venerdì 5 maggio 2023

Il danno socioeconomico dell'interventismo è ormai evidente

 

 

di Francesco Simoncelli

Se dovessi scegliere un libro dalla bibliografia di Mises e consigliarne la lettura, per la sua lungimiranza e "preveggenza", la scelta cadrebbe su Bureaucracy. Per quanto ci sia Planned Chaos che in qualche modo ha descritto con sommi dettagli e particolari il meccanismo alla base della collisione dell'economia mista in quella socialista, tale processo teorico non ha la stessa portata impattante rispetto al manuale in cui si analizza la malattia nella sua parte pratica. La maggior parte delle persone è giocoforza costretta a interfacciarsi con la pletora crescente di burocrati che oggi infestano quasi ogni ambito della vita sociale. Che siano lavoratori attivi all'interno di questo girone infernale oppure attori passivi che beneficiano delle rimesse del welfare state, essi rappresentano un avallo di quella che potremmo definire Legge di Parkinson applicata alla burocrazia: quest'ultima si espande all'aumentare del tempo che c'è bisogno per conformarsi a essa. Scartoffie, pratiche, norme, regole, abilitazioni sono tutte analogie per rappresentare un furto del tempo e, di conseguenza, di risorse. La linfa vitale della pianificazione centrale è rappresentata esattamente da questa crescita ipertrofica, la quale, però, sterilizza progressivamente tutti i tentativi dell'economia di mercato di riportare equilibrio nell'allocazione e segnalazione corretta dei fenomeni di mercato. La burocrazia preme violentemente sul bacino della ricchezza reale, andandolo a svuotare al crescere della sua ingerenza.

Il problema, per dirla in breve, è che non ci si può più permettere illusioni. Con l'aumento dei prezzi non ci si può permettere di "stampare" denaro per pagarli. C'è stato un tempo in cui suddetto bacino era vigoroso e prospero, ma i pianificatori centrali, giustificati dalla dottrina keynesiana che ha permesso loro di abusare dell'interventismo centrale nell'economia, l'hanno prosciugato fino all'osso. Promesse elettorali, spese faraoniche e posti di lavoro insostenibili sono solo tre dei principali aspetti che hanno parassitato e rischiano di farlo diventare negativo (se non c'è già diventato). Il mondo alla rovescia costituito da politiche fiscali e monetarie deliranti hanno venduto una comoda illusione agli elettori/contribuenti, solleticando la loro indole socialista: è possibile vivere al massimo col minimo sforzo grazie ai pasti gratis. In realtà questo dispositivo retorico aiuta solamente chi sta a monte dell'Effetto Cantillon, sottraendo risorse e tempo, invece, da chi sta a valle. Certo, alcuni di coloro che stanno a valle guadagnano qualcosa, ma sono solo briciole per far andare avanti il processo e alimentare l'illusione che esso sia sostenibile. Migliaia di miliardi in "stimoli" hanno rallentato la crescita del PIL, tagliato i salari reali, caricato i Paesi con migliaia di miliardi in debiti, premiato i clientes con prezzi degli asset più elevati, reso i poveri dipendenti dall'elemosina statale e portato l'inflazione dei prezzi al consumo a tutti.


“QUANDO QUALCOSA NON PUÒ PIÙ ANDARE AVANTI, SI FERMA”

La recente dichiarazione da parte del governatore della Banca d'Inghilterra vi dice tutto quello che dovete sapere quando l'economia mista finisce inevitabilmente per pendere prepotentemente sullo spettro socialista. Inutile dire che la causa di questo deragliamento è stata l'introduzione del denaro scoperto sulla scia della fine di Bretton Woods, più in particolare la fine del gold coin standard con la prima guerra mondiale. Da lì in poi è stata una classica discesa all'inferno monetario e sociale, dove la corruzione del denaro ha diffuso in tutto l'ambiente economico un decadentismo artificiale e forzato solo per mantenere in piedi una struttura organizzativa la cui sopravvivenza s'è sempre basata sul saccheggio. Ecco perché adesso si parla tanto di ripristinare una sorta di ordine in mezzo al caos, ma quest'ultimo non è stata altro che la risultante di un processo di pianificazione centrale il cui successo, per quanto fosse proferito a parole, ha sempre mancato di realizzarsi. L'intezione adesso di coloro che hanno propagandato questo status quo è quello di riciclare l'attuale sistema in uno "nuovo", ma che continui ad avere le caratteristiche di quello precedente. Il problema con questo approccio è che decenni di inflazionismo e distorsione dei segnali economici hanno frantumato i mercati dei capitali e la loro struttura, di conseguenza qualsiasi "grande piano" di ripristino del sistema attuale finirà in un fallimento. Perché? Perché essendo rotti i mercati dei capitali non c'è alcun spazio di manovra affinché un sistema basato sul saccheggio possa continuare ad andare avanti. Cosa si saccheggia se non viene creata nuova ricchezza reale?

Si finisce per avere una società che si autofagocita e l'unica cosa che la tiene insieme è un maggiore comando/controllo fino alla deflagrazione ultima. Ciò che ha ritardato questo esito è stato un arbitraggio una tantum sulle catene di approvvigionamento mondiali ampliate dalla tecnologia moderna. Non è stata solo una meraviglia del capitalismo, ma anche le folli politiche monetarie delle banche centrali, prima con Greenspan e poi con Bernanke. Quando Deng dichiarò che essere ricchi era bello e aprì le grandi fabbriche dell'export cinese, questo singolo evento ebbe un effetto disinflattivo sul costo e sul livello dei prezzi statunitensi (gonfiati dalla Grande Inflazione degli anni '70). Se Alan Greenspan avesse permesso alla struttura dei costi della nazione di sgonfiarsi per mantenere competitiva la produzione interna, sarebbe stato buttato fuori a calci da Washington; sarebbe stato diffamato dai politici perché la cura attraverso un rialzo dei tassi e la contrazione del credito avrebbe reso quasi impossibile finanziare i giganteschi deficit federali dell'era Reagan.

Così Greenspan finse di essere il paladino del libero mercato prendendosi il (falso) merito per quella che si compiacque di definire “disinflazione”. Quest'ultima equivaleva a deprezzare deliberatamente il potere d'acquisto dei risparmiatori e dei salariati, ad alimentare un'inesorabile riduzione della produzione interna e all'importazione di beni prodotti all'estero attraverso la manodopera a basso costo che veniva requisita dalle risaie della Cina. Inutile dire che in un'economia globalizzata il denaro fiat è un abile mezzo con cui imbrogliare chi sta a valle del cosiddetto Effetto Cantillon.

Ha anche permesso alla FED di affermare di aver sconfitto l'inflazione e che la sua nuova sfida fosse la "lowflation", o inflazione dei prezzi troppo bassa. Qui è stato quando i banchieri centrali keynesiani hanno completamente perso la testa. Il problema con la "bassa inflazione" è che si trattava di un'aberrazione una tantum, non di una condizione permanente o sostenibile: l'inversione dell'effetto della globalizzazione e l'esaurimento della Cina come contenitore di manodopera a basso costo e prodotti a basso costo sono la prova. Non sorprende quindi che l'inflazione dei prezzi che è stata alimentata dal sistema bancario centrale si stia ora dimostrando molto più ostinata di quanto avessero previsto i pianificaotri monetari centrali e molto più feroce di quanto avessero mai immaginato i politici.


LA RADICE DI TUTTI I MALI ECONOMICI MODERNI: L'INTERVENTISMO

Uno degli argomenti più forti contro l'intervento centrale nell'economia arriva dalla Scuola Austriaca e da Friedrich Hayek in particolare. La chiave che guida la loro teoria è che le risorse economiche, che siano capitale o lavoro, non sono intercambiabili. Ovvero i beni capitali e gli esseri umani possono contribuire solo in un numero finito di modi al processo produttivo di creazione del valore. La struttura produttiva dell’economia è come un puzzle dove le tessere che rappresentano capitale e lavoro devono essere combaciare secondo combinazioni particolari. Solo pezzi specifici possono essere collegati ad altri. Tuttavia, a differenza dei puzzle reali, non possediamo un’immagine completa di ciò che stiamo andando a comporre. Invece utilizziamo il feedback prodotto dai prezzi e dal meccanismo profitti/perdite per sapere se i pezzi combaciavano bene assieme oppure no. Se questi segnali funzionano bene, allora riusciremo a creare buone combinazioni di pezzi. Un’altra cosa interessante che distingue il processo produttivo dai puzzle è che potremmo non aver bisogno di tutte le tessere assieme per creare un’immagine che abbia senso e sia desiderabile.

I tassi d'interesse artificialmente bassi imposti dalla banca centrale e dagli interventi statali indeboliscono i segnali che prezzi e profitti forniscono in merito alla bontà delle combinazioni dei pezzi. Il risultato è un puzzle che usa quasi tutte le tessere a disposizione, ma dove queste ultime sono tenute assieme in modo forzato e in un modo che non produce nessuna immagine che abbia senso. In altre parole, la struttura produttiva dell’economia non è più sostenibile, come accaduto nel 2008. La recessione consiste nello smantellare il puzzle e la ripresa è invece il tentativo di ricostruirlo, ma stavolta in maniera tale che i pezzi si combinino bene assieme. La nostra situazione attuale, ovvero un modo dominato da alta disoccupazione e basso investimento, è l’equivalente di un puzzle dove tanti pezzi sono in attesa di essere combinati assieme.

Chi chiede a gran voce uno stimolo pubblico argomenta che ciò di cui abbiamo bisogno è la spesa, la tanto buona e vecchia spesa, per far ripartire l’economia. Ma questo ragionamento presume che non sia importante dove capitale e lavoro inoperosi siano messi all’opera e in quali attività. Per necessità devono far finta che le risorse non siano specifiche e lo scopo di un puzzle non è usare tutte le tessere ma ordinarle in modo da formare un’immagine comprensibile. Il presupposto di chi richiede più stimolo pubblico è che ci sono dei progetti che non aspettano altro di essere portati a compimento, se solo ci si vuole spendere denaro. Comprare, assumere e produrre per il solo scopo di “fare qualcosa” andrà a creare una struttura produttiva che si dimostrerà presto insostenibile. Alcuni progetti potrebbero essere anche già pronti a partire immediatamente, ma moltissimi altri richiederanno ingegneri e altri che li pianifichino. Se la maggioranza dei disoccupati è nel settore delle costruzioni e della finanza, i progetti non saranno in grado di trovare gli ingegneri di cui hanno bisogno al salario che si possono permettere e quindi la disoccupazione non calerà.

Politici e burocrati non hanno la conoscenza per sapere quali pezzi si combinano bene tra loro, anche perché non possono sapere la natura delle risorse non utilizzate e dei desideri dei consumatori. Non sanno ciò che è necessario per creare una ripresa sostenibile. Una delle più importanti deduzioni di Hayek e degli Austriaci è che prezzi, profitti e perdite servono come surrogato di questa conoscenza per coordinare in modo decentrato la decisioni di produttori e consumatori, le quali spesso sono basate su altra conoscenza che non possono comunicare in altro modo. 

Politici che strutturalmente non sono in grado di sapere come allocare in modo efficiente le risorse economiche, finiscono inevitabilmente per distribuirle a quelle persone e gruppi che daranno loro il supporto elettorale maggiore. La cautela degli Austriaci sui limiti della conoscenza dei politici suggerisce che non importa quale sia la teoria, la politicizzazione dello stimolo fiscale non è un caso e non potrà essere evitata. E finanziamenti diretti a gruppi sulla base del loro potere elettorale assicureranno che non si raggiungerà la giusta combinazione di capitale e lavoro.

Che si può fare quindi? La risposta è contenuta all’interno della critica stessa: liberare la concorrenza, i prezzi, i profitti e le perdite in modo che gli imprenditori e non solo loro possano portare a termine il processo di smantellamento degli errori del boom e capire come riallocare le risorse in modo che siano utilizzate nel modo migliore. Questo processo richiede tempo, ma se i politici smettono di metterci le mani e lasciano che i processi di mercato facciano il loro lavoro, in modo particolare smettendo di salvare le aziende in bancarotta e lasciando che queste vendano i loro asset a chi li potrà mettere all’opera in modo più efficiente, la ripresa arriverà molto velocemente.

Prima dell’avvento del keynesismo, quasi tutte le recessioni duravano poco dal momento che i produttori era lasciati liberi di ricombinare le tessere del puzzle in combinazioni migliori. È proprio la mancanza di fiducia nel mercato, assieme alla mal riposta fiducia nel processo politico, prodotti dalla dottrina keynesiana ad averci portato a pensare che uno stimolo fiscale/monetario sia necessario ed efficiente per farci uscire dalla crisi. Hayek e gli Austriaci, invece, ci hanno dato buone ragioni per pensarla diversamente.


LA GIUSTIFICAZIONE  DELLA RADICE DI TUTTI I MALI ECONOMICI MODERNI: IL KEYNESISMO

Ho dedicato un intero capitolo nel mio libro, La fine delle fallacie economiche, per confutare la dottrina keynesiana ed evidenziare il male economico che ha praticamente abilitato nel mondo. Oggi mi vorrei concentrare su un punto specifico di quella dottrina: la giustificazione dell'interventismo centrale nell'economia.

Innanzitutto, chi era Keynes e perché era considerato una mente brillante? Quest’uomo merita veramente le lodi che riceve dall’establishment intellettuale strettamente allineato al governo? Per rispondere a queste domande, è necessario osservare i primi anni del XX secolo del famoso economista. Innanzitutto Keynes non nacque in una famiglia con pochi mezzi: venne incredibilmente privilegiato durante la crescita da suo padre, John Neville Keynes, il quale fu una figura importante all’interno della Cambridge University. Con l’aiuto di suo padre e del buon amico di suo padre ed economista Alfred Marshall, il giovane Keynes venne introdotto alla vita aristocratica della classe intellettuale della Gran Bretagna e aderì agli Apostles come studente dell’Università di Cambridge. Gli Apostles erano una società segreta riservata a coloro connessi con o nella classe dirigente del paese. L’appartenenza di Keynes avrebbe finito per plasmare la sua visione dell’umanità in generale: ciò lo avrebbe portato all’adozione di una tendenza egocentrica ed elitaria per gran parte della sua carriera.

Quindi tutto cominciò a Cambridge con gli Apostles. Lui e gli altri membri avrebbero spesso fatto riferimento a quelli che non erano all’interno della cricca altamente segreta come “fenomeni” e non “reali”. Come studente universitario, Keynes scrisse in una lettera al suo amico Giles Lytton Strachey:

E’ monomania — questa colossale superiorità morale che percepiamo? Ho la sensazione che la maggior parte del resto [del mondo esterno agli Apostles] non abbia mai visto niente — sono  troppo stupidi o troppo malvagi.

Il senso di superiorità di Keynes era anche accompagnato dal disprezzo degli Apostles verso concetti e valori morali in possesso della classe media, come la parsimonia. Dopo la laurea avrebbe contribuito a formare il Bloomsbury Group, che divenne una forza intellettuale nel XX secolo in Inghilterra. Il Bloomsbury Group, come gli Apostles, abbracciava i punti di vista d’avanguardia verso l’estetica e la morale e detestava i valori tradizionali. Gran parte dell’odio di Keynes verso le visioni del bene e del male fu il frutto dell’influenza di un professore di filosofia al Trinity College, di nome G.E. Moore. Per Maynard, il capolavoro di Moore, Principia Ethica, era “eccitante, esilarante, l’inizio di un nuovo rinascimento, l’apertura di un nuovo paradiso in Terra”. Nel suo libro di memorie, My Early Beliefs, Keynes insisteva sul fatto che l’etica personale di Moore “rese la morale inutile. [...] Abbiamo completamente ripudiato la responsabilità personale dell’obbedienza a regole generali”. Verso la fine dello scritto, garantisce ai suoi lettori che “rimango e sempre rimarrò un immoralista”.

La razionalizzazione di Keynes dell’intervento statale e l’ego gonfiato lo portarono a essere uno degli economisti più ricercati durante i primi anni della Grande Depressione. Per il politico che si immagina come un modellatore della società perfetta, le teorie presentate da Keynes, che divorziavano da ogni parvenza di realtà, erano una manna dal cielo: la General Theory avrebbe continuato a fornire la copertura intellettuale necessaria alla classe politica, per convincere l’uomo della strada che solo lo stato avrebbe potuto consegnare la terra dell’abbondanza. La più controversa delle teorie di Keynes era quella secondo cui gli investimenti devono essere socializzati per praticare, in un certo senso, l’”eutanasia” del redditiero, che non possedeva redditi giustificabili. Arrivò persino a scrivere “L’interesse, oggi, non premia alcun sacrificio vero e proprio. [...] Non ci sono ragioni intrinseche per la scarsità del capitale”. La soluzione definitiva sarebbe stata quindi quella di progettare “un aumento del volume del capitale fino finché cessi di essere scarso”. Fare ciò significava ridurre il tasso d'interesse per i mutuatari, ampliando l’offerta di denaro. Per la gioia dei funzionari pubblici, a ciò avrebbe fatto seguito, in tandem, un aumento della spesa pubblica.

Naturalmente questa strategia avrebbe successo se non fosse per un dettaglio fondamentale: il capitale non è costituito da pezzi di valuta fiat; il capitale è formato da risparmi reali rappresentati da cose come le macchine industriali, le catene di montaggio, l’attrezzature delle fabbriche, i cavi ottici e le materie prime. In altre parole, non è vero che il capitale non può essere reso scarso poiché può essere stampato a comando. Tuttavia questa verità non riesce a far smettere le promesse politiche di pasti gratis a vita agli elettori suscettibili. Ed è per questo che la General Theory non era solo un libro sulla teoria economica; era una guida sul come vincere le elezioni. Ci sarebbe da meravigliarsi allora perché così tanti apologeti dello stato sostengono che esso contenga una saggezza senza limiti?

Infatti quale politico non adora sentire che la prosperità si trova a poche leggi di distanza? Il mondo degli aggregati omogenei che Keynes presentò all’establishment alimentò il desiderio lussurioso di controllo della società. In un mondo di fredde statistiche, le persone non sono altro che pedine su una scacchiera da spostare avanti e indietro. Le obiezioni non contano nulla; il percorso verso la virtù è visto solo da quei pianificatori centrali che, come Keynes, si considerano “eletti”, non vincolati dagli istinti primordiali della gente comune. In breve, John Maynard Keynes non si è limitato a fornire una mappa per un’economia gestita a livello centrale, lo ha fatto avvolgendo la sua disonestà intellettuale in un gergo incomprensibile ma carismatico. Come Murray Rothbard ha sottolineato nella sua breve biografia “Keynes, The Man”:

Egli mostrava piacere per la menzogna politica: stilava abitualmente statistiche in base alle sue proposte politiche e si sarebbe esaltato per un’inflazione monetaria mondiale con un’iperbole esagerata pur sostenendo che “le parole dovrebbero essere un po’ selvagge – l’assalto dei pensieri sull’impensato”. Ma, rivelando la sua vera natura, una volta raggiunto il potere, Keynes ammise che tale iperbole doveva essere lasciata cadere: ‘Quando vengono raggiunti i posti del potere e dell’autorità, non ci dovrebbe più essere la licenza poetica’.

L’ego di Keynes era così grande che quando veniva pressato dall’amico ed economista Austriaco, Friedrich Hayek, sul tipo di totalitarismo che le sue teorie stavano ispirando, gli assicurò che poteva far oscillare facilmente l’opinione pubblica, con un semplice gesto della sua mano. La domanda interessante non dovrebbe essere “cosa farebbe Keynes?” ma piuttosto “perché dare retta a qualcuno così pomposo e nichilista in primo luogo?”. Proprio come Keynes non vide arrivare la Grande Depressione, i keynesiani moderni non hanno visto la bolla immobiliare e il crollo finanziario. Dal suo disprezzo per i principi morali al suo entusiastico sostegno per l’eugenetica, Keynes vedeva il mondo come qualcosa di separato dalla bolla dei suoi compagni elitari. Era un ciarlatano che convinse una generazione di economisti che il bacino dei risparmi reali per ogni dato paese poteva essere reso infinito, se solo lo stato avesse pienamente abbracciato la stampante come un dittatore abbraccia il gulag.

Per Keynes e i suoi seguaci il capitalismo è intrinsecamente ignorante, perché è basato sul consumatore; il che significa che l’uomo comune determina ciò che viene prodotto e in quale quantità. Per qualcuno che si è raffigurato al di sopra della massa degli stolti, la crescita dell’economia di mercato deve aver occupato parecchio i suoi pensieri. Forse la migliore sintesi di Keynes arriva da Rothbard, che una volta osservò:

Per Robbins (Lionel) è una figura simile a Dio con una luce dorata [...] intorno ad un alone. Ho avuto una valutazione leggermente diversa. Riassumiamo Keynes: arrogante; sadico; avido di potere; bugiardo intenzionale e sistemico; intellettualmente irresponsabile; nemico della logica; amante dell’edonismo di breve termine e avversario nichilista della morale borghese [...];  nutriva un profondo odio della parsimonia e del risparmio; un tizio che voleva liquidare e sterminare la classe creditrice; un imperialista, antisemita e un fascista.

Al di là di ciò credo fosse un bravo ragazzo!


CONCLUSIONE

Secondo John (Pascià) Glubb ogni impero ha un'aspettativa di vita di circa 250 anni e nel mentre affronta sette stadi:

  1. l'era della nascita (pionieri);
  2.  l'era delle conquiste;
  3. l'era del commercio;
  4. l'era della ricchezza;
  5. l'era dell'intelletto;
  6. l'era della decadenza;
  7. l'era del declino.

L'introduzione del dollaro fasullo nel 1971 ha rappresentato l'inizio del passaggio dalla fase 5 a quella 6 per l'America. I grandi imperi devono declinare in qualche modo e tipicamente ciò accade con una combinazione tra frode (inflazione) e violenza (guerra). Per quanto riguarda la guerra i pianificatori centrali stanno facendo del loro meglio per far durare il più a lungo possibile la guerra in Ucraina e per preparare gli americani alla guerra con la Cina. Nel frattempo, sul fronte inflazione, la FED si trova in una rara fase di ritorno alla "normalità". Se si lascia che questa correzione continui, possiamo aspettarci che i prezzi degli asset scendano ulteriormente e che i tassi d'interesse salgano. Dopo 4 decenni di boom servono almeno un paio di decenni di bust. E sarebbe una buona notizia per la classe media, perché impedirebbe all'inflazione di continuare a rubare la sua ricchezza.

Dal punto di vista teorico ciò che sta facendo la FED è quello che gli Austriaci dicevano per anni: lasciar salire i tassi fino al punto in cui essi puliscano i mercati. Dal punto di vista pratico, in realtà, la storia va più in profondità, con una guerra finanziaria che è entrata nel vivo sin dalla crisi dei pronti contro termine del 2019. Per quanto possa sembrare paradossale, la FED fa parte di una fazione di attori che stanno attivamente contrastando il futuro distopico così immaginato da gente come la cricca di Davos e che ha il pieno controllo dell'Europa. Il prosciugamento del mercato degli eurodollari è l'arma nucleare più potente in mano a Powell e la sta usando, con tutte le conseguenze del caso, sia per gli europei sia per gli americani. Questi ultimi sono la garanzia collaterale dietro le strategie della FED, così come gli europei sono la garanzia collaterale dietro le strategie della cricca di Davos. Questo per dire che, per quanto Powell e chi lo sostiene possa evitare un futuro peggiore nel caso in cui dovesse realizzarsi il Grande Reset immaginato da Schwab & Co, la FED resta sempre un'agenzia governativa antitetica a un mercato sano e onesto.

Anche perché non è la "gente comune" a controllare la FED, bensì uno stuolo di pianificatori centrali con una loro agenda. E mentre l'economia degli ultimi 4 decenni non è stata molto piacevole per la classe media, è stata una manna per pianificatori centrali e i loro clientes. E più la FED aiuta i mercati a "correggere" gli eccessi del passato, più i cientes vorranno un'inversione di marcia.

In genere un impero contribuisce alla propria distruzione con spese eccessive, complicazioni burocratiche, corruzione, ecc. Indebolisce la sua economia mentre emergono altri Paesi. Dal 1945, ad esempio, gli Stati Uniti hanno speso migliaia di miliardi di dollari nel settore della "difesa", ma la loro sicurezza non è mai stata in pericolo. Invece si è cimentata in "guerre di sua scelta", pratica standard per gli imperi che stanno raggiungendo il proprio picco. L'idea è spendere soldi, non vincere guerre. I carri armati Abrams, per esempio, sono veicoli enormi e sofisticati. Sono stati costruiti per proteggere i profitti della Chrysler Defense, non per difendere gli Stati Uniti. Avrebbero senso come arma difensiva solo se credessimo che un esercito straniero possa attaccarci a terra, come nel caso di orde cinesi che irrompono sul suolo americano, o le guardie iraniane che attraversano improvvisamente il Rio Grande e avanzano su New York. Nessuna di queste cose è plausibile. Invece quei carri armati vengono inviati lontano, in un pantano estero dopo l'altro. Lì serve bene il suo vero scopo. Inevitabilmente si rompe e necessita di un'attenta manutenzione e di riparazioni, le quali comportano enormi spese aggiuntive.

Il denaro è spesso un ostacolo in guerra, non un aiuto. È la vera arma che si ritorce contro chi non ne capisce la natura, alimentando una burocrazia con troppi consulenti strapagati e troppi vertici. Urge una inevitabile correzione. Da parte di chi? In passato, governatori come William McChesney Martin o Paul Volcker "sapevano" quando tirare i remi in barca e lasciare che i mercati ripulissero gli errori del passato. Altri governatori, invece, non sapevano tracciare questa linea nella sabbia, come Arthur Burns o George William Miller (figuriamoci poi Bernanke e la Yellen). Oggi frenare l'inflazione significa un tasso di riferimento della FED almeno un paio di centinaia di punti base al di sopra dell'indice dei prezzi al consumo. I tassi artificialmente bassi del passato hanno portato $91.000 miliardi tra debito pubblico e privato, $50.000 miliardi di valutazioni patrimoniali "in eccesso" e un mutuo medio di $300.000. Un tasso di riferimento ragionevole oggi dovrebbe essere di circa il 7%, circa 20 volte superiore a quello di 3 anni fa. Già la nuova rata mensile media del mutuo è di $2.500, se l'intero Everest del debito fosse rifinanziato al 7%, ciò significherebbe costi annuali per il servizio del debito di oltre $6.000 miliardi, ovvero un quarto del PIL. Inutile dire che ciò porterà con sé una valanga di insolvenze, fallimenti e crolli dei prezzi degli asset.

E per quanto possa aver colto di sorpresa alcuni l'affermazione di Powell in questo "scherzo" (sì, certo, come i leak "casuali" in altri settori industriali), ovvero che l'economia statunitense debba aspettarsi una recessione quest'anno, il FOMC aveva già espresso una posizione simile nella riunione di marzo. Chi ancora crede al ritorno di una politica monetaria coordinata tra le banche centrali, non ha idea di cosa stia facendo Powell e una parte degli USA. È fondamentale capire che la Federal Reserve non ha mai usato la parola "recessione" nei suoi comunicati stampa. Anche prima della crisi finanziaria del 2008 e di quella del 2000, la FED discuteva regolarmente di un "atterraggio morbido" o di un'economia "goldilock". Insomma, aveva un atteggiamento cauto. Se in precedenza tale atteggiamento di cautela è stato araldo di profonde recessioni, adesso che invece si dice, "Preparatevi, sta arrivando una recessione", quanto sarà grave la prossima?


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1 commento:

  1. Il recente clamore sul prezzo della pasta ci insegna due cose fondamentalmente. La prima è che i pezzi "d'informazione" come questo sono solamente un elogio della burocrazia, una giustificazione riprovevole del motivo principale per cui esistono carenze di tal genere nei mercati. Senza contare, poi, che su tutti i social, quando fate una ricerca su un qualsiasi argomento ormai, vengono pompati artificialmente in alto i risultati facenti riferimento ai "professionisti dell'informazione" che trattano di quell'argomento.

    La seconda è che viene completamente ignorata (volutamente piuttosto che per ignoranza, tendo a sospettare) la ragione per cui c'è un aumento dei prezzi. Volete avere un'idea di come funziona la filiera industriale? Volete avere un'idea di cosa sia un singolo input, un singolo fattore di produzione? Volete avere un'idea di cosa rappresenti il tempo nella filiera industriale? Investite 6 minuti del vostro tempo a vedere questo video riguardante il geniale saggio di Leonard Read, Io la matita. Le lamentele delle cosiddette "associazioni di categoria" sono solo una giustificazione per ingigantire la burocrazia e rendere strutturali i mismatch e le deformazioni della struttura del capitale. Senza contare poi che lo sguinzagliamento di "commissioni sui prezzi" avrà il risultato idiota di affossare ancora di più l'offerta.

    Se vogliamo ridurre all'osso la ragione per cui stanno emergendo impennate di prezzo del genere, non dobbiamo far altro che guardare all'interventismo monetario/fiscale del passato recente e remoto. Ah, certo, aggiungendoci anche la demenziale linea di politica dei lockdown che ha alterato pesantemente supply chain, inventari e maturità delle scadenze. Il risultato è che adesso la pianificazione centrale sta deprimendo volontariamente la domanda, impedendo allo stesso tempo, però, che l'offerta esploda, attraverso una burocrazia soffocante e un fisco esigente (oltre a una spesa pubblica montante), e aggiusti in modo più organico gli errori economici presenti e passati.

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