«[...] I salari reali, che tengono in considerazione l'inflazione dei prezzi, sono diminuiti dell'1.9% a febbraio, un calo continuo da otto mesi a questa parte.
Il primo ministro Shinzo Abe e la sua amministrazione hanno pressato pubblicamente le aziende affinché aumentassero i salari, poiché questo viene considerato un fattore cruciale a completamento dell'enorme stimolo monetario e fiscale designato a tirare fuori l'economia dalla deflazione.»
-- Japan February wages steady, winter bonuses up for the first time in five years, Reuters, 1 aprile 2014.
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da Zerohedge
Nei 16 mesi in cui il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha lanciato il suo piano audace per contrastare la contrazione dell'economia giapponese, lo yen si è deprezzato del 22% nei confronti del dollaro, il 28% nei confronti dell'euro e il 24% nei confronti del renminbi. La speranza era quella di stimolare il commercio. Tuttavia, si è verificato l'opposto. La posizione estera del Giappone è peggiorata a causa della crescita anemica delle esportazioni e della crescita dei costi delle importazioni: a gennaio ha fatto registrare un record nel deficit commerciale mensile di ¥2.8 bilioni ($27.4 miliardi). Dopo aver avuto un avanzo delle partite correnti dello 0.7% nel 2013, il Giappone quest'anno potrebbe finire in deficit per la prima volta sin dal 1980. Allora perché la cura non funziona?
La risposta standard ruota attorno a problemi di tempistica: di solito il cosiddetto effetto J-curve implica che la spinta alle esportazioni, dopo una svalutazione della moneta, ritardi l'aumento del valore delle importazioni di circa 12-18 mesi. Inoltre, i consumatori potrebbero acquistare beni in vista degli aumenti fiscali di aprile, facendo temporaneamente levitare le importazioni. Da un punto di vista più strutturale, vi è anche il sospetto che le esportazioni non stiano beneficiando di uno yen più economico, in parte perché la produzione è stata spinta per la maggior parte all'estero.
Tutto cio' puo' anche essere vero, ma c'è di più oltre ai dati del commercio. Dopo tutto, una grande svalutazione ha un effetto di rimbalzo nell'economia più ampia, andando a cambiare le prospettive di produttori, consumatori, governo e finanziatori. Il meccanismo di trasmissione può essere pensato nel modo seguente: i consumatori vengono immediatamente colpiti da una "tassa" implicita poiché le merci importate costano di più, mentre le aziende orientate all'esportazione ottenengono un sussidio. Nei mercati dei capitali, l'effetto è quello di ridurre il valore delle obbligazioni nazionali in termini di valuta estera, con il risultato di un aumento dei rendimenti. Ciò significa che aumenta il costo di finanziare il proprio deficit, forzando una riduzione della spesa pubblica. Come risultato, le risorse vengono spostate dalle famiglie e dal governo al settore aziendale. L'effetto di questa riallocazione delle risorse dovrebbe essere quello di aumentare la produttività, che a sua volta dovrebbe avviare un circolo virtuoso di aumento dei redditi e dei consumi.
Purtroppo il Giappone sfugge a questo paradigma, perché oltre alla svalutazione è anche impegnato in un massiccio quantitative easing. Ciò mantiene bassi i rendimenti obbligazionari, consentendo al governo di finanziare il proprio deficit a costi esigui. Non vi è dunque alcun incentivo affinché il governo tagli le spese — e in effetti l'aumento delle tasse sul consumo verranno compensate da una spesa più elevata. Inoltre, i rendimenti obbligazionari bassi sopprimono i proventi finanziari dei risparmiatori interni.
Il risultato finale è che l'aggiustamento economico finisce per pesare esclusivamente sulle spalle delle famiglie, attraverso importazioni più costose e minori proventi finanziari. Con la diminuzione del potere di spesa delle famiglie, le aziende non hanno alcun incentivo ad investire nella produzione interna. Invece, tutto il loro investimento verrà orientato alle esportazioni — mercantilismo sotto steroidi.
Una politica mercantilista puo' sembrare una panacea in periodi in cui la forte crescita globale permette alle esportazioni in eccesso di essere assorbite senza cadute di prezzo rovinose. Tra il 2001 e il 2006 lo yen è stato svalutato di quasi il 40% e le partite correnti del Giappone sono migliorate nettamente. Il Giappone poteva non aver riacquistato la sua competitività a livello mondiale (la sua quota mondiale di esportazioni è scesa di 1.5 punti percentuali), ma le forti condizioni esterne avevano permesso alle esportazioni di crescere del 9% l'anno in termini di dollari.
Oggi, gli esportatori giapponesi non affrontano tali condizioni benigne e il successo di una spinta mercantilista può verificarsi solo mangiando le quote dei rivali.
Poiché tutte le principali economie attuano politiche che sostengono la produzione piuttosto che il consumo, il mondo sta producendo più beni di quanti ne possa assorbire. Il risultato è il calo dei prezzi, che ha l'effetto di differire al massimo la ripresa globale.
Ciò significa che l'ultra-mercantilismo del Giappone è controproducente. In un contesto globale di domanda debole e disinflazione, qualsiasi aumento del volume delle sue esportazioni dovrà essere pagato tramite riduzioni di prezzo. Nel breve termine è probabile che la bilancia commerciale possa migliorare un po', come conseguenza dell'effetto J-curve. Ma nel lungo periodo il Giappone incontrerà difficoltà crescenti che lo faranno crollare.
C'è una speranza che tutto questo possa ancora finire bene. Il Giappone potrebbe abbracciare un programma di riforma strutturale che aumenti la produttività, aumenta i salari e spinga verso l'alto la domanda interna. In alternativa, potrebbe riapparire la crescita mondiale andando a creare una replica del 2001-06. I prezzi dell'energia potrebbero scendere, permettendo una fine del deficit commerciale del Giappone e la riduzione degli incentivi per la politica mercantilista. Ma non ci aspettiamo nessuna di queste possibilità.
Molto probabilmente il percorso del Giappone sarà quello in cui lo yen verrà svalutato ulteriormente, la BoJ continuerà a stampare denaro e il valore in dollari delle esportazioni resterà stazionario, mentre la svalutazione e i tagli di prezzo compenseranno eventuali aumenti di volume. E così, paradossalmente, le partite correnti continueranno a deteriorarsi in un deficit permanente, nonostante l'ultra-mercantilismo. A questo punto il gioco dovrà cambiare e l'Abenomics avrà manifestamente fallito nel raggiungere i suoi obiettivi.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
E in sostanza i sostenitori del debito senza fine continuano a decantare le lodi del fardello che questa nazione, in rapido invecchiamento, si porta dietro. Senza contare che definiscono "perduti" i decenni in cui la popolazione giapponese ha avuto un pò di respiro dalle pastoie della pianificazione centrale, tentando di ripulire (seppur parzialmente) il casino finanziario ordito alle sue spalle. Questa nazione si è retta a galla grazie al sacrificio dei suoi individui che hanno risparmiato fervidamente (dopo aver perso la fiducia in un settore bancario corrotto) e hanno acquistato titoli di stato.
RispondiEliminaLa sua scarsa esposizione al mercato estero per l'indebitamento nazionale ha fornito "spazio di manovra" ai pianificatori centrali per continuare a pugnalare alle spalle una nazione che è campata, industrialmente parlando, grazie al suo settore tecnologico eccellente. Ma il crowding out che opera la spesa pubblica sugli investimenti privati si fa sentire. Se non fosse per il nucleare, a quest'ora sarebbero andati già a gambe all'aria. Il Giappone non rappresenta affatto un'anomalia nel panorama economico, e non deve essere preso come modello per un qualsiasi altro sistema economico. C'è solo una congiuntura di eventi che l'hanno mantenuto a galla, ma le basi scricchiolano:
Abenomics Agony: Japanese Base Wages Tumble By Most In 2014 (22nd Consecutive Monthly Drop)
Japanese Manufacturing PMI Collapses At Fastest Pace On Record; Drops To 14 Month Lows
Non gli resta altro che dar la colpa ai viCin(es)i.
RispondiEliminaCon l'appoggio di Obama...
Per non parlare degli alieni.
Il sonno della ragione che conduce alla guerra è sempre stracolmo di sogni di onnipotenza.
"Poiché tutte le principali economie attuano politiche che sostengono la produzione piuttosto che il consumo, il mondo sta producendo più beni di quanti ne possa assorbire. Il risultato è il calo dei prezzi, che ha l'effetto di differire al massimo la ripresa globale." ma vi rendete conto? ma di che parliamo? l economia va male perché … ci sono troppi beni a disposizione… sarà mica ora id cambiare paradigma? beh, per l intanto propongo, per restare nella realtà ed al di la dalla teoria: cessazione della moneta a debito. monetizzazione della spesa pubblica, con limite costituzionale del 30%, di cui 20 per servizi e funzioni, e 10 per investimenti. conseguente eliminazione delle imposte. in periodi eccezionali è permesso per max 3 anni di seguito di arrivare al 35%. mmt con limiti costituzionali. un compromesso ma almeno con chiari confini. in sostanza, tassazione ad aliquota unica. è in effetti assurdo che l italia si indebiti al 4% mentre usa e, soprattutto, giappone ad esempio lo fanno a tassi irrisori. eliminazione del debito pubblico. per quanto riguarda il credito bancario, separare banca di credito ed investimenti. riserva del 30% e sviluppo del mercato dei capitali con i più vari strumenti di un mercato di capitali maturo, tipo apertura delle inv bk e del venture capital al risparmio. se la banca perde oltre le riserve, o ricapitalizzazione o chiusura. è ovviamente ammessa la funzione di riassicurazione interbancaria. devo qui sviluppare meglio: nel caso di chiusura, i risparmi vengono azzerati, salvo meccanismi privatisti. incentivazione del contante.
RispondiEliminaCiao gdb.
EliminaUna frase infelice che avrei dovuto commentare nella spiegazione iniziale. Faccio ammenda, me ne sono scordato. Che tra l'altro manco è vera, casomai sono le esportazioni ad essere stimolate (come riporta il grafico sotto la frase da te citata) ma non la produzione. Facendo riferimento al BDI essa è in calo progressivo sin dallo scoppio della crisi americana nel 2008. Per il resto non sono d'accordo. Sarò diretto: il debito deve essere ripudiato. Io non voglio assolutamente pagare per qualcosa che non ho mai chiesto ne contratto. L'Italia rimarrà a corto di capitali per un certo periodo? Bene. E allora? Coloro che hanno prestato denaro ad un ente improduttivo ci penseranno due volte prima di rifarlo in futuro.
Perché quello che ancora è poco chiaro è che i prestiti non verrebbero estesi allo stato, non alle imprese che producono qualcosa divalore per il resto degli attori economici. Chi rimarrebbe a corto di finanziamenti sarebbe un apparato parassitario e burocraticamente scandaloso, non quelle imprese che producono beni e servizi. Il mercato obbligazionario privato godrebbe ancora di fiducia.
Amici saggi e sognatori.
RispondiElimina:)