venerdì 30 dicembre 2022

I tassi in ascesa sono l'araldo di crash finanziari

 

 

di Alasdair Macleod

Un recente documento della Banca dei regolamenti internazionali che mette in guardia sui rischi nei mercati dei cambi, fa eco al mio precedente avvertimento che descriveva i rischi dei derivati nei mercati dei cambi.

In questo saggio mostro anche le prove del fatto che le banche, sia negli Stati Uniti che nell'Eurozona, stanno riducendo il lato dei depositi nei loro bilanci respingendo i grandi depositi che quindi finiscono nei pronti contro termine inversi, escludendo la liquidità indesiderata dalla circolazione pubblica. La cosiddetta Grande Inversione procede spedita.

La contrazione del credito non sta solo alimentando un mercato ribassista negli asset finanziari, ma l'esposizione a investimenti errati dovuta al rialzo dei tassi d'interesse sta avendo conseguenze negative anche per l'economia non finanziaria. Il private equity, che ha prosperato grazie a finanziamenti a basso costo utilizzati per andare in leva su attività mirate, sta mostrando segni di cedimento (es. due importanti fondi Blackrock stanno sospendono i rimborsi).

Mentre ci avviciniamo alla stagione del window dressing di fine anno, dobbiamo sperare che la volatilità nei mercati non destabilizzi i mercati finanziari mondiali.


Inflazione e stagnazione

I tassi d'interesse hanno toccato il fondo allo zero e non possono scendere. Si è conclusa la tendenza quarantennale di tassi d'interesse al ribasso, con un primo rally che sei settimane fa aveva dimezzato il valore del trentennale statunitense. La repentinità di questo cambiamento necessitava di una pausa ed è quello che abbiamo oggi: da ottobre c'è stata una spettacolare ripresa dei prezzi delle obbligazioni con il rendimento del trentennale statunitense che è sceso di ¾ di punti percentuali, al 3,5%.

I timori d'inflazione dei prezzi sono stati sostituiti in larga misura dalla paura della recessione. Dopo aver liquidato il monetarismo, analisti e commentatori sono tornati all'ovile keynesiano e citano spesso il rallentamento della crescita monetaria come prova di una recessione incombente. Ma ciò che sicuramente non è nel copione dei keynesiani è una combinazione d'inflazione e recessione, comunemente attribuita a un fenomeno inspiegabile (per loro) chiamato stagflazione.

In realtà una spiegazione esiste. L'inflazione del credito totale (sia da parte delle banche centrali che delle banche commerciali) trasferisce ricchezza dal settore privato allo stato, alle sue banche autorizzate e ai suoi mutuatari privilegiati. Agisce come una tassa nascosta sul progresso economico, impoverendo la gente comune e, attraverso il loro desiderio di proteggersi dalla svalutazione del credito, spingendo risorse di capitale altrimenti produttive in "rifugi sicuri", come la proprietà fisica e la speculazione finanziaria. Arriva un punto in cui gli effetti stimolanti dell'espansione del credito, che è un dispositivo per indurre i mercati a pensare che le cose vadano meglio di quanto non siano in realtà, diventano decisamente distruttivi.

Se fosse altrimenti, la svalutazione monetaria funzionerebbe in ogni occasione nonostante la storia mostri chiaramente che si tratta di una politica fallimentare e distruttiva. Nazioni come la Germania degli anni '20 e lo Zimbabwe di oggi avrebbero avuto successi strepitosi dal punto di vista economico con il loro PIL nominale che sarebbe salito alle stelle. Al contrario, la Germania e il Giappone del secondo dopoguerra hanno adottato politiche monetarie che hanno portato a valute forti, ma hanno comunque sovraperformato gli anglosassoni inflazionistici.

Sia l'evidenza empirica che la logica sono ignorate dai policymaker e dagli investitori istituzionali dediti a credere diversamente per il bene dei loro dogmi macroeconomici. Come uomini che stanno annegando, afferrano le prove che l'aumento iniziale dei prezzi, opportunamente attribuito alla crisi sanitaria, all'interruzione delle catene di approvvigionamento e alle sanzioni contro la Russia, sta rallentando e gli aumenti dell'IPC diminuiranno. Senza dubbio sarà così, ma questa è un'aberrazione statistica perché i numeri alti verranno ammorbiditi a livello ufficiale tramite manipolazioni statistiche. Ciò consentirà di porre fine ai rialzi dei tassi d'interesse e con una recessione in vista d'invertire tale tendenza: il QT verrà nuovamente sostituito dal QE.

Queste aspettative per le prospettive d'inflazione, e quindi per i tassi d'interesse, sono troppo superficiali. Oltre al risarcimento per la perdita temporanea del possesso del credito e per il rischio di controparte, i tassi d'interesse sono tenuti a riflettere l'opinione del creditore sulle variazioni del potere d'acquisto di una valuta. La maggior parte delle volte una banca centrale può imporre una linea di politica dei tassi d'interesse sui mercati, ma arriva un punto in cui, riconoscendo gli effetti della svalutazione monetaria, il mercato la costringe a lasciar salire i tassi. Il mercato in questione è solitamente quello dei cambi.

Ecco perché, con il percorso verso un nuovo ammorbidimento della politica dei tassi d'interesse, il dollaro si è fortemente indebolito nei confronti delle altre principali valute insieme al calo dei rendimenti dei bond sovrani statunitensi a scadenze più lunghe.

Quanto all'andamento futuro dei tassi d'interesse, occorre fare una valutazione al di là delle prospettive di recessione. Dobbiamo anticipare le politiche delle banche centrali e le loro conseguenze: abbandoneranno l'inflazionismo e cercheranno di proteggere la loro valuta, o daranno la priorità alla protezione dalla recessione, dall'illusione della ricchezza finanziaria creata dalla soppressione dei tassi d'interesse e alla protezione delle finanze pubbliche in deterioramento?

Quando le valute fiat possono essere svalutate per affrontare tutti questi problemi, qualunque sia l'intenzione dichiarata dalla politica monetaria essa si affida sempre all'inflazionismo; e tanto più quando l'alternativa alla restrizione del credito è destinata a far crollare l'economia, i mercati finanziari e le finanze pubbliche.

I banchieri commerciali non sono stupidi e, con bilanci sovraindebitati, cercheranno sicuramente di proteggersi dall'aumento dei crediti inesigibili in un contesto recessivo. La misura in cui lo fanno getta un ulteriore onere sulla creazione di credito da parte delle banche centrali. Ma tutte le prove dimostrano che la politica monetaria di queste ultime ha un impatto di gran lunga maggiore sulla valutazione di una valuta sui cambi esteri rispetto a variazioni equivalenti nel credito delle banche commerciali. Pertanto l'effetto del credito del sistema bancario centrale, a sostituzione di quello del sistema bancario commerciale, sarà quello d'indebolire rapidamente il valore di una valuta.

Tutti i principali governi sono intrappolati nella trappola del debito, innescata da tassi d'interesse più elevati. E quando le banche centrali si alleano per proteggere le loro economie in fallimento, i tassi di cambio possono sembrare stabili ma la perdita di potere d'acquisto inizia a riflettersi per tutte le valute rispetto all'oro, ai prezzi delle materie prime e ai costi di produzione (nonostante il calo dei consumi).

Pertanto ci può essere solo una conclusione sul corso futuro dei tassi d'interesse: la tendenza si è invertita e dopo un rialzo iniziale si sono fermati, ma questo indebolimento riguardo le prospettive dei tassi d'interesse si rivelerà temporaneo, seguito da una tendenza verso tassi ancora più elevati a riflesso di una svalutazione monetaria più aggressiva e un crollo sempre più profondo dell'attività economica. Questa sarà la nostra tesi di base.


Problemi nel settore finanziario

La conseguenza più evidente di una nuova tendenza al rialzo dei tassi è il calo dei valori degli asset finanziari. Tutti i mercati finanziari prendono spunto dai mercati obbligazionari. Dal punto di vista dei banchieri commerciali, essi scopriranno che i valori delle garanzie a copertura dei prestiti inizieranno a scendere, alimentando la necessità di ulteriori garanzie. Ovviamente questa sistuazione porterà al calo dei prestiti totali utilizzati per le posizioni in azioni e obbligazioni, come mostra il grafico successivo riguardo il margine di credito nei mercati finanziari statunitensi.

La FINRA dice che le banche stanno già riducendo la loro esposizione ai prestiti nei mercati azionari e obbligazionari. È probabile che la diminuzione dei margini collaterali stia causando la liquidazione delle posizioni d'investimento, con i prestatori riluttanti ad accettare ciecamente liquidità aggiuntiva. Possiamo presumere che le cose stiano così a causa della necessità per le banche di ridurre il loro indebitamento. Il recente rally dei prezzi obbligazionari e azionari potrebbe fornire un certo sollievo (il grafico sopra è fino a ottobre), ma è improbabile che sia permanente se, come sembra probabile, le banche centrali interromperanno la stretta monetaria e ricominceranno ad allentare la loro posizione monetaria.

Il motivo per cui è improbabile che un allentamento della politica monetaria sostenga una ripresa duratura dei valori degli asset finanziari è perché, scegliendo di reflazionare l'economia e i mercati, la valuta viene sacrificata. Un calo del potere d'acquisto di una valuta è inizialmente previsto dagli operatori delle borse estere, inoltre qualsiasi confusione su questa relazione tra le politiche monetarie e le loro conseguenze per una valuta fiat è stata risolta dalla connessione tra l'espansione del credito duranre la crisi sanitaria e la successiva inflazione dei prezzi. È improbabile che i mercati vengano ingannati così facilmente dall'espansione del credito in futuro.

Mentre i commenti su azioni e obbligazioni sono argomenti relativamente facili per i commentatori generalisti, la fonte di spiacevoli sorprese è nascosta alla loro vista. In un precedente articolo ho descritto una situazione del genere nei mercati dei derivati, sottolineando che i valori nozionali di cross, contratti a termine e swap in valuta estera ammontavano a $104.000 miliardi, la cifra della BRI per la metà del 2021. I contratti di cambio sono il secondo segmento più grande del totale dei $600.000 miliardi OTC. Secondo l'indagine triennale della BRI, solo l'84% dei contratti di cambio viene catturato nelle statistiche semestrali, quindi una cifra più vera è di $124.000 miliardi.

Per scadenza, si dividono l'80% fino a un anno, il 15% da uno a cinque anni e il resto su cinque anni. Poiché tutti i contratti di cambio nelle statistiche della BRI rappresentano solo un lato dello spettro più ampio, l'intera cifra di $124.000 miliardi è sicuramente credito, la maggior parte del quale, escludendo solo le opzioni, è duplicata abbinando gli obblighi di credito alle altre controparti. Pertanto il credito totale dei derivati ​​sui cambi è come minimo il doppio rispetto alle cifre nozionali riprotate, meno una parte delle opzioni nozionali: $236.000 miliardi.

Secondo la BRI il valore di mercato lordo di questo credito è di $2,6 trilioni. La BRI definisce il valore di mercato lordo come “la somma dei valori assoluti di tutti i contratti derivati con valori di sostituzione positivi o negativi valutati ai prezzi di mercato prevalenti alla data di regolamento”. In altre parole, nella misura in cui il sistema bancario, le istituzioni non bancarie e non finanziarie sono controparti di questi derivati OTC, i loro bilanci riflettono questo valore netto di mark-to-market e non oneri effettivi di credito, che sono quasi cento volte maggiori.

Dopo il mio articolo Claudio Borio e altri, in un documento di ricerca per la Banca dei Regolamenti Internazionali, hanno esposto la stessa tesi aggiungendo un po' di colore in più. I grafici seguenti sono tratti dall'articolo di Borio e mostrano solo un lato dei valori nozionali delle posizioni sui cambi, aggiornate a fine giugno di quest'anno.

Va notato che questo mercato OTC è dominato da posizioni in dollari statunitensi per un totale di oltre $80.000 miliardi (grafico A), vi è una preponderanza di scadenze a breve termine vulnerabili alla liquidità (grafico B) e le entità finanziarie non bancarie sono la categoria di gran lunga più numerosa (banche ombra — grafico C). E il documento sottolinea anche che la FED è responsabile di garantire che ci sia sufficiente liquidità in dollari per sostenere questi enormi oneri fuori bilancio.

I due casi di fallimento: la crisi finanziaria del 2008/09 e del marzo 2020 (la crisi dei pronti contro termine nel settembre 2019 non era correlata) ha fatto andare alla cieca la FED, non conoscendo l'entità di questi oneri e dove si trovassero. Infatti, insieme a tutti gli altri suoi oneri, la FED deve garantire l'integrità dell'intero mercato mondiale dei cambi, che secondo le stime del documento della BRI include più di $35.000 miliardi nelle mani di soggetti non bancari stranieri.

Cosa potrebbe andare storto? Chiaramente questa è una situazione resa più pericolosa da una tendenza al rialzo dei tassi d'interesse. Proprio come questo e altri mercati OTC che sono cresciuti sulla scia di quarant'anni di tassi d'interesse in calo, essi si contrarranno in dimensione con il progredire della nuova tendenza. In una crisi secolare del settore finanziario, le istituzioni che hanno fatto affidamento sui derivati per la protezione dai rischi, o per i profitti di trading, sono destinate a essere esposte a fallimenti di settlement, i quali si innescano quando una o più controparti non adempiono ai propri obblighi. La preponderanza di posizioni non bancarie, estere e a breve termine vulnerabili alla liquidità sui mercati dei cambi è una combinazione che porterà a un "evento inatteso".

È più probabile che si verifichi quando il dollaro si rafforza rispetto ad altre valute, situazione in essere fino a ottobre scorso. Ciò presuppone che le banche estere e non banche abbiano iniziato a shortare il dollaro, ma è una situazione questa che muterà presto in una di long. È possibile che questo mercato sia minacciato da dislocazioni di liquidità a breve termine, ma non scordiamoci che ci sono oltre $2.000 miliardi nei mercati dei pronti contro termine inversi...


La posizione del dollaro

C'è un eccesso di liquidità nel sistema finanziario statunitense, ma la domanda è: perché è lì e sarà disponibile per risolvere i problemi di liquidità in caso di crisi monetaria?

Il grafico della FED qui sopra raffigurante i pronti contro termine inversi (reverse repo, o RRP) mostra che essi ammontano a $2.160 miliardi. In un RRP la FED prende temporaneamente in prestito denaro utilizzando i titoli nel suo bilancio come garanzia collaterale, accettando d'invertire la transazione per un rendimento overnight attualmente fissato al 3,35%, circa lo 0,4% al di sotto del suo attuale tasso di riferimento (Nota: prima che il FOMC nella sua ultima riunione annunciasse un nuovo rialzo dello 0,5%). Un'ampia gamma di controparti (es. operatori primari, banche, fondi comuni d'investimento nel mercato monetario e imprese sponsorizzate dal governo federale, ecc.) possono partecipare allo strumento RRP della FED.

La decisione di una controparte di prestare liquidità alla FED al suo tasso overnight ha poco a che fare con la liquidità complessiva nel mercato, ma è vero che fintanto che c'è liquidità sostanziale negli RRP è improbabile una loro implosione come come quella del 17 settembre 2019 quando il tasso nel mercato dei pronti contro termine schizzò al 10%.

Potrebbe sembrare una questione semplice per la FED rifiutarsi di rinnovare gli RRP per spingere nuovamente la liquidità nel sistema bancario commerciale, ma non è così che funziona. Per raggiungere tale obiettivo, la FED dovrebbe ridurre il suo tasso RRP per scoraggiare i rinnovi, garantendo così la restituzione di liquidità extra alle banche commerciali. Non solo le banche commerciali sono riluttanti ad accettare grandi depositi a causa delle penalità decretate da Basilea 3 in materia di finanziamento stabile netto, ma ridurre il tasso RRP va contro il mantenimento delle attuali politiche sui tassi d'interesse. [Si noti che Basilea 3 considera i grandi depositi come fonte di un rischio significativo per la liquidità dei bilanci delle banche, mentre i piccoli depositi sono visti come una fonte stabile di finanziamento. Indubbiamente questo è il motivo per cui G-SIB come JPMorgan Chase stanno ora promuovendo servizi bancari al dettaglio.]

Pertanto il fatto che oltre $2.000 miliardi in grandi depositi siano effettivamente migrati dal credito bancario al bilancio della FED è una prova della contrazione del credito bancario. Oltre a conformarsi a Basilea 3, essendo consapevoli dell'escalation dei rischi finanziari e di prestito, le banche commerciali stanno cercando di ridurre la loro esposizione creditizia complessiva. La liquidazione di asset finanziari e il rifiuto di concedere prestiti a mutuatari disperati vuol dire affrontare i rischi dal lato degli attivi del bilancio di una banca. L'intera rete bancaria commerciale non può ridurre tanto facilmente i suoi obblighi nei confronti dei depositanti, azione necessaria invece se le banche vogliono ridurre l'indebitamento sui loro bilanci collettivi. Pertanto il motivo per cui la liquidità è parcheggiata presso la FED sotto forma di RRP riflette la riluttanza delle banche commerciali a trattenere grandi depositi ed è una contropartita alla loro riduzione degli attivi di bilancio.

Questo per quanto riguarda il mercato interno del dollaro, ma, come sottolinea il documento di Borio, la FED ha poche informazioni, o nessuna, riguardo le obbligazioni in dollari esteri e dove potrebbero essere i punti deboli. Non è solo una questione di liquidità in dollari che potrebbe sconvolgere il mercato monetario; ogni transazione in dollari è accompagnata da una transazione in valuta estera, probabilmente parte di una catena. Pochissime transazioni nel mercato dei cambi non coinvolgono il dollaro, a causa del modo in cui funziona il mondo di oggi. Un importatore indiano di merci cinesi deve vendere rupie per comprare dollari e poi vendere dollari in cambio di yuan per pagare le merci. In questa semplice catena, le controparti sono l'importatore, la banca dell'importatore, la banca dell'esportatore e l'esportatore. In una recessione globale sempre più profonda, ci sono tante cose che possono andare storte.

Le statistiche della BRI sul mercato dei cambi catturano solo un lato di una transazione, che è quello fuori bilancio, quando le doppie voci dovrebbero rivelare almeno un raddoppio delle stime della BRI per tutti i partecipanti al mercato. E una contrazione in questo mercato dei derivati fuori misura, alimentata dal rialzo dei tassi d'interesse, rischia di esporre problemi di liquidità anche nel sistema bancario ombra estero.


La posizione dell'Europa

In netta differenza rispetto al mercato dei pronti contro termine inversi statunitense, secondo l'International Capital Markets Association, l'Europa è fortemente dipendente dai pronti contro termine per la gestione della liquidità. In un pronti contro termine, una banca utilizza titoli (di solito titoli di stato o obbligazioni societarie di alta qualità) come garanzia per ottenere denaro in prestito; quello inverso invece è il contrario.

I pronti contro termine e i pronti contro termine inversi nel tempo hanno ricoperto un ruolo sempre più importante nei mercati interbancari. In passato gli eccessi e i deficit giornalieri sui depositi venivano compensati sui mercati monetari attraverso i tassi interbancari, coinvolgendo importi minori per contratti non collateralizzati. C'erano sempre limiti di credito singoi per queste transazioni che ne limitavano la portata; per questo e altri motivi i pronti contro termine sono diventati una caratteristica sempre più caratterizzante dei mercati monetari. Ciò che è più importante è che i pronti contro termine vengono condotti tra le banche commerciali e l'Eurosistema perché stabiliscono il livello generale di liquidità del mercato.

Secondo l'ultima indagine annuale dell'International Capital Market Association condotta a dicembre 2021, la dimensione del mercato europeo dei pronti contro termine (comprese sterline, dollari e altre valute usate nei centri finanziari europei) si attestava a €9.198 miliardi. L'indagine si basava sulle risposte di un campione di sole 57 istituzioni, comprese le banche, quindi la dimensione reale del mercato è leggermente più grande. La quota degli euro era del 56,9% (€5.234 miliardi).

Consente ai fondi pensionistici e assicurativi europei di finanziare posizioni obbligazionarie a leva attraverso schemi d'investimento basati sulle passività: questo approccio è quello che ha quasi fatto saltare in aria i fondi pensione britannici di recente. Tutto va bene fino a quando i valori delle obbligazioni detenute come garanzia non calano e vengono quindi effettuate richieste di liquidità. È improbabile che questo sia un problema limitato ai mercati del Regno Unito e della sterlina.

La spiegazione comune è che il quantitative easing ha portato all'assorbimento di quantità sostanziali di garanzie di alta qualità da parte della BCE e delle banche centrali nazionali, lasciando la rete bancaria commerciale a corto di buone garanzie e gonfia di liquidità. Di conseguenza i tassi dei pronti contro termine sono stati portati al di sotto della linea di prestito marginale della BCE, al 2,25%, come mostra la tabella sottostante di MTS Markets, poiché le garanzie collaterali siano più preziose per le banche commerciali rispetto alla liquidità.

L'analisi che suggerisce che la mancanza di garanzie collaterali stia alimentando i pronti contro termine inversi tra il sistema Euro e le banche commerciali è valida solo fino a un certo punto. La liquidità è richiesta da alcune banche per risolvere problemi temporanei di liquidità su base interbancaria, utilizzando i pronti contro termine per i quali sono richieste garanzie collaterali, ma per il resto il desiderio di parcheggiare liquidità presso la BCE e le banche centrali nazionali sembra essere simile alle loro controparti americane nel tentativo di ridurre i depositi sui loro bilanci. È la domanda della coorte bancaria di disporre di liquidità che sopprime il tasso dei pronti contro termine.


Inversione del mercato dei derivati sulle commodity

Un sottoinsieme molto più piccolo di OTC è costituito dai contratti su materie prime, che lo scorso giugno erano a $3 trilioni. Classificati per tipo, $820 miliardi in oro, $106 miliardi in altri metalli preziosi e $2.036 miliardi in altre materie prime. Mentre il totale a giugno è aumentato del 20% rispetto al totale alla fine del 2021, la liquidità nelle materie prime fisiche sottostanti sta diminuendo e questo è particolarmente vero per metalli come l'argento e l'energia.

Per i dipartimenti di trading delle banche, la negoziazione di derivati ​​sulle commodity è stata molto redditizia e, nonostante le penalità rispetto al coefficiente di finanziamento stabile netto di Basilea 3 per la liquidità di bilancio, le banche hanno mantenuto l'esposizione a questo business. Di solito prendono posizioni short, mentre gli speculatori prendono posizioni long. L'effetto sui prezzi è che le banche e i loro market maker creano un'offerta artificiale per assorbire la domanda d'investimenti, sopprimendo così i prezzi al di sotto di dove sarebbero altrimenti. I prezzi delle materie prime soppressi alimentano la stabilità delle valute fiat, motivo per cui i governi occidentali guidati dall'America hanno condonato l'espansione di questo business intrinsecamente speculativo.

Ma la mancanza di liquidità nelle materie prime sottostanti, combinata con una tendenza al rialzo dei tassi d'interesse, ora minaccia di far aumentare il rischio nei derivati, poiché le banche passano dall'inseguire i profitti a diventare più caute. Anche queste posizioni sulle materie prime non sono banali: le cifre della BRI per il solo oro ammontano a 14.170 tonnellate ai prezzi odierni, quasi quattro volte la relativa estrazione mineraria annuale.

In aggiunta al mercato OTC ci sono futures e opzioni regolamentate per un totale di oltre $38.000 miliardi (settembre 2022) che sono sostenuti dall'espansione del credito bancario. Mentre si presume che le posizioni in derivati OTC forniscano una compensazione all'esposizione regolamentata ai futures, in pratica possono aggiungersi alle posizioni short totali in commodity come l'oro.


Gli investimenti errati nell'economia non finanziaria

L'esempio di rischi non identificati nei mercati dei cambi individuati dalla BRI è solo uno dei numerosi incidenti potenziali nei settori bancario e finanziario dell'economia mondiale, la quale non è abituata a un contesto di tassi d'interesse in aumento. Dobbiamo ora rivolgere la nostra attenzione alle realtà non finanziarie, le quali hanno approfittato di tassi d'interesse bassi e di crediti agevolati per finanziare progetti che altrimenti sarebbero stati ritenuti non redditizi. Inoltre ci saranno molte aziende che hanno fatto fatica a sopravvivere anche con costi di prestito artificialmente bassi, le società zombi.

I pericoli per l'economia mondiale derivanti da questi investimenti errati stavano aumentando anche prima dei lockdown, durante i quali i loro costi sono poi continuati senza alcun afflusso di entrate da parte dei clienti. Le continue interruzioni nelle catene di approvvigionamento hanno aumentato notevolmente i debiti di queste imprese. E ora le banche con un indebitamento eccessivo stanno cercando di frenare gli oneri di debito, poiché l'aumento dei tassi d'interesse minaccia di mandare in bancarotta queste entità.

È allettante pensare che gli stati possano appoggiarsi alle banche commerciali per non peggiorare ulteriormente una situazione in via di deterioramento. E non c'è dubbio che con le garanzie statali le banche vorranno cooperare piuttosto che affrontare la cancellazione del debito e la pubblica reprimenda per il loro ruolo nel non concedere credito. Ma non è solo un problema bancario: obbligazioni di prestito garantite sono state acquisite da molte banche al posto dell'esposizione diretta al debito societario ed è probabile che un ulteriore orrore sia l'inversione del settore del private equity.

Secondo l'Annual Review of Private Markets del 2022 di McKinsey, nel 2021 i mercati privati mondiali erano cresciuti fino a $9.600 miliardi. Una partnership di private equity è in grado di raccogliere fondi a un costo inferiore rispetto alle singole imprese: capacità di acquisire il controllo dell'azienda e di sfruttare il suo bilancio con la leva, in modo da migliorare il suo ritorno sul capitale proprio. Ovviamente questa strategia è alimentata sia da tassi d'interesse artificialmente soppressi, sia da una continua tendenza a mantenerli bassi.

Tali condizioni ormai sono un ricordo del passato. Ci sono già segnali che questo settore stia incontrando difficoltà. Il 7 dicembre il Financial Times ha riferito che il Real Estate Income Trust di Blackstone stava limitando i prelievi da parte degli investitori facoltosi. Il fondo ha una doppia leva, con un patrimonio di $125 miliardi. Il giorno seguente Bloomberg ha riportato prelievi da $50 miliardi dal fondo di credito privato di Blackstone. Entrambi questi fondi sono leader nel mercato privato statunitense a leva finanziaria.

La musica intorno ai prestiti a soggetti non finanziari è certamente cambiata e per quanto si può vedere le conseguenze sono ancora poco apprezzate dai media finanziari – almeno per il momento.


Conclusioni

Anche in questa fase iniziale di una nuova tendenza di tassi d'interesse in rialzo, le tensioni nel sistema bancario mondiale stanno diventando evidenti. I bilanci delle banche sono sovraindebitati come non lo sono mai stati, in particolare in Europa e in Giappone. E con l'aumento dei tassi d'interesse che assicurano un mercato ribassista negli asset finanziari e la diffusa esposizione a investimenti errati, il sentimento dei banchieri sta oscillando decisamente verso il contenimento del rischio.

I dati sull'offerta di denaro, i quali mostrano un rallentamento del tasso di espansione del credito, raccontano solo una parte dell'intera storia. Le banche commerciali negli Stati Uniti e nell'UE stanno utilizzando operazioni di pronti contro termine inversi per eliminare la liquidità dal lato dei depositi dei loro bilanci, in modo da tenere il passo con la riduzione del lato degli attivi nei loro bilanci.

Agendo come il classico canarino in una miniera di carbone, possiamo già vedere la liquidità dei derivati prosciugarsi nei futures su oro e argento. Questo effetto lo vedremo replicato anche in altri mercati delle materie prime, ma un problema molto più grande sono i mercati dei cambi, gli swap e i contratti a termine, i cui valori nozionali non si riflettono adeguatamente nei bilanci delle banche. Solo un lato dell'esposizione della controparte è più del doppio della capitalizzazione totale delle banche d'importanza sistemica mondiale: circa $40.000 miliardi.

Come per tutte le contrazioni del credito, quando e dove il sistema si romperà è praticamente impossibile da prevedere, ma quando accadrà la crisi sarà improvvisa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 29 dicembre 2022

Come le banche provano a screditare Bitcoin

 

 

da Bitcoin Magazine

Ogni anno Bitcoin continua a crescere in status e sta diventando mainstream in ogni parametro: valore finanziario, ritmo di adozione, volume delle transazioni, ecc.

Ma non tutti sono felici del fatto che l'adozione di Bitcoin stia crescendo. In particolare, il settore bancario si sente minacciato dalla sua ascesa e continua a dichiarargli guerra.

Che alle banche non piaccia Bitcoin non dovrebbe essere una sorpresa. L'invenzione di Satoshi Nakamoto è il più grande sconvolgimento dell'antico sistema monetario degli ultimi decenni. In quanto rete peer-to-peer e lo scambio di valore, Bitcoin può rendere inutili le banche.

Per proteggere la propria posizione, le istituzioni bancarie hanno fatto ricorso al classico strumento di guerra: la propaganda. Diffondendo disinformazione, le banche sperano di screditare Bitcoin riducendone l'adozione pubblica e incoraggiando una regolamentazione più rigorosa.


UN RIASSUNTO (BREVE) DELLA PROPAGANDA DELLE ISTITUZIONI FINANZIARIE CONTRO BITCOIN

Fin dall'inizio le istituzioni finanziarie hanno capito che Bitcoin avrebbe potuto rendere obsoleto il sistema bancario, ma hanno scelto di credere che il suo uso sarebbe rimasto limitato a spacciatori, fanatici del computer, cypherpunk, libertari e altri elementi marginali.

Ma con la crescita della sua adozione, soprattutto tra gli investitori istituzionali, il panico si è diffuso nel sistema bancario. Per la prima volta la possibilità che questo "denaro magico di Internet" potesse soppiantare gli istituti bancari era una possibilità reale.

Pertanto questi ultimi si sono coordinati in uno sforzo collettivo per screditare le criptovalute. Bitcoin era ed è l'obiettivo principale, dato il suo status di prima e più popolare criptovaluta al mondo.

Nel 2014 Jamie Dimon, presidente miliardario e CEO di JPMorgan Chase, la più grande banca d'America, definì Bitcoin “una riserva di valore terribile” al World Economic Forum di Davos, in Svizzera. Tuttavia ciò non impedì allo stato di New York di rilasciare licenze agli exchange l'anno successivo.

Dimon ha proseguito con le sue critiche anche nel 2015, affermando che Bitcoin non avrebbe mai ricevuto l'approvazione dai governi. Nelle sue parole: “Nessun governo sosterrà mai una valuta virtuale che aggira i confini legali e il loro controllo diretto”.

Non soddisfatto, il supremo di JPMorgan Chase ha lanciato il suo più grande attacco a Bitcoin alla Barclays Global Financial Services Conference del 2015. Non solo definì Bitcoin una frode simile alla bolla dei tulipani, ma minacciò anche di licenziare chiunque scambiasse Bitcoin tramite la sua azienda.

Dimon non è l'unico tra le istituzioni finanziarie che ha cercato di attaccare Bitcoin. Anche il presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, è stata critica nei confronti di Bitcoin in passato.

In una Reuters Next Conference, la Lagarde ha definito Bitcoin “un asset altamente speculativo”, aggiungendo che viene utilizzato per condurre “affari effimeri e attività di riciclaggio di denaro e totalmente riprovevoli”. Questo nonostante all'epoca la Banca centrale europea stava già valutando l'idea di lanciare la sua valuta digitale chiamata euro digitale.

Anche la BCE si è spesso prestata alla campagna di propaganda anti-Bitcoin. Nella sua revisione della stabilità finanziaria del 2021, la Lagarde ha paragonato l'aumento del prezzo di Bitcoin alla famigerata bolla South Sea. “L'impronta di carbonio esorbitante [di Bitcoin] e il potenziale utilizzo per scopi illeciti sono motivo di preoccupazione”, ha aggiunto nella relazione.

Le più grandi istituzioni finanziarie del mondo si sono unite alla festa anti-Bitcoin. Ad esempio, la Banca mondiale ha rifiutato di sostenere il piano di El Salvador di adottare Bitcoin come moneta a corso legale, adducendo “carenze ambientali e di trasparenza” come scusa. Anche il Fondo monetario internazionale ha esortato la nazione latinoamericana ad abbandonare Bitcoin all'inizio di quest'anno.

Ci sono molti altri esempi in cui le istituzioni finanziarie hanno seminato dubbi e diffuso disinformazione su Bitcoin, tuttavia queste affermazioni portano tutte alla stessa conclusione: le banche odiano Bitcoin e non si fermeranno davanti a nulla per screditarlo.


“BITCOIN CATTIVO, BLOCKCHAIN BUONA”

Altri grandi attori finanziari hanno preso un'altra strada nella loro campagna di disinformazione: criticare Bitcoin, ma lodare la tecnologia blockchain.

Le banche vedono il potenziale della tecnologia blockchain per rivoluzionare i pagamenti e vogliono cooptarla a proprio vantaggio. Ad esempio, JPMorgan Chase, il critico per eccellenza di Bitcoin, ha creato una criptovaluta chiamata "JPMCoin" in esecuzione sulla sua blockchain Quorum.

Le banche centrali hanno anche pubblicizzato la capacità della blockchain di alimentare le valute digitali delle banche centrali (CBDC), criptovalute emesse e coperte dagli stati. Tali asset sono ancorati a una valuta fiat, come il dollaro o l'euro, proprio come una stablecoin.

La Banca dei regolamenti internazionali (BRI) ha fatto irruzione nel mondo delle criptovalute con una relazione del giugno 2021, descrivendole come asset speculativi utilizzati per facilitare il riciclaggio di denaro, attacchi ransomware e altri crimini finanziari. “Bitcoin, in particolare, ha pochi attributi d'interesse pubblico salvifici se si considera anche la sua impronta energetica dispendiosa”, afferma suddetta relazione.

Ironia della sorte, nello stesso documento la BRI ha sostenuto le CBDC. Ecco un estratto:

Le valute digitali delle banche centrali rappresentano un'opportunità unica per progettare una rappresentazione tecnologicamente avanzata del denaro, che offra le caratteristiche uniche di finalità, liquidità e integrità.

Tali valute potrebbero costituire la spina dorsale di un nuovo sistema di pagamento digitale altamente efficiente, consentendo un ampio accesso e fornendo solidi standard di governance dei dati e privacy basati sull'ID digitale.

“Bitcoin cattivo, blockchain buona!” è diventato il ritornello preferito da banche e operatori fintech in risposta alla popolarità di Bitcoin. Come sempre, questa tesi non coglie il punto.

Senza l'architettura decentralizzata di Bitcoin, i sistemi monetari di pagamento basati su blockchain sono inutili. Le blockchain autorizzate come Quorum soffrono di centralizzazione e punti singoli di fallimento: problemi che Nakamoto ha corretto creando Bitcoin.

Gli stessi problemi affliggono le CBDC. Come ho spiegato in un recente articolo, il controllo centralizzato di un dollaro o di una sterlina digitale causa gli stessi problemi riscontrati con le valute fiat. Con le banche centrali che controllano ogni afflusso e deflusso di denaro, sarebbe fin troppo facile condurre una sorveglianza finanziaria, attuare politiche monetarie impopolari e condurre discriminazioni finanziarie.

Un problema più grande con questa linea di argomentazione è che non prende in considerazione la più grande forza di Bitcoin: la criptoeconomia. Il più grande contributo di Satoshi è stata una nuova combinazione d'incentivi economici, teoria dei giochi e crittografia per mantenere il sistema sicuro e utile in assenza di un'entità centralizzata. Le blockchain centralizzate con scarsi incentivi sono aperte agli attacchi proprio come qualsiasi altro sistema legacy.


PERCHÈ LE BANCHE HANNO PAURA DI BITCOIN?

Le banche hanno da sempre fatto soldi facendo pagare ai loro clienti la conservazione e l'utilizzo dei propri soldi. Il depositante medio paga le spese di mantenimento del conto, le spese di addebito, le spese di scoperto e una pletora di altre spese progettate per far guadagnare le banche. Nel frattempo queste ultime prestano i soldi che si trovano sui conti, dando agli utenti solo una frazione degli interessi guadagnati.

Bitcoin rappresenta una minaccia per il modello di entrate del settore bancario: non ci sono istituzioni che aiutano gli utenti a conservare, gestire, o utilizzare i loro soldi. Il proprietario mantiene il controllo completo sui propri bitcoin.

Ma, aspettate, c'è di più.

TRANSAZIONI PIÙ ECONOMICHE E MIGLIORI

Bitcoin consente di trasferire denaro a chiunque, istantaneamente, indipendentemente dall'importo in questione, o dalla posizione del destinatario. E gli utenti possono farlo senza fare affidamento su un intermediario come la loro banca locale.

In media, le transazioni basate su Bitcoin sono più veloci ed economiche delle transazioni tramite banche. Pensate a quanto tempo ci vuole per elaborare un trasferimento internazionale e le ingenti commissioni addebitate dalle banche.

Fatta eccezione per le commissioni dei miner, le persone non pagano nessun altro per elaborare le transazioni sulla blockchain di Bitcoin. E importi di qualsiasi dimensione, grandi o piccoli, possono essere movimentati senza la solita burocrazia. In meno di 10 minuti, Bitcoin elabora un trasferimento di denaro irreversibile. Le banche non possono eguagliarlo.

RISERVA DI VALORE

Le banche aiutano i clienti a organizzare investimenti a lungo termine in oro, obbligazioni e altri asset, per garantire il valore del loro denaro. E fanno pagare una commissione per la custodia, la consulenza sugli investimenti e la gestione del portafoglio.

Ma cosa succede quando le persone capiscono che non devono fare affidamento sulle banche per conservare valore?

Grazie alle sue proprietà intrinseche, Bitcoin sta rapidamente emergendo come riserva di valore privilegiata. Bitcoin è scarso (ne esisteranno solo 21 milioni di unità), ma anche fungibile e trasportabile. Questo lo rende persino migliore delle tradizionali riserve di valore come l'oro.

Poiché chiunque può facilmente acquistare bitcoin e conservarli, le banche non possono più guadagnare con piani di gestione patrimoniale. Le banche, come JPMorgan, si sono adattate vendendo investimenti basati su Bitcoin come i futures, ma questo non le salverà.

RESISTENZA ALLA MANIPOLAZIONE

Le banche sono sopravvissute a lungo manipolando il sistema finanziario per guadagnarci su. La crisi finanziaria del 2008 è stata il risultato di operazioni subdole di alcune delle più grandi banche del mondo, tra cui Lehman Brothers, che in seguito ha dichiarato bancarotta.

Ad esempio, le banche prestano sempre più denaro di quello che possiedono in quella che viene chiamata riserva frazionaria. Se tutti decidessero di ritirare i propri soldi dalle banche, l'intero settore crollerebbe istantaneamente.

Bitcoin consente alle persone di essere la banca di sé stessi. Il denaro in un wallet Bitcoin non può essere manipolato o utilizzato da nessuno a parte il detentore. Per la prima volta, le persone ora hanno il potere di controllare il proprio denaro.


LE BANCHE NON POSSONO UCCIDERE BITCOIN

L'intensità della guerra del settore bancario contro Bitcoin mostra quanto lo temono. È solo una questione di tempo prima che Bitcoin penetri in ogni settore finanziario: accordi offshore, depositi a garanzia, pagamenti, investimenti in asset e altro ancora.

Quando ciò accadrà, le banche diventeranno l'ennesime vittime dell'avanzamento tecnologico. Proprio come Netflix ha sostituito i videonoleggi e Amazon ha sostituito le librerie, Bitcoin sostituirà le banche. E nessuna propaganda e disinformazione potrà invertirle una tale tendenza.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 28 dicembre 2022

Eliminare le crisi economiche

 

 

di Mark Thornton

Non sarebbe bello liberarci definitivamente delle crisi economiche? In un precedente articolo ho dimostrato che gli sprechi nel boom e i costi durante il bust sono brutali anche se si fa ricorso alle migliori linee di politica disponibili. Oggi descriverò il motivo del ciclo boom/bust e come eliminare definitivamente la fase di crisi nel ciclo.

La maggior parte delle persone pensa che il ciclo economico, che necessariamente finisce con una crisi, sia inerente al capitalismo. Karl Marx pensava che avremmo avuto crisi sempre più forti e che avrebbero contribuito a realizzare il suo comunismo; John Maynard Keynes credeva che il ciclo economico fosse un problema psicologico che coinvolgeva gli "spiriti animali"!

Le vere "crisi economiche" si sono verificate solo negli ultimi quattro secoli. La maggior parte delle crisi nei quattromila anni precedenti sono state causate da cose come guerre, invasioni, schiavitù, malattie e cambiamenti climatici. Queste crisi hanno avuto conseguenze economiche significative, ma non provenivano dall'interno dell'economia e non erano cicliche; erano riconducibili a eventi singoli, o condizioni strutturali a lungo termine.

Affinché si verifichi una crisi economica, devono già esserci commercio, denaro e integrazione economica affinché possano scatenarsi gli effetti di un innesco. Quindi Marx aveva ragione a metà, perché ci deve essere un'interazione di molti individui anche solo per pensare in termini macroeconomici, figuriamoci per sperimentare e scatenare crisi economiche.

Marx aveva torto nel pensare che il problema fosse intrinseco al capitalismo. Quello che gli mancava era l'ingrediente chiave del capitalismo: il denaro. Quest'ultimo, e persino le monete, esistono da almeno alcune migliaia di anni, tuttavia il furto spagnolo di oro e argento dal Nuovo Mondo monetizzò rapidamente le economie europee durante un periodo storico di libertà emergente.

Nonostante le crescenti libertà e il riconoscimento dei diritti di proprietà in alcuni luoghi, durante suddetto periodo l'Europa stava anche sperimentando l'ascesa dello stato, il colonialismo, le guerre in tutto il continente e gli enormi debiti e tasse a livello statale. Tutto ciò alimentò manipolazioni monetarie da parte dello stato per finanziare le proprie guerre. Le conseguenti inflazioni e svalutazioni monetarie furono l'inizio del problema del ciclo boom/bust, compresa la bolla dei tulipani in Olanda e le prime bolle economiche.


È il denaro l'elemento che conta davvero

La chiave per capire la fase di crisi nel ciclo è il denaro, il nostro mezzo di scambio. La manipolazione del denaro è il fatto saliente di ogni ciclo economico. Gli storici possono rimuginare su speculazioni, spiriti animali, manie e depressioni, ma dietro a tutto c'è la manipolazione monetaria per scopi politici. La manipolazione del denaro e del credito esiste ormai da così tanto tempo che la valuta scoperta, i depositi a vista scoperti e la microgestione del denaro e dei tassi d'interesse da parte dello stato sembrano normali piuttosto che artificiali.

Nel suo status naturale, il denaro è una merce altamente commerciabile e ha notevolmente aiutato lo sviluppo della società umana. Nessuno ha inventato il denaro, sebbene persista ancora oggi l'opinione secondo cui un re o uno stato abbiano creato per primi lo strumento denaro. Mancano una logica chiara e prove convincenti a supporto di una tale tesi.

Nella società monetaria, cose come i numeri, la scrittura, la lingua, la monetazione e la contabilità sono state tutte migliorate e notevolmente ampliate. Il denaro è cresciuto con il commercio: da cereali, animali e sale a metalli preziosi come bronzo, rame, argento e oro. La monetazione ha notevolmente facilitato l'uso del denaro.

Il ruolo determinante del denaro come mezzo di scambio ha aggirato i problemi del baratto e ha facilitato nuove funzioni come fornire un'unità di conto, una riserva di valore e una base per pagamenti a lungo termine (es. contratti, affitti e tasse). L'emergere del denaro è probabilmente lo sviluppo più importante nel progresso umano e uno dei meno apprezzati.

La maggior parte delle persone, anche molti economisti e storici, non hanno mai avuto un pensiero solido in questo senso. Al contrario gli stati, i falsari e infine gli alchimisti si resero conto che la loro posizione e il loro potere avrebbero potuto essere notevolmente ampliati se fossero riusciti a prendere il controllo del denaro. La documentazione storica è chiara sul fatto che più gli stati hanno il controllo sul denaro, più sono distruttivi e peggio sta la società.


Porre fine al sistema bancario centrale

Ludwig von Mises fornì la prima integrazione teorica del denaro nei mercati, un'analisi completa sul denaro e sull'inflazione e la prima teoria del ciclo economico. Suggeriva la rimozione del denaro, del credito e del sistema bancario commerciale dalle grinfie dello stato, definendola come la più importante riforma dell'economia. Ciò avrebbe eliminato l'inflazione dell'offerta di denaro da parte dello stato e avrebbe impedito alle banche di emettere surrettiziamente mezzi fiduciari scoperti (sostituti del denaro non completamente coperti dalla base monetaria) come la valuta fiat.

Mises dimostrò che il free banking veramente competitivo avrebbe impedito alle banche di emettere importi non banali di mezzi fiduciari. Il suo allievo, Murray Rothbard, offrì la soluzione legalistica di vietare del tutto la riserva frazionaria, definendola una frode.

Per comprendere il problema dell'inflazione e della riserva frazionaria, si può guardare alla storia o guardare al presente. Lo stato ora controlla strettamente e irreggimenta il sistema per garantire che ottenga il maggior bottino possibile dal sistema monetario e bancario.

Il sistema fornisce allo stato risorse e potere; aiuta a ripagare il debito pubblico; fornisce profitti non guadagnati a banchieri, appaltatori statali e altri che ne beneficiano personalmente e quindi sostengono lo stato.

Ci viene detto che l'enorme apparato che lo stato ha escogitato per controllare il denaro e le banche, il sistema bancario centrale, lavora per la nostra sicurezza e stabilità economica. La verità è che lo stato governa l'intero sistema per fornire a sé stesso risorse economiche e sostegno politico. Questa è la fonte del "perpetuo ripetersi" del ciclo boom/bust ed è per questo che la fase di crisi nel ciclo si "autogenera". I nuovi regolamenti progettati per prevenire la prossima crisi, come il Glass-Stegall e la Dodd-Frank, sono solo un arzigogolo politico.

La soluzione, quindi, è porre fine al sistema bancario centrale e ripristinare il gold standard; eliminare tutti i regolamenti, i sussidi e i salvataggi per banche e depositanti; consentire la concorrenza tramite il laissez-faire. Una tale soluzione, però, richiede che la popolazione comprenda il problema e sia unita da un'ideologia anti-statale.

Non dovrebbero essere poste barriere su nuovi fondi e banche, comprese le criptovalute, nuove tecniche di transazione e nuove fonti di finanziamento per i prestiti. Il denaro e le banche possono essere come qualsiasi altro mercato, come quello del carbone, dei magazzini, degli esami dentistici, delle scarpe e dei popcorn.

Tali riforme possono essere raggiunte: oltre a porre fine all'inflazione e alle crisi cicliche, l'eliminazione del controllo statale sul denaro e sul sistema bancario limiterebbe anche il flusso di risorse allo stato stesso, fermerebbe l'innaturale distribuzione della ricchezza e ostacolerebbe l'espandersi delle attività più distruttive, comprese la guerra e il colonialismo. Queste riforme inaugurerebbero una nuova era di prosperità per l'umanità.

La guerra e i disastri naturali potrebbero ancora causare crisi di tipo diverso, ma è molto meno probabile che stati privi di potere monetario si impegnino, ad esempio, in guerre contro altri stati. Allo stesso modo, un capitalismo più stabile fornirà le risorse e le infrastrutture, in particolare in termini di scienza e tecnologia, per respingere la collera occasionale della natura, un fatto che ammette anche il cambiamento climatico.[1]


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Note

[1] I fanatici del cambiamento climatico si rendono conto che se molte delle loro peggiori paure, come l'innalzamento del livello degli oceani e condizioni meteorologiche avverse, si avvereranno, saranno meno disastrose nei Paesi capitalisti avanzati piuttosto che nelle nazioni primitive e sottosviluppate.

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martedì 27 dicembre 2022

Il mercato del lavoro post-lockdown: debole e in peggioramento

 

 

di David Stockman

Venerdì scorso i giocatori d'azzardo di Wall Street hanno giocato per l'ennesima volta a "trasformiamo le cattive notizie in buone notizie", ma è giunto il momento di dimenticare simili trucchetti e riconoscere che le cattive notizie economiche sono proprio queste: cattive notizie.

L'apparente notizia negativa nella recente relazione sull'occupazione è stato il leggero aumento del tasso di disoccupazione al 3,7%, dal 3,5% di settembre. Ciò avrebbe dovuto significare che l'economia si stava raffreddando e che la FED poteva allentare la sua campagna di tightening.

Ma, come abbiamo spesso detto, il tasso di disoccupazione U-3 non vale la carta su cui è stampato. Tuttavia ciò non contraddice minimamente le cattive notizie nella relazione sul mondo del lavoro, le quali sono state diffuse in lungo e in largo all'interno della stessa relazione. Infatti era solo l'ulteriore prova che il mercato del lavoro è debole, non forte, e che l'economia statunitense è scivolata in uno stato di torpore stagnante.

Per prima cosa, il tasso di disoccupazione U-3, calcolato dall'indagine sulle famiglie, è risultato più alto a causa di un aumento di 306.000 nel numero dei disoccupati, mentre il numero degli occupati è sceso di fatto di 328.000 unità.

Proprio così. Il gatto di Schrodinger al BLS ha affermato che i posti di lavoro erano +261.000 per il sondaggio dell'establishment, mentre il sondaggio delle famiglie ha registrato il suddetto -328.000 unità.

A dire il vero, se questa fosse solo un'aberrazione di un mese, sarebbe ragionevole lasciarla passare, ma in realtà, da marzo scorso, i due sondaggi sono andati nella direzione opposta: il sondaggio dell'establishment, che alimenta direttamente l'algoritmo, è aumentato di 2,45 milioni di posti di lavoro.

Allo stesso tempo, il conteggio dei sondaggi sulle famiglie è aumentato di soli 150.000 posti di lavoro. Stiamo parlando di un 94% in meno!

Inoltre se tornate indietro fino al picco pre-Covid nel febbraio 2020, la disconnessione è ancora più eclatante: il numero di occupati del sondaggio delle famiglie pubblicato a ottobre era in realtà inferiore di 258.000 unità rispetto a prima dei lockdown, mentre la cifra del sondaggio dell'establishment era superiore di 804.000 unità.

Naturalmente nessuno dei due numeri è qualcosa di entusiasmante, ma la discrepanza non comporta alcun grande mistero. Quello che sta accadendo è che le persone stanno accettando più lavori per stare al passo con l'aumento del costo della vita, e anche perché il lavoro da casa ha reso molto facile per i liberi professionistir, specialmente nel settore tecnologico, accedere a due, tre o anche quattro buste paga. Questi contano tutti come "lavori" nell'indagine dell'establishment, ma non nell'indagine delle famiglie.

Inutile dire che un secondo o terzo lavoro che comprende 5 ore di lavoro virtuale a settimana, truffando il dipartimento delle risorse umane di un datore di lavoro disattento, non è la stessa cosa di un lavoro tradizionale con 40 ore sul posto di lavoro. Il primo è solo l'ennesimo esempio del rumore nei dati che porta a una cronica sopravvalutazione dell'attuale mercato del lavoro statunitense.

Livello di occupazione: indagine delle famiglie (linea viola) rispetto all'indagine dell'establishment (linea marrone), da febbraio 2020 a ottobre 2022

In ogni caso, è per questo che riteniamo che l'indice delle ore aggregate pubblicato dal BLS sia il più utile tra le sue tante cattive interpretazioni sul mercato del lavoro. Almeno non confonde un lavoro part-time con un lavoro a tempo pieno, né considera il quarto lavoro svolto da un (ex) ficcanaso su Twitter come prova di un mercato del lavoro "forte".

Su questa base, ecco cosa abbiamo ottenuto dopo lo stimolo fiscale post-marzo 2020, durante il quale il debito pubblico è aumentato di $4.500 miliardi e il bilancio della FED è salito da $4.000 miliardi a $9.000 miliardi. Vale a dire, le ore di lavoro totali impiegate nel settore privato sono aumentate appena di un pizzico durante suddetto periodo di 32 mesi. Per la precisione, l'aumento delle ore occupate è stato di appena lo 0,4% annuo.

Indice delle ore settimanali aggregate per il settore privato, da gennaio 2020 a ottobre 2022

In altre parole, la relazione sull'occupazione di ottobre ha chiarito che il mercato del lavoro presumibilmente "forte" è in fase di stallo e lo è stato per anni. Il numero indice di ottobre, infatti, ha rappresentato un aumento anemico dello 0,78% annuo dal picco pre-crisi nel dicembre 2007. Ciò si confronta, ad esempio, con un tasso di crescita annuo del 2,00% nelle ore di lavoro impiegate tra il 1964 e il 2000.

Quindi se la stampa finanziaria riportasse i dati in modo onesto, userebbe l'indice aggregato delle ore per misurare l'effettivo input di lavoro nell'economia, non il falso conteggio dei posti di lavoro. In tal caso non otterremmo ila bolla di entusiasmo sostenuta dall'ennesima relazione "forte" sul lavoro:

L'economista di Obama, Betsey Stevenson: Ottimo rapporto sui posti di lavoro [...] molte assunzioni, ampia base e la crescita dei salari sta rallentando leggermente. La FED potrebbe procurarci davvero quell'atterraggio morbido di cui ha parlato.

Justin Wolfers, accademico keynesiano: I libri paga non agricoli sono cresciuti di +261.000 unità a ottobre, un altro mese di crescita occupazionale stellare. Gli ultimi due mesi mostrano revisioni di +52k per settembre e -23k per agosto, quindi questa è una relazione ancora più forte. Il tasso di disoccupazione è salito di poco, al 3,7%. Questa è un'economia molto forte.

Davvero? La crescita reale dell'occupazione (ovvero le ore totali impiegate) negli ultimi 15 anni è cresciuta solo di due quinti rispetto alla sua media storica, ma questi tizi continuano a sbrodolare la parola "forte".

Indice delle ore aggregate, 1964-2022

Inoltre quando si tratta di posti di lavoro ad alta retribuzione e alta produttività nel settore della produzione di beni (manifatturiero, energetico, minerario e servizi di pubblica utilità), i dati sono ancora più inequivocabili. L'indice delle ore lavorate aggregate nel settore della produzione di beni è ancora di quasi lo 0,6% al di sotto del picco pre-Covid nel gennaio 2019.

Inutile dire che questo è un grosso problema, perché il settore della produzione dei beni impiega 21,3 milioni di persone con un salario medio annuo di $68.300. In termini aggregati, il libro paga annuale del settore ammonta a $1.460 miliardi.

Come abbiamo sottolineato spesso, quello che abbiamo è un ciclo di 30 mesi di posti di lavoro nati di nuovo. Dopo il profondo crollo dell'aprile 2020 ordinato dai fanatici del virus, le ore di lavoro impiegate nel settore della produzione di beni non sono ancora tornate al punto di partenza.

Inoltre quando si tratta della tendenza a lungo termine, il quadro è semplicemente disastroso. Rispetto al livello d'inizio secolo nel gennaio 2000, le ore totali di lavoro nel settore della produzione di beni sono diminuite del 16,3% a ottobre 2022.

Il modo in cui una persona sana di mente potrebbe affibbiare l'aggettivo "forte" al grafico qui sotto va al di là della nostra comprensione. Ciò che significa veramente è che la nomenklatura della sanità pubblica di Washington ha schiacciato il lato dell'offerta dell'economia statunitense, lasciando il settore privato ad annaspare per riconquistare lo status quo pre-lockdown, il quale a sua volta si stava già deteriorando da più di due decenni.

Indice delle ore di lavoro complessive nel settore della produzione di beni, da gennaio 2000 a ottobre 2022

Né il settore della produzione di beni è un'aberrazione. All'altra estremità dello spettro retributivo, l'indice delle ore di lavoro nel settore del tempo libero e dell'ospitalità a bassa retribuzione in ottobre ha fatto registrare un calo del 7,8% rispetto al livello del febbraio 2020. Mancano all'appello ancora circa $40 miliardi di buste paga annue.

Proprio così. La calamità del lockdown nella primavera del 2020 è stata così grave che le ore di lavoro nel settore sono crollate del 56%!

Da allora il settore ha scavato un buco così profondo che non ci sono precedenti da nessuna parte nei dati storici sui posti di lavoro. Tuttavia, dopo che tutte queste ore di lavoro sono state parzialmente recuperate, l'indice è ancora quasi un ottavo al di sotto del livello pre-lockdown.

In altre parole, il grafico qui sotto non ha nulla a che fare con un mercato del lavoro "forte", anche se i robo-trader di Wall Street hanno gridato di gioia. Ciò che mostra in realtà è il caos generato dai fanatici del virus, seguito da una lotta disperata da parte del settore privato per riconquistare la propria posizione.

Indice delle ore di lavoro aggregate nel settore del tempo libero e dell'ospitalità, da febbraio 2020 a ottobre 2022

Si dà il caso che la storia sia la stessa nel settore delle costruzioni ad alta retribuzione. Le ore di lavoro totali a ottobre sono state solo di poco (+0,26%) superiori al picco pre-Covid del febbraio 2020. Ancora più importante, l'indice di ottobre era ancora del 3,0% al di sotto del livello raggiunto nel dicembre 2006, il che significa che anche questo settore sta vivendo una fase negativa da un bel po' di tempo.

Inutile dire che è imossibile definire "forte" il mercato del lavoro dopo aver visto il grafico qui sotto, quando in ottobre c'erano molte meno ore di lavoro nel settore delle costruzioni rispetto a 16 anni fa.

Quello che è successo qui, come in tanti altri settori del mercato del lavoro, è che i fanatici del virus hanno causato un devastante calo del 20% delle ore di lavoro nel mese di aprile 2020. I lavori e le ore rinate segnalate ogni mese da allora non costituiscono altro che un gigante operazione di scavo da parte del settore privato.

Indice delle ore aggregate nel settore delle costruzioni, da gennaio 2020 a ottobre 2022

Un altro settore altamente remunerativo in cui le ore di lavoro stanno da tempo diminuendo è il settore dei servizi pubblici. Il totale delle ore di lavoro in ottobre era ancora in calo di quasi il 2% rispetto al livello pre-Covid del febbraio 2020.

Ancora più importante, quella è stata la fine di una marcia al ribasso che è in corso da tre decenni. Di conseguenza il presunto mercato del lavoro "forte" dell'ottobre 2022 ha impiegato il 24% in meno di ore rispetto all'inizio del 1990.

Indice delle ore aggregate per il settore dei servizi pubblici, dal 1990 al 2022

Nel settore della vendita al dettaglio, le ore di lavoro hanno raggiunto il picco 53 mesi fa a maggio 2018. Nonostante il rimbalzo dal crollo del 17% nell'aprile 2020, l'indice delle ore di ottobre per la vendita al dettaglio era ancora dell'1% al di sotto del picco di quattro anni fa.

Ancora una volta, non c'è motivo di considerare i lavori e le ore riconquistate come una "crescita" del mercato del lavoro. E sicuramente quando l'occupazione si è effettivamente stabilizzata su una base di tendenza negli ultimi 22 anni, l'idea che la relazione di ottobre abbia mostrato forza è semplicemente ridicolo.

I numeri non mentono. Nel gennaio 2001 l'indice delle ore di lavoro aggregate nel settore del commercio al dettaglio si è attestato a 102,0 rispetto a 103,4 nell'ottobre 2022. Il calcolo, quindi, è un ritmo di crescita annuo dello 0,06%, se si vogliono accreditare gli errori di arrotondamento.

Indice delle ore di lavoro aggregate nel settore del commercio al dettaglio, da gennaio 2001 a ottobre 2022

Un altro settore piatto è quello dei servizi finanziari e immobiliari. Nel mese di ottobre l'indice delle ore aggregate è stato inferiore al livello dello scorso aprile ed era ancora inferiore dell'1% rispetto a quello registrato a febbraio 2020.

Né si deve negare il significato di questa stagnazione. Dopotutto, negli ultimi due anni e mezzo c'è stato un vero e proprio boom nei mercati finanziari e nel settore immobiliare, eppure l'occupazione è rimasta piatta.

Quindi neanche qui c'è un mercato del lavoro "forte".

Indice delle ore aggregate nel settore finanziario e immobiliare, gennaio 2020- ottobre 2022

Anche il settore dell'istruzione e della sanità, un tempo in forte espansione, ha subito un crollo. L'indice delle ore di lavoro aggregate nell'ottobre 2022 ha rappresentato un ritmo di crescita annuo microscopico di appena lo 0,15% rispetto al febbraio 2020.

Com'è evidente dal grafico, abbiamo a che fare anche qui con ore di lavoro rinate. L'indice è crollato del 13,3% nell'aprile 2020 su comando dei fanatici del virus. Di conseguenza il 97% delle ore recuperate sin da allora è stato attribuito al recupero delle ore perse a causa dei lockdown, non alla crescita organica rispetto al febbraio 2020.

A titolo di riferimento, il ritmo di crescita per i 56 anni terminati a febbraio 2020 è stato del 3,3% annuo, un livello 22 volte superiore per oltre mezzo secolo. Quindi, anche nel caso di un settore fortemente sostenuto dai pagamenti dei trasferimenti governativi e fiscali, la crescita dell'occupazione misurata dalle ore di lavoro è rallentata.

Indice delle ore aggregate per l'istruzione e i servizi sanitari, da febbraio 2020 a ottobre 2022

Ingatti se si esaminano i dati per tutte le dozzine di settori separati per i quali il BLS fornisce un indice orario aggregato, solo due hanno mostrato un aumento significativo durante l'ottobre 2022 rispetto al livello pre-Covid del febbraio 2020. L'indice orario aggregato per il settore magazzini e trasporti è in aumento dell'11,7%, mentre l'indice per i servizi professionali e alle imprese è stato del 6,4% superiore al livello pre-Covid del febbraio 2020.

Ma in entrambi i casi c'è la fregatura. La ben documentata super-ondata di merci consegnate da Amazon è stata un artefatto insostenibile dei lockdown e dei massicci stimoli fiscali. Ora è finita, naturalmente, ma mentre è durata c'è stato un boom di assunzioni nei settori dei magazzini e dei trasporti, un boom che ha inesorabilmente portato a un sostanziale eccesso di capacità. Di conseguenza quando inizieranno i licenziamenti, è probabile che la linea blu qui sotto scenderà alla grande.

Allo stesso modo, il lavoro da casa è stato fortemente concentrato nel settore professionale e aziendale, ma i recenti licenziamenti su larga scala nel settore tecnologico, incarnati dal taglio del 50% della forza lavoro di Twitter e dall'imminente massacro di posti di lavoro su Facebook, annunciano una resa dei conti per tutti coloro che lavorano da casa e intascano tre stipendi.

Infatti le assunzioni in eccesso in questo settore, che rappresenta 22,5 milioni dei posti di lavoro più remunerativi in America, si sono verificate su scala monumentale. E significa che anche la linea marrone qui sotto scenderà bruscamente nei prossimi mesi.

Indice delle ore aggregate per trasporti, magazzinaggio e servizi professionali, da febbraio 2020 a ottobre 2022

In breve, il mercato del lavoro è tutt'altro che forte e in realtà ha riflesso una crescita praticamente pari a zero dal picco pre-Covid nel febbraio 2020, a parte le due anomalie qui sopra ma che presto invertiranno la marcia. Quindi l'idea derivata che anche l'economia statunitense sia forte è semplicemente una stupidaggine.

Ironia della sorte, il sistematico indebolimento strutturale del mercato del lavoro statunitense mostrato sopra si è verificato nel contesto di una massiccia stampa di denaro da parte delle banche centrali del mondo, che si incarna nella crescita sbalorditiva dei loro bilanci collettivi. Rispetto ai $4.000 miliardi del 2002, i bilanci combinati delle banche centrali mondiali superano ora i $43.000 miliardi.

Non c'è niente di simile nella storia documentata, ma il suo impatto sull'economia mondiale è il fulcro di ciò che verrà dopo. Vale a dire, in aree ad alto costo del lavoro come gli Stati Uniti, la stampa folle di denaro dell'ultimo decennio ha portato a una massiccia delocalizzazione della produzione industriale verso sedi a basso costo, come la Cina. A sua volta ciò ha favorito l'esperienza concomitante di quella che sembrava essere una "bassa inflazione", a causa dei conseguenti afflussi di beni esteri a buon mercato.

Allo stesso tempo l'espansione monetaria reciproca in Cina, Vietnam, Messico e altre economie a basso costo ha generato un'ondata d'investimenti errati sulla scia di un aumento dei debiti di proporzioni bibliche. Il risultato è stata una capacità di produzione notevolmente gonfiata per servire i consumatori statunitensi, europei e di altri Paesi sviluppati. Vale a dire, il mondo sviluppato ha avuto quello che sembrava essere un periodo di prosperità di bassa crescita/bassa inflazione, mentre il mondo precedentemente meno sviluppato ha sperimentato un aumento degli investimenti e della produzione manifatturiera alimentato dal debito a una velocità vertiginosa.

Durante i 25 anni dopo che la Cina è diventata una potenza esportatrice a metà degli anni '90, il deflatore PCE (spesa al consumo personale) statunitense per i beni durevoli è crollato di uno sbalorditivo -40%, mentre il deflatore PCE per i servizi è aumentato del +87%.

Tuttavia, in termini d'insensata attenzione del sistema bancario centrale al suo "obiettivo" d'inflazione annuale, il tutto era considerato nella norma. Non importa che le banceh centrali abbiano raggiunto il loro sacro obiettivo del 2,00% solo a causa di un crollo una tantum e insostenibile dell'inflazione dei beni durevoli, cosa che ha fatto sì che il loro parametro di riferimento preferito (deflatore PCE) si arrotondasse leggermente al di sotto (1,80%) del suddetto obiettivo.

Variazione annuale dell'indice: 1995-2019 

• Deflatore beni durevoli: -2,00%;

• Deflatore PCE servizi: +2,56%;

• Deflatore PCE complessivo: +1,80%

Deflatore PCE complessivo, deflatore beni durevoli e deflatore servizi, 1995-2019

L'unico neo, ovviamente, è stata una massiccia inflazione parallela negli asset finanziari, da New York a Londra, fino a Mumbai e Shanghai. Ma finché il credito del sistema bancario centrale ha continuato ad espandersi, la gigantesca bolla finanziaria mondiale e i $260.000 miliardi di debito su cui poggia precariamente sono riusciti a rimanere a galla.

Ora non più. La FED e le altre banche centrali saranno ora tenute ad attaccare incessantemente la bolla finanziaria mondiale che hanno gonfiato per sopprimere la virulenta inflazione di beni e servizi che ha sempre sobbollito sotto la superficie.

Come si è scoperto, le catene di approvvigionamento mondiali sono sempre state troppo fragili e troppo artificiali per essere sostenuti, soprattutto di fronte a interruzioni esogene. Quelli sono arrivati dopo il 2019 sotto forma di lockdown, massicci stimoli alla spesa pubblica mondiale e poi la guerra delle sanzioni di Washington sui mercati mondiali delle materie prime, sui pagamenti internazionali e sul sistema commerciale.

Tra le altre cose ciò ha fatto scomparire dall'oggi al domani l'era della cosiddetta bassa inflazione. Da dicembre 2019 non vi è stato alcun contrappeso all'inflazione dei servizi interni da parte del settore delle merci. Sia i deflatori dei beni durevoli che quelli non durevoli sono aumentati a ritmi che non si vedevano dall'inizio degli anni '80, facendo aumentare più del doppio il deflatore PCE complessivo.

Infatti l'aumento del deflatore dei servizi (linea marrone) del 3,73% annuo sin dal quarto trimestre del 2019 è ora il ritardatario, con i beni durevoli (linea blu) e i beni non durevoli (linea gialla) che fanno salire nettamente l'indice del deflatore PCE complessivo (linea nera).

Variazione annua dell'indice dal quarto trimestre 2019: 

• Deflatore PCE servizi: 3,73%;

• Deflatore PCE per beni durevoli: 4,58%;

• Deflatore PCE per beni non durevoli: 5,21%;

• Deflatore PCE complessivo: 4,20%

Deflatore e componenti PCE, dal quarto trimestre 2019 al terzo trimestre 2022

La "bassa inflazione" artificiale nel settore dei beni è ormai finita. Semmai, l'ulteriore disgregazione delle catene di approvvigionamento mondiali causerà un'inversione della manna della bassa inflazione del 1995-2019, poiché la produzione di beni verrà restituita alle sedi nazionali a costi più elevati. E se i neocon continuano a farsi strada a Washington, la guerra per procura alla Russia si intensificherà, provocando un nuovo giro d'interruzioni distruttive nei mercati delle materie prime.

Significa anche che il tanto decantato "pivot" della FED per salvare le bolle finanziarie non avverrà. Lo slancio dell'inflazione di beni, servizi e lavoro è semplicemente troppo forte affinché l'Eccles Building possa invertire la rotta. Inoltre la determinazione della FED a tornare al suo sacro obiettivo del 2,00% non farà che prolungare la Grande Deflazione Finanziaria che sta ora iniziando a imperversare.

Quello che gli economisti mainstream non capiscono è che il compromesso keynesiano della Curva di Phillips tra occupazione e inflazione non è mai stato valido; e che la recente interruzione dell'attività economica a causa dei lockdown e degli stimoli fiscali significa che gli attuali dati del governo federale non assomigliano neanche lontanamente alle tendenze dei cicli economici del passato.

Per quanto riguarda questi ultimi, il tasso di partecipazione alla forza lavoro tendeva a raggiungere il picco quando il ciclo economico raggiungeva la cosiddetta piena occupazione, riflettendo il fatto che le ore di lavoro incrementali disponibili corrispondevano all'occupazione retribuita. Ciò è evidente nel grafico qui sotto per i periodi pre-recessione 1990, 2001, 2008-09 e 2020. Potremmo chiamarla magia del lato dell'offerta.

Cioè, attirare risorse di lavoro aggiuntive nell'economia non è intrinsecamente inflazionistico. L'inflazione alla fine deriva dal denaro allocato malamente, non da troppe persone che lavorano.

Allo stesso modo, la perdita di risorse lavorative nell'economia non è intrinsecamente deflazionistico se il mancato reddito da lavoro viene sostituito con indennità varie e prelievo di risparmi esistenti.

Ed è qui che siamo ora. Abbiamo avuto un'ondata massiccia di stimoli fiscali e monetari, ma il tasso di partecipazione alla forza lavoro è ancora ai minimi. Questo perché la "domanda" di spesa artificiale generata da Washington è stata contrastata da sussidi fiscali per la non produzione e l'ozio sostenuto dallo stato. Non c'era alcun moltiplicatore!

In questo contesto va sottolineato che il grafico qui sotto è estremamente esplicativo. I 40 anni precedenti al 1990 non sono comparabili a causa dell'aumento una tantum del rapporto durante il periodo 1950-1990 quando le donne sono entrate in maniera massiccia nella forza lavoro (al contrario di quella domestica).

In ogni caso, non c'è un mercato del lavoro "forte" quando sin dal 2000 c'è stata una tendenza secolare verso una riduzione del tasso di partecipazione alla forza lavoro. Infatti la somma delle linee di politica di Washington – lockdown, paura sanitaria indotta volutamente e stimoli fiscali/monetari senza precedenti – è stata anti-lato dell'offerta.

Tassi di partecipazione alla forza lavoro ai picchi ciclici: 

• Gennaio 1990: 66,8%;

• Febbraio 2000: 67,3%;

• Dicembre 2006: 66,4%;

• Febbraio 2020: 63,4%;

• Settembre 2022: 62,3%.

Tasso di partecipazione alla forza lavoro, 1990-2022

Il crollo del tasso di partecipazione alla forza lavoro sin dall'anno 2000 non è una cosa da poco. Riflette l'equivalente di 13,2 milioni di lavoratori che hanno lasciato la forza lavoro a causa di pensionamento, disabilità, Medicaid, buoni pasto, altre forme di sostegno dello stato sociale o, nel caso di alcuni millennial, una vita comoda nel seminterrato di mamma e papà.

In ogni caso, il lato dell'offerta rappresentato dal mercato del lavoro si è bruscamente contratto, anche se la domanda alimentata dallo stato è stata gonfiata oltre ogni dato precedente. Ciò significa, ovviamente, stagflazione alimentata dal costo del lavoro.

E per non dubitare che una spirale salari-prezzi sia ora già in atto, ecco gli aumenti salariali orari su base annua dei principali settori del mercato del lavoro, come pubblicati nella relazione sull'occupazione di ottobre.

Variazione annua della retribuzione oraria media: 

• Magazzino e Trasporti: +8,5%;

• Tempo libero e ospitalità: +7,1%;

• Costruzioni: +6,6%;

• Utenze: +6,4%;

• Servizi finanziari: +6,0%;

• Produzione di beni: +5,7%;

• Commercio all'ingrosso: +5,4%;

• Sanità e istruzione: +5,3%;

• Servizi alle Imprese e Professionali: +5,1%;

• Totale occupazione privata: +5,5%.

Ora invece ci concentreremo sul modo in cui l'aumento dei salari e la pressione per tenerli al passo col costo della vita manterranno attivo lo slancio inflazionistico per molti trimestri a venire. Infatti il lavoro inattivo che dovrebbe essere generato dal tightening della FED è già stato tolto dalla forza lavoro dai lockdown e dall'accumulo artificiale di "risparmi" sulla scia degli stimoli fiscali degli ultimi due anni.

Nel frattempo va sottolineato che, in prospettiva, la spirale inflazionistica non dipenderà solo dall'inflazione dei servizi. Questo perché il cosiddetto complesso alimentare ed energetico non si sta raffreddando così rapidamente come vorrebbero far credere gli esperti di Wall Street.

Si dà il caso che i costi energetici, rappresentati dall'elettricità e dal gas, non si siano affatto raffreddati. Le bollette elettriche domestiche sono già aumentate del 15,5% rispetto all'anno precedente, mentre l'IPC per il gas utilizzato per il riscaldamento domestico è superiore del 33% rispetto allo scorso anno. Inoltre nessuna linea sul grafico qui sotto si è piegata bruscamente al ribasso negli ultimi mesi.

Variazione annua delle bollette elettriche e del gas domestiche, dal 2017 al 2022

Allo stesso modo, entrambe le parti dell'indice alimentare stanno ancora salendo a un ritmo aggressivo: rispetto a un anno fa, il cibo fuori casa (ad esempio, ristoranti) è aumentato dell'8,5% a settembre, mentre i prezzi dei negozi di alimentari sono aumentati del 13,0%. Ed entrambe le linee qui sotto riflettono un'ascesa verticale che non mostra alcun segno di rallentamento per i prossimi mesi.

Si dà il caso che queste cifre su base combinata rappresentino il 13,65% nel peso nell'IPC e sono aumentati dell'11,29% su base media ponderata durante lo scorso anno. Questo è il più alto aumento annuale in 43 anni (maggio 1979)!

Variazione annua delle componenti dell'IPC per il cibo e i negozi di alimentari, 2017-2022

L'unica parte del complesso alimentare ed energetico che si è effettivamente raffreddata è rappresentata dai combustibili per il riscaldamento e il trasporto a base di petrolio, che incarnano solo il 4,57% del peso nell'IPC. Mentre il tasso di variazione annua (linea blu) era ancora del 19,7% a settembre, il tasso di variazione mensile (linea marrone) era stato negativo per tre mesi consecutivi, portando la tendenza annua in netto calo, malgrado l'aumento del 61% su base annua registrato a giugno.

Inoltre da metà settembre il prezzo medio nazionale della benzina si è stabilizzato a circa $3,80 al gallone, mentre i prezzi del diesel e del carburante per aerei hanno continuato a salire. I prezzi al dettaglio del diesel attualmente a $5,33 al gallone sono aumentati del 6% rispetto ai livelli di metà settembre e del 49% rispetto ai prezzi di un anno fa.

Quindi, mentre è evidente che i prezzi del carburante a base di petrolio stanno uscendo dal periodo di "ebollizione" della tarda primavera, l'aumento del 19,7% su base annua mostrato di seguito non è esattamente disinflazionistico. Ciò avverrà soprattutto nei prossimi mesi se i prezzi medi continueranno a salire e i prezzi della benzina rimbalzeranno in risposta all'ulteriore riduzione del petrolio russo sul mercato mondiale dopo che il divieto europeo sulle importazioni via mare entrerà in vigore all'inizio di dicembre.

IPC per le materie prime energetiche: variazione annua (linea blu) rispetto alla variazione mensile (linea rossa), da maggio 2020 a settembre 2022

Il complesso alimentare ed energetico non è la forza deflazionistica a breve termine che dovrebbe essere. Su base annua le componenti combinate dell'indice alimentare sono aumentate dell'11,3% e le componenti combinate dei servizi energetici sono aumentate del 20,3% e continuano a salire a un ritmo sostenuto su base mensile.

Insieme queste componenti incidono per il 17,31% sul peso dell'IPC, contro appena il 4,66% attribuibile a benzine e distillati medi. Cioè, il 79% del peso nel complesso alimentare ed energetico (peso totale = 21,88%) non mostra segni di rallentamento.

Ad esempio, ecco il sottoindice per entrambi i componenti del cibo nell'IPC. Durante il mese più recente (settembre), il tasso di aumento mensile (linea rossa) è stato di un forte +9,4%, un livello solo leggermente inferiore al suddetto dato annuo del +11,3%. Ciò significa, a titolo puramente statistico, che l'indice alimentare aumenterà fortemente fino al 2023, anche se il tasso di aumento mensile dovesse diminuire bruscamente in contrasto con la recente tendenza al rialzo irregolare (linea rossa) mostrate nel grafico qui sotto.

Indice alimentare IPC: variazione annua (linea nera) rispetto a variazione mensile (linea rossa)

Inutile dire che, con un'abbondante pressione inflazionistica nel complesso alimentare ed energetico, l'idea che l'IPC complessivo scenderà rapidamente nei prossimi mesi è solo un sogno irrealizzabile. Dopotutto, con il costo del lavoro interno che sale ai livelli del 6%+, non c'è modo che l'indice IPC per i servizi possa uscire dal suo stato di "ebollizione" in tempi brevi.

Ed è in "ebollizione" rispetto agli ultimi 40 anni. L'aumento su base annua del 7,4% a settembre è stato il maggiore sin dal settembre 1982 e più del doppio del 3,2% su base annua registrato a settembre 2021. Vale a dire, la linea blu nel grafico qui sotto è indicativa di un forte slancio in alto, non una svolta in basso dietro l'angolo.

Variazione annua dell'IPC per i servizi, 1982-2022

A dire il vero, poco più della metà del peso nell'indice IPC per i servizi (60,51%) è rappresentato dall'affitto di immobili (32,11%) e alcuni compratori insistono sul fatto che gli affitti stanno per implodere. Ma questo si basa su una lettura errata del calo stagionale delle richieste mensili di affitti per nuove locazioni, un calo che si verifica ogni anno durante i mesi autunnali.

Inoltre chiedere degli affitti sui nuovi contratti di locazione non rappresenta la misura corretta dell'inflazione degli affitti affrontata da tutte le famiglie statunitensi. Dato che i contratti di affitto tendono a durare un anno o più, ci vuole tempo affinché la tendenza degli "affitti richiesti" si estenda all'intero stock degli immobili in affitto, motivo per cui l'indice IPC degli immobili riflette un ritardo persistente tra le sue letture e gli annunci di case in affitto da parte dei servizi immobiliari privati.

Di conseguenza la misura rilevante di dove si stanno dirigendo i numeri degli affitti si trova nel confronto tra le variazioni mensili degli affitti (linea viola) e la variazione annua (linea marrone). Come mostrato di seguito, i primi hanno superato i secondi da gennaio 2022, il che significa che, per una questione di aritmetica, la tendenza annua sarà al rialzo per molti mesi a venire.

Infatti, durante il mese di settembre, il ritmo di variazione mensile è stato del 9,15%, una cifra superiore di quasi il 40% rispetto all'aumento su base annua del 6,7%. In breve, anche se il calo dei prezzi delle nuove abitazioni nel periodo a venire provocherà un sostanziale raffreddamento degli affitti, ci vorrà molto tempo (forse nel 2024) prima che l'indice degli immobili in affitto possa ritrovare la strada verso l'obiettivo del 2,00%.

Indice dell'affitto degli immobili IPC: variazione mensile (linea viola) rispetto a variazione annua (linea nera), 2017-2022

In ogni caso, l'indice dei servizi IPC esclusi gli immobili in affitto è salito addirittura dell'8,1% a settembre, un dato superiore anche al 7,4% dell'indice dei servizi totali. Ciò significa, ovviamente, che il 28,40% del peso nell'IPC rappresentato dai servizi meno gli immobili in affitto sta aumentando più rapidamente degli stessi affitti.

Inoltre, come implicano le linee rosse e nere contrastanti nel grafico qui sotto, non vi è alcuna indicazione che questo sottoindice stia per scendere a breve. Sebbene il ritmo di aumento mensile (linea rossa) sia stato volatile, è stato ben al di sopra della tendenza annua durante sette degli ultimi otto mesi, il che implica che l'indice annuo avrà un notevole slancio verso l'alto durante i prossimi mesi.

Indice IPC per i servizi meno gli immobili: variazione mensile (linea rossa) rispetto a variazione annua (linea nera), 2017-2022

Nel contesto dell'aumento del costo del lavoro e delle conseguenti pressioni inflazionistiche provenienti dal settore dei servizi, occorre rilevare un'ulteriore tendenza negativa dei dati macroeconomici. Vale a dire, gli aumenti del 5-8% dei costi salariali tra i vari settori domestici non sono affatto compensati da alcun aumento di produttività.

Questo è del tutto anormale e un'ulteriore misura dell'impatto negativo dei lockdown, degli stimoli fiscali e delle conseguenti defezioni della forza lavoro da parte della popolazione in età lavorativa. Vale a dire, dal primo trimestre del 2021 gli aumenti del costo del lavoro totale (compresi i benefici) sono aumentati da un tasso annuo del 3,0% (linea nera) al 5,1%, mentre gli aumenti di produttività (linea viola) sono andati nella direzione opposta, precipitando dal +2,2% nel primo trimestre 2021 al -1,4% nel terzo trimestre 2022.

Inutile dire che tale divario si aggiunge alla crescita del costo unitario del lavoro (linea marrone). Di conseguenza negli ultimi tre trimestri i costi unitari del lavoro sono aumentati di oltre il 6,0% annuo, rappresentando i maggiori aumenti in più di quattro decenni.

Variazione annua dei costi retributivi totali, della produttività del lavoro e dei costi unitari del lavoro, dal primo trimestre del 2021 al terzo trimestre del 2022

Alla fine della fiera, la macro-condizione dell'economia statunitense equivale a un infernale caso di stagflazione. Il mercato del lavoro e l'economia sono deboli; l'inflazione è estremamente forte.

Ciò significa, a sua volta, che i rialzi dei tassi d'interesse da parte del sistema bancario centrale sono in realtà in ritardo. Anche solo per iniziare a intaccare lo slancio inflazionistico, bisognerà portare il tasso del decennale statunitense ben al di sopra del livello del 5,0%.

Eppure è la prospettiva di rendimenti obbligazionari drammaticamente più alti che alla fine causerà una grande rottura dei mercati finanziari, specialmente tra i prezzi delle azioni. Vale a dire, a margine gli Stati Uniti hanno impegnato il loro enorme debito pubblico da $31.000 miliardi nei confronti degli investitori stranieri.

I soli giapponesi, ad esempio, hanno accumulato circa $1.200 miliardi di debito pubblico degli Stati Uniti, principalmente perché ha reso molto di più del misero 0,25% decretato dalla Banca del Giappone. Questi rendimenti obbligazionari statunitensi, a loro volta, hanno fornito un rendimento più allettante di quelli disponibili sul mercato interno anche dopo aver tenuto conto del costo della copertura monetaria.

Ma il trade coperto dal dollaro non funziona più, a causa del crollo dello yen. Quest'ultimo ha causato un aumento drammatico dei costi di copertura monetaria.

Quindi sia le istituzioni giapponesi che il signor e la signora Watanabe hanno fatto il pieno di perdite sui titoli in dollari, il che significa che i maggiori acquirenti mondiali di obbligazioni statunitensi per anni, che hanno contribuito a contenere i costi di prestito per le imprese e i consumatori americani, stanno ora abbandonando i mercati obbligazionari in dollari.

Come ha notato di recente il Wall Street Journal:

Stanno aumentando i segnali che il governo giapponese stia vendendo obbligazioni statunitensi a breve termine, parte di uno sforzo per sostenere la sua valuta. Il 22 settembre il rendimento del decennale USA ha fatto registrare il secondo più grande balzo di quest'anno dopo che il governo giapponese, per la prima volta dagli anni '90, ha dichiarato che stava acquistando yen con dollari dalle sue riserve in valuta estera.

Allo stesso tempo, alcuni investitori istituzionali giapponesi stanno correndo per ridurre le loro partecipazioni in obbligazioni estere, compresi i bond sovrani statunitensi.

I rialzi dei tassi d'interesse da parte della Federal Reserve hanno indebolito lo yen e reso più costoso per gli investitori giapponesi proteggersi dalle fluttuazioni monetarie quando acquistano asset statunitensi. Di conseguenza, invece di contare sulla domanda di obbligazioni statunitensi da parte degli investitori giapponesi, gli investitori sono sempre più preoccupati per uno spostamento potenzialmente destabilizzante nei flussi di capitale mondiali.

Il calo della domanda giapponese arriva mentre il mercato obbligazionario statunitense sta attraversando uno dei suoi anni peggiori della storia, essendo stato colpito da un'inflazione persistente e da crescenti aspettative su quanto in alto la FED dovrà lasciar salire i tassi. Con il calo dei prezzi delle obbligazioni, i rendimenti dei bond sovrani statunitensi sono saliti al livello più alto in oltre un decennio.

Infatti per anni molti speculatori giapponesi si sono impegnati in una forma ancora più vivace di arbitraggio: hanno fatto incetta di obbligazioni statunitensi a lungo termine non solo perché offrivano rendimenti più elevati rispetto alle obbligazioni giapponesi, ma perché i loro rendimenti erano superiori a quelli delle obbligazioni statunitensi a breve termine. Ciò ha permesso loro di ottenere buoni rendimenti prendendo in prestito dollari a breve termine (a tassi ridicoli) e quindi acquistare obbligazioni a lungo termine, una mossa che ha anche agito come una copertura de facto contro le fluttuazioni monetarie!

Tuttavia questo gioco sta rapidamente volgendo al termine. Solo negli ultimi quattro mesi gli assicuratori sulla vita e le pensioni giapponesi da soli hanno ridotto le loro partecipazioni in obbligazioni estere di quasi $40 miliardi, secondo i dati del governo giapponese. Ciò avviene dopo che ne hanno comprati circa $500 miliardi sin dall'inizio del 2016, quando le politiche della BOJ hanno spinto i rendimenti obbligazionari giapponesi sotto lo zero.

In breve, i banchieri centrali hanno distrutto i mercati dei capitali mondiali in modo quasi irreparabile. Mentre la FED ora tenta di annullare l'impatto inflazionistico della sua sconsiderata stampa di denaro nel corso di diversi decenni, la spirale della conseguente speculazione a leva e degli investimenti errati in tutto il mondo è destinata a scendere ancora più a fondo.

Quindi quello che abbiamo non è solo la peggiore stagflazione degli ultimi 40 anni, ma anche una costellazione di errori economici indotti dal sistema bancario centrale che aggraveranno e prolungheranno la cura della stretta monetaria che è appena iniziata.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/