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mercoledì 22 gennaio 2025

Un commento breve su una proposta storica del presidente argentino Javier Milei

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Jesus Huera De Soto

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/un-commento-breve-su-una-proposta)

Il Presidente della Repubblica Argentina, Javier Milei, ha dichiarato che presenterà una proposta di legge per dichiarare un crimine, per lo stato e la banca centrale, monetizzare il deficit pubblico e creare inflazione. Di conseguenza i capi di stato e di governo, i ministri, i funzionari della banca centrale e i rappresentanti pubblici che, in un modo o nell'altro, decidono, promuovono o partecipano alla creazione di denaro e al finanziamento inflazionistico del deficit pubblico, saranno processati e condannati come criminali.

Inoltre questi atti saranno dichiarati reati imprescrittibili e quindi, anche se — a causa di possibili cambiamenti politici futuri — questa legge dovesse essere abrogata, il suo successivo ripristino significherebbe, ipso facto, l'incriminazione e la condanna delle persone coinvolte in politiche inflazionistiche. In breve, l'intenzione è di scoraggiare, ex ante, l'azione di qualsiasi autorità, funzionario pubblico o politico che potrebbe, in futuro, decidere di ricorrere all'inflazione per finanziare e raggiungere obiettivi politici, economici, sociali o di altro tipo.

La ratio legis di questa nuova legge è chiara: si fonda sul danno grave causato dalle politiche inflazionistiche in generale. Nel caso particolare dell'Argentina, tali linee di politica sono state sul punto di causare una furiosa iperinflazione, che solo gli sforzi del nuovo Presidente, Javier Milei, e i sacrifici sopportati dalla nazione argentina sin dalla caduta dell'ex-governo peronista, sono riusciti a invertire. Suddetto ex-governo e quelli che lo hanno preceduto sono i principali responsabili della grave prostrazione, povertà e crisi economica e sociale che oggi hanno posto l'Argentina, un tempo uno dei Paesi più ricchi del mondo, tra le nazioni relativamente più povere e meno prospere, nonostante il suo enorme potenziale in termini di risorse umane e naturali.

Di seguito daremo un'occhiata al danno causato dalla creazione di denaro e dal finanziamento inflazionistico del deficit pubblico. Questo danno giustifica la criminalizzazione e la dura punizione di tutti coloro che, direttamente o indirettamente, diventano promotori, collaboratori o principali partecipanti a misure inflazionistiche.

Prenderemo in considerazione gli effetti della monetizzazione del deficit pubblico, dal meno severo al più severo. In primo luogo, essa costituisce un attacco diretto alle fondamenta stesse del sistema democratico. Infatti l'essenza della democrazia si basa sul controllo democratico, con completa trasparenza sia del bilancio di spesa che delle diverse fonti di entrate pubbliche, le quali devono essere note e votate dai cittadini. La monetizzazione della spesa pubblica, ovvero il finanziamento tramite la mera emissione di qualsiasi importo di nuova moneta, è profondamente antidemocratica. Rompe il legame tra spesa pubblica trasparente ed entrate, in modo nascosto e diluito, ponendo il costo della quota di spesa pubblica non finanziata con le tasse sulle spalle di chi usa le unità monetarie.

A poco a poco, e senza accorgersene all'inizio, o conoscerne la causa, queste persone ne sono colpite, poiché i loro saldi monetari subiscono un drastico calo del potere d'acquisto. Questo fenomeno si verifica sia quando il deficit viene monetizzato direttamente, come di fatto accade da anni in Argentina, sia quando, per salvare le apparenze, il deficit viene finanziato con nuovo debito pubblico che la banca centrale acquista immediatamente nel mercato secondario con denaro creato ex novo. La Banca centrale europea, la Federal Reserve e altre banche centrali, con il falso pretesto e “l'ombrello legale” di portare avanti solo la politica monetaria, hanno proceduto in questo modo e hanno acquisito fino a un terzo di tutto il debito pubblico emesso finora dai rispettivi governi.

In secondo luogo, la monetizzazione del deficit pubblico equivale a rimuovere la restrizione essenziale imposta ai politici dal controllo trasparente e democratico del bilancio e della sua attuazione. Infatti se la spesa pubblica può essere finanziata con l'inflazione, praticamente “di nascosto” e in un modo apparentemente indolore (almeno nel breve termine), gli incentivi politici saranno ovviamente e inevitabilmente orientati verso lo spreco: una “abbuffata di spesa pubblica” e un sfacciato e indiscriminato acquisto di voti che distrugge le fondamenta stesse della democrazia, oltre a demoralizzare e corrompere l'elettorato e la cittadinanza.

L'Argentina è un esempio lampante di questo fenomeno perverso. La Federal Reserve e la Banca centrale europea hanno adottato politiche di monetizzazione del deficit pubblico che hanno dato origine a tal fenomeno (anche se su scala minore). Ad esempio, nel momento in cui la BCE ha avviato le sue politiche “monetarie” ultra-lassiste di “quantitative easing” e di abbassamento del tasso d'interesse a zero, i diversi governi dell'Eurozona hanno immediatamente bloccato le necessarie misure di austerità e le riforme che avevano iniziato a implementare. Nessun governo è disposto a sostenere il costo politico dell'adozione di linee di politica tanto dolorose, quanto necessarie, se il deficit che deriva dall'evitarle non costerà nulla, non avrà alcun impatto su chi è al potere e sarà persino finanziato, direttamente o indirettamente, da denaro creato ex novo dalla banca centrale e a tassi d'interesse praticamente inesistenti.

In terzo luogo, dobbiamo sottolineare che il denaro creato ex novo non raggiunge mai tutti i cittadini in egual modo. Invece viene iniettato, nel migliore dei casi, per pagare i conti della spesa pubblica, e quindi, i prezzi dei primi beni e servizi così finanziati aumentano. I primi destinatari del denaro creato ex novo ne escono vincitori, a spese di tutti gli altri cittadini. Nel peggiore dei casi, che sono peraltro i più comuni, le banche centrali mascherano la loro monetizzazione diretta del deficit pubblico sotto la cappa apparentemente più ortodossa dell'acquisto di titoli sovrani (e persino altri titoli, a reddito fisso e variabile) nei mercati secondari (azionari e obbligazionari). In questo caso la ridistribuzione del reddito a favore dei pochi è addirittura maggiore: può raggiungere l'estremo osceno di arricchire notevolmente coloro che detengono gli asset finanziari corrispondenti, sia perché vendono i titoli nel loro portafoglio alla banca centrale a un prezzo artificialmente esorbitante, sia perché il calo generalizzato dei tassi d'interesse (a zero o addirittura a meno di zero) fa schizzare alle stelle il valore di mercato dei titoli a reddito fisso, di altri asset e dei beni strumentali.

Per non parlare poi dell'enorme impatto negativo che una manipolazione così drastica e grossolana del tasso d'interesse esercita sulla struttura produttiva. Il tasso d'interesse è il prezzo più importante in un libero mercato e, quando viene manipolato in questo modo, cessa di funzionare in modo efficiente come guida per le decisioni imprenditoriali sull'allocazione intertemporale tra la produzione di beni di consumo e beni capitali.

Le banche centrali usano due processi per creare e iniettare denaro nell'economia:

  1. Espansione del credito generata dal sistema bancario a riserva frazionaria sotto la direzione della banca centrale;
  2. “Operazioni di mercato aperto”, o monetizzazione del deficit pubblico.

In entrambi i casi, un tasso d'interesse manipolato e artificialmente basso innesca ondate di investimenti errati e insostenibili che danno origine a cicli economici e crisi di instabilità finanziaria. Il fatto è che la manipolazione e l'abbassamento dei tassi d'interesse danno l'apparenza di redditività a processi di investimento che sono in realtà insostenibili, perché non corrispondono ai desideri reali dei cittadini, come consumatori e risparmiatori.

In quarto luogo, una volta che gli effetti sopra descritti hanno fatto il loro corso, ogni processo inflazionistico alla fine si traduce inevitabilmente nel graduale declino del potere d'acquisto delle unità monetarie utilizzate da tutti gli attori di mercato. Questa diminuzione del potere d'acquisto equivale a una tassa che danneggia tutti, in particolare i più vulnerabili e bisognosi, e quindi l'inflazione diventa invariabilmente una tassa particolarmente odiosa e regressiva.

In conclusione, la monetizzazione del deficit pubblico causa danni molto gravi che in realtà superano di gran lunga, sia quantitativamente che qualitativamente, quelli causati dai falsari, la cui attività è considerata un reato in tutti i codici penali del mondo (in Spagna, ad esempio, è punibile con una pena detentiva da otto a dodici anni negli articoli da 386 a 389 del codice penale spagnolo). Pertanto esiste una piena giustificazione per la proposta storica del presidente Javier Milei di criminalizzare e persino di non porre alcuna prescrizione sulla monetizzazione del deficit pubblico e di punirla con la reclusione e persino con multe pecuniarie più elevate; l'elemento storico è che varrà per tutti i capi di stato e di governo, i ministri delle finanze, i membri del parlamento e i governatori, e i membri dei consigli di amministrazione delle banche centrali che, per atto o omissione, sono responsabili della creazione di denaro. E, ancora una volta, la ragione di ciò è il danno grave, sia a livello individuale che sociale, che tale creazione di denaro causa sempre.

Pertanto ci auguriamo che il Presidente Javier Milei possa far passare questo cambiamento epocale il prima possibile. Soprattutto ci auguriamo che il suo esempio, insieme alla consapevolezza popolare degli effetti perversi e dei gravi danni che derivano dalla monetizzazione del deficit pubblico, si diffonda in tutto il mondo e raggiunga in particolar modo le aree economiche come quella del Nord America e dell'Eurozona; queste nazioni, sebbene non abbiano raggiunto la quasi iperinflazione dell'Argentina, hanno però espropriato i propri cittadini tramite la svalutazione delle unità monetarie. Ad esempio, in pochissimi anni il 20% del potere d'acquisto di tutto il loro denaro è stato espropriato. Ci auguriamo, quindi, che tutto ciò avvenga e che, in un futuro non troppo lontano, sarà anche possibile perseguire penalmente e ritenere personalmente responsabili i governatori delle banche centrali del resto del mondo e i membri dei rispettivi consigli di amministrazione per non aver raggiunto i loro obiettivi e per il danno sociale ed economico che hanno inflitto ai cittadini.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 21 marzo 2022

Discorso di presentazione del documentario “La crisi del sistema pensionistico”

 

 

di Jesus Huerta de Soto

Il mio intervento di oggi conterrà una serie di parti: il mio obiettivo sarà offrire una panoramica molto breve della mia esperienza come difensore dell'idea di libertà in Spagna e nel mondo. A tal fine dovrò tornare indietro di oltre vent'anni alla mia nomina alla Cattedra universitaria di Economia politica presso l'Universidad Rey Juan Carlos di Madrid. All'epoca, nel dipartimento era in corso un dibattito su chi sarebbe stato il responsabile dell'insegnamento di Introduzione all'economia, un corso che in qualche modo era stato inserito nel programma di studio di quegli studenti che si preparavano ad una laurea in comunicazioni audiovisive. Nessun professore di economia voleva insegnare comunicazione audiovisiva – neanche per un solo semestre – agli studenti, ma io mi feci avanti e dissi: "Sono il presidente del dipartimento ed insegnerò a quegli studenti, ma chi viene formato in quel programma?” Mi venne risposto che il programma aveva formato esperti in comunicazioni audiovisive – futuri produttori televisivi, sceneggiatori, registi, specialisti di marketing, ecc. – e quindi presi un impegno: "Insegnerò economia a quegli studenti!"

Infatti quella potrebbe essere stata una delle decisioni più importanti della mia vita accademica, perché quel corso ha avuto un enorme impatto sulla prima classe di studenti, e poi sulla seconda, e così via... Arrivò un momento in cui i miei studenti nel programma di comunicazione audiovisiva mi chiesero: “Professor Huerta de Soto, le dispiacerebbe se registrassimo le sue lezioni? Riteniamo importante che siano liberamente accessibili e sappiamo come fare; è la nostra area di competenza”. Nel frattempo uno dei miei colleghi, il professor Gabriel Calzada, allora presidente dell'Istituto Juan de Mariana, vide che questo progetto era importante e trovò qualcuno che, con grande dedizione ed impegno e con gli strumenti tecnologici più avanzati allora disponibili, registrasse tutte le mie quarantacinque lezioni di novanta minuti nell'anno scolastico 2009-2010. Quella persona era Fernando Díaz Villanueva: non immagina quanto io gli sia grato per il suo impegno e per essere diventato il mio assistente didattico durante il corso. Ricordo ancora con affetto i minuti e le ore che abbiamo trascorso insieme per la registrazione di quelle lezioni.

Come ho detto prima, questa è stata una delle migliori decisioni che ho preso nella mia vita. Tenete presente che le lezioni non pongono alcun problema di protezione dei dati, poiché sono registrate dal fondo dell'aula e quindi sono visibili solo il retro della testa degli studenti (potete vederli di persona se li guardate: sono disponibili su YouTube). C'erano circa settanta studenti all'anno e da quando abbiamo reso il corso liberamente accessibile su diverse reti, settemila studenti all'anno hanno iniziato a seguirlo. Cento volte più di quanti erano fisicamente presenti ad ogni lezione. Ma la storia non finisce qui. Dobbiamo renderci conto di quanto sia difficile e noioso seguire una lezione di novanta minuti sullo schermo di un computer. Per questo un altro dei miei colleghi, un astrofisico sivigliano di nome José Manuel González González, mi fece la seguente proposta: “Professore, suggerisco di modificare le sue lezioni e di suddividerle in segmenti da dieci a quindici minuti ciascuno. Li modificherò e ogni volta che fornirà un esempio, sovrapporrò i punti principali sullo schermo. Modificherò quei brevi video in modo che invece di un video di novanta minuti, avrà cinque o sei video più brevi per ciascuna delle sue lezioni”. Ci pensai molto; non era una decisione facile da prendere. Una cosa era pubblicare un video di classe continuo di novanta minuti, un'altra era dividerlo in piccoli pezzi che poi sarebbero stati resi pubblici e avrebbero potuto essere presi fuori contesto, poiché uno spettatore non sapeva cosa era stato detto prima dell'inizio di ogni breve video, né cosa sarebbe stato detto dopo. Ma José Manuel González González mi presentò diverse proposte e alla fine presi la mia decisione: accettai. Poi provvedette al montaggio ed alla scomposizione in 270 video delle quarantacinque lezioni registrate, liberamente accessibili sia sul suo sito web (www.anarcocapitalista.com), sia sui diversi social, principalmente YouTube. Con mia grande sorpresa, questo cambiamento avrebbe comprotato un aumento esponenziale del numero di persone che avrebbe seguito il mio corso. Non c'erano più solo settemila follower all'anno, come quando abbiamo reso disponibili per la prima volta i video delle lezioni, ma oltre settantamila – un aumento di dieci volte.

Infatti alcuni dei video hanno ricevuto ancora molte più visualizzazioni. Ad esempio, quello sugli effetti economici dei “Prezzi massimi” è stato visto fino ad oggi da 305.931 persone ed il numero aumenta ogni giorno. C'è un video intitolato “La caduta (distruzione) dell'impero romano”, in cui spiego che l'impero romano non è caduto perché sono arrivati ​​i barbari. Invece marciva dall'interno ed i barbari, che avevano sempre esercitato pressioni sui confini dell'impero, ne occuparono semplicemente i resti e furono persino ricevuti a braccia aperte da molti cittadini, stufi dell'interventismo statale, della regolamentazione opprimente del governo centralista di Roma e – soprattutto – del carico fiscale che esso imponeva loro. Fino a ieri il mio video sulla caduta dell'Impero Romano era stato visto da 596.424 persone, più di mezzo milione, quanto basta per riempire lo stadio del Camp Nou quasi sei volte. Altri video di lezione includono: “Critica alla teoria dello sfruttamento”, con 132.979 visualizzazioni; “”a grande bugia dei 'guadagni sociali'”, con 144.000 visualizzazioni; “Perché gli intellettuali odiano il capitalismo?” con 236.000 visualizzazioni, in cui mi affido principalmente al saggio di Bertrand de Jouvenel. C'è anche la lezione finale extracurriculare “Dieci consigli su come avere successo nella vita”, con 409.510 visualizzazioni fino ad oggi.

Questo corso, che segue il mio programma e che insegno ogni anno da oltre vent'anni presso l'Universidad Rey Juan Carlos, prevedeva la pubblicazione di una guida allo studio. Con l'aiuto di José Manuel González González l'abbiamo pubblicata (tramite Unión Editorial). È disponibile sia online che su carta e funge da manuale per seguire il corso. Francamente non avrei mai pensato che un corso di economia tenuto nelle aule dell'Universidad Rey Juan Carlos avrebbe suscitato un tale interesse.

Il mio obiettivo è non sfinirmi a tenere conferenze: preferisco che le persone studino le mie lezioni ed i miei libri. Tuttavia ho accettato, in media, uno o due inviti a lezione all'anno. Quello che ho fatto è stato approfondire la mia esperienza con i video delle lezioni ed insistere affinché venissero registrate per renderle liberamente accessibili a tutti. Toccherò ora l'impatto che hanno avuto, dal momento che ho tenuto cinquanta o sessanta conferenze in tutto il mondo, e sono state tutte registrate e, grazie alle nuove tecnologie, sono disponibili al pubblico. Inizierò con un discorso che ricordo con molto affetto, dato nell'auditorium principale della Fondazione San Pablo CEU (ora Fondazione dell'Università San Pablo CEU), ed il tema era la crisi e la critica al socialismo. Ricordo che l'auditorium era completamente pieno. In prima fila sedeva l'intera dirigenza del Partito Popolare e cominciai a criticarli come l'incarnazione della socialdemocrazia più tiepida. Questo video è già stato visto da 145.000 persone e le visualizzazioni aumentano ogni giorno. C'è anche la conferenza tenuta presso la Fondazione Rafael del Pino ed intitolata “Crisi finanziaria, riforma bancaria e futuro del capitalismo”. Il discorso era estremamente attuale all'epoca, perché avevamo appena subito le conseguenze della grave stagflazione che ha colpito tutte le economie occidentali a partire dal 2008. Poche settimane dopo, l'ho pronunciato in inglese quando la London School of Economics mi invitò a tenere un discorso la “Lezione commemorativa di Hayek” ed è stata vista oltre 200.000 volte fino ad oggi.

Inoltre, sotto ogni video, c'è una sezione commenti con centinaia o migliaia di commenti delle persone che guardano le lezioni. Sarebbe umanamente impossibile per me leggerli tutti, ma toccherò uno dei più popolari: la chiamata a nominarmi ministro delle finanze in Venezuela, perché quello che dico nella lezione sui prezzi massimi descrive esattamente ciò che le persone stanno soffrendo in quel Paese. Naturalmente l'ultima cosa che farei in vita mia, per ovvie ragioni, sarebbe accettare la carica di ministro delle finanze ovunque (soprattutto in Venezuela). Potrei citare anche la lezione più recente intitolata “Anti-Deflationist Paranoia”, con 82.452 visualizzazioni, in cui critico fortemente Mario Draghi, la Banca Centrale Europea e tutti gli esperti che sono per l'inflazione e contro “l'austericidio” (il termine che hanno coniato per attaccare le persone con dei principi). Tutto ciò che è stato ottenuto con politiche monetarie totalmente permissive, tassi d'interesse a zero o negativi e l'eccessivo acquisto di debito sovrano e persino societario è stato paralizzare tutte le riforme di cui l'Unione Europea aveva disperatamente bisogno, nipponizzando le nostre economie e gettando le basi per un'inflazione shock che adesso stiamo cominciando a provare. Proprio questa mattina è stato reso pubblico che l'inflazione in Spagna è salita al 6,5% e continuerà a crescere. La mia conferenza su “La giapponesizzazione dell'Unione Europea” è stata vista da 59.859 persone fino ad oggi.

Infine, poiché mi sono molto cari, citerò il ciclo di conferenze che ho tenuto nel tentativo di spiegare che il liberalismo classico, come progetto, è finito. I liberali, o meglio gli amanti della libertà, non possono continuare a dire le stesse cose di 150 anni fa. Il liberalismo classico ha fallito nei suoi obiettivi ed è destinato ad essere assorbito dall'unica posizione coerente con la natura umana: l'anarchia della proprietà privata, il capitalismo libertario o l'anarcocapitalismo. Ho sviluppato questo argomento in tre conferenze: “Liberalismo classico contro anarcocapitalismo”, tenuta anche in un auditorium principale e organizzato da Students for Liberty; “Libertà, politica e anarchia nella Spagna del ventunesimo secolo”, tenuta alla Fondazione Rafael del Pino; e la più recente, forse la più rivoluzionaria, “Anarchia, Dio e Papa Francesco, ” che, peraltro, è stata oggetto di ogni sorta di dibattito a Roma. Queste tre conferenze sono state viste da oltre 300.000 persone e, se qualcuno di voi è interessato a guardarle, vi consiglio di iniziare con “Anarchia, Dio e Papa Francesco”, se non altro perché, in essa, cito il grande anarchico spagnolo Melchor Rodríguez Almagro, il famoso “Angelo Rosso”.

Questo ci porta al mio battesimo del fuoco come produttore cinematografico e all'inizio della mia lunga e fruttuosa collaborazione con Juan José Mercado. Ho fatto il mio primo passo con un cortometraggio che mira a spiegare la Teoria Austriaca dei cicli economici in modo visivo, attraente e comprensibile. Oltre 91.000 persone hanno visto il documentario. Poi abbiamo deciso di produrne altri due, questa volta con metodi molto più professionali, con un budget di diverse decine di migliaia di euro ciascuno ed invitando altri esperti ad entrare nel vivo delle questioni fondamentali che volevamo sollevare. Il nostro obiettivo era che questi documentari fossero liberamente accessibili ed uno strumento educativo per gli studenti universitari e anche che venissero proiettati sui diversi canali televisivi e su piattaforme come Amazon, Netflix, Movistar, ecc. E così abbiamo terminato la nostra prima grande produzione intitolata Frode: la ragione dietro la Grande Recessione in collaborazione con l'Istituto Juan de Mariana. Il documentario dura più di un'ora, ma abbiamo realizzato una versione leggermente più breve di quarantacinque minuti, che è stata trasmessa alla stazione televisiva Telemadrid ed è stata vista su YouTube da più di 90.000 persone. L'anno successivo ho proposto il progetto di un'altra sceneggiatura a Juan José Mercado e, sotto la sua direzione, abbiamo completato il documentario In difesa dell'euro, in cui difendiamo l'euro tedesco, il vero euro così come è stato creato sulla base del Trattato di Maastricht, e non l'euro che è stato corrotto, adulterato e rovinato da Draghi. Tutte queste produzioni, ovviamente, sono state realizzate sotto l'etichetta Amagifilms (amagi significa "libertà" in caldeo) e sotto la direzione e sceneggiatura mia e di Juan José Mercado.

E poi arriviamo al 2019, l'anno prima della pandemia, quando ho iniziato a pensare ad un nuovo progetto. Ho cominciato a vedere la necessità di produrre una docuserie, una serie di documentari volti a fornire una critica allo stato sociale. Volevo presentare argomentazioni facilmente comprensibili, mostrare chiaramente la grave situazione in cui ci troviamo e proporre soluzioni fattibili per sfuggire alla nostra attuale situazione. Un qualcosa senza precedenti. Quello che ci va più vicino potrebbe forse essere la serie Free to Choose, realizzata negli anni '80 e trasmessa in molte emittenti televisive di tutto il mondo. La serie era presentata da una personalità unica: Milton Friedman, il principale rappresentante della Chicago School. Vorrei dare alla nuova serie di documentari tratti distintivi rispetto a Free to Choose. In primo luogo, piuttosto che difendere il capitalismo, che era l'obiettivo di Milton Friedman, credo che la migliore difesa sia un buon attacco. Invece di difendere il capitalismo, voglio attaccare lo stato sociale; questa è la prima caratteristica che desidero apportare alla nuova serie di documentari che andrò a produrre. Quali sono le contraddizioni insite nel welfare state? Perché è insostenibile? Che male fa alla società? Voglio attaccare lo stato sociale. La seconda caratteristica distintiva che desidero dare alla mia serie è la seguente: piuttosto che far ruotare attorno ad una singola figura che funge da presentatore, inviteremo esperti rinomati su ciascuno degli argomenti. La terza caratteristica è che la serie non sarà meramente critica o distruttiva. Vogliamo dargli un focus costruttivo.

Mi prefiguro quattro episodi. Logicamente sarebbero tre episodi incentrati su ognuna delle componenti essenziali del welfare state: pensioni, istruzione ed assistenza sanitaria. A questi tre episodi ne aggiungerei un quarto dedicato ad un argomento di grande attualità: il cambiamento climatico. L'episodio sulle pensioni è già completo e oggi, 29 novembre 2021, verrà proiettato pubblicamente per la prima volta. Attualmente stiamo lavorando al secondo episodio, che tratterà del cambiamento climatico e ci affideremo a degli scienziati: il cambiamento climatico è realtà, ma una parte significativa di esso deriva da cause naturali. E sebbene gli esseri umani abbiano indubbiamente un'influenza, è molto più modesta di quanto alcuni vorrebbero farci credere. È in atto una manipolazione diffusa ed eccessivamente costosa, ed è ciò che vogliamo esporre nella docuserie. La nostra società ha raggiunto un vicolo cieco, proprio come ha fatto con le pensioni. Naturalmente la soluzione principale è il mercato. Se qualcosa caratterizza il mercato ed il sistema capitalista, è la loro grande flessibilità nell'adattarsi al cambiamento, ed il futuro sarà nostro se permettiamo all'economia di mercato di adattarsi piuttosto che aspettarci che lo stato intervenga, come sempre, attraverso la coercizione, la violenza, la Gazzetta Ufficiale, le tasse, i sussidi, ecc. Questo è il nostro progetto e l'obiettivo è fare un documentario ogni anno. Se tutto va bene, se Dio vuole, alla fine del 2022 lo presenteremo sul cambiamento climatico. E nel 2023 il piano è di concentrarsi sull'istruzione: il danno che lo stato arreca all'istruzione e spiegare perché tutte le diverse amministrazioni si battono per ottenerne il controllo. Il motivo è ovvio: imporre i propri slogan alla società e fare il lavaggio del cervello ai cittadini. L'unica via d'uscita è restituire la responsabilità dell'istruzione alla società civile, ai genitori e alle famiglie.

Ho deciso di lasciare per ultimo il documentario dedicato alla sanità, per una ragione ovvia: desidero far passare più tempo possibile dopo l'attuale crisi sanitaria, poiché inevitabilmente distorcerebbe qualsiasi analisi in questo ambito. Tuttavia possiamo facilmente discernere il contenuto. Dobbiamo ricordare che due milioni e mezzo di spagnoli hanno la possibilità di scegliere tra assistenza sanitaria pubblica e privata. Parlo di dipendenti pubblici (di cui io sono uno) e ogni anno oltre l'80% sceglie l'assistenza sanitaria privata. Perché non estendere questa libera scelta a tutti i cittadini spagnoli? Questo è tutto ciò che dirò per ora sulla questione principale che sarà trattata in dettaglio nell'episodio finale della serie.

Infine parlerò un po' del documentario che presentiamo oggi, dedicato alla crisi del sistema pensionistico. Questo argomento mi è molto caro. Nel 1983 sono stato insignito del Premio Re Juan Carlos per l'Economia da Sua Maestà il Re proprio per il mio lavoro sulla crisi della previdenza sociale ed il ruolo dei piani pensionistici privati ​​nella sua riforma. Fu allora che entrai in contatto per la prima volta con José Antonio Herce e, a dire il vero, gli eventi si sono svolti esattamente come nel nostro copione; tutto è successo proprio come avevamo previsto quarant'anni fa. L'ho spiegato anno dopo anno nella mia classe all'università. Inoltre, nel settembre del 2018, sono stato invitato alla Summer University ad El Escorial, presso l'Universidad Reina Cristina, per fare una lezione che riassumesse la crisi della previdenza sociale ed il ruolo dei piani pensionistici nella sua riforma; nel documentario di oggi troverete un riassunto aggiornato di tutte le mie idee. Si intitola “Ni justicia, ni social: La crisis del sistema de pensiones” ed è disponibile su YouTube, dove è stato visto fino ad oggi da oltre 66.000 persone. Abbiamo fatto una trascrizione letterale delle mie parole in questa conferenza e, in forma embrionale, è diventata la sceneggiatura del documentario sulle pensioni che presenteremo oggi. Juan José Mercado ha usato questa trascrizione come base per l'interessante sceneggiatura finale che ha preparato oggi.

Sebbene io sia disposto a finanziare individualmente il costo di ciascuno di questi documentari, cerco sempre di vedere se ci sono persone o istituzioni interessate a partecipare al progetto, e devo ringraziare Francisco García Paramés (il cosiddetto Warren Buffett spagnolo) per aver deciso di coprire, attraverso il suo istituto Value School, il 50% del costo del documentario sulle pensioni. Inoltre produrremo una versione in inglese, in modo che possa essere visualizzata in tutto il mondo. Ancora una volta, ringrazio Value School per la loro partecipazione e per aver collaborato organizzando eventi per aumentare l'impatto del documentario e li incoraggio a partecipare anche ai prossimi progetti.

Ora sta a voi: in primo luogo, decidere se siamo riusciti ad offrire nel documentario una spiegazione alla crisi del sistema pensionistico; secondo (e questo è uno dei tratti distintivi del documentario rispetto a Free to Choose), valutare le diverse osservazioni degli esperti prescelti; e terzo, valutare la nostra proposta per sfuggire ad una situazione difficile, dando a tutti la libertà di scegliere se rimanere o lasciare il sistema pensionistico pubblico. Detto questo, è chiaro che, per sostenere gli attuali pensionati, il sistema dovrebbe continuare a versare una quota molto ampia del denaro che ora riceve in contributi. Se permettiamo agli spagnoli di scegliere liberamente di lasciare il sistema pubblico, non sappiamo se la maggioranza se ne andrà, com'è avvenuto invece nei Paesi che hanno adottato questa soluzione in passato. Se ciò dovesse accadere, il passaggio potrebbe avvenire in una generazione – cioè circa venticinque anni – fino a quando gli attuali pensionati non avranno vissuto la loro vita. È anche possibile che, in questo momento, l'idea non abbia tanto successo, e se solo alcune persone – le più giovani – decidessero di lasciare il sistema pubblico, il passaggio richiederebbe due generazioni. In ogni caso, permettiamo ai cittadini di prendere liberamente posizione e di indicare fino a che punto sono disposti a fare lo sforzo che, senza dubbio, è il nostro biglietto per uscire da questo pasticcio. Quando questa opzione è stata offerta nel Regno Unito, in Cile ed in altri Paesi, la maggior parte delle persone ha scelto di stipulare un contratto: oltre il 90% è fuggito dal sistema, sebbene fosse autorizzato a prelevare solo il 10% dei contributi che avevano versato nel sistema pubblico (pari al 37% dei salari tra lavoratori ed aziende). Il 27% ha continuato ad usare il sistema pubblico per pagare le pensioni degli attuali pensionati. Ovviamente con l'avanzare della transizione, il 10% non è un risparmio sufficiente ed è necessario aumentare gradualmente l'importo risparmiato. Così, ad esempio, è inutile dire che il sistema è stato un fallimento in Cile perché le pensioni sono molto basse. In Cile è stato commesso un gravissimo errore: quando Allende era al potere, i cileni contribuivano con il 40% del loro salario alle pensioni, ma anche una volta completata la transizione al sistema basato sulla capitalizzazione, continuavano a pagare solo il 10% e le pensioni basate su quell'ammontare di risparmio erano ovviamente piccole. Perlomeno avrebbero dovuto aumentare gradualmente al 20 o 30% del salario i risparmi destinati alla capitalizzazione, nel qual caso le pensioni in Cile sarebbero due, tre o quattro volte quelle attuali e nessuno avrebbe potuto sostenere che il sistema fosse “fallito”. Hanno risparmiato troppo poco e poi piangono lacrime di coccodrillo. Il messaggio che vogliamo mandare con questi documentari è molto importante e abbiamo un'enorme responsabilità nel portare a termine questo compito di sensibilizzazione ed istruzione di tutti i cittadini.

Devo concludere con una precisazione. Come produttore del documentario, non ho resistito alla tentazione di tracciare un collegamento tra due temi apparentemente estranei – la crisi delle pensioni e la crisi finanziaria – perché uno dei miei ambiti di ricerca accademica preferiti è quello del sistema finanziario. Forse il mio libro più noto è Money, Bank Credit, and Economic Cycles, tradotto e pubblicato in ventuno Paesi diversi. In questo libro spiego come il sistema capitalista sia incompatibile con il sistema finanziario come lo conosciamo oggi; in altre parole, con un sistema bancario che opera con un rapporto di riserva frazionaria e che, quindi, è in grado di creare denaro dal nulla e prestarlo, distorcendo il sistema di allocazione delle risorse e provocando cicli ricorrenti di boom, bust, crisi finanziaria e recessione economica. L'unica via d'uscita è tornare ai principi generali dei diritti di proprietà che un sistema capitalista sano richiede per funzionare e, nella sfera del denaro, questi principi richiedono che le banche mantengano un coefficiente di riserva del 100% rispetto ai depositi a vista ed ai loro equivalenti. Potrebbe essere molto da digerire tutto in una volta, ma è perfettamente spiegato nel Capitolo 9 del sopraccitato libro. Per inciso, un disegno di legge è stato presentato al parlamento britannico che proponeva di ripristinare il Peel's Act e richiedere alle banche private di conservare una riserva del 100% ed il mio lavoro è stato espressamente citato come ispiratore di tale riforma.

Uno dei sottoprodotti interessanti di questa proposta – oltre ad evitare bolle, crisi e recessioni ricorrenti e reintrodurre stabilità nel sistema finanziario – è che verrebbero liberati gran parte degli attivi che attualmente figurano nei bilanci delle banche come garanzia per i loro depositi a vista. Propongo che quegli asset vengano utilizzati per finanziare il passaggio da un sistema a ripartizione ad uno basato sulla capitalizzazione, risolvendo così la crisi pensionistica. Alla fine del documentario vedremo come collego due sfere apparentemente non correlate – crisi finanziaria e sistema pensionistico – e che, se si attuasse la riforma finanziaria di cui l'economia di mercato ha bisogno, avremmo la possibilità di compiere, tutto in una volta e gratuitamente, il passaggio da un sistema pensionistico a ripartizione ad uno basato sulla capitalizzazione.

Infine vorrei concludere osservando che tutto questo sforzo è solo l'ennesimo capitolo della lotta senza fine degli esseri umani per difendere la propria libertà contro l'oppressione, la coercizione e la servitù dello stato. Non dobbiamo mai vacillare, ma dobbiamo riprendere la nostra lotta ogni giorno, generazione dopo generazione, ancora e ancora, con rinnovato ottimismo ed entusiasmo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/



venerdì 2 aprile 2021

Gli effetti economici della pandemia

 

 

di Jesùs Huerta De Soto

Tradizionalmente gli economisti Austriaci si sono concentrati con particolare interesse sui cicli ricorrenti di boom & bust che interessano le nostre economie e sullo studio della relazione tra questi cicli e alcune modifiche nella struttura degli stadi dei beni capitali. Senza dubbio la teoria Austriaca dei cicli economici è uno dei contributi analitici più significativi e sofisticati della Scuola Austriaca. I suoi membri sono riusciti a spiegare come i processi di espansione del credito conducano ad errori sistematici negli investimenti, i quali si traducono in una struttura produttiva insostenibile. Tali processi sono promulgati e orchestrati dalle banche centrali e implementati dal settore bancario commerciale, il quale opera a riserva frazionaria e crea denaro dal nulla sotto forma di depositi, che poi immette nel sistema tramite prestiti a società e agenti economici in assenza di un precedente aumento del risparmio reale. La struttura produttiva si sposta artificialmente verso numerosi progetti ad alta intensità di capitale e che potrebbero maturare solo in un futuro più lontano. Sfortunatamente gli agenti economici non saranno in grado di portare a termine questi progetti, perché non sono disposti a sostenerli sacrificando una quantità sufficiente del loro consumo immediato (in altre parole, risparmiando). Seguono inevitabilmente processi di inversione e rivelano gli errori di investimento commessi, insieme alla necessità di abbandonare progetti insostenibili e ristrutturare l'economia trasferendo fattori produttivi (beni capitali e lavoro) da dove venivano sprecati a progetti nuovi, meno ambiziosi ma veramente redditizi. La ricorrenza del ciclo economico può essere spiegata sia dalla natura essenzialmente instabile del sistema bancario a riserva frazionaria come principale fonte di espansione del credito, sia dalla diffusa distorsione semantica del termine inflazione tra autorità politiche, agenti economici e sociali e, soprattutto, tutti i banchieri centrali, i quali considerano la prosperità economica come un obiettivo da perseguire a tutti i costi e considerano le iniezioni monetarie e di credito come uno strumento di cui non si può fare a meno. Pertanto una volta che la ripresa è ben avviata, prima o poi le autorità soccombono di nuovo alle vecchie tentazioni, razionalizzano le politiche che hanno fallito ancora e ancora, e ricominciano l'intero processo di espansione, crisi e recessione... e tutto ricomincia.

Gli economisti Austriaci hanno proposto le riforme necessarie per porre fine ai cicli ricorrenti (eliminazione delle banche centrali, privatizzazione del denaro ed assoggettamento del private banking ai principi generali del diritto della proprietà privata, ovvero 100% riserva obbligatoria per depositi a vista ed equivalenti). Tuttavia gli Austriaci hanno sempre stabilito che queste riforme non avrebbero evitato crisi economiche isolate e non ricorrenti se, ad esempio, guerre, gravi sconvolgimenti politici e sociali, catastrofi naturali o pandemie avessero causato un grande aumento dell'incertezza, improvvisi cambiamenti nella domanda di denaro e, possibilmente, nel tasso della preferenza temporale. In tali casi, la struttura produttiva dei beni capitali potrebbe persino essere alterata in modo permanente.

In questo saggio analizzeremo fino a che punto una pandemia come quella attuale (e pandemie simili si sono verificate moltissime volte nella storia dell'umanità) può innescare questi e altri effetti economici e la misura in cui l'intervento coercitivo degli stati può mitigare gli effetti negativi delle pandemie o, al contrario, può diventare controproducente, aggravare questi effetti e farli durare più a lungo. In primo luogo, studieremo il possibile impatto della pandemia sulla struttura economica. In secondo luogo, considereremo il funzionamento dell'ordine di mercato spontaneo guidato dall'efficienza dinamica dell'imprenditorialità libera e creativa. In questo scenario gli imprenditori dedicano la loro attenzione, in modo decentralizzato, all'individuazione dei problemi e delle sfide poste da una pandemia. Poi analizzeremo l'impossibilità del calcolo economico e di un'allocazione efficiente delle risorse economiche scarse quando si tenta di imporre decisioni dall'alto; cioè in modo centralizzato, utilizzando il potere sistematico e coercitivo dello stato. Nella terza ed ultima sezione di questo saggio, esamineremo il caso specifico dell'intervento massiccio degli stati e, in particolare, delle banche centrali nei mercati monetari e finanziari per affrontare la pandemia cercando di ridurne gli effetti. Ci concentreremo anche su quelle politiche statali che coinvolgono le tasse ed un aumento della spesa pubblica, le quali vengono presentate come la panacea e il rimedio universale per i mali che ci affliggono.


1. Gli effetti delle pandemie sulla struttura produttiva reale: il mercato del lavoro, il processo degli stadi produttivi dei beni capitali e l'impatto dell'incertezza

1.1 Il mercato del lavoro

L'emergere di una nuova malattia altamente contagiosa che si diffonde in tutto il mondo costituisce, senza dubbio, uno scenario serio in grado di produrre una serie di gravi conseguenze economiche a breve, medio e anche a lungo termine. Tra queste c'è il costo in termini di vite umane, alcune delle quali ancora attivamente produttive e creative. Ricordiamo, ad esempio, che la cosiddetta "influenza spagnola" uccise circa 40-50 milioni di persone in tutto il mondo a partire dal 1918 (oltre il triplo del numero di morti, inclusi combattenti e civili, della prima guerra mondiale). Questa pandemia colpì principalmente uomini e donne che erano relativamente giovani e forti; cioè le persone in età lavorativa.[1] Al contrario l'attuale epidemia Covid-19 causata dal virus SARS-CoV-2 produce sintomi relativamente lievi nel 95% delle persone infette, sebbene colpisca duramente il restante 5%. Richiede anche il ricovero in ospedale per un terzo di questi ultimi e porta alla morte di quasi uno su cinque dei ricoverati con un caso grave della malattia, la stragrande maggioranza dei quali sono anziani, pensionati e persone con gravi condizioni preesistenti.

Pertanto l'attuale epidemia non sta avendo un impatto notevole sull'offerta di manodopera e sul talento umano nel mercato del lavoro, poiché l'aumento dei decessi tra le persone in età lavorativa è molto piccolo. Come ho già accennato, questa situazione differisce notevolmente da quella che si è verificata con la “spagnola”, dopo la quale si stima che l'offerta aggregata di lavoro fosse diminuita a livello mondiale di oltre il 2%. Questa cifra tiene conto delle vittime sia della malattia che della prima guerra mondiale (40-50 milioni di vittime della malattia e oltre 15 milioni per la guerra). Questa carenza di manodopera fece aumentare i salari reali durante i ruggenti anni Venti, quando fu completata la ristrutturazione dell'economia mondiale. Si passò da un'economia in tempo di guerra ad un'economia in tempo di pace, e l'intero processo fu accompagnato da una grande espansione del credito, che non possiamo analizzare in dettaglio qui, ma che, in ogni caso, pose le basi per la Grande Depressione che seguì la grave crisi finanziaria del 1929.[2]

Nel corso della storia varie pandemie hanno esercitato un impatto molto più forte sul mercato del lavoro. Ad esempio, si stima che la peste nera, che devastò l'Europa a partire dal 1348, ridusse la popolazione totale di almeno un terzo. L'acuta e inaspettata carenza di manodopera che ne derivò portò ad una notevole crescita dei salari reali, che prese piede nei decenni successivi. È esasperante che i monetaristi e, in particolare, i keynesiani continuino su quelli che suppongono essere gli effetti economici "benefici" di guerre e pandemie (per tutti tranne i milioni che vengono uccisi o impoveriti da esse). Si sostiene che queste tragedie permettano alle economie di superare il loro letargo e di iniziare la strada verso una vivace "prosperità". Allo stesso tempo tali calamità forniscono la giustificazione per politiche economiche di intenso interventismo monetario e fiscale. Mises si riferisce a queste teorie e politiche economiche come "distruzionismo economico", dal momento che servono semplicemente ad aumentare l'offerta di moneta pro capite insieme, e soprattutto, alla spesa pubblica.[3]


1.2 La struttura produttiva ed i beni capitali

A parte questi effetti sulla popolazione e sul mercato del lavoro, va considerato anche l'impatto che una pandemia esercita sul tasso della preferenza temporale e quindi sul tasso d'interesse e sulla struttura produttiva degli stadi dei beni capitali. Forse lo scenario più catastrofico concepibile è quello descritto da Boccaccio nella sua introduzione al Decameron quando scrive della peste bubbonica che afflisse l'Europa nel XIV secolo. Perché se si diffonde la convinzione che è molto probabile che tutti si ammalino e muoiano a breve o medio termine, è abbastanza comprensibile che le valutazioni soggettive si orientino al consumo presente e immediato. "Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo". O al contrario: "Facciamo penitenza, preghiamo e mettiamo in ordine la nostra vita spirituale". Questi due atteggiamenti opposti, eppure perfettamente comprensibili verso una pandemia, hanno lo stesso effetto economico: che senso ha risparmiare ed intraprendere progetti d'investimento che potrebbero maturare solo in un lontano futuro se né noi né i nostri figli saremo qui a goderne i frutti? L'ovvio risultato si poteva vedere nella Firenze del XIV secolo, devastata dalla peste bubbonica. Le persone abbandonarono le fattorie, il bestiame, i campi, le officine e, in generale, consumarono i beni capitali senza sostituirli.[4] Questo fenomeno può essere illustrato graficamente in modo semplificato come descritto nella sezione “Il caso di un'economia in regressione” nel mio libro Money, Bank Credit, and Economic Cycles.[5] Lì uso il noto triangolo hayekiano, che rappresenta la struttura produttiva di una società.

Come si vede nel Grafico 1, un aumento improvviso e drammatico del tasso della preferenza temporale aumenta il consumo monetario immediato (figura b) a scapito degli investimenti. In particolare, numerose fasi (rappresentate dall'area in ombra nella figura c) nel processo produttivo vengono abbandonate, una porzione molto ampia della popolazione smette di lavorare (per morte o volontariamente) ed i sopravvissuti si dedicano seriamente al consumo di beni di consumo (i cui prezzi, in unità monetarie, salgono alle stelle a causa della riduzione dell'offerta e del diffuso calo della domanda di denaro). Le transazioni nel mercato del tempo ed i fondi mutuabili si arrestano ed i tassi d'interesse salgono alle stelle.

In contrasto con lo scenario di cui sopra, non vi è alcuna indicazione che l'attuale pandemia di Covid-19 sia stata accompagnata da un cambiamento significativo nel tasso della preferenza temporale (a parte l'effetto di un aumento temporaneo dell'incertezza, di cui parleremo più avanti). Le circostanze attuali non assomigliano affatto a quelle di una pandemia così virulenta come quella descritta da Boccaccio nel Decameron. Come ho sottolineato, la mortalità attesa tra le persone in età lavorativa è praticamente trascurabile e le aspettative sul completamento dei processi d'investimento che matureranno in un lontano futuro rimangono invariate (ad esempio, si sta ancora investendo nel design, nell'innovazione e nella produzione delle auto elettriche del futuro e in molti altri progetti d'investimento a lungo termine). E poiché il tasso della preferenza temporale rimane sostanzialmente invariato, la struttura produttiva delle fasi dei beni capitali descritte in modo semplificato nel Grafico 1 rimane invariata, tranne che per tre effetti: uno a breve termine, un altro a medio termine (da uno a tre anni) e un altro a lungo termine (che può diventare indefinito).

1. In primo luogo, c'è l'effetto immediato a breve termine (della durata di alcuni mesi) esercitato sulla struttura produttiva dalle misure coercitive di confinamento che gli stati hanno imposto. Si può ipotizzare che lo stallo economico decretato da diversi mesi abbia, in termini relativi, interessato soprattutto gli sforzi produttivi più lontani dai consumi finali. Dopotutto la popolazione, anche chi è confinato nelle proprie case e incapace di lavorare, ha dovuto continuare a chiedere e consumare beni e servizi di consumo (anche se attraverso l'e-commerce, come Amazon, poiché molti negozi e distributori finali sono stati costretti a chiudere, perché le loro attività sono state considerate “non essenziali”). Supponendo che la domanda finale di denaro destinata al consumo non sia cambiata in modo significativo, o perché le famiglie sottoposte al lockdown hanno intaccato le loro riserve finanziarie o perché hanno compensato la diminuzione del reddito facendo affidamento sui sussidi di disoccupazione temporanei (indennità di licenziamento, ecc.), la struttura produttiva in termini monetari avrà oscillato su un breve intervallo, come mostrato di seguito (Grafico 2).

In ogni caso, quando terminerà la “disconnessione” obbligatoria nel processo produttivo e verranno nuovamente impiegati i fattori produttivi, il processo produttivo può ricominciare dal punto in cui si era interrotto, poiché non sono emersi errori sistematici che avrebbero potuto causare investimenti sbagliati e richiedenti una ristrutturazione.[6] A differenza di quanto accaduto nella Grande Recessione del 2008, la struttura produttiva non è stata danneggiata in modo irreversibile, e quindi non c'è bisogno di un prolungato, doloroso processo di riorganizzazione e massiccia riallocazione del lavoro e dei fattori produttivi: tutto ciò che serve è che imprenditori, lavoratori e lavoratori autonomi tornino al lavoro, riprendano i loro compiti da dove si erano interrotti e utilizzino le attrezzature di capitale non danneggiate (diversi mesi fa) e ancora disponibile ora.

Riguardo a questo primo effetto nel breve termine, dovrei chiarire che sarebbe anche apparso (sebbene sarebbe stato molto più delicato e meno traumatico e, quindi, avrebbe causato una fluttuazione molto più piccola del movimento riflesso nel grafico) se il confinamento fosse stato volontario e selettivo, e la decisione fosse stata presa a livello “micro” da famiglie, aziende, zone residenziali, quartieri, ecc. nel contesto di una società libera in cui non esistono stati monopolistici che impongono misure di reclusione diffuse, coercitive e indiscriminate.

2. In secondo luogo, vari settori associati alla fase del consumo finale stanno ancora registrando un drastico calo della domanda e potrebbero continuare ad andare per molti mesi[7] fino a quando la pandemia non sarà terminata e le attività non saranno completamente tornate alla normalità. Questi settori si occupano principalmente di turismo, trasporti, industria alberghiera, intrattenimento e, relativamente parlando, sono molto importanti per alcune economie come quella della Spagna, dove il turismo rappresenta quasi il 15% del PIL. Tali settori richiedono un cambiamento più profondo rispetto alla mera fluttuazione pendolare descritta nel primo punto sopra. Le circostanze richiedono invece un cambiamento che abbia un impatto sulla struttura produttiva per un periodo di tempo più lungo (circa due anni). Ovviamente, a parità di tutte le altre condizioni, se le famiglie spendono meno in trasporti aerei, hotel, ristoranti e spettacoli teatrali, spenderanno di più in beni di consumo e servizi alternativi, o sostitutivi, dedicheranno più del loro reddito agli investimenti o faranno aumentare i loro saldi di cassa. A parte un possibile aumento della domanda di denaro, di cui parleremo in seguito quando considereremo l'incertezza, la struttura produttiva dovrà adattarsi temporaneamente alle nuove circostanze sfruttando al massimo le risorse attive rimaste nei settori (almeno parzialmente) colpiti. Mi riferisco in particolare a quelle risorse che sono, per un certo periodo, involontariamente disoccupate e dovranno essere riallocate su linee di produzione alternative dove potranno trovare un impiego fruttuoso (temporaneo o definitivo).

Ad esempio, alcuni ristoranti rimarranno aperti contro ogni previsione adattando la loro offerta (ad esempio, preparando i pasti per la consegna a domicilio), riducendo i costi il ​​più possibile (licenziando il personale o riqualificandolo direttamente o indirettamente, ad esempio per effettuare le consegne a domicilio) e adeguando le proprie responsabilità nei confronti dei fornitori al fine di ridurre al minimo le perdite ed il consumo di capitale. In questo modo, i proprietari evitano di dover buttare via anni di investimenti per costruirsi una reputazione e accumulare beni strumentali di grande valore e difficili da riutilizzare. E sperano che, quando le circostanze cambieranno, saranno meglio posizionati rispetto ai loro concorrenti e avranno un grande vantaggio competitivo nell'affrontare la rinnovata ripresa attesa per il settore. Al contrario, altri imprenditori sceglieranno di ritirarsi e "ibernarsi" chiudendo temporaneamente i battenti, ma lasciando le strutture corrispondenti ed i contatti commerciali pronti per una riapertura non appena le circostanze lo permetteranno. Un altro gruppo di uomini d'affari (generalmente quelli i cui progetti imprenditoriali erano marginalmente meno redditizi anche in condizioni pre-pandemiche) saranno costretti a chiudere definitivamente le loro attività e liquidare i rispettivi progetti imprenditoriali.

Tutte queste attività e decisioni imprenditoriali possono e devono avvenire in tempi relativamente brevi ed i costi devono essere ridotti al minimo. Ciò sarà possibile solo in un'economia dinamicamente efficiente che incoraggi il libero esercizio dell'imprenditorialità e non lo ostacoli con normative dannose (soprattutto nel mercato del lavoro) e tasse. Chiaramente non sarà lo stato o i funzionari pubblici a prendere le decisioni più appropriate in ogni momento e in ogni insieme di circostanze specifiche di tempo e di luogo. Sarà invece un esercito degli imprenditori che, nonostante tutte le avversità, desiderano andare avanti e, con forza e fiducia incrollabile in un futuro migliore, restano fiduciosi che prima o poi torneranno i bei tempi.

Per quanto riguarda il triangolo che usiamo per presentare in modo semplificato la struttura produttiva, il massimo che possiamo rappresentare (si veda il Grafico 3), supponendo che non si verifichi alcun cambiamento significativo nel tasso della preferenza temporale, è una fluttuazione orizzontale dell'ipotenusa: prima a sinistra, che mostra l'impatto complessivo della la diminuzione della domanda sperimentata nei settori interessati (e dai fornitori in quei settori), e poi di nuovo a destra, poiché è sostituita da nuova domanda nel periodo di mesi necessari per il ritorno della completa normalità e nella misura in cui la maggior parte della domanda di denaro persa in suddetti settori viene recuperata.

Ovviamente il grafico non ci permette di mostrare le innumerevoli decisioni imprenditoriali e le operazioni di investimento reali che si traducono nella rapida e flessibile fluttuazione orizzontale rappresentata dalle frecce bidirezionali. Il grafico, tuttavia, ci consente di visualizzare il grave rischio insito nell'avvio di politiche che tendono a rendere più rigida la struttura produttiva tenendo in vita le società zombi che dovrebbero invece essere liquidate il prima possibile e rendono più difficile, tramite regolamenti e tasse, un rimbalzo che spinga l'ipotenusa del nostro triangolo indietro verso destra. Infatti l'intervento fiscale e normativo può fissare indefinitamente la struttura produttiva reale nella posizione BB e impedirle di rimbalzare verso la posizione AA.

Inutile dire che tutti questi rapidi processi di aggiustamento e recupero richiedono un mercato del lavoro altamente agile e flessibile, in cui sia possibile licenziare e riassumere il personale molto rapidamente ed a costi minimi. Dobbiamo ricordare che, a differenza di quanto accaduto nella Grande Recessione del 2008 (e che accade in generale dopo ogni crisi finanziaria che segue un lungo processo di espansione del credito), nell'attuale pandemia non si parte da un diffusi malivnestment di fattori produttivi (nel settore edile, ad esempio, come è avvenuto nel 2008), il che potrebbe giustificare un volume elevato di disoccupazione strutturale a lungo termine. Al contrario, è ora possibile riallocare i fattori di lavoro e produttivi in ​​modo rapido, sostenibile e permanente, ma i corrispondenti mercati del lavoro e dei fattori devono essere il più liberi e agili possibile.

3. In terzo luogo, dobbiamo ancora analizzare la possibilità che alcuni cambiamenti nelle abitudini di consumo della popolazione possano diventare permanenti e richiedere modifiche permanenti alla struttura produttiva della società delle fasi di investimento in beni capitali. Occorre sottolineare che in qualsiasi economia di mercato non ostacolata, la struttura produttiva si adegua sempre in modo graduale e non traumatico ai cambiamenti dei gusti e delle esigenze dei consumatori. È vero che la pandemia può accelerare il cambiamento della maggior parte dei consumatori e l'adozione definitiva di alcune nuove abitudini comportamentali (relative, ad esempio, alla diffusa partecipazione al commercio elettronico, al maggiore uso di determinati metodi di pagamento e all'uso delle videoconferenze nel mondo degli affari e dell'istruzione, ecc.). Tuttavia potremmo essere esagerati riguardo l'impatto di questi presunti cambiamenti radicali, soprattutto se li confrontiamo con i cambiamenti che sono sorti, dall'inizio del ventunesimo secolo, sia da una maggiore globalizzazione del commercio e degli scambi sia dalla rivoluzione tecnologica che l'ha accompagnata e resa possibile. Questi sviluppi hanno consentito a centinaia di milioni di persone di sfuggire alla povertà; miliardi di persone (particolarmente asiatiche e africane) che fino ad ora sono rimaste fuori dai circuiti di produzione e commercio caratteristici delle economie di mercato sono state incorporate nei flussi di produzione. È così che le forze produttive del capitalismo sono state scatenate come mai prima nella storia dell'umanità. E nonostante il peso dell'intervento e della regolamentazione statale, che ostacola continuamente il progresso, l'umanità ha raggiunto il grande successo sociale ed economico di essere forte di 8 miliardi e mantenere uno standard di vita che solo pochi decenni fa non sarebbe stato impossibile.[8] Da questa prospettiva dovremmo giustamente dare meno importanza all'impatto a lungo termine dell'attuale pandemia in un contesto di cambiamenti molto più grandi e profondi ai quali le economie di mercato si adattano costantemente senza grandi difficoltà. Pertanto dovremmo nuovamente rivolgere la nostra analisi allo studio degli effetti a breve e medio termine dell'attuale pandemia, poiché, a causa della loro maggiore vicinanza a noi, possiamo considerarli più significativi in ​​questo momento.


1.3 Incertezza e domanda di denaro

Per concludere la prima parte di questo documento, parleremo ora dell'impatto dell'incertezza che ha causato la pandemia. Nell'adottare questo approccio il mio scopo principale è evidenziare, come vedremo nella parte finale, il fatto che suddetta incertezza ha portato ad un'ulteriore promozione di politiche di intervento fiscale e (soprattutto) monetario estremamente lassiste e senza precedenti; esse rappresentano una seria minaccia e potrebbero continuare ad avere gravi conseguenze una volta terminata l'attuale pandemia.

Inizialmente l'impatto di una pandemia sull'incertezza e, quindi, sulla domanda di denaro può variare tra due estremi opposti. Una pandemia può essere così virulenta che, come abbiamo visto nel caso della peste bubbonica a Firenze della metà del XIV secolo descritta bene nel Decameron, più che incertezza dà ad una fascia molto ampia della popolazione la certezza che i loro giorni sono contati e che quindi la loro aspettativa di vita è stata drasticamente ridotta. In tali circostanze è comprensibile che la domanda di denaro crolli e il denaro perda gran parte del suo potere d'acquisto in un contesto in cui nessuno desidera separarsi dai beni o fornire servizi la cui produzione è in gran parte crollata. Infatti la maggior parte delle persone desidera consumarli appena possibile.

Di maggior interesse analitico per noi sono le pandemie come quella attuale, che sono molto meno virulente e in cui, sebbene la sopravvivenza della maggior parte della popolazione non sia in pericolo, l'incertezza aumenta, in particolare nei primi mesi, rispetto all'ampiezza, all'evoluzione e al tasso di diffusione e ad i suoi effetti economici e sociali. I saldi di cassa sono il mezzo per eccellenza per affrontare l'incertezza inestirpabile del futuro, poiché consentono agli attori economici e alle famiglie di mantenere aperte tutte le loro opzioni e quindi di adattarsi molto rapidamente e facilmente a qualsiasi situazione futura una volta che emerge. Pertanto è comprensibile che il naturale aumento dell'incertezza derivante dall'attuale pandemia sia stato accompagnato da un aumento della domanda di denaro e quindi, a parità di tutte le altre condizioni, del suo potere d'acquisto. Il Grafico 4 può aiutarci a visualizzarlo. Contiene diversi diagrammi triangolari che rappresentano la struttura produttiva in termini di domanda di denaro. Questi diagrammi descrivono l'effetto dell'aumento della domanda di denaro come: un movimento uniforme dell'ipotenusa a sinistra quando il tasso della preferenza temporale non cambia (diagramma a), un movimento a sinistra che riflette un maggiore investimento relativo quando i contanti vengono accumulati diminuendo il consumo (diagramma b) e un movimento a sinistra che riflette un maggiore consumo relativo quando il nuovo denaro viene accumulato vendendo beni capitali e asset finanziari ma non riducendo il consumo (diagramma c).

Sebbene uno qualsiasi di questi tre effetti sia teoricamente possibile, è molto probabile che nelle circostanze attuali ci sia stata una combinazione di essi, in particolare situazioni riflesse nei diagrammi a e b. Quindi potremmo sovrapporre questi diagrammi a quelli che abbiamo analizzato nelle sezioni precedenti. Per rendere questi grafici iniziali più facili da comprendere e da esaminare separatamente, non abbiamo considerato gli effetti di un possibile aumento della domanda di denaro e ora la includiamo nella nostra analisi. Ci sono tre punti importanti da tenere a mente riguardo all'aumento dell'incertezza e della domanda di denaro derivante dalla pandemia.

In primo luogo, l'aumento dell'incertezza (e il conseguente aumento della domanda di denaro) è temporaneo e di durata relativamente breve, poiché tenderà a regredire non appena inizieremo a vedere la luce alla fine del tunnel. Pertanto non sarà necessario attendere fino a quando non avremo superato completamente la pandemia (circa due anni). Prima di allora, ci sarà un graduale ritorno a livelli di incertezza “normali”; i movimenti rappresentati nei diagrammi a, b e c cambieranno direzione e la struttura produttiva in termini monetari tornerà al suo stato precedente.

In secondo luogo, poiché i nuovi saldi monetari si accumulano a causa della riduzione della domanda di beni di consumo (diagrammi a e b), e questo certamente accade nei settori più colpiti dalle limitazioni alla mobilità (il turismo e l'industria alberghiera, ecc.), la minore domanda monetaria di beni di consumo tenderà a lasciarne invenduti un volume significativo. Di conseguenza sarà possibile far fronte sia al loro rallentamento della produzione (che deriva dalle inevitabili strozzature e dal maggior o minore confinamento dei propri produttori), sia alla domanda derivante dalla necessità di continuare a consumare sperimentata da tutte le persone. Pertanto l'aumento della domanda di denaro assorbe lo shock dell'offerta che si verifica nella produzione di beni di consumo a causa dei lockdown. Quindi, in questo modo, i prezzi relativi di questi beni non salgono alle stelle, il che danneggerebbe gravemente i settori più ampi della popolazione.

Terzo ed ultimo, dobbiamo sottolineare che l'interventismo monetario e fiscale da parte degli stati e delle banche centrali può aumentare ulteriormente l'incertezza e può effettivamente prolungarla oltre quanto strettamente richiesto dalla pandemia. Senza dubbio, e come vedremo più in dettaglio nella terza sezione, gli stati e le banche centrali possono creare un'ulteriore clima di sfiducia imprenditoriale che ostacola la rapida ripresa del mercato e ostacola il processo imprenditoriale di ritorno alla normalità. Sarebbe persino possibile in questo modo replicare il perverso ciclo di feedback che studio attentamente nel mio articolo: "La giapponesizzazione dell'Unione Europea".[9] In questo ciclo perverso, la massiccia iniezione di offerta di moneta da parte delle banche centrali e l'abbassamento dei tassi d'interesse a zero non producono alcun effetto evidente sull'economia e sono invece controproducenti. Questo perché sono neutralizzati dal contemporaneo aumento della domanda di denaro che deriva dal costo di opportunità di possedere asset liquidi e, soprattutto, dall'ulteriore aumento dell'incertezza causato dalle stesse politiche di regolamentazione economica che bloccano le riforme strutturali, aumentano le tasse e l'interventismo.


2. Pandemia: burocrazia statale e coercizione contro coordinamento sociale spontaneo

2.1. Il teorema dell'impossibilità del socialismo e la sua applicazione alla crisi attuale

La reazione dei vari stati e autorità pubbliche del mondo (e in particolare quelli del mio Paese, la Spagna) all'emergere e all'evoluzione della pandemia Covid-19, le misure interventiste che hanno preso una dopo l'altra e il monitoraggio degli effetti di queste misure offrono un'opportunità unica a qualsiasi teorico economico che desideri osservare, verificare e applicare ad un caso storico significativo il contenuto essenziale e le principali implicazioni del "teorema dell'impossibilità del socialismo" formulato per la prima volta da Ludwig von Mises cento anni fa.[10] È vero che il crollo dell'ex-Unione Sovietica e del comunismo, insieme alla crisi del welfare state, avevano già sufficientemente illustrato il trionfo dell'analisi Austriaca nel dibattito storico sull'impossibilità del socialismo. Tuttavia il tragico scoppio della pandemia Covid-19 ci ha fornito l'ennesimo esempio di vita reale, in questo caso molto più vicino a noi e più concreto, che illustra e conferma ciò che la teoria sostiene, vale a dire: è teoricamente impossibile per un pianificatore centrale coordinare qualitativamente i propri comandi, indipendentemente da quanto tali comandi sembrino necessari, da quanto nobile sia il loro obiettivo, o dalla buona fede e dagli sforzi dedicati per raggiungerlo con successo.[11]

L'impatto mondiale dell'attuale pandemia, che ha colpito tutti i Paesi indipendentemente dalla tradizione, cultura, ricchezza o sistema politico, evidenzia l'applicabilità generale del teorema di Mises (che potremmo chiamare appropriatamente il "teorema dell'impossibilità dello statalismo") a qualsiasi misura coercitiva e interventistica utilizzata dallo stato. È vero che le misure interventiste adottate dai vari governi differiscono notevolmente. Tuttavia, sebbene alcuni di essi possano aver gestito la crisi meglio di altri, le differenze sono state in realtà più di grado che di natura, poiché gli stati non possono dissociarsi dalla coercizione insita nel loro stesso DNA. Infatti la coercizione è la loro caratteristica fondamentale, e ogni volta che la esercitano, e nella misura in cui la esercitano, appaiono inevitabilmente tutti gli effetti negativi previsti dalla teoria. Pertanto non è solo che alcune autorità sono più inette di altre (anche se questo è certamente il caso della Spagna[12]), tutte le autorità sono destinate a fallire quando insistono nel voler coordinare la società attraverso l'uso del potere e di comandi coercitivi. E questo è forse il messaggio più importante che la teoria economica deve trasmettere alla popolazione: i problemi sorgono invariabilmente dall'esercizio del potere statale coercitivo, indipendentemente da quanto bene si comporti il politico del momento.

Sebbene questo saggio si voglia occupare in generale dell'analisi economica delle pandemie, ci concentreremo quasi esclusivamente sulle implicazioni dell'attuale pandemia alla luce del "teorema dell'impossibilità dello statalismo-socialismo". La ragione di ciò è duplice: in primo luogo, dal punto di vista di qualsiasi lettore contemporaneo, l'attuale pandemia è più vicina nel tempo e ha un impatto personale. In secondo luogo, i modelli di intervento impiegati in altre pandemie sono ormai abbastanza lontani da noi nella storia, e sebbene possiamo identificare molti degli stessi fenomeni che abbiamo recentemente osservato (come la manipolazione delle informazioni da parte delle potenze alleate durante la pandemia influenzale del 1918, denominata malamente l'influenza “spagnola” proprio per questo motivo), oggi offrono chiaramente meno valore aggiunto come illustrazione dell'analisi teorica.

Come spiego in dettaglio nel mio libro Socialism, Economic Calculation, and Entrepreneurship, in particolare nel Capitolo 3, che si applica direttamente alla situazione attuale[13], la scienza economica ha dimostrato che è teoricamente impossibile per lo stato funzionare in modo dinamicamente efficiente, poiché è perennemente immerso in un'ignoranza inestirpabile che gli impedisce di infondere coordinazione qualitativa ai suoi comandi. Ciò è dovuto principalmente ai quattro fattori elencati di seguito.

In primo luogo, per coordinarsi veramente con i suoi comandi, lo stato avrebbe bisogno di un enorme volume di informazioni e conoscenze (non principalmente conoscenze tecniche o scientifiche, anche se ne avrebbe bisogno, ma conoscenza di innumerevoli circostanze specifiche e personali di tempo e luogo; conoscenza "pratica"). In secondo luogo, questa informazione o conoscenza vitale è essenzialmente soggettiva, tacita, pratica e inarticolata, e quindi non può essere trasmessa all'agenzia statale di pianificazione e decisione centrale. Terzo, questa conoscenza o informazione non è data o statica, ma invece cambia continuamente a causa dell'innata capacità creativa degli esseri umani e della costante fluttuazione nelle circostanze che la circondano. L'impatto sulle autorità è duplice: sono sempre in ritardo, perché una volta che hanno digerito le informazioni scarse e distorte che ricevono, sono già diventate obsolete; e non possono colpire nel segno con i loro comandi per il futuro, poiché esso dipende da informazioni pratiche che non sono ancora emerse perché non ancora create. E infine, quarto, ricordiamo che lo stato è coercizione (questa è la sua caratteristica fondamentale), e quindi, quando impone i suoi comandi con la forza in qualsiasi area della società, ostacola e persino blocca la creazione e l'emergere proprio di quelle conoscenze o informazioni di cui lo stato ha disperatamente bisogno per infondere coordinazione qualitativa ai suoi comandi. Da qui il grande paradosso dell'interventismo statalista, poiché tende invariabilmente a produrre risultati opposti a quelli che intende raggiungere.[14] Su vasta scala assistiamo all'emergere di disadattamenti e disordini; azioni sistematicamente irresponsabili da parte delle autorità (che non si rendono nemmeno conto di quanto siano cieche riguardo alle informazioni che non possiedono e al vero costo delle loro decisioni); scarsità costante, carenza e scarsa qualità delle risorse che le autorità tentano di mobilitare e controllare; manipolazione delle informazioni per rafforzarsi politicamente; corruzione dei principi essenziali dello stato di diritto. Dallo scoppio della pandemia e dalla mobilitazione dello stato per combatterla, abbiamo osservato tutti questi fenomeni, che sono inevitabilmente emersi, uno dopo l'altro, a catena. E ripeto, questi fenomeni non nascono da negligenze da parte delle autorità pubbliche, ma sono invece intrinseci ad un sistema basato sull'uso sistematico della coercizione per progettare e cercare di risolvere i problemi sociali.

A titolo di esempio, consiglio ai lettori di studiare, alla luce dell'analisi teorica di cui stiamo discutendo sull'impossibilità dello statalismo, l'articolo di ricerca “El libro blanco de la pandemia”[15] [Libro bianco sulla pandemia] scritto da José Manuel Romero e Oriol Güell. Questo documento illustra, passo dopo passo, tutte le inadeguatezze e le carenze dello statalismo, anche se gli autori, giornalisti di professione, credono ingenuamente che la loro descrizione degli eventi servirà ad evitare che gli stessi errori vengano commessi in futuro. Non riescono a capire che gli errori in questione non sono radicati principalmente in errori politici o di gestione, ma nella stessa logica alla base del sistema statale di regolamentazione, pianificazione e coercizione, che in un modo o nell'altro innesca sempre gli stessi effetti di discordanza, inefficienza ed ingiustizia. Come esempio tra tanti, potremmo citare la cronologia degli eventi, che gli autori hanno ricostruito perfettamente, e le preziose settimane perse quando, a partire dal 13 febbraio 2020, i medici dell'ospedale pubblico Arnau de Vilanova di Valencia si sono battuti senza successo per ottenere l'autorizzazione dalle autorità sanitarie regionali (e nazionali) per eseguire test su campioni prelevati da un paziente di sessantanove anni deceduto con sintomi che sospettavano potessero essere stati causati da Covid-19. Invece si sono trovati di fronte ad una dura realtà: le corrispondenti agenzie di pianificazione sanitaria centrale (il Dipartimento della Salute di Madrid e il Ministero della Sanità regionale) hanno ripetutamente negato l'autorizzazione per i test, poiché si sospettava che il paziente fosse infetto (e, molte settimane dopo, è stato dimostrato che era morto con Covid-19) e ciò faceva attrito con le condizioni stabilite in precedenza dalle autorità (il 24 gennaio), vale a dire: essersi recati a Wuhan nei quattordici giorni precedenti l'insorgenza dei sintomi o essere stati in contatto con persone cui era stata diagnosticata la malattia. In un sistema decentralizzato di libera impresa in cui la creatività e l'iniziativa degli attori coinvolti non sono limitate, questo errore monumentale non si sarebbe verificato e avremmo guadagnato diverse settimane chiave di conoscenza. Avremmo saputo che il virus circolava già in Spagna e avremmo potuto apprendere misure preventive e modi per combattere la pandemia (ad esempio, sarebbe stato possibile annullare, tra le altre cose, le manifestazioni femministe dell'8 marzo).

Altrettanto degno di nota è il notevole libro di Mikel Buesa (che abbiamo già citato[16]) in termini di presentazione (specialmente alle pagine 118 e seguenti) della litania di errori, mal coordinazione, corruzione, manipolazione di informazioni, violazioni di diritti e bugie derivanti inevitabilmente dall'attività, a diversi livelli, dello stato che ha tentato di fare i conti con la pandemia. Ad esempio: "[...] i produttori spagnoli hanno interpretato gli ordini di sequestro di forniture mediche come un attacco ai loro interessi commerciali, e il risultato è stato un arresto della produzione e delle importazioni" (p. 109), proprio quando era più urgente salvaguardare la salute di medici e personale sanitario, i quali avrebbero lavorato tutti i giorni senza le necessarie misure di protezione. Inoltre i sequestri in dogana per ordine dello stato hanno portato alla perdita di ordini di milioni di mascherine quando i fornitori corrispondenti hanno preferito inviarle ad altri clienti per paura che lo stato potesse confiscare la merce (ibid.). C'è stato anche il caso, uno tra i tanti, del produttore galiziano i cui materiali sono stati fermati in un magazzino per ordine dello stato, ma nessuno li ha rivendicati (pp. 110-111). Inoltre c'erano le società spagnole specializzate nella produzione di test PCR le cui scorte e produzione erano state requisite dallo stato e, di conseguenza, queste società non sono state in grado di produrre più di 60.000 test PCR ogni giorno o soddisfare la domanda interna ed estera (p . 119). Ciò è stato aggravato dal collo di bottiglia derivante: mancanza di tamponi di cotone per la raccolta dei campioni, un problema che avrebbe potuto essere risolto immediatamente se ai produttori spagnoli fosse stato consentito di operare liberamente (p. 114). C'era la diffusa carenza che dominava il mercato di mascherine, gel disinfettante e guanti di nitrile a seguito della regolamentazione statale e dell'imposizione di prezzi massimi, e tutto durante i mesi di più rapida diffusione del virus (p. 116).[17] E dei 971 milioni di unità di prodotti diversi (mascherine, guanti, camici, dispositivi di respirazione, apparecchiature diagnostiche, ecc.) acquistati dal mese di marzo, solo 226 milioni erano stati distribuiti a settembre del 2020, mentre il resto languiva in deposito in numerosi magazzini (p. 118). E l'elenco potrebbe continuare, in un catalogo infinito che assomiglia ad una descrizione delle inefficienze sistematiche che esistevano nella produzione e distribuzione nell'ex-Unione Sovietica e che portarono al crollo definitivo del regime comunista a partire dal 1989.[18] E Ripeto, tutto ciò non è stato dovuto ad una mancanza di lavoro, gestione o anche buona fede da parte delle nostre autorità, ma alla loro mancanza di conoscenza fondamentale dell'economia (e questo nonostante ci siano professori di filosofia e persino dottorandi in economia a capo del nostro governo). Pertanto non dovrebbe sorprenderci che, in un momento di massima urgenza e gravità, abbiano scelto (come fanno sempre le autorità, poiché questo è precisamente il loro ruolo nel quadro statale) coercizione, regolamentazione , confisca, ecc. invece della libertà di impresa, produzione e distribuzione per sostenere, invece di ostacolare, l'iniziativa privata e il libero esercizio dell'imprenditorialità.


2.2. Altri effetti collaterali dello statalismo previsti dalla teoria

A parte le conseguenze di base di disadattamenti, discordanza, azioni irresponsabili e mancanza di calcolo economico, lo statalismo produce ogni sorta di effetti negativi aggiuntivi che sono trattati anche nel Capitolo 3 del mio libro Socialism, Economic Calculation, and Entrepreneurship.[19] Un'altra tipica caratteristica dello statalismo e delle autorità è il tentativo di trarre vantaggio dalle crisi, in questo caso quella provocata dalla pandemia, non solo per mantenere il potere ma (e soprattutto) per accrescerlo ancora di più attraverso la propaganda politica e persino l'inganno sistematico dei cittadini.[20] Ad esempio, quando la pandemia ha colpito, le autorità cinesi hanno inizialmente cercato di nascondere il problema dando la caccia e molestando i medici che avevano lanciato l'allarme. Successivamente le autorità hanno lanciato una spudorata campagna di insabbiamento, mancanza di trasparenza e sottostima dei decessi che è durata almeno fino al presente, poiché al momento in cui scrivo (gennaio 2021), oltre un anno dopo lo scoppio della pandemia, il governo cinese deve ancora consentire alla commissione internazionale organizzata dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) di entrare nel Paese e condurre un'indagine indipendente sulla vera origine della pandemia.

Per quanto riguarda lo stato spagnolo, le opere citate documentano molteplici bugie che sono state deliberatamente e sistematicamente diffuse sotto forma di propaganda politica per manipolare e ingannare i cittadini in modo che non fossero in grado di valutare il vero costo della gestione del governo. Di queste bugie vorrei sottolinearne alcune, per il loro significato: primo, il vero numero di morti; in secondo luogo, il numero totale di persone realmente infettate; in terzo luogo, i dati falsi, gonfiati del 50%, che lo stato ha deliberatamente fornito al Financial Times alla fine di marzo 2020 riguardo al numero di test PCR somministrati (355.000 invece degli effettivi 235.000). Il governo spagnolo stesso si è poi vantato che la Spagna sia stato uno dei Paesi con il maggior numero di test eseguiti (si veda, ad esempio, p. 113 del libro di Buesa).

Dobbiamo tenere presente che gli stati in generale ed i loro governi in particolare si concentrano invariabilmente sul raggiungimento dei loro obiettivi.[21] Si aspettano di realizzare i fini proposti con la semplice volontà coercitiva sotto forma di ordini e normative. E per quanto riguarda la prostituzione della legge e della giustizia, altro tipico effetto collaterale del socialismo,[22] Buesa documenta in dettaglio l'abuso di potere e l'uso illecito e incostituzionale dello stato di emergenza. Sia lo “stato di diritto”, sia la costituzione sono stati ignorati (Buesa, pp. 96-108 e 122).

Degni di una menzione speciale sono l'intero coro di scienziati, "esperti" e intellettuali complici dello stato. Dipendono dall'establishment politico e si dedicano a fornire un presunto supporto scientifico per ogni decisione che ne deriva. In questo modo usano l'alone della scienza per disarmare la società e renderla impotente. Infatti la cosiddetta "ingegneria sociale", o socialismo scientista, è una delle manifestazioni più tipiche e perverse dello statalismo, poiché, da un lato, mira a giustificare l'idea che gli esperti, grazie al loro presunto livello più elevato di formazione e conoscenza, hanno il diritto di dirigere le nostre vite; e dall'altro mira a bloccare qualsiasi reclamo o opposizione menzionando il presunto sostegno della scienza. In breve, gli stati ci portano a credere che, in virtù della presunta maggiore conoscenza e superiorità intellettuale dei loro consulenti scientifici rispetto ai cittadini comuni, essi hanno il diritto di plasmare la società a loro piacimento attraverso comandi coercitivi. Altrove[23] ho scritto della litania di errori innescati da questa "abbuffata di potere", alimentata dalla presunzione fatale di "esperti" e tecnici. A sua volta, l'origine di questa presunzione risiede nell'errore fondamentale di credere che le informazioni pratiche e disperse che gli attori di mercato creano e trasmettono costantemente possano essere conosciute, articolate, archiviate e analizzate in modo centralizzato attraverso mezzi scientifici, e questo è impossibile sia in teoria che in pratica.[24]


2.3. Pandemie: società libera ed economia di mercato

Non possiamo sapere a priori come una società libera, non in preda alla coercizione sistematica dell'interventismo statale, possa far fronte ad una pandemia come quella attuale. La società percepirebbe sicuramente un impatto profondo nei settori della salute e dell'economia. Tuttavia la reazione della società si baserebbe chiaramente sulla creatività imprenditoriale. La ricerca di soluzioni e gli sforzi compiuti per rilevare e superare i problemi man mano che si presentano, sarebbero dinamicamente efficienti. È proprio questa forza della creatività imprenditoriale che ci impedisce di conoscere i dettagli delle soluzioni che verrebbero adottate, poiché l'informazione imprenditoriale che non è stata ancora creata (perché la coercizione monopolistica dello stato ne ha impedito la creazione) non può essere conosciuta oggi, però possiamo essere certi che i problemi tenderebbero ad essere rilevati e risolti in modo molto agile ed efficiente.[25] In altre parole, come abbiamo analizzato, i problemi sarebbero gestiti in un modo esattamente opposto a quello che vediamo con lo stato e l'azione combinata dei suoi politici e burocrati, indipendentemente dalla buona fede e dal lavoro che riversano nei loro sforzi. E anche se non possiamo nemmeno immaginare l'immensa varietà, ricchezza e ingegnosità che verrebbero messe insieme per combattere i problemi derivanti da una pandemia in una società libera, abbiamo numerose indicazioni per farci un'idea approssimativa dello scenario completamente diverso che emergerebbe in un ambiente libero dalla coercizione statale.[26]

Ad esempio, invece del confinamento totale e onnicomprensivo, e l'arresto economico obbligatorio ad esso associato (che, non dobbiamo dimenticare, ha avuto origine nella Cina comunista), in una società libera le misure che sarebbero prevalse sarebbero state di natura molto più decentralizzata, disaggregata e "micro", come il confinamento selettivo di aree residenziali (private), quartieri, edifici, aziende, case di riposo, ecc. Invece della censura esercitata durante le settimane chiave all'inizio della pandemia (e le molestie di chi lo ha sottolineato), le informazioni sarebbero state trasmesse liberamente ed efficacemente a grande velocità. Invece di lentezza e goffaggine nel monitoraggio, tramite test, di casi possibili, fin dall'inizio imprenditori e proprietari di ospedali, case di riposo, aeroporti, stazioni, mezzi di trasporto, ecc. avrebbero introdotto, nel proprio interesse e in quello di loro clienti, questi test immediatamente e con grande agilità. In una società libera e in un mercato libero non si verificherebbero carenze e strozzature, se non in occasioni molto isolate. L'uso delle mascherine non sarebbe stato sconsigliato (quando mezzo mondo le aveva già utilizzate), né sarebbe stato poi freneticamente imposto in ogni situazione. L'ingegnosità imprenditoriale si sarebbe concentrata sulla sperimentazione, la scoperta e l'innovazione di soluzioni in modo policentrico e competitivo e non, come avviene ora, sul blocco e sull'attenuazione della maggior parte del potenziale creativo dell'umanità attraverso la pianificazione statale.[27] E non c'è bisogno di menzionare l'enorme vantaggio dell'iniziativa individuale e dell'impresa privata, né come operano diversamente in termini di ricerca e scoperta di rimedi; poiché, anche nelle circostanze attuali, gli stati sono stati obbligati a rivolgersi ad essi per ottenere soluzioni rapidamente di fronte al clamoroso fallimento dei loro pomposi e ben finanziati istituti di ricerca pubblici.[28] Lo stesso si potrebbe dire riguardo la maggiore agilità ed efficienza delle reti sanitarie private (compagnie di assicurazione sanitaria, ospedali privati, istituzioni religiose, fondazioni di ogni tipo, ecc.) che hanno la possibilità aggiuntiva di espandersi molto più rapidamente e con molta più elasticità in tempi di crisi (ad esempio, ricordiamo che in Spagna quasi l'80% degli stessi dipendenti pubblici, compreso il vicepresidente del governo socialista, sceglie l'assistenza sanitaria privata rispetto a quella pubblica, mentre ai suoi concittadini viene ingiustamente negata tale scelta; e anche così, almeno il 25% di loro fa il sacrificio di pagare il costo aggiuntivo di una politica sanitaria privata).[29]


2.4. Il servilismo e l'obbedienza dei cittadini

Per concludere questa sezione, forse sarebbe una buona idea chiedersi perché, nonostante tutte le inadeguatezze, insufficienze e contraddizioni inerenti alla gestione dello stato che sono state messe in luce dall'analisi economica,[30] la maggior parte dei cittadini, allettati dai loro politici e dalle autorità pubbliche, continuano ad obbedirgli con disciplina e rassegnazione. Quando venne pubblicato il suo Discorso sulla servitù volontaria nel 1574, Etienne de la Boétie[31] individuò quattro fattori per spiegare il servilismo dei cittadini nei confronti dei governanti e delle autorità, e questi fattori sono ancora pienamente rilevanti oggi: l'abitudine ad obbedire che, sebbene di origine tribale e famigliare, viene estrapolata a tutta la società; la perenne auto-presentazione delle autorità politiche come dei “santi” (in passato, elezione divina; oggi, sovranità popolare e sostegno democratico) che legittimerebbe il presunto obbligo ad obbedire; la creazione perpetua di un folto gruppo di sostenitori (in passato, membri della Guardia pretoriana; oggi, esperti, funzionari pubblici, ecc.) che dipendono dall'establishment politico per la loro sussistenza; l'acquisto di sostegno popolare attraverso la continua concessione di sussidi (in passato, stipendi e premi; oggi, ad esempio, benefici dello "stato sociale"), che rendono i cittadini progressivamente ed irreversibilmente dipendenti dall'establishment politico. Se a questo aggiungiamo la paura (incitata dallo stato stesso) che porta le persone a chiedere alle autorità di fare qualcosa, soprattutto in tempi di grave crisi (guerre, pandemie), possiamo capire come è cresciuto e si è rafforzato il comportamento ossequioso dei cittadini, in particolare in questo tipo di situazione. Ma non appena iniziamo uno studio approfondito da un punto di vista teorico o filosofico, diventa chiaro che l'autorità speciale attribuita allo stato manca di legittimità morale ed etica. Molti hanno dimostrato che ciò è vero, incluso Michael Huemer nel suo libro The Problem of Political Authority.[32] Ovviamente non possiamo approfondire qui questo grave problema, che indubbiamente sta alla radice della principale crisi sociale del nostro tempo (e, in un certo senso, da sempre). Tuttavia, nel contesto della nostra analisi economica delle pandemie, quello che possiamo confermare è che esiste un "virus" ancora più letale di quello che ha innescato la pandemia in corso ed è nientemeno che lo statalismo, "il quale infetta l'anima e si è diffuso tra tutti noi".[33]


3. La pandemia come pretesto per una crescente mancanza di controllo fiscale e monetario da parte di stati e banche centrali

3.1. Efficienza dinamica come condizione necessaria e sufficiente affinché l'economia si riprenda da una pandemia

Qualsiasi economia colpita da una pandemia richiede una serie di condizioni che, in un primo momento, le permettano di adattarsi alle nuove circostanze al minor costo possibile e, una volta superata, consentano l'inizio di una ripresa solida e sostenibile. Nella prima parte di questo saggio abbiamo analizzato i possibili effetti strutturali che potrebbero derivare a breve, medio ed, eventualmente, a lungo termine e il ruolo che il naturale aumento dell'incertezza gioca inizialmente nell'aumento della domanda di denaro e del suo potere d'acquisto: nel contesto di un confinamento (settoriale o generale) in cui l'attività produttiva è temporaneamente interrotta, è particolarmente importante che vi sia una conseguente diminuzione della domanda, in modo da liberare beni e servizi di consumo, e che tutte le persone costrette a sospendere la loro attività produttiva o lavorativa possano continuare a consumare la quantità minima di cui hanno bisogno. In altre parole, l'aumento dei saldi di cassa e il calo dei prezzi nominali rendono più facile per i consumatori e gli agenti economici adattarsi a circostanze difficili e, allo stesso tempo, consentono a tutti loro di rispondere rapidamente una volta che possono vedere la luce alla fine del tunnel. In ogni caso, l'economia deve essere “dinamicamente efficiente”[34] se si vogliono cogliere le opportunità che cominciano ad emergere e quindi far decollare la ripresa. Le condizioni per un'efficienza dinamica sono fornite da tutto ciò che consente e facilita il libero esercizio dell'imprenditorialità (sia creativa che coordinatrice) da parte di tutti gli agenti economici, in modo che siano in grado di convogliare le risorse economiche disponibili in progetti di investimento nuovi, redditizi e sostenibili, incentrati sulla produzione di beni e servizi che soddisfino i bisogni dei cittadini e sono da loro richiesti in modo indipendente nel breve, medio e lungo termine. In un ambiente come quello attuale, di economie fortemente controllate, il processo attraverso il quale si formano e si impostano i prezzi deve svolgersi senza intoppi e con agilità. Affinché ciò avvenga, dobbiamo liberalizzare il più possibile i mercati, in particolare il mercato del lavoro e altri fattori produttivi, eliminando tutte le normative che rendono rigida l'economia. Inoltre è essenziale che il settore pubblico non sperperi le risorse ed i risparmi privati di cui le aziende e gli agenti economici hanno bisogno per far fronte alle devastazioni della pandemia e, in seguito, quando le cose migliorano, utilizzarli per realizzare la ripresa economica. È quindi imperativo procedere ad una riduzione generale delle tasse affinché vengano lasciate quante più risorse economiche possibili nelle tasche dei cittadini e, soprattutto, si abbassino il più possibile le tasse sui profitti imprenditoriali e sull'accumulo di capitale. Dobbiamo ricordare che i profitti sono il segnale fondamentale che guida gli imprenditori nel loro lavoro indispensabile, creativo e di coordinamento. I profitti li dirigono nell'individuazione, nell'intraprendere e nel portare a termine progetti d'investimento redditizi e sostenibili che generano occupazione stabile. È necessario promuovere, piuttosto che punire fiscalmente, l'accumulo di capitale se vogliamo avvantaggiare le classi lavoratrici e, in particolare, quelle più vulnerabili. Questo perché i salari che guadagnano sono determinati in ultima analisi dalla loro produttività, che sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà il volume pro-capite di capitale sotto forma di beni strumentali che gli imprenditori mettono a loro disposizione in quantità e sofisticazione sempre maggiori. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, dobbiamo evitare qualsiasi tipo di regolamentazione che riduca l'offerta, la mobilità e la piena disponibilità di manodopera per tornare rapidamente e senza intoppi a lavorare su nuovi progetti d'investimento. Quindi le seguenti cose sono particolarmente dannose: imposizione del salario minimo; irrigidimento e sindacalizzazione dei rapporti di lavoro all'interno delle aziende; l'ostacolo e, in particolare, il divieto di licenziare; la creazione di sussidi e sovvenzioni (sotto forma di piani temporanei di aggiustamento della forza lavoro, indennità di disoccupazione e programmi di reddito minimo garantito). La combinazione di questi fattori può scoraggiare le persone nel cercare lavoro e dal voler un lavoro se diventa ovvio che per molti la scelta più vantaggiosa è vivere di sussidi, partecipare all'economia sommersa ed evitare di lavorare ufficialmente.[35] Tutte queste misure e riforme strutturali devono essere accompagnate dalla necessaria riforma del welfare state. Dobbiamo restituire la responsabilità per le pensioni, l'assistenza sanitaria e l'istruzione alla società, consentendo a coloro che lo desiderano di esternalizzare i propri benefici al settore privato tramite la corrispondente detrazione fiscale.

Pertanto l'approccio economico-politico più appropriato per affrontare una pandemia e, soprattutto, la ripresa è abbastanza chiaro. Alcuni dei suoi principi essenziali sono ampiamente conosciuti e altri sono un "segreto di Pulcinella", specialmente per tutti coloro che cadono nella trappola della demagogia populista creando aspettative false e irraggiungibili tra una popolazione spaventata e disorientata.[36]


3.2. Mettere fine alla politica monetaria estremamente lassista negli anni precedenti alla pandemia

Concentriamoci ora sull'attuale pandemia. Si potrebbe evidenziare una particolarità molto significativa che condizionerà ed impatterà negativamente la futura evoluzione economica. Infatti questa pandemia è emersa e si è diffusa in un contesto in cui le banche centrali di tutto il mondo avevano già avviato una politica monetaria estremamente permissiva, con tassi d'interesse a zero o addirittura negativi ed iniezioni monetarie consistenti; a causa del loro grado di l'intensità, la loro natura diffusa e il coordinamento internazionale implicito, si trattava di qualcosa che non s'era mai visto prima nella storia economica dell'umanità. Questa politica estremamente lassista era stata adottata molti mesi, se non anni, prima della pandemia, e le banche centrali l'avevano impiegata con il pretesto, in primo luogo, di aiutare la ripresa emergente dopo la Grande Recessione del 2008 e, successivamente, per affrontare le incertezze che inevitabilmente sorgono di volta in volta (il protezionismo populista di Trump, la Brexit, ecc.).

Nel mio articolo su "La giapponesizzazione dell'Unione Europea"[37] spiego che le politiche monetarie estremamente permissive attuate dalle banche centrali prima dell'emergere della pandemia hanno avuto un effetto controproducente. Da un lato non sono riuscite a far salire i prezzi oltre il 2%. Infatti la massiccia iniezione di denaro è stata ampiamente neutralizzata, in un contesto di grande rigidità e incertezza istituzionale, da un conseguente aumento diffuso della domanda di denaro da parte degli agenti economici, poiché il costo di opportunità di detenere saldi di cassa è stato ridotto a zero. Inoltre non si stanno aprendo chiare opportunità di investimento sostenibile in un ambiente di costante regolamentazione ed interventismo economico, il quale appesantisce le aspettative di profitto e impedisce un pieno recupero della fiducia persa a partire dalla Grande Recessione del 2008. Di conseguenza non è stato possibile completare la necessaria rettifica di tutti gli errori di investimento commessi durante la bolla e l'espansione del credito anni prima del 2008. Dall'altra parte, nel momento in cui le banche centrali hanno inaugurato le loro politiche di massiccia iniezione monetaria, quantitative easing e tassi d'interesse a zero, hanno eliminato ipso facto qualsiasi incentivo che i diversi governi (di Spagna, Italia, Francia, ecc.) avrebbero avuto nell'introdurre o portare a termine le riforme economiche, normative e istituzionali in sospeso, essenziali per promuovere un ambiente di fiducia in cui gli imprenditori siano liberi da restrizioni e ostacoli inutili e possano dedicarsi a promuovere la loro creatività e fare investimenti a lungo termine che forniscano posti di lavoro sostenibili. Infatti qual è l'incentivo per lo stato, ad esempio, nel liberalizzare il mercato del lavoro se, de facto, indipendentemente dal disavanzo sostenuto, la banca centrale lo finanzierà direttamente o indirettamente e a costo zero? Ad esempio, la Banca Centrale Europea possiede già quasi un terzo del debito sovrano emesso dagli stati membri della zona Euro, e nel momento in cui ha inaugurato la sua politica di acquisto indiscriminato di questo debito, ha fermato il processo di riforma economica ed istituzionale degli stati membri. La conclusione che emerge dalla teoria economica non potrebbe essere più semplice: in un contesto di grande rigidità istituzionale ed interventismo economico, le politiche monetarie ultra-lassiste servono solo a mantenere indefinitamente la rigidità e la letargia delle economie colpite e ad aumentare l'indebitamento del settore pubblico (pratica man mano sempre più difficile da sostenere).


3.3 Reazioni delle banche centrali all'arrivo inaspettato della pandemia

È stato in queste circostanze economiche molto preoccupanti, in cui i banchieri centrali avevano già praticamente esaurito il loro intero arsenale di strumenti di politica monetaria non convenzionali e ultra-lassisti, che la pandemia di Covid-19 è scoppiata ufficialmente nel gennaio del 2020. La reazione delle autorità monetarie è stata più o meno la stessa: hanno raddoppiato le iniezioni monetarie. Per fare ciò, hanno ampliato i loro programmi di acquisto di asset finanziari (ed il prezzo, per la gioia dei grandi investitori come fondi comuni d'investimento, hedge fund, ecc., è salito continuamente; in questo modo le banche centrali hanno fatto la fortuna di poche persone, mentre l'economia della maggior parte dei cittadini si è contratta ed è entrata in recessione). Inoltre il nuovo denaro viene distribuito sempre più attraverso sovvenzioni dirette e sussidi finanziati tramite deficit pubblico monetizzato, in modo tale che una gran parte del denaro di nuova creazione raggiunga direttamente le tasche delle famiglie. Tuttavia sappiamo, almeno fin dal 1752 quando Hume[38] lo fece notare, che la semplice distribuzione delle nuove unità monetarie tra i cittadini non ha alcun effetto reale.[39] Per questo motivo le autorità monetarie non vogliono nemmeno sentire parlare del famoso "helicopter money" di Friedman come strumento di politica monetaria, poiché quest'ultimo produce effetti espansivi apparenti solo quando solo pochi settori, aziende e agenti economici ricevono inizialmente il denaro di nuova creazione, accompagnato da tutti i relativi effetti collaterali (aumento della disuguaglianza nella distribuzione del reddito a favore di un piccolo gruppo, ecc.). In ogni caso, è certo che, prima o poi, e nella misura in cui non è sterilizzato da banche private[40] e settori imprenditoriali, il denaro di nuova creazione finirà per raggiungere le tasche dei consumatori e generare pressioni inflazionistiche, così come descritto dall'effetto Hume dove apprendiamo della perdita inesorabile del potere d'acquisto dell'unità monetaria. E questo effetto diventerà sempre più evidente quando l'incertezza iniziale delle famiglie verrà gradualmente superata ed i loro membri non sentiranno più la necessità di mantenere saldi di cassa così elevati, o saranno semplicemente obbligati a spendere il denaro che ricevono sotto forma di sussidi per sopravvivere poiché disoccupati. In ogni caso, tutto va nella stessa direzione: una crescente domanda di denaro rispetto ad una produzione che è diminuita a causa della pandemia, cosa che porta inevitabilmente ad una crescente pressione al rialzo sui prezzi.[41] Ed è proprio ciò che ha già cominciato ad apparire mentre scrivo questo saggio (gennaio 2021). Ad esempio, il prezzo dei prodotti agricoli ha continuato a salire e ha raggiunto il suo punto più alto in tre anni. Anche i prezzi del trasporto e di molte altre materie prime (minerali, petrolio, gas naturale, ecc.) sono aumentati vertiginosamente, raggiungendo livelli record.


3.4. Le banche centrali sono finite in un vicolo cieco

La conclusione non potrebbe essere più ovvia: le banche centrali sono davvero finite in un vicolo cieco. Se continuano a seguire la loro politica di espansione monetaria e monetizzazione di un deficit pubblico in costante aumento, corrono il rischio di provocare una grave crisi del debito pubblico e di inflazione. Ma se, per paura di passare da uno scenario di "giapponesizzazione" prima della pandemia ad uno di quasi "venezuelizzazione" dopo di essa, interrompono la loro politica monetaria estremamente lassista, allora la sopravvalutazione dei mercati del debito pubblico diventerà immediatamente chiara e ne seguirà una grave crisi finanziaria e una recessione economica, tanto dolorose quanto salutari nel medio e lungo termine. Infatti, come mostra il "teorema dell'impossibilità del socialismo", le banche centrali (vere agenzie di pianificazione centrale finanziaria) non possono determinare correttamente la politica monetaria più adatta.

È molto illuminante, nella situazione estremamente difficile in cui ci troviamo ora ovviamente, prestare attenzione alle reazioni e alle raccomandazioni che sono sempre più ansiose e irrequiete (direi addirittura "isteriche") provenienti da investitori, "esperti" e anche dalle più rinomate autorità economiche e monetarie.

Ad esempio, nuovi articoli e commenti che appaiono continuamente (in particolare nei giornali color salmone, a cominciare dal Financial Times) tendono invariabilmente a rassicurare i mercati ed inviare il messaggio che i tassi d'interesse a zero (e persino negativi) sono qui per restare per molti anni a venire, perché le banche centrali non si discosteranno dalle loro politiche monetarie estremamente lassiste e, quindi, gli investitori possono rilassarsi e continuare ad arricchirsi sui mercati obbligazionari. I banchieri centrali, a loro volta, annunciano con cautela una revisione dei loro obiettivi di inflazione per renderli più flessibili (ovviamente verso l'alto), con il pretesto di compensare gli anni in cui non sono stati in grado di raggiungerli e giustificare la mancanza di misure di controllo monetario nel caso in cui l'inflazione salisse alle stelle.[42] Altri consulenti delle autorità monetarie propongono addirittura di abbandonare l'obiettivo legato al tasso d'inflazione e di cocnentrarsi esclusivamente sulla curva dei tassi d'interesse (cioè tenendoli a zero o addirittura a livelli negativi per molti anni, cosa per cui verrebbero effettuate tutte le operazioni di mercato aperto necessarie). E tutto questo è applaudito dai rappresentanti della MMT, che, nonostante il suo nome, non è né moderna né una teoria monetaria, ma semplicemente un pot-pourri di antiche ricette keynesiane e mercantiliste unite a sogni utopici dei secoli passati (poiché ritengono che il deficit sia irrilevante dato che può essere finanziato senza limiti emettendo debito e monetizzandolo); questa teoria sta seminando il caos tra le nostre autorità economiche e monetarie.[43] Veniamo ora all'ultima delle "idee brillanti", quella che sta diventando sempre più popolare: la cancellazione del debito pubblico acquistato dalle banche centrali (che, come abbiamo visto , ammonta già a quasi un terzo del totale).

Innanzitutto il numero crescente che si unisce al coro a favore di questa cancellazione si tradisce chiaramente, perché se, come affermano, le banche centrali riacquisteranno sempre il debito emesso alla scadenza, nessuna cancellazione sarà necessaria. Il solo fatto che le persone lo richiedano proprio ora rivela la loro ansia per i crescenti segnali di un aumento dell'inflazione e la loro paura che accompagna il crollo dei mercati del reddito fisso ed i tassi d'interesse risaliranno. In tali circostanze considerano cruciale che la pressione sui governi dispendiosi venga ridotta da una cancellazione che equivarrebbe ad una remissione di quasi un terzo del debito totale emesso. Una tale cancellazione, si ritiene, sarebbe dannosa solo per un'istituzione: la banca centrale. Ma le cose non sono così semplici come sembrano. Se si effettuasse una cancellazione come quella ora richiesta, sarebbe ovvio quanto segue: in primo luogo, i banchieri centrali si sono limitati a creare moneta e ad immetterla nel sistema attraverso i mercati finanziari, arricchendo così poche persone senza ottenere alcun effetto benefico a lungo termine (oltre all'abbassamento artificiale dei tassi d'interesse e alla distruzione simultanea dell'allocazione efficiente delle risorse produttive).[44] In secondo luogo, la protesta popolare contro questa politica sarebbe così grande se si verificasse questa cancellazione che le banche centrali non solo perderebbero tutta la loro credibilità,[45] ma anche la possibilità di perseguire in futuro le proprie politiche di acquisto sui mercati aperti (quantitative easing). In queste circostanze i banchieri centrali sarebbero obbligati a limitarsi alle iniezioni di denaro direttamente ai cittadini (il proverbiale "helicopter money" di Friedman). Queste sarebbero le uniche iniezioni "eque" dal punto di vista dei loro effetti sulla distribuzione del reddito, ma poiché sarebbero prive di effetti espansivi reali a breve termine, significherebbero la fine definitiva della capacità delle banche centrali di influenzare notevolmente le economie in futuro attraverso la politica monetaria.

In questo contesto l'unica raccomandazione sensata che può essere data agli investitori è di vendere tutte le loro posizioni a reddito fisso il prima possibile, poiché non sappiamo per quanto tempo le banche centrali continueranno a mantenerne i prezzi artificialmente alti. Infatti ci sono prove più che sufficienti che gli investitori più attenti, come gli hedge fund e altri, mediante l'uso di derivati ​​e altre tecniche sofisticate, stiano già scommettendo sul crollo dei mercati del reddito fisso, mentre, ufficialmente, continuano ad inviare messaggi e raccomandazioni rassicuranti alla stampa attraverso i commentatori più prestigiosi.[46] Ciò non dovrebbe sorprendere, poiché desiderano uscire dai mercati del debito senza essere notati e al prezzo più alto possibile.


3.5. La “Pièce de Résistance” della spesa pubblica

Ed ora veniamo all'ultima ricetta offerta per superare la crisi causata dalla pandemia e tornare alla normalità: dimenticatevi di mettere ordine nei conti pubblici o di tagliare la spesa pubblica. Dimenticatevi di ridurre la pressione fiscale o alleggerire l'onere della burocrazia e della regolamentazione per gli imprenditori in modo che recuperino fiducia e intraprendano nuovi investimenti. Dimenticatevi tutto questo, è richiesto l'esatto contrario: dobbiamo fare affidamento il più possibile sulla politica fiscale e aumentare ulteriormente la spesa pubblica, sebbene, ci viene detto, la priorità dovrebbe essere data agli investimenti su ambiente, digitalizzazione ed infrastrutture. Ma questa nuova agonia della politica fiscale è pro-ciclica e controproducente. Ad esempio, entro questa estate (2021), quando inizieranno ad arrivare i €140 miliardi forniti alla Spagna dall'Unione Europea (un programma totale di €750 miliardi organizzato dalle autorità dell'UE ed espandibile a €1.850 miliardi in prestiti), è più che probabile che le economie sia della Spagna che degli altri Paesi dell'UE si stiano già riprendendo da sole. Questi fondi assorbiranno e devieranno risorse essenziali dal settore privato, incapace quindi di avviare e portare a termine progetti d'investimento davvero redditizi che, da soli e senza aiuti pubblici, possono generare un alto volume di occupazione sostenibile a breve, medio e lungo termine. Tali lavori differiscono da quelli invariabilmente precari che dipendono da decisioni politiche e dalla spesa pubblica, anche se si tratta di grandiosi progetti ambientali e di "transizione" digitale. E non abbiamo nemmeno bisogno di menzionare l'inefficienza intrinseca del settore pubblico quando si tratta di dirigere le risorse ricevute e l'inevitabile politicizzazione della loro distribuzione, la quale è sempre sensibile a coloro che cercano i benefici statali. Ricordiamo, ad esempio, il tremendo fallimento del "Piano E", che ha comportato l'iniezione di spesa pubblica ed è stato promosso dall'amministrazione socialista di Zapatero per far fronte alla Grande Recessione del 2008. Ricordiamo anche lo sfortunato fallimento della politica fiscale giapponese: forti aumenti della spesa pubblica che non hanno avuto altro effetto se non quello di rendere il Giappone il Paese più indebitato del mondo. In breve, la storia si ripete ancora e ancora.

 

Conclusione

Non esistono scorciatoie miracolose per superare una crisi così grave come quella provocata dall'attuale pandemia. Anche se gli stati e le autorità monetarie si sforzano di presentarsi ai cittadini come i loro indispensabili "salvatori"; anche se nascondono sistematicamente la loro intrinseca incapacità (come ha dimostrato la Scuola Austriaca) di centrare l'obiettivo e ottenere le informazioni di cui hanno bisogno per infondere una qualità di coordinamento nei loro comandi; anche se le loro azioni sono sistematicamente irresponsabili e controproducenti, poiché sperperano le risorse economiche scarse e precludono la corretta allocazione delle risorse e il calcolo economico razionale nei processi di investimento; tra pochi anni la pandemia di Covid-19 sarà solo un triste ricordo che sarà presto dimenticato dalle generazioni future, proprio come nessuno ricorda "l'influenza spagnola" di un secolo fa e il tributo di gran lunga maggiore che ha avuto sull'economia e sulla salute della popolazione. Ora, come allora, ce la faremo grazie al nostro impegno individuale e collettivo nel cercare di far decollare in modo creativo i nostri progetti di vita nelle piccole aree che, nonostante tutto, rimangono aperte alla libera impresa e al mercato senza ostacoli.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Note

[1] Ricorderò sempre la storia del mio amico Arthur Seldon sulla perdita dei suoi genitori. Dopo essersi diplomato alla London School of Economics, Seldon è diventato, insieme a Lord Harris di High Cross, un presidente fondatore dell'Institute of Economic Affairs (IEA) di Londra, un illustre membro della Mont Pelerin Society, un grande scrittore su una vasta gamma di argomenti e un difensore dell'economia di mercato. Entrambi i genitori di Seldon morirono di influenza spagnola a breve distanza l'uno dall'altro (all'età di trent'anni) quando lui aveva solo due anni. Così, quando Arthur Seldon era ancora un bambino molto piccolo, divenne orfano e in seguito fu adottato. Con il tempo è riuscito a superare l'esperienza traumatica, ma gli ha lasciato una balbuzie permanente che è rimasta con lui per il resto della sua vita. Non gli ha impedito di diventare uno degli economisti più brillanti del Regno Unito e, in larga misura, l'ispiratore della rivoluzione conservatrice di Margaret Thatcher, iniziata alla fine degli anni '70. Si veda Arthur Seldon, Capitalism (pubblicato da Wiley-Blackwell, 1991).

[2] Si veda, ad esempio, Murray N. Rothbard, America’s Great Depression, 5a ed. (Auburn, AL: Ludwig von Mises Institute, 2000).

[3] Si vedano, ad esempio, i commenti di Carlo Maria Cipolla sugli effetti della peste nera del XIV secolo nel suo libro The Monetary Policy of Fourteen-Century Florence (Berkeley: University of California Press, 1982) e la mia critica alle sue osservazioni in Money, Bank, Credit, and Economic Cycles, 4a ed. (Auburn, AL: Ludwig von Mises Institute, 2020), pp. 71-72 e in particolare nota 56. Tuttavia la paranoia distruttiva raggiunge il suo apice in Paul Krugman, che nel suo articolo del 2011 "Oh! What a Lovely War!" afferma: "La seconda guerra mondiale è il grande esperimento naturale degli effetti di grandi aumenti della spesa pubblica, e come tale è sempre servito da importante esempio positivo (!) per quelli di noi che preferiscono un approccio attivista ad un'economia depressa". Citato da J.R. Rallo nella prefazione al libro di Murray N. Rothbard, La gran depresión (Madrid, Unión Editorial, 2013), pp. XXVI-XXVII. Per l'originale in inglese, si veda America’s Great Depression, op. cit.

[4] "[...] Tutti, come se cercassero la morte quel giorno stesso, studiavano con tutta la loro intelligenza, non per aiutare a maturare i futuri prodotti del loro bestiame e dei loro campi ed i frutti delle loro fatiche passate, ma per consumare quelli che erano a portata di mano". Si veda G. Boccaccio, Decameron, Primo giorno, ed i commenti che, sulla base delle osservazioni correlate di John Hicks (Capital and Time: A Neo-Austrian Theory, Clarendon, Oxford, 1973, pp. 12-13), propongo in Jesús Huerta de Soto, Money, Bank Credit, and Economic Cycles, 4a ed. (Auburn, AL: Ludwig von Mises Institute, 2020), pp. 71-72 e 346.

[5] Ibid., Pagg. 344-346.

[6] Naturalmente non mi riferisco qui ad errori che esistevano già prima della pandemia e sono ancora in attesa di liquidazione o ristrutturazione.

[7] Nel caso dell'influenza spagnola quel periodo è durato poco più di due anni. Per quanto riguarda l'attuale pandemia di Covid-19, nonostante i vaccini, riteniamo che questa seconda fase avrà una durata simile, anche se potrebbe terminare qualche mese prima.

[8] Si veda, tra molti altri studi, quello di Hans Rosling, Factfulness (London: Sceptre, 2018).

[9] Jesús Huerta de Soto, “La giapponesizzazione dell'Unione Europea”, Mises Wire, Mises Institute, Dic. 11, 2019. [https://www.francescosimoncelli.com/2019/12/la-giapponesizzazione-dellunione-europea.html]

[10] Ludwig von Mises, "Die Wirtschaftsrechnung im sozialistischen Gemeinwesen", Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, no. 47, 1920, pagg. 86-121.

[11] Un'altra concreta illustrazione storica, in questo caso dall'altro lato della cortina di ferro durante gli ultimi anni del comunismo sovietico, la ritroviamo nell'esplosione della centrale nucleare di Chernobyl il 26 aprile 1986. Molto è stato scritto analizzando e commentando l'incidente, e il contesto e gli eventi chiave sono presentati in modo mirabile con Chernobyl, una miniserie televisiva prodotta e distribuita in cinque episodi da HBO-SKY a partire dal 2019. La serie è diventata la più apprezzata nella storia.

[12] Si veda, ad esempio, Mikel Buesa, Abuso de poder: El coronavirus en España. Incompetencia y fracaso en la gestión de la crisis, (Madrid: Marcial Pons, 2020).

[13] Jesús Huerta de Soto, Socialism, Economic Calculation, and Entrepreneurship (Cheltenham, UK; Northampton, MA: Edward Elgar, 2010), in particolare pp. 49-98.

[14] "Nasce così questo paradosso irrisolvibile [dello statalismo]: più l'autorità di governo insiste nel pianificare o controllare una certa sfera della vita sociale, meno è probabile che raggiunga i suoi obiettivi, poiché non può ottenere le informazioni necessarie per organizzare e coordinare società. Infatti causerà nuovi e più gravi disadattamenti e distorsioni nella misura in cui utilizzerà la coercizione e limiterà la capacità imprenditoriale delle persone". [Ibid., p. 58]

[15] Pubblicato in varie puntate dal quotidiano El País, il 14 e 21 giugno 2020.

[16] Mikel Buesa, Abuso de poder: El coronavirus en España. Incompetencia y fracaso en la gestión de la crisis, op. cit. Tuttavia il professor Buesa attribuisce gli errori più all'incompetenza che al sistema stesso. E nella parte finale del suo lavoro, altrimenti eccellente, l'unica proposta che fa (eccetto per quanto riguarda il mercato del lavoro) è di politiche statali attive aggiuntive per migliorare il modo in cui si fanno le cose e per superare la crisi (!). Ciò deriva dall'interpretazione keynesiana che dà della crisi a p. 203.

[17] Come è noto, i prezzi massimi danno luogo a carenze, scarsità e mercato nero. Quando appare un'urgente necessità di un prodotto (ad esempio, mascherine), l'unica politica sensata è quella di liberalizzare i prezzi in modo che salgano quanto necessario e incoraggiare la produzione su vasta scala fino a quando la maggiore domanda non sarà soddisfatta e il problema sarà risolto. L'esperienza mostra che i prezzi tornano molto presto al livello precedente (e in ogni caso, molto prima che l'intervento statale raggiunga il necessario aumento della produzione, che, contrariamente a quanto accade in un mercato libero, arriva invariabilmente in ritardo, goccia a goccia, e con qualità molto bassa). Pertanto la tesi secondo cui i prezzi alti non sono equi non ha senso, perché l'alternativa è di gran lunga peggiore: carenze molto più prolungate, mercati neri e bassa qualità. Affinché le persone più svantaggiate possano acquistare le mascherine ad un prezzo basso il prima possibile, è necessario che inizialmente il prezzo aumenti nella misura stabilita dal mercato.

[18] Nel momento in cui scrivo queste righe, tutti questi problemi che abbiamo visto si stanno verificando di nuovo nel processo lento e disordinato di distribuzione e somministrazione dei vaccini Covid-19 a tutta la popolazione (anche le autorità pubbliche monopolizzano questo processo ed escludono completamente le imprese private). Si veda Hans-Werner Sinn, "Europe's Vaccination Debacle", Project Syndicate, 18 gennaio 2021. [https://www.project-syndicate.org/ commentary / europe-vaccine-scarcity-central-planning-by-hans-werner-sinn-2021-01? barrier = accesspaylog]

[19] Jesús Huerta de Soto, Socialism, Economic Calculation, and Entrepreneurship, op. cit., pagg. 62-77.

[20] "Qualsiasi sistema socialista tenderà a ricorrere alla propaganda politica, con la quale idealizzerà invariabilmente gli effetti sul processo sociale dei comandi statali, insistendo sul fatto che l'assenza di tale intervento produrrebbe conseguenze molto negative per la società. L'inganno sistematico della popolazione, la distorsione dei fatti [...] per convincere tutti che la struttura del potere è necessaria e dovrebbe essere mantenuta e rafforzata, sono tutte caratteristiche tipiche dell'effetto perverso e corruttore che il socialismo esercita sui propri organi di governo o agenzie". Jesús Huerta de Soto, Socialism, Economic Calculation, and Entrepreneurship, op. cit., p. 68. L'azione delo stato si riflette ancora una volta nella domanda inquietante che conclude la miniserie Chernobyl menzionata in precedenza: "Qual è il costo delle bugie?"

[21] Ibid., p. 66.

[22] Ibid., pagg. 71-76.

[23] Ibid., pagg. 80-82.

[24] Gli esperti e le autorità di solito attribuiscono i continui disaggiustamenti causati dall'interventismo ad una "mancanza di cooperazione" da parte dei cittadini, e questi disadattamenti sono usati come ulteriore giustificazione per nuove dosi di coercizione istituzionale in un progressivo aumento totalitario del potere che, in presenza di una crescente mal coordinazione, è solitamente accompagnato da costanti "[...] scosse o repentini cambiamenti di politica, modifiche radicali del contenuto dei comandi o dell'area a cui si applicano, o entrambi, e tutto invano affinché una "sperimentazione" sistematica con nuovi tipi e gradi di interventismo fornirà una soluzione ai problemi insolubili". Forse il vergognoso episodio delle mascherine, inizialmente sconsigliate dagli esperti, e poi, solo due mesi dopo, considerate essenziali e dichiarate obbligatorie anche all'aperto (!), offre una perfetta illustrazione di questo punto. Si veda Jesús Huerta de Soto, Socialism, Economic Calculation, and Entrepreneurship, op. cit., p. 64. Si veda anche anche "Macron y la vacunación", El país, domenica 10 gennaio 2021, pag. 10. Inoltre potrei menzionare la tragica discriminazione che le autorità pubbliche hanno inflitto ai residenti delle case di riposo o il fatto che, nei momenti più critici della pandemia, era spesso un dipendente pubblico (un medico di un ospedale pubblico) a decidere se i pazienti gravemente malati di Covid-19 meritassero di vivere o meno.

[25] Israel Kirzner, Discovery and the Capitalist Process (Chicago & London: University of Chicago Press, 1985), p. 168.

[26] Ad esempio, l'utilizzo da parte della società privata Inditex ("Zara") dei suoi centri logistici e di trasporto con la Cina ha permesso di portare in Spagna in tempi record oltre 35 milioni di unità di dispositivi di protezione sanitaria (insieme a 1.200 ventilatori); se fossero stati utilizzati i soliti canali pubblici, sarebbero arrivati ​​molto più tardi e in condizioni peggiori. Inoltre il ristorante "Coque", che ha ricevuto due stelle Michelin, ha preparato e consegnato a Madrid migliaia di pasti per i bisognosi e le persone colpite dalla pandemia, ecc.

[27] Si veda, tra molti altri, il classico articolo di F. A. Hayek, "Competition as a Discovery Procedure", in New Studies in Philosophy, Politics, Economics, and the History of Ideas (London: Routledge, 1978).

[28] Gli stati applicano continuamente un doppio standard e condannano immediatamente qualsiasi fallimento (non importa quanto piccolo) del settore privato mentre considerano i fallimenti del settore pubblico, molto più gravi ed eclatanti, come prova definitiva che non si spende abbastanza denaro e che dobbiamo espandere ulteriormente il settore pubblico e aumentare la spesa pubblica e le tasse.

[29] Le autorità pubbliche che, relativamente parlando, sono intervenute e hanno costretto i loro cittadini un po' meno (come a Hong Kong, Corea del Sud, Singapore, o, più vicino a noi, la comunità autonoma di Madrid), non sfuggono ai problemi irrisolvibili dell'interventismo statale, ma hanno avuto la tendenza ad ottenere risultati relativamente più positivi. Questa è un'altra indicazione o illustrazione da aggiungere a quelle già menzionate nel testo principale. Per inciso, si dice comunemente che "metà della Spagna si dedica a regolamentare, ispezionare e multare l'altra metà" e c'è molta verità in questa espressione popolare. Almeno un effetto positivo della reclusione è stato proprio il fatto che la società civile ha avuto, per alcuni mesi, una tregua parziale da suddetta pressione.

[30] Nel testo principale non ho menzionato i contributi della Public Choice School, che sui fallimenti della gestione pubblica democratica (soprattutto gli effetti dell'ignoranza razionale degli elettori, il ruolo perverso dei gruppi privilegiati, la miopia dello stato e la natura megalomane ed inefficiente delle burocrazie) hanno acquisito un tale prestigio a partire dagli anni '80 (quando il suo principale architetto pionieristico, James M. Buchanan, ha ricevuto il Premio Nobel per l'economia nel 1986). Questi contributi si applicano direttamente anche qui (si veda anche la bibliografia che cito nella nota 27 a p. 93 del mio libro Socialism, Economic Calculation, and Entrepreneurship, op. Cit.).

[31] Si veda, tra le altre edizioni, The Politics of Obedience: The Discourse of Voluntary Servitude (Auburn AL: Mises Institute, 2002). Sono disponibili anche varie edizioni in spagnolo, ad esempio quella di Pedro Lomba, pubblicata a Madrid nel settembre 2019 da Editorial Trotta.

[32] Michael Huemer, The Problem of Political Authority: An Examination of the Right to Coerce and the Duty to Obey (New York: Palgrave Macmillan, 2013). Il sottotitolo è piuttosto stimolante.

[33] Jesús Huerta de Soto, "Il virus più letale di tutti", Francesco Simoncelli's Freedonia, 28 luglio 2020 [https://www.francescosimoncelli.com/2020/07/lo-stato-il-virus-piu-mortale-di-tutti.html].

[34] Jesús Huerta de Soto, “The Theory of Dynamic Efficiency,” in The Theory of Dynamic Efficiency (London and New York: Routledge, 2009), pp. 1-30.

[35] Si vedano anche i commenti in Jesús Huerta de Soto, Money, Bank Credit, and Economic Cycles, op. cit., pp. 453-455.

[36] Si veda, per esempio, Philipp Bagus, José Antonio Peña Ramos e Antonio Sánchez Bayón, “Covid-19 and the Political Economy of Mass Hysteria,” International Journal of Environmental Research and Public Health 18, no. 4 (2021): 1376.

[37] Jesús Huerta de Soto, “La giapponesizzazione dell'Unione Europea,” Francesco Simoncelli's Freedonia, 27 dicembre 2019, op. cit. Altrettanto applicabile alle banche centrali è il “teorema dell'impossibilità del socialismo”, come dimostrato in Jesús Huerta de Soto, Money, Bank Credit, and Economic Cycles, op. cit., pp. 647-675.

[38] David Hume, "Of Money", in Essays Moral, Political and Literary, ed. E.F. Miller (Indianapolis: Liberty Classics, 1985), pp.281 e seguenti. Hume afferma che se, per qualche miracolo, ogni uomo in Gran Bretagna si svegliasse una mattina per trovare altre cinque sterline in tasca, l'unico effetto reale sarebbe una diminuzione del potere d'acquisto del denaro (cioè un aumento del valore nominale dei prezzi), poiché la capacità produttiva del Regno Unito rimarrebbe la stessa (p. 299). Con la sua famosa metafora del "denaro degli elicotteri", Friedman ha semplicemente copiato e modernizzato questo esempio di Hume (senza citarlo).

[39] Lo stesso Mervyn King, ex-governatore della Banca d'Inghilterra, non ha avuto altra scelta che riconoscere quanto segue: "La narrativa prevalente ci dice che la combinazione di stimoli fiscali e monetari è stata un successo contro la pandemia, ma a questo punto non riesco a vedere il vantaggio dell'attivismo delle banche centrali. Ho discusso con mia moglie per giorni sul fatto che sia ora o meno per noi di cenare nel nostro ristorante preferito: il tenore di questa discussione non cambierà perché i tassi d'interesse continuano a scendere". El País, Madrid, domenica 17 gennaio 2021, pag. 38.

[40] Il rapporto tra autorità monetarie e banche private è "schizofrenico": le autorità monetarie inondano le banche private di liquidità per concedere prestiti, ma minacciano costantemente di aumentare i loro requisiti di capitale e di monitorare molto da vicino la loro scelta dei mutuatari.

[41] Si veda, tra gli altri, Michael D. Bordo e Mickey D. Levy, "The Short March Back to Inflation", The Wall Street Journal, 4 febbraio 2021, p.17.

[42] L'adozione di questa politica metterebbe a dura prova la governance dell'euro che potrebbe benissimo portare alla sua scomparsa.

[43] Si veda, ad esempio, Patrick Newman, "Modern Monetary Theory: An Austrian Interpretation of Recrudescent Keynesianism", Atlantic Economic Journal, no. 48 (2020), pp. 23-31, nonché gli articoli di Mark Skousen e Gordon L. Brady pubblicati nello stesso numero di suddetta rivista. Tra i più affascinati dalla Modern Monetary Theory c'è lo stesso Mario Draghi: si veda, ad esempio, “Las claves del plan Draghi” [The Key Points of the Draghi Plan to save Italy], ABC, 4 febbraio 2021, p. 30.

[44] È una vera tragedia che esperti, politici e cittadini abbiano dimenticato che il tasso d'interesse, o prezzo dei beni attuali in termini di beni futuri, il più importante di tutti i prezzi in un'economia di mercato (e quindi è estremamente vitale che sia impsotato dal libero mercato), non può essere manipolato impunemente da stati e banche centrali senza bloccare il calcolo economico e la corretta allocazione intertemporale delle risorse produttive.

[45] Tra le altre ragioni, senza asset da vendere (a causa della cancellazione), le banche centrali non potrebbero drenare le riserve dal sistema se un aumento dell'inflazione lo rendesse necessario in futuro. Solo nel contesto di una transizione irrevocabile verso un sistema bancario di riserva al 100% come quello che propongo nel capitolo 9 del mio libro Money, Bank Credit, and Economic Cycles (op. Cit., Pp. 791 e seguenti) avrebbe senso cancellare il debito pubblico nelle mani del sistema bancario centrale, in modo da evitare che diventi proprietario di una porzione significativa dell'economia reale quando il debito viene scambiato con gli attivi bancari che ora compensano i depositi a vista.

[46] Si veda, ad esempio, la litania di commenti e raccomandazioni sulla politica monetaria e fiscale del prestigioso Martin Wolf sul Financial Times o dello stesso Paul Krugman nel supplemento finanziario di El País. Non passa settimana senza che raccomandino ulteriori iniezioni monetarie e spesa pubblica.

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