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lunedì 16 settembre 2024

In difesa di Milei

 

 

di Philipp Bagus & Bernardo Ferrero

Mentre la maggior parte dei libertari ha guardato con favore all'ingresso di Milei in politica e alle sue scelte da presidente, questa visione non è stata abbracciata da tutti. Oscar Grau, ad esempio, ha scritto alcuni articoli critici che analizzano le politiche interne ed estere di Milei. Per quanto riguarda le prime, Grau sostiene che l'approccio di Milei è interventista, cosa che stritola il settore privato sotto l'egida di un'adesione solo retorica alla libertà e al libero mercato; per quanto riguarda le seconde, Grau conclude che il presidente argentino è solo l'ennesimo neocon, politico dell'establishment. Considerando quanto sopra, Grau dice che Milei è un “imbroglione”, “statalista”, “neocon” e accusa i suoi seguaci di essere dei traditori opportunisti.


L'importanza della storia congetturale e della verstehen

Pur concordando con Grau su alcune delle sue critiche, la sua line generale non riesce a tenere conto di una serie di questioni essenziali e la sua conclusione, secondo cui i libertari dovrebbero dissociarsi da Milei, è ingiustificata. Bisogna tenere a mente quattro domande: qual era la situazione prima che Milei salisse al potere? Qual era l'alternativa in Argentina? Cosa ha realizzato finora? Dove mira il suo programma?

La contestualizzazione è essenziale per comprendere l'ambiente in cui Milei è stato costretto a operare. I vincoli, tanto quanto le opportunità, sono pregni di contesto, stabilendo i confini entro i quali, in ogni momento, l'attore di mercato forma le sue aspettative e i suoi giudizi su benefici e costi marginali dei corsi d'azione alternativi. Inoltre non si può evitare quella che Montesquieu chiamava “storia congetturale” e quindi applicare la comprensione interpretativa (quella che Weber chiamava Verstehen) quando si prende in considerazione la rilevanza del “fenomeno Milei” e la misura in cui sta spingendo il suo Paese nella giusta direzione.


I disastri del kirchnerismo

La prima cosa che Grau sottovaluta è la situazione e le difficoltà che Milei ha incontrato una volta salito al potere. A parte alcuni commenti sull'andamento inflazionistico del peso, Grau dedica poca attenzione alle politiche disastrose che sono state perseguite in Argentina dalla fine della convertibilità (1992-2001), da Nestor Kirchner (2003-2007) e poi continuando con Cristina Fernández de Kirchner (2007-2015), Mauricio Macri (2015-2019) e, soprattutto, Alberto Fernández (2019-2023). Il disastro di questo socialismo argentino del XXI secolo si è riflesso negli squilibri fiscali e monetari che Milei si è trovato ad affrontare quando è entrato nella Casa Rosada. Con un debito pubblico di oltre $400 miliardi e quasi $60 miliardi di debiti commerciali in scadenza, lo stato argentino era sull'orlo del default, il suo decimo default dall'indipendenza (1816). In questo lasso di tempo la banca centrale argentina ha fatto registrare riserve negative in dollari nel suo bilancio.

La responsabilità di questi squilibri era tutta nelle mani della classe politica. Per quanto riguarda la carenza di dollari è stata la decisione di bloccare il peso a un tasso sopravvalutato rispetto al cambio estero a creare gli effetti tipici di tutti i controlli sui prezzi. Mentre le persone si precipitavano a sbarazzarsi dei loro pesos, ciò che ne è seguito è stata una corsa al dollaro, una carenza di valuta estera e un deficit della bilancia dei pagamenti che ha prosciugato la produzione interna. Invece di risolvere il problema consentendo al tasso di cambio di adeguarsi ai livelli di compensazione del mercato, limitando la spesa pubblica e frenando la stampa di denaro, i kirchneristi hanno contrastato questi movimenti con ulteriori interventi monetari sotto forma di controlli sui capitali e sui cambi (cepo e control de cambios). Costretti a separarsi dai loro guadagni in dollari a tassi inferiori a quelli di mercato, gli esportatori sono stati espropriati. Allo stesso tempo gli importatori privilegiati sono stati sovvenzionati e l'accesso del Paese ai mercati finanziari internazionali è stato limitato. Quando Milei ha assunto la carica, c'erano 18 diversi tassi del dollaro. Questo scenario ha incentivato favoritismi politici, ha esacerbato il rischio del tasso di cambio e ha diffuso il caos nei calcoli imprenditoriali.

La causa fondamentale di questi squilibri era il livello insostenibile di spesa pubblica. Mossi dal motto di Evita Peron, “Dove c'è il bisogno nasce un diritto”, i programmi sociali sono stati moltiplicati e la portata del settore pubblico è aumentata drasticamente: livelli oppressivi di tassazione, una legislazione gravosa sul mondo del lavoro e restrizioni commerciali labirintiche. La ricchezza è iniziata letteralmente a essere privatizzata, concentrandosi solo in un piccolo gruppo di eletti non integrati nella divisione del lavoro e specializzati nello spendere surrettiziamente le risorse altrui senza riparazione. Il rovescio della medaglia è stata la socializzazione della miseria. A novembre 2023 il tasso di povertà era salito al 55%, mentre il livello degli indigenti aveva raggiunto il 17,5%.


La crisi monetaria e fiscale

Incapace sia di spremere il settore privato attraverso ulteriori imposte senza perdere entrate, sia di collocare i propri obblighi nei mercati del credito internazionali, la banca centrale ha monetizzato i deficit fiscali. Dal 2002 i politici argentini hanno utilizzato l'inflazione come mezzo per finanziare i consumi pubblici e la prodigalità in eccesso rispetto alle imposte previste dalla legge, esternalizzando i costi sui risparmiatori, sui creditori, sui percettori di reddito fisso e sui lavoratori a basso reddito. Oltre a ciò, le élite hanno emesso ulteriori pesos per finanziare il cosiddetto deficit quasi fiscale, corrispondente agli interessi mensili e giornalieri pagati alle banche commerciali per “parcheggiare” parte dei pesos in eccesso presso la banca centrale. Poiché il tasso d'interesse effettivo annuo è aumentato in linea con l'andamento geometrico dell'inflazione dei prezzi, raggiungendo il 253% a novembre 2023, questi pagamenti hanno costituito una fonte di creazione di denaro pari al 10% del PIL. Ciò che è iniziato come una misura per limitare l'offerta di denaro si è trasformato in una delle fonti più problematiche di inflazione incontrollata. Tra il 2011 e il 2023 la base monetaria più ampia, che comprende sia le passività non remunerate (base monetaria) sia quelle remunerate della banca centrale (Leliqs e Pases), è aumentata di un multiplo di 116, con l'aumento più significativo verificatosi durante l'ultima presidenza. In quattro anni, sotto la presidenza di Alberto Fernandez, la banca centrale ha ampliato la quantità di base monetaria dell'equivalente del 32% del PIL, con il 13% emesso solo in quell'ultimo anno.

Quando Milei ha assunto la carica, l'Argentina languiva in una crisi economica, monetaria e fiscale. Le conseguenze perniciose di lassismo monetario e fiscale si sono scatenate tutte insieme: un tasso di inflazione dell'1% al giorno (e annuo al 3700%), deficit fiscale duplice del 15% del PIL (5% Tesoro argentino e 10% banca centrale) e un periodo di stagnazione lungo 12 anni. Dato che l'Argentina aveva vissuto in un'anomia istituzionale per gli ultimi due decenni, Milei si è ritrovato molte strade precluse davanti a sé.


La doppia strategia del politico libertario

Come presidente dell'Argentina, Milei ha capito che, indipendentemente dalle sue credenziali accademiche, era ormai diventato un politico. E un politico, anche libertario, deve tenere conto delle circostanze specifiche di tempo e luogo se vuole riuscire a mantenere ed espandere il sostegno degli elettori. Il politico libertario a volte deve scendere a compromessi, senza mai andare nella direzione sbagliata. Secondo Jesús Huerta de Soto, il politico libertario dovrebbe usare una duplice strategia: studiare i principi teorici del libertarismo e istruire il pubblico in generale su questi principi e le sue implicazioni, impegnandosi in un lavoro di divulgazione delle idee libertarie. A tal fine non saranno accettati compromessi.

Essendo consapevole dei suoi obiettivi a lungo termine, il politico libertario cercherà anche possibili piani di transizione verso quell'ideale che non violi i principi libertari. Se è impossibile eludere un compromesso a breve termine, può concederlo purché si muova nella giusta direzione. In nessun caso un insieme di misure si allontanerà da una società più libertaria. Le restrizioni che i politici e l'apparato burocratico (o lo stato profondo) apportano sono sconosciute al grande pubblico; il politico libertario deve fare uso della sua conoscenza specifica del tempo e dello spazio, valutando le restrizioni effettive che la vita politica reale offre, e realizzare in ogni momento storico il massimo di quell'ideale che le circostanze consentono.

Solo utilizzando questa duplice strategia si possono evitare quei due estremi che Murray Rothbard considerava dannosi per il progresso della libertà: “l’opportunismo di destra” e il “settarismo di sinistra”. Se il primo è una “linea di politica senza principi”, incapace di dare un fondamento non arbitrario all’azione politica, il secondo è un “principio senza linea di politica”, che inibisce il perseguimento concreto del miglior bene possibile.


Milei come politico libertario

Milei ha seguito la descrizione di un politico libertario. Anche se Grau lo dipinge come un semplice neoclassico, Milei ha studiato a fondo le idee libertarie e Austriache. Oltre ad essere stato “convertito” alla teoria Austriaca nel 2014 dopo aver letto il capitolo 10 di Man, Economy and State di Rothbard, ha letto Human Action tre volte e ha familiarizzato con le opere di Hayek, Hazlitt, Kirzner e molti altri. Sebbe si porti dietro ancora residui monetaristi, definirlo un economista matematico e neoclassico è quantomeno impreciso. Nessun monetarista ha mai sostenuto, come fa continuamente Milei, l'eliminazione della banca centrale, la denazionalizzazione del denaro e la deflazione dei prezzi. Inoltre ha scritto libri che criticano le opinioni neoclassiche/di Chicago su monopolio, fallimenti del mercato e antitrust.

Inoltre rende popolari queste idee ogni volta che può. Non è stato solo facendo appello alla retorica del “popolo contro élite”, ma anche illuminando le persone sulla superiorità morale, economica e persino estetica di un ordine sociale basato sul mercato che Milei è stato in grado di fondersi con il 56% del sostegno degli elettori. Solo per fare un esempio tra i tanti, nel 2021, poco dopo la sua vittoria alle primarie, Milei ha iniziato una serie di sei lezioni all'aperto sull'economia Austriaca nelle piazze di Buenos Aires, al termine delle quali regalava copie di Economics in One Lesson di Henry Hazlitt. I suoi noti interventi pubblici a Davos (World Economic Forum), Roma (Quarta Repubblica - Mediaset), Washington (CPAC), Madrid (Vox - Viva24) sono una dimostrazione che ha continuato a rendere popolari queste idee dopo aver assunto l'incarico.


Inflazione, deficit e qualità del denaro

Per quanto riguarda la seconda parte della strategia duale, si applica un ragionamento simile. Durante la campagna elettorale Milei si è candidato con una piattaforma di austerità, promettendo tagli alla spesa pubblica e un abbassamento generale delle tasse e delle normative. La sua priorità era porre fine all'inflazione, un tema che ha sviluppato in dettaglio in uno dei suoi ultimi libri che porta esattamente quel titolo: El fin de la Inflacion. Il suo piano di dollarizzazione più che un invito a unirsi a un sistema finanziario dominato dalla FED era mosso dal desiderio di allontanare la stampante monetria dalla casta argentina e consentire alle classi produttive di scambiare, risparmiare, pianificare e calcolare liberamente con l'unità monetaria che, alla luce della sua stabilità e indipendenza, preferivano di più. Inutile dire che si trattava del dollaro statunitense.

Per ottenere questi risultati Milei ha pensato a un piano di transizione composto da diverse fasi, rispettando in gran parte le sue promesse. Sapendo di non avere la maggioranza parlamentare per promuovere riforme strutturali, evitare una crisi iperinflazionistica e un altro default è diventata la sua preoccupazione principale. Milei ha affrontato queste questioni con un certo successo. Quando ha assunto la carica a dicembre, i prezzi all'ingrosso salivano a un ritmo del 25,5% al ​​mese, mentre le ultime misure dell'inflazione riportano un ritmo mensile del 4% a luglio di quest'anno. Secondo Grau l'abbassamento dell'inflazione è stato ottenuto da una mix di manovre stataliste volte a inibire la gente dal precipitarsi sul dollaro, aumentandone il prezzo. Di certo i controlli sui prezzi e sui cambi sono indifendibili, tuttavia erano già in atto quando Milei è arrivato, quindi non possono essere stati un fattore causale significativo. Ciò che Grau ignora è che l'inflazione dei prezzi è stata domata grazie a due fenomeni interconnessi: la lenta ma costante diminuzione dell'emissione monetaria e l'aumento della qualità del sistema monetario.

I cambiamenti nella qualità di quest'ultimo cambiano, ceteris paribus, la qualità del denaro, la domanda di denaro e, di conseguenza, il potere d'acquisto del denaro. Infatti Milei ha migliorato sostanzialmente il sistema monetario dell'Argentina ottenendo un surplus fiscale entro il primo mese di governo e dichiarando che l'eliminazione del deficit fiscale non era negoziabile. In questo modo ha stabilito un solido ancoraggio monetario: poiché è scomparsa la necessità di finanziare i deficit fiscali stampando denaro, le aspettative inflazionistiche sono state ridotte. Di recente il governo ha dichiarato che alla base monetaria non sarà più consentito di crescere (“emisión cero”), migliorando ulteriormente la qualità del sistema monetario. Come scrisse Rothbard, un importante fattore determinante della domanda di denaro in uno standard fiat è la fiducia della popolazione nelle “autorità che emettono denaro fiat”. Poiché una moneta fiat è emessa indirettamente dallo stato, la solvibilità di quest'ultimo diventa un fattore importante dietro il prezzo del denaro. Considerando che tale solvibilità è valutata scontando al presente i surplus fiscali futuri, le misure di austerità di Milei non solo hanno ancorato l'offerta di denaro futura, ma hanno anche aumentato rapidamente la domanda di denaro. Allo stesso modo la qualità del sistema monetario è stata migliorata ristrutturando il bilancio della banca centrale. Le passività remunerate sono state eliminate e una parte maggiore della base monetaria è stata sostenuta da riserve monetarie che sono passate da -$10,545 miliardi a $27,439 miliardi. Sebbene assenti nelle osservazioni di Grau, queste misure sono state responsabili della riduzione sia dell'inflazione dei prezzi che dei tassi d'interesse.


Un minor carico fiscale

Si potrebbe sostenere che un libertario dovrebbe guardare con ottimismo all'idea di default di uno stato. Da Thomas Jefferson a Murray Rothbard, la posizione libertaria ortodossa sulla finanza pubblica è stata, per ragioni sia normative che positive, inequivocabile: ripudiare il debito pubblico. Detto questo, bisogna anche prendere in considerazione i costi politici di farlo, i quali potrebbero risultare critici, specialmente in un Paese come l'Argentina che è andato in default talmente tanto spesso senza mai riprendersi per davvero.

Riflettendo su questi costi politici, Milei ha deciso di andare avanti con il piano di eliminare la spesa in deficit e accumulare surplus di bilancio. Seguendo Rothbard, ci sono tre modi in cui uno stato può realizzare una riorganizzazione dei suoi conti: aumentando le tasse, riducendo la spesa pubblica e privatizzando gli asset pubblici; o un mix di quanto sopra. Mentre il primo modo è sia dannoso che illegittimo, il secondo e il terzo sono strade sane e del tutto legittime. Mentre un libertario può giustamente criticare l'aumento di alcune tasse (impuesto pais, carburante e stipendi) approvato dal governo di Milei, la maggior parte dei surplus di bilancio è arrivata attraverso tagli alla spesa pubblica, la quale è diminuita di quasi il 35% in termini reali. Il governo Milei ha stabilito un nuovo record in Argentina, avendo licenziato il numero più alto di dipendenti pubblici nei primi sette mesi del suo mandato. Secondo l'ultima relazione pubblicata dall'Instituto Argentino de Analisis Fiscal, Milei ha licenziato 30.936 dipendenti pubblici durante il suo primo semestre.

Un altro ambito importante in cui Milei ha fatto importanti progressi fin dall'inizio è la deregolamentazione. A partire dal suo Decreto de Necesidad y Urgencia, Milei ha abrogato più di trecento regolamenti che soffocavano le attività commerciali sin dai tempi del dittatore Ongania (1966-70), dal controllo degli affitti alle leggi sulla moneta a corso legale. Omessa da Grau la parte più cruciale di questo decreto è stata la modifica dell'articolo 958 del Codice civile e commerciale, con cui il governo Milei ha relegato le norme legali a un piano inferiore rispetto alla volontà delle parti espressa nei contratti. Poiché l'inflazione e i regolamenti sono una tassa, e poiché entrambi consentono allo stato di ottenere un controllo sostanziale sull'uso delle risorse nella società, Miliei ha nell'effettivo ridotto l'onere fiscale complessivo.


Tagli alle tasse e liberalizzazioni all'orizzonte

Con il suo piano di riforma (Ley Bases) finalmente accettato da entrambe le camere, si profilano all'orizzonte alcune privatizzazioni. Ciò aumenterà la quota di surplus di bilancio attribuibile sia a modi legittimi che economizzatori di attuare l'austerità. Inoltre si prevedono ulteriori deregolamentazioni accompagnate da crescenti tagli fiscali e in un certo senso questo processo è già iniziato. All'inizio di agosto 2024 il governo Milei ha emanato il decreto 697/2024, eliminando le tasse su tutti i tagli di carne bovina e le ritenute all'esportazione di carne suina. Il decreto prevede anche una riduzione del 25% delle ritenute all'esportazione su tutte le proteine ​​animali e un'eliminazione permanente dei dazi all'esportazione sui prodotti lattiero-caseari, restituendo complessivamente circa $130 milioni nelle tasche dei produttori.

Nel frattempo il governo di Milei ha eliminato le ritenute alla fonte sull'IVA e sugli utili sulle vendite aziendali. Inoltre ha abbassato l'imposta sulle importazioni (impuesto pais) al 7,5% e ha annunciato che entro dicembre 2024 sarà abolita, alleviando significativamente la pressione sul commercio e sulle attività commerciali. Si può sostenere che una tale liberalizzazione non sia abbastanza rapida, ma non si può negare che si muova nella giusta direzione. E sì, Milei ha dovuto scendere a compromessi, soprattutto perché non detiene la maggioranza in parlamento. Libertad Avanza ha solo il 15% dei seggi alla Camera dei rappresentanti e al 10% nel Senato; la maggior parte dei membri del suo partito, inoltre, è rappresentata da semplici alleati politici senza una reale conoscenza dell'economia Austriaca e del libertarismo. Gli obiettivi di Milei, però, sono chiari e sono stati confermati a luglio con la firma del Pacto de Mayo tra il presidente e i governatori. Tra i dieci principi fondanti di questo patto c’erano “l’inviolabilità della proprietà privata”, “la riduzione della spesa pubblica al 25% del PIL” e l’attuazione di una riforma che “riduca il carico fiscale e semplifichi la vita degli argentini e promuova il commercio”.


Milei non è un neocon

Mentre Grau dedica grande attenzione alla politica estera, non si dovrebbe dare tanta importanza al posizionamento di Milei nella “politica internazionale”, poiché l’Argentina non influenza praticamente nulla a quel livello. Il cambio di blocco operato da Milei non implica alcun allontanamento dall’ideale rispetto alla situazione precedente. La sua posizione riguardo la politica estera è, ai fini pratici, puramente testimoniale. Inoltre in molti Paesi sudamericani la vera alternativa, ed è così che la cittadinanza percepisce la questione, è stare o con gli USA e i suoi alleati (Israele e Paesi dell’UE), o con i socialisti e i loro “amici” (Russia, Iran, Cina). I recenti eventi che hanno circondato la rielezione fraudolenta del dittatore socialista del Venezuela, Nicolas Maduro, approvata da Putin, Xi Jinping e gli ayatollah, lo confermano. Del resto dopo quasi due decenni di flirt costante dei kirchneristi con questo blocco e con evidenti casi di corruzione e cattiva gestione (si pensi, ad esempio, all’Operación Moscú voluta da A. Fernandez durante il Covid che ha permesso la distribuzione privilegiata del vaccino Sputnik V in Argentina) è comprensibile che Milei, come parte della sua reazione, possa guardare all’altro lato dello spettro.

Qualunque cosa si possa pensare della collocazione dell'Argentina negli affari internazionali, Milei non è un neocon nel senso tradizionale del termine. Nessun neocon ha dichiarato esplicitamente (né continua a dichiarare in ogni occasione e apparizione pubblica), come invece fa Milei, che lo stato (compreso quello di Israele e dell'Ucraina) è solamente un branco di imbroglioni. Nessun neocon “odia” lo stato. Inoltre essi difendono l'interventismo estero come parte di un sostegno generale allo stato assistenziale-bellico. William Buckley non era solo un militarista antisovietico, ma anche un sostenitore del movimento per i diritti civili degli anni '60. Irving Kristol sosteneva uno “stato assistenziale conservatore” che avrebbe instillato l'abnegazione e un comportamento virtuoso tra i cittadini. Milei invece è un ardente critico dell'intervento statale, delle politiche antidiscriminatorie, del paternalismo e dello stato assistenziale. Appartiene a un'altra lega. Come i liberali tradizionali e i libertari classici, da Montesquieu a Bastiat, da Cobden a Mises, Milei vede nel libero mercato il veicolo per relazioni internazionali più pacifiche e, qualora abbandonato, la premessa per la guerra.

Milei si impegna nella divulgazione di idee Austro-libertarie, diametralmente opposte allo statalismo e al neoconservatorismo. Ad esempio, cita continuamente e incoraggia la lettura di autori libertari, da Murray Rothbard a Hans-Hermann Hoppe. È ironico in questo senso che Grau denunci Milei come neocon e allo stesso tempo lo critichi per aver sostenuto ed essere un alleato di Trump, quando in politica estera quest'ultimo è stato il meno interventista di tutti i presidenti degli Stati Uniti negli ultimi due decenni. Infine se si vuole etichettare Milei come un neocon solo per le sue simpatie geopolitiche e la posizione pro-NATO, cosa si dovrebbe dire di Mises che guardando all'Europa del dopoguerra sosteneva l'istituzione di una “unione permanente e duratura” tra le democrazie occidentali e per “investire tutto il potere in una nuova autorità sovranazionale” al fine di evitare una volta per tutte la sottomissione al totalitarismo? Si potrebbe dire che le osservazioni di Mises furono fatte in un momento particolare della storia e che erano destinate ad applicarsi solo a quelle circostanze. È ragionevole. Ma allora perché la posizione e le dichiarazioni di Milei dovrebbero essere trattate in modo così diverso?


Conclusione

Il libertarismo richiede una strategia realistica. L'idea che ci si debba dissociare intellettualmente da una persona perché potrebbe non implementare appieno l'ideale libertario, non è solo in contrasto con il buon senso, ma è stata respinta come linea di politica sensata dallo stesso Murray Rothbard, il quale nel 1990 associò questo atteggiamento al “percorso disastroso e strampalato del randianismo ortodosso”. Mentre ci si potrebbe aspettare e desiderare che Milei faccia di più e lo faccia più velocemente, mentre si può criticarlo per questo o per quel compromesso, non si può non vedere che ha mosso l'Argentina nella giusta direzione e che il suo ingresso in politica ha implicato un cambiamento di paradigma per la diffusione e l'implementazione delle idee libertarie. Come ha scritto Jesús Huerta de Soto, grazie a Milei e ai suoi successi politici è comune vedere a Buenos Aires, e in altre città argentine e latinoamericane, persone che camminano in giro con Human Action sottobraccio. Uno dei sondaggi più recenti condotti da DC Consultores mostra che circa il 70% degli argentini ritiene che il peronismo sia morto con Alberto Fernandez e che con Milei sia iniziata una nuova era. Il cambio di paradigma, quindi, non è retorica ma una realtà storica che dovrebbe darci speranza per il futuro. Le idee muovono il mondo, non il contrario. Viva la Libertad carajo!


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 22 marzo 2023

Non c’è via di fuga dall’euro?

 

 

di Philipp Bagus

Come ho discusso di recente, i costi e i rischi di mantenere il sistema dell’eurozona sono già immensi e crescenti. Esiste una via d’uscita? Intuitivamente, uscire dall’euro dovrebbe essere facile come esservi entrati. Unirsi e lasciare il club dovrebbe essere altrettanto semplice. Lasciarlo equivarrebbe semplicemente a disfare ciò che è stato fatto prima. Infatti, molti articoli popolari discutono delle prospettive di un’uscita di paesi come la Grecia o la Germania.[1] Tuttavia, altre voci hanno giustamente sostenuto che esistono problemi importanti. Alcuni autori sostengono addirittura che questi problemi renderebbero l’uscita dall’euro praticamente impossibile. Così, Eichengreen (2010) afferma, “La decisione di aderire alla zona euro è effettivamente irreversibile.” Allo stesso modo, Porter (2010) sostiene che i grandi costi di un abbandono dell’eurozona lo renderebbero altamente improbabile. Qui di seguito affrontiamo questi presunti problemi annessi a un’uscita dall’euro.


Problemi legali

Il Trattato di Maastricht non prevede un meccanismo d’uscita dall’Unione Monetaria Europea (UME). Così, diversi autori sostengono che l’uscita dall’euro costituirebbe una violazione dei trattati (Cotterill 2011, Procter and Thieffry 1998, Thieffry 2011, Anthanassiou 2009).[2] In un documento di lavoro della BCE del 2009 Anthanassiou sostiene che un paese che esce dall’UME dovrebbe lasciare anche l’Unione Europea. Poiché il Trattato di Lisbona consente la secessione dall’Unione Europea, il ritiro dall’UE sarebbe l’unico modo per sbarazzarsi dell’euro.

La soluzione a questo problema giuridico potrebbe essere l’uscita sia dal dell’UME che dall’UE con un immediato rientro nell’UE. Questa procedura può essere negoziata in anticipo. Nel caso di un contribuente netto al bilancio dell’UE come la Germania, il paese probabilmente non avrebbe nessun problema a farsi riammettere immediatamente nell’Unione Europea.

In ogni caso, il riferimento al Trattato di Maastricht quando si discute della possibilità giuridica di uscita è intrigante, perché il Trattato di Maastricht, in particolare la “clausola che proibisce i salvataggi,” è stato violato con i salvataggi di Grecia, Irlanda e Portogallo. In termini pratici, infatti, il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria serve a garantire i debiti delle altre nazioni, per non parlare dei piani per introdurre gli eurobond.

Inoltre, la Banca Centrale Europea ha violato lo spirito del Trattato di Maastricht con l’acquisto del debito dei paesi in difficoltà. Sembra una giustificazione, se non un obbligo, lasciare l’euro dopo che le sue condizioni d’esistenza sono state violate.[3] In effetti, la Corte Costituzionale Tedesca ha stabilito nel 1993 che la Germania avrebbe potuto lasciare l’euro se non fossero stati raggiunti gli obiettivi di stabilità monetaria (Scott 1998, p. 215). Dopo l’ultimo paio di anni, è chiaro che l’eurozona e l’euro sono lungi dall’essere stabili. Oltre a queste considerazioni si deve rilevare che uno stato sovrano può sempre decidere di ripudiare il trattato (Deo, Donovan, e Hatheway 2011).

Un altro problema legale deriva dalla possibile ridenominazione dei contratti a seguito di un’uscita dall’euro. Un governo potrebbe ri-denominare i contratti in euro nella nuova valuta (applicando la lex monetae — lo stato determina la propria valuta). Potrebbe farlo senza problemi se i contratti fossero stati stipulati nel suo territorio o sotto la sua legge. Ma per quanto riguarda bond pubblici e privati emessi in paesi stranieri? Come giudicherebbero i tribunali (Scott 1998, p. 224)?

Immaginate una compagnia tedesca che ha venduto un’obbligazione a Parigi. Se la Germania lascia l’euro, il bond verrà pagato in euro o nella nuova valuta? Il tribunale francese probabilmente deciderebbe per un rimborso in euro.[4] Forse anche la Corte di Giustizia Europea si pronuncerebbe su tale questione. Pertanto, nel caso di un’uscita, ci sarebbe qualche incertezza causata dalle sentenze dei tribunali. Ci potrebbero essere perdite o profitti una tantum per le parti coinvolte. Tuttavia, è difficile capire perché queste sentenze costituirebbero dei disturbi importanti o degli ostacoli insormontabili per un’uscita dall’euro.[5]


Costi d’introduzione

L’uscita dall’euro significa emettere una nuova valuta nazionale. Ciò comporta costi per la stampa di nuove banconote, la coniazione di nuove monete, il cambio dei distributori automatici, ecc. Ci sono anche costi logistici nello scambio della nuova valuta in cambio di vecchia. Questi costi non sono superiori ai costi dell’introduzione dell’euro. I costi per l’introduzione dell’euro in Austria sono stati stimati a €1.45 miliardi o intorno allo 0.5% del PIL.[6]


Inflazione nei salari e tassi d’interesse superiori

Talvolta si sostiene che i paesi periferici con salari non competitivi potrebbero semplicemente uscire dall’euro e magicamente risolverebbero tutti i loro problemi. La Grecia, ad esempio, soffre di salari troppo alti soprattutto perché non c’è un libero mercato del lavoro. I sindacati hanno reso i salari troppo elevati. Il tasso di disoccupazione risultante era stato attenuato dalla spesa a deficit e dall’accumulo di debito reso possibile dall’Eurosistema. Il governo greco impiegava persone a salari alti, pagava indennità di disoccupazione e mandava i lavoratori in pensione presto e con pensioni molto alte.

Dal momento che i sindacati hanno la forza di impedire una caduta dei salari per recuperare competitività, alcune persone consigliano che la Grecia esca dall’euro, svaluti la moneta, e quindi l’aumenti in questo modo. C’è però un problema. Se i sindacati rimangono forti, possono semplicemente chiedere nuovi aumenti salariali per compensare l’aumento dei prezzi dei beni importati (Eichengreen 2010, p. 8). Tale aumento compensatorio dei salari eliminerebbe tutti i vantaggi della svalutazione.[7] L’uscita dovrebbe essere quindi accompagnata da una riforma del mercato del lavoro, al fine di migliorare la competitività. In ogni caso, dopo l’uscita dall’UME, il governo Greco non potrebbe più utilizzare la redistribuzione monetaria dell’Unione Monetaria e la spesa a deficit per spingere artificialmente i salari verso l’alto.

Allo stesso modo, un abbandono dell’euro senza ulteriori riforme potrebbe portare ad un ripudio del debito pubblico. Ciò implicherebbe tassi d’interesse più elevati in futuro per il governo (Eichengreen 2008, p. 10). Una riforma delle istituzioni fiscali come ad esempio una limitazione costituzionale ai deficit di bilancio, potrebbe alleviare questo problema.


La fine della redistribuzione monetaria tra i Paesi

Alcuni paesi beneficiano della configurazione monetaria dell’UME. Essi pagano tassi d’interesse più bassi sui loro debiti rispetto a quanto sarebbe stato altrimenti. Se un paese come la Grecia esce dall’euro e ripaga i suoi debiti con una nuova valuta svalutata, dovrà pagare interessi più alti.

Inoltre, i paesi come la Grecia non potrebbero più beneficiare della redistribuzione monetaria. Il governo greco, e, indirettamente, una parte della popolazione greca, beneficia degli elevati deficit Greci e del flusso di nuovi capitali nel paese. Questo processo ha permesso alla Grecia di finanziare un’eccedenza nelle importazioni e un tenore di vita che non avrebbe potuto raggiungere altrimenti. Almeno nel breve termine, l’uscita dall’euro significherebbe, ceteris paribus, un peggioramento del tenore di vita artificialmente alto. In altre parole, dopo l’uscita dall’UME, la dimensione del settore pubblico e il tenore di vita probabilmente calerebbero in risposta alla fine delle sovvenzioni dell’UME. Questi costi di redistribuzione si applicano solo ai paesi che sono stati sul lato ricevente della redistribuzione. Per i paesi fiscalmente più solidi, il ragionamento è opposto.


Perdite commerciali

Alcuni autori sostengono che il commercio europeo crollerebbe a seguito di un’uscita dell’euro. Verrebbero nuovamente erette barriere commerciali. In ogni caso ci potrebbe essere un apprezzamento di una nuova moneta, nel caso ad esempio di un nuovo marco (DM). In un articolo di ricerca su UBS, Flury e Wacker (2010, p. 3) stimano che il nuovo DM sarebbe apprezzato di circa il 25%.

In contrapposizione a un altro articolo di ricerca di UBS (Deo, Donovan e Hatheway 2011) che presenta costi terribili per una rottura dell’euro,[8] non consideriamo le barriere commerciali come ipotesi probabile per diverse ragioni. In primo luogo, tali barriere causerebbero un disastro economico per tutte le parti coinvolte, porterebbero a una grave e lunga depressione e a una riduzione del tenore di vita. In secondo luogo, i contribuenti netti al bilancio dell’Unione Europea, come la Germania, potrebbe ancora utilizzare i loro trasferimenti all’Unione Europea come carta negoziale per evitare tali ostacoli. In terzo luogo, le barriere commerciali sono una palese violazione dei trattati dell’UE. In quarto luogo, le tariffe potrebbero provocare gravi tensioni fra le nazioni, che potrebbero sfociare addirittura in una guerra.


Costi politici

Talvolta si sostiene che l’uscita dall’euro comporti elevati costi politici. Cosa più importante, un’uscita potrebbe innescare lo scioglimento dell’euro.[9] La disintegrazione dell’UME potrebbe compromettere lo sviluppo di uno stato federale Europeo. Come minimo, ciò significherebbe un colpo importante per il “progetto Europeo.” Potrebbe significare la fine dell’Unione Europea così come la conosciamo oggi. L’UE potrebbe “degenerare” in una zona di libero scambio.

I politici del paese uscente perderebbero influenza sulle politiche di altri paesi dell’Unione Monetaria. Inoltre perderebbero l’apprezzamento degli altri politici dell’UME e dei media mainstream, che hanno sostenuto l’euro con fermezza. Tuttavia, per i sostenitori di una zona di libero scambio in Europa, tali costi politici implicano immensi benefici. Il pericolo di uno stato federale Europeo scomparirebbe per ora.


Costi procedurali e flussi di capitale

Una nazione che decidesse di lasciare l’eurozona dovrebbe stampare nuove banconote, coniare nuove monete, riprogrammare tutte le macchine per i pagamenti automatici e adattare il software (Eichengreen 2008, p.17).[10] Queste operazioni richiedono tempo. Il problema delle macchine non dovrebbe essere tragico perché, durante il periodo di transizione, i vechi dispositivi potrebbero rimanere in uso senza che ciò comporti caos. Un parcheggio pubblico che richiede pagamenti in euro non farà crollare l’economia.

Il problema di conversione di monete e banconote ha una soluzione veloce perché in entrambi i mezzi di pagamento è identificabile il paese d’origine. Le monete hanno immagini specifiche di ogni paese e le note recano una lettera che identifica dove sono state stampate. Se la Germania uscisse dall’euro, tutte le monete e le banconote tedesche dovrebbero essere ri-denominate nella nuova moneta e più tardi scambiate con nuove monete e banconote.[11] Ovviamente il periodo di transizione comporterebbe alcuni costi di “controllo” dal momento che quando si paga in contante  sarebbe necessario controllare i simboli sulle banconote.

Il problema più grosso in realtà – uno che secondo Eichengreen (2010) costituirebbe una barriera “insormontabile” – è quello dei flussi monetari che avrebbero luogo non appena si discutesse un’eventuale uscita dall’Unione Monetaria.[12] Queste decisioni, in una democrazia, richiedono tempo. Nel frattempo, avverrebbero ingenti trasferimenti di capitale.[13]

Per prima cosa discutiamo il problema di una fuga di capitali nel caso dell’uscita della Grecia dall’eurozona, senza riforme di accompagnamento. Se i politici greci discutessero seriamente di abbandonare l’euro, i cittadini si aspetterebbero una svalutazione della nuova moneta, la dracma. Trasferirebbero, quindi, gli euro dai loro conti presso le banche greche verso le banche degli altri paesi dell’Unione. Molto probabilmente non scambierebbero volontariamente i loro euro con la nuova dracma.

Inoltre potrebbero acquistare altre monete come il franco svizzero, il dollaro americano o anche oro, per proteggersi dalla svalutazione imminente. In questo modo la Grecia potrebbe immunizzarsi dalla dracma ancora prima della sua introduzione. Ma come conseguenza il sistema bancario potrebbe andare incontro a severi problemi di liquidità e di insolvenza. Nel frattempo i cittadini greci continuerebbero a commerciare in euro al di fuori della giurisdizione greca.

Questo è il cosiddetto “problema” della fuga di capitali. Tuttavia non è un problema per i cittadini greci. Per loro questa è in realtà una soluzione al problema di avere una moneta inflazionata. Inoltre queste fughe di capitali stanno già avvenendo. La discussione in parlamento di un possibile abbandono della moneta unica non farebbe altro che accelerare questo processo che è già in atto oggi.

Il ragionamento opposto si applica se un paese più solvente, come la Germania, dovesse discutere un’uscita dall’eurozona. Se le persone si aspettano un apprezzamento della nuova moneta, vi sarebbero flussi di capitale in entrata in Germania. La quantità di euro presente in Germania, da convertire poi nella nuova moneta, aumenterebbe. I prezzi degli asset tedeschi (es. case e azioni) si incrementerebbero di fronte all’aspettativa di un’effettiva uscita della Germania dall’eurozona, beneficiando i proprietari di quegli asset.


Una crisi sistemica del settore bancario

Alla fine ci potrebbe essere un effetto negativo sul sistema bancario in quanto molto probabilmente vi saranno perdite per le banche tanto interne quanto estere.[14][15] Eichengreen (2010) teme che questa possa diventare “la madre di tutte le crisi finanziarie”. A causa dell’interconnessione, non importa se sia la Germania oppure la Grecia a lasciare l’euro. Se è la Grecia a farlo e ripaga i suoi bond con una moneta svalutata oppure fa direttamente default, ci saranno perdite per le banche europee tali da causare un rischio di insolvenza. Allo stesso modo, se è la Germania a lasciare l’euro, spariranno anche le sue garanzie implicite e il suo supporto all’Eurosistema. Il risultato potrebbe essere una crisi bancaria in Grecia e negli altri paesi. Crisi che potrebbe ripercuotersi negativamente anche sulle banche tedesche.[16] A sua volta anche una crisi bancaria avrebbe un effetto negativo sui debiti sovrani, poiché le banche dovrebbero ricapitalizzarsi. Altri paesi potrebbero essere ritenuti a rischio oppure prossimi a lasciare l’unione e questo porterebbe a tassi d’interesse più alti sui debiti pubblici. Il risultato più probabile sarebbe una crisi finanziaria sistemica con ripercussioni sui paesi più deboli (Boone e Johnson 2011).

Recentemente il FMI ha suggerito che le banche europee mettano in conto circa 300 miliardi di euro di perdite potenziali e le ha sollecitate a ricapitalizzarsi.[17] Dovremmo sottolineare che, all’interno dell’Unione Monetaria, già ora per le banche esiste un problema di sottocapitalizzazione e di investimenti in cattivi asset e che quindi, senza una via d’uscita, la situazione si deteriorerà comunque.

È quasi impossibile lasciare l’euro senza che queste strutture già barcollanti non collassino del tutto. Tuttavia questo collasso avrebbe anche come effetto positivo proprio quello di liberarci dalle strutture insostenibili. Anche se nessun paese lascerà l’euro, i problemi per le banche esistono e, prima o poi, dovranno essere affrontati. Il fatto che vi sia la possibilità di insolvenze non può essere utilizzato come argomento contro l’uscita dall’euro.[18] I contribuenti dell’Unione Monetaria (i tedeschi hanno il carico maggiore) e le misure inflazioniste della BCE stanno, per ora, tamponando la situazione. Un’uscita accelererebbe la ristrutturazione del sistema bancario europeo.

A questo punto vorrei dare le seguenti raccomandazioni come soluzione per una crisi bancaria. Il libero mercato offre soluzioni importanti ai problemi di solvibilità delle banche.[19]

  1. Le banche con un modello di impresa non attuabile dovrebbero essere lasciate fallire, liberando capitale e risorse per le altre attività d’impresa;
  2. Una conversione debt-to-equity  (da debito a capitale azionario) potrebbe rimettere in sesto molte banche;[20]
  3. Le banche potrebbero raccogliere capitale privato con emissioni azionarie, come stanno già facendo.

Una riforma di stampo liberista avrebbe importanti vantaggi:

  1. I contribuenti non sarebbero colpiti;
  2. Le banche fallite chiuderebbero i battenti. Siccome il settore bancario è sovradimensionato, verrebbe ridotto a dimensioni più sane e sostenibili;
  3. Non sarebbero necessarie politiche inflazioniste per sostenere il sistema bancario;
  4. Azzardo morale disincentivato, nessun salvataggio bancario.


Il problema di scorporare la Banca Centrale Europea

L’Eurosistema consiste nella BCE e nelle banche centrali nazionali. Lo scorporo è facilitato perché le banche centrali nazionali continuano a possedere le loro riserve e i loro bilanci. Scott (1998) sostiene che questa configurazione possa essere stata intenzionale. I paesi volevano tenersi una via d’uscita dall’euro, da utilizzare in caso di necessità.

Il 1° gennaio 1999, la BCE ha iniziato le sue operazioni con un capitale di 5 miliardi di euro. Nel dicembre 2010 il capitale era aumentato da 5,76 miliardi di euro a 10,76 miliardi.[21]

Solo una parte di tutti gli asset tenuti a riserva dell’Unione Monetaria sono finiti nel calderone della BCE e questo rende lo scorporo più facile. Il 1° gennaio 1999 le banche centrali nazionali hanno fornito pro rata un contributo di capitale alla BCE di 50 miliardi di euro  (Procter e Thieffrey 1998, p.6). Le banche centrali nazionali hanno però mantenuto la “proprietà” di questi asset di riserva e hanno soltanto trasferito il controllo alla BCE. (Scott 1998, p.217). Nel caso di un’uscita, sia la restituzione dei contributi al capitale della BCE che degli asset trasferiti all’Eurosistema dovrebbe essere soggetto a un negoziato (Anthanassiou 2009).

In modo simile, c’è il problema dei crediti e dei debiti del sistema TARGET2. Se la Germania avesse lasciato l’Unione Monetaria nel 2012, la Bundesbank avrebbe trovato sul suo bilancio più di 616 miliardi di euro in crediti denominati in euro. Se l’euro si deprezzasse nei confronti del nuovo marco tedesco, vi sarebbero perdite molto significative per la Bundesbank.[22] Come conseguenza, il governo tedesco potrebbe essere costretto a ricapitalizzare la Bundesbank. Teniamo conto, però, che queste perdite sarebbero soltanto un riconoscimento dei rischi e delle perdite che la Bundesbank e il governo tedesco devono affrontare all’interno dell’Unione. Il rischio sta crescendo per ogni giorno che la Bundesbank trascorre all’interno dell’Unione Monetaria.

Se al contrario, fosse la Grecia a lasciare l’Unione, sarebbe per lei molto meno problematico. La Grecia pagherebbe semplicemente i crediti che deve alla BCE con le sue nuove dracme, causando perdite alla Banca Centrale Europea. I depositanti trasferirebbero i loro conti dalle banche greche a quelle tedesche, conferendo alla Bundesbank ulteriori crediti verso il sistema TARGET2. Man mano che il rischio creditizio per la Bundesbank continuasse a salire a causa di questi surplus verso il sistema TARGET2, la Bundesbank stessa potrebbe decidere di staccare la spina all’euro (Brookes 1998).[23]

L’onestà intellettuale ci richiede di ammettere che ci sono costi importanti da associare a un abbandono dell’euro, come i problemi legali o lo scorporo della BCE. Tuttavia questi costi possono essere mitigati da riforme e da una gestione intelligente delle circostanze. Alcuni di questi presunti costi, come ad esempio i costi politici o il libero flusso di capitali, sono in realtà benefici da punto di vista della libertà. In realtà, alcuni costi potrebbero essere visti come un’opportunità: ad esempio una crisi bancaria utilizzata per riformare il sistema finanziario e porlo finalmente su basi solide. In ogni caso, questi costi dovrebbero essere confrontati con gli enormi benefici dati dall’uscita da questo sistema, che è destinato a portare all’implosione dell’Eurosistema. Uscire dall’euro significa non essere più parte di un sistema monetario inflazionista, autodistruttivo, con welfare state crescente, competitività in declino, salvataggi bancari, sussidi, trasferimenti, azzardo morale, conflitti tra nazioni, centralizzazione e una perdita generale di libertà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Note

[1] Reiermann (2011) ha discusso dei rumors riguardo una possibile uscita della Grecia dall’euro. Desmond Lachman (2011) sostiene che l’uscita della Grecia dall’eurozona è inevitabile. Feldstein (2010) raccomanda alla Grecia di prendersi “una vacanza” dall’euro. Johnson (2001) e Roubini (2011) raccomandano alla Grecia di lasciare l’euro e fare default. Alexandre (2011) e Knowles (2011) si domandano in che modo la Grecia potrebbe uscire dall’euro. Edmund Conway (2001) al contrario, pensa che dovrebbe essere la Germania a lasciare l’eurozona. David Champion (2011) considera anche lui la possibilità che la Germania abbandoni l’euro. 

[2] Smits (2005, p. 464) scrive, “non esiste un modo legale per lasciare l’eurozona. Quindi un eventuale abbandono dalla moneta unica potrà essere raggiunto solo tramite negoziato oppure, se non si trova un accordo, lasciando direttamente l’Unione Europea dopo il preavviso di due anni.” 

[3] Anthanassiou (2009, p. 19), al contrario argomenta che nessun paese può lasciare l’eurozona per protesta. 

[4] Mann (1960) sostiene che non è chiaro quale moneta dovrebbe essere utilizzata, la corte dovrebbe utilizzare quella specificata nel contratto. Quindi se i bond dell’azienda tedesca sono venduti a Parigi sotto la legge francese, il contratto dovrebbe essere pagato in euro. Porter (2010, p.4) giunge alla stessa conclusione 

[5] Thieffry (2011, p. 104) teme “una serie dislocazione nei mercati dei bond governativi e un lungo periodo di incertezza.” In realtà problemi per i governi irresponsabili nel finanziare la loro spesa in deficit potrebbero avere effetti benefici. 

[6] Vedi Newsat (2001). 

[7] L’argomentazione per cui si può alzare la competitività tramite svalutazione ha altri problemi fondamentali (Rallo 2011, p.158). Mentre è importante abbassare alcuni prezzi nei confronti del resto del mondo (es. i salari i alcuni settori), la svalutazione abbassa tutti i prezzi allo stesso modo. Inoltre fa diventare più care le importazioni. Se un paese deve importare merci e beni che poi più tardi saranno esportati, la svalutazione potrebbe non aumentare per nulla la competitività. 

[8] Gli autori stimano che l’abbandono della moneta unica costi tra i 9500€ e gli 11500€ a persona per i paesi “deboli” e tra i 6000€ e gli 8000€ per quelli “forti.” Gli autori paragonano questi numeri con il costo di 1000€, cifra relativamente minore, per il contribuente tedesco nel caso di un default del 50% del debito greco. Queste stime non tengono in cosiderazione alcuni importanti benefici dell’uscita dall’euro e ne esagerano i costi. Per esempio, non tengono in considerazioni i costi di lungo termine di un’unione fiscale oppure di un’inflazione più alta. Inoltre assumono che i paesi “forti” che lasciano l’Unione debbano “smantellare la loro industria esportatrice” mentre per i paesi deboli prevedono la possibilità di rivolte, che in realtà sono molto più alte se questi paesi rimarranno nell’eurozona.

[9] Sulla storia del progetto politico dell’euro come mezzo per costruire uno stato europeo centralizzato vedi Bagus (2010).

[10] Flury e Wacker (2010) stimano un anno di transizione per rendere operativa la nuova moneta.

[11] Una soluzione alternativa potrebbe essere quella di marchiare tutte le banconote in circolazione in un breve periodo di tempo. Tuttavia c’è la possibilità di un massiccio afflusso di banconote o di una popolazione che si rifiuta di consegnare le proprie per paura di una futura svalutazione. Quindi riteniamo che lo scambio di banconote che hanno come indicazione la lettera della nazione di origine come più pratica, anche se alcune di quelle banconote stanno circolando in altri paesi dell’Unione Monetaria.

[12] Smith (2005, p. 465) points to the instability caused by speculations about an exit: “even the threat of withdrawal will affect the euro stability and may lead to speculation against the single currency.” Scott (1998, p. 211) argues that speculation on which country is to leave may lead to a breakup of the eurozone.

[13] Porter (2010, p.6 ) descrive lo scenario seguente: Se ci si aspetta che la Germania introdurrà una moneta forte, le banche trasferiranno i loro depositi in Germania. Potrebbero prendere in prestito denaro al tasso di sconto dalla loro banca centrale e depositare alla Bundesbank. Il bilancio della Bundesbank si espanderebbe sostanzialmente. Porter suggerisce di chiudere senza preavviso il sistema TARGET2

[14] Un altro dei supposti problemi è il rischio di contagio. Se un paese lascia l’eurozona, gli investitori potrebbero vendere il debito di altri paesi deboli e delle loro banche, facendo scattare altre uscite. Il problema di contagio non ci interessa qui perché vogliamo proprio discutere la possibilità di lasciare l’euro. Se questa possibilità esiste ed è desiderabile, il rischio contagio non pone problemi insormontabili ma potrebbe anzi essere una conseguenza desiderabile.

[15] Come Porter (2010, p.5) sottolinea, un’uscita risulterebbe in un disallineamento monetario per molte banche e aziende. Improvvisamente si ritroverebbero con crediti e debiti denominati in una moneta straniera con un valore fluttuante e questo risulterebbe in profitti o perdite. Poiché la Germania ha un eccesso di crediti stranieri rispetto ai debiti, una sua uscita probabilmente condurrebbe ad un apprezzamento della nuova valuta tedesca e quindi a perdite. Queste perdite danneggerebbero i bilanci di aziende e banche.

[16] Flury e Wacker (2010) discutono questo e altri problemi relativi a un’uscita della Germania dall’euro.

[17] Vedi Reddy (2011).

[18] Ci si potrebbe pure chiedere se un paese avrebbe dovuto rifiutare la possibilità di secedere dall’Unione Sovietica per paura di problemi nel settore bancario.

[19] Per un piano dettagliato e una critica dei bailout del 2008, vedi Bagus e Rallo (2011)

[20] Idealmente questa conversione sarebbe volontaria. Se i creditori delle banche non vogliono convertire i loro investimenti in azioni, la banca dovrebbe esser liquidata con grandi perdite per loro dovute alla svendita degli asset della banca. Quindi, c’è un incentivo peri creditori a convertire i debiti bancari in azioni, se il modello d’impresa è solido. Facendo così possono prevenire perdite maggiori dovuto alla liquidazione. Al contrario, Buiter (2008) ha suggerito una conversione forzata e involontaria di tutti i debiti in azioni. Questa misura non è necessaria se permettiamo alle banche di fallire.

[21] La quota di partecipazione della Bundesbank è del 27,1 per cento. La quota capitale pagata è di 1,4 miliardi di euro. (Se includiamo anche i paesi soci che però non sono membri dell’eurozona, la quota di capitale della Bundesbank scende al 18,93%)

[22] Una svalutazione dell’euro implica una perdita di quasi 100 miliardi.

[23] Bisogna considerare che i crediti e i debiti nel sistema TARGET2 non sono nei confronti delle altre banche centrali ma consistono in una posizione netta nei confronti solo della BCE (Whittaker 2011). Vedi anche Bundesbank (2011b, p. 34).

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lunedì 20 marzo 2023

Scaricare la patata bollente dei bailout

L'articolo di oggi, sebbene abbia diversi anni alle spalle, è stato proposto per prevista volontà di rispondere, dal punto di vista strettamente tecnico, a necessità conoscitive da parte di alcuni lettori che richiedevano una descrizione dettagliata di come funzionasse il sistema di saldo transfrontaliero conosciuto come TARGET2.

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di Philipp Bagus

Recentemente in Europa si è assistito ad un intenso dibattito sul cosiddetto sistema TARGET2 (Trans-European Automated Real-time Gross Settlement Express Transfer System 2), ovvero il sistema congiunto di compensazione lorda della zona euro.[1] Le interpretazioni di questo meccanismo sono state alquanto divergenti. Alcuni economisti, tra i quali in particolare Hans-Werner Sinn, hanno sostenuto che il TARGET2 fungerebbe come una sorta di sistema di salvataggio tra i paesi della Unione monetaria. Altri hanno invece negato questa tesi con particolare veemenza. Jürgen Stark della Banca Centrale Europea (BCE) è arrivato persino ad affermare che chiunque sostenga la tesi del sistema di salvataggio meriterebbe di perdere la propria reputazione e credibilità di serio studioso accademico.

Non c’è alcun dubbio che gli addebiti e gli accrediti del TARGET2 siano aumentati progressivamente a partire dallo scoppio della crisi finanziaria: mentre i paesi periferici non hanno fatto che accumulare debiti, ad aprile 2012 la Bundesbank è giunta a vantare crediti per €644 miliardi, circa €8,000 per cittadino tedesco.

La questione interessante che ci proponiamo di investigare è quindi la seguente: il TARGET2 costituisce davvero un sistema di salvataggio occulto per continuare a finanziare standard di vita che i paesi della periferia non potrebbero altrimenti permettersi?

Cominciamo la nostra analisi con il semplice esempio di due individui che regolano i propri pagamenti attraverso una unica banca.

La persona A vende un bene o un servizio alla persona B per €100. Secondo termini usati nel commercio internazionale potremmo affermare che A gode ora di un avanzo di partite correnti mentre B si ritrova in posizione di disavanzo. Poniamo che B effettui il pagamento della transazione commerciale andando a debito con la banca. Mentre Il soggetto A si ritrova tra gli attivi un credito bancario di €100, B ha semplicemente un debito verso la banca pari a €100. I rapporti di debito sono rappresentati dalle frecce piene che puntano nella direzione del debitore.

Il soggetto A in sostanza ha accumulato un pò di soldi nella propria banca che nel futuro prevede di utilizzare, ipotizziamo, come fondo per la propria pensione. Il soggetto B, invece, è nella situazione di dover produrre qualcosa di valore in modo da poter estinguere definitivamente il proprio debito. Possiamo immaginare che in futuro A venga ripagato proprio dalla produzione di un flusso di beni reali prodotti da B (e tali eventualmente da garantirgli la pensione futura).

Per A è importante che il prestito concesso dalla banca a B sia garantito da un bene collaterale, quale ad esempio un titolo finanziario con elevato rating creditizio o un immobile. Qualora tale prestito non poggiasse su garanzia alcuna, infatti, potrebbero sorgere dei problemi. Poniamo infatti che B muoia senza lasciare nulla. Se la banca non avesse alcun modo di rivalersi su un bene collaterale lasciato a garanzia, tale da compensare il prestito diventato inesigibile, si ritroverebbe in stato di insolvenza. Il soggetto A, a sua volta, vanterebbe un credito nei confronti di una banca insolvente (sempre sotto l’ipotesi semplificativa che gli unici clienti della banca siano solo i soggetti A e B).

Naturalmente, qualora la banca godesse del privilegio di stampare banconote (a corso legale), potrebbe evitare la bancarotta semplicemente ripagando A con denaro di nuova produzione. A verrà rimborsato al valore nominale di 100, ma in sostanza, nel nostro caso esemplificativo, attraverso un credito inutile: B non ha prodotto nulla ed essendo deceduto non potrà più produrre nulla per poter realmente estinguere il proprio debito con un bene reale. Qualunque uso possa fare A della carta appena stampata, il suo tenore di vita è destinato ad abbassarsi: la sua ricchezza adesso trova infatti corrispettivo in un semplice pezzo di carta e non più nella capacità di B di produrre qualcosa di reale.

Supponiamo ora che A viva in Germania e B viva in Spagna. Inoltre, introduciamo la Commerzbank come la banca tedesca di A, ed il Banco Santander come la banca spagnola di B. Inoltre, aggiungiamo le due corrispettive banche centrali nazionali e la BCE.

Supponiamo ancora una volta che A esporti beni per €100 vendendoli a B. Una volta effettuato il pagamento, A riceve un credito nei confronti della Commerzbank. In parole più semplici il conto bancario di A aumenta di un importo pari a €100. B invece prende €100 in prestito dal Banco Santander (in alternativa avrebbe potuto attingere dal proprio conto di deposito presso il Banco Santander). La Commerzbank riceve un credito nei confronti della Bundesbank (o riduce il suo rifinanziamento presso di essa), mentre il Banco Santander aumenta il proprio rifinanziamento con la Banca di Spagna (o riduce le proprie riserve in eccesso).

A livello di banche centrali, la Bundesbank riceve un credito nei confronti della BCE, mentre la Banca di Spagna si ritrova con un debito di pari importo. Sostanzialmente, alla base di questa procedura, abbiamo una importazione di merci in Spagna finanziata dal Banco Santander attraverso la creazione di nuovo denaro sotto forma di prestito al soggetto B. La creazione di moneta si concretizza nell’accensione di un debito TARGET2 per la Banca di Spagna e di un credito TARGET2 invece per la Bundesbank.

Proviamo a confrontare il metodo TARGET2 con il finanziamento alle importazioni che avverrebbe nel contesto di un gold standard. In entrambi i sistemi, gli avanzi commerciali possono essere finanziati da equivalenti importazioni di capitale privato: vale a dire A, o la Commerzbank, acquistano un bond da B. Tuttavia, mentre in un gold standard, e in assenza di finanziamento da parte di capitali privati, l’importazione dovrebbe necessariamente essere pagata attraverso un trasferimento di oro fisico, nel caso dell”Eurosistema gli avanzi commerciali possono trovare contropartita nella semplice produzione di crediti verso la BCE.

In parole più semplici, invece dell’oro, la Bundesbank riceve crediti TARGET2. Mentre in un gold standard il pagamento delle importazioni (se non finanziato da prestiti privati) troverebbe un limite fisico nei deflussi di oro, nel sistema attuale non esiste alcun limite ai crediti TARGET2 che possono essere prodotti ed accumulati. Ancora in altre parole i disavanzi commerciali possono essere finanziati senza alcun limite dalla creazione di crediti e debito in Euro nei confronti della BCE.


Come si estinguono quindi i debiti ed i crediti creati nel meccanismo TARGET2?

Crediti e debiti vanno in compensazione se A importa da B o se B vende un’obbligazione ad A o prende in prestito sempre da A sul mercato dei capitali. Non ci sarebbe niente da rivendicare nei confronti di un finanziamento effettuato attraverso prestiti od obbligazioni private. I debiti TARGET2, tuttavia, non sono prestiti privati, ma equivalgono a prestiti pubblici effettuati dalle banche centrali. Senza TARGET2, qualche soggetto economico residente in Spagna dovrebbe finanziare il proprio deficit commerciale ricorrendo agli investitori privati e pagando in tal modo tassi di interesse potenzialmente più alti, soprattutto qualora non fosse in grado di fornire adeguate garanzie a fronte di tali prestiti.

In questo senso, il sistema TARGET2 equivale in realtà ad un piano di salvataggio nei confronti di un sistema economico non competitivo caratterizzato da prezzi troppo elevati. Grazie a questo meccanismo di salvataggio, il paese in questione non ha bisogno di deregolamentare il mercato del lavoro o di ridurre la spesa pubblica al fine di aggiustare i prezzi interni, esso può continuare a spendere mantenendo non competitiva la propria struttura economica.

Ma quindi, i debiti ed i crediti TARGET2 potrebbero non trovare mai effettiva estinzione? Sorprendentemente è proprio così: non vi è né un limite ai valori del TARGET2, né i debiti accumulati giungono mai al punto da dover essere pagati. Diversamente, nel sistema americano della Federal Reserve i debiti trovano garanzia nei crediti in oro e ogni anno i saldi vengono regolati. Se la Federal Reserve Bank di Richmond ha un debito con la Federal Reserve Bank di New York, la prima salderà il proprio conto tramite l’invio dei certificati d’oro alla seconda.[2]

L’Eurosistema non solo consente il finanziamento dei disavanzi commerciali tramite creazione di moneta dal nulla; ma consente anche la “fuga di capitali.” Nella situazione attuale, un default del governo greco manderebbe in bancarotta il proprio sistema bancario. Al fine di non incorrere in una perdita, i depositanti greci hanno inviato e stanno inviando i loro soldi dai conti presso le banche greche sui conti aperti nelle banche della Germania e di altri paesi. Attraverso questo trasferimento, la banca greca perde riserve mentre quella tedesca le aumenta. La banca Greca aumenta il rifinanziamento presso la propria banca centrale nazionale (ad esempio, riceve denaro di nuova creazione), mentre la banca tedesca può diminuire i propri prestiti dalla Bundesbank. La Bundesbank guadagna un credito TARGET2, la Banca di Grecia un debito TARGET2. Se il governo Greco va in default, e la Banca di Grecia va in default a causa dei propri debiti accumulati, le perdite si rifletteranno sul bilancio della BCE. Quindi, il rischio di un default della Grecia è ora condiviso dai risparmiatori tedeschi attraverso il credito TARGET2.


Qual è l’essenza dei bilanci TARGET2?

I crediti TARGET2 in ultima analisi rappresentano dei crediti avanzati dai risparmiatori, mentre i debiti TARGET2 rappresentano debiti di aziende, governi e singoli individui. I conti TARGET2 sono di fatto una conseguenza di una redistribuzione di ricchezza in corso e di un salvataggio a favore dei paesi più deboli. I conti TARGET2 in questo senso rispecchiano le dinamiche della tragedia dell’euro, vale a dire, la monetizzazione dei deficit pubblici.

Prendiamo l’esempio seguente. Una banca spagnola crea nuovo denaro per comprare un titolo del governo spagnolo. Ciò permette al governo iberico di mantenere invariata la spesa pubblica posticipando le dovute riforme del mercato del lavoro. Potrebbe persino aumentare i salari del settore pubblico ed i sussidi di disoccupazione. La competitività dell’economia spagnola di fatto è ostacolata da salari troppo elevati e genera un deficit commerciale quando ad esempio un ministro spagnolo acquista una vettura tedesca.

In principio, il deficit commerciale potrebbe essere finanziato da entità private, per esempio, da prestiti dalle banche tedesche alle banche spagnole. Dopo qualche tempo però le banche spagnole faranno fatica a trovare nuovi collaterali. I debiti statali crescenti e l’eccessivo indebitamento del settore privato riducono la qualità del debito spagnolo come garanzia. Ad un certo punto, gli investitori privati smetteranno di continuare a finanziare sia le banche spagnole sia il deficit commerciale spagnolo in quanto non riescono più a ottenere buone garanzie (di fatto abbiamo già oltrepassato questo punto).

Eppure, grazie al TARGET2 la festa può continuare. Le banche spagnole possono utilizzare cattive garanzie (come i titoli di stato spagnoli) e rifinanziarsi presso la Banca di Spagna, che accetta i titoli di stato spagnoli come garanzia per nuovi prestiti. Come risultato di questa monetizzazione indiretta dei titoli di stato, i debiti del TARGET2 presso la BCE aumentano. I cattivi rischi (le garanzie fornite a collaterale) vengono spostati all’Eurosistema e socializzati. Il TARGET2 consente in tal modo di finanziare il deficit commerciale attraverso prestiti bancari centrali.

Non solo i debiti pubblici possono essere monetizzati attraverso l’Eurosistema e il loro rischio socializzato attraverso il TARGET2, ma ciò può verificarsi anche per i debiti privati. Questa possibilità è aumentata soprattutto a partire dal mese di febbraio 2012, quando la BCE ha permesso alle banche centrali nazionali di determinare a proprio rischio e pericolo le garanzie idonee per i prestiti delle banche centrali.[3] A seconda delle regole determinate per i collaterali, una banca spagnola può ora fare un prestito ad un’impresa spagnola di modo che essa possa importare beni e servizi dalla Germania. La banca spagnola può fornire il prestito concesso all’importatore come garanzia per ottenere un nuovo prestito dalla Banca di Spagna (naturalmente, applicandovi uno sconto). In questo modo, il prestito privato (in questo caso utilizzato per il consumo), viene monetizzato. Come conseguenza avremo ulteriori debiti TARGET2 per la Banca di Spagna e ulteriori crediti TARGET2 per la Bundesbank.


Quali sono esattamente i rischi per un Paese in credito TARGET2 come la Germania?

Se la Grecia abbandonasse l’Euro, molto probabilmente finirebbe con il non pagare i propri debiti alla Banca Centrale Europea con oro o beni reali. La BCE subirebbe pertanto una perdita, e attraverso il contributo in conto capitale di ciascuna banca nazionale, il 27% di tale perdita ricadrebbe sulla Bundesbank. Se anche altri paesi lasciassero l’euro, la perdita sarebbe molto più elevata. Nel caso opposto di una uscita tedesca dall’Euro, la Bundesbank subirà perdite importanti nel caso la nuova valuta tedesca si apprezzasse, in quanto gli asset principali della Bundesbank diventerebbero ora dei semplici crediti TARGET2 denominati in Euro. Oltretutto, i restanti paesi della zona euro potrebbero persino opporsi al pagamento dei debiti TARGET2.

La liquidazione dei crediti TARGET2 si trasformerebbe quindi una perdita reale? Se prendiamo il nostro esempio iniziale dei due individui con una banca di compensazione, la conclusione è semplice. Se B andasse in default, la banca fallirebbe ed A perdebbe i propri soldi. Lo stesso accadrebbe nel caso dell’Eurosistema. Se i governi della periferia andassero in default, le loro banche fallirebbero, le banche centrali nazionali farebbero la stessa fine e anche la BCE fallirebbe. La Bundesbank vanterebbe quindi un credito TARGET2 su una BCE insolvente e si troverbbe anch’essa in stato di bancarotta. La Commerzbank perdebbe i propri crediti nei confronti della Bundesbank (o non verrebbe più rifinanziata) ed anch’essa andrebbe in default. Alla fine della catena il soggetto privato tedesco rimarrebbe con un pugno di mosche in mano.

Lo scopo dei salvataggi dei paesi periferici come la Grecia è pertanto quello di mantenere viva l’illusione che i risparmiatori tedeschi o quelli di altri paesi non subiscano alcuna perdita.

Possono la BCE o la Bundesbank andare davvero in bancarotta? Non potrebbero sempre pagare stampando semplicemente più soldi? Sì, di fatto la BCE è in grado di pagare i propri conti producendo dal nulla nuove quantità di denaro. Tuttavia, la creazione di denaro dal nulla non toglie il fatto che la ricchezza svanirebbe nel momento in cui la periferia fallisse. E’ come se B non fosse più in grado di pagare il proprio debito con beni reali a causa del proprio decesso. Il soggetto A riceverà nuovo denaro di carta dalla propria banca, ma questo non sarà sufficiente per garantirgli la pensione come invece era nei suoi piani. Purtroppo, finché la periferia europea rispetto alla Germania continua a rimanere in condizioni di inferiorità competitiva, essa non sarà capace di produrre sufficienti beni reali per saldare i crediti tedeschi TARGET2. Molto probabilmente, il valore reale di quel credito è già svanito per sempre. Pensare che possa rappresentare vera ricchezza è un’illusione che si concluderà in uno dei tre seguenti modi.

Il primo caso sarebbe quello inflazionistico: la BCE produce nuovo denaro al fine di mantenere il sistema a galla.

Il secondo caso sarebbe quello di un default della periferia a causa del quale la qualità degli asset della BCE verrebbe compromessa e il suo capitale bruciato. La BCE perderebbe la capacità di poter ridurre la quantità di moneta in circolazione per difendere il valore dell’Euro. La BCE in altre parole non avrebbe più alcun asset buono da vendere sul mercato in quanto il valore di quegli asset sarebbe già crollato. In tale scenario si correrebbe il rischio di una perdita totale di fiducia nella valuta europea, in primo luogo sui mercati valutari internazionali, e quindi internamente. Il valore della divisa potrebbe collassare ponendo fine all’illusione di ricchezza dei risparmiatori e dei possessori di euro.

Il terzo caso sarebbe quella di ricapitalizzare la BCE trasferendole asset di alta qualità. La BCE potrebbe quindi utilizzare questi nuovi asset per conservare la fiducia nell’Euro e difenderne il valore. La ricapitalizzazione, naturalmente, richiedebbe anche un’espropriazione di ricchezza a danno dei cittadini tedeschi e di quelli di altri paesi. Dopo l’inflazione e il default, l’espropriazione fiscale sarebbe la terza alternativa in grado di porre fine all’illusione di ricchezza fin qua generata artificialmente.


TARGET2, Eurobond, Meccanismo di Stabilità Europeo: qual è la differenza?

Gli Eurobond sarebbero emessi congiuntamente e garantiti da tutti i 17 membri dell’Eurozona, tuttavia la loro effettiva emissione ha incontrato pareri molto controversi. Per esempio, il governo tedesco si è sempre opposto con veemenza a tale progetto. D’altro canto il governo Tedesco non si è mai davvero opposto al TARGET2. Il TARGET2 è solo il riflesso del sostituto di un salvataggio. Quando i governi emettono bond che vengono comprati dalle loro banche per finanziare un disavanzo commerciale, il risultato è un debito TARGET2. Gli squilibri del TARGET2 sono solo il dato più evidente che gli euro creati nella periferia siano stati utilizzati per pagare le merci provenienti dall’estero.

Il Meccanismo di Stabilità Europeo (ESM) è un altro sostituto degli Eurobond, poiché l’ESM può concedere prestiti a governi in difficoltà emettendo titoli garantiti collettivamente. La differenza tra i tre strumenti è solo di grado. C’è un maggiore controllo parlamentare sugli Eurobond o sull’ESM. Nell’ESM, i paesi creditori hanno un maggiore controllo sui salvataggi rispetto agli Eurobond. Anche le differenze tra i tassi di interesse sono più pronunciate con l’ESM rispetto agli Eurobond. La BCE vuole spostare l’onere del salvataggio dal TARGET2 all’ESM. I governi preferiscono nascondere le perdite sui contribuenti il più a lungo possibile e preferiscono che la BCE alimenti i deficit.

In conclusione, tutti e tre i dispositivi servono come sistemi di salvataggio e di fatto danno forma ad una Unione europea dei trasferimenti già esistente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Note

[1] La migliore introduzione ed analisi del TARGET2 può essere trovata in Stefan Homburg, “Anmerkungen zum Target-2-Streit,” Wirtschaftsdienst, volume 91, numero 3 (2011): pp. 536–530. La nostra analisi ed i grafici seguono strettamente la linea di ragionamento di Homburg.

[2] Almeno queste regole appaiono nel manuale di contabilità della Federal Reserve. Sembra, però, come se la FED abbia sospeso in ultima analisi i ripagamenti. Consultare Michiel Bijlsma e Jasper Lukkezen “Target-2 of the ECB vs. Interdistrict Settlement Account of the Federal Reserve” (2012).

[3] Jens Weidmann ha criticato la modifica delle norme di garanzia e ha chiesto garanzie per i debiti TARGET2 nel mese di Marzo 2012. Tuttavia, solo le banche centrali ed i governi sono in grado di fornire buone garanzie come l’oro per i debiti TARGET2. La maggior parte delle banche non ha più buone garanzie. Altrimenti le avrebbero utilizzate per rifinanziarsi sui mercati privati e non attraverso l’Eurosistema con i suoi standard collaterali bassi.

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