venerdì 30 giugno 2023

Argentinizzazione e la fine dell'impero occidentale

 


di Francesco Simoncelli

L'inflazione è fondamentalmente una linea di politica dello stato. I politici vogliono più denaro di quello che possono ottenere tramite tasse e prestiti, di solito ne hanno bisogno per pagare programmi sociali costosi e improduttivi, come la ridistribuzione della terra (Zimbabwe), la corruzione degli elettori (Argentina) o la guerra (Germania). Detto in parole povere, l'inflazione è un modo per fregare i molti a vantaggio di pochi. E non è del tutto imprevedibile, dato che ci sono modelli approssimativi nei mercati e nella storia. Nei mercati il cosiddetto "trend primario" stabilisce un percorso che può continuare per molti decenni, indipendentemente da ciò che accade nelle notizie quotidiane. Il ciclo dei tassi d'interesse, ad esempio, può durare una vita: hanno toccato minimi storici dopo la seconda guerra mondiale, sono saliti e poi non sono tornati al minimo fino al 2020, più di 7 decenni dopo. Nella storia una delle tendenze più potenti è l'arco temporale di un impero: da un inizio serio, dinamico e umile (gli Stati Uniti nel XIX secolo) a un egemone potente, orgoglioso e ammirato (gli Stati Uniti nel XX secolo) fino a una senilità degenerata e in gran parte delirante (gli Stati Uniti nel XXI secolo).

Su una scala temporale ancora più ampia, la gloria dell'intero mondo anglofono, dalla vittoria sull'Armada spagnola nel 1588 alla sua stessa sconfitta in Vietnam, Iraq e Afghanistan cinque secoli dopo, è quasi del tutto sbiadita. Gli inglesi dominarono il mondo nel XIX secolo e l'America prese il comando dopo la prima guerra mondiale, governando il secolo successivo. Ma ora le sanzioni statunitensi colpiscono un terzo della razza umana, con risultati a dir poco deludenti; nonostante tutta la spavalderia della stampa generalista, i russi sembrano vincere la loro guerra in Ucraina; la Francia ha annunciato che potrebbe andare per la sua strada; i giapponesi si stanno riarmando; la Cina sta iniziando a svolgere un ruolo sempre più importante all'interno dei BRICS, mentre questi ultimi sviluppano la propria valuta di saldo commerciale e affermano la loro indipendenza. Il prestigio, il potere e la ricchezza degli anglofoni, rispetto al resto del mondo, stanno chiaramente declinando.

Negli ultimi sette anni, in particolar modo, ho voluto dare un nome a questa spirale discendente che non affligge solo il mondo anglofono, ma l'Occidente nel suo complesso. Il nome che ho scelto per semplificare il concetto è argentinizzazione. Tutti gli imperi finiscono per soccombere sotto una centralizzazione asfissiante e bancarottiera: possono conquistare, ma non resistono alla prova del tempo; possono distruggere i governi stranieri, ma non costruiscono democrazie; spendono soldi per mantenere in piedi una burocrazia metastatizzante, ma le entrate non basteranno mai a bilanciare la sua natura improduttiva.

La morale della favola, allora e ora: non finirà bene.


ARGENTINIZZAZIONE

Analizzare il passato dell'Argentina può aiutarci a visualizzare ciò che potrebbe, molto probabilmente, accadere in futuro sui nostri lidi. Quello che apprendiamo è che quando i Paesi finiscono in una spirale inflazionistica, quest'ultima comincia a sembrare l'ultimo dei loro problemi. Partiamo dalle basi, dall'azione umana: o gli individui decidono da soli ciò che vogliono e lo ottengono "votando" con i propri soldi, oppure lo decide qualcun altro. Quel "qualcun altro" è sempre il ficcanaso che finge di agire disinteressatamente per un bene più grande, un bene comune: l'uguaglianza, la salvezza del pianeta, il trionfo del proletariato, o qualsiasi altro slogan senza senso.

In Argentina, nel 1919, Roque Saenz Pena, allora presidente dell'Argentina, pensava di aver fatto un passo da gigante per l'umanità quando sostenne il suffragio universale per tutti gli uomini. Non solo permise loro di votare, ma la sua legge rese obbligatorio il voto. Poi, qualche anno dopo, anche le donne vennero coinvolte nel progetto. Gli oppositori sostenevano che alle masse mancava l'istruzione o la raffinatezza per votare in modo intelligente. Avevano ragione, ma i poveri sapevano cosa volevano e, nel 1946, per la prima volta nella storia argentina, un candidato riuscì a insediarsi nella Casa Rosada promettendo di dargliene di più. Juan Peron aveva un sorriso come la pubblicità dei dentifrici e sapeva far di calcolo: si era reso conto che c'erano più elettori poveri che elettori ricchi e i loro voti erano relativamente economici. La formula si rivelò un tale successo che venne utilizzata in Argentina per i successivi 7 decenni, mentre il Paese sarebbe scivolato nel baratro economico: dalla settima nazione più ricca della Terra alla ottantaseiesima!

Quello che è successo non è un mistero: quando si promette roba gratis, bisogna pagarla in qualche modo. Peron tassò i ricchi, le classi medie, le parti produttive dell'economia e diede il bottino alla parte improduttiva. La produzione colò a picco, ma la richiesta di roba gratis non calò e presto, esaurita la base imponibile, i politici si rivolsero ai prestiti. La formula precedente venne arricchita con altri fattori: tassare, spendere, prendere in prestito, andare in default, stampare denaro. Il Paese è andato in default nove volte. Nel 2001 l'Argentina andò in default sotto il peso del più grande macigno di debiti di sempre: $100 miliardi.

Quando le linee di credito si prosciugarono, gli argentini si rivolsero a quelle truffe a cui si rivolgono tutte quelle nazioni sull'orlo del fallimento: guerra e inflazione. La prima distrae la popolazione e la seconda la deruba. Nel 1976 i generali organizzarono un colpo di stato militare e presero il potere dalla seconda moglie di Peron, Isabelita. Nel 1982 attaccarono le isole Falkland/Malvinas. Nel 1989 l'inflazione era arrivata al 1.000%.

Poi Carlos Menem riavviò il ciclo: il peso sarebbe stato ancorato al dollaro, 1:1, e ciò avrebbe incoraggiato i mutuatari a prendere in prestito e i creditori a concedere prestiti. Ben presto, però, i debiti avrebbero sormontato di nuovo la capacità di rimborsarli e l'ancoraggio peso/dollaro sarebbe saltato in aria. Nei primi anni 2000 il tasso sarebbe passato a 3:1; quest'anno è quasi 400:1.

Perché gli argentini non mettono fine al ciclo spesa-prestito-default-inflazione? Perché una volta che ci si è dentro, l'unico modo per fermarlo è economicamente doloroso: recessione/depressione/fallimenti/disoccupazione. Ma la vera ragione per cui va avanti è perché diventa quasi impossibile, dal punto di vista politico, fermarlo. Tanto per cominciare, le masse vogliono roba gratis e poi finiscono per diventarne dipendenti. Ecco perché anche negli Stati Uniti — dove i “transfer payment” sono aumentati di 290 volte sin dal 1954 — sarà quasi impossibile fermare un tale ciclo. Ma la cosa più affascinante della finanza argentina è il modo in cui le persone sono disposte a lasciare che il passato sia passato. Sì, l'Argentina è un inadempiente seriale, ma ciò non ha impedito al Paese, nel 2017, di vendere obbligazioni a 100 anni per un valore di oltre $2 miliardi. Se la storia è una guida, gli investitori verranno spazzati via... non una, ma diverse volte, poiché il governo andrà in default cinque volte prima che giungano a scadenza.

Cosa apprendiamo da questa esperienza? Qual è la lezione da trarre dalla storia dell'Argentina e dalla nostra storia degli ultimi 25 anni?

Un sistema finanziario incline all'inflazione e al default non è la fine del mondo, ma richiede un atteggiamento diverso: meno fiducia e più prudenza. I soldi fiat marciscono più velocemente di un pomodoro maturo e tutti fanno a gara per liberarsene per primi. Le persone percepiscono di essere derubate e quindi non si sentono male se devono derubare il prossimo: un venditore casuale può gonfiare i suoi prezzi; un ristoratore potrebbe dare il resto sbagliato; un'azienda potrebbe fatturare in modo errato. E tutti "imbroglieranno" sulle tasse. Quasi tutti i grandi affari includono soldi "in nero" e "in bianco": non bisogna averne troppi dei primi per non dover spiegare dove li avete presi. Ogni transazione richiede un calcolo rapido e contabilità "flessibile"; ogni relazione richiede fiducia e verifica; ogni esperienza arriva con una certa dose di ambiguità, una fluidità morale e finanziaria. La divisione del lavoro ne risente ed emerge una società non più incentrata sulla cooperazione, ma sulla sottrazione.

È come fare un picnic sul fianco di un vulcano attivo: potete rilassarvi e godervi la giornata, ma dovete essere sempre pronti a correre.


INFLAZIONE

Per quanto le letture in entrata riguardo i dati dell'inflazione possano essere ottimistiche, non è stata ancora battuta. E non sarà sconfitta senza dolore economico. I ricchi devono perdere quando i loro asset calano di valore di valore; i poveri devono perdere poiché i programmi dello stato sociale diventano insostenibili. Inutile dire che dal punto di vista economico staremmo tutti meglio se le banche centrali permettessero a mutuatari e creditori d'impostare i tassi d'interesse piuttosto che farlo loro a tavolino. Poi in un mondo ideale staremmo decisamente meglio se fosse abolito il sistema bancario centrale, l'oro o Bitcoin fossero denaro e l'inflazione scomparisse. Ma c'è l'altro lato della medaglia da prendere in considerazione: quello politico e diviene quindi improbabile un tale esito. E fintanto che la politica controllerà il futuro del denaro, la sua direzione sarà verso il basso.

Il calo del tasso d'inflazione che vediamo ora in Europa, ad esempio, non significa che i tassi d'interesse più alti stiano funzionando: anche dopo più di un anno di "normalizzazione", il tasso di riferimento è ancora di 200 punti base al di sotto del tasso d'inflazione ufficiale e 130 punti base al di sotto del tasso d'inflazione di base. Mentre i numeri cambiano di mese in mese, la realtà di fondo è che il costo della vita è aumentato: i grandi mutuatari — banche, hedge fund, fondi pensione — possono ancora prendere in prestito a tassi assurdamente bassi; per le persone "normali", invece, l'interesse addebitato sui saldi delle carte di credito è del 25%. Negli ultimi due anni il costo della vita è salito a doppia cifra, in particolar modo in Italia dove si sono registrati aumenti di circa il 30% lungo la filiera dei prodotti alimentari. Inutile aggiungere, poi, che i salari reali hanno subito un destino impietoso.

Tutti questi segnali indicano un dolore economico crescente tra le fila della classe media, ma non è finita qui perché in questo contesto s'inserisce anche un altro fattore che rappresenta l'investimento "per eccellenza" della classe media italiana: gli immobili. Come c'informa il sito Money.it, “Affitti sempre più alti e prezzi delle case in vendita in calo: come cambia il mercato immobiliare”.

I prezzi delle case sono stati gonfiati dai tassi d'interesse ultra bassi della BCE. Togliete i tassi bassi e si sgonfia anche il mercato immobiliare. Chi possiede case? La classe media. I poveri ricevono sovvenzioni dallo stato attraverso il welfare, mentre i ricchi hanno le loro cedole e i loro dividendi; la classe media, invece, deve lavorare per i suoi soldi. La vera crisi per la classe media arriva quando la sua fonte principale di reddito viene depressa, il mercato del lavoro soffre, arriva la recessione e il tasso di disoccupazione sale.

Ed ecco quindi il perché diventa quasi impossibile vincere la "lotta" contro l'inflazione: chi sta in alto vuole proteggere i propri asset; chi sta in basso è diventato dipendente dai pagamenti dello stato sociale; chi, invece, sta nel mezzo è intrappolato tra il mercato immobiliare e il mercato del lavoro, percependo il dolore economico più intensamente. Non è più in grado di pensare al lungo termine e si unisce alle schiere di ricchi e poveri, chiedendo la fine — non dell'inflazione — ma della "lotta" contro di essa.


LA FINE DI UN IMPERO

Nel grande boom 2009-2022 tutto sembrava possibile, addirittura si pensava che il denaro crescesse sugli alberi per quanta liquidità ci fosse. Poteva essere usato per pagare guerre inutili, "investimenti" improduttivi, deficit a perdita d'occhio, società zombi, ecc. Ma l'arrivo dell'inflazione ha cambiato tutto: alza i prezzi e prezzi più alti rendono i consumatori infelici e gli elettori irrequieti. Il "tessuto sociale" si raggrinzisce e infine si strappa. L'inflazione danneggia soprattutto la classe media, visto che i poveri hanno i loro sussidi aggiustati all'inflazione e i ricchi hanno i loro asset finanziari potenziati dall'inflazione. La classe media non ha nessuno dei due, tutto ciò che ha è il suo tempo che vende a ore. Infatti l'inflazione deprezza il tempo: non si fanno investimenti a lungo termine, le obbligazioni a lungo termine scendono di valore e i salari orari reali si contraggono.

Nei Paesi con una forte inflazione, la classe media viene schiacciata così forte da scomparire. Venezuela, Argentina, Zimbabwe, mentre i tassi dell'inflazione salgono, la classe media sprofonda nella povertà. Ecco perché la democrazia è incompatibile con l'inflazione: i (molti) poveri dipendono dalle sovvenzioni dello stato e sono facilmente ingannati/corrotti. E i pianificatori centrali diventano bravi in questo compito: usano le loro capacità e il loro potere per arricchirsi a spese degli altri. Una democrazia funzionante ha bisogno di una classe media libera e informata, ha bisogno di una classe media che reputi sacra la proprietà privata, ha bisogno di una classe media che possa contare ciecamente sulla verità costante di questi due assunti. La scomparsa della classe media corrisponde a un'altra delle grandi presunzioni che non possiamo più permetterci: un impero.

Una delle caratteristiche dell'Impero Romano fu che distrusse la classe media, quelle persone il cui sangue, sudore e tasse avevano costruito l'impero stesso. Furono queste persone che raccolsero le spade dei loro padri e difesero Roma quando sembrava pronta a cadere ai piedi di Annibale, per esempio; furono loro a riempire i ranghi dopo la disastrosa battaglia di Canne (216 a.C.) in cui Roma perse dai 50.000 ai 70.000 soldati; e furono sempre loro a essere in prima linea dopo che tre intere legioni furono massacrate nella foresta di Teutoburgo nel 9 d.C. E come li ricompensò l'impero? Importando migliaia di schiavi. Non vi suona alquanto familiare?

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Ben presto i piccoli proprietari terrieri non poterono più competere con gli enormi latifondi coltivati dagli schiavi. Poi la valuta venne svalutata e le tasse salirono, ritrovandosi inizialmente a vendere le loro figlie per stare al passo coi tempi e infine vendere essi stessi come schiavi.

In sintesi, gli imperi hanno cicli di vita propri e una volta avviati sono difficili da fermare. È una spirale d'impoverimento; quello statunitense, ad esempio, costa circa $1.500 miliardi all'anno, sono circa $17.000 per famiglia all'anno. Le entrate fiscali statunitensi sono sufficienti solo a coprire la spesa interna, compresi i pagamenti del welfare (previdenza sociale, indennità di disoccupazione, ecc.). Siamo solo nel capitolo iniziale del declino e della caduta dell'impero americano ed è già politicamente impossibile pareggiare il bilancio, quindi l'intero costo delle disavventure americane all'estero deve essere preso in prestito o stampato. Si può ricorrere alla svalutazione monetaria senza un impero, ma è arduo avere un impero senza una svalutazione monetaria.

Inutile dire che prezzi al consumo più elevati sono praticamente una garanzia. E, tanto per ribadirlo, l'inflazione è il flagello della classe media: i salari reali diminuiscono, i prezzi salgono e la casa — emblema della classe media — diventa una trappola del debito. Le famiglie accendono prestiti per comprare case, poi rifinanziano i prestiti, ma devono avere tassi sempre bassi o perderanno le loro case. La banca centrale "stampa" per mantenere bassi i tassi, facendole sprofondare sempre di più nei debiti.

La contrazione della classe media condanna anche la democrazia rappresentativa. I pianificatori centrali usano il loro accesso alla "stampante monetaria" e il loro controllo del bilancio del governo per spremere quanta più ricchezza e potere, il più velocemente possibile, dal resto della società. I poveri, nel frattempo, diventano dipendenti dallo stato: esso paga per il loro indottrinamento e la loro istruzione, fornisce "alloggi a prezzi accessibili" e mutui sovvenzionati, distribuisce buoni pasto (carte di "indipendenza") e costringe i datori di lavoro a pagare salari "minimi". I pianificatori centrali, in realtà, li prendono costantemente in giro: consegnano le briciole e abbindolano i poveri con promesse di “risarcimenti” e un “reddito di base universale”. Perché i demagoghi prendono di mira i poveri? Perché ce ne sono sempre di più e i loro voti sono relativamente economici. Con meno elettori indipendenti nella classe media, il potere politico finisce nelle mani di coloro che sono maggiormente in grado di manipolare le menti delle persone: premiano i poveri con roba gratis mentre, attraverso le loro linee di politica, rendono i poveri più poveri e i ricchi più ricchi, concentrandosi esclusivamente sul mantenimento dell'impero.

Ma i cimiteri sono pieni di poveracci, banche fallite e imperi (presumibilmente) indispensabili.


CONCLUSIONE

L'esperienza dell'Argentina ci mostra che una volta che le masse diventano assuefatte alle cose gratis (stato sociale), l'inflazione è quasi impossibile da fermare. Praticamente tutti arrivano a credere che qualunque danno infligga, e per quanto terribile possa essere, dal punto di vista politico la deflazione è ben peggiore. Quando i nodi arrivano al pettine, i pianificatori centrali preferiscono sempre manipolare la valuta al ribasso piuttosto che al rialzo. Quando scelgono l'inflazione, i costi vengono spostati nel futuro; la deflazione, dall'altra parte, colpisce duramente e velocemente. Costa loro voti, influenza e potere. E quando più della metà degli elettori fa affidamento sulla roba gratis, nessuno si sognerà di fermare questa spirale discendente sia dal punto di vista economico che etico/morale. Ed è improbabile che quel partito politico che chiede un bilancio in pareggio sia quello che poi vincerà le elezioni.

Gli Stati Uniti, così come il resto dell'Occidente, sono sull'orlo di una fatidica decisione: combattere l'inflazione significa dolore per coloro che fanno affidamento sulla roba presumibilmente gratis (che invece paga qualcun altro), ma anche per i ricchi (i cui asset vanno giù) e l'intera classe politica stessa (il cui potere si sgonfia insieme a tutto il resto).


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giovedì 29 giugno 2023

Perché Bitcoin rappresenta un credit default swap contro il sistema bancario centrale

 

 

da Bitcoin Magazine

L'ultima lettura dell'indice dei prezzi al consumo è stata uno scioccante 9,1% (9,8% nelle singole città) e molti commentatori economici si aspettavano che il prezzo di Bitcoin schizzasse alle stelle. Quello che è successo è stato l'opposto e l'azione del prezzo di Bitcoin è stata correlata con altre classi di asset. Molti hanno battuto i piedi a terra chiedendosi il motivo: "Pensavo che BTC fosse una protezione contro l'inflazione... quando si parte per la luna?"

Tenete presente che Bitcoin è un asset resiliente con solo 13 anni di effetto di rete. In che senso resiliente? Mentre il dollaro lo scorso anno ha fatto registrare nuovi massimi rispetto alla sterlina, all'euro e allo yen dall'inizio dell'anno, negli ultimi mesi è iniziato a succedere qualcosa di incredibile: il prezzo di Bitcoin (in dollari) ha mantenuto un livello di supporto estremamente forte man mano che il dollaro saliva. Questo è un evento di enorme importanza a mio parere.

L'azione dei prezzi di Bitcoin è frustrante per alcuni investitori al dettaglio, questo perché il mercato non è dominato dalla vendita al dettaglio; è dominato invece da investitori istituzionali. Le istituzioni dominano il mercato, ma sono esse stesse impantanate da regole, normative e regolamenti. In quanto tali, considerano Bitcoin come un asset di rischio e quando l'inflazione si surriscalda allora ci si allontana dal rischio, specialmente quando i tassi d'interesse sono alti (ambiente di quantitative tightening). In generale "cash is king" è un'affermazione comune nella finanza tradizionale e nell'attuale sistema monetario fiat per molti investitori. Quando il DXY sale, le istituzioni vendono i loro asset di rischio (risk-off) e acquistano liquidità (dollari) e azioni cash-flow.

Si noti che l'oro e l'argento sono scesi in modo significativo nelle ultime settimane. Quindi cos'è successo alla loro proposta di riserva di valore sicura? Niente. La proposta stessa probabilmente è ancora valida. Non si tratta degli asset stessi, si tratta di accumulare dollari in questo momento: avere liquidità è meglio per le istituzioni e gli investitori piuttosto che avere un asset prezioso ma illiquido. Ricordate, le istituzioni considerano molto importante la liquidità in tempi di alta inflazione e quantitative tightening.

Bitcoin ha solo 13 anni e ci vuole tempo affinché la vendita al dettaglio e le istituzioni ne comprendano il vero valore. Per ora gli investitori istituzionali continuano a vedere il contante come un punto di riferimento e molte persone nel commercio al dettaglio ancora non capiscono che tipo di denaro sia Bitcoin. Quindi, per ora, siamo ancora bloccati nel mondo monetario delle commissioni delle banche centrali.

La linea di politica del sistema bancario centrale è insostenibile. Loro lo sanno, noi lo sappiamo; non possono e non vogliono smettere di stampare aggiungendo passività ai loro bilanci (debiti che devono essere saldati dalle generazioni future). Qual è la soluzione? Bitcoin è la soluzione. Certo, tra due mesi la liquidità fiat rimarrà ancora re, ma tra due anni tornerà alla sua forma originaria: spazzatura. Nel frattempo Bitcoin continuerà a fare la sua parte e gli investitori (sia al dettaglio che istituzionali) ne comprenderanno appieno il valore.

La seguente affermazione è a dir poco relativa: "Bitcoin è una protezione contro l'inflazione". Lo dico perché per chi ha acquistato bitcoin anni fa (prima del 2017) questa affermazione è vera, ma per qualcuno che li ha acquistati di recente suddetta affermazione si porta dietro un certo carico di scetticismo. A lungo termine è certamente una protezione contro l'inflazione.

Un credit default swap, o CDS, è uno strumento assicurativo che le istituzioni utilizzano quando possiedono un'obbligazione emessa da un'azienda o uno stato. Acquistano un'assicurazione contro il fallimento dell'obbligazione (insolvenza dell'emittente). Per le istituzioni e gli investitori, Bitcoin può e dovrebbe essere il CDS contro il fallimento del sistema bancario centrale. Bitcoin protegge la vostra ricchezza dalla svalutazione e vi protegge come un CDS contro lo stato. Bitcoin è la vostra polizza assicurativa contro l'intera politica monetaria delle banche centrali e il denaro fiat.

Il futuro è digitalizzato e il denaro non sarà diverso. Bitcoin è senza dubbio l'unica soluzione per una forma di denaro digitale solida, immutabile, sicura e che dia alle persone la loro sovranità. Le banche sono controparti; Goldman Sachs, NYSE, Vanguard, Fidelity e altri sono controparti. Con Bitcoin possedete l'asset a titolo definitivo e non l'asset sottostante. Nel sistema odierno la fiducia, o la speranza, è che la controparte mantenga la propria parte dell'obbligo e consegni ciò che vi è dovuto quando deve liquidare un asset. Bitcoin capovolge tutto ciò, utilizzando un elegante sistema di incentivi, crittografia, limite di offerta, decentralizzazione e una rete a cui chiunque può partecipare.

L'aumento del potere d'acquisto viene in secondo luogo. Ovviamente bisogna proteggerlo, e come si fa? Semplice, con Bitcoin.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 28 giugno 2023

Stiamo tutti lavorando per lo stato ormai

 

 

di Alasdair Macleod

Una conseguenza del crescente intervento economico da parte dello stato è che ora ci si aspetta che in futuro vengano generati più contribuenti e che le persone attingano sempre di più alle pensioni per vivere. Anche la nostra produttività dev'essere migliorata, massimizzando così le entrate fiscali dello stato.

Per quanto riguarda il processo democratico, è davvero questo ciò a cui abbiamo aderito? Non sorprende che stiamo perdendo la libertà individuale. Ora lavoriamo per lo stato e non il contrario.

Questa inversione dei ruoli è il logico risultato di quando si voltano le spalle al libero mercato e si cede allo stato la gestione dei nostri affari personali ed economici. Ed è un fatto ulteriormente giustificato dall'analisi statistica che supporta il ruolo dello stato stesso, ma che a un esame più attento si rivela del tutto fuorviante.

In questo saggio commenterò l'economia della crescita della popolazione discussa dagli economisti mainstream, mostrando come siamo gravemente fuorviati dalle statistiche sulla produttività e dal valore del PIL il cui unico scopo è quello di consentire allo stato di stimare le entrate fiscali future.

Ma la predazione abituale degli stati sui loro settori privati sta per finire, perché diventerà impossibile da finanziare. A ciò provvederà la fine della tendenza a lungo termine del calo dei tassi d'interesse.


Tasso di natalità/morte

Gli economisti commentano regolarmente le relazioni tra nascite e morti. Tipicamente l'invecchiamento della popolazione è visto come un problema, principalmente a causa delle conseguenze per le pensioni. Colpisce tutti i Paesi in cui l'aspettativa di vita è migliorata, sconvolgendo il rapporto tra chi paga le tasse e pensionati che le ricevono.

Anche i costi associati all'assistenza all'infanzia stanno aumentando, colpendo in modo particolarmente duro le economie avanzate, perché le donne danno sempre più priorità alla carriera rispetto all'avere figli. E l'enorme spesa per conformarsi a leggi e regolamenti che i genitori nel secolo scorso non hanno dovuto affrontare, unita a tasse sempre più elevate, rende anti-economico per molti avere figli.

La combinazione invecchiamento della popolazione e calo dei tassi di natalità sta suonando un campanello d'allarme. Ma perché questa dovrebbe essere la preoccupazione di stati e dei loro economisti? La risposta è che i primi si sono assunti una crescente responsabilità per le nostre stesse azioni e ora stanno cavillando sui costi. Stanno cercando di alzare l'età pensionabile, costringendo le persone a lavorare più a lungo e a pagare le tasse invece di riscuoterle attraverso la pensione. Non dovrebbe sorprendere che l'innalzamento dell'età pensionabile stia causando disordini in Francia.

Nel Regno Unito c'è stata polemica sul "triplo blocco", ovvero l'aumento annuo delle pensioni al 2,5%, l'aumento dei guadagni medi e l'aumento dei prezzi misurati dall'IPC. In altre parole, i conservatori nel loro manifesto elettorale avevano promesso di proteggere i pensionati dalle conseguenze dell'inflazione, una proposta del tutto ragionevole.

Ma il governo inglese era di parere contrario, considerandolo come un trasferimento di risorse nazionali dai lavoratori dipendenti che pagano le tasse ai pensionati che le consumano. In poche parole, questo definisce l'interesse acquisito del governo rispetto ai suoi elettori. L'establishment non rappresenta più l'elettorato, rappresenta sé stesso. E vede l'elettorato come una fonte di fondi per qualunque schema lo stato ritenga auspicabile. È socialismo strisciante che ora ha reso lo stato il padrone di tutti, senza l'apparente vincolo di dover eseguire gli ordini del pubblico.

Ma questa è una situazione con cui dobbiamo convivere. Gli attuari statali hanno ragione: gli impegni pensionistici stanno portando le finanze pubbliche verso una crisi sempre più profonda e che dev'essere affrontata. Ma nel Regno Unito, e in un certo numero di altri Paesi, s'ignora la crisi pro capite ancora più costosa creata dalle pensioni per i dipendenti pubblici — un fardello che deve essere sostenuto dagli altri, naturalmente. E ci sono anche i costi crescenti dell'assistenza sanitaria, ma in Gran Bretagna il servizio sanitario è considerato un tesoro nazionale inviolabile, da proteggere da qualsiasi volgare tentativo di migliorare i risultati riducendo i costi. E ora che affrontiamo una potenziale recessione e un aumento della disoccupazione, i costi aggiuntivi associati stanno aumentando anche per lo stato.

Un po' come l'uso di sanguisughe e salassi nei tempi antichi per curare tutti i mali, il ricorso a livelli crescenti di tassazione sugli elementi produttivi della società non fa altro che impoverire l'ambiente economico. La realtà è che la socializzazione delle economie ha raggiunto un punto di crisi. Se si vuole evitarlo, bisogna accettare l'inevitabile contrazione della spesa pubblica. L'Occidente ha uomini e donne di buon senso e la capacità di comprendere e arrivare a questo risultato? Non contateci troppo...

Anche i politici ben intenzionati dipendono dai funzionari pubblici per consigli e statistiche, e una volta eletti non sono più in grado di argomentare a favore della riduzione dell'incidenza dello stato sul totale dell'economia. In parole povere, è difficile per loro resistere all'aumento dell'intervento statale “per il bene comune”.

Per dimostrare come il sistema ci fuorvia dal punto di vista statistico, pochi esempi sono migliori di quello riguardante la produttività.


Il mito della produttività

Di tanto in tanto parte un'ondata di commenti sulla produttività nazionale. E per gli inglesi la produttività è stata una parte importante del dibattito sulla Brexit, con l'OCSE, il Tesoro inglese, la Banca d'Inghilterra e i "remainer" che affermano tutti una cosa: la scarsa produttività del britannico medio dimostra quanto abbiano bisogno del conforto dell'Unione Europea.

Dopo la Brexit, l'OCSE pubblicò un documento in cui ripeteva le sue sciocchezze sulle conseguenze economiche che avrebbe avuto, raccomandando persino alla Gran Bretagna d'indire un secondo referendum per annullare la decisione. A sostegno della sua analisi affermava che la produttività del lavoro della Gran Bretagna era ferma, mentre quella di Francia, Germania, Stati Uniti e le medie OCSE stavano migliorando.

I lettori abituali dei miei articoli sapranno che non ho niente a che fare con le statistiche pubbliche, le medie e l'analisi neo-keynesiana che le accompagna. L'analisi della produttività degli econometristi è un ottimo esempio del motivo per cui le statistiche derivate da informazioni discutibili dovrebbero essere completamente ignorate, come dimostrerò tra l'altro. Potete provare qualsiasi cosa con le statistiche, tranne la verità. L'OCSE, che è la principale fonte delle statistiche sulla produttività citate dai politici di tutto il mondo, le usa per giustificare lo statalismo. Avendo sede a Parigi, questa istituzione è particolarmente in sintonia con i concetti di base dell'Unione Europea.

Si tratta dell'organizzazione che guida l'analisi statistica internazionale ufficiale, pur essendo finanziata interamente dagli stati stessi. Lavora duramente per ridurre l'elusione fiscale, avendo mosso l'accusa contro i paradisi fiscali negli anni '90. È una convinta sostenitrice della parità di condizioni nelle imposte sulle società, il che significa imporre aliquote minime a livello mondiale per giustificare la pressione fiscale nelle giurisdizioni ad alta tassazione.

L'OCSE è sostenitrice del socialismo ed è una fonte primaria di statistiche internazionali sul lavoro. Tuttavia la stima della produttività dovrebbe essere incontrovertibile e difficile da criticare. Il PIL diviso per il numero di ore lavorate è un calcolo semplice da effettuare. Come può essere fuorviante? Continuate a leggere.


L'approccio dell'OCSE alla produttività

Il breve documento dell'OCSE, Defining and Measuring Productivity, cita Paul Krugman:

La produttività non è tutto, ma a lungo termine è quasi tutto. La capacità di un Paese di migliorare il proprio tenore di vita nel tempo dipende quasi interamente dalla sua capacità di aumentare la produzione per lavoratore.

Krugman implica in questa citazione che la produttività è una funzione dello stato e quindi non del datore di lavoro. Questo è chiaramente in contrasto con i fatti: un dipendente produce solo se è impiegato da un datore di lavoro in cerca di lucro. Spetta al datore di lavoro prendere questa decisione, non allo stato. Il fatto che l'OCSE citi Krugman conferma che il suo approccio è in linea col pensiero di quest'ultimo.

Da qui iniziano gli errori statistici, a partire dalla rilevanza del PIL, il quale è progettato per catturare i consumi finali e sottovaluta la produzione di beni di ordine superiore, ad esempio macchinari e input di servizi, non registrando le fasi intermedie della produzione. Pensatela in questo modo: se sommate le vendite lorde di fornitori, aziende, servizi e logistica, ottenete un numero molto più grande del semplice valore netto del prodotto finale. Quando si tratta di produttività del lavoro, è la statistica rilevante, non il PIL.

Questo punto importante è stato ammesso negli Stati Uniti dall'introduzione di una nuova statistica, la produzione lorda (PL), ideata da Mark Skousen, un economista della Chapman University. La PL è ora riportata trimestralmente dal Bureau of Economic Analysis ed è circa il doppio del PIL.

Pertanto, negli Stati Uniti, dove la PL è il doppio del PIL, quest'ultimo per ora lavorata è circa la metà della misura realistica della produzione totale. La PL conferma che usare il PIL in una formula di produttività è oltraggiosamente fuorviante. Ma l'OCSE non stima la PL e va notato che diversi Paesi hanno diversi gradi di produzione intermedia, il che rende comunque impossibile confrontare la loro produzione lorda su una base omogenea.

Possiamo anche esporre il concetto di produttività del lavoro come una sciocchezza nelle nostre faccende quotidiane. Ad esempio, se vi occupate di vendita al dettaglio, potreste ritenere che il vostro personale di vendita sia produttivo, perché produce vendite, ma la maggior parte del numero di clienti nel vostro negozio probabilmente non ha nulla a che fare con le capacità del venditore. Il vetrinista può aver contribuito o meno, e gli addetti alle pulizie e i contabili sono produttivi, insieme al personale del magazzino e ai conducenti di furgoni? Presi singolarmente sono un costo, difficile o impossibile da mettere in relazione con le vendite finali, le quali costituiscono il PIL. Questo è il motivo per cui gestire un'impresa riguarda team di persone con input complementari e registrare la produzione degli individui in termini di PIL non ha senso. Ma sono queste attività più ampie che costituiscono la base della PL.

La produttività del lavoro deve essere considerata anche nel suo più ampio contesto economico, essendo solo una forma di capitale. Nelle economie di libero mercato, l'arbitraggio tende a uniformare i rendimenti su tutte le forme di capitale impiegate nell'intera gamma di imprese, di cui il lavoro è solo una parte. Oltre al lavoro, vi è l'investimento di capitale nella produzione, nell'acquisto di attrezzature e nella fornitura di capitale circolante. Mettendo insieme tutti questi elementi, se una linea di business si distingue per la sua redditività, attirerà la concorrenza.

Quando il capitale non viene ridistribuito in modo migliore, compreso il lavoro, è quasi sempre perché lo stato interviene. Quest'ultimo non vuole che le aziende licenzino i lavoratori che fanno parte di un settore in crisi. Invece lo stato ostacola la ridistribuzione del lavoro sovvenzionando quegli imprenditori non competitivi. Penalizza anche le imprese redditizie sequestrando i loro profitti e in molte nazioni tassando anche l'occupazione.

Inoltre diverse industrie impiegano il proprio capitale in modi diversi, quindi all'interno delle statistiche come il database dell'OCSE, il contributo dello sforzo umano varia notevolmente. Un meccanico su una linea di produzione automatizzata che supervisiona robot costosi non dovrebbe essere paragonato a un addetto al parco cittadino.

Il contributo dello stato al PIL dev'essere escluso da qualsiasi calcolo della produttività, in quanto è un drenaggio della produzione reale.

Il problema con statistiche come la produttività è che tutti pensano che significhino qualcosa, soprattutto la classe politica. Ciononostante mettiamo il fatto che questa media econometrica non sia fuorviante; che sia qualcosa che un imprenditore troverà utile come base di confronto nella ricerca della migliore giurisdizione per stabilire la propria attività, qualcosa che lo guiderà sull'opportunità di trasferirsi dalla Gran Bretagna all'Europa continentale o viceversa.

A tal fine selezioneremo quattro Paesi in Europa dal database dell'OCSE, incluso il Regno Unito. Nella Tabella 1 vediamo quanto segue:

Queste sono le cifre dell'OCSE su cui i successivi ministri delle finanze britannici hanno basato le loro lamentele su quanto siano improduttivi i loro contribuenti; e se potessero essere esortati a lavorare in modo più produttivo, le entrate fiscali ne gioverebbero. Questo è il vero interesse del tesoriere di stato. Certo, secondo l'OCSE, la produttività ufficiale è migliorata rispetto a quella che metteva la Gran Bretagna dietro l'Italia e la Francia prima del voto sulla Brexit. Quello che è cambiato è che il livello di disoccupazione in Italia e in Francia è sceso, quindi ci sono più occupati, più ore lavorate e minore produttività oraria. Certo, non abbiamo idea di quanto siano produttive quelle ore di lavoro, perché purtroppo la produttività stessa non può essere misurata nell'effettivo, solo ipotizzata.

Un approccio più sensato è guardare alla produttività dal punto di vista di un imprenditore. Impiega salariati e si aspetta di farlo in modo redditizio. È con le sue entrate dalle vendite che deve pagare sia le tasse che i salari per i suoi dipendenti. Nel decodificare le cifre dell'OCSE, dobbiamo anche rimuovere lo stato, perché esso è un salasso per la produzione; poi dobbiamo eliminare i disoccupati per arrivare al numero degli occupati nel settore privato.

La Tabella 2 quantifica la forza lavoro nel settore privato.

Vale la pena notare che esistono diversi modi per contare i dipendenti pubblici e che la Francia, ad esempio, ha nazionalizzato le industrie i cui dipendenti non sono inclusi nel totale. Nel Regno Unito si stima che un ulteriore 5% sia impiegato come appaltatori statali e, teoricamente, dovrebbero essere considerati come dipendenti pubblici. Le distorsioni alla base delle statistiche dell'OCSE stanno aumentando...

Le statistiche dell'OCSE presumono che le persone in età lavorativa abbiano appena quindici anni, il che può essere vero in una nazione emergente, ma gli europei continuano a studiare fino a un'età media di circa diciotto anni. Non abbiamo altra scelta che ignorare questi importanti errori.

Successivamente dobbiamo derivare il PIL del settore privato per dipendente in tal settore. Ciò corrisponde agli adeguamenti alla forza lavoro nella Tabella 2 con il PIL del settore privato, come mostrato nella Tabella 3.

La persona media è ritenuta responsabile della produzione di una quota del PIL che è la più bassa in Italia e la più alta nel Regno Unito. Chi l'avrebbe mai detto! Nella Tabella 1 l'OCSE ci diceva invece che la Francia era in cima alla classifica della produttività.

Tuttavia per assumere la persona media dev'essere pagato uno stipendio. La Tabella 4 mostra il rapporto tra il PIL per dipendente e il suo stipendio medio

La conclusione di questo esercizio è che, nonostante la Brexit, l'imprenditore medio che assume il dipendente medio ottiene il miglior ritorno sul suo investimento in capitale umano nel Regno Unito, segue poi l'Italia. Se avete una predilezione per la Francia, è meglio assicurasi condizioni vantaggiose dal punto di vista statale per tutta la durata dell' investimento. E la Gran Bretagna batte persino la Germania, a mani basse. Utilizzando i dati dell'OCSE, riformulati per riflettere la realtà commerciale, i risultati negano le conclusioni dell'OCSE. Ma...

Houston, abbiamo un problema...

Il tedesco medio sarebbe impiegato in modo non redditizio? E i francesi assumerebbero persone su base marginale prima di prendere in considerazione onerose tasse sul lavoro? E gli esigui margini in Italia e nel Regno Unito per i salari medi suggeriscono che mentre alcuni dipendenti sono impiegati in modo redditizio, sono controbilanciati da molti che non lo sono.

O le statistiche sono sbagliate (e sappiamo che lo sono), o vengono utilizzate statistiche sbagliate. In caso contrario, interi settori della produzione europea sarebbero già stati chiusi.

Il problema non è difficile da identificare: il PIL è composto dai prezzi finali, la somma totale del valore aggiunto lungo le filiere di produzione e di approvvigionamento, non cattura i valori della produzione lorda. Come accennato in precedenza, se l'UE producesse cifre per la PL, compresi i processi intermedi per beni e servizi, il rendimento per dipendente sarebbe più realistico. La Germania, con la sua forte base manifatturiera, è probabilmente la più sottovalutata, mentre l'Italia e la Francia con le loro industrie turistiche, forse meno. La Gran Bretagna potrebbe trovarsi da qualche parte nel mezzo, simile alla PL per gli Stati Uniti.

Accettando che non abbiamo prove statistiche riguardo la PL, a parte una guida approssimativa negli Stati Uniti dove è circa il doppio del PIL, cerchiamo di applicarla in modo rudimentale alle quattro nazioni europee nella nostra analisi. E ora possiamo aggiungere ulteriori costi di occupazione (pensioni, tasse sul lavoro, detrazioni sociali, ecc.) che secondo i dati dell'OCSE avrebbero reso tutta l'occupazione europea uno spreco di risorse per qualsiasi datore di lavoro. Inoltre il valore del capitale umano impiegato per fare cose diverse non può essere misurato da nessuno se non da chi ne ha interesse economico al pagamento degli stipendi. Tutto questo è catturato nella Tabella 5.

Queste cifre dovrebbero comunque essere prese con le pinze per tutti i motivi già esposti. In pratica ci sono enormi variazioni nazionali nei salari, nelle tasse relative all'occupazione e nei costi aggiuntivi, come lo spazio per gli uffici, le attrezzature: l'elenco potrebbe continuare all'infinito. Ma, mettendo tutto questo da parte, la giurisdizione più redditizia per assumere qualcuno rispetto ai quattro Paesi analizzati è il Regno Unito.

Se prendete i calcoli dell'OCSE al valore nominale, cosa che fanno tutti, pensereste che la Francia sia il posto giusto per assumere qualcuno, mentre in realtà è il peggiore. E mentre in base ai dati OCSE non c'è molta differenza per quanto riguarda la produttività tra i tre, in realtà le differenze sono significative.

La Gran Bretagna ha gli ulteriori vantaggi della lingua e della cultura. Nel corso dei decenni ha accolto i migranti a un livello che altre nazioni non hanno. E dopo aver abolito la tassa selettiva sull'occupazione nel 1973, la tassazione dell'occupazione in Gran Bretagna è circa la metà di quella europea.

Dobbiamo sottolineare che il principio dell'approccio dell'OCSE è completamente sbagliato piuttosto che discutere sui dettagli, ma esso incoraggia i politici e gli economisti a ignorare l'impatto delle tasse sul lavoro. È qui che il Regno Unito ottiene risultati relativamente buoni e la Francia è un disastro.

Ma gli stati non sono interessati al metodo statistico, ma al messaggio di fondo riguardante le entrate. Se l'OCSE afferma che gli inglesi dovrebbero essere più produttivi, allora offre la prospettiva di maggiori entrate fiscali, se solo le imprese potessero essere incoraggiate a migliorare la produttività.

Invece di criticare il settore privato, è sicuramente più rilevante guardare agli oneri statali sulla produzione, in particolare per quanto riguarda l'eccesso di regolamentazione che è quasi certamente il più grande ostacolo all'ambizione imprenditoriale.


Spesa pubblica e PIL

L'uso del PIL piuttosto che della produzione lorda per determinare la produttività è indubbiamente sbagliato, ma gli stati sono fissati sul PIL e secondo loro deve crescere sempre. Il PIL non rappresenta la crescita economica, ma la crescita del valore in valuta delle transazioni totali, di solito nel corso di un anno.

Svalutate la valuta e accelererete il PIL nominale; aumentate la spesa pubblica e con essa aumenterete il PIL. In passato gli stati hanno regolarmente confuso le acque riguardo le aspettative sulla crescita del PIL tramite l'aumento della spesa pubblica. I mercati azionari sono saliti dopo la notizia. Ma se serve a qualcosa, il PIL consente a uno stato di stimare il reddito fiscale potenziale, altrimenti è inutile e fuorviante.

Il PIL è una statistica sponsorizzata dallo stato che viene sistematicamente e inconsciamente confusa con il progresso economico, ma un momento di riflessione mostrerà che il progresso non può essere misurato statisticamente. Ed è quasi certo che i progressi continuino o addirittura accelerino con una lieve recessione del PIL. Dovremmo saperlo perché è la concorrenza che porta al calo dei prezzi al consumo, ammesso che la valuta sia stabile nel suo valore.

Durante la crisi sanitaria, quando gran parte dell'economia produttiva è stata chiusa, la spesa pubblica del Regno Unito è salita a circa il 50% del PIL, anche se da allora è scesa a circa il 43% nell'ultimo anno fiscale (5 aprile 2023). Quando si analizza il PIL è estremamente importante decidere come trattare la spesa pubblica.

Gli economisti mainstream sono tenuti a sostenere che la spesa pubblica sia importante in termini economici e che la crescita del PIL debba includerla. Inoltre, in base al consumo, dev'essere inclusa anche la spesa dei dipendenti pubblici. Questo è certamente un punto valido, ma manca il quadro più ampio.

Se è vero che la spesa dei dipendenti pubblici fa parte del totale, le tasse riducono il consumo alimentato dai consumatori per coloro che non sono impiegati dallo stato, sostituendolo con la fornitura di servizi non liberamente richiesti. Non è necessario guardare lontano per capire come la spesa pubblica sia un peso per l'attività economica e che un approccio economico di successo sia quello di liberare il settore privato, eliminando il più possibile lo stato e i suoi interventi. È questo approccio che ha portato al notevole successo di Hong Kong nei decenni del dopoguerra, rispetto alla povertà inflitta alle stesse etnie sulla terraferma sotto Mao Zedong, dove lo stato rappresentava il 100% dell'economia.

Convincere l'establishment che usare come riferimento il PIL finisce per sopprimere il progresso economico, è una strada in salita. Invece di accettare l'evidenza empirica, l'establishment rafforza sistematicamente il PIL aumentando il suo intervento nell'economia, la sua spesa in proporzione al totale e svalutando la valuta.

Ciò porta a una divergenza di interessi tra i politici che cercano di rappresentare l'elettorato e lo stato stesso. I politici di destra sono di solito sostenitori del libero mercato, con l'ambizione di ridurre la presenza dello stato in proporzione all'economia totale. Sono nominati per abbattere le spese e la burocrazia, ma ci sono buone ragioni per cui non raggiungono mai tale obiettivo.

Quando hanno responsabilità ministeriali, la loro priorità cambia: proteggere i loro bilanci. Eventuali tagli alla spesa comportano una riduzione dello stanziamento di bilancio del Ministero del Tesoro. Per i ministri e l'establishment in generale, ciò equivale a una perdita di potere, pertanto, nella misura in cui si ottengono risparmi, essi devono elaborare altri piani per mantenere o aumentare i livelli di finanziamento. L'interventismo diventa la norma e la quota dello stato sul PIL tende inesorabilmente ad aumentare.

Soprattutto nell'attuale contesto economico, ridurre la spesa pubblica è diventato un compito politico impossibile. Oltre ai ministeri ad alta spesa come la sanità, l'istruzione e la difesa che richiedono sempre maggiori risorse finanziarie, c'è il problema dell'inflazione dei prezzi che porta a disordini tra i dipendenti del settore pubblico.

Insieme a molte altre nazioni, la Gran Bretagna sta entrando in una recessione in un ambiente con tassi d'interesse più elevati e quindi rendimenti obbligazionari e interessi sul debito più elevati a causa di una stretta creditizia, il tutto mentre le banche commerciali tentano di ridurre i loro bilanci eccessivamente indebitati. L'apparato statale deve anche affrontare aumenti della spesa per il credito sociale, altri servizi sociali, assistenza sociale e pensioni. La lezione dell'ultima contrazione del ciclo del credito bancario ha mostrato che la spesa pubblica del Regno Unito in percentuale del PIL è passata dal 36% nel 2006/07 al 40,8% nel 2010/11. Con l'attuale contrazione del credito che minaccia di essere significativamente più dirompente della precedente, la quota del PIL rappresentata dallo stato potrebbe facilmente superare il 50% nel prossimo anno fiscale o due.

Sia al Tesoro inglese che alla Banca d'Inghilterra sembra esserci ignoranza riguardo l'esistenza del ciclo del credito bancario. Il modo in cui possono formulare le loro linee di politica, sia che si tratti d'indirizzarsi all'inflazione dei prezzi al consumo o al PIL, è del tutto sterile. Di fronte a queste difficoltà, guardare al PIL come mezzo per gestire l'economia quasi certamente fallirà.


Conclusione

Abbiamo visto come gli stati hanno invertito il loro rapporto con gli elettori, diventando i loro padroni invece che i loro servitori. Le statistiche ufficiali, come il PIL e la produttività del lavoro, sono sempre più orientate a quantificare il reddito fiscale potenziale. E l'interesse dello stato per le nascite e le morti è quasi interamente alimentato dal desiderio di un numero crescente di contribuenti e di un numero in calo di richiedenti le pensioni.

Ironia della sorte, è la fine della bolla mondiale del debito che dimostrerà la rovina dello stato. L'ossessione per l'aumento delle entrate sta portando tutti gli stati occidentali verso una crisi dei finanziamenti, innescata dalla fine della soppressione dei tassi d'interesse. Sarà porincipalmente questo sviluppo che costringerà gli stati e le loro organizzazioni a confrontarsi con la realtà economica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 27 giugno 2023

Come insegnare l'economia Austriaca ai bambini

 

 

di Scott Drylie

Una mamma del vicinato ha combinato un guaio, uno di natura macroeconomica. Vi farò capire il cuore del suo problema e come coltivare la bontà nel nostro modo di vivere economico.

Qualche mese fa suo figlio andava di porta in porta consegnando un volantino che recitava: "Ragazzo di dodici anni disposto a lavorare". Stava cercando di guadagnare soldi per andare a scuola di vela. Sono rimasto a dir poco colpito. C'è virtù nel duro lavoro e nell'iniziativa, e tale virtù raddoppia quando coinvolge pre-adolescenti e adolescenti.

Poi, però, le cose sono andate male. Non con il ragazzino: era fantastico. L'ho chiamato affinché riportasse i nostri bidoni della spazzatura vuoti a casa un giorno quando saremmo stati fuori città. Gli avevo promesso dieci dollari al mio ritorno.

Le cose sono andate male quando ho ricevuto il messaggio dalla mamma: "È stato un compito facile. Non c'è bisogno di pagare".


Una pericolosa premessa di base

Ammetto che il compito era facile e che dieci dollari erano molto generosi. Diamine, probabilmente avrei potuto negoziare fino a cinque dollari! Il fatto che avesse effettivamente un salario di riserva pari a zero era un'opportunità persa per evitare di trasgredire le leggi sul lavoro minorile.

Ammetto anche che la carità e il buon vicinato sono importanti. Ma questa era un'altra cosa. Il sequitur della mamma era "facile ergo gratis"; un analogo al più familiare "duro ergo, costoso". Era scivolata in un ragionamento economico (e morale) che è onnipresente nella società e pericoloso tra l'altro: gli economisti la chiamano la teoria del valore-lavoro.

In termini semplici, la teoria afferma che la quantità di duro lavoro impiegato in un prodotto o servizio è ciò che ne determina il valore (e il prezzo). Più duro è il lavoro, più valore viene generato e quindi più il lavoratore dovrebbe essere remunerato.

Infatti tale logica entra così facilmente nel cervello che è profondamente radicata nella nostra sensibilità morale. È l'intuizione che ci dice che il duro lavoro e l'impegno degli insegnanti dovrebbero essere meglio remunerati; è l'impulso che ci dice che i guadagni per lancio, per parola, per ora e per post rispettivamente di atleti, attori, amministratori delegati e personalità di Instagram sono ingiustamente alti.

La mamma calcolava lo sforzo del ragazzo ed era imbarazzata dal fatto che esso non fosse in linea con la remunerazione. Voleva che il ragazzo imparasse il valore del duro lavoro. Cosa c'era da imparare in questa situazione di soldi facili? Forse qualcosa di sconveniente.


Prospettiva economica neoclassica

Il valore, come la maggior parte degli economisti lo intende sin dalla rivoluzione marginalista di fine diciannovesimo secolo, non è determinato calcolando il numero di ore di produzione. È determinato dal cliente, da quanto apprezza il prodotto rispetto alla sua disponibilità. Il valore è intrinsecamente soggettivo.

I bidoni della spazzatura sul marciapiede segnalavano la mia assenza e invitavano i malfattori a irrompere in casa. Avrei pagato venti dollari. Accidenti, forse di più!

Il ragazzo è stato fortunato, ma questa fortuna non era senza merito. Era un imprenditore, ha avuto l'idea, ha sviluppato ottimi volantini e poi ha trovato il coraggio di andare di porta in porta, guardare negli occhi perfetti sconosciuti e fare colpo. Doveva anche ricordare che tra pre-algebra e LEGO doveva recuperare i bidoni della spazzatura. Diamine, probabilmente era rimasto in ansia per giorni!

La teoria del valore-lavoro sbaglia indirizzandoci a calcolare il fattore più visibile, ma c'era molto più vantaggio per me di quello che si poteva ricavare dal facile spostamento di oggetti vuoti. Come affermava il filosofo romano Seneca (e il famoso allenatore di football Vince Lombardi): “La fortuna è quando l'opportunità incontra la preparazione”.


Una morale alternativa

Da qui il mio contributo morale all'educazione di questo ragazzino: il tuo valore è nella tua persona, non solo nel tuo "lavoro". Le tue idee avranno valore nella società odierna, il tuo buon senso avrà valore e anche il tuo carattere. Scopri cosa apprezza il mondo, guadagnerai bene e migliorerai la sorte degli altri.

Adam Smith considerava la moralità come lo spirito di ricerca della ricchezza. Quel giorno quel ragazzino di dodici anni era il mio macellaio, birraio, o fornaio. Non mi ha offerto servizi per spirito caritatevole, ma piuttosto per spirito egoistico: arrivare alla scuola di vela. E va bene, perchéé bisogna guardare il risultato, non l'intenzione. È come se mi avesse fatto l'elemosina (o ciò che gli economisti chiamano "surplus del consumatore").

Smith è nato trecento anni fa. Il suo tipo di pensiero morale minacciava il monopolio dei leader politici e spirituali del suo tempo. Accade la stessa cosa oggi. Alexandria Ocasio-Cortez vorrebbe che voi pensaste che gli scambi in denaro vanno a scapito delle anime alienate dei lavoratori; Papa Francesco insiste sul fatto che le transazioni di lavoro sono eventi "vinci-perdi" tra ricchi e poveri.

Il mio scambio con il ragazzino dice il contrario. Nell'ambiente di mercato scambiamo desideri con provviste, bisogni con soddisfazioni e sogni con realizzazioni. Siamo tutti poveri che diventano ricchi e ricchi che provvedono ai poveri.


Formazione continua

Alla fine ho pagato il ragazzino e non ho dato luogo ad alcuna predica. La moralità del mercato spesso si apprende semplicemente partecipandovi.

Se io e il ragazzino continueremo a fare affari insieme quest'anno, staremo entrambi meglio. Inoltre, per garantire transazioni continue, probabilmente si manterrà onesto e probabilmente eviterò di essere un burbero e un bruto (nonostante questo articolo).

Il prossimo anno il mio quartiere sperimenterà una dimostrazione della mano invisibile di Smith e del doux commerce di Montesquieu. È una dimostrazione replicata più e più volte in società libere, una in cui diversi estranei si incontrano, risolvono i problemi disparati l'uno dell'altro e si comportano in modi che si prestano alla tolleranza, alla democrazia, alla pace e alla fiducia.

Una tale società è una causa a cui vale la pena donare. Quindi trovate quel ragazzino del vicinato disposto a lavorare e assicuratevi di pagarlo. Coltiverete quel sentimento miracoloso che fa sbocciare le virtù dal commercio. In tal modo verrete ripagati dei vostri sforzi pecuniari e tutti gli altri staranno meglio.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 26 giugno 2023

In che modo l'arroganza rappresenta una minaccia per la libertà

Uno dei migliori esempi di arroganza che abbiamo oggigiorno è rappresentato dalla setta ambientalista. Quella che covano è di tale portata da farli arrivare a dire che l'essere umano è addirittura un cancro per il pianeta. Questa è una metrica palesemente anti-umana e un ovvio pretesto per future atrocità. Da quando esistono, gli stati hanno usato come giustificazione tutte quelle ideologie che avrebbero permesso loro di raggiungere maggiore potere. La tesi di aumentare i poteri del ramo esecutivo del governo, ad esempio, non fa gola all'apparato burocratico per le sue acute argomentazioni, ma perché gli permette di agguantare più potere. Lo stesso lo si può dire per il keynesismo e ora per l'ambientalismo. Negli ultimi decenni questa setta ha intrapreso una campagna rivolta principalmente ai giovani: terrorizzare la popolazione affinché cedesse il controllo socioeconomico e si potesse quindi respingere un'(eco)apocalisse causata dal cambiamento climatico. E la setta ha lavorato duramente per creare un alto costo sociale per qualsiasi tipo di disaccordo. Inoltre il “cambiamento dello stile di vita” richiesto è la de-industrializzazione del mondo sviluppato unita all'arresto dell'industrializzazione del Terzo Mondo. C'è un malinteso comune: la prossima grande ideologia malvagia che vorrà spazzare via il nostro mondo sarà facilmente identificata sin dall'inizio. Ma non è vero: il prossimo grande male si svilupperà come tutti quelli passati. A molti sembrerà sensato, sarà popolare e ci sarà una pressione sociale verso la conformazione. Ma sotto le belle parole ci sarà un rifiuto dell'umanità ed esso pianterà il seme per future atrocità. L'ambientalismo ha tutti i tratti di una tale ideologia: non merita l'altura morale da cui sbrodola i propri dogmi. Un ambiente sano, pulito e prospero per gli esseri umani è ciò che la nostra specie ha costruito per migliaia di anni. Non cadete nei tranelli di coloro che vogliono fermare o invertire tal progresso, e non sostenete mai un movimento che pensa che il mondo starebbe meglio senza di voi.

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di Barry Brownstein

Nel suo libro del 1962, Capitalism and Freedom, Milton Friedman ha affermato: “L'umiltà è la virtù distintiva di chi crede nella libertà; l'arroganza, invece, è quella del paternalista”.

Oggi ci sono molti più paternalisti arroganti che non sempre hanno l'etichetta di progressista o socialista. Creano poco e pretendono molto da chi invece aggiunge valore alla vita degli altri. Come scrisse Friedman, il sistema di credenze in cui vivono gli arroganti è una grave minaccia alla libertà.

Nei miei anni d'insegnamento ho notato come, per alcune persone, l'umiltà non rappresentasse una virtù da coltivare. Tali individui erano preoccupati del fatto che altri se ne potessero approfittare; temevano che essere umili li avrebbe resi vulnerabili.

Le virtù incarnano stati mentali che non corrispondono a comportamenti specifici e l'umiltà non significa sottomettersi agli altri. Come l'arroganza, sminuirsi significa insistere sul fatto che si è ciò che invece non si è.

L'umiltà ci avvicina alla realtà: capiamo più chiaramente quanto dipendiamo dalla cooperazione con gli altri per la nostra esistenza; capiamo quanto siamo ignoranti, quanto è limitata la nostra conoscenza; capiamo quanto ci è stato dato rispetto a quanto abbiamo contribuito a dare. Siamo tutti fruitori di ciò che è stato costruito da altri vissuti prima di noi, siamo in soggezione per la maestosità di ciò che l'ordine spontaneo ha creato prima di noi. Quando siamo in contatto con la realtà, non possiamo fare a meno di sentirci grati. Entra in gioco la miseria quando invece viviamo in contrasto con la realtà; quando le voltiamo le spalle, l'umiltà ci aiuta a reimpostare il nostro orientamento.

Più umiltà coltiviamo, più possiamo spersonalizzare le nostre interpretazioni della vita; un tale cambiamento nel punto di vista ci rende più facili da frequentare e ci aiuta a diventare campioni della libertà.

Tramite Zoom io e mia moglie teniamo un club del libro per famiglie. Ogni settimana lavoriamo su un paio di capitoli di libri che vanno da The Road to Serfdom di F. A. Hayek ad Atomic Habits di James Clear. Di recente abbiamo terminato Leave Me Alone and I Will Make You Rich di Deirdre McCloskey e Art Carden.

Leggendo gli ultimi capitoli di quest'ultimo libro, nostra figlia s'è resa conto che “la mano invisibile non è personale”. McCloskey e Carden citano John Stuart Mill dal suo libro, On Liberty: “La società non ammette alcun diritto, né legale né morale, per quei concorrenti delusi, nessuna immunità da questo tipo di sofferenza; ed essi si sentono chiamati a interferire impiegando mezzi che invece sono contrari all'interesse generale, vale a dire frode, tradimento e forza”.

Nessun individuo, nessuna impresa, ha diritto a un trattamento speciale. La mano invisibile è impersonale; non mostra favoritismi. L'ordine spontaneo non ci favorirà, ma ci aiuterà a spiccare il volo. In Cosmos and Taxis, Hayek spiega che gli ordini spontanei non “hanno uno scopo particolare” e non sono progettati dalle menti umane. Tuttavia, scrive Hayek, l'ordine spontaneo “può essere estremamente importante per il nostro successo nel perseguimento” dei nostri scopi.

Ci è stato dato uno strumento d'immenso valore, eppure alcuni vogliono di più. Vogliono essere favoriti rispetto agli altri, vogliono garanzie che l'ordine spontaneo non fornirà mai.

Cerchiamo di capire perché alcune persone disdegnano l'ordine spontaneo. Essi infatti credono che i loro progetti siano particolarmente meritevoli e, attraverso il processo politico, mirano a ottenere ricompense che altrimenti non otterrebbero.

L'unico modo per essere riconosciuti in un libero mercato è fornire un bene o un servizio che gli altri apprezzano. Spiegano McCloskey & Carden: “L'innovatore borghese ottiene profitto, e la sua cena, rispettando la dignità degli altri. Non lavora costringendo gli altri a una "concorrenza" violenta, ma facendo un'offerta a un cliente che può accettare o rifiutare”.

Siamo di fronte a una scelta fondamentale su come ordinare la società: decidere se alcune persone e aziende sono speciali o rispettare la dignità di tutti. McCloskey & Carden scrivono: “L'alternativa al rispetto della dignità individuale è decidere le questioni economiche collettivamente, attraverso lo stato, una "concorrenza" autorizzata dalla politica”. Gli autori mettono in discussione il potere dello stato ponendo la seguente domanda: “Ci si può fidare di uno stato con tali poteri affinché non li usi a vantaggio dei cosiddetti ammanicati?”

La risposta, come sappiamo, è no. In un discorso pubblico del 1977 Milton Friedman disse: “I due più grandi nemici della libera impresa negli Stati Uniti, secondo me, sono, da un lato, i miei colleghi intellettuali e, dall'altro, le grandi aziende di questo Paese”.

“Ogni intellettuale”, continuò Friedman, “è a favore della libertà per sé stesso e contro la libertà per chiunque altro”. Per quanto riguarda le corporazioni, Friedman aggiunse: “Ogni impresa è a favore della libertà per tutti gli altri, ma quando si tratta di sé stesse, la questione è diversa”. I leader aziendali sostengono che le loro attività sono speciali: “Deve esserci quel dazio per proteggerci dalla concorrenza estera; deve esserci quella disposizione speciale nel fisco; dobbiamo avere quel sussidio”.

Con così tanti che pensano di essere speciali, è “difficile trovare un sostegno genuino e disinteressato per una politica sistematica volta a potenziare la libertà”, tanto per usare le parole di Hayek.

Coloro che pretendono un trattamento speciale da processi impersonali, anonimi e incontrollabili mancano di umiltà. Vogliono credito per i loro risultati e incolpano gli altri quando i loro obiettivi non sono all'altezza. Con tale arroganza, la libertà è davvero impossibile.

Hayek disse: “Una civiltà complessa come la nostra si basa necessariamente sull'adattamento dell'individuo a cambiamenti di cui non può comprendere la causa e la natura”. Coloro che mancano di umiltà “attribuiranno tutta la colpa [per gli esiti che non gradiscono] a una causa evidente, immediata ed evitabile, mentre le interrelazioni più complesse che determinano il cambiamento rimangono loro inevitabilmente nascoste”.

Non dovremmo trascurare un avvertimento che ritroviamo in The Road to Serfdom: “Un rifiuto a sottomettersi a tutto ciò che non possiamo capire porterà alla distruzione della nostra civiltà”. L'arroganza ha le sue conseguenze.

Potrebbe sembrare che proprio le persone che hanno bisogno di praticare più umiltà siano quelle meno aperte al potere della sua virtù, ma questa è un'idea sbagliata. Tutti abbiamo il potere di scelta e incolpare gli altri per non aver esercitato tale libertà è il massimo dell'arroganza. Possiamo esercitarci riflettendo sui nostri bisogni e la volontà di ottenere un trattamento speciale per soddisfarli.

Se oggi ci manca l'umiltà, questo non rappresenta un tratto caratteriale permanente. Come ha scritto il professore di filosofia, Iskra Fileva, il carattere “non è un insieme di disposizioni stabili e unificate”. Fileva ha fornito grandi consigli a coloro che cercano di esercitare in modo coerente le virtù: “L'unità nel carattere è una conquista. E abbiamo maggiori possibilità di raggiungerla se lo consideriamo un obiettivo piuttosto che uno stato di cose esistente”. Possiamo migliorare solo “se [noi] facciamo uno sforzo”. Il nostro personaggio è un costante lavoro in corso, così come la società libera che aiutiamo a creare.

Il collettivismo nel mondo è in contrasto con la realtà. La nostra arroganza, anch'essa in contrasto con la realtà, alimenta il collettivismo. Eppure non siamo impotenti, possiamo smettere d'ingannare noi stessi. Possiamo vedere i limiti delle nostre menti e provare gratitudine per quanto gli altri fanno per noi; possiamo coltivare la curiosità sui processi spontanei e notare come la cooperazione umana crei miracoli. Se “l'umiltà è la virtù distintiva di chi crede nella libertà”, allora oggi possiamo diventare più consapevoli della nostra arroganza e, con la pratica, tornare alla realtà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 23 giugno 2023

Trovare la libertà finanziaria in Afghanistan

 

 

di Alex Gladstein

Roya Mahboob — la prima donna CEO nel settore tecnologico afghano, una delle persone più influenti al mondo secondo il TIME e una delle prime imprenditrici a introdurre Bitcoin in Afghanistan — aveva sette anni quando i talebani presero il controllo del suo Paese e invasero la sua città natale nel 1996.

Un giorno stava giocando con la sua bicicletta in giardino, indossando la sua sciarpa rossa preferita, quando un gruppo di uomini armati si presentò su una jeep, urlando a suo padre in una lingua che non capiva. Dopodiché non le fu più permesso di uscire e giocare.

“La mia famiglia mi tolse la sciarpa e mi costrinse a indossare un vestito nero”, mi ha detto, “proprio come tutte le altre ragazze”.

Pochi giorni dopo i talebani tornarono, armati fino ai denti, e andavano di casa in casa alla ricerca di qualsiasi segno di libri o televisori.

“Se trovavano dei libri, li portavano in giardino e li bruciavano”, mi ha detto Mahboob. “Se avessero trovato delle VHS, avrebbero bruciato anche quelle”.

La parte più stridente era che non poteva più andare a scuola. Invece era costretta ad andare alla moschea, a studiare il Corano e ad ascoltare le lezioni di un mullah che non sapeva nemmeno leggere. Per lei, tutti i percorsi verso la conoscenza erano stati chiusi e tutti i ponti verso il mondo esterno erano stati bruciati.

Poco dopo la conquista dell'Afghanistan da parte dei talebani, la famiglia di Mahboob fuggì in Iran. Mi ha detto che suo padre era un leader laico e che era diventato troppo pericoloso crescere una famiglia in una terra di fondamentalismo religioso. È cresciuta come straniera in una terra straniera e come cittadina di seconda classe, ma col tempo si è abituata all'Iran e quando suo padre decise di riportare la famiglia in Afghanistan nel 2003, era terrorizzata.

Quando tornò nella città di Herat, una notte, ricorda che le cose erano sorprendentemente tranquille. La TV di stato iraniana aveva ritratto l'Afghanistan come un luogo di morte e distruzione, ma Roya trovò la sua regione d'origine stabilizzata. Ora che era un'adolescente, era ancora costretta a indossare l'hijab, ma riteneva le restrizioni molto più flessibili rispetto a quelle sotto ai talebani. Sì, c'erano truppe straniere ovunque, ma rispetto a oggi, mi ha detto, c'erano nuove opportunità economiche e la situazione della sicurezza era molto più sicura: “C'era un senso di speranza nell'aria”.


I. ALLA SCOPERTA DI INTERNET

Una delle cose che incuriosiva di più Mahboob nella sua nuova vita a Herat era l'Internet cafè. Vivendo in Iran, non le era permesso andare in una biblioteca o in una libreria; la sua istruzione era limitata e basata principalmente sull'Islam. Ottenere conoscenza al di fuori di questa sfera era alquanto arduo. Al suo arrivo a Herat sentì parlare di un posto che aveva delle piccole scatole con le quali comunicare; se uno digitava qualcosa, fornivano molte informazioni. Si poteva anche parlare con altre persone tramite messaggi elettronici, ma le donne non erano ammesse.

“Un giorno”, mi ha detto, “costrinsi uno dei miei cugini maschi a portarmici”. Il proprietario del bar non voleva farli entrare, ma loro erano insistenti e una mattina presto lui cedette. Si innamorò immediatamente del computer e seppe che le Nazioni Unite avevano avviato un corso d'informatica per donne proprio lì. L'insegnante disse a Mahboob che se fosse riuscita a far iscrivere 15 ragazze, quel corso sarebbe partito. Radunò tutti i possibili corsisti e dopo sei mesi si appassionò al web.

L'anno successivo, nel 2004, Mahboob entrò all'Università di Herat e si dedicò all'informatica. Nei quattro anni successivi avrebbe imparato a programmare e avrebbe fatto crescere il suo desiderio di cambiare il mondo attraverso la tecnologia.

Inconsapevolmente aveva attinto alla filosofia di un gruppo di programmatori che si trovavano a migliaia di chilometri di distanza: i cypherpunk. Essi credono che il modo migliore per cambiare la società sia attraverso la tecnologia, non attraverso lo stato. La loro filosofia è innovare senza permessi. In questo senso, Mahboob era una di loro.

Continuò i suoi studi, fino a diventare coordinatrice del dipartimento IT dell'università, dove ha contribuito a costruire l'architettura di rete del campus. Imparò l'inglese, principalmente per comunicare con gli insegnanti, e iniziò a lavorare al progetto Silk Road, un'iniziativa della NATO che ha aiutato tutte le principali università dell'Afghanistan a collegarsi con la fibra ottica.

Nel 2009 Mahboob incontrò Paul Brinkley, il vice sottosegretario alla difesa degli Stati Uniti. Gli americani volevano costruire un incubatore tecnologico a Herat. A quel tempo Mahboob aveva contribuito a creare un'associazione di ragazze interessate alla tecnologia e al software. Brinkley le chiese: “Perché non avviare un'azienda? Possiamo assumerti”.


II. MAHBOOB E LA SUA “CITADEL”

Con contratti del governo degli Stati Uniti e di organizzazioni multilaterali, Mahboob ha creato Citadel Software.

Perché questo nome?

“A Herat”, mi ha detto Mahboob, “c'è una bellissima cittadella che sovrasta il resto della città. È impressionante, persino mozzafiato”. La sua azienda voleva essere un castello di programmazione software e un luogo in cui le donne potessero proseguire la propria carriera in sicurezza.

Non lo sapeva, ma era già sulla stessa linea d'onda di molti utenti Bitcoin, che spesso parlano dell'idea di una cittadella dove possono trovare uno spazio di libertà senza controllo esterno. “Ci vediamo nelle cittadelle”, dice il podcaster Stephan Livera alla fine di ognuno dei suoi episodi.

Mahboob ha fondato la sua "cittadella" ed è diventata la prima donna CEO nel settore tecnologico in Afghanistan. Per avviare l'azienda, utilizzò parte dei soldi che aveva risparmiato mentre lavorava all'università e per il Ministero dell'Istruzione afghano. Certo, aveva meno accesso alla finanza commerciale rispetto agli uomini, ma l'incontro con Brinkley fu la sua svolta. Il governo degli Stati Uniti avrebbe pagato Citadel per consultare i punti di forza, i punti deboli e i diversi approcci alla costruzione di sistemi tecnologici in Afghanistan.

Dopo pochi mesi Citadel iniziò anche a ottenere contratti dal governo afghano. Alla fine del 2011 un uomo d'affari italiano vide un documentario su Citadel. Era così commosso che contattò e alla fine finanziò la società, dando a Mahboob un investimento privato entro la fine del 2012.

“Citadel è composta per l'85% da donne”, mi ha detto Mahboob. “Per ognuna di esse questo è stato il loro primo lavoro”.

Poiché è un ambiente prevalentemente femminile, le famiglie conservatrici sono più a loro agio nel permettere alle loro figlie di lavorare lì piuttosto che in organizzazioni dominate da uomini.

Allo stesso tempo, Mahboob avviò una piattaforma chiamata WomanNX, la quale aiuta le donne afghane delle scuole superiori e dell'università a lavorare da casa, ricevendo un compenso basato sui loro contributi. Il lavoro va dal caricamento di brevi video alla scrittura di articoli o alla traduzione di documenti.

All'inizio Roya pagava in contanti i suoi dipendenti e i contributori di WomanNX. Il problema era che le donne volevano inviare i soldi alla famiglia e pagare i venditori in diverse parti del Paese. Usava il sistema hawala, un processo di trasferimento di denaro dell'VIII secolo che si basa su broker e una rete d'intermediari fidati.

Questa piattaforma antica pareva datata e lenta a Mahboob e alle sue pari, molte delle quali avevano già cellulari Nokia e avevano iniziato a creare/utilizzare i propri account Facebook. Ancora peggio, a volte il denaro non passava attraverso il sistema hawala ed era difficile verificare che l'intero importo arrivasse al destinatario.

Quindi Mahboob ha fatto ricerche sull'idea di una forma di denaro basata sui cellulari. Come si è poi scoperto, i sistemi di pagamento basati su cellulari, come M-PESA, e che hanno funzionato bene in Kenya, non sono mai decollati in Afghanistan. PayPal non era ancora disponibile a causa delle sanzioni statunitensi e le donne non avevano conti in banca, quindi non si poteva trasferire loro i soldi. Le donne dovevano avere il permesso dei padri o dei mariti per aprire un conto e tale autorizzazione spesso non veniva concessa.

I dipendenti di Mahboob volevano il controllo digitale del loro tempo e dei loro guadagni.

“Se avessi dato loro del denaro”, mi ha detto, “i loro padri o mariti o fratelli avrebbero potuto scoprirlo e sequestrarglielo”.


III. ENTRA IN SCENA BITCOIN

All'inizio del 2013 il socio in affari italiano di Mahboob le parlò di Bitcoin. Le disse che era una nuova forma di denaro che poteva essere inviato da un telefono all'altro senza un conto bancario. A differenza della valuta afgana locale, Bitcoin fluttuava sul mercato aperto. Quando Mahboob ne venne a conoscenza per la prima volta, veniva scambiato a circa $13. All'inizio dell'estate del 2013 superò i $70.

“All'inizio non pensavo che le altre ragazze si sarebbero fidate di Bitcoin”, mi ha detto Mahboob, “era troppo difficile da capire”.

Ma il suo socio in affari la incoraggiò e disse: “Proviamoci, cos'abbiamo da perdere?”

E così Mahboob insegnò ai suoi dipendenti e appaltatori come installare wallet Bitcoin sui loro telefoni, come ricevere fondi e come salvare i propri risparmi. Se le dipendenti avessero voluto spendere i bitcoin, Mahboob o sua sorella Elaha li avrebbero ricomprati in cambio di contanti.

“Ho iniziato a capire Bitcoin pensandolo come un aggiornamento digitale del sistema hawala”, mi ha detto Mahboob. A lei e alle altre donne piaceva essere pagate in bitcoin, perché potevano tenerli sul telefono e nessuno aveva bisogno di sapere quanti soldi avevano.

“Le altre ragazze erano felici di avere finalmente una forma di denaro che gli uomini non potevano prendere; dava loro sicurezza, privacy e tranquillità”.

Elaha avviò un'attività che acquistava bitcoin in cambio di contanti quando le altre donne avevano bisogno di acquistare cose. Alcuni negozi d'abbigliamento di Herat iniziarono persino ad accettare Bitcoin come mezzo di pagamento.

Durante la fine dell'estate e l'autunno del 2013, il prezzo di Bitcoin salì a più di $1.000. Citadel aveva investito tutte le sue risorse in Bitcoin. Gli affari andavano a gonfie vele e le donne non potevano credere alla loro nuova ricchezza e libertà economica.

Mahboob si sentiva invincibile.

Ma nel novembre 2013 crollò, perdendo il 60% del suo valore rispetto al dollaro. Gli attivi di Citadel furono decimati; peggio ancora, i risparmi dei suoi dipendenti evaporarono.

“I nostri concorrenti sono andati all'attacco”, mi ha detto Mahboob, “sostenendo che Citadel era gestita da truffatori che rubavano denaro alle donne”.

Mahboob decise di riacquistare i bitcoin da tutti i suoi dipendenti e appaltatori — più di 150 in tutto — a prezzi pre-crash. Per salvare ciò che restava di Citadel, Mahboob convertì quasi tutti i bitcoin dell'azienda in dollari.

Il 2014 e il 2015 furono anni difficili per Citadel e Mahboob: dovette licenziare molti dipendenti e WomenNX perse popolarità. Non chiuse l'attività, ma la ridimensionò, dandole più tempo ed energia per aiutare le giovani donne ad apprendere competenze professionali attraverso il software. Nel 2014 inaugurò un'organizzazione senza scopo di lucro chiamata Digital Citizen Fund per istruire le donne su come utilizzare la tecnologia informatica; entro il 2016 divenne il suo obiettivo principale.

“A quel punto”, mi ha detto, “molti afgani avevano perso la loro fiducia in Bitcoin. Ma non potevo dimenticare il suo potenziale; mi è rimasto impresso nella mente e non sarebbe andato via”.

Più tardi, sempre nel 2016, creò un curriculum attraverso il Digital Citizen Fund per insegnare alle donne di molte scuole come usare Bitcoin, creare un wallet e capire come funzionava il sistema "blockchain" della rete. Ad agosto 2021 migliaia di donne nell'area di Herat avevano imparato a conoscere Bitcoin e hanno ottenuto maggiore libertà finanziaria grazie a Roya e al DCF.

Roya mi ha detto che alle donne piaceva poter ricevere, risparmiare e spendere Bitcoin senza bisogno di un conto bancario. Ci volevano solo pochi minuti per creare un wallet e scrivere la frase di backup per salvaguardare i propri risparmi, nel caso in cui avessero perso il telefono; poi avrebbero potuto inviare denaro ovunque nel mondo in pochi minuti.

“La volatilità”, mi ha detto, “era il prezzo da pagare per tutti questi vantaggi”.

Forse la cosa più potente è che Bitcoin non discrimina in base al genere. Nonostante il crollo del 2013, la tecnologia era troppo interessante per essere ignorata.


IV. UNA VIA DI FUGA PER I RIFUGIATI

Alcune donne hanno conservato i loro bitcoin sin dal 2013. Una di loro è Laleh Farzan. Mahboob mi ha detto che la Farzan ha lavorato per lei come gestore di rete e durante il suo periodo a Citadel ha guadagnato 2,5 BTC. Al tasso di cambio odierno, i guadagni della Farzan ora varrebbero più di 100 volte il reddito annuo medio afghano.

Nel 2016 la Farzan ha ricevuto minacce dai talebani e da altri conservatori in Afghanistan a causa del suo lavoro con i computer. Quando attaccarono la sua casa, decise di scappare, partendo con la sua famiglia: vendette casa e tutti i suoi beni per pagarsi un viaggio insidioso verso l'Europa.

Come migliaia di altri rifugiati afghani, la Farzan e la sua famiglia hanno viaggiato a piedi, in macchina e in treno per migliaia di chilometri attraverso l'Iran e la Turchia, arrivando finalmente in Germania nel 2017. Lungo la strada, intermediari disonesti e ladri rubarono tutto ciò che avevano portato con sé, compresi gioielli e denaro. Ad un certo punto, la loro barca si schiantò e altri averi affondarono sul fondo del Mediterraneo. È una storia tragica comune a tanti rifugiati, ma in questo caso qualcosa era diverso: la Farzan è riuscita a conservare i suoi bitcoin, perché ha nascosto il seed del suo wallet su un pezzo di carta dall'aspetto innocuo. I ladri non potevano prendere ciò che non riuscivano a trovare.

Una volta che la Farzan arrivò in Germania, vendette parte dei bitcoin per $2.500, intascando dieci volte i suoi guadagni iniziali in termini di dollari. Bitcoin l'ha aiutata a iniziare una nuova vita. Riflettendo sugli innumerevoli rifugiati della storia recente, e pensando a come la maggior parte di loro potesse portare con sé solo i vestiti che indossavano mentre fuggivano, Mahboob pensa che Bitcoin potrebbe fare la differenza per tanti.

Come altro esempio, Elaha ha risparmiato parte dei bitcoin che guadagnò nel 2013 e li ha conservati fino al 2017, spendendoli infine per le tasse universitarie quando venne ammessa alla Cornell University. Per quelle ragazze che hanno avuto pazienza, Bitcoin è diventato un enorme tesoro.

Oggi Roya Mahboob afferma di utilizzare Bitcoin come conto di risparmio e come investimento per il futuro. I bitcoin che ottenne nel 2013 per circa $100 sono saliti di valore di 500 volte. Lo usa spesso per inviare denaro da New York, dove trascorre molto tempo, ad amici, parenti e venditori in Afghanistan.

Negli ultimi due anni molti broker di sistemi hawala hanno iniziato a conoscere Bitcoin. Mi ha spiegato che a Herat ci sono sempre più persone disposte a comprare bitcoin in cambio di contanti e che a Kabul è ancora più diffuso. I dati supportano le osservazioni della Mahboob: aggiustati al potere d'acquisto e alla diffusione di Internet, l'azienda Chainanalysis riferisce che l'Afghanistan ha il settimo volume di scambi peer-to-peer al mondo.

Mahboob ha affermato che man mano che Bitcoin diventerà più facile da usare, otterrà più adozione. Dal 2013 i wallet sono migliorati in modo sbalorditivo per quanto riguarda l'usabilità e il design. Il Digital Citizen Fund prevede di continuare a offrire lezioni a donne e ragazze afghane su come utilizzare Bitcoin.

“Migliaia di laureati”, mi ha detto Mahboob, “hanno sviluppato la conoscenza per la sovranità economica che altrimenti non avrebbero avuto”.

Mahboob non vede Bitcoin come un'innovazione occidentale o una creazione della Silicon Valley, ma piuttosto come uno strumento globale di libertà finanziaria che può dare potere alle donne. Tante ragazze e donne in Afghanistan non hanno una carta d'identità o un conto in banca: “Bitcoin dà loro potere. Possono imparare come minarlo, codificarlo o scambiarlo. Quando guadagnano denaro, possono convertirlo in autosufficienza che poi possono usare per sfuggire al ruolo tradizionale delle donne afghane”.

Mahboob non sa se il misterioso inventore di Bitcoin, Satoshi Nakamoto, si sia reso conto di quanto sarebbe diventato potente. Per lei, è l'invenzione più rivoluzionaria dai tempi di Internet.

“È più di un semplice investimento”, mi ha detto, “è una rivoluzione”.


V. COLLASSO ECONOMICO

Oggi, mi ha detto la Mahboob, Bitcoin è più importante che mai per l'Afghanistan.

Sulla scia della caduta di Kabul in mano ai talebani, gli afghani sono in gravi difficoltà economiche. Già prima della transizione, ben 14 milioni di afghani non avevano cibo a sufficienza. 2,5 milioni di persone erano già fuggite dal Paese. Ora i conti bancari sono stati congelati, l'attività economica è rallentata e le rimesse sono state interrotte. Gli sportelli bancomat sono vuoti — dopo che i prelievi sono passati da centinaia a migliaia al giorno — e gli scambi finanziari sono chiusi.

La valuta afgana è scesa a un minimo storico, scendendo del 5% in un solo giorno la scorsa settimana fino a raggiungere quota 100 per dollaro; un mese fa il tasso era di 78 per dollaro e 10 anni fa 58 per dollaro.

Ad aggravare ulteriormente la situazione, il governo degli Stati Uniti ha fatto pressioni sul Fondo monetario internazionale affinché interrompesse il rilascio in Afghanistan di $460 milioni in diritti speciali di prelievo e ha confiscato oltre il 99% delle riserve estere del Paese, che si trovano a New York. Il governo tedesco ha sospeso gli aiuti per $300 milioni; la Banca mondiale ha annunciato d'aver congelato il suo meccanismo di aiuti verso l'Afghanistan, il quale impegnava più di $18 miliardi; l'assistenza allo sviluppo, che ha raggiunto i $4,2 miliardi nel 2019, potrebbe arrivare a zero. Invece di essere sostenuta con gli aiuti, l'economia afghana potrebbe essere strangolata dalle sanzioni.

Western Union e MoneyGram, due dei più grandi intermediari di denaro al mondo, hanno interrotto i servizi e siti web come GoFundMe sono stati bloccati per motivi di "conformità". Le rimesse sono un'ancora di salvezza fondamentale per il Paese, rappresentando quasi il 4% dell'economia o circa $800 milioni all'anno. Ma ora gli afgani sono all'angolo, lasciati soli con questo tipo di dichiarazioni quando cercano di ricevere denaro dall'estero:

Western Union comprende l'urgente necessità che le persone hanno di ricevere fondi e ci impegniamo a riprendere le operazioni per i nostri clienti in Afghanistan non appena le condizioni lo consentiranno. Continueremo a monitorare attentamente la situazione e terremo tutte le parti interessate informate per ulteriori sviluppi.

WasalPay è un servizio che gli afghani usano per ricaricare i loro telefoni, ma il CEO dell'azienda è sommerso di richieste e ha finito i soldi. Non sa per quanto tempo potrà rimanere in affari. Asef Khademi, che stava lavorando a un progetto della Banca mondiale per digitalizzare i pagamenti in Afghanistan, afferma che tutti i progressi si sono fermati da quando i talebani hanno preso il potere.

“Potrebbero distruggerle”, ha affermato al MIT TechnologyReview, “potrebbero bruciare tutte queste tecnologie. Chi lo sa?”

Mahboob ha sottolineato che mentre i talebani potrebbero schiacciare le imprese locali, o chiudere i piani di modernizzazione finanziaria, non possono fermare Bitcoin.

I timori dell'ex-capo della banca centrale dell'Afghanistan, Ajmal Ahmady, si sono trasformati in realtà: controlli sui capitali, svalutazione della valuta, inflazione dei prezzi e tempi difficili per i poveri. Ha detto che i talebani hanno accesso solo allo 0,1-0,2% dei risparmi del Paese, questo, però, combinato con il rallentamento delle rimesse e dei flussi di aiuti, farà crollare la valuta e farà salire i prezzi. Ahmady ha detto che ci sono già segnali di un raddoppio dei prezzi del grano a Kabul.

Potrebbe persino esserci un evento di demonetizzazione se i talebani scoprissero che la valuta esistente, approvata dal governo sostenuto dagli americani nel 2002, non è abbastanza islamica. Dopotutto quando i talebani salirono al potere nel 1996, il loro capo economico dichiarò la valuta ereditata “senza valore” e interruppe l'emissione di nuove banconote.

In questo clima terribile, gli esperti prevedono iperinflazione e un'economia che potrebbe contrarsi fino al 20%. Le persone che detengono la valuta afghana stanno cercando di scambiarla con dollari o merci, facendo salire sempre di più i prezzi. In un Paese in cui solo il 10-15% della popolazione ha un conto in banca, una rapida erosione del potere d'acquisto della valuta sarebbe devastante. Alcuni dicono che la produzione di oppio o l'intervento della Russia o della Cina potrebbero prevenire il collasso economico, ma Ahmady lo ha definito uno “scenario troppo ottimista”.

“È sempre così”, dice Mahboob, “i poveri soffrono, qualunque cosa facciano le élite”.


VI. BITCOIN RISOLVE QUESTO PROBLEMA

Mahboob mi ha detto che nel caos della transizione di questo mese, i suoi genitori sono fuggiti dall'Afghanistan, ma non sono stati in grado di portare con sé i loro soldi. All'inizio di quest'anno è volata a Kabul per vederli e ha provato a dire a sua madre d'iniziare a convertire parte dei suoi soldi in bitcoin, ma lei è una persona tradizionale, non sembrava esserci necessità di farlo, e quindi ha procrastinato.

Mahboob vorrebbe essere stata più persuasiva. Se i suoi genitori avessero investito almeno una parte dei loro soldi in bitcoin, avrebbero potuto portare con sé i loro risparmi quando sarebbero fuggiti.

“Bitcoin risolve questo problema”, mi ha detto Mahboob.

Pensa che Bitcoin avrebbe potuto aiutare molti altri afghani nelle ultime settimane, sia che fossero fuggiti e avessero avuto bisogno di portare con sé i propri risparmi, sia che fossero rimasti e avessero avuto bisogno di un'alternativa alla valuta afghana.

Mi ha detto che sta negoziando con i talebani per cercare di mantenere i suoi programmi educativi.

“Rinunciare”, ha aggiunto, “non è un'opzione”.

Mahboob ha già parlato con il portavoce dei talebani, Timothy Weeks, sul mantenimento di corsi di tecnologia e finanza per le ragazze che vanno nell'area di Herat. Weeks è un ex-professore australiano che è stato rapito mentre insegnava in Afghanistan, picchiato e imprigionato per tre anni e mezzo in una piccola cella. Nel 2019 lui e un prigioniero americano sono stati liberati in cambio di tre comandanti talebani. Dopo il suo rilascio ha sviluppato la sindrome di Stoccolma e si è schierato con i suoi ex-carcerieri, tanto che ora si fa chiamare Jibra'il e rappresenta il punto di riferimento dei talebani sulle questioni digitali. È abbastanza esperto da usare app come Signal. La Mahboob mi ha detto che comunque sembra di mentalità aperta nei confronti delle sue idee.

Un obiettivo sarebbe cercare di convincere gli studiosi islamici afghani che Bitcoin è halal. Mahboob pensa che un approccio che inquadra Bitcoin come un sistema hawala digitale basato sull'oro — concetti che fanno parte della società afghana da migliaia di anni — potrebbe funzionare.

“Gli studiosi religiosi attualmente criticano Bitcoin come gioco d'azzardo”, ma, mi ha detto, “dipende da come lo si inquadra”.

Mahboob ha aiutato molte giovani donne, tra cui alcune delle star della squadra di robotica femminile dell'Afghanistan — squadra che lei stessa ha fondato — a espatriare nelle ultime settimane. Cinque membri sono appena arrivate in Messico. Ciononostante milioni di giovani donne rimangono nel Paese e avranno bisogno di modi per entrare in contatto con il mondo esterno.

La Mahboob non vuole ritirarsi in uno stato passivo di semplice condanna dei talebani dall'estero. Ha sperimentato quel governo sulla sua pelle e sa quanto sia brutale per i diritti delle donne, infatti mi ha detto: “Dobbiamo lavorare sul campo e spingere all'azione, non solo scrivere articoli che criticano il nuovo governo”.

Nei negoziati finora, i leader talebani hanno detto alla sua squadra che a Herat le donne potranno continuare ad andare a scuola una volta che saranno istituiti edifici specifici per loro.

È difficile fidarsi dei dati in Afghanistan, ma le stime dicono che su un Paese di quasi 40 milioni, ci sono circa nove milioni di utenti Internet, con quasi un quarto della popolazione online e il 90% che vive con meno di $2 al giorno. Mahboob mi ha detto che questi numeri sembrano bassi e ha affermato che una percentuale molto più alta di persone, almeno giovani, ha Internet sui propri telefoni e che una percentuale molto più alta guadagna più di qualche dollaro al giorno, soprattutto attraverso lavori secondari.

La maggior parte della giovane generazione, mi ha detto, ha telefoni cellulari con accesso a Internet e i talebani stanno permettendo alle persone di rimanere online, almeno per ora. L'obiettivo di Mahboob è convincere i talebani a consentire alle donne di partecipare all'economia digitale.

Bitcoin, mi ha detto, è una parte importante di questo piano.


VII. UN RETAGGIO DI CORRUZIONE

Mahboob ha affermato che negli ultimi 20 anni l'Afghanistan ha visto molti risultati positivi, soprattutto per quanto riguarda i diritti delle donne, le elezioni e l'istruzione. Il numero di ragazze afgane che frequenta la prima elementare è passato da zero nel 2001 sotto i talebani a oltre il 60% nell'ultimo decennio. Ma il peccato fatale del governo afghano, mi ha detto, è stata la corruzione.

La colpa, secondo lei, è di uomini come l'ex-presidente Ashraf Ghani e i suoi predecessori.

“Le élite pensavano solo ai propri interessi”, ha affermato Mahboob.

Ghani ha insegnato nelle migliori università americane, ha lavorato alla Banca mondiale, ha tenuto un TED Talk, ha scritto un libro su come riparare le società fallite e ha fondato una ONG chiamata "Institute for State Effectiveness", ma poi ha perso Kabul a causa dei talebani ed è fuggito dalla città, presumibilmente rubando $170 milioni in contanti.

L'Afghanistan ha ospitato la guerra più lunga della storia americana, provocando la morte di oltre 240.000 persone, ma l'operazione ha subito pochissimi controlli. I legislatori statunitensi non hanno mai votato per dichiarare guerra all'Afghanistan e il costo di $2.200 miliardi della guerra è stato messo in discussione solo una volta negli ultimi 20 anni dai membri del Comitato finanziario del Senato degli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti devono far fronte a un debito da $10.000 miliardi per i 20 anni di guerra in Afghanistan e Iraq: $2.000 miliardi di finanziamenti per pagare le guerre, $6.500 miliardi in interessi entro il 2050 e $2.000 miliardi per le spese relative ai quattro milioni di veterani di guerra. Gran parte di questo denaro è andato sprecato, poiché centinaia di milioni di dollari di attrezzature sono state distrutte o sono ora sotto il controllo dei talebani.

La Mahboob critica il modo in cui l'Occidente ha “sostenuto” l'Afghanistan. Decine di miliardi di dollari sono stati investiti nel suo Paese, ma in realtà poco è stato dato agli afghani, con la maggior parte finita nelle mani di ONG e aziende americane che li hanno poi riciclati negli Stati Uniti invece di farli assorbire dalla società locale. Dei $144 miliardi investiti in Afghanistan sin dal 2002, secondo Foreign Policy un 80-90% è tornato nell'economia statunitense, sottratto attraverso “un complesso ecosistema di appaltatori della difesa, banditismo di Washington e appaltatori di aiuti esteri”.

Chi ha tratto maggiore beneficio dalla guerra? Innegabilmente la vita di Mahboob e di milioni di altre donne afghane è migliorata, ma le élite del Paese, come Ghani, e il complesso militare-industriale, guidato da società pagate miliardi dal governo degli Stati Uniti, come Fluor e Amentum, hanno tratto i maggiori vantaggi. Un'interpretazione cinica sarebbe che l'operazione di guerra sia stata sostenuta solo per far continuare a scorrere i fondi destinati a determinate società e gruppi d'interesse — e non per costruire infrastrutture serie e durature — cosa che spiegherebbe perché il governo di Kabul è caduto così rapidamente.

Un ex-soldato americano ha detto che “l'esercito afghano non era reale; l'autorità civile afgana non è mai stata reale. Non hanno mai riscosso tasse, non c'erano tribunali al di fuori della polizia che derubava le persone. Niente di tutto ciò è mai esistito [...] era solo un grande programma di posti di lavoro finanziato con denaro americano e nel momento in cui sembrava che i soldi sarebbero spariti, tutti sono tornati a casa”.

Mahboob pensa che potrebbe esserci un diverso tipo di futuro, in cui l'Afghanistan sia effettivamente indipendente, e non solo qualcosa di drasticamente dipendente dal sostegno estero.


VIII. UN NUOVO CAPITOLO

Mahboob mi ha detto che prima della caduta di Kabul, stava pensando di ridurre il tempo di lavoro nelle sue attività senza scopo di lucro e tornare a lavorare interamente sul lato degli affari. Ora, però, si rende conto che l'istruzione è più importante che mai.

“Con tutto quello che è successo nelle ultime settimane, capisco che la nostra lotta è appena iniziata”, mi ha detto. “Dobbiamo ritenere i talebani i principali responsabili”.

Anche con tutto ciò che ha realizzato, Mahboob mi ha detto che si rammarica di non aver fatto più educazione riguardo Bitcoin.

“Se avessimo fatto di più, molti altri avrebbero potuto beneficiarne”.

Ha promesso di raddoppiare i suoi sforzi in quest'area, dicendomi che nei programmi del Digital Citizen Fund l'alfabetizzazione finanziaria sarà una componente chiave e Bitcoin sarà una parte fondamentale del curriculum.

“La democrazia è finita”, mi ha detto Mahboob. “Quel capitolo si è chiuso ed è iniziato un nuovo capitolo. Siamo sconvolti, sì, ma non ci arrenderemo. Continuerò a combattere”.

“Le donne ce la faranno”, ha promesso.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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