giovedì 30 novembre 2023

Dal cyberspazio allo spazio: l'imperialismo del denaro fiat spingerà il mining fuori dal pianeta Terra?

 

 

da Bitcoin Magazine

Nel mining cresce la tensione. Con l’avvicinarsi del quarto halving e la coinbase ridotta a 3.125 bitcoin per blocco, i miner non solo devono adattarsi a una ricompensa significativamente ridotta, ma devono affrontare un futuro sempre più ostile al profitto che avrebbe sorpreso anche il preveggente Nakamoto. Infatti nonostante la speranza diffusa che gli stati arrivino ad accettare una coesistenza pacifica con Bitcoin – anch’io preferirei questo risultato – e nonostante alcuni modesti motivi di ottimismo, la storia ci ricorda che re e imperatori non rinunciano volontariamente al potere. Ciò non è meno vero per i moderni imperi, come spiega l’indagine di Lyn Alden sull’interventismo statunitense. La storia, unita all’osservazione continua delle azioni statali – in patria e all'estero – sarà sufficiente per calibrare le nostre aspettative e aiutarci a proteggerci da un’ingenuità comprensibile, ma ingannevole. Di conseguenza tra tutte le sfide imminenti che si troverà ad affrontare il mining, la più formidabile potrebbe essere la crescente opposizione statale. Le condizioni potrebbero deteriorarsi rapidamente in modo tale che il mining fuori dal pianeta Terra potrebbe meritare una seria considerazione.


IL DILEMMA TERRESTRE DEI MINER

Mentre gli halving avanzano inesorabilmente, l’equazione dei miner continua a cambiare. Ad esempio, in soli 14 anni il mining si è evoluto dai personal computer a strutture gigantesche che ospitano migliaia di Antminer S19 raffreddati ad acqua con chip da 5 nm che generano oltre 750 MW di elettricità.

Ogni fase dell’evoluzione del mining ha dovuto affrontare sfide uniche e quelle previste con il 4° halving di aprile includeranno, tra le tante altre: accesso sicuro a energia più economica, acquisizione di chip ASIC più efficienti nonostante la carenza globale e i ritardi nelle spedizioni (esacerbati dall’animosità USA-Cina-Taiwan), l'accesso a chip di mining da 3 nm, aumento dell'hashrate, declino dell'hashprice, impatto dell'intelligenza artificiale, attacchi da parte della propaganda ambientalista e proiezioni del valore di Bitcoin imperscrutabili rese non meno facili dall'avvento di grandi società d'investimento nell'ecosistema, il tutto in un contesto economico fragile e gonfio di debiti.

Se questi fossero gli unici problemi da risolvere sarebbero sufficientemente scoraggianti. Tuttavia un vettore di attacco più problematico, come ho scritto in precedenza, è la possibilità che le superpotenze dotate del potere del denaro fiat e il loro seguito di vassalli ostacolino le attività nell'ecosistema Bitcoin.

Logicamente il carattere e l’entità dell’attrito statale sarebbero correlati e proporzionati alla popolarità di Bitcoin: se il sistema monetario fiat, raccogliendo gli effetti negativi di decenni di manipolazioni, iniziasse a implodere mentre Bitcoin si rafforza, la risposta sarà forte. Sarà improbabile che si accetterà senza colpo ferire la contrazione del potere monetario fiat e si attaccherà l'alternativa emergente. Una volta che però ci si renderà conto che non si può uccidere Bitcoin, si cercherà innanzitutto di isolarlo dai suoi proprietari nel cyberspazio. Una linea di attacco complementare sarebbe quindi quella di neutralizzare l’attività di mining. Con Bitcoin isolato e il mining interrotto, a loro avviso, la fiducia delle persone in esso si dissolverebbe e la sua minaccia neutralizzata.

Gli elementi di un attacco al mining potrebbero essere due: in primo luogo, un'operazione di propaganda: nonostante i fatti, i miner verrebbero diffamati come nefandi approfittatori che aumentano irresponsabilmente le emissioni di CO₂ e consumano vaste riserve di energia limitata, facendo aumentare i prezzi e deviando l'energia da usi socialmente vantaggiosi. In secondo luogo, un’operazione burocratica: i miner si ritroverebbero ad affrontare uno tsunami di normative, dai requisiti di licenza e zonizzazione, restrizioni ambientali, quote di energia e CO₂, a irragionevoli requisiti di rendicontazione pieni d'intrusioni KYC senza precedenti e tassazione punitiva. In breve, le sfide economiche, normative e propagandistiche di un simile attacco sarebbero quasi insormontabili.

Negli ultimi anni, quando una giurisdizione è diventata inospitale – viene in mente il divieto cinese al mining ancora in vigore sin dalla metà del 2021 – la risposta convenzionale offriva solo due opzioni: tentare di continuare clandestinamente (rischioso), o trasferirsi in una giurisdizione più ospitale per Bitcoin (distruttivo e costoso).


LA RICERCA DI UN NUOVO SANTUARIO

Analizzando militarmente questo potenziale dilemma, potremmo rivolgerci a un concetto tratto dal campo della guerra controinsurrezionale: il santuario. La dottrina dell’esercito americano riconosce il principio storico secondo cui gli insorti necessitano di aree di rifugio all’interno delle quali riposarsi, riconsolidarsi e sostenere le operazioni:

Accesso all'esterno [...] i santuari [hanno] sempre influenzato l’efficacia delle insurrezioni [...] fornire agli insorti luoghi in cui ricostruire e riorganizzare senza timore d'interferenze da parte della controinsurrezione [...]. Tradizionalmente i santuari erano rifugi sicuri fisici, come le aree di base, e questa forma di rifugio sicuro esiste ancora [...]. Ma le moderne tecnologie di acquisizione degli obiettivi e di raccolta d'informazioni rendono gli insorti isolati, anche negli stati vicini, più vulnerabili.

Come potrebbe applicarsi tutto questo al mining di Bitcoin? Se ipotizziamo che lo stato lo consideri come un ribelle nel campo monetario contro il quale deve agire per preservare il suo potere, i miner si affretteranno a trovare santuari inviolabili per continuare le loro operazioni.

Attualmente i miner possiedono giurisdizioni adeguate all’interno delle quali effettuare le loro attività. Infatti la speranza vacilla ancora quando vediamo emergere alcune giurisdizioni favorevoli a Bitcoin, come l’Oman – di solito all’interno di quello che l’Occidente chiama il “Terzo mondo”, ma che potrebbe essere etichettato come il mondo neocoloniale distrutto dalla finanza fiat. Inoltre nonostante il divieto al mining del 2021, l’hashrate in Cina si è rapidamente ripreso e ha superato il tasso precedente. Questa situazione, tuttavia, può cambiare con una velocità sorprendente e le giurisdizioni accomodanti di oggi possono diventare rapidamente inospitali domani.

Visto in modo diverso: Bitcoin ha già un santuario esistenziale, ancorato saldamente alla sua blockchain ed è esistenzialmente privo di autorizzazioni e continuerà a esistere intoccabile nel cyberspazio. Si può dire che la sua esistenza sia inviolata. Tuttavia non dispone di un santuario riproduttivo, dato che l’attività di mining non avviene nel cyberspazio ma in quello geografico, all’interno di nazioni dove l’ospitalità del mercato, la regolamentazione e l’accesso all’energia sono imprevedibili. Inoltre l’attività di mining ora avviene in gran parte all’interno di strutture estese e immobili che non possono facilmente “andare sottoterra” o trasferirsi rapidamente.

Ma anche la semplificazione di cui sopra è imprecisa in quanto l’esistenza di Bitcoin non è completamente sicura nel cyberspazio senza il mining. Come spiega Andreas Antonopoulos:

Il mining protegge il sistema Bitcoin e consente l’emergere di un consenso a livello di rete senza un’autorità centrale [...]. Lo scopo del mining non è la creazione di nuovi bitcoin, questo è il sistema d'incentivi. Il mining è il meccanismo mediante il quale la sicurezza di Bitcoin è decentralizzata.

Pertanto il mining è necessario per proteggere l’ecosistema Bitcoin e per forgiare nuove monete. Se i santuari terrestri iniziassero a diminuire e alla luce del recente successo commerciale dello spazio, i miner farebbero bene a guardare verso le stelle, verso lo spazio. Quest'ultimo offre il santuario fisico definitivo, liberato dalle intrusioni ostili delle autorità terrestri. Potrebbe fornire il santuario fisico che integrerà elegantemente il santuario informatico di Bitcoin.


SOGNI EXTRA-TERRESTRI

Ispirandosi alle iniziative Space-X e Starlink di Elon Musk, che forniscono una prova di principio concettuale per considerare la fattibilità del mining solare fuori dal pianeta Terra, quale forma potrebbe assumere un simile sforzo?

Si potrebbero visualizzare piattaforme di mining annidate in satelliti modulari ed espandibili, o minesat, dotati di celle solari ultraleggere e specchi posizionati in orbite elevate e sole-sincrone (SSO) (~600-1000 km sopra la Terra) perennemente rivolte verso il sole per una raccolta di energia ininterrotta. Per inciso, anche un certo numero di nazioni, tra cui Stati Uniti, Cina, Giappone e Regno Unito, vedono un incredibile potenziale nell’energia solare fuori dal pianeta Terra e stanno già perseguendo la strada dell’energia solare spaziale da utilizzare sulla Terra stessa.

Pur essendo una sfida per i miner, la dissipazione del calore rimane un problema anche nello spazio poiché non può essere dissipato per conduzione o convezione. Invece i satelliti e altre strutture di solito fanno affidamento sulle radiazioni per scaricare il calore. Ad esempio, la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) utilizza un sistema chiamato Sistema di controllo termico attivo esterno (EATCS) che impiega radiatori di calore posizionati sul lato in ombra. I minesat probabilmente utilizzerebbero un sistema simile per il raffreddamento.

Ancora una volta, usando l'esempio di Starlink, questi minesat SSO nell'orbita più alta si collegherebbero a una costellazione di smallsat (satelliti più piccoli) nell'orbita inferiore che fornirebbero connettività Internet a banda larga, oppure si collegherebbero direttamente alla rete dei nodi di Bitcoin stesso.

Operando dalla frontiera dello spazio, senza essere governata dagli stati nazionali, l’attività di mining sarebbe libera da licenze e requisiti di zonizzazione, così come da campagne diffamatorie di propaganda sulla CO₂ e sull’energia.

Volendo far avanzare ulteriormente il nostro esperimento mentale, si potrebbe immaginare questa flotta di minesat rasportate nelle loro orbite da piattaforme di lancio in nazioni lungimiranti e che abbraccerebbero Bitcoin, come El Salvador e potenzialmente l’Argentina. Nel caso di El Salvador, potrebbe fornire non solo un rifugio fisico per aziende attaccate dal punto di vista politico, come Space-X, ma, situato a oltre mille miglia più vicino all’equatore rispetto a qualsiasi luogo di lancio negli Stati Uniti, fornirebbe una posizione planetaria geograficamente superiore consentendo ai veicoli spaziali di raggiungere la velocità di fuga in modo più efficiente. Si potrebbe persino postulare la migrazione della ricerca e della produzione di chip specifici per il mining di Bitcoin verso una nazione così visionaria, co-localizzando simbioticamente gli elementi essenziali e le attività di Bitcoin.

Non molto tempo fa l’idea di un’azienda privata che superasse la NASA impiegando veicoli spaziali riutilizzabili con atterraggio verticale e dispiegando una costellazione di satelliti che fornissero accesso globale a Internet sarebbe stata considerata donchisciottesca e ingenua. Altrettanto stravagante: che una nazione dichiarasse a corso legale Bitcoin. Forse l’idea di un mining extraterrestre via satellite, facilitato da un’azienda visionaria che sta ripetutamente impartendo lezioni alla NASA, e la collaborazione con una nazione del Sud del mondo che abbraccia Bitcoin, non è così azzardata. Infatti potrebbe benissimo diventare il percorso migliore da intraprendere.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 29 novembre 2023

Non fate affidamento sul PIL

L'articolo di oggi mette in evidenza gli aspetti teorici di come il PIL sia una statistica inutile e fuorviante per chiunque voglia "misurare" per davvero la crescita effettiva di un Paese. All'atto partico non esiste esempio migliore di quello cinese, dove le metriche ufficiali del PIL, sfoggianti ritmi di crescita fenomenali nel corso del tempo, vengono smentiti nel momento in cui si guarda più attentamente. Ironia della sorte sono i cinesi stessi a offrire il fianco quando hanno iniziato a usare il cosiddetto Li Keqiang Index, il quale include altri elementi fattoriali che scoperchiano il "window dressing" certosino operato dagli statistici cinesi. A ogni elemento ulteriore che si aggiunge, la narrativa ufficiale viene fatta a pezzi, come ha dimostrato uno studio dell'Università di Chiacgo quando ha incluso nelle metriche anche le luci notturne: ebbene, i numeri cinesi in particolar modo si sono dimostrati sballati ben oltre il 30%. Quattro economisti, poi, che hanno condotto un’indagine forense sul PIL cinese hanno scoperto che Pechino aveva falsificato i dati in media di 1,7 punti percentuali all’anno. Utilizzando il 2008 come anno base, hanno stabilito che, nel 2018, il PIL cinese era stato sopravvalutato di un 20% cumulativo. Per Pechino questa discrepanza è importante perché Xi Jinping si è posto l’obiettivo di superare il PIL nominale degli Stati Uniti entro il 2049. Il PIL ufficiale pro capite è di $12.556 all’anno, ovvero più di $1.000 al mese; considerati i numeri aggiustati secondo le nuove scoperte, il PIL pro capite della Cina non supererà quello degli Stati Uniti almeno fino al 2076... a parità di tutte le altre condizioni. Il Partito Comunista Cinese non è l'eccezione, però, bensì la regola: tutti coloro che sventolano il PIL come misura di riferimento stanno omettendo elementi che inficerebbero la loro narrativa propagandistica. Lo stato, infatti, ritiene di controllare l’economia, quando in realtà tutto ciò che controlla è la rendicontazione dell’economia. Può produrre risultati falsificati, ma non ha il potere di cambiare le realtà sottostanti o di rendere miracolosamente sostenibile l'insostenibile.

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di Alasdair Macleod

Un errore importante nell’analisi statistica è che gli economisti hanno perso di vista ciò che rappresentano le loro amate statistiche, soprattutto per quanto riguarda il PIL.

Esso rappresenta il quantitativo totale di valuta e credito che viene erroneamente considerato un riflesso del progresso economico: non esiste qualcosa come la crescita economica, ma solo la crescita del credito. Una volta compreso questo punto, il significato di questo errore di base diventa chiaro e il paradigma della valuta fiat si rivela per quello che è: un gioco delle tre carte che andrà terribilmente storto.

C’è solo una via d’uscita ed è possedere l’unica forma di denaro che non rappresenta il rischio di controparte di nessuno; l’unica forma di denaro che viene sempre in soccorso dell’umanità quando il denaro fiat fallisce.

L'oro. Viene trascurato quasi da tutti perché è l’anti-bolla. Più le persone credono negli asset denominati in valute fiat, meno credono nell’oro. Questo finché il gioco delle tre carte non implode, innescato dal forte aumento dei tassi d'interesse.


Introduzione

Cominciamo con un esperimento mentale. L'anno scorso una persona ha comprato un'auto; quest'anno il concessionario lo chiama e gli dice: "Posso offrirti un'auto di una marca diversa esattamente allo stesso prezzo che hai pagato per quella che ti ho venduto l'anno scorso, e ha un'elettronica migliore, più accelerazione e meno consumo di carburante" Lui compra la nuova auto e ridà indietro il modello precedente.

L’accordo rappresentava un progresso per la persona che acquista l’auto, ma qual è stato il contributo alla crescita del PIL? Ovviamente zero, perché l'avvenuto acquisto di un consumatore dipende da ciò che egli decide personalmente sia valore. Che il valore sia il prezzo, la qualità, o qualsiasi altro fattore, per il consumatore la decisione soggettiva di acquistare qualcosa è un progresso per la sua condizione.

Gli statistici non possono catturare l’idea di progresso di un individuo, né possono catturare concetti come il rapporto qualità-prezzo, i miglioramenti del prodotto che i consumatori desiderano, o qualsiasi altra cosa soggettiva per i singoli consumatori. Inseguire le statistiche come misura della condizione economica è quindi fondamentalmente sbagliato e rappresenta la giustificazione della politica monetaria come mezzo attraverso il quale un’economia possa essere gestita dallo stato, una bugia che dovrebbe essere smascherata.

Quelli di noi che hanno i capelli grigi dopo una vita spesa sui mercati finanziari possono, o dovrebbero, riconoscere che dopo cinquant’anni il gioco del denaro fiat sta finendo. Soprattutto da quando i lockdown hanno accelerato la stampa di denaro, ciò ha portato a un aumento dei prezzi oltre gli obiettivi fissati. Non si tratta, come sostengono gli economisti mainstream, di aumento dei prezzi: stiamo vivendo la conseguenza dell’espansione del credito, che era e rimane la definizione corretta di inflazione. Inoltre è impossibile isolare da un prezzo più alto ciò che rappresenta un miglioramento del valore del prodotto e ciò che rappresenta una diminuzione del valore del credito; e nel nostro sistema monetario fiat, l’espansione del credito non ha alcun valore.

Tuttavia l’aumento generale dei prezzi rispetto a quello specifico non è altro che una svalutazione della valuta e ciò porta a tassi d'interesse più alti, cosa che a sua volta porta a un calo del valore degli asset. Ma questo processo non tiene conto della psicologia delle folle, la quale porta gli investitori a ignorare i fatti e ad accettare senza riserve le statistiche ufficiali. La comprensione delle relazioni tra politica, economia e catallattica nei tempi attuali è più importante che mai. Guidate da statistiche imperfette e irrilevanti, le banche centrali ora si sforzano di eliminare le incertezze delle scelte personali e di controllare i tassi d'interesse con una severità degna di Stalin. Credendo nella propria propaganda, gli stessi banchieri centrali hanno perso la strada in questa crisi della moneta fiat.

La maggior parte degli istituti d'investimento abbraccia volentieri la finzione secondo cui l’inflazione è dovuta ai prezzi e non al denaro. Credendo pienamente nelle banche centrali, tutti si sono resi ciechi di fronte alle conseguenze della loro cattiva gestione e ci crogioliamo nell'idea che esse abbiano il controllo perché la propaganda ci ha portato a credere che abbiano avuto il controllo sui mercati per quasi tutta la nostra vita professionale.

Tutte le grandi banche centrali sono preda di simili illusioni, o meglio riguardo alle loro valute, e non hanno più il semplice obiettivo di controllarne il potere d'acquisto: la valuta e il credito sono diventati gli strumenti essenziali per finanziare la spesa pubblica. E anche se i leader occidentali subissero un’improvvisa illuminazione in merito al denaro sano/onesto, si troverebbero ad affrontare il compito di arginare l’ondata di passività finanziarie in rapida crescita per quanto riguarda pensioni e assistenza sanitaria.

No, l’establishment è completamente vincolato alla svalutazione della valuta come mezzo per finanziare il crescente bisogno di entrate fiscali. Ciò a sua volta richiede l’occultamento della vera situazione, motivo per cui i banchieri centrali sono incoraggiati a ignorare qualsiasi connessione tra l’espansione della valuta circolante, il credito bancario e i prezzi.

Inoltre quasi tutti gli investimenti sono affidati ai cosiddetti gestori esperti di fondi pensione, compagnie assicurative, banche, gestori di portafoglio e consulenti finanziari (la cui consulenza è di solito accettata insindacabilmente), in modo che la delega della responsabilità per i nostri investimenti spetti sempre a coloro che estrapolano il passato nel futuro. Si tratta di un approccio incapace e riluttante a considerare e valutare i veri fattori di cambiamento.

Implica un’illusione su tutti gli aspetti della politica economica a favore della sopravvivenza della redistribuzione socialista. Ma questo saggio si concentra su un aspetto centrale: l’errore di fare affidamento sulle statistiche e dove ciò potrebbe portarci, oltre a demolire un dato statistico centrale in tutta questa farsa, ovvero il concetto di crescita economica.


Il concetto di economia uniforme e circolare in Mises

L’economista Austriaco Ludwig von Mises ha sottolineato che esiste una differenza fondamentale tra un’economia e le statistiche utilizzate per rappresentarla. Nel mondo reale ci vuole tempo per fare le cose: anticipare, pianificare, realizzare, ecc. I desideri di domani si evolvono nel tempo, così come i mezzi per soddisfarli e in economia il tempo è il bene più prezioso dell’essere umano. Ma le statistiche non possono catturare il tempo, registrano solo ciò che è passato.

Non è possibile catturare il progresso umano o la sua mancanza attraverso le statistiche: esse non sono altro che un meccanismo contabile per quantificare le transazioni economiche dopo che si sono verificate e se tutti domani facessero esattamente quello che hanno fatto ieri, come robot privi di motivazioni e desideri, le statistiche di ieri sarebbero una rappresentazione ragionevole di ciò che accadrà domani. In altre parole, avremmo un’economia che, conformandosi alla matematica, ruota in modo uniforme.

Ovviamente è impossibile. Come scrisse concisamente von Mises:

L’azione è cambiamento e il cambiamento è nella sequenza temporale. Ma in un’economia che ruota in modo uniforme il cambiamento e la successione degli eventi vengono eliminati. Azione significa fare delle scelte e affrontare un futuro incerto, ma in un’economia che ruota in modo uniforme non è possibile scegliere e il futuro non è incerto poiché non differisce dallo stato attuale conosciuto. Un sistema così rigido non è popolato da esseri umani che fanno scelte e sono soggetti a errori. È un mondo di automi senz’anima. Non è la società umana, è un formicaio.

Con il senno di poi, gli statistici adattano i loro modelli dalle aspettative precedenti a ciò che è emerso quando devono districarsi nelle previsioni future. Tuttavia è vero che ciò che è accaduto ieri ci informerà su ciò che potrebbe accadere domani, perché siamo tutti condizionati dall'esperienza, ma niente di più. Il fatto che continuiamo a fare piani diversi per migliorare la nostra condizione è la prova inequivocabile che nessuna economia ruota in modo uniforme. È un concetto utile perché consente ai governi di stimare le entrate e alle aziende di utilizzare le stime dei mercati attuali per i loro piani di investimento e di produzione, ma a ciò si aggiungono informazioni non statistiche e sensazioni viscerali basate sull’esperienza.

Prendere il concetto di un’economia circolare e uniforme come base per la previsione economica è un errore commesso quasi da tutti al giorno d'oggi. Quasi tutti ormai parlano di crescita economica rappresentata dal prodotto interno lordo, ma descrivono inconsciamente un’economia che ruota in modo uniforme, presumendo quindi che possa crescere numericamente e confondendo la crescita con il progresso. L’abitudine di sostituire il PIL al progresso economico è così radicata che questo inganno inconscio è diventato fondamentale per mantenere in piedi la credibilità della politica monetaria.


Definire il PIL

Finora ho descritto cosa non è il PIL, sottolineando la differenza tra un modello economico statico e privo di tempo e la realtà dinamica di un’economia funzionante. Dovremmo ora considerare cosa rappresenta il PIL e perché cambia negli anni.

Il PIL può essere stimato utilizzando tre diversi approcci: reddito, spesa e produzione. In teoria dovrebbero produrre lo stesso risultato; in pratica sorgono differenze significative perché si basano su fonti amministrative e di dati dissimili che sono soggetti a errori e omissioni. E tutte le informazioni non sono disponibili contemporaneamente. Il risultato è quindi soggetto a revisioni e solitamente combina questi approcci per fornire una stima finale della spesa totale.

Indipendentemente dall’approccio, essenzialmente il PIL è la somma della spesa delle famiglie, degli investimenti nella produzione, della spesa pubblica e delle esportazioni nette. Molto viene escluso, come le transazioni finanziarie, le transazioni di seconda mano e l’economia monetaria. Inoltre le singole fasi della produzione, o l'output lordo, vengono ignorati.

Facendo seguito all’esperimento mentale all’inizio di questo articolo, dobbiamo capire perché il PIL aumenta. Supponiamo che in un’economia chiusa, dove non esistono flussi commerciali e di capitale attraverso i confini, il PIL del primo anno sia pari a $100 miliardi. Supponiamo ora che non vi sia alcun cambiamento nella quantità di valuta e credito nell’anno 2, e che neanche i saldi di liquidità degli individui cambino (sebbene essi abbiano un impatto materiale e reale sui prezzi). Il PIL dell’anno 2 dev'essere lo stesso dell’anno 1. In altre parole, l’attività economica ovviamente evolverà, così come i prezzi dei singoli beni e il numero di transazioni varieranno, ma questi cambiamenti saranno contenuti all’interno del PIL totale invariato, il quale rimarrà a $100 miliardi perché non sono coinvolti valuta aggiuntiva e credito bancario. Lo stesso deve valere per gli anni successivi alle stesse condizioni. L’impiego della valuta e del credito tra la spesa delle famiglie, gli investimenti nella produzione e la spesa pubblica sarà quasi certamente diverso, ma devono sempre ammontare a $100 miliardi.

Con il PIL invariato, non c’è nulla che impedisca all’economia di progredire, ma questa è una questione decisa tra consumatori e produttori. La spesa pubblica, finché sarà interamente finanziata dalle tasse, influenzerà la velocità della progressione economica ma non modificherà il PIL totale. Lo stesso vale per i cambiamenti nella ripartizione tra consumo e risparmio.

Un altro modo per esprimerlo è nei termini della Legge di Say, la quale definisce il ruolo della moneta nel contesto della divisione del lavoro. Nel corso di un anno realizziamo profitti o perdite e guadagniamo entrate; destiniamo i proventi alla spesa, al risparmio e alle tasse.

Se non vi è alcun aumento nella quantità di valuta e credito, allora potrebbe sembrare che coloro che migliorano i propri guadagni e profitti lo facciano a scapito di coloro che non lo fanno. Ma anche se ci saranno sempre dei perdenti, questo non è vero. Nel nostro esempio di un’economia chiusa senza variazioni nella quantità di credito, i surplus vengono sempre riciclati nella spesa o negli investimenti. Un progresso incommensurabile porta ad un maggiore potere d’acquisto del credito, così che anche se statisticamente l’economia non avanza, in realtà progredisce.

Nel complesso un miglioramento delle condizioni economiche generali deriva da un aumento del potere d’acquisto della valuta e beni/servizi che migliorano nel tempo. Anche coloro che sperimentano un leggero calo del reddito traggono beneficio dal miglioramento delle condizioni economiche, abbattendo la povertà più di quanto gli stati potranno mai ottenere aumentando la tassazione per finanziare lo stato sociale. Il timore della deflazione, che è il termine moderno per indicare il calo dei prezzi, è del tutto fuori luogo. A parità di altre condizioni, se il livello generale dei prezzi diminuisce nel tempo, ciò riflette un progresso economico e un vantaggio per i consumatori.

Il commercio transfrontaliero e i flussi di capitale sono stati esclusi dal nostro esempio per semplificare le cose e dovremmo commentarli separatamente. In un libero mercato uno squilibrio nel commercio fa sì che i flussi di capitale si muovano nella direzione opposta. Se gli importatori e gli esportatori smaltiscono le valute estere acquisite attraverso il commercio, il modello resta valido perché né la valuta né i depositi bancari vengono distrutti.

Senza interventi monetari e creditizi, anche un deficit commerciale non modificherà la quantità di valuta in circolazione, cambierà solo la sua proprietà. L'aggiustamento si rifletterà nel tasso di cambio e non nelle modifiche all'ammontare della valuta e del credito.

Se nell’anno 2 il PIL aumenta rispetto all’anno 1, diciamo, del 10% arrivando a $110 miliardi, può essere solo perché è aumentata la quantità di valuta e credito circolanti nell’economia, non necessariamente l’attività economica sottostante. Inoltre, nella pratica, il credito bancario oscilla ed è soggetto a cicli di espansione e contrazione; inoltre le banche centrali tentano di stimolare la domanda di valuta manipolando i tassi d'interesse e intervengono direttamente attraverso il quantitative easing, operazioni di mercato repo e reverse repo. Resta il fatto che l’aumento del PIL può solo riflettere un aumento della quantità di valuta e di credito. Il grafico seguente mostra la relazione tra le variazioni annuali dell’aggregato monetario più ampio (M4) e il PIL negli Stati Uniti.

Tra il 1960 e il 1990 i due sono aumentati insieme, confermando che il PIL non è altro che una misura della quantità di valuta e credito nell’economia. Da lì in poi le statistiche si sono discostate, ma non di molto fino alla crisi finanziaria del 2008, quando M4 è cresciuto a un ritmo molto più rapido del PIL. Ciò rifletteva l’incanalamento del credito verso gli asset finanziari, mentre si stava gonfiando una bolla sulla scia di tassi d'interesse artificialmente bassi. Rappresenta un eccesso di credito, che viene ora liquidato dalle banche commerciali che cercano di ridurre la propria esposizione al rischio e non fa nulla per smentire la relazione fondamentale tra PIL e credito.

Possiamo quindi concludere che ciò che viene comunemente descritto come crescita economica è solo un aumento della quantità di denaro e credito nell’economia e non riflette cambiamenti nella condizione economica sottostante.


Il deflatore del PIL è inappropriato

Dato che il PIL riflette solo la quantità di valuta e di credito, la pratica di aggiustare la sua espansione mediante un indice dei prezzi non ha alcuno scopo. E applicando un aggiustamento per le conseguenze sui prezzi della precedente espansione monetaria, l’uso del PIL come indicatore dello stato dell’economia viene falsamente legittimato. Inoltre il termine “PIL reale” per indicare il PIL così modificato contribuisce a fissarlo nella mente della popolazione come l’indicatore supremo dell’attività economica e il suo aumento come obiettivo lodevole per la politica monetaria.

Perseguendo l’indicizzazione come mezzo di compensazione pubblica per l’inflazione dei prezzi quarant’anni fa, gli economisti mainstream si resero conto del notevole impatto sulle finanze statali. L’indicizzazione di quantità crescenti di obbligazioni e di una serie di pagamenti assistenziali a seguito dell’inflazione degli anni ’70 si era rivelata troppo costosa e di conseguenza gli statistici hanno continuamente modificato i loro calcoli dell’inflazione dei prezzi per ridurne il peso sulle finanze pubbliche.

Il livello generale dei prezzi è solo un concetto che non può essere misurato. Ciò ha permesso alle statistiche sui prezzi aggregati e la loro costruzione di diventare una questione politica. Ciò permette a qualsiasi statistico di utilizzare sofisticati strumenti e metodi matematici per rivendicare quasi tutto ciò che dicono lui o il suo datore di lavoro. Nonostante la rapida accelerazione dell’inflazione della valuta e del credito, fino a soli diciotto mesi fa gli statistici erano riusciti a fissare gli aumenti annuali dei prezzi al consumo a circa il 2% e anche per un periodo considerevole.

L'analisi indipendente di Shadowstats.com ha evidenziato l'inganno statistico perpetrato dal metodo IPC producendo un indice rivale per gli Stati Uniti privo di tutte le modifiche statistiche introdotte sin dal 1980 per ridurne i numeri. Le sue cifre si riferiscono a maggio, l'ultima serie disponibile al pubblico senza abbonamento mostra un tasso non aggiustato di aumento dei prezzi annuo pari a circa il 12%, rispetto al tasso ufficiale del 4,9%. La divergenza tra la base di calcolo del 1980 e i ricalcoli ufficiali dell’IPC è chiaramente illustrata nel grafico riportato di seguito.

Pur sottolineando la natura autoreferenziale delle statistiche sui prezzi, non dobbiamo dimenticare che non incarnano uno scopo economico credibile. In ogni caso, un indice dei prezzi è una raccolta di prezzi storici con pochissimi collegamenti al futuro e usarlo come base per la politica monetaria significa commettere lo stesso errore di presumere che la crescita del PIL sia la prova del progresso economico. La catallattica è una scienza umana in evoluzione che non può essere definita dalla matematica come nelle scienze naturali.


Le conseguenze della politica monetaria sui prezzi

Ci sono due forze fondamentali nella relazione tra quantità di moneta e prezzi: la prima riguarda i cambiamenti nella quantità di valuta e credito, che se aumentati tenderanno a ridurne il potere d’acquisto; la seconda riguarda i cambiamenti nella percezione della relazione tra credito e beni da parte di chi usa la valuta, cosa che si riflette nei cambiamenti nella liquidità a disposizione. Supponendo per il momento che ciò non cambi, un aumento dell’offerta di denaro è destinato a far aumentare il PIL, essendo quest'ultimo la somma delle transazioni catturate all'interno della sua statistica. Indipendentemente dal fatto che l’attività economica aumenti o diminuisca, i prezzi in tali transazioni possono solo salire a riflesso dell’aumento del credito nell’economia.

Nella relazione tra offerta monetaria e PIL illustrata nel grafico sopra, le forze che spingono i prezzi verso l’alto a causa della svalutazione della valuta sono considerevolmente maggiori di quanto si pensi comunemente.

La prima forza nella relazione monetaria sopra descritta è conforme all'equazione dello scambio, l'espressione matematica del rapporto tra la quantità di denaro e i prezzi nel loro insieme. Se c’è un tema in questo saggio è quello di sottolineare l’errore nell’applicare le relazioni matematiche all’azione umana. La seconda delle due forze sopra menzionate sono i cambiamenti nella psicologia delle folle, i quali determineranno anche il valore di una valuta rispetto ai beni.

Ciò può essere illustrato prendendo in considerazione i cambiamenti nel livello medio di liquidità detenuta da chi la utilizza. A differenza delle allocazioni al risparmio, la valuta a disposizione rappresenta la produzione non spesa, tenuta di riserva per cambiamenti inaspettati nei bisogni e nei desideri di una persona.

Ma se nel complesso i detentori di liquidità sospettano che i prezzi dei beni e dei servizi, che potrebbero desiderare ma di cui non hanno immediatamente bisogno, inizieranno a salire più rapidamente, ridurranno la valuta in loro possesso per acquistarli. Questa è una descrizione corretta delle condizioni attuali: un’ampia gamma di prezzi al consumo sono ora in aumento, incoraggiando chiunque abbia liquidità in eccesso a disporne, esacerbando l’andamento dei prezzi. E possiamo vedere dall’eccessiva quantità di valuta e credito ancora da rilasciare nell’economia che questa tendenza probabilmente avrà un effetto aggiuntivo alla relazione matematica, possibilmente facendo scendere il potere d’acquisto del denaro più rapidamente rispetto agli aumenti dell'offerta monetaria più ampia.

La situazione nel Regno Unito rispecchia quella degli Stati Uniti, ma con M4 che supera il PIL con un margine allarmante. Ciò viene illustrato di seguito, partendo dal big bang finanziario avvenuto a metà degli anni ottanta quando la finanziarizzazione del settore bancario iniziò a incidere sul rapporto prestiti bancari/PIL.

La disconnessione tra il PIL, che misura beni e servizi escludendo gli asset finanziari, e M4 in più rapida crescita riflette lo sviluppo dei servizi finanziari a Londra dopo la metà degli anni ottanta. L’eccesso equivale a credito impiegato in attività non produttive, il che equivale a una bolla che sicuramente scoppierà.


Le conseguenze sui tassi d'interesse e sui mercati finanziari

L’esame delle relazioni tra valuta, credito ed economia suggerisce fortemente che uno shock sull’inflazione dei prezzi è ancora nelle sue fasi iniziali. Abbiamo capito finora che la crescita del PIL rappresenta poco più che la crescita dell'offerta di denaro più ampia e abbiamo spiegato le disparità nei loro ritmi di crescita. Oltre all’effetto matematico della teoria dello scambio, abbiamo capito che la tendenza dell’aumento dei prezzi acceleri poiché i consumatori riducono la loro liquidità acquistando beni prima che i prezzi aumentino ancora di più. È prevedibile che questi fattori portino a un calo generalmente inaspettato del potere d’acquisto delle valute fiat e dovremmo aggiungere che le principali banche centrali (tranne forse quella cinese) hanno perseguito politiche monetarie simili e che avranno conseguenze simili.

Per riflettere il calo del potere d’acquisto del credito in quasi tutte le valute, i tassi d'interesse devono aumentare e tale aumento deve essere sufficientemente sostanziale da stabilizzare queste valute se non si vuole che crollino completamente. Ma in questo frangente siamo meno interessati al futuro delle valute fiat che all’effetto sui valori degli asset finanziari.

I rendimenti delle obbligazioni a tasso fisso aumenteranno sostanzialmente, il che significa che i prezzi scenderanno. Lo stiamo già vedendo accadere: tassi d'interesse e rendimenti obbligazionari più elevati, a loro volta, mineranno i valori azionari, cosa che in generale deve ancora accadere. Nella misura in cui i valori degli asset finanziari sono in bolla, possiamo aspettarci un sostanziale calo.

La risposta monetaria delle banche centrali sarà tentare d'impedirlo e per tre ragioni: esse sono impegnate a finanziare i deficit pubblici e l’aumento dei rendimenti dei titoli di stato ostacola tale obiettivo; credono che mercati finanziari vivaci siano essenziali per mantenere la fiducia della popolazione nelle prospettive economiche; sono profondamente consapevoli che il calo dei prezzi degli asset potrebbe innescare un’accelerazione della liquidazione delle garanzie da parte delle banche, come teorizzato da Irving Fisher in seguito alla depressione degli anni ’30.


Oro

Il grafico seguente mostra la relazione tra il prezzo dell’oro in dollari e M3 negli Stati Uniti. La linea grigia mostra la differenza tra i due, con l’oro a sconto del 35% rispetto a dove si trovava al momento della crisi della Lehman.

È un errore presumere che il prezzo dell’oro dovrebbe aderire alla crescita dell’offerta monetaria più ampia, il che è confermato da periodi di valutazioni relative al di sopra e al di sotto. Ma in generale ci si può aspettare che un’accelerazione del tasso di espansione monetaria porti a un aumento dei prezzi dell’oro.

Mentre M3 è aumentato sostanzialmente prima d'iniziare a contrarsi, l’oro è rimasto indietro. In un certo senso, ciò non sorprende, perché l’eredità dei tassi d'interesse mantenuti a zero non è ancora passata definitivamente. In altre parole, quando c’è una bolla finanziaria l’oro può essere considerato un anti-bolla, quindi è destinato a passare di moda, ma ora le cose stanno cambiando.

Dopo la crisi della Lehman, il prezzo dell’oro è salito a $1.925 in un contesto di crescente preoccupazione per il sistema bancario mondiale. Rispetto a M3, all’epoca l’oro si attestava a un premio del 40%, il che oggi possiamo dire che l’inflazione monetaria scontata era troppo in anticipo, in assenza del materializzarsi di una crisi finanziaria ingestibile. Oggi, dopo essere sceso ad uno sconto del 54%, si attesta ad uno sconto del 35%, il che suggerisce che l’ottimismo nel sistema monetario fiat è ad un estremo simile ma opposto a quello del 2011.

Non c’è dubbio che la bolla degli asset finanziari stia scoppiando a causa dell’aumento dei tassi d'interesse e stando così le cose c’è una forte tesi a favore di lasciare il gioco del denaro fiat alla follia delle folle e delle istituzioni regolamentate. L’unico modo credibile per isolarsi completamente da essa è ritirarsi nell’unico asset per il quale non vi è alcun rischio di controparte: l’oro fisico, e forse un po’ di argento fisico.


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martedì 28 novembre 2023

La pianificazione centrale inefficiente e insostenibile della Cina

 

 

di Antonio Graceffo

Oltre cento anni fa Ludwig von Mises scrisse un libro sull’impossibilità di una pianificazione economica razionale e di successo in un ambiente socialista, eppure la Cina ci sta ancora provando, anche se la sua combinazione di mercati e socialismo si traduce in carenze ed eccedenze. Questo articolo esamina tre iniziative contemporanee approvate da Xi Jinping, ciascuna caratterizzata da un problema intrinseco: l’insicurezza alimentare, la crisi dell’invecchiamento e la bolla immobiliare. Ogni problema è stato creato dalla legislazione cinese stessa ed è stato aggravato da ulteriori leggi emanate per correggerlo.


Scarsità di cibo

La Cina è un importatore netto di cibo, capace di produrne solo il 66% di cui ha bisogno. Il Paese ha meno della metà dei terreni agricoli degli Stati Uniti e una popolazione quattro volte superiore. Per aumentare la sicurezza alimentare, forse in preparazione alla guerra, Xi Jinping ha ordinato di radere al suolo alcuni parchi pubblici e di riempirli di cibo. Nel frattempo ha anche definito un’agenda verde, incentivando i governi locali a piantare alberi. Per raggiungere le quote per entrambi gli obiettivi, alcuni governi locali stanno abbattendo le foreste per far posto ai terreni agricoli, distruggendo allo stesso tempo altre risorse per piantare alberi.

I terreni agricoli cinesi sono notevolmente meno produttivi di quelli statunitensi. La soia, ad esempio, un alimento base della dieta cinese, costa 1,3 volte di più per essere coltivata in Cina che negli Stati Uniti, e la resa è inferiore del 60%. Prima dell’espansione dei terreni agricoli imposta dallo stato, oltre il 24% della popolazione lavorava nel settore agricolo, rispetto a solo l’1,6% negli Stati Uniti. La Cina dovrebbe riassegnare i suoi agricoltori inefficienti a lavori nelle fabbriche e nei servizi, i quali contribuiscono maggiormente al PIL; ma coltivare questi nuovi campi richiederà invece lo spostamento dei lavoratori dal settore manifatturiero e dei servizi all’agricoltura, dove il loro contributo al PIL diminuirà.


Crisi dell'invecchiamento

Nel 1979 Pechino attuò una politica di pianificazione familiare che limitava la maggior parte delle coppie cinesi ad avere un solo figlio. Ciò aveva lo scopo di limitare le dimensioni della popolazione, garantire la prosperità economica e prevenire la fame. Il Paese si stava urbanizzando per editto e le famiglie più piccole erano più facili da ospitare nelle città, richiedendo appartamenti più piccoli e meno scuole e ospedali. Quella linea di politica mirava anche a ridurre l'indice di dipendenza del 68,1% per alleggerire il peso sul sistema sociale urbano.

Per convincere le persone a credere in questa idea, anche se non avevano scelta, il governo cinese inaugurò una campagna di propaganda con lo slogan “un figlio perfetto”, incoraggiando genitori e nonni a concentrare tutto il loro denaro e il loro amore su un unico figlio. Di conseguenza lezioni di canto, danza e musica, tutoraggio nel doposcuola e programmi di matematica e inglese diventarono attività standard per i bambini dai tre anni in su. I genitori potevano permettersi i prezzi elevati di queste lezioni extra perché utilizzavano la ricchezza combinata di sei adulti (la propria più quella dei loro genitori).

Nel 2010 il tasso di fertilità era sceso a 1,69 e l’indice di dipendenza aveva toccato il minimo storico di 37. Nel 2011 l’indice di dipendenza ha ripreso a salire a causa del crescente numero di persone anziane. Solo cinque anni dopo l’età media ha raggiunto i 35 anni, quindi il governo cinese ha iniziato a incoraggiare le persone ad avere più figli. Invece di rimuovere completamente il limite, il Partito Comunista Cinese (PCC) ha adottato la linea di politica dei due figli, ciononostante il tanto atteso baby boom non è mai arrivato: il costo per allevare un figlio era già così alto da richiedere ricchezza intergenerazionale e la maggior parte delle famiglie sentiva di non potersi permettere un secondo. Allo stesso tempo il prezzo nominale degli appartamenti nelle principali città ha iniziato a raggiungere i livelli statunitensi, mentre il reddito medio si aggirava intorno ai $10.000 all’anno. Molti giovani hanno dovuto ritardare il matrimonio, il che ha ridotto ulteriormente la probabilità di avere più figli.

La soluzione del PCC è stata quella di aumentare il limite a tre figli nel 2021. Ancora una volta, le coppie non hanno reagito alla legislazione e il numero delle nascite ha continuato a diminuire. Dal 2015 la forza lavoro è scesa di circa venti milioni di unità; l’anno scorso la popolazione è diminuita di 850.000 persone; l’età media è ora di trentanove anni e il governo cinese prevede che quest’anno nasceranno solo sette milioni di bambini su una popolazione di oltre 1,4 miliardi.

Quando il Giappone e i Paesi europei sono entrati nella fase d'invecchiamento, erano già nazioni ricche e sviluppate. Hanno sfruttato la tecnologia per sostenere elevati standard di vita impiegando meno lavoratori. Al contrario, la Cina è ancora in fase di sviluppo: il suo PIL pro capite è circa un terzo di quello dell’Italia, o del Giappone, e meno di un sesto di quello degli Stati Uniti. La Cina continua a fare molto affidamento sul settore manifatturiero di fascia bassa e ad alta intensità di manodopera, sebbene anche questi posti di lavoro stiano diminuendo con il rallentamento dell’economia. Lo scorso agosto la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 21,3%, spingendo Pechino a smettere di riportare tale statistica.


La bolla immobiliare

Durante il periodo di rigido comunismo cinese, prima della graduale apertura dell'economia negli anni '80, i cittadini avevano poco, se non nessun reddito discrezionale e poche opportunità d'investimento. Una volta che l’economia ha iniziato a essere liberalizzata, le persone sono diventate più ricche; l’unica opzione praticabile per gli investimenti, però, era quella immobiliare (i cittadini, tuttavia, non possono possedere terreni ma solo acquisire un contratto di locazione fino a 70 anni che può essere trasferito e scambiato). Quando nel 1990 venne aperta a Shanghai la prima borsa valori cinese, le persone avevano già dieci anni di esperienza nel settore immobiliare, ma non capivano il mercato azionario e non si fidavano del controllo opaco dello stato su di essa. La maggior parte degli investimenti ha quindi continuato a confluire nel settore immobiliare.

Per raggiungere una crescita del PIL a due cifre, il governo cinese ha liberalizzato il credito attraverso le banche statali, che a loro volta hanno alimentato il settore edile e incentivato i governi locali a emettere obbligazioni per finanziare progetti di costruzione. Oggi circa il 20-30% del PIL è investito in proprietà e infrastrutture, e il patrimonio immobiliare rappresenta i due terzi della ricchezza delle famiglie. Il numero di nuovi progetti, nel frattempo, è stato visto come una misura di buon governo e di progresso verso la prosperità, indipendentemente dal fatto che fossero necessari o addirittura completati. Ciò ha portato alla creazione di “città fantasma” e di enormi complessi di appartamenti in aree scarsamente popolate come nella regione di confine con la Siberia.

I prezzi degli appartamenti sono aumentati, acquistati da persone come investimento e senza mai avere intenzione di viverci o di affittarli. Quest’anno il governo cinese ha dichiarato ufficialmente che “le case servono per viverci, non per speculare”.

Il rapporto debito/PIL della Cina ha raggiunto quest’anno il 280%, con le banche statali che detengono $8.400 miliardi di debito nel settore immobiliare. Il settore immobiliare rappresenta il 90% del reddito dei governi locali fortemente indebitati e circa l’80% dei veicoli di finanziamento dei governi locali (LGFV) – entità istituite per raccogliere fondi per infrastrutture e progetti di sviluppo – non hanno abbastanza soldi per pagare gli interessi. Se le vendite immobiliari dovessero interrompersi, i governi locali non sarebbero in grado di mantenere il flusso di pagamento degli interessi e, se i prezzi dovessero scendere, suddetti LGFV andrebbero in default. Di conseguenza alcuni governi locali hanno addirittura imposto prezzi minimi per evitare che i loro investimenti perdessero valore.

Nel contesto del rallentamento economico durante e dopo i lockdown, Pechino è tornata alla sua strategia tradizionale di fare affidamento sul settore immobiliare per stimolare l’economia. Xi Jinping ha implementato nuove linee di politica per incrementare i prestiti, con il risultato di 50 milioni di unità abitative invendute. I prezzi sono ancora artificialmente alti, quindi il mercato non può eliminarli. Se il governo cinese dovesse cessare ogni intervento nel mercato immobiliare e lasciare che i prezzi scendessero per soddisfare la domanda, molti prestiti potrebbero andare in default e danneggiare l’intero sistema finanziario.


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lunedì 27 novembre 2023

Woodrow Wilson, colui che aprì le porte della guerra infinita: l'espansione dell'impero americano verso l'Ucraina e Taiwan — Parte #3

 

 

di David Stockman

Quando la Guerra Fredda finì ufficialmente nel 1991, Washington ebbe un’altra possibilità di tornare allo status quo pre-1914: ad una politica di sicurezza nazionale chiamata Fortezza americana, perché sul pianeta non era letteralmente rimasta alcuna minaccia militare significativa.

La Russia post-sovietica era un caso disperato dal punto di vista economico, non riusciva nemmeno a far fronte ai suoi salari militari e si stava sciogliendo vendendo i carri armati e l'artiglieria dell'Armata Rossa come rottami. La Cina stava appena emergendo dalle depredazioni economiche, politiche e culturali del cosiddetto Grande Timoniere e aveva abbracciato il proclama di Deng Xiaoping secondo cui “arricchirsi è glorioso”.

Le implicazioni del crollo fiscale dell’Armata Rossa e della scelta della Cina sulla via del mercantilismo e del capitalismo rosso furono profonde.

La Russia non avrebbe potuto invadere la patria americana nemmeno in un milione di anni e la Cina aveva scelto d'inondare l’America con scarpe, lenzuola, camicie, giocattoli ed elettronica. Così facendo ha reso il governo delle élite comuniste a Pechino dipendente dalla consuetudine di 4.000 Walmart in America, non dal bombardarli per farli sparire.

In parole povere, il dono originale di Dio all'America – i grandi fossati degli oceani Atlantico e Pacifico – avrebbe potuto diventare nuovamente la pietra angolare della sua sicurezza nazionale.

Dopo il 1991, quindi, non c’era nazione sul pianeta che avesse la minima capacità di organizzare un attacco militare convenzionale contro il territorio statunitense; o che non avrebbe fallito nel tentativo di creare le necessarie capacità di proiezione di energia aerea e marittima – un drenaggio di risorse che sarebbe stato di gran lunga maggiore anche dei $900 miliardi che gli Stati Uniti attualmente spendono per la propria armata globale.

Infatti nel mondo post-Guerra fredda, l’unica cosa di cui gli Stati Uniti avevano bisogno era una modesta capacità convenzionale di difendere le coste e lo spazio aereo nordamericano da ogni possibile assalto non autorizzato e un affidabile deterrente nucleare contro qualsiasi stato abbastanza stupido da tentare il ricatto nucleare.

Inutile dire che tali capacità erano già state acquistate e pagate durante la Guerra fredda. La triade composta da missili balistici intercontinentali, missili Trident SLBM (sottomarini con missili nucleari) e bombardieri stealth a lungo raggio costa attualmente $52 miliardi all’anno per operazioni e manutenzione, sostituzioni e aggiornamenti ed era più che adeguata per il compito di deterrenza nucleare.

Allo stesso modo, la difesa convenzionale della costa e dello spazio aereo degli Stati Uniti contro i criminali non avrebbe richiesto una frazione degli attuali $1,3 milioni in forze attive in uniforme – per non parlare delle 800.000 riserve aggiuntive e delle forze della guardia nazionale e dei 765.000 civili in più nel Dipartimento della difesa.

Invece di finanziare $2,9 milioni di dipendenti, il lavoro della sicurezza nazionale secondo il concetto di Fortezza americana poteva essere svolto con meno di 500.000 dipendenti militari e civili. Al massimo.

Infatti gran parte dei 475.000 uomini dell'esercito americano potrebbero essere licenziati e la maggior parte dei gruppi d'attacco delle portaerei e delle capacità di proiezione di potenza della Marina potrebbero essere messi fuori servizio. Allo stesso modo, le missioni di difesa nazionale dell’Aeronautica potrebbero essere portate a termine con meno di $100 miliardi all’anno rispetto all'attuale budget di $200 miliardi.

Nel complesso, il bilancio in dollari costanti della difesa nazionale ammontava a $660 miliardi ($ 2022) quando la Guerra fredda finì e l’Unione Sovietica scomparve dalla faccia della terra nel 1991. Se all’epoca Washington si fosse concentrata su una linea d'azione basata sulla Fortezza americana, la spesa per la difesa avrebbe potuto essere ridimensionata a circa $500 miliardi all’anno ($ 2022), o potenzialmente molto meno.

Invece la Washington imperiale è andata nella direzione opposta e ha finito per abbracciare una linea d'azione che ha privilegiato l'Impero. Quest’ultimo costerà $900 miliardi quest’anno e si dirigerà verso i $1.200 miliardi all’anno tra pochi anni.


L'Impero al primo posto – La ragione per cinquecento mila miliardi di dollari in più per la difesa

In parole povere, aver messo l'Impero al primo posto consuma facilmente cinquecento mila miliardi di dollari in più in risorse di bilancio annuali rispetto a una linea d'azione basata sul concetto di Fortezza americana. E quel gigantesco barile di contratti di armi, lavori di consulenza e di supporto, bottino della pressione politica al Congresso spiega tutto ciò che bisogna sapere sul motivo per cui la proverbiale Palude a Washinton è profonda e intrattabile.

Ovviamente è anche il motivo per cui la Washington imperiale si è nominata poliziotto del mondo. Fungere da gendarme del pianeta è l’unica giustificazione possibile per il costo aggiuntivo di $500.000 miliardi all’anno.

Ad esempio, perché gli Stati Uniti schierano ancora 100.000 soldati americani e i loro dipendenti in Giappone e Okinawa e 29.000 in Corea del Sud?

Queste due contee hanno un PIL combinato di quasi $7.000 miliardi – ovvero 235 volte superiore a quello della Corea del Nord e sono anni luce avanti a quest’ultima in termini di tecnologia e capacità militare. Inoltre non vanno in giro per il mondo impegnandosi in cambi di governo, spaventando così la parte nord della zona demilitarizzata.

Di conseguenza il Giappone e la Corea del Sud potrebbero più che provvedere alla propria sicurezza nazionale nel modo che ritengono opportuno, senza alcun aiuto da parte della Washington imperiale. Ciò è particolarmente vero perché, in assenza della minaccia militare statunitense nella regione, la Corea del Nord cercherebbe sicuramente un riavvicinamento e un aiuto economico da parte dei suoi vicini, compresa la Cina.

Infatti sessantacinque anni dopo la fine dell’inutile guerra in Corea, c’è solo una ragione per cui la famiglia Kim è ancora al potere a Pyongyang e perché periodicamente brandisce rumorosamente le sue armi nucleari e missili: l’Impero occupa ancora la penisola coreana e circonda le sue acque con una potenza di fuoco più letale di quella usata contro la potenza industriale della Germania nazista durante l’intera Seconda Guerra Mondiale.

Naturalmente queste forze massicce e costose sono giustificate anche con il sostegno agli impegni di Washington nella difesa di Taiwan, ma questo impegno è sempre stato obsoleto e non necessario per la sicurezza interna dell’America.

Il fatto è che Chiang Kia-Shek perse la guerra civile cinese nel 1949 e non c’era motivo di perpetuare il suo regime quando si ritirò negli ultimi chilometri quadrati del territorio cinese – la provincia insulare di Taiwan. Quest'ultima fu sotto il controllo della dinastia cinese Qing per 200 anni fino al 1895, quando fu occupata dal Giappone imperiale per 50 anni, per poi essere liberata dai patrioti cinesi alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Vale a dire, una volta espulso il Giappone imperiale dall’isola, i cinesi non “invasero”, né occuparono o presero il controllo del proprio Paese. Per dirla tutta, Taiwan era stata Han per secoli e, nel bene e nel male, i comunisti erano ora i governanti della Cina.

Di conseguenza Taiwan è oggi separata dalla terraferma solo perché Washington ne ha fatto arbitrariamente un protettorato e un alleato quando il perdente della guerra civile aprì una filiale in un piccolo residuo della Cina moderna, creando così una nazione artificiale che, ancora una volta, non aveva alcuna rilevanza per la sicurezza interna dell’America.

In ogni caso, il nascente Partito della Guerra negli Stati Uniti alla fine degli anni ’40 decretò diversamente, generando 70 anni di tensione con il regime di Pechino non ottenendo altro che una grande Marina e vaste operazioni di polizia nella regione del Pacifico senza alcun risultato per la difesa della patria.

Vale a dire, senza il sostegno di Washington al regime nazionalista di Taipei, l’isola sarebbe stata riassorbita nel sistema politico cinese dove è stata per secoli. Probabilmente ora assomiglierebbe a Shanghai – qualcosa che Wall Street e i principali politici statunitensi celebrano da anni.

Inoltre non è ancora troppo tardi. In assenza delle armi e delle minacce di Washington, i taiwanesi preferirebbero sicuramente una prosperità pacifica come 24esima provincia della Cina piuttosto che una guerra catastrofica contro Pechino alla quale non avrebbero alcuna speranza di sopravvivere.

Allo stesso modo, l’alternativa – l’intervento militare degli Stati Uniti per aiutare Taiwan – significherebbe la Terza Guerra Mondiale. Allora qual è lo scopo della pericolosa linea di politica di “ambiguità strategica” di Washington quando il risultato a lungo termine è assolutamente inevitabile?

In breve, l’unica linea di politica sensata per Washington è quella di ritrattare 70 anni di follia portata avanti dalla lobby cinese e dai produttori di armi e dare il via libera ad una riconciliazione di Taiwan con la terraferma. Anche così i banchieri di Wall Street che vendono operazioni finanziarie a Taipei non noterebbero la differenza rispetto a Shanghai.

E parlando di storia, sono ormai trascorsi 78 anni da quando Hitler morì nel suo bunker. Allora perché Washington ha ancora 50.000 soldati e i loro dipendenti di stanza in Germania?

Certamente con le sue stesse azioni la Germania sta dicendo di non essere militarmente in pericolo. Il suo modesto bilancio per la difesa, pari a $55 miliardi, ammonta solo all’1,3% del PIL, il che non indica certo il timore che le forze russe arrivino presto alla Porta di Brandeburgo.

Infatti finché Washington non ha convinto il governo Scholz a unirsi alla sua idiota guerra delle sanzioni contro la Russia, la Germania vedeva quest'ultima come un mercato vitale per le sue esportazioni e come una fonte di approvvigionamento di gas naturale, altre risorse naturali e prodotti alimentari. Inoltre, con un PIL di $4.200 miliardi, o più del doppio dei $2.100 miliardi di PIL della Russia, la Germania potrebbe più che gestire le proprie difese se Mosca dovesse mai diventare così sciocca da minacciarla.

Da qui si arriva al caso ancora più assurdo degli avamposti NATO nell’Europa orientale, ma i libri di storia sono assolutamente chiari sul fatto che nel 1989 George H. W. Bush e il suo Segretario di Stato, James Baker, promisero a Gorbaciov che la NATO non si sarebbe espansa ad est di un “solo pollice” in cambio della sua acquiescenza all’unificazione tedesca.


L'obsoleta follia degli obblighi di mutua difesa previsti dall'Articolo 5 della NATO

All’epoca la NATO contava 16 Paesi membri vincolati dall’obbligo di mutua difesa previsto dall’Articolo 5, ma quando l’Unione Sovietica e l’Armata Rossa svanirono, non rimase più nulla da cui difendersi. La NATO avrebbe dovuto dichiarare la vittoria e sciogliersi. L’ex-paracadutista allora alla Casa Bianca, infatti, doveva paracadutarsi sulla base aerea di Ramstein e annunciare “missione compiuta!”

Invece la NATO è diventata un martello pneumatico politico e un agente di vendita di armi aderente alla visione Impero al primo posto, espandendosi in 30 nazioni, molte delle quali alle porte della Russia.

Tuttavia se la vostra percezione non è distorta dalla propganda di Washington, la domanda è ovvia: che ci guadagnano per la sicurezza e l’incolumità i cittadini di Lincoln, NE, o Springfield, MA, ottenendo i servizi dei piccoli eserciti di Lettonia (6.000), Croazia (14.500), Estonia (6.400), Slovenia (7.300), o Montenegro (1.950)?

Infatti l’espansione della NATO post-1991 è così assurda come questione di sicurezza nazionale che la sua vera funzione di foglia di fico per l'Impero al primo posto è piuttosto evidente. Nessuna di queste piccole nazioni avrebbe importanza per la sicurezza degli Stati Uniti se decidessero di avere un rapporto più intimo con la Russia – volontariamente o meno.

Ma il punto è che non esiste alcuna minaccia per l’America nell’Europa orientale a meno che Montenegro, Slovenia, o Lettonia non diventino la via d'invasione di Putin per effettuare l’occupazione russa di Germania, Francia, Benelux e Inghilterra.

E questo è a dir poco stupido!

A parte questo scenario del tutto inverosimile ed economicamente/militarmente impossibile, non c’è alcun motivo per cui gli Stati Uniti debbano stipulare un patto di mutua difesa con uno qualsiasi dei nuovi e, del resto, vecchi membri della NATO.

E questo ci porta alla guerra per procura contro la Russia, in cui la nazione dell’Ucraina viene demolita e la sua popolazione, composta da giovani e anziani, viene fatta marciare verso il tritacarne russo.

Come documentato anche in altri articoli, questa è una guerra civile in una nazione artificiale confezionata dai più grandi tiranni della storia: Lenin, Stalin e Krusciov. Non è mai stata costruita per durare e sicuramente non dopo che il colpo di stato a Maidan nel febbraio 2014, sponsorizzato, finanziato e immediatamente riconosciuto da Washington, ha deposto il presidente filo-russo legittimamente eletto.

Da allora in poi le azioni della Russia nel recuperare la sua ex-provincia della Crimea nel marzo 2014 e nel venire in aiuto delle repubbliche separatiste di lingua russa del Donbass (Ucraina orientale) nel febbraio 2022 non hanno minacciato la sicurezza della patria americana o la pace del mondo. Neanche un po'.

Il conflitto post-febbraio 2014 in Ucraina è una disputa “territoriale”, etnica e religiosa sulle profonde differenze tra i russofoni nell’est e nel sud del Paese e i nazionalisti ucraini del centro e dell’ovest che affondano le loro radici in secoli di storia.

La conseguente carneficina, per quanto tragica sia stata, non prova minimamente che la Russia sia un’aggressiva espansionista che dev'essere contrastata dalla Nazione Indispensabile. Al contrario, Washington è completamente cieca nei confronti della storia e della logica geopolitica.

In primo luogo, i libri di storia chiariscono che Sebastopoli in Crimea era stato il porto di origine della flotta navale russa sia sotto gli zar che sotto i commissari sovietici. La Crimea era stata acquistata dagli Ottomani per un buon prezzo da Caterina la Grande nel 1783 e fu il luogo di uno dei più grandi eventi patriottici della Russia: la sconfitta degli invasori inglesi nel 1854, resa famosa dalla Carica della Brigata Leggera di Tennyson.

Dopo 171 anni come parte integrante della madrepatria russa ed essendo diventata per oltre l’80% di lingua russa, la Crimea divenne tecnicamente parte dell’Ucraina solo durante un rimescolamento ispirato da Krusciov nel 1954. E anche allora, l’unica ragione di questo trasferimento era premiare gli alleati di Krusciov a Kiev per averlo sostenuto nella sanguinosa lotta per il potere dopo la morte di Stalin.

Il fatto è che solo il 10% della popolazione della Crimea parla ucraino. È stato il colpo di stato nelle strade di Kiev del febbraio 2014 da parte di nazionalisti ucraini estremisti anti-russi e proto-fascisti a provocare il panico tra i russofoni in Crimea e ad allarmare Mosca per lo status della sua storica base navale, per la quale ancora ha un contratto di locazione fino al 2040.

Nel referendum sponsorizzato da Mosca che si tenne poco dopo, l’83% degli aventi diritto si recò a votare e il 97% di quelli approvarono la cancellazione del già citato editto sovietico del 1954 e il ricongiungimento alla madre Russia. Non c’è assolutamente alcuna prova che l’80% dei crimeani che hanno votato per recidere la loro affiliazione, storicamente di breve durata, con l’Ucraina siano stati minacciati o costretti da Mosca.

Infatti ciò che realmente temevano – sia in Crimea che nel Donbass, dove furono presto dichiarate anche le Repubbliche separatiste – erano gli editti anti-russi emanati da Kiev all’indomani del rovesciamento orchestrato da Washington del governo legalmente eletto.

Dopotutto la brava gente di quella che le mappe storiche designavano come Novorussiya (Nuova Russia) popolava quello che era stato il granaio industriale dell’ex-Unione Sovietica. Il Donbass e la sponda meridionale del Mar Nero sono sempre stati parte integrante delle industrie russe del ferro, dell'acciaio, della chimica, del carbone e delle munizioni, essendo state colonizzate, sviluppate e investite dai russi sotto gli zar da Caterina la Grande in poi. E in epoca sovietica molti dei loro nonni erano stati mandati lì da Stalin da altre parti della Russia per rafforzare il suo governo sanguinario.

Allo stesso modo, questi coloni russi e trapiantati in Novorussiya odiavano da sempre i nazionalisti ucraini provenienti dall’ovest, i quali imperversarono nelle loro città, fattorie, fabbriche e case fianco a fianco con la Wehrmacht di Hitler sulla strada per Stalingrado.

Quindi la terribile verità della questione è questa: secondo l’editto di Washington i nipoti e le nipoti dell’esercito industriale di Stalin nel Donbass dovevano essere governati dai nipoti e dalle nipoti dei collaboratori di Hitler nella Seconda Guerra Mondiale a Kiev, che gli piacesse o no. Ahimè, un tal ripudio della storia non poteva reggere.

Non è possibile tenere in piedi $500 miliardi in false ragioni per una politica di sicurezza nazionale incentrata sull'Impero al primo posto, senza inventare missioni, mandati e minacce che siano stupide (come la guerra per procura contro la Russia in Ucraina) o menzognere ​​(come le presunte armi di distruzione di massa di Saddam).

Infatti è necessario inventare, nutrire e applicare un’intera narrativa universale basata su proposizioni del tutto non plausibili e non valide, come il meme della “Nazione Indispensabile” e l’affermazione secondo cui la pace e la stabilità mondiali dipendano dalla leadership di Washington.

Esiste uno scherzo più crudele di questo?

La carneficina e il genocidio inflitti da Washington in Vietnam – che hanno provocato la morte di oltre un milione di persone – sono stati un caso di “leadership americana” atta a rendere il mondo più pacifico o stabile?

E dopo aver perso questa guerra costosa, sanguinosa e insensata nel 1975, com'è possibile che quello che è ancora il Vietnam comunista sia diventato il luogo di riferimento per approvvigionarsi di prodotti manifatturieri a basso costo necessari a decine di migliaia di camion di Amazon?

Allo stesso modo, le due guerre contro l’Iraq hanno portato a qualcosa se non alla distruzione della fragile pace tra sunniti, sciiti e curdi, aprendo così le porte dell’inferno e la sanguinosa furia dell’Isis?

I miliardi che Washington ha incanalato illegalmente nelle forze ribelli e jihadiste in Siria non hanno fatto altro che distruggere il Paese, creare milioni di rifugiati e incoraggiare il regime di Assad a impegnarsi in brutalità “occhio per occhio”, così come a chiedere aiuto all'Iran, ai russi e a Hezbollah.

La distruzione del governo di Gheddafi da parte dei bombardieri americani non ha forse trasformato la Libia in un inferno di guerra civile, abusi umani e perfino schiavitù basati sui signori della guerra?

In parole povere, le narrazioni della Washington imperiale e gli esempi dei suoi interventi specifici poggiano su basi logore e non plausibili; e il più delle volte consistono in invenzioni e affermazioni arroganti che sono un insulto all'intelligenza di chiunque presti anche solo una scarsa attenzione ai fatti.

In questo contesto c’è solo un modo per spostare significativamente l’ago della bilancia sia sulla politica estera egemonica di Washington che sul suo gigantesco flusso d'inchiostro rosso sul bilancio: l’impero militare americano dev'essere smantellato in blocco. Come? Seguendo le linee guida dell’idea di Fortezza americana e "difesa minima" di Eisenhower.

Quando quest'ultimo espose il suo monito sul complesso militare-industriale nel discorso di addio del 1961, il bilancio della difesa statunitense ammontava a $52 miliardi e a $64 miliardi se si aggiungono gli elementi collaterali della sicurezza nazionale (es. Dipartimento di Stato, AID, l’assistenza alla sicurezza, il NED, le operazioni di propaganda radiotelevisiva internazionale e voci correlate, nonché i costi differiti delle operazioni militari riflessi nell’amministrazione dei veterani, l'assistenza sanitaria e altri servizi).

Alla fine della Guerra fredda, nel 1991, questo bilancio complessivo per la sicurezza nazionale era salito a $340 miliardi di dollari, ma non poteva essere smentito dal semplice fatto che quell’anno l’Unione Sovietica scomparve nella pattumiera della storia. I neoconservatori si sono presto infiltrati in entrambi i partiti e, grazie alle loro Guerre Infinite e alle linee di politica egemoniche, il totale è salito a $822 miliardi durante la fine della presidenza del “pacifista” Obama nel 2016.

Eppure l’Unipartito della guerra si stava appena riscaldando. Dopo essere stata manipolata sia da Trump che da Biden, la stima attuale per l’anno fiscale 2024 ammonta all’incredibile cifra di $1.304 miliardi. Vale a dire, il costo complessivo dell’Impero è ora a un livello 20 volte superiore a quello che il grande generale orientato alla pace, Dwight D. Eisenhower, riteneva adeguato per contenere la minaccia posta dalla vecchia Unione Sovietica al culmine della sua crescita militare-industriale nel 1960.

Sì, a 64 anni dal discorso di addio di Ike c'è stata molta inflazione, che è incorporata nella base NIPA leggermente diversa per i numeri della difesa nel grafico qui sotto. Ma anche se aggiustato all’attuale livello dei prezzi, il bilancio della difesa nel 1960 ammonta a soli $440 miliardi rispetto ai $900 miliardi di oggi; e il bilancio complessivo per la sicurezza nazionale ammonta a soli $590 miliardi, ovvero solo il 45% degli attuali $1.304 miliardi.

Spesa per la difesa nazionale, base NIPA dal 1960 al 2022

Come abbiamo indicato in precedenza, la "Difesa minima" di Eisenhower, arrotondata a $500 miliardi in termini di potere d’acquisto odierno, è molto più che adeguata in un mondo in cui la sicurezza interna dell’America non è minacciata da una superpotenza tecnologica e industriale che ha anche una remota parità con essa e i suoi Paesi alleati della NATO. Il PIL combinato da $45.000 miliardi di questi ultimi è 20 volte più grande di quello della Russia e quasi 3 volte quello della Cina, che è essa stessa un castello di carte sepolto dal debito che non durerebbe un anno senza i suoi $3.500 miliardi in esportazioni verso l’Occidente.

Detto in modo diverso, la vecchia Unione Sovietica era autarchica, ma internamente fragile e grottescamente inefficiente e insostenibile. La Cina rossa, al contrario, è molto più efficiente dal punto di vista industriale, ma ha anche $50.000 miliardi di debiti interni ed esterni e un modello economico profondamente mercantilista che la rende totalmente dipendente dai mercati occidentali.

In fin dei conti, né la Russia né la Cina hanno la capacità economica – diciamo $50.000 miliardi in PIL – o la motivazione per attaccare la patria americana con mezzi militari convenzionali. La vasta armata invasiva di forze terrestri e aeree, capacità di trasporto aereo e marittimo e massicci gasdotti di approvvigionamento logistico che sarebbero necessari per colmare i due fossati oceanici è praticamente oltre ogni immaginazione razionale.

Quindi ciò che alla fine mantiene l’America al sicuro è il suo deterrente nucleare. Finché ciò sarà intatto ed efficace, non esiste alcuna forma concepibile di ricatto nucleare che possa essere utilizzato per mettere a repentaglio la sicurezza e la libertà della patria americana.

Secondo l’ultimo studio del CBO, l’attuale costo annuale del deterrente strategico è di soli $52 miliardi. Ciò include $13 miliardi per la forza sottomarina missilistica balistica, $7 miliardi per i missili balistici intercontinentali terrestri e $6 miliardi per la forza di bombardieri strategici. Oltre a ciò ci sono anche $13 miliardi per mantenere le scorte di armi nucleari, le infrastrutture e i servizi di supporto e $11 miliardi per il comando/controllo nucleare strategico, le comunicazioni e i sistemi di allarme rapido.

Nel complesso, e tenendo conto della normale inflazione e dei costi di sviluppo delle armi, la stima decennale del CBO per il deterrente nucleare strategico è di soli $756 miliardi. Si tratta di solo il 7,0% dei $10.000 miliardi per il costo decennale dell’attuale bilancio della difesa e solo del 5,0% dei $15.000 miliardi per la sicurezza nazionale se si includono le operazioni internazionali e i veterani.

Un ritorno all'idea di Eisenhower di $500 miliardi all’anno per la difesa vera e propria nel prossimo decennio consentirebbe quindi di risparmiare oltre $4.000 miliardi in suddetto periodo. E questi tagli sarebbero facilmente estraibili dalla linea di base da $9.000 miliardi del CBO per la spesa per la difesa, escludendo le forze strategiche.

Come indicato sopra, ad esempio, non ci sarebbe bisogno di 11 portaerei, comprese i loro velivoli, navi di scorta e supporto e infrastrutture di supporto, nell’ambito di una linea di politica incentrata sulla Fortezza americana. Queste forze sono comunque dei bersagli facili al giorno d’oggi, ma sono necessarie solo per la proiezione della forza all’estero e per le guerre d'invasione e occupazione. La costa americana e l’interno, al contrario, possono essere protetti dall’aria.

Tuttavia, secondo un altro studio del CBO, il costo di base in 10 anni per le 11 portaerei della Marina si avvicinerà a $1.000 miliardi. Allo stesso modo, le forze di terra dell’esercito americano costeranno $2.000 miliardi e anche questo principalmente allo scopo di proiettare le forze all’estero.

Come il senatore Taft e i suoi sostenitori riconobbero molto tempo fa, una superiorità aerea sul continente nordamericano è ciò che è necessario per la sicurezza nazionale. Ma anche ciò richiederebbe solo una piccola parte degli attuali $1.500 miliardi di costo decennale delle operazioni dell’aeronautica americana, che sono fortemente alimentate dalle capacità di proiezione della forza a livello globale.

In fin dei conti, una riduzione da $4.000 miliardi nella spesa per la sicurezza nazionale nel prossimo decennio è più che fattibile. Basta gettare il mito della Nazione Indispensabile nella pattumiera della storia, a cui appartiene da sempre.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 24 novembre 2023

Rubare il tempo è la principale fonte di sopravvivenza della pianificazione centrale e i contribuenti devono rimanerne all'oscuro

 

 

di Francesco Simoncelli

Non era nata come serie, ma lo sta diventando. Parlo del fatto che gli ultimi articoli che ho scritto io hanno sviluppato un filo conduttore che li accomuna e rappresentano uno il continuo dell'altro. Mi sono reso conto che sono diventati un piccolo excursus esplicativo che parla di come è stato corrotto il denaro, perché, come attraverso di esso viene rubato il tempo e gli effetti a breve/medio/lungo termine che ha avuto, e sta avendo tuttora, questo fenomeno. È importante leggerli, dato che vanno a inculcare non solo un po' di sano buon senso economico nella testa di chi ancora fa fatica a capire la natura del furto in cui si vede, suo malgrado, sottoposto, ma vedendo e individuando correttamente la mano che commette tale furto può applicare le adeguate contromisure. Ho scritto dapprima della natura dell'attuale crisi, tracciando un fil rouge storico tra le epoche per evidenziarne l'evoluzione; poi sono passato a descrivere come una tale crisi abbia lavorato sul patrimonio degli attori di mercato; infine mi sono concentrato su come gli attori di mercato vengano indotti a reagire alle finzioni affinché non possano indagare sui fatti e quindi avere un quadro completo della situazione economica reale (nonostante quest'ultima lavori in background).

Vorrei continuare, quest'oggi, a esplorare ulteriormente questo tema, perché ho notato che è molto sentito da parte dei lettori e rappresenta un ottimo modello di studio per tutti coloro che vogliono apprendere la metodologia d'indagine Austriaca. Abbiamo scoperto, nei pezzi precedenti, che lo stipendio medio attuale per un italiano viaggia intorno ai €9 l'ora e se volesse acquistare un'auto nuova, ad esempio una Fiat 500 nuova, potrebbe permettersi 1/2000 di tale automobile. In parole povere, la vita è diventata come le edizioni da collezione della DeAgostini che trovate in edicola, dove i pezzi sono diventati sempre più piccoli e le uscite sempre più costose.

Ciononostante è anche vero che i numeri di per sé sono sfuggenti e sospettosi; rimaniamo quindi nel campo del puro ragionamento logico. L’idea del “prezzo durante il tempo” è un modo abbastanza accurato per misurare il progresso approssimativo dell’umanità, il problema è che c’è di più in questa storia. Misuriamo i nostri progressi non in termini di “prezzi temporali”, ma rispetto ai nostri vicini, ai cognati e ai nostri stessi genitori. Stiamo meglio? Grazie al capitalismo e ai combustibili fossili (che attingono alla luce solare immagazzinata nella terra), anche il lavoratore più umile può mangiare frutta e verdura fuori stagione; può godere di divertimenti – 24 ore su 24, 7 giorni su 7 – che Luigi XIV non poteva nemmeno immaginare; può vedere l'Italia nella sua automobile e nel comfort dell'aria condizionata, ascoltando l'album IV dei Led Zeppelin, per soli circa €100 di benzina. Anche con il salario medio, sono solo 2 giorni di lavoro. E ovviamente l'auto non dev'essere per forza “comprata”, può essere finanziata, mese per mese; senza contare che anche la benzina stessa e gli snack possono essere acquistati a credito. Quest'ultimo, a livello di banche commerciali, è fondamentalmente alimentato dalla domanda commerciale e non è inflazionistico quando c'è un'idea produttiva, un piano imprenditoriale a supporto della richiesta di credito che quindi è in linea con la domanda di mercato. Quand'è che lo diventa? Quando le banche commerciali prestano denaro alla gente comune affinché compri cose con denaro che non hanno guadagnato in base alla promessa che faranno qualcosa di "utile" in futuro per ripagare il loro debito. Non solo, il credito diventa inflazionistico anche quando i margini di prestito vengono tagliati e le banche ricorrono alla leva finanziaria per compensare i mancati introiti, avviando il cosiddetto ciclo del credito.

Possiamo quindi affermare che la domanda di credito a livello di sistema bancario commerciale va principalmente in linea con la domanda commerciale di credito, quindi non sempre è inflazionistica. Dall'altro lato, però, c'è il sistema bancario centrale, la cui estensione di credito è sempre inflazionistica. Un esempio eclatante in merito è l'evoluzione del cambio dollaro/yen, dove la Banca del Giappone, implementando interventismi sempre più sfrenati a livello di politica monetaria ha portato i tassi d'interessi nominali in territorio negativo e ha alimentato enormi carry trade a leva: acquisto di yen a tassi negativi e investimento in titoli esteri (es. obbligazioni statunitensi a rendimento positivo). Fenomenale per chi ha incassato i profitti, terribile per la gente comune dato che lo yen è stato ammazzato a livello di potere d'acquisto.

E se consideriamo che il Giappone è un Paese che sopravvive grazie alle importazioni, in un momento in cui l'inflazione dei prezzi è scoppiata in ogni dove ciò ha rappresentato un dramma per la gente comune.  Ovviamente questo non era nell'interesse della BOJ quando, oltre ai vari giri sterili di QE, è andata anche oltre passando al controllo della curva dei rendimenti. Questa è una giostra che va avanti fin quando non vengono rimpatriati i fondi investiti in questo tipo di operazioni e dato che da più di un anno a questa parte il dollaro è tornato a essere un asset altamente prezioso in questa fase della congiuntura economica, lo yen non poteva far altro che crollare miseramente nei suoi confronti. In sintesi, gli economisti giapponesi hanno aderito perfettamente al vangelo keynesiano dello stimolo mercantilista delle esportazioni, nel vano tentativo di jump-startare l'economia stagnante del Paese, ma l'unica cosa che hanno realmente esportato è stato il potere d'acquisto della popolazione giapponese.

Mentre i ricchi sono diventati ancora più ricchi, il ceto medio non è andato da nessuna parte ed è diventato più povero; non solo in Giappone, ovunque nel mondo, perché questo tipo di operazioni d'ingegneria finanziaria sono state perseguite dappertutto per evadere dal pantano dei tassi artificialmente bassi e ottenere un ritorno decente sugli investimenti (soprattutto da parte dei fondi pensione). Un proxy affidabile per misurare il livello accresciuto di povertà è senza dubbio l'adesione forsennata da parte degli italiani ai vari programmi dello stato sociale, cresciuti a macchia d'olio soprattutto negli ultimi 3 anni; oppure l'aumento marcato dei furti per necessità; oppure i lavoratori che vivono in case condivise con studenti.

La dipendenza del settore retail dal credito ha creato un ambiente in cui le auto sono finanziate, le case sono ipotecate, ci sono pochissimi risparmi, il capitale è pressoché inesistente e non c'è molto margine di errore. Come mai tutta questa “tecnologia” e il credito non hanno espanso il bacino della ricchezza reale? Scienziati, dottorati di ricerca, “stimoli” da parte delle banche centrali, più economisti, più tecnologia, più “conoscenza” accumulata disponibile sui nostri smartphone e Pc. Ora non dobbiamo nemmeno più pensare con la nostra testa, c'è l'intelligenza artificiale. E chi non credeva che grandi imprese come la Fiat non sarebbero durate per sempre? Tutto quello che bisognava fare era prendere in prestito un sacco di soldi, acquistare imprese e assumere pezzi grossi per gestirle. Sembrava così semplice, eppure non ha funzionato... nemmeno per le grandi imprese come la Fiat. L'impero degli Agnelli si è espanso e adesso, sovraccarico di debiti, inefficienze e disfunzioni, si sta contraendo. Il credito funziona solo quando viene utilizzato per aumentare l’efficienza e la produzione; il semplice acquisto di cose, siano essi articoli di consumo o attività commerciali, non aiuta.

Ciò è evidente anche nei conti nazionali. La BCE, con il suo euro scoperto, ha fornito credito: c'è chi lo ha usato per puntellare un impero traballante, i consumatori lo hanno usato per acquistare televisori a schermo piatto e ripiani in granito, i burocrati lo hanno usato per pagare, tra le altre cose, una pletora di attività assistenzialiste. E ora il credito sta diventando più costoso e il ciclo del credito (eliminazione dei debiti inesigibili) diventa doloroso, soprattutto per la gente comune che dipende da esso. Certo, si può rilanciare un’economia – temporaneamente – con il credito, "alzando i salari" come hanno chiesto i sindacati durante lo sciopero della scorsa settimana.. La gente pensa che siano “soldi” veri, pensa che i suoi salari possano aumentare in questo modo, che le vendite stiano aumentando; più tardi scopre che il boom era una frode ed era un viaggio di andata/ritorno verso il nulla.

E se lo stesso valesse per la “tecnologia”? E se i programmi di assistenza sociale, o l'ingegneria finanziaria, non aumentassero la nostra ricchezza ma la sottraessero assorbendo tempo e risorse che potrebbero essere meglio utilizzate altrove? La Fiat 500 ha una miriade di chip in silicio al suo interno: e se nessuno di essi vi porta dove volete andare veramente?


ECCEZIONE?

Tutto ciò non importa a livello mainstream, i politici permettono alle persone di vivere in una bolla. Al sicuro da ogni turbamento. È quello che sostiene Tajani ad esempio, secondo il quale l'Italia è in grado di evitare una recessione. Sulle basi reali di cosa non è chiaro, ma fondamentalmente l'assunto è sempre lo stesso: ci si stringe denti e unghie alla definizione di recessione tecnica, ovvero tre trimestri di crescita negativa del PIL (fattore che può essere aggiustato statisticamente ad hoc, tra l'altro). Finché non si manifesta tutto può andare bene... giù dal precipizio. Tajani mi riporta alla mente Lyndon Johnson quando dichiarò che gli Stati Uniti erano pienamente in grado di pagare per la sua linea di politica “Guns and butter” – riferendosi alla Great Society in patria e alla guerra del Vietnam nel Sud-est asiatico. La campagna di Johnson fu un flop: la Heritage Foundation calcola che siano stati spesi $22.000 miliardi per la guerra alla povertà e nel 1965 il tasso di povertà era del 14%; oggi è più o meno lo stesso. E la guerra in Vietnam finì come era iniziata: vergognosamente. Ma la spesa “Guns and butter” di Johnson ebbe conseguenze: alimentò l’inflazione degli anni ’70 insieme al cambiamento fatale nel sistema monetario statunitense del 1971.

L'anno prossimo gli interessi sul debito italiano supereranno i €100 miliardi e si prevede che tale spesa salirà ulteriormente negli anni a venire man mano che il debito aumenterà insieme ai tassi d'interesse. Il debito pubblico italiano è di quasi €3.000 miliardi e ogni anno una quota sempre maggiore deve essere rifinanziata, a tassi sempre più alti. Ciononostante Moody's è ottimista sul debito italiano, ignorando che il denaro pagato ai creditori in passato non è lo stesso che ricevono oggi e i soldi che riceveranno domani non saranno gli stessi che riceveranno oggi. L'euro infatti si è più che dimezzato sin da quando è nato, senza contare che ora i deficit di bilancio sono più grandi che mai e i tassi d'interesse stanno salendo, non scendendo. Quindi ogni ulteriore incremento del debito sarà più costoso. Non solo, ma c'è un'ulteriore variabile che è cambiata: la globalizzazione non sta più facendo scendere i prezzi come in passato. Nel 1978 la Cina iniziò una serie di riforme che l'hanno trasformata in una potenza economica. “Diventare ricchi è glorioso”, disse Deng Xiaoping liberando circa 500 milioni di persone e consentendo loro di fornire prodotti sempre più economici ai consumatori occidentali. Questa tendenza si è esaurita: i lavoratori in Cina non si accontentano più di lavorare per pochi spiccioli; le importazioni non sono più a buon mercato.

Cos’altro potrebbe rendere l’inflazione di domani peggiore di quella di ieri? La rivoluzione industriale non garantisce più grandi aumenti di produttività e il groviglio di regolamenti, restrizioni e meschine pratiche burocratiche è diventato sempre più pesante. Una minore produzione significa inevitabilmente prezzi più alti.

Mettiamo tutto insieme:

• Due guerre alle porte dell'Europa;

• Tassi d'interesse in rialzo, non in calo;

• Le importazioni dalla Cina non tengono più bassi i prezzi;

• Più regolamentazione che mai;

• La rivoluzione industriale ha raggiunto rendimenti marginali decrescenti;

• I tassi di crescita del PIL sono un infinitesimo rispetto a quelli degli anni ’60.

Mentre la stampa finanziaria celebra il presunto calo dell’inflazione rispetto allo scorso anno, il tasso d'inflazione reale è aumentato negli ultimi tre mesi.


SOTTO LA SUPERFICIE

Per ora i mercati sembrano compiacenti di fronte a questi fattori, ma con l’evolversi della situazione è improbabile che duri e i prezzi del petrolio e del gas potrebbero aumentare in modo significativo all'aumentare di questi rischi. Gli stock di energia europei non sono sufficienti per sostenere l’Europa durante l’inverno e le riserve strategiche degli Stati Uniti sono ormai esaurite. Non c’è momento migliore affinché il cartello dell'OPEC+ forzi i prezzi al rialzo, e con la rinnovata conferma del taglio di 1,3 milioni di barili di petrolio al giorno, è esattamente ciò che stanno facendo i sauditi e la Russia. È probabile che anche i prezzi del gasolio aumentino, se non altro perché la Russia ha smesso di esportarli. L’importanza del diesel è che oltre il 95% di tutta la logistica di distribuzione europea viene fornita tramite questo combustibile, aumentando i costi di produzione e consegna di tutti i beni di consumo. Chissà, forse Scholz, a tal proposito, ha letto il mio tweet allegato sopra e adesso sta iniziando a recuperare un po' di sano buon senso...

I prezzi al consumo sono ciò che le banche centrali guardano quando impostano i tassi d'interesse e a causa dei fattori energetici, la prospettiva è che l’aumento dei prezzi al consumo e all’ingrosso acceleri nuovamente. Inoltre i bilanci delle banche commerciali sono fortemente indebitati e si sono trovate a fronteggiare un calo dei valori degli investimenti obbligazionari, mentre i costi di finanziamento sono aumentati al di sopra dei loro rendimenti. Stanno scoprendo che i prestiti immobiliari e alle imprese sono minacciati da tassi d'interesse più alti e condizioni di recessione. Nell’attuale contesto ci sono pochissimi acquirenti di questi asset se le banche sono costrette a liquidare le garanzie, di conseguenza cercano di ridurre dove possono i prestiti e il rischio sui loro bilanci. Questo è il motivo per cui, indipendentemente dalla linea di politica del sistema bancario centrale, la carenza di credito sta spingendo i tassi per i prestiti verso l’alto e il costo della novazione del debito in scadenza è in aumento, laddove viene approvato, ovviamente, dato che è una cosa che accade sempre più raramente ormai. Si tratta di una stretta creditizia vecchio stile che non si vedeva dagli anni ’70 ed è appena iniziata.

Come già spiegato nei pezzi precedenti, stiamo assistendo a un cambiamento di tendenza: da un trend primario a un altro, dal lungo calo dei tassi d'interesse sin dagli anni ’80 al loro rialzo costante e progressivo adesso. Il mondo delle valute fiat ha virato sempre più verso la destabilizzazione, non a causa del distacco dall’oro e dell’aggiustamento dei mercati di conseguenza, come negli anni ’70, ma a causa dell’estrema soppressione dei tassi d'interesse, degli eccessi inflazionistici, della creazione di debito improduttivo e degli eccessi del debito pubblico. Nel 2022 il rapporto debito/PIL dei Paesi del G7 era in media del 128%: in testa alla classifica c'è il Giappone con il 260,1%, seguito dall'Italia con il 144%, gli Stati Uniti con il 121,3%, la Francia con il 111,8%, il Canada con il 107,4%, il Regno Unito con il 101,9% e la Germania con il 61,8%. Il ritorno a condizioni d'instabilità monetaria, come negli anni ’70, spinge a porsi una domanda cruciale: come continueranno a essere finanziati questi deficit di bilancio?

Nei primi anni ’80 la tendenza a lungo termine scontava un calo dei rendimenti obbligazionari, quindi ogni partecipante alle aste dei titoli di stato sapeva che col tempo i valori di quelle obbligazioni sarebbe migliorato, anche se le prospettive a breve termine erano incerte. Anche se sarebbe un errore ignorare le competenze con cui le autorità e gli operatori primari gestiscono le aste del debito pubblico, la tendenza attuale ci suggerisce invece che ci saranno momenti in cui suddette aste andranno deserte. Questo spiega perché, ad esempio, Cassa Depositi e Prestiti in Italia abbia lanciato una campagna pubblicitaria da €3 milioni per piazzare la sua tranche da €2 miliardi in obbligazioni (senza contare poi la fanfara sui giornali riguardo al "miracolo" del calo del delta mensile dell'inflazione, tutto davvero comodo per piazzare cedole al 5% su tali titoli). Negli anni ’70 accadde più volte che le aste obbligazionarie andassero deserte nel Regno Unito, ad esempio, con cedole pari o superiori al 15%; immaginate cosa farebbero oggi tassi di finanziamento simili alle finanze pubbliche, con il rapporto debito/PIL in media del 128% lo scorso anno...

Un ulteriore problema derivante dagli eccessi del passato è che l’intero sistema bancario, dalle banche centrali in giù, è in gravi difficoltà: tutte hanno un equity negativo quando realisticamente contabilizzato. Le banche centrali sostengono che ciò non è rilevante, perché intendono mantenere i propri investimenti fino alla scadenza; tuttavia un qualsiasi salvataggio di banche commerciali chiamerà in causa questo fattore determinante, perché il loro fallimento tecnico potrebbe diventare un ostacolo soprattutto per la fiducia nelle loro valute. Attualmente l’epicentro di una crisi bancaria mondiale è l'Europa, ecco perché c'è una fuga di capitali verso il dollaro prima che subentri un contagio finanziario più ampio.

La condizione del sistema bancario europeo è quindi fondamentale per l’economia mondiale, ma ora non solo il credito bancario non cresce più, si sta fortemente contraendo.

Il grafico qui sopra rappresenta le cosiddette riserve in eccesso, quel denaro che la BCE aveva iniettato nel sistema bancario commerciale durante i vari giri di QE affinché potesse comprare sul mercato secondario i titoli sovrani dei vari Paesi in difficoltà. Anche se tecnicamente non in circolazione pubblica, rappresentano una forma alternativa di depositi per i fondi del mercato monetario che altrimenti si sarebbero riflessi nei depositi bancari. Questa contrazione del credito nel sistema bancario è molto probabilmente dovuta alla conversione di tali riserve in obbligazioni sovrane, soprattutto debito pubblico a breve termine considerato la forma d'investimento più sicura. Ciò è del tutto coerente con la riduzione del rischio del credito bancario e del sistema bancario ombra.

Insomma, per quanto sia stata approvata una quantità infinita di norme affinché si proteggesse l'ambiente bancario da tutte quelle criticità che in passato ne hanno minato le basi, salta fuori sempre un dettaglio che invalida l'interventismo precedente.... per quanto capillare sia stato. Forse perché è esattamente l'interventismo la radice di tutti i mali economici? Le norme di Basilea III, ad esempio, hanno affrontato i problemi di liquidità dei bilanci, ma non sono riuscite a contenere l’eccessiva espansione del credito bancario rispetto al capitale azionario. Di conseguenza le autorità di regolamentazione dell’Eurozona e del Giappone hanno tollerato rapporti asset/equity superiori anche a venti volte per le loro banche di rilevanza sistemica mondiale, mentre in passato rapporti da dodici a quindici volte erano considerati pericolosamente alti. La contrazione del credito bancario sarà quindi più catastrofica in queste giurisdizioni che negli Stati Uniti, dove i rapporti per le principali banche commerciali sono generalmente inferiori a dodici volte.

La stima dei rapporti di bilancio non racconta tutta la storia, ci sono anche fattori fuori bilancio, principalmente passività nei mercati dei derivati regolamentati e OTC che per le G-SIB sono più grandi del loro intero bilancio messo insieme. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, lo scorso giugno le posizioni aperte sui futures regolamentati ammontavano a $37.000 miliardi e nel dicembre dell'anno scorso il valore nozionale dei derivati OTC ammontava a ulteriori $630.000 miliardi, per un totale di $667.000 miliardi. Banche, compagnie assicurative e fondi pensione sono le controparti di queste transazioni e il fallimento di una di esse potrebbe minacciare l’intero sistema finanziario. Il quadro generale è quello di una bolla che è giunta al termine e, sotto ogni punto di vista, è stata la più grande mai registrata.


CONCLUSIONE

Non è solo una questione di aumento delle bollette o del carrello della spesa. Più in generale non si spiega come mai, nonostante tutte le note positive che si leggono sui giornali e in questo pezzo di Repubblica in particolare, l'UE non stia outperformando Cina e Stati Uniti. Infatti il contributo al PIL da parte del settore estero ha aiutato l’area Euro a evitare una recessione (tecnica), poiché le esportazioni sono rimaste solide mentre le importazioni sono scese. Senza contare che la posizione della BCE, nonostante il rialzo dei tassi, è stata ancora accomodante. Infatti il programma anti-frammentazione e il fondo Next Generation EU continuano a sostenere il debito dei Paesi fiscalmente irresponsabili e il bilancio della BCE rappresenta oltre il 50% del PIL dell’Eurozona, rispetto al 30% di quello della Federal Reserve. E badate bene, adesso anche il mainstream economico (es. Borio, Congdon & Castañeda) ha realizzato che la politica estremamente accomodante da parte delle banche centrali ha creato la fiammata inflazionistica che stiamo ancora oggi sperimentando,

Malgrado gli enormi pacchetti di stimolo, la spesa in deficit, la politica monetaria accomodante e il sostegno esterno di gas e carbone a basso costo… non c’è crescita. Viviamo nel Paese dei balocchi keynesiano e nonostante ciò le cose vanno a rotoli. E a questo giro non si può nemmeno dare la colpa al rallentamento della Cina. Come già detto le esportazioni sono rimaste sostenute, ciononostante la Germania è in recessione, con Francia e Italia che sfoggiano una crescita zero.

Il problema dell’Eurozona, quindi, non è la Cina, i rialzi dei tassi, o la guerra in Ucraina: è la pianificazione centralizzata. Sovvenzionare settori obsoleti e aziende zombi, gonfiare la spesa pubblica e aumentare le tasse sui settori più produttivi (es. aziende tecnologiche, come Uber Eats o Airbnb) stanno allontanando le industrie e i settori ad alta produttività. La spesa pubblica è ora la componente principale del PIL in Paesi come Francia o Italia ed è in aumento in tutta l’Eurozona. L’attuazione di decisioni economiche imposte a livello politico hanno paralizzato le opportunità d'investimento nell’area Euro e la politica energetica è un’area chiave in cui la stagnazione è evidente. Una politica energetica sbagliata rende l’industria meno competitiva e l’economia più vulnerabile, poiché i prezzi dell’elettricità e del gas per le famiglie e le industrie sono significativamente più alti che in Cina o negli Stati Uniti a causa dell’accumulo di tasse e oneri normativi. Non si può ridurre l'inflazione per decreto. Non si può far ripartire un'economia stagnante per legge. Il parlamento non può votare di cambiare la congiuntura internazionale, soprattutto la volontà che ha avuto l'Europa di castrare quel poco che gli rimaneva dal punto di vista energetico. Nonostante la morsa economica stia stringendo sempre di più e spremendo sempre di più la vita della maggior parte delle presone, nessuno ancora chiede di ricominciare a far pompare grandi quantità di gas dalla Russia; nessuno chiede una politica estera che permetta approvvigionamento di risorse energetiche a basso costo fregandosene di chi erano i Paesi e i relativi politici che li governavano; nessuno chiede alla politica interna di evitare di bloccare il traffico in base a "scelte green" scellerate riguardo lo spostamento dei veicoli; ecc. È vitale capire come funziona il denaro, cos'è, le decisione scellerate che ci hanno portato fino a questo punto, chi le ha prese e perché le ha prese. Siccome tanti non hanno capito dove stanno i problemi, non possono chiedere di risolverli; chiederlo a gran voce, invece, non solo è dannoso ma fa anche il gioco di chi li ha creati in prima istanza quei problemi, perché è ben contento del fatto che la maggior parte delle persone non sappia quali sono davvero.


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