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venerdì 14 giugno 2024

La Svizzera conserva ancora la sua tradizionale neutralità

 

 

di Mihai Macovei

Con oltre 130.000 firme autenticate, il  movimento civile “Pro Svizzera” ha chiesto al relativo governo di organizzare un referendum nazionale sul rafforzamento della neutralità internazionale del Paese. Dopo che le autorità svizzere hanno seguito l’Unione Europea con le sanzioni contro la Russia e hanno rafforzato la cooperazione con la NATO, gli organizzatori del referendum vogliono impedire una graduale erosione della tradizionale neutralità della Svizzera.

Vogliono anche evitare il destino della Svezia che all’improvviso ha chiesto di aderire alla NATO una volta che la Russia ha invaso l’Ucraina. Il governo svedese si è affrettato a ribaltare una posizione di neutralità che risaliva al periodo napoleonico, senza nemmeno organizzare una consultazione popolare. Questo ammonimento offre spunti interessanti sulla volontà e sulla capacità delle persone di resistere alla propensione statale nel voler partecipare a conflitti internazionali.


Neutralità svizzera e guerra in Ucraina

La Svizzera ha la più antica linea di politica sulla neutralità militare al mondo, la quale abbraccia oltre cinque secoli. Dopo aver perso la battaglia di Marignano nel 1515, la Svizzera strinse un accordo di pace con la Francia che le permise di vivere senza conflitti per quasi trecento anni. Dopo le guerre napoleoniche, nel 1815 le grandi potenze europee riconobbero ufficialmente la neutralità della Svizzera. Nel 1920 la Società delle Nazioni riconobbe formalmente lo status neutrale della Svizzera e scelse Ginevra come propria sede. La Svizzera ha aderito alle Nazioni Unite solo di recente, nel marzo 2002, a seguito di un referendum.

Il diritto alla neutralità è riconosciuto nel diritto internazionale dalla Convenzione dell’Aja (1907). Insieme al diritto di non partecipare alle guerre e di godere dell'inviolabilità territoriale, i Paesi neutrali conservano il diritto all'autodifesa. Per scoraggiare un’invasione da parte della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale, la Svizzera mobilitò circa 850.000 soldati e fece affidamento anche su pesanti fortificazioni nelle Alpi. Inoltre evitò attentamente di prendere posizione nella guerra e non permise voli militari sul suo territorio.

La neutralità è codificata solo vagamente nella Costituzione svizzera come obiettivo politico che governo e parlamento devono perseguire. Per quanto riguarda la sua posizione nei confronti dei conflitti con terzi, la Svizzera ha cercato di seguire la linea dell’ONU. È rimasta rigorosamente neutrale quando sono state approvate operazioni militari dalle Nazioni Unite e ha consentito i diritti di transito ma non per le azioni militari. Per quanto riguarda le sanzioni internazionali, la Svizzera ha sostenuto solo gli embarghi imposti dall’ONU, ad esempio contro l’Iraq nel 1991. Dal 1996 la Svizzera partecipa al programma della NATO di Partenariato per la pace, ma solo perché non si trattava di aderire all’alleanza o di entrare in conflitti militari.

Con lo scoppio della guerra in Ucraina, la posizione del governo svizzero sulle sanzioni, sulla fornitura di armi ai belligeranti e sul riavvicinamento alla NATO ha iniziato a cambiare. La Svizzera si è mossa di pari passo con l’UE adottando sanzioni sempre più severe nei confronti della Russia, sebbene non siano sostenute da un mandato dell’ONU. Ha imposto restrizioni alle persone e alle aziende russe, impedendo alle banche svizzere di fare affari con loro e congelando i loro beni. Inoltre nel 2022 un alto funzionario svizzero ha dichiarato che il Paese imporrebbe sanzioni punitive nel caso in cui la Cina invadesse Taiwan.

Finora il governo svizzero ha resistito alle richieste dei vicini europei di appoggiare le esportazione di armi in Ucraina, ma potrebbe non durare a lungo. A gennaio il governo svizzero ha adottato un piano per rafforzare la difesa e intensificare la cooperazione militare internazionale, in particolare con la NATO e l’UE, e nel marzo 2023 il Ministro della difesa svizzero ha preso parte per la prima volta in assoluto al Consiglio Nord Atlantico della NATO. In questo contesto i gruppi della società civile – sostenuti dal Partito popolare svizzero,  il più grande movimento politico della Svizzera – hanno chiesto un referendum nazionale per rafforzare la neutralità del Paese e sancirla chiaramente nella costituzione federale.


Cosa vogliono i sostenitori del referendum

Gli organizzatori del referendum propongono nuove clausole costituzionali per vietare alla Svizzera di stringere qualsiasi alleanza militare, a meno che non venga attaccata essa stessa. Al governo svizzero verrebbe inoltre impedito d'imporre sanzioni internazionali a meno che non siano sostenute da un mandato delle Nazioni Unite. Il Paese sarebbe costretto a mantenere l’assoluta equidistanza politica in tutti i conflitti e a rimanere completamente imparziale; pertanto non sarebbe più possibile adottare sanzioni contro la Russia e rafforzare la cooperazione con la NATO.

Esiste già un acceso dibattito nazionale sul sostegno della Svizzera all’Ucraina e sulla sua neutralità in generale. I politici di destra sostengono che il Paese dovrebbe smettere di essere un  “free rider” dell’ombrello di sicurezza della NATO e rafforzare i suoi legami e l’interoperabilità con quest’ultima. I  Verdi ritengono che l’iniziativa della “neutralità” avvantaggi i dittatori esteri e danneggi la sicurezza della Svizzera.

Allo stesso tempo i conservatori sostengono che qualsiasi attenuazione della neutralità potrebbe compromettere la credibilità della Svizzera come mediatore internazionale obiettivo. Avrebbe anche costi economici importanti: dato il suo solido settore finanziario e lo status di hub commerciale internazionale, la Svizzera rischia di perdere molto se applica sanzioni a Paesi stranieri e individui facoltosi. Aderendo alla NATO, la Svizzera dovrebbe anche più che raddoppiare la sua attuale spesa annuale per la difesa, pari a circa l’1% del prodotto interno lordo (PIL). Di conseguenza oltre il 90% degli svizzeri sostiene lo status di neutralità, anche se, secondo un recente sondaggio, una piccola maggioranza propenderebbe per un legame più stretto con la NATO.

A mio avviso l'argomentazione più forte a favore della neutralità svizzera viene dall'Unione Democratica di Centro, che in un comunicato stampa sul referendum ha dichiarato che “se tutti gli Stati si comportassero come la Svizzera, non ci sarebbe la guerra”. Ciò è particolarmente vero nell’attuale contesto geopolitico internazionale, che è sempre più polarizzato dalla politica delle grandi potenze e in cui i Paesi più piccoli devono lottare per evitare di prendere posizione nei conflitti internazionali. Ciò è vero anche in generale, come esposto dalla chiara posizione contro la guerra di Murray Rothbard nel suo manifesto libertario The Ethics of Liberty.

Secondo Rothbard gli stati combattono le guerre aumentando l’estrazione di risorse dai territori e dalla popolazione che controllano, attraverso la tassazione, la coscrizione o entrambe le cose. Inoltre aggrediscono anche privati ​​stranieri, perché i cittadini del Paese nemico sono la risorsa che consente allo stato avversario di combattere. Alla fine le guerre accrescono solo il potere dello stato e di particolari gruppi d'interesse a scapito della libertà dei cittadini comuni. Pertanto i libertari dovrebbero sempre fare pressione sui propri governi affinché evitino d'impegnarsi in guerre tra stati. In pratica ciò significherebbe seguire una rigorosa politica di neutralità, come quella della Svizzera.


La Svezia ha preso una strada diversa

Per quasi due secoli la Svezia ha conservato la neutralità militare e sviluppato la reputazione di negoziatore obiettivo nei conflitti internazionali. Tuttavia, dall’inizio degli anni 2000, la Svezia ha intensificato le sue relazioni con la NATO e, allo scoppio della guerra in Ucraina, ha improvvisamente chiesto di aderirvi. Il governo svedese ha giustificato questa netta rottura con il passato manifestando il proprio nei confronti della minaccia militare russa. Tuttavia la Russia ha rispettato la neutralità della Svezia durante i periodi turbolenti, tra cui due guerre mondiali e la Guerra Fredda. All’epoca la Svezia non era nemmeno membro dell’UE e non beneficiava della realtiva clausola di difesa reciproca. Ora, però, la Russia ha minacciato di adottare  “contromisure politiche e tecnico-militari” in risposta alla mossa della Svezia .

In termini di costi e benefici, l’adesione è più vantaggiosa per la NATO che per la Svezia. Quest'ultima ha già annunciato l’aumento della spesa per la difesa al 2% del PIL (come richiesto per tutti i membri della NATO) dall’1,5% nel 2023; inoltre apporta alla NATO un formidabile complesso militare-industriale di livello mondiale e migliora significativamente la posizione geostrategica dell’alleanza nel Mar Baltico.

Per quanto riguarda il vantaggio di una maggiore sicurezza, è molto improbabile che la stessa Svezia venga attaccata; allo stesso tempo, però, dovrebbe aiutare a difendere qualsiasi Paese della NATO qualora venisse attaccato. Sin dalla fine della Guerra Fredda gli Stati Uniti hanno moltiplicato i loro interventi militari all'estero senza un’adeguata giustificazione e quindi la Svezia rischia di essere trascinata in ogni sorta di conflitti militari diretti e per procura solo per difendere gli interessi statunitensi. È anche molto discutibile se la NATO sia rimasta principalmente un’alleanza difensiva oppure no.

È altrettanto inquietante che una decisione così cruciale per il futuro della Svezia sia stata presa sulla base di alcuni sondaggi d'opinione che, al momento della richiesta di adesione alla NATO, davano solo una risicata maggioranza a favore. In una vera democrazia questa decisione avrebbe richiesto un dibattito adeguato e una consultazione formale del popolo svedese attraverso il voto diretto.


Conclusione

Diversi Paesi europei – Ungheria, Slovacchia e Croazia – hanno votato per politici che sostengono una soluzione rapida e pacifica alla guerra in Ucraina e che antepongono gli interessi nazionali alla linea di politica delle grandi potenze. Il referendum svizzero sulla neutralità fungerà da ulteriore barometro del sentimento pubblico nei confronti dell’attuale contesto internazionale. Spetta ai cittadini svizzeri imparare dall'esperienza svedese e fare la scelta giusta in un possibile referendum per preservare la pace, la libertà individuale e una democrazia davvero funzionante.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 27 maggio 2024

La Banca d'Inghilterra guida l'avanscoperta: i contribuenti devono salvare le banche centrali

 

 

di Bob Lyddon

La Banca d'Inghilterra ha preso l'iniziativa rispetto alle altre banche centrali e ha pubblicato un documento di lavoro su come le banche centrali possano ricostituire il proprio capitale, soprattutto ora che stanno incappando in enormi perdite: il documento analizza le attuali disposizioni di settanta banche centrali.

Questa volta non sono le banche commerciali ad aver bisogno di essere salvate, ma le banche centrali. La Banca d’Inghilterra ha aperto la strada alle perdite; ora è all’avanguardia nel dire ai ministeri delle finanze che devono pagare. Per “Ministeri delle finanze”, si legga “contribuenti”. E tanti saluti alla promessa fatta dopo la crisi finanziaria mondiale secondo cui i contribuenti non sarebbero mai più stati costretti a pagare per le perdite nel sistema finanziario.


Perdite del sistema bancario centrale per l’acquisto di obbligazioni sovrane

Il grande esperimento delle banche centrali dopo la crisi finanziaria mondiale si è infine frantumato. Acquistando grandi quantità di obbligazioni a tasso fisso sotto la bandiera del “Quantitative Easing”, o “QE”, e abbassando artificialmente i tassi d'interesse, hanno aiutato i debitori a pagare i loro interessi, hanno fatto salire i prezzi degli asset e hanno fatto realizzare profitti ai loro controllori – i Ministeri delle finanze dei rispettivi Paesi:

• profitti di negoziazione sulle obbligazioni, i cui prezzi sono aumentati con il calo dei tassi d'interesse;

• un margine d'interesse tra ciò che la banca centrale ha ricevuto sulle obbligazioni e il tasso d'interesse inferiore pagato alle banche sui loro depositi obbligatori sotto forma di riserve minime.

Poi l’inflazione e i tassi d'interesse sono aumentati, il prezzo delle obbligazioni è crollato e le banche centrali hanno un grosso problema:

  1. la vendita delle obbligazioni – nota come “Quantitative Tightening” o “QT” – produce una grave perdita una tantum;
  2. detenerle produce una perdita annuale, poiché il tasso d'interesse pagato alle banche sulle loro riserve minime è ora superiore a quello ricevuto sulle obbligazioni.


Perdite nel Regno Unito e in Svezia

La Banca d’Inghilterra, ora con circa £700 miliardi in obbligazioni sovrane, potrebbe perdere £132 miliardi in una volta secondo il punto (1) di cui sopra: £700 miliardi in obbligazioni decennali emesse nel 2021 con una cedola dell'1%, e che ora rendono il 4,05% alla scadenza, perdono il 19% del loro valore dato che 7 anni sono la scadenza media del debito nel Regno Unito. Oppure perdere £30 miliardi all’anno per 7 anni secondo il punto (2): la BoE riceve la cedola dell'1% su £700 miliardi ma paga il tasso base (5,25%) per 7 anni.

Il Wall Street Journal ha riferito che la Riksbank ha chiesto al parlamento svedese un'iniezione di nuovo capitale di circa $4,1 miliardi per aiutarla a coprire le perdite su $94 miliardi di vendite di obbligazioni.


Di solito i Ministeri delle finanze incassano, ma raramente pagano

I Ministeri delle Finanze, come scritto a pagina 10 del documento di lavoro della Banca d'Inghilterra, hanno ricevuto i profitti del QE ma non possono essere costretti a sostenere automaticamente le perdite del QT: “Mentre la legislazione spesso richiede il trasferimento automatico dei profitti dalla banca centrale al governo, poche banche centrali godono di accordi statutari per le ricapitalizzazioni automatiche”. Su questo punto il Regno Unito è l'avanguardia: la Banca d'Inghilterra è completamente indennizzata per le sue perdite dal Ministero del Tesoro inglese.

In mancanza di un tale sostegno, il documento esamina come coprire le perdite, ma nel frattempo rivela un punto cieco sull’euro: a pagina 4 si afferma che “in quanto uniche istituzioni che emettono la valuta nazionale, le banche centrali possono sempre far fronte agli obblighi derivanti dalle passività denominate nella loro valuta nazionale (FMI, 2015)”. Questo non è vero per l’Eurozona, però, dato che alle banche centrali nazionali dell’Eurozona è esplicitamente vietato farlo e la Banca Centrale Europea non può farlo per loro conto.

Per quanto riguarda la Banca d'Inghilterra, il suo documento di lavoro allude a due danni, ma senza menzionare il proprio ruolo in essi. A pagina 4 ci informa che esistono “limiti alla creazione di moneta, stamparla in eccesso rispetto alla domanda risulterà, prima o poi, in un effetto inflazionistico e sarà in conflitto con l'obiettivo di stabilità monetaria della banca centrale stessa”. Sì, il QE ha avuto un effetto inflazionistico nel Regno Unito e ha spinto l’inflazione ben oltre l’obiettivo al 2% della BoE.

A pagina 10 si afferma che la copertura delle perdite QT ha un impatto diretto sulla tassazione e sulla spesa pubblica: “Poiché le risorse della banca centrale rappresentano una reale richiesta del settore pubblico all'economia, le perdite sono in ultima analisi a carico dei contribuenti (BRI, 2012)”. Sì, le perdite derivanti dal QT della Banca d'Inghilterra stanno influenzando la tassazione nel Regno Unito e le decisioni riguardo la spesa pubblica.


Da dove arriveranno i nuovi capitali?

Una banca centrale potrebbe “cercare di ricapitalizzare il proprio bilancio attraverso un’iniezione di capitale esterno, solitamente da parte del proprio governo”. Sì, lo stato è l’unica fonte possibile, ma poi “i governi che hanno un deficit fiscale significativo sono probabilmente mal visti dai fondi esterni”. Ovviamente lo stato dovrebbe prendere in prestito di più per raccogliere tali fondi.

La BoE offre altre opzioni sgradevoli, oscurando il fatto che un tale versamento sarebbe obbligatorio:

  1. “il Ministero delle finanze potrebbe utilizzare il suo bilancio esistente” – un bilancio che è già in deficit;
  2. “identificare tagli ai finanziamenti o ridestinare fondi che altrimenti sarebbero stati assegnati altrove” – tagli di bilancio alla difesa, alla sanità, ai benefici sociali, alle pensioni, ecc.;
  3. “il Ministero delle finanze potrebbe emettere nuovo debito direttamente alla banca centrale” – un nuovo ciclo di QE o creazione diretta di denaro, aggravando la malattia originale e spacciandola come presunta cura.


Conclusione

Il documento di lavoro della Banca d'Inghilterra tenta di offuscare la verità e di prendere le distanze da essa: le banche centrali – con la Banca d'Inghilterra in avanguardia – hanno commesso errori colossali e ora le loro linee di politica sono esplose loro in faccia (o meglio in faccia ai contribuenti). Il documento di lavoro portato all'attenzione in questo pezzo è il capitale intellettuale con cui le banche centrali del mondo spingeranno i loro Ministeri delle finanze a fornirle nuovo capitale monetario. Il denaro dovrà essere reperito presso i contribuenti, contrariamente alla promessa fatta dopo la crisi finanziaria mondiale.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 28 febbraio 2024

Le regole fiscali non compromettono gli investimenti, ma lo sperpero degli stati sì

 

 

di Mihai Macovei

Per evitare che il debito pubblico salisse alle stelle sulla scia della crisi finanziaria mondiale del 2009, la Germania inserì un “freno al debito” nella sua costituzione. Tale freno pone limiti rigorosi ai livelli del debito pubblico e limita l’indebitamento dello stato. Questa regola fiscale raggiunse il suo scopo e il debito pubblico seguì un percorso discendente, calando di circa 15 punti percentuali in rapporto al prodotto interno lordo (PIL) sin dalla sua introduzione. Tuttavia lo stato l'ha sospesa durante la pandemia e ha contratto ulteriori €370 miliardi di debito nel 2020 e nel 2021. Ha anche cercato di aggirare suddetta regola in diverse occasioni istituendo fondi fuori bilancio, come un fondo speciale da €100 miliardi per spese militari durante la guerra in Ucraina.

Nel 2022 il parlamento tedesco ha deciso di trasferire circa €60 miliardi dal debito inutilizzato e contratto durante la crisi sanitaria in un nuovo fondo per il clima e finanziare la transizione verde della Germania. Con sorpresa di tutti, la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato illegale questa mossa, lasciando i politici a grattarsi la testa su come pagare i sussidi previsti. Invece di rendersi conto che la carenza di finanziamenti è dovuta principalmente a un sistema di welfare gonfiato e a un’economia stagnante, i verdi e i politici di sinistra danno la colpa al freno all’indebitamento e cercano di sbarazzarsene.


Le regole possono migliorare la performance fiscale

Il freno al debito tedesco limita l’indebitamento strutturale netto dello stato allo 0,35% del PIL all'anno, ma mantiene una certa flessibilità consentendo ulteriori prestiti durante le recessioni. Inoltre la norma può essere sospesa in caso di calamità naturali o situazioni di emergenza, com'è avvenuto dal 2020 al 2022 a causa della pandemia. Il freno al debito tedesco è molto più severo del quadro fiscale dell’Unione Europea, il quale consente invece un deficit strutturale pari al 3% del PIL all’anno. La normativa fiscale tedesca è una delle più severe al mondo, sia per il suo obiettivo numerico che per il suo ancoraggio costituzionale.

Anche la Svizzera ha introdotto un freno all’indebitamento più di vent’anni fa. La norma fu approvata da un’ampia maggioranza di elettori in un referendum costituzionale e successivamente servì da modello per il governo tedesco. Inoltre i cantoni svizzeri beneficiano di una lunga tradizione di regole fiscali e di autonomia fiscale decentralizzata. Un altro esempio calzante è quello della Svezia, anch’essa ha un rigido quadro fiscale basato su regole numeriche, come un obiettivo di surplus strutturale di bilancio pari allo 0,3% del PIL e un tetto del debito pubblico pari al 35% del PIL.

Negli ultimi trent’anni le regole fiscali sono diventate molto popolari e il numero di Paesi che le hanno introdotte è passato da meno di dieci nel 1990 a oltre un centinaio nel 2021, secondo il Fondo monetario internazionale (FMI). L’adozione di regole fiscali è stata spesso guidata da crisi finanziarie ed economiche che hanno innescato forti aumenti del debito pubblico; diversi Paesi dell’UE hanno adottato norme nazionali analoghe al quadro fiscale comune dell’UE stessa.

Con un numero così elevato di Paesi che utilizzano regole fiscali, ci si potrebbe chiedere perché il debito pubblico sia cresciuto a dismisura in tutto il mondo negli ultimi anni. La risposta è semplice: la definizione delle regole fiscali è fondamentale e, in molti Paesi, le regole sono troppo morbide o la loro attuazione è troppo permissiva. Le regole fiscali sono efficaci solo quando sono accompagnate da un forte impegno politico, da una solida base giuridica per garantirne un’adeguata applicazione e da un rigoroso monitoraggio da parte di istituzioni fiscali indipendenti.

Un’indagine condotta dall’Amministrazione federale delle finanze svizzera ha concluso che le regole migliorano la performance fiscale in termini di migliori saldi di bilancio, riduzione del debito e riduzione della volatilità della spesa. Inoltre la ricerca empirica ha dimostrato che le regole fiscali sono associate a previsioni di bilancio più accurate e a un miglioramento dei rating dei titoli sovrani. Ciò spiega perché anche i Paesi con regole fiscali più morbide, come l’Australia e i Paesi Bassi, beneficiano comunque di una migliore pianificazione di bilancio a medio termine e di migliori risultati fiscali. Negli ultimi anni il debito pubblico è sceso a livelli moderati in Germania e in altri Paesi con regole fiscali – nonostante la pandemia e la guerra in Ucraina – mentre è cresciuto raggiungendo livelli molto elevati negli Stati Uniti e nel Regno Unito (Grafico 1). Di fatto il Government Accountability Office degli Stati Uniti raccomanda agli stessi d'introdurre regole fiscali rigorose e di correggere il loro “percorso fiscale insostenibile a lungo termine”.

Grafico 1: debito pubblico. Fonte: dati del “ World Economic Outlook Database ”, Fondo monetario internazionale, consultati il ​​31 gennaio 2024


Le regole fiscali non compromettono gli investimenti pubblici

Nonostante il suo successo, il freno al debito è finito oggetto di forti critiche sia da parte degli esperti che dei politici di sinistra in Germania. Lo descrivono come “troppo zelante” e una “camicia di forza” sugli investimenti pubblici, mettendo in pericolo l’ecologizzazione e la modernizzazione dell’economia tedesca. Per diverso tempo il freno al debito è stato il capro espiatorio dei sottoinvestimenti tedeschi nelle infrastrutture: ferrovie, ponti, scuole e infrastrutture digitali.

Questo non è vero. In primo luogo, i €60 miliardi rappresentano solo circa l’1,5% del PIL e difficilmente rappresentano un punto di svolta in un Paese come la Germania dove il governo spende ben il 50% del PIL. In secondo luogo, se la Germania non riesce a finanziare gli investimenti pubblici con questa enorme dotazione di bilancio, allora il problema è altrove: consumi pubblici eccessivi, spesa sociale eccessiva, burocrazia asfissiante e normative ambientali.

Come controesempio, in Corea gli investimenti pubblici in rapporto al PIL sono più del doppio che in Germania, mentre la spesa pubblica totale è circa la metà (cioè il 25% del PIL), e non ci sono molte lamentele nei confronti delle infrastrutture coreane. In terzo luogo, la regola fiscale tedesca è piuttosto flessibile in quanto persegue un obiettivo di deficit strutturale nel corso del ciclo economico e consente clausole di salvaguardia in caso di emergenza in modo da non penalizzare gli investimenti in tempi di aggiustamento fiscale.

In linea di principio, le regole fiscali non costituiscono un ostacolo agli investimenti pubblici; garantiscono solo che quest’ultimo sia finanziato in modo trasparente dalle entrate fiscali e non dai deficit pubblici e dal debito galoppante. La stessa indagine dell’Amministrazione federale delle finanze svizzere ha mostrato che la maggior parte degli studi esaminati suggerisce che le regole fiscali possono compromettere gli investimenti pubblici solo se applicate rigidamente, mentre le regole fiscali con flessibilità incorporata non compromettono gli investimenti pubblici. In realtà si può sostenere che disciplinando i consumi correnti, riducendo l’onere del debito e minimizzando il costo del capitale, le regole fiscali offrono maggiore margine di manovra per gli investimenti, sia pubblici che privati. Il Grafico 2 mostra che i Paesi con regole fiscali rigide, come Svizzera e Svezia, hanno in realtà investimenti pubblici più elevati rispetto ai più dissoluti Regno Unito e Stati Uniti, mentre la Germania non resta molto indietro.

Grafico 2: Investimenti pubblici. Fonte: dati tratti da “Government at a Glance 2023”, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, consultati il 31 gennaio 2024


Investimenti pubblici & investimenti di mercato

Un elemento chiave che la maggior parte degli esperti sembra ignorare è che non tutti gli investimenti pubblici sono utili e produttivi. È un dato di fatto, gli investimenti pubblici possono essere piuttosto dispendiosi se sono motivati ​​politicamente, mal pianificati, gestiti burocraticamente e soggetti a frode e corruzione. Secondo il Fondo monetario internazionale i Paesi sprecano in media circa un terzo della spesa per le infrastrutture a causa di inefficienze, e la perdita può arrivare fino alla metà in quei Paesi a basso reddito. Secondo Murray Rothbard gli investimenti pubblici rappresentano una deviazione delle risorse economiche dai loro usi più produttivi determinati dagli individui nei processi di mercato. Attraverso un’errata allocazione dei fattori di produzione, l’utilità sociale ed economica della spesa pubblica può essere negativa in molti casi.

Le inefficienze degli investimenti pubblici sono certamente più limitate nel caso della Germania che nei Paesi a basso reddito. Tuttavia la transizione della Germania verso la neutralità dell'anidride carbonica entro il 2045 è un progetto motivato politicamente. La sua giustificazione scientifica e le azioni politiche proposte sono altamente discutibili e non hanno nulla a che fare con le preferenze dei consumatori. La maggior parte degli “investimenti verdi” sono in realtà un mucchio di sussidi per fabbriche di veicoli elettrici e batterie, infrastrutture di ricarica, piste ciclabili, capacità di produzione di idrogeno e altri progetti che gli individui altrimenti non avrebbero intrapreso.

Inoltre il fondamento democratico di questo mega progetto nazionale è molto fragile. La transizione verde comporta un prezzo enorme, stimato in circa €6.000 miliardi, ovvero il 150% del PIL tedesco. Normalmente richiederebbe un voto tramite referendum piuttosto che l’attuazione tramite decisioni dall’alto da parte di politici vicini al Partito dei Verdi. Quest'ultimo ha ottenuto solo il 15% dei voti nelle ultime elezioni e da allora il suo sostegno pubblico è diminuito. Come gli svizzeri, anche la maggioranza dei tedeschi sostiene invece il freno all'indebitamento, secondo un sondaggio dell'emittente ZDF.

Probabilmente è giunto il momento che le élite politiche tedesche riconoscano che la loro ambiziosa agenda verde è difficilmente sostenibile, dato il debole potenziale di crescita del Paese e l’enorme fardello del suo stato sociale. Invece di rimuovere il freno all’indebitamento e finanziare gli enormi costi della transizione verde attraverso la porta sul retro, dovrebbero piuttosto chiederne l’approvazione pubblica in modo democratico.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 18 ottobre 2022

La Grande Inversione del sistema bancario centrale

 

 

di David Stockman

La Grande Inversione del sistema bancario centrale è ora in corso in tutto il mondo, ma non è quello per cui Wall Street ha pregato. Invece di un altro giro di droga monetaria per frenare l'evidente calo dell'attività economica, le banche centrali stanno gareggiando per alzare i tassi d'interesse di 75 o addirittura 100 punti base per fermare l'impennata dell'inflazione.

Di recente, ad esempio, la Riksbank, finora accomodante, ha lasciato salire il tasso di riferimento di 100 punti base, sconvolgendo il mercato. Non molto tempo fa, al contrario, la banca centrale svedese sembrava essersi bloccata per sempre nella politica dei tassi d'interesse a zero (ZIRP).

Ma ecco il punto: anche dopo un rialzo di 100 punti base, il tasso di riferimento della Riksbank sarà solo dell'1,75% in un contesto in cui l'IPC svedese di agosto si è attestato al 9,8% annuo.

Proprio così. Il tasso d'inflazione svedese ha accelerato a un ritmo infernale, ma fino a ieri la banca centrale si è accontentata di una politica sostanzialmente a tassi zero, dando così al concetto “essere in ritardo” una definizione del tutto nuova.

Inoltre questa accelerazione dell'inflazione non è stata il risultato solo dell'energia o di altre pressioni esogene derivanti dai mercati globali. Come spiegato dallo stesso Tradingeconomics, l'aumento dell'inflazione in Svezia è ampiamente basato sulla maggior parte dei settori:

È stato il tasso d'inflazione più alto sin dal giugno del 1991, con i prezzi dei prodotti alimentari e delle bevande analcoliche che sono balzati del 14%, il massimo sin dal febbraio 1984 (contro il 13,5% di luglio). Ulteriori pressioni al rialzo sono arrivate anche dal costo degli immobili e dei servizi pubblici (15,1% contro 9,1%), trasporti (9,6% contro 12,4%), ricreazione e cultura (3,9% contro 3,8%), ristoranti e hotel (9,8% contro 8,9%), e beni e servizi vari (5,1% contro 5,4%).

Fonte: tradingeconomics.com

L'azione della Riksbank, quindi, è sintomatica. Il sistema bancario centrale a livello mondiale insegue da anni la chimera della "bassa inflazione". Così facendo ha inondato i mercati finanziari con enormi quantità di liquidità e credito in eccesso, mentre si posizionava sempre più in ritardo rispetto alla curva dell'inflazione che si stava implicitamente caricando a molla nel sistema.

Ricordiamo che nel 2003 i bilanci combinati delle banche centrali mondiali ammontavano a $4.700 miliardi e ora ammontano a quasi $$43.000 miliardi. Quest'ondata di liquidità, a sua volta, ha posto le basi per l'impennata dell'inflazione dei prezzi, prima in quelli degli asset finanziari e ora in beni e servizi a causa delle perturbazioni del mercato delle materie prime innescate dalla sfrenata guerra delle sanzioni di Washington/NATO contro la Russia e dalle ripercussioni dei lockdown sulle catene di approvvigionamento mondiali.

Quindi le banche centrali hanno fatto invesione di marcia da un estremo all'altro, passando dallo stimolo di una maggiore inflazione a un disperato tentativo di reprimere le pressioni inflazionistiche che stanno rapidamente diventando strutturali nell'architettura dei costi salariali.

Infatti questo è stato il cuore del rialzo da 100 punti base della Riksbank:

"Il rischio è ancora grande che l'inflazione diventi strutturale ed è estremamente importante che la politica monetaria agisca per garantire che l'inflazione si riduca e si stabilizzi", hanno affermato i funzionari svedesi in una nota. "La politica monetaria ora deve agire più di quanto previsto a giugno".

[...] "Sarebbe ancora più doloroso per l'economia svedese se l'inflazione rimanesse agli attuali livelli elevati", hanno affermato gli stessi funzionari. "Rialzando ulteriormente il tasso di riferimento ora, si riduce il rischio di un'inflazione elevata a lungo termine e quindi la necessità di una stretta monetaria ancora maggiore in futuro".

La motivazione di cui sopra è il mantra essenziale di tutte le banche centrali, inclusa la FED. Fino a quando non avranno prove definitive che le pressioni sui costi salariali si stanno attenuando, continueranno a lasciar salire i tassi. Dopotutto, come il proverbiale falegname, quando il tuo unico strumento è un martello, vedi chiodi da tutte le parti.

Nel caso dell'azione della Riksbank, infatti, c'è stata un'ulteriore goccia che ha fatto traboccare il caso. Vale a dire, a differenza della FED, della BCE e di altre banche centrali in ritardo che ora hanno tirato il freno a mano, la banca centrale svedese ha anche previsto che il prossimo anno porterà una vera e propria recessione:

La Riksbank ha tagliato tutte le sue previsioni di crescita e ora prevede che l'economia svedese si contrarrà dello 0,7% il prossimo anno invece di espandersi di tale cifra.

Naturalmente c'è sempre un attore che non riceve il messaggio e questo è il caso della BOJ (Banca del Giappone). Si attiene ancora al suo folle piano di "controllare la curva dei rendimenti", il che significa che acquisterà quantità illimitate di debito pubblico per mantenere il decennale giapponese ancorato al livello ridicolo dello 0,25%.

Ma l'ostinazione della BOJ non è in realtà un valore anomalo o un'aberrazione. Al contrario, è sintomatico di dove tutte le banche centrali mondiali dominate dai keynesiani si trovassero solo pochi mesi fa: attaccate all'idea sbagliata che il livello tendenziale dell'inflazione fosse troppo basso perché gli indici erano al di sotto del sacro obiettivo del 2,00%.

Ora anche l'IPC giapponese è in aumento, pertanto Bloomberg ha osservato che,

L'inflazione del Giappone ha accelerato al ritmo più veloce degli ultimi tre decenni, escludendo le distorsioni dell'aumento delle tasse, e creando grattacapi per la banca centrale questa settimana, la quale cerca di spiegare perché ha bisogno di continuare con lo stimolo monetario quando l'inflazione è molto al di sopra del suo obiettivo del 2%.

Infatti l'aumento annuo dell'IPC principale è passato dallo 0,2% di settembre 2021 al 3,0% di agosto 2022. Si tratta di un aumento di 15 volte.

Variazione annua dell'IPC giapponese, settembre 2021-agosto 2022

Tuttavia il capo della BOJ, Kuroda, e i suoi pappagalli nei mercati finanziari credono che l'inflazione di fondo del Giappone sia ancora troppo bassa e che la BOJ dovrebbe continuare a pompare un'enorme quantità di credito nel sistema fino a quando i banchieri centrali non concluderanno che l'inflazione ha raggiunto il sacrosanto obiettivo del 2,00% su base sostenibile.

"L'attuale inflazione spinta dai costi è negativa per i consumatori, ma la BOJ continuerà ad essere accomodante, sperando che alla fine si trasformi in un'inflazione positiva", ha affermato l'economista Yuichi Kodama del Meiji Yasuda Research Institute. "La linea di politica della banca centrale non cambierà fino alla scadenza del mandato di Kuroda, poiché questa è l'ultima, grande opportunità per Kuroda di rilanciare davvero l'inflazione".

Nelle ultime tre parole potete vedere il vero disturbo dell'era presente. I pianificatori monetari centrali si sono agganciati all'assurda idea che il compito delle banche centrali sia far salire l'inflazione. Solo 25 anni fa l'idea stessa sarebbe stata derisa, anche dagli economisti keynesiani.

Ma il pensiero di gruppo è una cosa contagiosa e negli ultimi due decenni ha completamente infettato tutte le banche centrali più significative del mondo. Di conseguenza il pompaggio monetario sfrenato è andato ben oltre qualsiasi cosa precedentemente immaginata.

Ciò significa, ovviamente, che domare questo ciclo d'inflazione globale è un gioco completamente nuovo. La prossima carneficina finanziaria ed economica, quindi, farà sembrare le azioni di Volcker quattro decenni fa come un picnic nel parco.

Ci basta prendere in considerazione la rapidità con cui i tassi d'interesse stanno salendo senza che sia ancora visibile un rallentamento della dinamica dell'inflazione. Il rendimento obbligazionario a due anni, molto più sensibile alle aspettative sui tassi d'interesse a breve termine, è salito al 3,946%, il livello più alto sin dal 2007.

Ancora più importante, il grafico qui sotto rende evidente che i trader del debito pubblico sono fuori strada davanti ai sonnambuli dell'Eccles Building. Cioè, il biennale statunitense è aumentato di quasi 400 punti base sin dal suo minimo rispetto ai soli 215 punti base del tasso di riferimento della FED.

Detto diversamente, i trader di obbligazioni si stanno svegliando dal loro sonno pluridecennale. La "FED put" sul mercato obbligazionario, altrimenti nota come allentamento quantitativo (QE), non esiste più, anche se vendesse $95 miliardi al mese in obbligazioni sovrane (QT) nel suo disperato sforzo di smorzare l'inflazione.

Ciò che colpisce del grafico qui sotto è la velocità e l'ampiezza con cui il mercato precedentemente sonnolento delle obbligazioni sovrane si è adeguato all'inversione di marcia del sistema bancario centrale. E c'è molto di più che ancora deve venire.

Di conseguenza la salita dei tassi d'interesse in un mercato obbligazionario risvegliato è ciò che sta effettivamente avvenendo ora. In un'economia gravata da $88.000 miliardi tra debito pubblico e privato, questa è sicuramente una ricetta per la carneficina.

Rendimento del biennale statunitense, da febbraio 2020 a settembre 2022

Allo stesso modo, anche il rendimento del decennale statunitense sta riprendendo vita. Di recente è salito al 3,489%, il livello più alto sin dal 2011, ma questo è stato solo un riscaldamento.

Inutile dire che c'è ancora molta strada da fare per riportare il titolo di riferimento del governo a un rendimento che sia in territorio sostenibile in termini reali (aggiustato all'inflazione). A sua volta, ciò significa grossi problemi per il mercato azionario, anche su base tecnica.

Vale a dire, il famigerato trading in base al concetto TINA (non c'è alternativa) è pronto per unirsi alla regina Elisabetta nell'aldilà. Secondo Strategas meno del 16% delle azioni S&P 500 ha rendimenti da dividendi superiori al rendimento del titolo del Tesoro statunitense a due anni e meno del 20% ha rendimenti da dividendi maggiori del rendimento del titolo del Tesoro statunitense a 10 anni.

Questi numeri segnano la quota più bassa sin dal 2006, eppure la battaglia della FED contro l'inflazione è appena iniziata.

A dire il vero, i tori non sono ancora pronti a rinunciare al fantasma e sono inesorabilmente ingegnosi quando si tratta d'individuare false prove che l'inflazione scenderà e che la FED sarà presto libera di tornare al pompaggio monetario che abbiamo visto negli ultimi tre decenni.

Non così in fretta. L'inflazione è un fenomeno complesso e multivettoriale, solo perché i numeri mensili possono sempre essere scelti con cura, il che implica che le pressioni inflazionistiche si stanno attenuando, ciò non significa che la battaglia sia stata vinta.

Ad esempio, una nuova illusione è che l'aumento dei canoni di locazione stia finalmente diminuendo, a causa del recente indebolimento del mercato immobiliare. Come mostrano le barre blu nel grafico qui sotto, il tasso di variazione mensile è ancora molto elevato per gli standard della storia recente, ma è notevolmente in calo rispetto ai livelli massimi dello scorso autunno.

Vero, ma il problema è che tutte quelle barre blu sul lato destro del grafico sono cumulative. Le famiglie reali si trovano ora ad affrontare aumenti annuali degli affitti più del doppio di quelli del recente passato su base annua.

Sono questi grandi morsi sugli stipendi che hanno fatto salire vertiginosamente richieste di aumenti salariali, alimentando così la spirale salari-prezzi che ora ha una forte spinta. Ed è questa spirale, a sua volta, che prolungherà il periodo di alta inflazione e terrà saldamente i piedi della FED sui freni monetari.

Variazione annua dell'IPC per gli affitti delle case, dal 2018 al 2022

Guarda caso, la FED dovrebbe seguire l'esempio svedese e puntare tutto su 100 punti base. Non pensiamo che abbia il coraggio, ovviamente, ma in realtà non importa.

Prima o poi i tassi d'interesse dovranno raggiungere livelli tali da ripristinare i reali rendimenti post-inflazione per gli investitori effettivi, al contrario degli stampatori folli nel sistema bancario centrale che per anni hanno compensato il mercato a livelli falsati.

E questo è il vero significato della Grande Inversione del sistema bancario centrale.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 15 aprile 2021

Un disastro incombe, sì, ma a causa dei lockdown e non del virus

 

 

di David Stockman

Non ci risparmieremo con le parole. L'America sta davvero soffrendo di una pericolosa piaga, una piaga di misantropo allarmismo da parte di artisti del calibro di Fauci, la sua amica con la sciarpa e il nuovo direttore del CDC, tra gli innumerevoli altri della compagine "feticisti del virus".

Tutti e tre si sono rivolti ai media mainstream negli ultimi giorni, con il nuovo direttore del CDC, Rochelle Walensky, che ha fatto ricorso al solito copione per suonare l'ennesimo allarme Covid:

"Rifletterò sulla sensazione ricorrente che ho di disastro imminente",  ha detto la Walensky, sembrando trattenere le lacrime.

"Non possiamo permetterci il lusso dell'inazione. Per la salute del nostro Paese, dobbiamo lavorare insieme ora per prevenire una quarta ondata".

Che cosa? Dove?

Ecco la fonte del presunto disastro. Bene, se avete la lente d'ingrandimento a portata di mano potreste forse individuarla: lo scarabocchio laggiù nella casella gialla!

In realtà, non aveva ancora finito. Quando si tratta di dipingere in base ai numeri l'esagerazione e l'isteria, quanto segue è difficile da superare.

Sembra che la ragione dell'allarme della Walensky sia che dal picco della stagione influenzale (13 gennaio), quando la media mobile a 7 giorni riportava 251.912 cosiddetti "nuovi casi", il tasso a 7 giorni era crollato del 77,8% (a 55.840) il giorno successivo (15 marzo), ma al 28 marzo era in calo solo, ehm, del 75,3%!

La nazione sta registrando una media a sette giorni di circa 57.000 nuovi casi di Covid-19 al giorno, un aumento del 7% rispetto all'ultima settimana, ha detto il direttore del CDC Rochelle Walensky durante un briefing della Casa Bianca sulla pandemia.

È davvero incredibile assistere a questo tipo di menzogna calcolata, comprese le lacrime fuori dal copione.

Questo soprattutto perché è ormai un dato di fatto che oltre il 60-80% di questi "nuovi casi" non sono affatto casi medici: sono individui asintomatici che sono stati tamponati e le cui secrezioni nasali vengono sottoposte a 35-40 giri sul test PCR, il cui immenso ingrandimento genera sistematicamente falsi positivi sulla base di frammenti di RNA innocui e detriti virali morti.

Tuttavia, con solo 15.000-20.000 casi infetti al giorno nella migliore delle ipotesi, di cui il 95% non si tradurrà in grave malattia, ospedalizzazione o morte, il capo del CDC grida al lupo ancora una volta.

"Rimango profondamente preoccupato per questa traiettoria", ha detto la Walensky. "Abbiamo visto casi e ricoveri ospedalieri passare da cali storici a stagnazioni ed aumenti. Sappiamo dalle ondate precedenti che se non controlliamo le cose ora, la curva epidemica salirà di nuovo".

La Walensky ha esortato la popolazione a "prendere molto sul serio questo momento", aggiungendo che le persone dovrebbero continuare ad indossare mascherine, rispettare le distanze ed evitare la folla o viaggiare. "Possiamo cambiare la situazione, ma tutti noi dobbiamo lavorare insieme", ha aggiunto.

Abbiamo messo in grassetto l'ultima frase perché questa è la vera essenza della classe politica. Sono sempre alla ricerca di quei mali della società, alcuni reali, altri per lo più immaginari, che richiedano un'azione collettiva orchestrata dallo stato per porvi rimedio. Dopotutto è così che ottengono potere nell'arena della politica e del governo, e su questo punto l'isteria per il Covid è stata fatta su misura.

Al contrario, in un sistema di mercati spontanei e ordine sociale, decine di milioni di persone non infette o asintomatiche non avrebbero mai ricevuto i test Covid in primo luogo, e certamente non avrebbero messo in quarantena o interrotto la loro normale vita economica e sociale.

Tutto ciò derivava dalla credenza errata che il coronavirus fosse una sorta di equivalente moderno della peste nera, ma con un quid orribilmente perverso: per fermare la sua diffusione il sano deve essere isolato a casa o forzato ad indossare mascherine in base alla possibilità infinitesimale che possa inconsapevolmente avere una carica virale sufficiente da trasmettere il patogeno nella comunità.

Il fatto è che, nei tempi più oscuri dei secoli precedenti, si mettevano in quarantena i malati, non i sani; e quando le persone si ammalavano a causa di agenti patogeni seriamente pericolosi, rimanevano a casa perché erano troppo malate per girovagare.

Detto in modo diverso, di fronte a gravi contagi generali, la società non aveva bisogno della burocrazia che battesse costantemente il tam-tam per indurre cambiamenti nei comportamenti.

Al contrario, in mezzo a vere e proprie pandemie, le comunità hanno rapidamente colto i pericoli e si sono organizzate per farvi fronte. E quando i malati rimanevano a casa o si curavano o venivano curati in strutture di isolamento, i contagi ed il virus alla fine andavano a morire.

Non questa volta. Non c'è stata alcuna difesa spontanea della comunità perché il Covid è letale solo per un piccolo sottogruppo della popolazione, composto da persone molto anziane con un sistema immunitario debole e comorbidità potenzialmente letali.

Oltre a ciò, la "scienza" non fornisce alcuna base per l'idea che le persone sane o asintomatiche trasmettano il virus, visto che per il 95% della popolazione non è un patogeno letale.

Invece la "diffusione nella comunità" è solo un artificio che è stato spacciato come "scienza" a supporto dei lockdown ed è diventato la base per l'intero regime da legge marziale che è stato difeso sin dal marzo 2020.

In ogni caso, l'assurdità della questione è stata cristallizzata questo fine settimana da Anthony Fauci che da solo ha preso in giro "la scienza" e la Costituzione degli Stati Uniti negli ultimi 14 mesi:

"Quando i bambini escono nella comunità, volete che continuino ad indossare mascherine quando interagiscono con altri gruppi o famiglie", ha  proclamato Fauci durante un'apparizione su CBS News.

Fauci ha aggiunto che "i bambini possono chiaramente finire per essere infettati" anche se altri bambini con cui giocano sono stati vaccinati contro il coronavirus.

Rispetto alla frase in grassetto, di cosa diavolo sta parlando?

I bambini vengono infettati da tutti i tipi di germi che passano nelle aule e nei parchi giochi, ma nel caso del Covid, pochi di loro si ammalano, praticamente nessuno viene ricoverato in ospedale e, per fortuna, per una frazione quasi invisibile diventa fatale.

Infatti, dopo un anno intero di questa isteria, ecco cosa sappiamo dei "ragazzini": ce ne sono 73,2 milioni in America (di età pari o inferiore a 17 anni), ma solo 238 di loro sono segnalati dallo stesso CDC nella categoria "tutte le morti che coinvolgono il Covid-19".

In termini statistici, ciò rappresenta solo 0,3 morti ogni 100.000 abitanti. Inutile dire che qui stiamo praticamente spaccando il capello in quattro, ma ecco altri tre modi per esprimere lo stesso concetto:

  1. Per la stessa popolazione di 17 anni e più giovane durante lo stesso periodo (settimane dal 1 febbraio 2020 al 24 marzo 2021), il tasso di mortalità per tutte le cause diverse dal Covid è stato di 51,9 ogni 100.000 abitanti o 160 volte superiore;
  2. Il tasso di mortalità CON Covid per la popolazione veramente vulnerabile di 85 anni e oltre è stato di 2.460 ogni 100.000 o 7.500 volte superiore;
  3. L'associazione pediatrica stima che i ragazzini rappresentino il 13% dei "casi" Covid, ma hanno rappresentato solo lo 0,05% dei decessi, il che significa che il tasso di sopravvivenza è del 99,993%.

E non è tutto. Anche le tabelle CDC mostrano che quasi il 20% dei decessi CON Covid in questa coorte di età includeva le polmoniti e che c'erano anche 602 decessi per polmonite che non includevano un test Covid positivo o una diagnosi del medico.

Detto in modo diverso, tra l'intera popolazione giovanile di 73,2 milioni, ci sono stati 194 decessi PER Covid contro 602 casi di polmonite e altri 179 decessi attribuibili all'influenza.

Allora perché Fauci è preoccupato che i bambini vengano "infettati?"

La risposta è semplice: non lo è.

Il suo gioco è fermare la diffusione fine a se stessa e prendere 73 milioni di bambini in ostaggio.

Infatti, in un'altra intervista, ha detto al servile presentatore della CBS che 10.000 casi aggiuntivi, per lo più falsi positivi, sono un nuovo promemoria del fatto che la normalizzazione è ancora un grave errore. Ha dato il permesso che forse a metà estate le persone possano tornare ai parchi di baseball, ma solo se si siedono lontano e indossano una mascherina!

Prendiamo in considerazione i seguenti dati. Le morti aggiustate per età da tutte le fonti durante l'anno 2020 sono ora disponibili e la sottile barra verde sul margine più a destra parla da sola.

Il tasso di mortalità aggiustato per età negli Stati Uniti è stato solo un po' al di sopra del suo livello recente, e in realtà molto inferiore a quello che era durante l'intero periodo di 105 anni tra il 1900 e il 2005. Eppure ci viene ancora detto che un disastro è imminente e Sleepy Joe sta invitando i governatori di alcuni degli stati rossi che sono finalmente tornati in sé a reimporre il requisito della mascherina obbligatoria.

Gente, è palese ormai: ai feticisti del virus non interessa e non è mai interessata la salute pubblica.

È una scusa per aumentare il controllo sociale e l'esaltazione dello stato, potere che la classe politica è ora determinato a perpetuare indefinitamente con nuove varianti, nuovi pretesti e nuovi assalti alla libertà costituzionale, alla sanità fiscale e alla prosperità del libero mercato.

Nonostante quanto sopra, possiamo immaginare un agente patogeno mortale come l'ebola, trasmissibile come il peggior ceppo di SARS-CoV-2 e falcidiatore di tutti, indipendentemente dall'età, dallo stato di salute o dalle misure profilattiche adottate. Anche se ciò potrebbe giustificare un radicale blocco economico e una campagna governativa per fermare la diffusione sulla base del fatto che la società è stata letteralmente invasa da un esercito di agenti patogeni fatali, il punto cruciale è questo: il Covid ha dimostrato di essere esattamente l'opposto di quel teorico patogeno mortale.

In verità, i dati seguenti ci dicono tutto ciò che dobbiamo sapere sul motivo per cui i feticisti del virus hanno avuto torto marcio. Gli interventi non farmaceutici (INF) non erano giustificati sin dall'inizio, così come l'implacabile campagna statale per fermare la diffusione del coronavirus.

Il motivo è semplice: il Covid è un patogeno che rappresenta un problema serio per i segmenti più vulnerabili della popolazione. Cioè, quelli che mostrano le fragilità immunologiche della vecchiaia, comorbidità potenzialmente letali o rare predisposizioni genetiche ad una reazione eccessiva del sistema immunitario, specialmente sotto forma di tempeste di citochine in cui il corpo umano essenzialmente si auto-attacca e si uccide.

Sulla base dei risultati di studi sierologici (cioè test del siero del sangue per gli anticorpi), fino ad oggi sono stati infettati più di 125 milioni di americani, anche se la maggior parte di loro non è stata sintomatica o confermata tale tramite il test PCR del tutto inaffidabile.

Anche tra i 30 milioni che sono risultati positivi, inclusi molti individui che sono risultati positivi più volte per liberarsi dalle restrizioni del governo o dei datori di lavoro, meno di 10 milioni sono stati gravemente malati, meno di un milione sono stati ricoverati in ospedale e circa 525.000 sono morti.

Ciò equivale ad un  IFR (tasso di mortalità per infezione) dello 0,4%, che non è equivalente alla peste nera o all'ebola. Punto.

Infatti, anche a questo livello più aggregato, il Covid non si presenta come un esercito di predoni della morte. In nessun modo merita l'aggettivo "mortale" che invece è diventato automatico nella narrativa mainstream.

Questo è il tasso di mortalità ogni 100.000 abitanti dal 1° febbraio 2020 al 24 marzo 2021 e i dati sulla mortalità sono estratti dal conteggio dei decessi CON Covid del CDC.

Popolazione/Morti CON Covid/tasso ogni 100.000 abitanti per coorte di età: 

• 0-17 anni: 73,2 milioni di persone/238 morti/0,33 ogni 100.000 abitanti;

• 18-29 anni: 53,6 milioni di persone/1.916 morti/3,6 ogni 100.000 abitanti;

• 30-49 anni: 84,5 milioni di persone/20.717 morti/24,5 ogni 100.000abitanti;

• 50-64 anni: 62,9 milioni di persone/78.883 morti/125,4 ogni 100.000 abitanti;

• 65-74 anni: 31,5 milioni di persone/115.381 morti/366,4 ogni 100.000 abitanti;

• 75-84 anni: 16,0 milioni di persone/146.310 morti/916,2 ogni 100.000 abitanti;

• 85+ anni: 6,6 milioni di persone/162.583 morti/2.460,0 ogni 100.000 abitanti;

• Tutte le età: 328,2 milioni di persone/526.028 morti/160,3 ogni 100.000 abitanti.

In termini arrotondati, quanto sopra mostra che l'81% di tutti i decessi CON Covid sono stati tra il 16% della popolazione (54,1 milioni) di età pari o superiore a 65 anni. Al contrario, il 64,4% della popolazione sotto i 50 anni (211,4 milioni) ha visto solo il 4,4% dei decessi CON Covid conteggiati dal CDC.

Eppure è la popolazione sotto i 50 anni che ha sopportato il peso maggiore dei lockdown e delle misure non farmaceutiche. Queste misure non sono state imposte per la loro protezione, poiché i loro rischi di morte per Covid erano infinitesimali rispetto ai rischi ordinari della vita.

Come mostrato nella tabella seguente, il rischio di morte per tutte le cause diverse dal Covid durante gli ultimi 14 mesi per la coorte 18-29 anni è stato di 183,1 ogni 100.000 abitanti. Questo è 51 volte maggiore rispetto al 3,6 ogni 100.000 abitanti per il rischio di morte per Covid durante lo stesso periodo.

Anche nel caso della popolazione tra i 30-49 anni, le tutte le cause (diverse dal Covid) rischio di morte erano 283,3 ogni 100.000 abitanti, o il 12X maggiore dell'incidenza dei decessi CON Covid (24,5 ogni 100.000 abitanti).

Ovviamente i feticisti del virus potrebbero sostenere che le morti CON Covid erano prevenibili da severi lockdown e altre misure non farmaceutiche, mentre le morti per, diciamo, malattie cardiache o respiratorie non lo erano. Infatti è esattamente quello che la compagna di merende di Fauci, la dottoressa Birx, ha sostenuto di recente.

Ecco la media mobile a sette giorni dei decessi CON Covid per due degli stati più aperti (Texas e Florida) rispetto alla capitale dei lockdown ovvero la California. Negli ultimi 370 giorni, le curve sono aumentate e diminuite praticamente di pari passo con la normale stagionalità influenzale, e negli ultimi mesi la California ha preso una svolta peggiore rispetto al Texas e alla Florida.

Infatti, da quando il governatore Abbott ha visto tardivamente la luce e ha aperto completamente il Texas all'inizio di marzo, i dati sono così convincenti da prendere in giro la Birx per la sua ignoranza.

Texas: media dei nuovi casi a 7 giorni: 

• 2 marzo (prima): 6.663

• 28 marzo (dopo): 3.320

Texas: media di nuovi decessi a 7 giorni: 

• 2 marzo (prima): 231

• 28 marzo (dopo): 107

Il fatto è che ora ci sono prove schiaccianti sia tra gli stati che tra i diversi Paesi che le grandi disparità nei regimi di controllo Covid non hanno fatto alcuna differenza in termini di mortalità e altri risultati di salute. La dottoressa Birx non parlava di scienza, sputava sopraffazione politica.

A livello internazionale, il caso della Svezia dovrebbe finalmente dire a Fauci, alla Birx e al resto dei feticisti del virus di stare zitti e tornare a casa. Dopo 14 mesi di ferma resistenza al modello di lockdown di Wuhan, che è stato follemente adottato negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in gran parte dell'Europa occidentale, metà della Svezia dovrebbe essere morta e sepolta ormai.

Infatti, sulla base dei dati preliminari dell'agenzia statistica dell'UE Eurostat, la Svezia ha avuto il 7,7% di decessi in più nel 2020 rispetto alla media dei quattro anni precedenti. Al contrario, i Paesi che hanno optato per diversi periodi di rigorosi blocchi, come la Spagna e il Belgio, hanno avuto la cosiddetta mortalità in eccesso del 18,1% e del 16,2% rispettivamente.

In tutto, ventuno dei 30 Paesi con statistiche disponibili hanno avuto esiti di mortalità in eccesso più elevati rispetto alla Svezia.

Ecco il punto: l'errato regime universale adottato dai consiglieri di Trump nel marzo 2020 non è avvenuto perché i governi federali e locali non erano in grado di prendere misure protettive sui 54 milioni di abitanti della nazione più vulnerabili.

Il governo federale (tramite Medicare/Medicaid) conosce i numeri di previdenza sociale, i medici preferiti e le strutture sanitarie e le condizioni mediche di ogni singolo americano di età superiore ai 65 anni.

Allora perché non è stato adottato questo approccio mirato?

C'è una risposta molto semplice e profondamente inquietante: non c'era nulla in questo approccio mirato che potesse conferire potere e controllo a coloro che ne erano in cerca.

Inutile dire che questo trambusto incostituzionale, non pianificato e disorganizzato di interventi si è trasformato in un incubo totalitario nel giro di poche settimane.

Ma anche allora non c'erano scuse. I dati della nave da crociera colpita dal Covid chiamata Diamond Princess erano già presenti e hanno dimostrato che anche tra una popolazione di anziani di circa 3.711 ospiti e membri dell'equipaggio, di cui 712 (19%) erano casi confermati o sono diventati sintomatici o malati, solo una piccola frazione necessitava di cure ospedaliere e solo 14 sono morti.

Ciò ha portato ad un IFR di appena lo 0,4%, supponendo che tutti i passeggeri fossero stati infettati. Nel peggiore dei casi, l'IFR era del 2,0% se si presume l'improbabilità che solo i 712 passeggeri testati e diagnosticati come Covid positivi fossero stati infettati.

Inoltre tra l'equipaggio della nave di 1.045 membri con un'età media di 36 anni, ci sono stati 145 casi positivi, ma zero morti.

Tra i 2.666 passeggeri a bordo con età media di 69 anni, invece, ci sono stati 567 casi positivi. Eppure tutte le vittime sono state tra i passeggeri molto anziani e praticamente tutti coloro che sono morti erano tra i 70 e gli 80 anni.

In breve, quando il 14 aprile è morto il 14° passeggero, che aveva circa 70 anni, l'intero profilo del Covid era stato testato e delimitato: non era un agente patogeno mortale per la società nel suo insieme, ed è stato fatale solo per un piccolo sottogruppo della popolazione anziana di oltre 70 anni.

Invece gli apparati della sanità pubblica hanno trasformato la risposta Covid del governo federale in una crociata politica contro tutta la società per realizzare l'impossibile: estinguere un nuovo virus respiratorio che per sua stessa natura era destinato a diffondersi nella maggior parte dei Paesi e avrebbe potuto gestito meglio con misure protettive mirate ai più vulnerabili.

Sotto questo tipo di strategia la scienza medica sarebbe stata il vero motore. Ci riferiamo a centinaia di migliaia di medici qualificati e istituzioni sanitarie che forniscono cure e trattamenti un paziente alla volta. Cioè, la vera scienza sarebbe stata applicata ai pazienti malati, compreso il tipo di improvvisazioni ad hoc e trattamenti che emergono rapidamente dalla comunità medica decentralizzata quando si presenta una nuova minaccia sanitaria.

Al contrario, invece, abbiamo visto un controllo sociale goffo, spesso brutale, direzionato principalmente da burocrati che non erano nemmeno lontanamente competenti per gestire qualcosa di così straordinariamente complesso e interdipendente come l'economia e l'ordine sociale. E qualunque fossero i loro consigli, regole e ordini ad hoc e in continua evoluzione, non era "la scienza".

Se c'erano dei dubbi, Biden li ha fugati questa settimana quando ha invitato i governatori degli stati rossi a ripristinare gli obblighi di amscherine e ha adottato lo stesso linguaggio che è stato usato nella guerra alla povertà di LBJ e la guerra alla droga di Nixon e la guerra all'energia di Carter, tra gli altri: "Siamo ancora in guerra contro questo virus mortale e stiamo rafforzando le nostre difese, ma questa guerra è lungi dall'essere vinta".

Naturalmente in queste guerre fasulle ciò che equivale a rumore statistico viene trasformato in avvertimenti pesanti, come il grido di sventura del direttore del CDC, Walensky, secondo cui ci troviamo di fronte ad un'imminente esplosione della quarta ondata a causa di alcuni minuscoli scarabocchi nei dati sulla mortalità.

Se riuscite riesci ad individuare questo incipiente breakout nel grafico qui sotto, i vostri occhi sono sicuramente migliori dei nostri.

Infatti non c'è un aumento nella stragrande maggioranza degli stati, se tali aumenti di positivi ai test PCR fossero significativi, e non lo sono. Solo sei stati blu, che sono mostrati di seguito, rappresentano la maggior parte dell'aumento nazionale e questi sono i sei regimi più ferrei e pesanti!

Nonostante l'insignificante rumore statistico mostrato sopra, i media mainstream sono stati addestrati a replicare ed amplificare i falsi allarmi emessi dalle autorità.

Bene, ecco il nocciolo della questione: ogni giorno circa 8.200 americani muoiono in media e di più nei mesi invernali e all'inizio della primavera. Quindi la differenza citata nell'articolo ammonta allo 0,7% della media della mortalità giornaliera; è una fluttuazione statistica insignificante, non una notizia.

Inutile dire che questo rumore statistico, anche se annunciato con il fiato sospeso nei media mainstream, rimane pur sempre rumore. Ed è anche una testimonianza della totale mancanza di contesto con cui viene condotta la guerra di Sleepy Joe contro questo presunto "virus mortale".

Come indicato in precedenza, ecco i tassi di mortalità per le stesse sette coorti di età mostrate sopra, ma questa volta per tutte le cause di morte eccetto il Covid. I tassi di mortalità sono una funzione dell'età, ma che rispetto alla curva per tutte le cause illustrate di seguito, l'inclinazione del Covid per gli anziani è in una classe a sé stante.

In altre parole, il rapporto tra i decessi per tutte le cause diverse dal Covid nella popolazione di 85 anni e più è 164 volte superiore a quello della coorte da 0 a 17 anni. E questo non è nemmeno nello stesso range del rapporto 7.455X per l'incidenza delle morti Covid tra gli americani più anziani e più giovani.

Una presa di potere politica non basata sulla scienza è ciò che ha riguardato la cosiddetta crisi Covid sin dall'inizio. È stata l'ennesima crisi definita dalla classe politica e dai suoi subalterni mediatici per facilitare un ulteriore ingrandimento dello stato.

Mortalità per tutte le cause eccetto Covid: numero di morti/tasso ogni 100.000 abitanti, febbraio 2020-marzo 2021: 

• 0-17 anni: 70.731 morti/96,6 ogni 100.000 abitanti;

• 18-29 anni: 98.083 morti/183,1 ogni 100.000 abitanti;

• 30-49 anni: 239.400 morti/283,3 ogni 100.000 abitanti;

• 50-64 anni: 581.170 morti/923,8 ogni 100.000 abitanti;

• 65-74 anni: 694.765 morti/2.206 ogni 100.000 abitanti;

• 75-84 anni: 840.052 morti/5.260 ogni 100.000 abitanti;

• 85 anni e oltre: 1.045.660 morti/15.819 per 100.000 abitanti;

• Tutti i gruppi di età: 3.509.979 morti/1.069 ogni 100.000 abitanti.

Né questi dati sono unici per gli Stati Uniti. Il Covid è un bullo aggressivo in tutto il mondo ma solo con gli anziani.

Ma piuttosto che proteggere le due classi più basse della popolazione, il Covid è diventato una scusa per gli arresti domiciliari e per la privazione dei diritti economici e sociali della maggior parte della popolazione che non è mai stata in serio pericolo, come il grafico qui sotto rende straordinariamente chiaro.

Eppure i burattinai che hanno preso il potere non hanno intenzione di rinunciarvi, nonostante le vaccinazioni, l'immunità di gregge e il crollo dei casi.

Questo è il vero disastro imminente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 24 agosto 2020

La tirannia del pensiero di massa

 

 

di David Stockman

Il mercato (S&P 500) è trattato ai più alti multipli PE dal novembre 1999, ma la stampa finanziaria è piena di chiacchiere mendaci che affermano che non c'è alcuna bolla. Ad esempio, per celebrare il massimo storico di martedì sull'indice S&P 500, un certo James Mackintosh sul Wall Street Journal non è stato affatto criptico: "La presunta Everything Bubble è nell'immaginazione dei molti investitori che se ne lamentano. Primo, non è in tutto. Secondo, non è una bolla".

Proprio così. Presumibilmente l'affermazione di cui sopra è vera perché i prezzi delle azioni del settore energetico languiscono, ma il mercato è guidato dai giganti della tecnologia dove (presunte) solide prospettive di crescita degli utili vengono premiate con multipli PE più alti grazie ai tassi d'interesse estremamente bassi.

La pigrizia e il conformismo dei cosiddetti giornalisti finanziari di oggi è una meraviglia da vedere. Quando il leader dei titoli tecnologici, Apple, ha attraversato per la prima volta la barriera della capitalizzazione di mercato di $2.000 miliardi, incarnando così una capitalizzazione di mercato maggiore dell'intero Russell 2000 (società statunitensi a bassa capitalizzazione), il collega di Mackintosh sul Wall Street Journal ha vomitato lo stesso pensiero.

Apple non è un titolo in crescita. Punto.

L'aumento delle vendite triennale citato dal WSJ è stato solo del 6,4% all'anno, ma riflette anche ciò che equivale a negligenza giornalistica.

Questo perché la cifra iniziale di $216 miliardi per le vendite di Apple nell'anno fiscale 2016 rifletteva in realtà un calo del 7,8% rispetto alle vendite di $234 miliardi nell'anno fiscale 2015. Quindi il tasso di crescita quadriennale delle vendite fino all'anno fiscale 2019 è stato, beh, un mero 2,67% all'anno.

Allo stesso modo, l'aumento delle vendite dell'11% durante il secondo trimestre 2020 rispetto all'anno precedente è completamente fuorviante. Negli ultimi quattro trimestri, gli aumenti delle vendite anno su anno sono stati rispettivamente 10,9%, 1,0%, 8,8% e 1,8%. Di conseguenza, per l'arco annuale terminato a giugno, l'incremento delle vendite è stato solo del 5,7%, una cifra di crescita decisamente modesta.

Allo stesso modo, il presunto aumento degli utili per $11,25 miliardi nel secondo trimestre non era affatto un aumento. Durante il secondo trimestre 2018, ad esempio, l'utile netto ha registrato un aumento a $11,52 miliardi. L'impennata recente, quindi, era un movimento all'indietro.

Infatti l'unica cosa di Apple che è stata in modalità di crescita negli ultimi cinque anni è il suo multiplo PE, che è sostanzialmente raddoppiato da 14X a 35X al prezzo record delle azioni di oggi.

Per quanto riguarda la tendenza a 5 anni di crescita delle vendite e degli utili, anche qui c'è poco da dire.

Nel giugno 2015 Apple è stata valutata $715 miliardi sulla forza del suo ineguagliabile franchising di prodotti tecnologici, che si è riflesso in $224 miliardi di vendite annuali e $50,7 miliardi di profitti annuali.

Tuttavia, c'era una ragione per il modesto multiplo PE di 14,1X: il tasso di crescita del colosso tecnologico stava rapidamente rallentando, a causa dei limiti intrinseci nella sua enorme scala e dalle aspettative allora modeste di espansione degli utili negli anni successivi.

Quelle modeste aspettative erano corrette. Cinque anni dopo, i dati per giugno 2020 ammontano a $273,9 miliardi di vendite e $58,4 miliardi di reddito netto.

Sì, quest'ultima cifra rappresenta molti profitti, ma rappresenta anche una crescita minima. Infatti il tasso di crescita delle vendite di Apple su cinque anni è stato solo del 4,1%, mentre il tasso di crescita del reddito netto è stato solo del 2,9% all'anno.

Inoltre non vi è stato alcuno scatto di crescita recente che abbia accelerato questi tassi di crescita tendenziali quinquennali. I tassi di crescita a due anni sono ancora più lenti, con un fatturato del 3,6% annuo e un utile netto in aumento solo del 2,03% annuo.

Inutile dire che il raddoppio del multiplo PE di Apple non ha nulla a che fare con il suo tasso di crescita del reddito netto quinquennale al 2,9% annuo; si tratta invece della repressione dei tassi d'interesse da parte della FED e della conseguente deviazione di migliaia di miliardi di capitale preso in prestito nell'inflazione dei tassi di capitalizzazione degli asset di rischio.

Né Apple è una sorta di mosca bianca. Nel complesso i cosiddetti Fantastici Cinque (Amazon, Apple, Microsoft, Facebook e Google) riflettono la stessa storia di inflazione dei multipli PE; e sono ovviamente il driver che sta spingendo il mercato azionario, pesantemente guidato dagli ETF.

Pertanto, nel giugno 2014, la capitalizzazione di mercato combinata dei Fantastici Cinque pesava $1.630 miliardi e rappresentava il 9,5% della capitalizzazione di mercato complessiva dell'indice S&P 500 (circa $17.000 miliardi).

Avanti veloce di sei anni ed i Fantastici Cinque sono stati valutati alla chiusura di oggi a $7.100 miliardi, che rappresentano il 26% della capitalizzazione di mercato totale di $27.700 miliardi dell'indice S&P 500.

Quindi, sì, il termine "driver" è probabilmente un eufemismo. Il 50% dell'aumento della capitalizzazione di mercato ($10.700 miliardi) dell'indice S&P 500 da giugno 2014 è attribuibile ai Fantastici Cinque.

Allo stesso tempo, l'utile netto combinato dei Fantastici Cinque è passato da $76,3 miliardi a $170,7 miliardi, il che significa che il già vivace multiplo PE di 21,4X per il gruppo nel suo insieme nel giugno 2014 è ora pari a 42,0X.

Ovviamente le medie possono essere fuorvianti, ma non mentono. Negli ultimi sei anni il tasso di crescita del reddito netto composito dei Fantastici Cinque è stato solo del 14,4%.

In un mondo che sta letteralmente cadendo a pezzi a causa dell'epidemia Covid e di un onere di debito da $260.000 miliardi, un multiplo di valutazione pari a 42 volte o quasi tre volte il tasso di crescita finale non ha alcun senso.

Questo perché il pensiero di massa alla James Mackintosh è segnato da un potente difetto: non è possibile valutare i guadagni in un futuro indefinito a causa dei tassi d'interesse estremamente bassi di oggi, che tra l'altro non sono assolutamente sostenibili.

La politica della FED di repressione dei tassi d'interesse sfida le leggi della finanza e del buon senso, perché i rendimenti reali sono negativi e nel lungo periodo i rendimenti reali negativi sono un ossimoro.

Il grafico qui sotto è la pistola fumante. C'era una volta un distacco significativo tra la linea marrone (rendimento nominale del decennale USA) e la linea viola (tasso d'inflazione corrente misurato dall'IPC medio ridotto del 16%).

Cioè, anche il cosiddetto debito del Tesoro statunitense privo di rischio aveva un rendimento reale di 200-400 punti base per tenere conto delle tasse e un reale ritorno sugli investimenti.

Ma dopo l'ultimo balzo nella follia monetaria iniziato con la crisi finanziaria del 2008-2009, il rendimento reale è praticamente scomparso; e poi, dopo la massiccia corsa all'acquisto di obbligazioni da parte della FED iniziata a metà marzo, il titolo di riferimento dell'intero mercato globale del reddito fisso è diventato profondamente negativo in termini reali.

Nell'ultimo mese il tasso d'inflazione corrente si è attestato al 2,27% annuo rispetto ad un rendimento minimo storico sul decennale USA di 52 punti base poche settimane fa.

Inutile dire che quando il costo reale del debito "privo di rischio" è -175 punti base, non ci troviamo lungo un percorso sostenibile. In realtà si sta rasentando un disastro finanziario.

Questo soprattutto perché la politica fiscale negli Stati Uniti e in altre parti del mondo è diventata completamente fuori di testa.

Quindi, a meno che la FED e le altre banche centrali continuino i loro massicci acquisti di obbligazioni in risposta a questo tsunami di debito pubblico, i mercati obbligazionari si stanno dirigendo verso un disastro; e se le banche centrali continueranno a stampare a questi ritmi folli, il sistema monetario stesso collasserà.

Tuttavia l'idea sbagliata che il mercato azionario non sia sopravvalutato perché i prezzi delle obbligazioni sono stati enormemente gonfiati dal pompaggio di denaro della banca centrale, è solo un esempio dell'attuale tirannia del pensiero di massa.

Infatti il pensiero di massa è onnipresente nella narrativa mainstream e nelle cosiddette notizie. La convinzione quasi universale che i lockdown fossero necessari ed efficaci, e che il coronavirus possa essere fermato da un'irreggimentazione economica e sociale di forza bruta, è un altro esempio calzante, sottolineato da una nuova analisi del risultato svedese.

La narrativa mainstream recita che la politica di non lockdown della Svezia (scuole, ristoranti, cinema, palestre, centri commerciali ecc., sono rimasti aperti) sia stata un disastroso fallimento, rivendicando così l'approccio di quarantena universale del dottor Fauci, del Governatore Cuomo e degli altri fanatici del virus nei cosiddetti Blue State.

Ma ciò si basa sull'osservazione irrilevante che il tasso di mortalità CON Covid della Svezia, 56 per 100.000 abitanti, è di gran lunga superiore a quello di Norvegia, Finlandia e Danimarca.

La verità è che il tasso di mortalità della Svezia si è concentrato nelle strutture a lunga degenza, dove si è verificato il 75% dei 5.800 decessi CON Covid del Paese fino ad oggi.

Fortunatamente è disponibile una ripartizione delle morti CON Covid della Svezia in base a fasce di età dettagliate e mette in evidenza, anche per i più ciechi, l'inutilità del lockdown..

Numero di morti CON Covid / Popolazione / Tasso per 100.000 abitanti per coorte di età:

  • 0-9 anni: 1 / 1,22 milioni / 0,08 per 100.000 abitanti;
  • 10-19 anni: 0 / 1,19 milioni / 0,0 per 100.000 abitanti;
  • 20-29 anni: 10 / 1,31 milioni / 0,77 per 100.000 abitanti;
  • 30-39 anni: 16 / 1,37 milioni / 1,16 ogni 100.000 abitanti;
  • 40-49 anni: 45 / 1,31 milioni / 3,42 ogni 100.000 abitanti;
  • 50-59 anni: 162 / 1,27 milioni / 12,8 per 100.000 abitanti;
  • 60-69 anni: 398 / 1,14 milioni / 34,8 per 100.000 abitanti;
  • 70-79 anni: 1.250 / 0,917 milioni / 128,7 per 100.000 abitanti;
  • 80-90 anni: 2.408 / 0,425 milioni / 567,0 per 100.000 abitanti;
  • 90 anni più: 1.512 / .119 milioni / 1.271,0 per 100.000 abitanti.

Quindi, sì, la Svezia ha un tasso di mortalità CON Covid di 56 su 100.000 abitanti per l'intero Paese. Ma il 26% di questi decessi si è verificato tra la popolazione di 90 anni e oltre, che rappresenta solo l'1,1% della popolazione svedese.

Allo stesso modo, il 67% dei decessi è avvenuto tra la popolazione di 80 anni e oltre e il 93% tra quelli di età pari o superiore a 65 anni. Al contrario, le persone di età pari o superiore a 65 anni rappresentano solo il 19% della popolazione svedese, e la quota preponderante di questi ultimi, che hanno subito gravi sintomi o sono morti, si trovava già in strutture a lunga degenza.

Inutile dire che il blocco di scuole, palestre, ristoranti e centri commerciali non fa nulla per la popolazione degli anziani vulnerabili e con comorbidità. Proteggere e curare questi ultimi, piuttosto che mettere in quarantena le popolazioni più giovani e più sane, è la risposta ovvia.

Infatti la virtù della strategia anti-lockdown della Svezia è indiscutibile. La Svezia non ha chiuso le sue scuole, ma c'è stato un solo decesso CON Covid tra i suoi 2,4 milioni di ragazzi in età scolare sotto i 20 anni.

Allo stesso modo, ci sono stati solo 71 decessi tra i suoi 4,0 milioni di persone in età lavorativa e consumatrice primaria (età 20-49). Questo è un tasso di mortalità di 1,77 per 100.000 abitanti. Chi sano di mente vorrebbe chiudere l'economia sulla base di rischi così infinitesimali?

Detto in modo diverso, il rischio di morte per Covid in Svezia è stato 720 volte più alto per la popolazione di 90 anni e più rispetto alla fascia in età lavorativa principale (20-49 anni); ed è stato 157 volte superiore per l'intera popolazione di 65 anni e oltre che per la popolazione nei settori dell'aggregazione sociale.

Fortunatamente la Svezia ha anche dati disponibili sulla mortalità normale, anno dopo anno, il cui tasso è di circa 862 su 100.000 abitanti. Ma quando si scompongono questi normali tassi di mortalità per coorte di età e causa della morte, la follia del lockdown diventa ancora più evidente.

In particolare, ci sono circa 3.429 morti all'anno in Svezia per incidenti automobilistici, cadute, annegamenti, elettrocuzioni, avvelenamenti e altri incidenti, e questi rappresentano circa il 4% del totale dei decessi della Svezia nel 2019 per tutte le cause (in tutto circa 89.000).

Tuttavia, se si considerano i tassi di mortalità per 100.000 abitanti per i soli incidenti, il risultato dello storno è che il rischio esistente di morte è di gran lunga superiore a quello del Covid per l'intera popolazione di 8,4 milioni di età inferiore a 65 anni e per i giovani e persone di mezza età.

Tassi di mortalità per 100.000 abitanti per infortuni rispetto a Covid e rapporto rischio infortuni/Covid:

  • 0-14 anni; 1,38 contro 0,06 = 25X;
  • 15-44 anni: 12,3 contro 1,2 = 10X;
  • 45-64 anni: 20,6 contro 15,4 = 1,34X;
  • 65 anni e oltre: 115 contro 257 = 0,45X.

In breve, quando il rischio ordinario di morte è 10-25 volte maggiore per gli incidenti rispetto al Covid per la popolazione giovane e lavoratrice, non si blocca l'economia e le principali vie di aggregazione sociale.

Grazie alla leadership illuminata dei professionisti sanitari svedesi e dei suoi principali epidemiologi, hanno capito bene la situazione e ora sia i nuovi casi che i decessi CON Covid sono praticamente scomparsi.

E questo per non parlare del fatto che il calo del PIL della Svezia nel secondo trimestre, appena l'8,6%, è stato di gran lunga migliore del calo a due cifre negli Stati Uniti e nella maggior parte dei Paesi europei che invece hanno imposto lockdown molto più draconiani.

In America, al contrario, la tirannia del pensiero di massa sulla questione è diventata così grande che il football universitario e le lezioni al college vengono chiuse da costa a costa, quando il rischio di gravi malattie o morte tra la popolazione in età universitaria qui, come in Svezia, è praticamente nullo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/