattorie, industrie, città e commercio. Nel 1787, mentre stava per scoppiare una nuova guerra tra la Russia e l'Impero ottomano, Caterina II, con la sua corte e diversi ambasciatori, fece un tour di sei mesi nella Nuova Russia, navigando lungo il fiume Dnepr (linea blu sulla mappa sotto) per ispezionare le sue nuove colonie.

Uno degli scopi di questo viaggio era quello di impressionare gli alleati della Russia prima della guerra. Per raggiungere questo obiettivo, si diceva che Potemkin avesse creato dei “villaggi mobili” sulle rive del fiume Dnepr. Non appena arrivava la chiatta che trasportava l'imperatrice e gli ambasciatori, gli uomini di Potemkin, vestiti da contadini, popolavano il villaggio. Una volta che la chiatta se ne andava, il villaggio veniva smontato, quindi ricostruito a valle durante la notte.

Qualunque sia il grado di apocrifia della storia, la metafora di fondo non potrebbe essere più appropriata: l'intero territorio da Lugansk e Donetsk (vale a dire il Donbass) fino a Mariupol sul Mar d'Azov e su entrambe le rive del Dnepr, fino a Odessa sulla costa del Mar Nero, fu da allora in poi noto come Nuova Russia ed era etichettato come tale secondo la mappa del 1897 raffigurata di seguito.

Inoltre cercate altre mappe dell'era pre-1917 come volete, ma non troverete nessun Paese chiamato Ucraina perché quest'ultimo era un toponimo, non uno stato. E il toponimo prese vita come una società moderna organizzata solo come regione di confine in espansione dell'Impero zarista.

La Novorossiya alla fine del diciannovesimo secolo

L'Ucraina divenne uno stato, quindi, solo dopo il crollo dell'Impero russo indotto dalla prima guerra mondiale e la presa del potere da parte di Lenin e dei suoi brutali eredi. Come mostrato nella mappa qui sotto, l'unità amministrativa comunista che divenne nota come Repubblica Socialista Sovietica Ucraina fu messa insieme dalla Nuova Russia (area blu) e da altre parti e pezzi dell'Impero zarista strappati a vari vicini (area gialla), insieme alla storica Galizia (area verde) incentrata su Leopoli, che fu sequestrata da Stalin quando la Polonia fu smembrata nella seconda guerra mondiale.

Alla fine la Crimea (area viola), che era completamente russa fin dal momento del suo acquisto da parte di Caterina la Grande nel 1783, fu ceduta ai compatrioti ucraini di Krusciov nel 1954 come premio in cambio del loro sostegno nella lotta per la successione dopo Stalin.

L'ultima cosa che si può dire sui “confini” ucraini che delineano i cinque componenti codificati a colori mostrati sopra, quindi, è che erano sacrosanti. Non rappresentavano l'evoluzione organica di popoli, identità nazionali e stati, ma il pugno di ferro del politburo sovietico e dei tiranni assetati di sangue che lo governavano.

Ciò a sua volta significò che quando l'Unione Sovietica finì nella pattumierà della storia della storia nel 1991, i giorni dell'Ucraina come stato unitario erano contati.

Inutile dire che non c'era alcuna identità linguistica e religiosa comune. Anche 40 anni dopo che i governanti sovietici avevano finito di assemblare l'Ucraina, questa mappa del 1991 dell'uso della lingua vi dice tutto ciò che dovete sapere: c'erano schiaccianti maggioranze di lingua russa nel Donbass e nella fascia del Mar Nero (aree rosse), che in alcuni oblast, tra cui la Crimea, erano di lingua russa per oltre il 75%. Al contrario, il centro e l'ovest erano popolati da ucraini, polacchi, bulgari, ungheresi e altri, dove i russofoni rappresentavano appena il 5% della popolazione.

Mappa linguistica dell'Ucraina degli anni '90 in base alla percentuale di chi parla russo

E no, una volta che l’entità governata dai comunisti nota come Repubblica Socialista Sovietica Ucraina si separò dal cadavere della defunta Unione Sovietica, i confini casuali che ha ereditato non sono stati “garantiti” dagli Stati Uniti nel cosiddetto Memorandum di Budapest del 1994 in cambio della rinuncia alle armi nucleari.

Infatti l'Ucraina non ha mai avuto armi nucleari! Queste armi erano state immagazzinate sul suo territorio dai sovietici ed erano ancora sotto il controllo di Mosca quando quest'ultima firmò il Memorandum insieme agli Stati Uniti e al Regno Unito. Ma nessun confine era “garantito” perché sarebbe stato un trattato che avrebbe richiesto la conferma del Senato e il sostegno del popolo americano, qualcosa che Bill Clinton e i suoi agenti non erano disposti a testare.

Invece, al nuovo governo ucraino vennero date delle “assicurazioni”. Ma qualunque definizione esile che quel termine implicasse fu presto resa abbastanza chiara dagli agenti dello Stato profondo presso il Dipartimento di Stato, la NED e la CIA, che si erano impegnati a fomentare rivoluzioni colorate in Ucraina non molto tempo dopo che Putin era salito al potere il 1° gennaio 2000.

In ogni caso, una volta che il meccanismo delle elezioni e della democrazia fu istituito dopo il 1991, le mappe elettorali risultanti chiarirono una cosa in modo estremamente chiaro: le persone votavano in base a come parlavano.

Ciò è chiaramente evidente nelle tre mappe qui sotto. La democrazia ucraina è iniziata, è maturata e si è conclusa sulla stessa nota: con un elettorato molto più nettamente diviso persino rispetto alla politica Red State contro Blue State negli Stati Uniti.

Nel 1994 Leonid Kuchma, un ex-dirigente industriale originario dell'est russofono e fortemente industrializzato (Dnipropetrovsk), fece campagna elettorale su un programma che sottolineava i legami economici con la Russia e fece un forte appello alle popolazioni russofone dell'Ucraina orientale e della Crimea.

Nel secondo turno delle elezioni Kuchma vinse circa due terzi dei voti nell'Ucraina orientale, dove predominavano i russi etnici e i russofoni, e quasi il 90% in Crimea, una regione con una popolazione di etnia russa al 70%.

Dall'altro lato, Leonid Kravchuk, il primo presidente e in carica nel 1994, era una figura chiave nel movimento per l'indipendenza dell'Ucraina. Si era posizionato come garante della sovranità ucraina e dell'identità nazionale. Ottenne forte sostegno dall'Ucraina occidentale, dove chi parlava ucraino e aveva sentimenti nazionalisti era dominante, ottenendo dal 70% all'80% dei voti in quelle regioni.

Questa profonda divisione nell'elettorato non è mai cambiata. A differenza degli Stati Uniti, dove un candidato repubblicano a governatore ha ottenuto il 47% nello stato profondamente blu di New York nel 2022, la divisione del voto nel nucleo più duro delle rispettive regioni (rosso scuro e blu scuro) è stata superiore al 90/10 in molte località.

Così, nelle elezioni del 2004, il candidato filorusso Viktor Yanukovych perse di misura il conteggio complessivo, pur avendo dominato in modo schiacciante nell'est e nel sud con margini del 70% contro il 90%.

Risultati delle elezioni del 2004 in Ucraina

Al contrario, nel 2010 Yanukovych ripercorse lo stesso dominio nelle sue regioni di lingua russa a est e a sud, mentre affondava a ovest. Ma quella volta ricevette un aiuto per la sua campagna elettorale da consulenti con sede a Washington (vale a dire il famigerato Paul Manafort, il quale gestì temporaneamente la campagna di Donald Trump nel 2016, finché non fu inchiodato dai russofobi nello Stato profondo). Di conseguenza il filo-russo Yanukovych riuscì ad accumulare abbastanza voti per scavalcare la nazionalista ucraina, Yulia Tymoshenko, nel conteggio nazionale.

Risultati delle elezioni del 2010 in Ucraina

Inutile dire che, secondo Washington, le elezioni ucraine del 2010 non avevano nulla di sacrosanto perché, beh, gli elettori avevano eletto il candidato sbagliato!

In breve tempo, quindi, i neocon guidati da Victoria Nuland, che faceva parte dello staff dell'allora vicepresidente Joe Biden, fomentarono il colpo di stato contro Yanukovych nel febbraio 2014. Anche mentre lo cacciavano dal potere e lo costringevano a fuggire a Mosca, non avevano idea del tenue equilibrio politico che stavano sovvertendo.

Ma non ci volle molto per accendere la miccia. In breve tempo i seguaci dell'alleato di Hitler nella seconda guerra mondiale, Stephan Bandera, che dominavano il governo non eletto e insediato da Washington a Kiev, fecero due mosse distruttive che equivalevano a un segnale per “lasciate che la divisione abbia inizio”.

La prima di queste fu l'abolizione del russo come lingua ufficiale nel Donbass e altrove; la seconda fu la strage di oltre 50 sindacalisti filorussi in un edificio a Odessa da parte di sostenitori del governo di Kiev.

Era solo questione di tempo, quindi, prima che la maggior parte dei territori colorati di rosso sulle mappe sopra dichiarassero la propria indipendenza. Fu anche in breve tempo che la popolazione di quella che era stata la provincia russa della Crimea votò a stragrande maggioranza (80%+) per rientrare nella Federazione Russa. Ciò pose fine al loro breve soggiorno nello stato ucraino, il regalo di Krusciov del 1954 ai delinquenti comunisti di Kiev che lo avevano aiutato a prendere il potere dopo la morte di Stalin.

In breve tempo il nuovo governo proto-fascista di Kiev si mosse per inimicarsi il suo vicino storico ed ex-signore di Mosca, cercando di unirsi alla NATO e lanciando una guerra brutale e implacabile contro le repubbliche separatiste del Donbass. Questo assalto finì per uccidere più di 15.000 civili durante gli otto anni che precedettero l'invasione russa nel febbraio 2022.

Inutile dire che Putin non era affatto interessato a far piazzare missili nucleari ancora più vicino al suo confine, come non lo era il presidente John Kennedy nell'ottobre del 1962. Né era sul punto di tollerare il continuo massacro di russofoni nel Donbass dopo che Kiev aveva lanciato una campagna di bombardamenti su queste aree assediate una settimana prima dell'invasione del 24 febbraio 2022.

Vale a dire, la storia era tutt'altro che una divisione netta tra bianco e nero. Infatti Donald sa che la bufala dell'invasione “non provocata” è una prevaricazione dello Stato profondo. Quindi venerdì scorso non era intenzionato a farsi istruire sulla questione dall'incompetente comico che è stato mandato nello Studio Ovale dalla folla di guerrafondai dell'Unipartito raffigurati di seguito allo scopo di estorcere denaro all'attuale inquilino della Casa Bianca.

Quindi, in risposta alle urla di Zelensky su Putin, Donald non si è fatto problemi a rivelare la verità.

Nella foto sotto, il consiglio di amministrazione del Senato.

Naturalmente ora che la verità è stata fatta uscire in diretta TV, ci sarà sicuramente una fine alle uccisioni inutili e una guerra per procura della NATO contro la Russia. E con essa arriverà un ripudio ancora più importante dell'intera perpetuazione neocon post-1991 di un impero americano che non avrebbe mai dovuto essere sostenuto in primo luogo.

Vale a dire che la falsa demonizzazione di Putin e della Russia verrà ripudiata in modo ancora più deciso. Questo perché, a parte l'imminente accordo tra Trump e Putin sull'Ucraina, la mappa dell'Europa orientale non cambierà tanto presto.

L'idea che Putin intenda resuscitare il vecchio impero sovietico e che Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Moldavia e destinazioni occidentali siano le prossime in linea per l'invasione è stata inventata di sana pianta. Il suo scopo era quello di dare alla NATO una ragione per espandersi ancora più a est, fino alle porte della Russia, e di giustificare la chiamata di Washington alla guerra in un territorio che non fa la minima differenza per la sicurezza interna dell'America.

Anche gli archivi della diplomazia post-sovietica americana sono cristallini su questo argomento. Bush senior e il suo Segretario di Stato, James Baker, promisero esplicitamente a Gorbaciov che in cambio dello smantellamento del Patto di Varsavia e dell'unificazione della Germania la NATO non si sarebbe mossa “di un pollice” verso est.

E quella promessa fu fatta per ragioni ovvie: l'Impero Sovietico era scomparso e la minaccia della massiccia Armata Rossa era svanita. Le sue truppe non venivano nemmeno pagate e i suoi carri armati e la sua artiglieria venivano fusi e venduti come rottami. Quindi l'ex-paracadutista George H. W. Bush avrebbe dovuto paracadutarsi nella base aerea di Ramstein in Germania nel 1992, dichiarare vittoria e relegare la NATO a un museo sulla pace mondiale.

Infatti all'epoca il “padre” della dottrina del contenimento e dell'alleanza NATO, il professor George F. Kennan, avvertì che la perpetuazione e l'espansione della NATO in queste circostanze sarebbero state una follia. Quando nel 1998 il Senato votò comunque per estendere la NATO a Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, egli osservò:

“Penso che sia l'inizio di una nuova guerra fredda”, ha detto Kennan dalla sua casa di Princeton. “Penso che i russi reagiranno gradualmente in modo piuttosto avverso e ciò influenzerà le loro linee di politica. Penso che sia un tragico errore. Non c'era alcuna ragione per questo”. [...]

“Dimostra così poca comprensione della storia russa e sovietica. Ovviamente ci sarà una brutta reazione da parte della Russia, e poi [gli espansionisti della NATO] diranno che vi abbiamo sempre detto che i russi sono così, ma questo è semplicemente sbagliato”.

In parole povere, rischiare tutto per far entrare l’Ucraina in un’obsoleta alleanza che era e rimane ben oltre la sua data di scadenza è sicuramente uno degli atti di politica estera più stupidi di tutta la storia americana.

E ora, sulla scia degli eventi epocali dello scorso fine settimana, è finalmente arrivata l'opportunità: nominare, biasimare, svergognare e cacciare dai seggi del potere i distruttori dell'Unipartito della democrazia, della prosperità e della libertà americana che hanno portato la nazione alla sua attuale situazione pericolosa.

Quindi la missione del Presidente Trump che cambierà la storia in questo momento è cristallina. Deve fare di Guerra e Pace la questione preponderante sulle rive del Potomac e mandare i resti dell'Unipartito in uno spasmodico stato di apoplessia vincendo il Premio Nobel per la Pace per aver posto fine a questa guerra inutile con la stessa rapidità con cui Eisenhower fece con la Corea nel 1953.

Così facendo, può portare a termine la grande missione per la quale è stato scelto: frammentare l'Unipartito riunendo così rifugiati da entrambe le parti in una forza politica rivitalizzata che può consentire alla gente dell'entroterra americano di reclamare la propria democrazia dalla classe dirigente corrotta sorta sul Potomac.

Inutile dire che Donald sembra aver centrato la sua missione. Quando Zelensky ha rilasciato la seguente replica alla sua cacciata dalla Casa Bianca, Donald non è rimasto indietro con una risposta perfettamente appropriata.

L'Ucraina “non riconoscerà mai” alcuna annessione russa del territorio che occupa, anche se ciò avvenisse per cercare di garantire un accordo di pace, ha aggiunto Zelensky, e ha ripetuto che accetterebbe un cessate il fuoco solo se fosse seguito da solide garanzie di sicurezza per il suo Paese.

Sebbene la Russia abbia affermato che insisterà per incorporare i territori che occupa, per l'Ucraina si tratterebbe sempre di “un'occupazione temporanea”, ha insistito Zelensky, anche se al momento il suo Paese non ha la forza militare per espellere la Russia da tutta la sua nazione.

Zelensky ha detto che ciò che voleva “dai partner” – un chiaro riferimento alla Casa Bianca – era che ricordassero che la Russia ha lanciato una guerra d’invasione su vasta scala tre anni fa. Non voleva che i politici riscrivessero la storia, ha detto, per suggerire “che ci sono due parti in questa guerra e che non è chiaro chi sia l’aggressore”.

Ebbene sì, in questa guerra c'erano due parti in causa e il vero aggressore aveva sede sulle rive del Potomac, non sulla Moscova/Oka/Volga.

Trump ha risposto con un avvertimento che non si sentiva più nello Studio Ovale dal giugno 1963, quando JFK lanciò il suo breve appello per porre fine alla Guerra Fredda all'American University.

“Questa è la peggiore affermazione che Zelensky potesse fare, e l'America non sopporterà ancora per molto”. Ha aggiunto, riferendosi a Zelensky, che “questo tizio non vuole che ci sia la pace finché avrà il sostegno dell'America [...]”.

“Deve dire che vuole fare la pace”, ha detto Trump prima di lasciare la Casa Bianca venerdì. “Non deve stare lì a dire 'Putin questo, Putin quello', e tutte le altre cose negative. Deve dire che vuole fare la pace. Non deve volere più combattere una guerra”.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 10 marzo 2025

È ora di far fuori anche gli sprechi nell'FBI

La tesi contro lo stato amministrativo ha molte giustificazioni. Quella principale è che esso è fuori controllo, andando ben oltre di quanto il Congresso gli ha strettamente richiesto di fare, aiutato inoltre da sentenze giudiziarie mal concepite come la dottrina Chevron che richiedeva ai giudici di rimettersi alle interpretazioni delle agenzie governative. Lo stato amministrativo ha raggiunto il suo apice durante la crisi sanitaria; ora le cose stanno cambiando. Prima dell'elezione di Trump, la Corte Suprema aveva avviato il processo di ripristino del governo costituzionale in una serie di decisioni, la più importante delle quali è stato il ribaltamento della dottrina Chevron, rimuovendo la deferenza giudiziaria di fronte all'interpretazione della legge da parte delle agenzie governative. Ciò di cui c'era bisogno era un'amministrazione disposta ad agire su questi nuovi principi legali e ciò si è concretizzato con il DOGE. Il suo assalto alla USAID ha reso evidente che i burocrati avevano un immenso potere clientelare, concedendo sovvenzioni col denaro dei contribuenti a molti destinatari immeritevoli che erano ideologicamente allineati con le amministrazioni precedenti. I contratti presso altre agenzie avevano uno scopo simile. Non solo, ma il DOGE ha continuato la sua campagna di individuazione degli sprechi tagliando il numero dei burocrati e riducendo il numero dei dipendenti pubblici dovunque si potesse fare. Queste prime due misure (annullamento di sovvenzioni e riduzione della forza lavoro pubblica) sono solo un preludio a quello che dovrebbe essere il vero lavoro del DOGE, ovvero ridurre il numero e l'onere delle normative. Se il DOGE dovesse avere successo in questo processo, allora si tratterebbe del più grande risultato di deregolamentazione mai visto nel mondo moderno.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/e-ora-di-far-fuori-anche-gli-sprechi)

Stanno sudando freddo nella palude di Washington. Kash Patel è stato confermato con un voto del Senato di 51-49 come direttore dell'FBI e questo significa che ci sarà una carovana di camion DOGE che trasporterà fuori i licenziati molto presto.

Soprattutto dopo che l'FBI è andata all-in nella campagna per defenestrare Donald Trump nel 2016 e in seguito; il livello di illegalità e di attacchi sfacciati ai processi costituzionali provenienti dall'Edgar Hoover Building non ha letteralmente conosciuto limiti. Presto avremo una documentazione in bianco e nero che dimostrerà che l'FBI non solo sapeva fin dall'inizio che la storia dell'interferenza russa nelle elezioni era una bufala, ma che i funzionari di alto livello dell'FBI erano in realtà complici nella sua fabbricazione/diffusione.

Ma l'illegalità presso la presunta principale agenzia di polizia della nazione non è una novità. Il Federal Bureau of Investigation è un'istituzione canaglia della palude di Washington immersa in una vita di ignominia e disprezzo per la libertà costituzionale e la democrazia.

Il suo predecessore fu creato durante le orribili retate del Procuratore generale Mitchell nel 1918-1919, quando migliaia di cittadini furono arrestati senza mandato, semplicemente per il crimine di avere opinioni socialiste o di sinistra o per simpatizzare con la Germania.

Poi prosperò durante il periodo del proibizionismo negli anni '20. L'abrogazione di quest'ultimo nel 1933 aprì la strada a una corsa ancor più malefica durante l'era di J. Edgar Hoover: una caccia alle streghe comunista e feroce persecuzione di leader per i diritti civili e la pace come Martin Luther King. Infatti la campagna di Hoover per esporre la vita personale del dottor King fu così odiosa da rendere il fatto che la sede centrale dell'FBI sia ancora chiamata “Edgar Hoover Building” è una vergogna nazionale, e una che supera di gran lunga gli oscuri tribunali del sud che prendono il nome da alcuni defunti generali confederati.

Hoover morì nel maggio del 1972, al suo 48° anno di mandato, ma aveva accumulato un dossier così vasto di informazioni compromettenti su tutti i politici e i leader nazionali di Washington che la sua segretaria personale, Helen Gandy, si mise immediatamente a distruggerli per paura che gli uomini di Nixon li potessero usare.

Infatti l'FBI di Hoover aveva archivi di decine di migliaia di americani senza una buona ragione, se non quella di avere opinioni o convinzioni politiche che il direttore dell'FBI disdegnava. Il sottoscritto ci è persino entrato dentro da giovane, non interessato a essere mandato nelle giungle del Sud-est asiatico per massacrare i “gook” che non avevano offeso la gente della nostra contea rurale nel Michigan. A tal proposito mi sono guadagnato un “archivio” all'FBI, qualcosa che considero ancora un distintivo d'onore.

Sfortunatamente la scomparsa di Hoover non portò alla purificazione dell'istituzione che era attesa da tempo. Invece durante la Guerra al Terrorismo divenne una fonte di falsi allarmismi, inganni e stratagemmi di intrappolamento. Ecco solo tre delle più note operazioni dell'FBI durante quel periodo, tutte ovviamente progettate per creare paura nell'opinione pubblica, sollecitare i legislatori e far sì che i budget e i livelli di personale dell'FBI si espandessero inesorabilmente.

  1. The Newburgh Four Case (2009): in questo caso quattro uomini vennero condannati per aver complottato per far esplodere sinagoghe e abbattere aerei militari. L'FBI usò un informatore per incoraggiare e facilitare il complotto, fornendo bombe e armi finte. In realtà non c'era uno straccio di prova che gli imputati fossero predisposti a commettere tali atti, ma furono sistematicamente attirati nella trappola dell'FBI.

  2. The Fort Dix Plot (2007): qui sei uomini vennero arrestati per aver pianificato un attacco a Fort Dix, una base dell'esercito americano nel New Jersey. L'FBI usò un informatore che si infiltrò nel gruppo, li incoraggiò a portare a termine il complotto e piazzò le prove che portarono alla loro condanna.

  3. The Michigan Militia Case (2020): questa truffa coinvolse un piano elaborato per rapire il governatore del Michigan, Gretchen Whitmer. L'FBI usò diversi informatori e agenti sotto copertura per incoraggiare e facilitare il piano. In questo caso il piano si concluse con assoluzioni e un processo nullo perché la facilitazione dell'FBI era goffa e ovvia.

Ciò che alla fine ha portato alla conferma di Kash Patel è stata la palese militarizzazione dell'FBI da parte della nomenklatura dello Stato profondo determinata a distruggere il Presidente degli Stati Uniti nel 2016 e dopo. In tale impresa hanno davvero oltrepassato ogni limite. La vendetta di Donald per l'oltraggiosa incursione dell'FBI nella sua stessa casa dopo aver lasciato l'incarico sarà spietata e senza riserve, e non potrebbe avere uno strumento di rivendicazione più capace e potente del suo direttore dell'FBI appena confermato.

In breve, la conferma di Patel segna la fine di 100 anni di aggressioni allo stato di diritto, non la sua promozione. E, come ho scritto nell'articolo “Come tagliare $2.000 miliardi dal bilancio federale americano”, quella storia è motivo sufficiente per abolire completamente l'FBI.

Il fatto è che non ce n'è mai stato bisogno in primo luogo di questa agenzia, al di fuori dell'opportunismo politico e della promozione di crociate che non rientrano nella competenza del governo federale. Tuttavia, in questa sfera di ingrandimento dello stato, i cosiddetti “conservatori” repubblicani condividono gran parte della colpa a causa della loro visione fuorviante che “legge e ordine” siano un legittimo obiettivo del governo federale.

D'altra parte c'è una ragione valida per cui abbiamo 90.000 unità in governi statali e locali: per decentralizzare, disperdere e silenziare l'esercizio del potere governativo centrale. Quindi l'applicazione delle leggi penali è proprio una di quelle funzioni che è meglio tenere il più lontano possibile dalla capitale della nazione, come dimostra a palate la storia dell'FBI.

In ogni caso l'azione penale e l'applicazione delle sanzioni penali sono già condotte dalle forze di polizia e dai tribunali statali e locali. Ad esempio, attualmente negli Stati Uniti si verificano circa 7,5 milioni di arresti ogni anno, ma solo circa 10.000 di questi vengono eseguiti dall'FBI. Si tratta solo dello 0,14%.

Allo stesso modo, ci sono attualmente 1.214.000 tra poliziotti e personale delle forze dell'ordine nelle buste paga dei governi statali e locali negli Stati Uniti. Ciò si confronta con solo 15.000 ufficiali dell'FBI (su 37.300 dipendenti) coinvolti nell'applicazione della legge penale nazionale. Ciò include tutti gli agenti e il personale di supporto che lavorano su un'ampia gamma di questioni come la criminalità informatica, il traffico di droga, i crimini violenti e i reati dei colletti bianchi, ma è una cifra che ammonta solo all'1,2% del livello delle forze di polizia statali e locali.

 In fin dei conti solo $2,5 miliardi del budget da $11,4 miliardi dell'FBI sono coinvolti in ciò che classifica generosamente come “antiterrorismo”. Direi di tagliare quella cifra del 60% e di trasferire personale e attività a un'unità antiterrorismo da $1 miliardo all'anno nel Dipartimento di Giustizia. Qualsiasi minaccia reale di terrorismo negli Stati Uniti, al contrario di azioni egoistiche escogitate dall'FBI come il complotto sopra menzionato per rapire il governatore del Michigan, può essere facilmente gestita con un budget annuale da $1 miliardo.

Dopodiché il vero mandato di Kash Patel dovrebbe essere quello di raccogliere e rivelare tutti i crimini e gli abusi della storia dell'FBI; creare un museo per disonorarla da qualche parte nell'entroterra americano, forse l'Alabama, come anch'egli ha suggerito; infine chiudere tutto il resto con una riduzione di 34.000 dipendenti e un risparmio sui costi di compensazione diretta di $5,4 miliardi all'anno, insieme ad altri $5 miliardi di risparmi sulle spese generali dell'FBI, sui contratti, sull'occupazione, sui viaggi e altri costi.

Il fatto è che, al di fuori di una funzione antiterrorismo, l'America non ha bisogno dell'FBI per mantenere sicure le comunità, le strade e le case della nazione. Le forze dell'ordine locali possono gestire benissimo tali funzioni.

Dopotutto, non c'è alcuna correlazione tra i tassi di criminalità in America e l'implacabile aumento del budget dell'FBI. Si consideri l'arco di 64 anni del tasso di omicidi negli Stati Uniti raffigurato nel grafico qui sotto.

Il numero di omicidi di 4,7 ogni 100.000 è lo stesso oggi di quello nel 1960; i giovani tra i 16 e i 40 anni commettono la maggior parte dei crimini violenti, quindi è stato essenzialmente il passaggio dall'epoca dei baby boomer al più recente calo demografico nella popolazione a causare l'aumento e la successiva diminuzione del tasso di criminalità come mostrato di seguito.

Tuttavia l'FBI ha sfruttato la paura pubblica della criminalità per giustificare i bilanci che continuavano ad espandersi, soprattutto durante le amministrazioni repubblicane desiderose di sfruttare la questione di legge e ordine. Ad esempio, il budget dell'FBI in dollari costanti (2024) è aumentato del 54% durante l'amministrazione Reagan e del 42% durante gli otto anni di Bush jr.: entrambi gli aumenti hanno superato di gran lunga quello durante le amministrazioni precedenti o successive.

Ovviamente l'implacabile aumento di 7 volte della spesa pro-capite dell'FBI tra il 1960 e il 2024 non ha avuto alcuna correlazione con il grafico demografico di cui sopra. Quindi, alla fine, l'occasione di sradicare finalmente questa agenzia canaglia dalla palude di Washington potrebbe essere finalmente arrivata.

Budget dell'FBI pro-capite in dollari costanti:

• 1960: $5,00

• 1980: $9,00

• 1988: $13,85

• 2000: $20,65

• 2008: $29,25

• 2024: $35,00


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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