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martedì 5 marzo 2024

Il modello boom/bust di Milton Friedman: la corda di chitarra

 

 

di Frank Shostak

Alcuni economisti sono del parere che sia possibile migliorare la nostra comprensione della realtà attraverso una metafora. A questo proposito il leader della scuola di pensiero monetarista, Milton Friedman, era del parere che la metafora della corda di chitarra avrebbe potuto aiutare a svelare il segreto dei cicli economici.

Secondo questa metafora, più forte è la tensione verso il basso, più forte sarà la risalita della corda. Friedman concluse quindi che un forte crollo è seguito da un forte boom.

Per Friedman ciò che contava era avere un modello in grado di replicare le fluttuazioni dei dati; non gli interessava se il modello fosse corrisposto al mondo reale.

L'obiettivo finale di una scienza positiva è lo sviluppo di una teoria o di un'ipotesi che produca previsioni valide e significative su fenomeni non ancora osservati. [...] La domanda rilevante da porsi riguardo ai presupposti di una teoria non è se siano realistici, poiché non lo sono mai, ma se costituiscano un’approssimazione sufficientemente buona per lo scopo in questione. E a questa domanda si può rispondere solo verificando se la teoria funziona, cioè se fornisce previsioni sufficientemente accurate.

Friedman sosteneva che, analogamente a quanto accade con la corda di una chitarra, più l’economia viene colpita, più forte dovrebbe rimbalzare. Nel suo modello una forte contrazione della produzione è seguita da una grande espansione; una lieve contrazione, da una lieve espansione.

Seguendo tale modello, Friedman concluse che non c'è alcuna connessione tra l’entità di un’espansione economica e l’entità della successiva contrazione economica.

Vari studi sembravano aver confermato il modello di Friedman. Il 4 novembre 2019 Bloomberg fece riferimento a uno studio di Tara Sinclair che utilizzava tecniche matematiche avanzate che sembravano confermare l’ipotesi di Friedman: negli Stati Uniti le recessioni profonde sono seguite da forti riprese, ma non il contrario. Secondo Bloomberg altri ricercatori avevano ottenuto risultati simili per altri Paesi. Secondo questo modo di pensare le opinioni di Ludwig von Mises e Murray Rothbard, dove la dimensione di un bust è correlata alla dimensione del boom precedente, sono false.

È tuttavia discutibile che vari metodi statistici e matematici possano dimostrare o confutare una struttura di pensiero. Questi metodi sono un altro modo di descrivere gli eventi, ma non di spiegarli. Non ci dicono quali sono le cause delle oscillazioni nei dati, bensì descrivono solo le loro fluttuazioni.


Cicli boom/bust e la banca centrale

Riteniamo che il quadro analitico di Friedman manchi della definizione di cicli boom/bust.

Secondo Ayn ​​Rand:

Una definizione è un'affermazione che identifica la natura delle unità sussunte in un concetto. Si dice spesso che le definizioni stabiliscano il significato delle parole. Questo è vero, ma non esatto. Una parola è semplicemente un simbolo visivo-uditivo utilizzato per rappresentare un concetto; una parola non ha altro significato se non quello del concetto che simboleggia, e il significato di un concetto consiste nelle sue unità. Non sono le parole, ma i concetti che l’uomo definisce – specificandone i referenti. Lo scopo di una definizione è quello di distinguere un concetto da tutti gli altri concetti e quindi di mantenere le sue unità differenziate da tutti gli altri.

Lo scopo di una definizione è quindi quello di distinguere un dato gruppo di cose da altre. Dato che una definizione fornisce l'essenza di un particolare concetto, ovviamente non possono essere arbitrarie. In ogni momento è determinata dai fatti della realtà, nel contesto della propria conoscenza.

Per accertare la definizione dei cicli di espansione e contrazione è necessario identificarne l’essenza: la forza trainante alla loro base. È utile tornare indietro nel tempo, quando è iniziato il fenomeno del ciclo boom/bust. Secondo Murray Rothbard:

Prima della rivoluzione industriale, avvenuta intorno alla fine del XVIII secolo, non si verificavano periodi di boom e depressione regolarmente ricorrenti. Si verificava un'improvvisa crisi economica ogni volta che qualche re muoveva guerra o confiscava le proprietà dei suoi sudditi; ma non vi era traccia di fenomeni peculiarmente moderni di oscillazioni generali e abbastanza regolari nelle fortune economiche, di espansioni e contrazioni.

Sembra che il ciclo boom/bust sia in qualche modo legato al mondo moderno. Ma qual è il nesso? Riteniamo che la fonte dei ricorrenti cicli di espansione e contrazione si riveli essere il presunto “protettore” dell’economia: la banca centrale.

Le sue linee di politica, volte a correggere le conseguenze indesiderate che derivano dai suoi precedenti tentativi di stabilizzare l’economia, sono fattori chiave dietro i ricorrenti cicli di espansione e contrazione.

I funzionari nelle banche centrali si considerano l’entità responsabile e autorizzata a portare l’economia sul percorso di una crescita economica stabile e di prezzi stabili (decidono quale dovrebbe essere il “giusto” percorso di crescita stabile). Di conseguenza qualsiasi deviazione da tal percorso determina le risposte di suddetti funzionari in termini di orientamento più restrittivo o più accomodante.

Queste risposte agli effetti delle linee di politica precedenti sui dati economici danno origine alle fluttuazioni del tasso di crescita dell’offerta di denaro e, di conseguenza, ai cicli ricorrenti di boom/bust.

Si osservi che la politica monetaria allentata della banca centrale, che si traduce in un’espansione dell’offerta di denaro, mette in moto uno scambio di nulla per qualcosa, il che equivale a una deviazione del risparmio reale da attività che creano ricchezza ad attività che la sprecano. Nel processo questa deviazione indebolisce chi crea ricchezza reale e questo a sua volta indebolisce la loro capacità di far crescere il bacino complessivo dei risparmi reali.

L’emergere di attività sulla scia di una politica monetaria allentata è ciò che incarna un “boom” economico. Tuttavia una volta che la banca centrale restringe la propria politica monetaria, ciò rallenta la deviazione del risparmio reale verso chi spreca ricchezza reale. Le attività nate sulla scia della precedente politica monetaria allentata ricevono meno sostegno; finiscono nei guai e ne emerge una crisi economica.

Da ciò possiamo dedurre che l’essenza dei cicli boom/bust è la politica monetaria della banca centrale.


La forza del boom determina la forza della crisi

Si osservi che durante una crisi economica si verifica la liquidazione di varie attività emerse durante il boom precedente. Quante più attività di questo tipo sono nate durante il boom economico, tanto maggiore sarà la necessità di ripulirle – di conseguenza tanto maggiore sarà la recessione economica.

Si noti ancora una volta che gli aumenti dell’offerta di denaro sono il risultato della politica monetaria accomodanti della banca centrale. Questi aumenti danno luogo a diverse attività che non riescono a reggersi “con le proprie gambe”. Le chiamiamo bolle.

Pertanto un atteggiamento monetario allentato da parte della banca centrale e un conseguente aumento dello slancio dell’offerta di denaro portano all’emergere di attività in bolla, mentre un atteggiamento più restrittivo le fanno scoppiare. 

Si noti che senza accertare l'essenza dell'oggetto d'indagine si potrebbero elaborare tutti i tipi di modelli di questo mondo “convalidati” mediante metodi statistici e matematici. Si osservi ancora una volta che senza accertare l’essenza dei cicli di espansione e contrazione, qualsiasi cosiddetta convalida, ovvero la “tortura dei dati”, sarà di natura opinabile.

Per Friedman tutto va bene finché il modello riesce a fare previsioni accurate. Dato che egli non stabilì l’essenza dei cicli di espansione e contrazione, è discutibile che il suo quadro analitico possa accertarne le cause. Di conseguenza la sua conclusione, secondo cui le forti recessioni precedono i forti boom e non il contrario, è a dir poco carente.


Conclusioni

Vari studi che utilizzano tecniche matematiche avanzate hanno presumibilmente confermato l'ipotesi di Milton Friedman secondo cui forti recessioni aprono la strada a forti boom. Tuttavia questi ultimi non precedono le prime. Secondo questo modo di pensare, opinioni come quelle presentate da Ludwig von Mises e Murray Rothbard, dove la dimensione di un bust è correlata alla dimensione del boom precedente, sono false. Dato che Friedman non definì l’essenza dei cicli di boom/bust, è opinabile se il suo quadro analitico possa spiegare le cause dei cicli di boom/bust. Di conseguenza la conclusione di Friedman secondo cui le forti recessioni precedono i forti boom, e non il contrario, è discutibile.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 9 febbraio 2024

Le meccaniche alla base di una crsi del credito

 

 

di Alasdair Macleod

Gli squilibri nel sistema mondiale del credito fiat sono enormi. Nel frattempo le speranze keynesiane e monetariste, che si possano abbassare i tassi d'interesse per mantenere le cose a galla, stanno accecando gli investitori rispetto ai rischi reali.

Quasi tutti credono erroneamente che tassi d'interesse più bassi siano in arrivo e rimarranno bassi. A parte il fatto che un lieve calo non è una profezia che si autoavvera, in pratica la riluttanza delle banche a concedere prestiti alle imprese manterrà i tassi elevati. E il reindirizzamento del credito bancario verso il governo degli Stati Uniti, che finanzia i suoi enormi deficit di bilancio attraverso l’emissione di titoli di stato, è altamente inflazionistico.

Ciò è destinato a portare nel tempo a tassi d'interesse significativamente più alti, cosa che minaccerà di far crollare l’intero sistema creditizio.

Potrebbe entrare in gioco anche il collateral doom-loop di Irving Fisher, per cui il calo dei valori delle garanzie porta a un’ulteriore liquidazione delle stesse. Gli scambi regolamentati a bassa capitalizzazione costituiranno un punto debole, richiedendo che l’intero registro DTC venga bloccato per mantenerli in funzione. Niente sarà più una certezza.

E coloro che pensano di potersi proteggere acquistando ETF sull’oro probabilmente scopriranno che i lingotti sottostanti vengono dirottati “nell’interesse dello stato”, lasciandoli con vacue promesse cartacee come unico conforto.

Non c’è da stupirsi se tutti pensino che i tassi d'interesse debbano scendere. Se non accade, il risultato è troppo orribile da contemplare.


La dinamica alla base del valore del dollaro

Nei mercati di oggi è difficile per i non addetti ai lavori comprenderne il funzionamento. Si è sempre trattato di credito bancario, sia a livello di banche centrali che di banche commerciali, e non deve mai essere confuso con il denaro reale, che fin dagli albori della storia è stato il metallo fisico. Oggi possiamo dire che si tratta quasi principalmente di oro, ma questo è il mezzo di scambio di ultima istanza, temuto dai singoli individui e, negli ultimi decenni, sempre più dalle banche centrali e dagli interessi asiatici.

Inoltre la differenza tra credito e denaro reale è ulteriormente minata dalla propaganda statale che possiamo far risalire alla sospensione del gold standard in America nel 1933, che de facto durava sin dal 1850 e de jure sin dal 1900. A ciò fece seguito il tentativo palese di espellere completamente l’oro dal sistema monetario ponendo fine all’accordo di Bretton Woods nel 1971. Gli eventi successivi hanno intensificato la disinformazione monetaria, portando a un sistema monetario fiat mondiale basato sul dollaro ma completamente svincolato dall’oro in termini di valore.

Per dare a tutti noi l’illusione della stabilità dei prezzi, l’accordo di Breton Woods era stato concepito per promuovere il dollaro come sostituto dell’oro per tutte le altre valute. Dopo la sua sospensione per preservare la credibilità del dollaro, il governo statunitense ha fatto sempre più ricorso alla manipolazione dei mercati. In primo luogo, all’inizio degli anni settanta tentò di vendere l’oro che fu prontamente acquistato e non riuscì a fermarne il continuo aumento del prezzo. Il tentativo successivo fu quello di creare una domanda artificiale di dollari per sostenerne il potere d’acquisto, misurato rispetto alle materie prime e ad altre valute. Ciò portò all’espansione dei mercati dei derivati, che deviarono la domanda speculativa dalle materie prime, sopprimendone così i prezzi al di sotto dei livelli che altrimenti sarebbero emersi. Facevano parte dell'inganno anche l’espansione del mercato dei lingotti a Londra, che creò oro sintetico, e la domanda di dollari non solo per regolare il commercio transfrontaliero e i prezzi delle materie prime, ma anche per sostituire l’oro nelle riserve delle banche centrali.

Nel corso dei cinquantadue anni trascorsi dalla sospensione di Bretton Woods, si sono accumulati enormi squilibri. Di seguito è riportata una tabella delle recenti stime dei saldi in dollari delle banche e delle banche ombra, onshore e offshore.

L’elemento offshore è considerevolmente maggiore di quello registrato nei numeri TIC del Tesoro statunitense per i titoli onshore, il che di per sé ci dice che l’interesse estero negli investimenti onshore in dollari e nei saldi bancari supera il PIL statunitense. L’elemento offshore si basa sull’analisi della Banca dei Regolamenti Internazionali dei depositi in dollari e delle obbligazioni a breve termine al di fuori del sistema finanziario statunitense, a cui possiamo far riferimento come mercato dell’eurodollaro. Si tratta principalmente di contratti a termine e swap su valuta in cui una gamba è in dollari. Al contrario gli asset in valuta estera dei residenti negli Stati Uniti sono notevolmente minori, ma questo accade perché i titoli a lungo termine sono detenuti prevalentemente sotto forma di ADR: essi sono denominati in dollari e le loro vendite da parte degli investitori statunitensi non danno luogo ad esposizione in valuta estera.

Ora che la bolla finanziaria gonfiata da tassi d'interesse a zero e negativi comincia a dare segni di cedimento, questi equilibri sono destinati a diminuire. Ai titoli onshore a lungo termine dobbiamo aggiungere i $10.700 miliardi stimati di obbligazioni a lungo termine in eurodollari, si tratta di $35.000 miliardi in investimenti a lungo termine di proprietà straniera in obbligazioni e azioni che sovrastano i mercati finanziari statunitensi, i cui valori sono a rischio a causa dei rendimenti obbligazionari più elevati. Includendo ulteriori depositi offshore a breve termine e posizioni in valuta estera in dollari, il totale di $127.700 miliardi è 175 volte le valute estere detenute dai residenti statunitensi.

L’importanza di questa sbilanciamento non potrà mai essere sottolineata abbastanza. Una crisi bancaria, un mercato ribassista nei titoli, sviluppi geopolitici o, più probabilmente, una sorta di combinazione dei tre potrebbero portare ad un rapido collasso dell’intero sistema creditizio. Il futuro di questa struttura dipende dal fatto che i tassi d'interesse e i rendimenti obbligazionari scendano rispetto ai livelli attuali, e che l’inflazione rimanga contenuta.

Questa è fantasia, non la realtà.


Le prospettive per i tassi d'interesse

Come se fossero consapevoli di questo pericolo, quasi tutte le analisi dei broker prevedono tassi d'interesse più bassi. Questa è una visione comune basata sulla teoria macroeconomica keynesiana e monetarista a fronte di una recessione economica ampiamente anticipata. I keynesiani sostengono che il calo della domanda dei consumatori porta a prezzi più bassi – un eccesso generalizzato – ignorando il fatto che la produzione diminuisce sempre per prima; i monetaristi collegano la contrazione dell’offerta di denaro ai futuri tassi d'inflazione dei prezzi. Queste teorie matematiche dominano il pensiero contemporaneo e in una certa misura possono agire come profezie a breve termine che si auto-avverano, almeno finché le contraddizioni economiche non le correggono, di solito violentemente.

Entrambe le discipline ignorano il fattore soggettività, che è inerente al valore di qualsiasi valuta fiat e dipende interamente dalla fiducia che hanno in esse coloro che le utilizzano. Non riescono a comprendere la realtà del mercato legata alla contrazione del credito delle banche commerciali, che anche in un gold standard costituisce la maggior parte del mezzo circolante. E commettono il semplice errore di non capire che in una recessione non è la domanda di credito a diminuire, portando a tassi d'interesse più bassi, ma i banchieri che percepiscono un aumento del rischio di prestito e limitano la disponibilità di credito, portando a tassi di prestito più alti.

La realtà è semplice: se le banche limitano l’espansione del credito, i mutuatari si troveranno a dover pagare di più per ottenerlo. E per far fronte all’aumento del rischio di prestito, le banche ampliano i propri margini facendo salire il meno possibile gli interessi pagati ai depositanti. Questo non descrive le attuali condizioni del credito bancario? Finché le cose stanno così, qualunque cosa gli investitori e i loro broker desiderino, i tassi d'interesse rimarranno ostinatamente alti.

Tuttavia la situazione relativa al credito bancario richiede un esame più approfondito, in parte perché i cambiamenti normativi hanno distorto le statistiche sull’offerta di denaro.

Dobbiamo iniziare con una semplice definizione di offerta di denaro: è costituita da credito sotto forma di passività creditizie delle banche centrali e commerciali verso individui e imprese. Ma di recente la FED ha preso credito da fondi monetari che altrimenti sarebbero registrati come depositi bancari in circolazione pubblica. Ciò è avvenuto perché, secondo le regole di Basilea 3 sul finanziamento stabile, i depositi di grandi dimensioni devono affrontare un haircut del 50% allo scopo di finanziare gli attivi di bilancio, rispetto a solo il 5% per i piccoli depositi assicurati. E le banche commerciali non sono comunque disposte a tagliare i margini sui tassi d'interesse per competere per questi depositi.

Di conseguenza la FED ha esteso la possibilità di accedere al mercato pronti contro termine inverso ai fondi monetari: ha usato i suoi titoli del Tesoro USA e le garanzie collaterali delle agenzie governative in cambio dei depositi di fondi monetari. Ciò ha avuto l’effetto iniziale di ridurre la crescita apparente dell’offerta di denaro al di sotto di quanto sarebbe stato altrimenti, e poi di accelerarne il declino quando i fondi monetari hanno ridotto le loro posizioni di riacquisto a favore dei titoli del Tesoro USA. Per cogliere la vera situazione, dobbiamo considerare i depositi bancari e i saldi pronti contro termine in modo olistico: la somma dei depositi bancari e dei pronti contro termine è illustrata nel grafico seguente.

Tra il 2020 e la fine del 2022 l’aumento dei pronti contro termine è servito a nascondere un tasso di crescita molto più elevato del credito bancario. Nella convinzione che la crisi fosse temporanea, e avendo comunque poche opzioni, le banche concessero enormi quantità di credito, maggiori di quelle indicate dalle stesse statistiche sui depositi bancari.

Gran parte del successivo calo era dovuto al calo dei pronti contro termine, che sono scesi da $2.240 miliardi nel dicembre 2022 a $681 miliardi di recente, mentre M2 è calato di soli $340 miliardi nello stesso periodo. Da allora i fondi vincolati in pronti contro termine sono migrati verso il mercato dei titoli del Tesoro USA, attratti dalle scadenze a 1 mese con un rendimento del 5,4%. In sostanza sono scomparsi nelle finanze del governo federale, senza dubbio ulteriormente rafforzati dalle banche che hanno convertito i propri portafogli di prestiti e obbligazioni in titoli del Tesoro USA a breve scadenza in fuga dal rischio di prestito. Inoltre i fondi monetari totali sono aumentati di circa $1.400 miliardi sin dallo scorso marzo fino a quasi $6.000 miliardi, tutti finiti nei titoli del Tesoro USA.

La misura in cui l'amministrazione Biden sta risucchiando credito dal sistema finanziario statunitense è davvero notevole. Pur indicando che le sue finanze sono in crisi, mostra che il livello di avversione al rischio da parte del sistema bancario nei confronti del settore privato è notevolmente maggiore di quanto generalmente previsto.

Sebbene la carenza di credito per il settore privato sia acuta, una combinazione di flussi dai fondi monetari e di riduzione del rischio nei bilanci delle banche ha consentito al governo degli Stati Uniti di prendere in prestito $2.600 miliardi l'anno scorso. Questi fondi ritornano nell’economia attraverso la spesa pubblica. In altre parole, lungi dall’essere deflazionistico come suggeriscono i monetaristi, essendo tolto dal sistema bancario commerciale e reindirizzato nelle mani del governo federale, l’apparente contrazione dei depositi bancari e dei pronti contro termine è in realtà un utilizzo del credito in modo più inflazionistico.

Ciò spiega anche perché il PIL nominale non sta diminuendo nella misura indicata da rapporti aneddotici.

Queste sono precisamente le dinamiche creditizie che alimentarono le condizioni di stagflazione negli anni ’70. A quel tempo l’establishment macroeconomico non riusciva a trovare una spiegazione e oggi è altrettanto all’oscuro. Pertanto lungi da una prospettiva di tassi d'interesse e rendimenti obbligazionari stabili e più bassi, si prospetta il contrario. E con il peggioramento delle prospettive economiche, si prospettano condizioni di credito ancora più restrittive per imprese e consumatori e una spesa pubblica maggiore. Queste condizioni di stagflazione porteranno sicuramente a tassi d'interesse e rendimenti obbligazionari più elevati, al fallimento di società zombi, a rischi sistemici che diventeranno evidenti nell’intero sistema bancario e a un grave mercato ribassista anche per le azioni.

Queste condizioni diventeranno sicuramente sempre più evidenti nei prossimi mesi. Meno ovvio è il ruolo delle garanzie senza le quali l’intera struttura creditizia crolla. Vale la pena dedicare un po’ di tempo a considerare la minaccia derivante da significative cadute nel valore degli asset finanziari.


Il ruolo delle garanzie nella crisi degli LDI

Ciò che generalmente i non addetti ai lavori non comprendono è che gli investimenti con valori gonfiati sono alla base di molte posizioni in derivati over-the-counter fungendo da garanzia. Un problema sorge inevitabilmente quando il valore di tali garanzie diminuisce, innescando richieste di garanzie aggiuntive. Il sistema bancario statunitense si trova attualmente ad affrontare un incidente di percorso nel settore immobiliare, in cui il valore dell'equity viene spazzato via dalle attuali diminuzioni di valore e le banche si ritrovano per le mani garanzie invendibili. Il problema è ormai noto, ma non finisce qui.

Il problema delle garanzie ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica nel Regno Unito quando l’aumento dei rendimenti dei titoli di stato inglesi ha minacciato i cosiddetti LDI (liability driven investment), un esempio che possiamo utilizzare per migliorare la nostra comprensione del ruolo delle garanzie nei contratti derivati e dei pericoli presentati da un collasso del sistema delle garanzie stesse.

Gli LDI venivano utilizzati dai fondi pensione britannici per aumentare i propri rendimenti. I sistemi a benefici definiti, dovendosi confrontare con costosi oneri finali nei confronti dei loro beneficiari, non sono stati in grado di far fronte a essi quando le banche centrali hanno azzerato i tassi d'interesse e, attraverso il QE, i rendimenti obbligazionari sono stati ridotti a livelli minimi. L’unica soluzione per questi schemi pensionistici era aumentare i loro rendimenti attraverso la leva finanziaria.

In genere ciò avveniva attraverso uno schema LDI fuori bilancio, permettendo a un fondo pensione di proteggersi dal calo dei tassi d'interesse e aumentandone le passività future attraverso il calcolo del valore attuale netto. Uno schema LDI forniva leva finanziaria, in modo che il reddito su un titolo di stato inglese venisse moltiplicato fino a cinque o sei volte, consentendo a un fondo pensione di dimostrare una copertura attuariale per le sue passività future.

Un fondo pensione che investe in uno schema LDI stipula di fatto uno swap sui tassi d'interesse a leva con il fornitore dell'LDI. Un tasso d'interesse in aumento conferisce un valore negativo allo swap e il flusso di reddito fisso diventa inferiore al rendimento offerto sul mercato. Ciò richiede che il fondo pensione fornisca ulteriori garanzie al fornitore dell'LDI e la leva finanziaria moltiplica la quantità di garanzie richieste. Ma i fondi pensione tendono a essere completamente investiti e, non avendo liquidità a portata di mano, sono esposti a un aumento radicale dei rendimenti obbligazionari.

La crisi è stata innescata quando i mercati sono stati spaventati dalla proposta di budget di Liz Truss nel settembre 2022. Durante il suo mandato i rendimenti del decennale inglese salirono rapidamente dal 3,88% al 4,5% e per quelli con scadenza a 30 anni dal 2,7% al 4,8%. In quest'ultimo caso il suo valore è crollato del 13% in pochi giorni.

Ciò ha costretto i fondi pensione a liquidare gli attivi, compresi i loro titoli di stato inglesi, motivo per cui la Banca d’Inghilterra è dovuta intervenire per sostenere il mercato obbligazionario. E solo quando è diventato evidente che le autorità stavano acquistando titoli di stato per stabilizzarne i prezzi, il panico tra i gestori dei fondi pensione e i fornitori di LDI si è calmato.

Successivamente i rendimenti dei Gilt sono saliti a livelli ancora più alti, con il rendimento del decennale che ha toccato il 4,75% lo scorso agosto e il rendimento di quello a 30 anni al 5,07%. Ovviamente questo episodio ha messo in guardia i gestori dei fondi pensione e hanno messo in atto tentativi per mettersi al riparo; lo stesso non si può dire per l’uso più ampio delle garanzie sui mercati internazionali, per i quali i decennali americani rappresentano il parametro “privo di rischio”.


Il problema delle garanzie sta diventando globale

I contratti LDI sono essenzialmente swap sui tassi d'interesse: scambiano un tasso variabile (nel nostro caso i rendimenti volatili dei titoli di stato inglesi) con un tasso fisso, solitamente potenziato attraverso la leva finanziaria. Queste caratteristiche sono simili a quelle del mercato globale degli swap sui tassi d'interesse, che è enorme. Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, a metà del 2023 ammontava a un valore nominale di $465.900 miliardi, di cui $167.800 miliardi in dollari e $129.300 miliardi in euro.

Fino al recente calo dei rendimenti obbligazionari, aveva il potenziale per innescare una grave crisi che probabilmente avrebbe richiesto molto più dell’intervento delle banche centrali, come quello messo in atto dalla Banca d’Inghilterra nel 2022. Si stava rapidamente trasformando in un circolo vizioso, simile a quello messo in luce dalla crisi LDI del Regno Unito, ma che avrebbe coinvolto il dollaro, l’euro e tutte le altre principali valute. Le banche statunitensi si stavano dirigendo verso migliaia di miliardi in perdite mark to market sulle loro posizioni obbligazionarie, e poiché i costi di finanziamento continuavano ad aumentare, anche il danno ai loro conti profitti/perdite stava aumentando.

Forse questo ha convinto la FED ad andarci piano con la sua linea di politica riguardo i tassi d'interesse, dato che il FOMC ha segnalato che la sua lotta contro l’inflazione è finita ed è iniziata quella per preservare i valori delle garanzie. Ma come notato sopra, la ridistribuzione di massicce quantità di fondi monetari e credito bancario dal settore privato a quello pubblico è altamente inflazionistica e indebolisce il potere d’acquisto di una valuta. I tassi d'interesse dovranno salire nuovamente, altrimenti il dollaro si indebolirà, o al limite accadranno entrambe le cose. Ma tassi d'interesse più elevati mineranno il valore dei titoli e porteranno a una nuova crisi delle garanzie e sistemica nelle banche. E con gli Stati Uniti e altre economie che si trovano ad affrontare una recessione, l’equilibrio tra la lotta all’inflazione e il mantenimento del valore degli asset non potrà durare a lungo. Sebbene i tassi d'interesse e i rendimenti obbligazionari pare abbiano arrestato la loro salita, allentando la pressione sulle valute e sui valori degli asset finanziari, ciò si rivelerà temporaneo.

Nella loro pianificazione a lungo termine le autorità hanno previsto una possibile crisi delle garanzie di questo tipo e hanno intrapreso azioni anticipate per affrontarla nel caso in cui diventasse realtà? La risposta sembra essere affermativa. Tale domanda, ma forse non la motivazione, è affrontata in un recente libro di David Rogers Webb intitolato The Great Taking.


La ridistribuzione dei titoli in una crisi sistemica

L’analisi di Webb si concentra sulla dematerializzazione dei titoli dalla forma di certificato alla scrittura contabile sul Depository Trust and Clearing Corporation (precursore di Clearstream ed Euroclear in Europa). Si tratta di depositari centrali di titoli, strettamente collegati alle controparti centrali di compensazione. Senza che la popolazione degli investitori sia a conoscenza delle implicazioni, la proprietà certificata dei titoli è stata sostituita da un “diritto al titolo”.

Il Depository Trust and Clearing Corporation dispone inoltre di una struttura di compensazione di quelle transazioni alla cui base ci sono finanziamenti tramite titoli. Dal suo sito web leggiamo che:

Il servizio di compensazione SFT [Securities Financing Transaction] introduce la compensazione centrale per le transazioni alla cui base c'è un finanziamento tramite titoli azionari, inclusi prestiti e pronti contro termine, per:

• Supportare la compensazione centralizzata delle SFT azionarie dei clienti istituzionali intermediate dai membri sponsor.

• Supportare la compensazione centralizzata delle SFT azionarie tra i membri NSCC.

• Massimizzare l’efficienza del capitale e mitigare i rischi sistemici introducendo più adesioni e opportunità di transazioni autorizzate per i partecipanti al mercato.

Ciò conferma che il bacino di garanzie è messo a disposizione dell’intero sistema. Generalmente presupponiamo che questa disponibilità richieda l’accordo di coloro che hanno un diritto sugli asset finanziari, ma non è chiaro se sia così. Inoltre la stragrande maggioranza dei titoli è gestita e amministrata da entità regolamentate su cui le autorità possono fare affidamento in caso di crisi. La posizione non viene certamente resa chiara alla popolazione degli investitori.

Da quando è stato introdotto l’Uniform Commercial Code negli Stati Uniti, che ha adottato questi cambiamenti, altre giurisdizioni come l’Unione Europea e il Regno Unito hanno seguito l’esempio. Oltre all’erosione dei diritti dei proprietari di titoli, l’obiettivo sembra essere quello di garantire alle istituzioni e agli hedge fund il più ampio accesso agli asset finanziari a fini collaterali. E in caso di perdite, ad esempio in caso di fallimento sistemico, invece di farsi carico delle perdite il depositario centrale potrebbe scaricarle su di voi.

Indubbiamente gli autori dell’Uniform Commercial Code avevano in mente la protezione delle borse a bassa capitalizzazione nei mercati regolamentati, ma in una crisi finanziaria che porta al fallimento di numerose controparti, essi non possono estendere questa protezione. La soluzione sembra essere quella di togliere loro questo rischio e trasferirlo ai depositari centrali di titoli, dando loro il potere di utilizzare il bacino di titoli sotto il loro controllo per garantire che le consegne possano continuare in tutte le circostanze. Ciò non solo facilita il prestito di titoli, ma trasferisce il rischio sistemico dagli scambi regolamentati ai bacini di diritti sui titoli.

Sembra che la corruzione dei diritti dei detentori di titoli non si fermi qui, poiché può applicarsi anche la clausola Safe Harbor contenuta nella legislazione statunitense sui fallimenti. Ciò è possibile grazie al rapporto tra depositari centrali di titoli, come il Depository Trust and Clearing Corporation, e controparti centrali di compensazione, come una banca d'importanza sistemica.

In un caso da manuale a New York tra i creditori di Lehman Brothers e JPMorgan Chase, che agiva come agente di compensazione della Lehman, i creditori cercarono di recuperare $8,6 miliardi da JPMorgan Chase. Questo era l'importo che, nei giorni precedenti al fallimento della Lehman, fu sequestrato dalla banca nonostante non fosse una garanzia. Prima del sequestro si trattava di un obbligo nei confronti della Lehman sotto forma di depositi e titoli senza pegno. Nelle 92 pagine della sentenza, infatti, vi erano molti riferimenti allo status giuridico di tali obblighi. Tecnicamente JPMorgan non ha adempiuto ai propri obblighi nei confronti dei creditori della Lehman.

Chiaramente senza le disposizioni sulla clausola Safe Harbor previste dalla legge fallimentare statunitense, il sequestro di questi beni sarebbe stato illegale. Questa è la situazione dimostrata dalla legge britannica, quando nel giugno 2010 l'ufficio londinese di JPMorgan è stato multato di £33,32 milioni dalla Financial Services Authority per non aver garantito che il denaro dei clienti, in altre parole i fondi depositati, non fosse adeguatamente separato dalle passività della banca.

Impariamo due cose da queste diverse sentenze. La prima è che, seguendo il precedente del tribunale americano di New York, JPMorgan ha il potere d'ignorare la distinzione tra asset detenuti come garanzia e asset che la banca ha l'obbligo di liberare dal depositante. E in secondo luogo, questa banca statunitense, che risulta essere la più grande e il canale principale della FED nel settore bancario commerciale, non è riuscita a distinguere tra tale relazione nella legge statunitense e i suoi obblighi legali e normativi in altre giurisdizioni, come il Regno Unito.

Tutto questo è fondamentale quando si tratta della custodia del denaro reale, ovvero l’oro, e potrebbe risucchiare in questo pantano anche il più grande ETF sul metallo giallo (GLD).


Il rapporto di JPMorgan con l’oro

Innanzitutto vale la pena di ricordare che gli organismi di regolamentazione tendono a concedere alle grandi banche il beneficio del dubbio, esaminando attentamente i loro asset di conformità solo quando queste non possono più essere ignorati. Di conseguenza è noto che le grandi banche agiscono come se le normative non esistessero. L'esempio di cui sopra, in cui era assolutamente chiaro che JPMorgan Chase violava le norme relative alla custodia del denaro dei clienti a Londra, potrebbe essere stato un'eccezione, ma abbiamo il diritto di presumere che alcuni degli avvocati e dei responsabili della conformità fossero impiegati da JPMorgan Chase e che, quindi, avessero la facoltà di muoversi tra le pieghe del sistema.

Questa mancanza di rispetto per la legge è stata dimostrata in un caso importante nel mercato dell'oro, quando il capo del trading desk associato ai metalli preziosi di JPMorgan Chase, e membro del consiglio della London Bullion Market Association, venne dichiarato colpevole di tentata manipolazione dei prezzi, frode sulle materie prime, frode telematica e falsificazione dei prezzi dei futures su oro, argento, platino e palladio. E non si tratta di un caso isolato: andava avanti da otto anni con migliaia di operazioni commerciali illecite. E anche un altro suo collega a capo del Gold Desk a New York venne giudicato colpevole. Ciò accadde nel luglio 2019, poi alla fine del 2020 la banca stessa si dichiarò colpevole di commercio illegale sui mercati dei futures sui metalli preziosi e fu pesantemente multata.

Con questo background alle sue spalle, JPMorgan Chase Bank è stata di recente nominata depositaria congiunta di SPDR Gold Shares (GLD) insieme a HSBC. Questo ETF è di gran lunga il più grande esistente e il suo sponsor è una filiale del World Gold Council. È un mistero il motivo per cui il WGC abbia sancito la nomina di una banca i cui senior dealer in metalli preziosi sono stati giudicati colpevoli di aver manipolato i prezzi dell'oro e incarcerati. Inoltre HSBC conserva tutti i lingotti GLD nei suoi caveau di Londra, in modo che siano soggetti alla legge inglese sulla proprietà e sulla regolamentazione dei titoli.

Si dice che JPMorgan Chase stia considerando il trasferimento dei lingotti GLD nei suoi depositi a New York. A quanto pare il suo caveau è collegato sottoterra a quello della FED, con quest'ultima sul lato nord di Liberty Street e la Chase Bank dall'altra parte della strada. È in questo contesto che torniamo all'analisi di David Webb delle controparti centrali, la proprietà di titoli che viene sostituita con un “diritto sulla garanzia” e il libero utilizzo della garanzia depositata all'insaputa degli aventi diritto. E secondo la sentenza del tribunale di New York che estende di fatto questa struttura a JPMorgan Chase come controparte centrale di compensazione, potremmo mettere insieme un quadro che le consentirà di utilizzare i lingotti di GLD come garanzia, o forse di affittarli o scambiarli, o in alternativa disporne in cambio di un credito a livello contabile.

I nostri sospetti aumentano se consideriamo le implicazioni della vicinanza del caveau di JPMorgan Chase a quello della FED e le prove circostanziali di un tunnel di collegamento tra i due. Conservato nel caveau della banca centrale americana c’è l’oro per conto della FED di New York, destinato alle banche centrali estere. E quando ricordiamo le difficoltà incontrate dalla Germania nel convincere la FED di New York a restituire le sue misere 300 tonnellate, senza dubbio i nostri sospetti diventano ancora più fondati.

Indubbiamente il fiduciario del GLD, la Bank of New York Mellon e il World Gold Council, hanno diverse domande a cui rispondere sul motivo per cui JPMorgan Chase è stata nominata custode. Eccone alcune:

• Il fiduciario del World Gold Council ha subito pressioni da parte di qualche organizzazione governativa, o autorità monetaria, affinché nominasse JPMorgan Chase custode dell'SPDR Trust?

• Il fiduciario e il Consiglio non erano a conoscenza del fatto che JPMorgan Chase ha una storia di manipolazione del mercato sintetico dell'oro e che la banca si era dichiarata colpevole? Secondo l’Office of Public Affairs del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti: “Nel settembre 2020 JPMorgan ha ammesso di aver commesso una frode telematica in relazione a: (1) commercio illegale nei mercati dei contratti futures sui metalli preziosi; (2) negoziazione illegale nei mercati dei contratti futures del Tesoro statunitense e nel mercato secondario delle obbligazioni del Tesoro statunitense. JPMorgan ha stipulato un accordo di prosecuzione differita di tre anni attraverso il quale ha pagato più di $920 milioni a titolo di sanzione pecuniaria penale e risarcimento delle vittime, con risoluzioni parallele della Commodity Futures Trading Commission (CFTC) e della Securities Exchange Commission annunciate lo stesso giorno”.

• Il fiduciario e il Consiglio non erano a conoscenza del fatto che due dei dipendenti senior di JPMorgan Chase erano sotto processo quando quest'ultima è stata nominato custode, uno dei quali faceva parte del consiglio di amministrazione della LBMA e gestiva il dipartimento metalli preziosi di JPMorgan, mentre l'altro era direttore esecutivo del dipartimento metalli preziosi a New York? Non erano neanche a conoscenza che entrambi sono stati successivamente incarcerati e multati per manipolazione del mercato in agosto?

Quasi certamente il fiduciario e il management del World Gold Council non saranno chiamati a rispondere a queste domande, ma la posizione giuridica dei beni sottostanti degli azionisti GLD sembra essere compromessa stando a questi sviluppi. Finora solo 1.824 lingotti LBMA da 400 once su un totale di 34.818 lingotti GLD sono in possesso presso JPMorgan (15 gennaio), ma se il totale inizierà ad aumentare materialmente sarà interessante osservare la misura in cui verranno aggiunti alla custodia di JPMorgan e la misura in cui tale accumulo finirà nel suo caveau a New York.

Inoltre i partecipanti autorizzati possono prendere in prestito le loro azioni da un depositario centralizzato di titoli e convertirle in oro fisico. Coprendo la loro posizione nei futures o nei mercati a termine di Londra, non hanno alcuna pressione per restituire l’oro e chiudere il prestito. Data questa struttura, e lungi dall’essere un investimento sicuro in lingotti d’oro, il GLD viene già utilizzato come fonte di liquidità per le bullion bank.


Come si svilupperà la fine dei giochi

Una crisi del credito è incombente: per il momento rinviata dalle speranze diffuse che i tassi d'interesse scendano quest’anno, consentendo ai rendimenti obbligazionari di stabilizzarsi. Nel momento in cui ci si renderà conto che non vi sarà alcun ulteriore ribasso nei tassi d'interesse e nei rendimenti obbligazionari, ne deriverà una crisi nei mercati azionari.

Il grafico seguente illustra la disparità che si è accumulata tra i rendimenti obbligazionari e quelli azionari. Il rapporto è già molto teso ed è improbabile che sopravviva alla prospettiva che i rendimenti dei titoli a lungo termine non scendano.

L'uscita dalle azioni potrebbe iniziare con la vendita all’estero dei circa $14.500 miliardi investiti in azioni statunitensi. Ed è improbabile che si tratti solo di un brutto mercato ribassista a causa del ruolo che le garanzie finanziarie svolgono nel sistema bancario e della massiccia struttura dei derivati.

Abbiamo avuto un assaggio di ciò che potrebbe accadere quando i programmi d'investimento LDI nel Regno Unito sono stati indeboliti dall’aumento dei rendimenti, costringendo i fondi pensione a liquidare le loro partecipazioni in Gilt. Si tratta di un problema globale, che quasi certamente tornerà a perseguitarci quando i tassi d'interesse ricominceranno a salire.

Il modo in cui le autorità affronteranno la situazione richiederà il massimo livello d'immaginazione mai raggiunto finora. In nome della protezione di tutti noi, una possibilità è quella di isolare le borse regolamentate e i loro utenti istituzionali da una crisi sistemica dando loro accesso a garanzie aggiuntive, in definitiva il possesso degli investitori ordinari – cioè voi e io. E sembra non fermarsi qui. Chiunque acquisti ETF sull’oro, in particolare GLD, potrebbe pensare di avere un’assicurazione contro una crisi del credito. Non è così. Sembra che, attraverso JPMorgan e la vicinanza del suo caveau di New York a quello della FED di New York e la nomina a sorpresa della prima come secondo custode, le autorità statunitensi avranno accesso ai lingotti della GLD detenuti per conto dei suoi azionisti.

E, infine, fu Irving Fisher che negli anni ’30 sottolineò che il calo dei valori delle garanzie porta alla liquidazione del credito e a ulteriori cali dei valori degli asset, in quello che diventa un circolo vizioso indistruttibile. Questo è il caos che potremmo dover affrontare, aggravato dall’elevata leva finanziaria, dai prestiti improduttivi agli stati e alle aziende zombi, dall’eccessivo debito al consumo e da una montagna di proprietà estera di dollari e asset denominati in dollari. Eppure siamo diventati collettivamente così illusi da non comprendere l’importanza di possedere, a livello fisico, la riserva di valore per eccellenza e senza rischio di controparte: l’oro.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 20 dicembre 2023

Il ruolo costruttivo e distruttivo del credito

 

 

di Alasdair Macleod

Questo saggio definisce il ruolo del credito, un tema su cui c'è ancora una preoccupante mancanza di conoscenza. Ciò che la gente chiama denaro è in realtà credito e il denaro stesso, ovvero l'oro fisico senza rischio di controparte, circola raramente, se non mai. Quasi tutti, compresa la maggior parte degli economisti, non riescono a comprendere il credito e l’importanza del suo valore legato al denaro.

Né capiscono che il credito bancario è solo una parte minore del colossale sistema creditizio.

Un errore comune è pensare che le banconote siano denaro perché, a differenza di un deposito bancario, si tengono in mano; in realtà sono una passività per chi le emette, ovvero le banche centrali. Il loro valore dipende interamente dalla fiducia dei creditori, interni ed esteri, in termini di potere d’acquisto, come qualsiasi altra forma di credito.

L’espansione del credito è fondamentale per il progresso economico, ma tale espansione può essere determinata solo tra creditore e debitore. Ciò porta a fluttuazioni dirompenti nel credito bancario, ma si auto-correggono; molto peggio è l’abuso di credito da parte dello stato e i suoi tentativi di gestire i risultati economici.

Gli economisti e gli investitori generalmente ignorano il ruolo costruttivo e distruttivo del credito. Credendo che il libero mercato sia imperfetto e che la gestione del credito e dei tassi d'interesse da parte delle agenzie governative porti a risultati migliori; sia i keynesiani che i monetaristi non riescono a capire che le agenzie governative sono incapaci di un calcolo economico e di comprendere quale sia il vero ruolo del credito.

Essendo completamente staccato dall’ancoraggio col denaro reale, il mondo del credito si trova ora ad affrontare il suo destino finale: chi lo emette sta sprofondando a causa del debito insostenibile risultante ed è tecnicamente insolvente, vendendo erodersi sempre più la credibilità necessaria per proteggere dal fallimento i sistemi bancari commerciali.

Inoltre i valori degli asset finanziari sono ben lontani dall’aumento dei rendimenti dei titoli di stato, minacciando un sostanziale mercato ribassista nelle azioni.

Prima coloro che cercano di proteggere la propria ricchezza comprendono queste dinamiche e si proteggono scambiando credito con denaro reale, meglio è. Ciò ovviamente richiede una corretta comprensione di cosa sia il CREDITO e della sua relazione con il DENARO.


Introduzione

Tutti i regolamenti delle transazioni sono in credito. Il denaro stesso non circola mai, se non in extremis. Stiamo definendo il denaro non nel senso in cui è comunemente usato, ma come l’unico mezzo di saldo che non presenta alcun rischio di controparte. E quello oggi è l'oro, anche se in passato comprendeva anche argento e rame.

Nel corso della storia post-baratto la relazione tra denaro e credito è semplicemente quella in cui il primo fornisce un’ancora di valore per il secondo. Nel 1971 gli Stati Uniti spazzarono via tutto ciò, sostituendo il dollaro scoperto all’oro, insistendo sul fatto che tutte le altre valute dovessero essere ancorate al dollaro. Fu l’abuso definitivo del rapporto tra denaro e credito, iniziato con l’istituzione del Federal Reserve System nel 1913. Dopo la prima guerra mondiale Benjamin Strong, il primo presidente della FED, stimolò artificialmente l’economia espandendo il credito in concomitanza col settore bancario commerciale. Ciò portò ai ruggenti anni Venti, seguiti dal collasso finanziario e dalla crisi bancaria nel 1929-1933. La risposta fu quella di rimuovere la convertibilità dei dollari in oro nel 1933 prima di svalutare il dollaro del 40%, consentendo la continuazione dello stimolo del credito da parte del governo federale.

La lezione che si sarebbe dovuta apprendere è che gli stati e i loro agenti finanziari non sono in grado di gestire il credito e i tentativi di farlo, o i tentativi di utilizzarlo per ottenere determinati risultati economici, quasi sempre falliscono e peggiorano le cose. Il successo della distribuzione del credito è essenzialmente una questione che spetta al settore privato, determinato dai debitori e dai creditori. Invece negli anni ’30 il libero mercato fu accusato degli errori commessi dalla gestione economica centralizzata e da allora tale accusa è andata avanti per inerzia.

A causa della cattiva gestione dell'economia da parte del governo statunitense, le sue riserve auree iniziarono a diminuire, portando alla rottura definitiva tra il dollaro e l'oro nel 1971. Non ci fu alcun mea culpa da parte del presidente Nixon, invece creò le condizioni per cui il credito in dollari si sarebbe espanso senza la restrizione delle riserve auree. Bisognava creare un mito: che il dollaro fosse denaro e che l’oro non lo fosse più.

Questo è il motivo per cui il dollaro è stato considerato non come la valuta che è, ma come denaro. È un errore nato dalla propaganda del governo degli Stati Uniti, a dispetto di tutta la storia monetaria, dello stato di diritto e del concetto umano di denaro naturale. La conseguenza di questo errore si sta gradualmente rivelando attraverso gli attuali eventi economici e finanziari.

Legando le nostre valute al dollaro, abbiamo tutti slegato il valore del credito dal denaro reale. Per comprendere appieno le probabili conseguenze e dove ci porterà il futuro del denaro e del credito, dobbiamo distruggere le idee sbagliate create deliberatamente dagli stati e dai loro economisti epigonici. Ora è più importante che mai che gli individui comprendano il denaro, il credito e le differenze tra di essi. Di conseguenza questo saggio inizia definendo il credito, mostra perché il suo rapporto con il denaro trascende e smentisce il monetarismo e spiega perché gli stati non sono adatti a dirigerne l’applicazione, prima di esaminare le conseguenze di questi errori.


Cos'è il credito?

Ai fini della nostra analisi, e per eliminare ogni malinteso, dobbiamo limitare il termine “denaro” ai mezzi circolanti che non hanno controparte. Secondo la legge romana stabilita nelle Dodici Tavole del 449 a.C. e le successive norme giuridiche consolidate sia nelle Pandette di Giustiniano (533 d.C.) che nella Basilica (892 d.C.), il possesso di oro, argento o rame non è credito ma denaro reale. Il credito rappresenta tutti gli altri mezzi circolanti e le obbligazioni di debito.

La definizione precisa di credito è la seguente: il credito è un diritto presente a un pagamento futuro.

Pertanto un deposito bancario è un obbligo da parte di una banca di pagare il depositante su richiesta. Il depositante è un creditore della banca e l’esame del bilancio della banca centrale conferma che la banconota costituisce una sua passività a favore del detentore della banconota: in altre parole, la banca centrale ha l’obbligo di pagare il titolare della banconota in denaro reale. Da quando gli stati hanno rinunciato a questo obbligo, gli obbligazionisti non possono che ringraziare ma resta il fatto che l'obbligo esiste ancora e i principi fondamentali del diritto romano non sono stati sostituiti dalla legislazione successiva, ma solo dalla regolamentazione e dal comando. Questo è il motivo per cui il presidente Nixon poté solo sospendere l’accordo di Bretton Woods.

Il credito si estende ben oltre i mezzi circolanti. Quasi tutto ciò che facciamo comporta un pagamento futuro. Quando pagate un negoziante in banconote, o con un bonifico, trasferite il diritto a un pagamento futuro; anche quando un genitore promette di finanziare l’istruzione di un figlio s'impegna a effettuare pagamenti futuri per conto del figlio.

Quando acquistate un asset finanziario vi impegnate a effettuare un pagamento futuro in conformità con i termini di saldo in cambio di un diritto attuale sull'asset; quando acquistate un'obbligazione acquisite il diritto presente a un flusso di reddito futuro. Lo stesso vale per gli investimenti in azioni: la differenza rispetto alle obbligazioni è che il flusso di reddito futuro è meno prevedibile e può essere trattenuto nel bilancio dell’impresa invece di essere distribuito.

Tutti i diritti cartacei e digitali sono crediti, a seconda della capacità del debitore di adempiere al suo obbligo.

Così come la proprietà fisica, anche la proprietà intellettuale e gli obblighi di credito costituiscono ricchezza. Il credito è l’altra faccia del debito, essendo il debito l’obbligo del debitore di pagare il creditore. Pertanto le obbligazioni, le azioni e tutti i loro oneri derivati sono ricchezza, presupponendo sempre la loro scambiabilità. Ogni ricchezza è tale perché è scambiabile. Sono i bisogni e i desideri umani che valorizzano la ricchezza, perché qualcun altro dovrebbe richiederla. Finché le cose stanno così, un aumento generale del debito di una nazione equivale ad un aumento della ricchezza nazionale.

È questo fatto a creare molta confusione. Com’è possibile che un governo indebitato crei più ricchezza per il suo popolo rispetto a un governo che gestisce le finanze nazionali in modo più responsabile? La risposta si trova nel valore del debito, sempre determinato dai mercati. Questo è generalmente indicato come rischio di controparte, o rischio valutario, di cui parleremo più dettagliatamente in seguito.

Quando si valuta la ricchezza, sorge la domanda su quale dovrebbe essere il mezzo di valutazione. In pratica avviene tramite le valute nazionali, ma come abbiamo visto la valuta è un'obbligazione di debito nel bilancio di chi la emette ed è, quindi, credito stesso. Il credito viene valutato tramite il credito. Coloro che sostengono che le valute nazionali siano denaro non riescono a capire questo semplice fatto.

Ci sono buone ragioni giuridiche per cui le banconote della Banca d’Inghilterra recano la legenda: “Prometto di pagare al portatore su richiesta la somma di…” firmata dal capo cassiere. È anche il motivo per cui le banche centrali mantengono, o affermano di mantenere, significative riserve in lingotti d’oro, proteggendole gelosamente e rifiutandosi di separarsene. Anche se l’argomento è diventato un tabù, i banchieri centrali si rendono conto che la valutazione delle loro valute, e quindi il valore di tutta la ricchezza nazionale, non è in banconote scoperte ma in oro.


Il credito al settore privato e il suo utile impiego

Abbiamo ormai stabilito che aumentando il debito, a cui corrisponde il credito, e che il credito è ricchezza, la ricchezza di una nazione aumenta. Citerò ora due esempi per ribadire questo punto. Il primo è tratto da Poverty and the State (1886) di Herbert Mills e riguarda la costruzione di un nuovo mercato della carne nel 1822, edificio ancora oggi in uso:

Gli Stati di Guernsey, avendo deciso di costruire un mercato della carne, hanno votato con £4.000 per coprire i costi. Invece di prendere in prestito questa somma a un interesse del 5%, il governatore emise quattromila gettoni di cartone sui quali c'era scritto “Guernsey Meat Market Notes”. Rappresentavano £1 ciascuno ed erano valuta legale con il consenso universale. Con queste banconote gli Stati pagavano l'appaltatore e con essi quest'ultimo pagava i suoi operai e tutti coloro che gli fornivano i materiali. Venivano accettati dai commercianti in cambio di merci, dai proprietari in pagamento degli affitti e dalle autorità in cambio delle tasse. A tempo debito il mercato fu completato. Le bancarelle della macelleria, con alcuni locali pubblici costruiti sopra, venivano affittate a un canone annuo di £400. Alla scadenza del primo anno di questo contratto, gli Stati ritirarono il primo lotto di banconote, numerate da uno a quattrocento, e con le £400 ricevute per l'affitto riscattarono le £400 di denaro rappresentativo, espresse dalle “Banconote per il mercato della carne”. Al termine del decennio tutti i titoli furono riscattati, mediante l'applicazione del canone decennale. In questo modo fu costruito un ottimo mercato senza pagare alcun interesse sul denaro preso in prestito e senza danneggiare nessuno.

Questo è un raro esempio di un'agenzia governativa che emette credito per un progetto specifico, in questo caso credito che fungeva anche da valuta circolante. Il secondo esempio riguarda il sistema di credito in contanti inventato dalla Royal Bank of Scotland alla fine degli anni ’20 del Settecento.

Secondo la legge scozzese, la Banca di Scozia fu fondata nel 1695 con poteri di emissione illimitati. Emetteva solo banconote nei seguenti tagli: £100, £50, £10 e £5. Va tenuto presente che nella valuta odierna, £100 di allora equivalgono a £41.000 attuali. Il piano della Bank of Scotland era quello di servire e promuovere importanti clienti commerciali in linea con l'attività bancaria di Londra, indirizzata principalmente alla negoziazione di cambiali commerciali. La banca non emise banconote da £1 fino al 1704.

Il suo monopolio terminò nel 1727 e venne costituita poi una rivale, la Royal Bank of Scotland. Il problema era che, essendo l’economia commercialmente sottosviluppata, in Scozia non c’erano abbastanza cambiali commerciali disponibili per soddisfare entrambe le banche. Fu la Royal Bank a trovare una soluzione. Ottenute garanzie sufficienti, accettò di anticipare crediti d'importo limitato a favore di persone affidabili e rispettabili; questi accrediti in contanti non erano conti ordinari e invece di ricevere interessi sul saldo gli venivano addebitati. Nel bilancio della Royal Bank un prestito in contanti veniva registrato come attivo, controbilanciato da un deposito che rappresentava l'importo disponibile per essere prelevato.

Fu il precursore del moderno prestito bancario, in contrapposizione al sistema bancario che a Londra a quel tempo ruotava attorno alle cambiali commerciali.

I crediti in denaro venivano utilizzati in due modi diversi: per aiutare i privati ​​negli affari e per promuovere l'agricoltura e la formazione di imprese commerciali di ogni tipo. I terreni agricoli erano sottosviluppati per mancanza di capitali, ma ciò che qui ci interessa particolarmente sono i prestiti agli imprenditori.

Le banche limitavano gli anticipi a un valore compreso tra £100 e £1.000 (l’equivalente in sterline di oggi di circa £41.000 e £410.000). Non era richiesta alcuna garanzia, oltre a quelle di persone che avevano familiarità con il mutuatario. Questi “anticipatori”, come erano conosciuti nella legge scozzese, avrebbero tenuto d’occhio il modo in cui venivano utilizzati i fondi, avevano sempre il diritto di ispezionare il conto del mutuatario presso la banca e avevano l’autorità d'intervenire in qualsiasi momento.

Nelle prove fornite ad una commissione della Camera dei Comuni nel 1826, quasi un secolo dopo che la Royal Bank of Scotland aveva creato crediti in contanti, un testimone citava il caso di una modesta banca di campagna che offriva facilitazioni di credito in contanti e che in ventuno anni avevano fruttato più di £90.000.000 e solo perdite per £1.200. Si trattava di un'innovazione notevole che era stata ormai ampiamente adottata.

Prima dell’esistenza delle banche che offrivano crediti in contanti, la Scozia era un Paese arretrato la cui popolazione era più impiegata nel furto di bestiame e nelle guerre con i vicini che nell’agricoltura pacifica. Soprattutto mancava il credito e la popolazione viveva solo di sussistenza. La creazione del sistema di credito in contanti insieme alla circolazione delle banconote della Bank of Scotland e della Royal Bank, accettate come se fossero denaro, portarono ad un enorme progresso sociale ed economico. E quando venne istituito il sistema del credito in contanti, esso fu ampliato per finanziare progetti più grandi. Ad esempio, il Forth e Clyde Canal che collegava Edimburgo con Glasgow fu costruito con un credito in contanti di £40.000, concesso dalla Royal Bank. Ferrovie, banchine e porti, strade e persino edifici pubblici vennero finanziati con crediti in contanti.

Come esempio tra tanti, Henry Menteith iniziò la sua attività come commerciante-tessitore con un modesto credito in contanti, acquisendo la propria fabbrica nel 1785. E nel 1826 Menteith impiegava 4.000 uomini e donne; servì due volte come Lord Provost di Glasgow e successivamente come membro del Parlamento per Linlithgow.

L'Illuminismo scozzese del XVIII secolo, che ci ha dato David Hume, Adam Smith, Robert Burns e molte altre figure eminenti, deve la sua esistenza alla trasformazione della Scozia da nazione arretrata attraverso i crediti in contanti. In soli cinquant’anni la Scozia avanzò commercialmente come nazione più di quanto avesse fatto in tutta la sua storia e questo nonostante lo sconvolgimento politico della ribellione giacobita del 1745.

Il successo dei crediti in contanti e la più ampia adozione del loro equivalente da parte delle cooperative di credito e di altre organizzazioni su base locale in Inghilterra e Galles, divennero successivamente non solo la base di alcune notevoli fortune, ma anche il fondamento su cui prosperarono molte attività più modeste. Non c’è dubbio che l’evoluzione del credito bancario grazie al sistema di credito in contanti scozzese sia stata vantaggiosa non solo per la Scozia, ma per il Regno Unito in generale. Infatti rivoluzionò il sistema bancario anche in Inghilterra e Galles, portando i benefici del credito alla gente comune; e l’adozione globale della legge bancaria inglese trasmise benefici anche ad altre nazioni.

Chiaramente l’espansione del credito presenta enormi vantaggi, ma il problema sono i cicli destabilizzanti di espansione e contrazione del credito bancario, non l’esistenza del credito bancario stesso. Questo sarà il nostro prossimo argomento.


L’effetto dirompente dei cicli del credito bancario

Abbiamo ormai stabilito che l’espansione del credito e del debito del settore privato è una cosa positiva, poiché aumenta la ricchezza nazionale. Abbiamo visto che il sistema di credito in contanti ideato dalla Royal Bank of Scotland portò il credito a tutti e che l’impiego del debito nel settore privato è fondamentale per il progresso economico. L’unico neo è il comportamento dei banchieri. Un ciclo di espansione imprudente e successiva contrazione del credito bancario, evidente fin da quando sono disponibili statistiche credibili, ha portato a un ciclo di boom/bust.

Le banche non fanno altro che concedere il credito, creando prestiti e abbinando depositi allo stesso tempo. Il motore della loro attività è la creazione di prestiti e poiché il credito è lo scambio di un diritto presente a un pagamento futuro, non hanno bisogno d'impiegare il proprio capitale per la creazione di prestiti. Pertanto il rapporto tra il capitale proprio di una banca e il suo bilancio complessivo è una questione di prudenza percepita nelle circostanze economiche prevalenti.

Naturalmente la percezione del rischio cambia nel tempo e, poiché un gruppo cospicuo di banchieri utilizza modelli di analisi del rischio simili, viene coinvolto una sorta di pensiero di gruppo. Questo è il motivo per cui quando le condizioni economiche sono giudicate sfavorevoli i banchieri cercano di proteggersi riducendo la loro esposizione creditizia, e quando poi sembrano migliorare diventano più rilassati riguardo alla creazione di prestiti.

Quando le condizioni commerciali migliorano, i banchieri riducono addirittura i loro margini per attirare attività di prestito, aumentando la leva finanziaria tra bilancio e capitale per compensare e garantire il mantenimento della redditività complessiva. In sostanza, i prestiti bancari diventano inflazionistici perché i tassi scendono in un momento di crescente domanda di credito. L’eccessivo credito a buon mercato nei periodi buoni mette in moto un boom insostenibile, che se non assorbito da ulteriori risparmi da parte dei consumatori porta a prezzi più alti e speculazione finanziaria. Mentre tutti festeggiano, compresi i banchieri, arriva un punto in cui i piani aziendali vanno male a causa dei colli di bottiglia dell’offerta, dell’inflazione salariale e dell’aumento dei prezzi delle materie prime. Troppo credito insegue troppo pochi beni.

I banchieri si rendono poi conto che le basi su cui prestavano credito sono cambiate in peggio e, trovandosi sovraindebitati, diventano cauti e iniziano a limitare le loro attività di prestito. Le imprese sovraindebitate e quelle che fanno affidamento su linee di credito continuative si trovano a dover tagliare le proprie attività commerciali, o andare in bancarotta. In alcuni casi potrebbero essere in grado di prendere in prestito importi ridotti a costi d'interesse più elevati. La disoccupazione inizia ad aumentare e con essa la spesa dei consumatori diminuisce. E quanto più entusiasti erano i banchieri nei periodi buoni, tanto maggiore sarà il crollo successivo; e quanto più restringeranno l’offerta di credito, tanto più aumenteranno i tassi dei prestiti.

A volte sono le banche stesse a lasciarsi coinvolgere in speculazioni eccessive, lo abbiamo visto con i fallimenti della crisi Lehman nel 2008-2009 ed è anche il caso attuale. Causarono la crisi dell’Overend Gurney nel 1866 e la crisi della Baring nel 1890. Due secoli di statistiche finanziarie confermano che si tratta di un ciclo ripetitivo, con una durata media di circa dieci anni anche se può variare notevolmente.

L'effetto di questo ciclo creditizio sul livello generale dei prezzi è meno certo. Agli albori del gold standard britannico, era considerevole ma diminuì nel tempo, come illustra il grafico seguente.

Un’indagine sul motivo per cui le fluttuazioni del livello dei prezzi al consumo sono diminuite nel tempo getta notevoli dubbi sulla teoria quantitativa della moneta, che propriamente detta è la teoria quantitativa del credito. La natura boom/bust del credito bancario è ovvia, ma con il progredire della Rivoluzione Industriale il credito bancario si espanse massicciamente per finanziarla. Prendendo le stime della Banca d’Inghilterra sull’aggregato monetario più ampio e sottraendovi la base monetaria, i prestiti bancari aumentarono di circa l’800% tra il 1830 e il 1911, quando il livello generale di aumento dei prezzi era pari a zero.

La spiegazione del calo della volatilità dell’inflazione era che nel corso del tempo il sistema bancario aveva migliorato le strutture di compensazione e i mercati interbancari divennero sempre più efficienti. E nonostante battute d'arresto sotto forma d'importanti fallimenti come quello di Overend Gurney e Barings e la sospensione degli impegni di cambio dell'oro da parte della Banca d'Inghilterra per tre volte in seguito al Bank Charter Act nel 1847, 1857 e 1866, questa tendenza al miglioramento dell’inflazione progredì con una diminuzione delle perturbazioni.

La chiave per la stabilità dei prezzi è semplice: tutto il credito, qualunque sia il rischio della controparte, deve trarre il suo valore dal denaro reale, ovvero l'oro. Finché esisterà un gold exchange standard credibile, tenendo conto del rischio di controparte, il valore del credito in termini di potere d’acquisto sarà mantenuto durante i cicli dirompenti di boom/bust. Come abbiamo visto nelle tre occasioni in cui il Bank Charter Act venne sospeso e la Banca d’Inghilterra venne autorizzata a emettere banconote senza espandere le riserve monetarie, la tendenza verso una diminuzione della volatilità dei prezzi è continuata ed è stato possibile contenere le crisi.


L’intervento dello stato nei mercati del credito è sempre fallimentare

Il ciclo dei prestiti bancari è economicamente distruttivo. Prima degli anni ’20, in comune con quella del Regno Unito, la politica del governo statunitense era quella di non intervenire in una crisi economica, sapendo per esperienza che, lasciato a sé stesso, il ciclo del credito si sarebbe invertito e il progresso economico si sarebbe ripreso. La profonda crisi del 1920-1921, che non vide alcun intervento centrale, fu breve e la ripresa rapida. Quella fu l’ultima crisi degli Stati Uniti che non vide alcuna ingerenza dello stato.

Ma quando Benjamin Strong, presidente del neo costituito Federal Reserve Board, adottò misure per espandere il credito a livello di banca centrale, questa nuova forma di sperpero creditizio alimentò il boom, popolarmente noto come i Ruggenti anni venti. Verso la fine di quel decennio il boom portò a un’eccessiva speculazione sul mercato azionario, segno sicuro di un eccesso di credito, e la depressione che ne seguì fu profonda.

Sfortunatamente quella crisi divenne lo spunto per l’intervento del presidente Hoover seguito a ruota poi dal presidente Roosevelt, interventi che nella migliore delle ipotesi prolungarono la depressione e, nel peggiore dei casi, l’aggravarono. La professione economica si è sempre più schierata con l’intervento dello stato, attribuendo la colpa del fallimento economico agli attori del settore privato, quando avrebbero dovuto riconoscere che il ciclo del credito bancario era stato stimolato dalla creazione di credito da parte della FED nel decennio precedente.

L’incapacità di comprendere il credito era e rimane al centro dei tentativi falliti d'intervento economico della classe politica. Sfortunatamente gli economisti di oggi consigliano agli stati di gestire il libero mercato: sia i keynesiani che i monetaristi sono colpevoli di questo errore.

I keynesiani raccomandano deficit di bilancio, che portano alla creazione di una domanda artificiale. Se gli stati si attenessero al principio secondo cui la sostituzione della contrazione del credito delle banche commerciali dovesse avvenire solo con un’eguale espansione del credito della banca centrale, si potrebbe pensare che ci sia una logica in questo approccio. Ma questo modo di pensare porta a due errori: il primo è supporre che, data la licenza di emettere credito in eccesso, la classe politica desista dall’usarlo per altri scopi, il che è il trionfo del pio desiderio sull’esperienza; il secondo è che la spesa pubblica in eccesso rispetto alle entrate è improduttiva, dato che i ministri del governo sono incapaci, a causa delle loro priorità politiche e della mancanza di una vera motivazione commerciale, di applicare questo credito a effetti produttivi.

I principi keynesiani sono del tutto in contrasto con le condizioni alle quali il credito nell’economia può espandersi nel tempo senza compromettere il potere d’acquisto della valuta. Questo è il motivo per cui, dopo il crollo di Wall Street e la successiva depressione, l’America ha trovato sempre più difficile mantenere il gold standard, prima di abbandonarlo completamente nel 1971.

I monetaristi raccomandano di controllare l’offerta di denaro (con cui intendono il credito) mediante linee di politica sui tassi d'interesse, che secondo loro regolano la domanda di credito. Ma come abbiamo visto dal grafico sulle aspettative dell'inflazione dei prezzi a breve termine, il credito ha bisogno dell’ancoraggio a un gold standard per garantire il suo valore attraverso i vari cicli del credito bancario. La convinzione che quest'ultimo possa essere gestito regolando l’offerta di credito totale si basa quindi su un’idea sbagliata.

Questa teoria è stata scoperta dal Paradosso di Gibson, il quale ha dimostrato che non esiste alcuna correlazione tra i tassi d'interesse e l'inflazione dei prezzi. La correlazione è tra i tassi d'interesse e il livello generale dei prezzi, che non è la stessa cosa del tasso di variazione di questi ultimi. La vera relazione fu osservata in Gran Bretagna nel corso di due secoli tra il 1730 e il 1930. La ragione del Paradosso è che le imprese che investono il proprio capitale e il credito ottenuto dagli investitori e dalle banche fanno sempre riferimento ai valori di produzione nei loro calcoli economici per determinare la redditività di un investimento. Se il valore del credito è solido, i valori della produzione tra cinque o dieci anni saranno simili a quelli di oggi. Un uomo d'affari può quindi avere fiducia nei suoi calcoli, conoscendo il livello d'interesse che può pagare ottenendo un profitto ragionevole.

Questo è il motivo per cui i tassi d'interesse generalmente sono correlati al livello generale dei prezzi.

Senza capire il perché ciò accada, gli economisti moderni sostengono che il Paradosso di Gibson si applicava solo durante il gold standard e che oggi non si applica più. Ma il motivo per cui oggi non sembra essere applicabile è l’assenza di stabilità dei prezzi, cosa che corrompe la base dei calcoli aziendali. Non è un argomento valido affermare che con le valute fiat i tassi d'interesse ora sono correlati al tasso d'inflazione dei prezzi e quindi possono essere utilizzati per controllarlo.

Senza considerare poi che ci sono i valori delle preferenze temporali, particolarmente importanti per i detentori esteri di qualsiasi valuta.

Secondo la teoria della preferenza temporale, un creditore esaminerà tre cose: la perdita del possesso del suo credito che viene novato a un altro soggetto, il rischio che il credito non venga rimborsato e le variazioni del valore di tale credito prima del rimborso. Se gli interessi su un prestito non riescono a soddisfare questi obiettivi, il prestito non verrà erogato. In questi tempi di valute fiat e i loro valori futuri incerti, gli stranieri prenderanno in considerazione i potenziali cambiamenti nel potere d’acquisto della valuta – un fattore che generalmente non si applica quando essa è legata al denaro reale, ovvero l’oro.

Come alternativa al gold standard, la gestione dei tassi d'interesse è un pessimo sostituto. L’instabilità economica e finanziaria che affrontiamo oggi nasce dal distacco dei valori creditizi dal denaro reale. Le crisi finanziarie periodiche di solito comportano ulteriori emissioni di valuta o di credito da parte della banca centrale, minando ulteriormente il potere d’acquisto del credito. Questo è ciò che porta a tassi d'interesse più alti nel tempo e a costi più elevati per finanziare i deficit pubblici.

Senza la conoscenza sulla corretta distribuzione del credito e in possesso solo di teorie incomplete, a partire dalla seconda guerra mondiale gli stati e i loro economisti sono andati alla cieca. Ora hanno completamente abbandonato la corretta distinzione tra denaro e credito, sostituendo il primo con il credito della banca centrale. Per loro, il credito bancario trae il suo valore dalle banconote e non dall’oro e il deragliamento della situazione attuale non è un caso.


Il valore del credito si trova ad affrontare la sua crisi più profonda

Secondo l'FMI nel 2022 i Paesi del G7 avevano un rapporto debito pubblico/PIL del 128%. In testa alla classifica troviamo il Giappone con il 260,1%, seguito dall'Italia con il 144%, gli Stati Uniti con il 121,3%, la Francia con il 111,8%, il Canada con il 107,4%, il Regno Unito con il 101,9% e la Germania con il 61,8%. L'FMI presuppone che molti di questi Paesi faranno crescere il loro PIL più velocemente del loro debito, riducendo questi rapporti, mentre il debito pubblico continuerà a crescere a un ritmo più lento.

Inutile dire che tutti loro sono finiti in una trappola del debito e i problemi più acuti ce li ha il Giappone, dove la banca centrale si rifiuta ostinatamente di portare i tassi sui depositi in territorio positivo.

Mentre si nasconde dietro le sue credenze keynesiane, la Banca del Giappone ha un enorme problema: ha manipolato i suoi mercati finanziari sin dal 2000 acquistando titoli di stato giapponesi, debito societario e persino azioni attraverso gli ETF. Con l’aumento dei rendimenti obbligazionari, il suo bilancio è ora profondamente negativo: tecnicamente la banca centrale è fallita e se fosse un'azienda nel settore privato i suoi direttori sarebbero già stati tutti incarcerati per frode. Ma si tratta di un’organizzazione controllata dallo stato, proprio come tutte le altre principali banche centrali del G7 che senza rifinanziamento sono tecnicamente fallite.

Sono queste le organizzazioni su cui facciamo affidamento per sottoscrivere l’intero sistema creditizio del G7. E ora che il credito in valute fiat è completamente staccato dal denaro reale e fa affidamento sulla fiducia delle persone in esso, la situazione non è felice. Inoltre il sistema finanziario del G7 si è basato su tassi d'interesse pari a zero e negativi e deve adattarsi ora a tassi d'interesse e rendimenti obbligazionari nettamente più elevati. In precedenza ho descritto il ciclo del credito bancario, e da ciò ora dovrebbe essere ovvio il motivo per cui il credito bancario si sta contraendo in alcune di queste giurisdizioni: le banche commerciali sono ora sempre più consapevoli del crollo dei valori delle obbligazioni e delle garanzie, e di un’ondata di debiti inesigibili in un momento in cui i loro bilanci sono terribilmente sovraindebitati.

Il grafico qui sopra mostra la correlazione negativa tra il rendimento delle obbligazioni a lungo termine e l’indice S&P 500. Dopo la crisi della Lehman, il calo dei rendimenti obbligazionari ha portato l’indice S&P al rialzo, fino a raggiungere un’estrema divergenza nel luglio 2020. Da allora la divergenza si è invertita, indicando che l’indice S&P è ora ampiamente sopravvalutato rispetto ai rendimenti obbligazionari e un orte calo delle azioni è quasi certo. Su questa base un obiettivo per l'indice S&P (attualmente 4.240) dovrebbe essere compreso tra i 500 e i 1.000 se si vuole colmare questo divario di valutazione e se il rendimento delle obbligazioni a lungo termine rimane ai livelli attuali.


Conclusione

Non è mai stato così importante comprendere il credito e il fatto che dal 1971 esso è stato totalmente separato dal denaro reale, ovvero l'oro fisico. È un errore madornale pensare che il dollaro abbia sostituito l’oro: forse è la forma di credito più alta, ma non è denaro reale.

La fine del sistema creditizio basato sulle valute fiat è ormai in vista, un’inevitabilità che era del tutto prevedibile. Da un valore equivalente di $20,67 l'oncia, confermato giuridicamente nel 1900 ma esistente de facto sin dal 1850, il dollaro ha già perso quasi il 99% del suo valore. La maggior parte di questa perdita risale al 1971, come mostrato nell'ultimo dei nostri grafici.

Inoltre ci sono prove che Cina e Russia si siano preparate per una crisi del credito accumulando notevoli quantità di lingotti, che possono utilizzare per sostenere le loro valute. Nel momento in cui si attiverà questa opzione, l'intero sistema creditizio basato sulle valute fiat sarà minacciato di collasso, se non altro perché tutti si renderanno conto del fatto che è giuridicamente vera una cosa fin dalle prime leggi di Roma nelle Dodici Tavole e confermata da John Pierpont Morgan in una sua testimonianza del 1912 di fronte al Congresso: l'oro è denaro, tutto il resto è credito.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 30 ottobre 2023

La Legge di Say è tutto ciò di cui avete bisogno

 

 

di Alasdair Macleod

Mentre il mondo sprofonda nella tanto annunciata recessione, la sorpresa sarà che i tassi d'interesse continueranno a salire mentre l’attività economica si contrarrà e questo non è ciò che l’establishment economico si aspetta.

Questo saggio colloca talea prospettiva nel contesto della teoria economica classica, quando erano i principi alla base della divisione del lavoro a dominare incontrastati. Adottando il tema della Legge di Say, questo saggio suggerisce una previsione con un alto grado di certezza che, lungi da una recessione che porterà a prezzi più bassi, tassi d'interesse più bassi e quindi al paradiso degli investitori, essa invece porterà a prezzi più alti, tassi d'interesse più alti e deficit di bilancio fuori controllo.

Lungi dall’essere la salvezza per gli investitori, sarà la recessione stessa la sfida più grande al sistema monetario fiat.


Introduzione

Finora la progressione degli eventi successivi alla crisi sanitaria è stata del tutto prevedibile. In primo luogo, lo stimolo monetaria è stato portato all’eccesso ed è stato seguito dal livello generale dei prezzi in aumento oltre il livello di guardia del 2%. Le banche centrali hanno quindi rialzato i tassi d'interesse nel tentativo di frenare l’inflazione dei prezzi e la crescita dell’offerta di denaro ha inizialmente rallentato per poi cominciare a contrarsi. E ora le principali economie si trovano ad affrontare una recessione di cui le prove sono sempre più evidenti. Anche se si è trattato di una progressione da manuale, c’è stata una cecità sistemica accompagnata da speranze deluse a ogni evoluzione di tal processo.

L’ultima prova è di un apparente collasso del commercio internazionale. Le importazioni e le esportazioni della Cina hanno subito una forte contrazione; la Germania ha già registrato un calo della domanda di esportazioni, e ora anche la Gran Bretagna ha fatto registrare un crollo delle esportazioni. Secondo il Daily Telegraph: “Gli ordini provenienti da Stati Uniti, Cina, Europa e Sud America sono tutti in caduta libera secondo il Purchasing Managers Index, un influente sondaggio sulle imprese di S&P Global”. Letture in calo del Purchasing Managers Index si osservano anche in Francia e Spagna, oltre che, ovviamente, in Germania.

A luglio le esportazioni cinesi verso l’America sono scese del 23,1% su base annua e verso l’UE del 20,6%. Essendo il primo esportatore mondiale, questi dati provenienti dalla Cina rappresentano un campanello d’allarme per l’economia mondiale. Una possibile spiegazione è che, dopo l’aumento della produzione in seguito alla crisi sanitaria, si sta verificando una riduzione delle scorte a livello globale a causa di una serie di fattori comuni: un rallentamento delle vendite a fronte dei prezzi più alti è ovvio, lo è di meno il fattore generale più importante, ovvero che i banchieri di tutto il mondo sono meno avidi di profitti e più spaventati dal rischio di prestito. Nelle economie altamente indebitate, l’aumento generale dei tassi d'interesse sta spaventando i banchieri che hanno bilanci altamente indebitati e ciò sta portando a un'insolita contrazione del credito bancario.

E tale fattore sta cominciando a spaventare i produttori, i quali, rivolgendosi alle banche per sostenere la propria liquidità mentre i loro margini di profitto sono messi sotto pressione dai costi di produzione più elevati, scoprono che le banche, a conti fatti, si rifiutano di fornire prestiti. Non hanno altra scelta se non quella di ridimensionare le loro operazioni e ridurre le loro scorte. Ergo, la produzione di beni d'importazione ed esportazione si sta fermando.

Gli economisti tradizionali stanno per scoprire una brutta realtà. Presumono che le recessioni siano causate dalla riduzione dei consumi da parte dei consumatori, una situazione che porta a un calo dei prezzi e richiede uno stimolo monetario. Ciò che non riescono a capire è che alla radice del problema c’è il fatto che il credito negato ai produttori e, inevitabilmente, questi ultimi inizieranno a licenziare il personale e a tagliare la produzione. A parte il fatto di osservare gli sviluppi dalla parte sbagliata del binocolo, il motivo per cui i macroeconomisti non comprendono questo fatto è perché hanno rifiutato la Legge di Say. Lo ribadiamo forte e chiaro con un linguaggio semplice:

Produciamo per consumare; se non produciamo, non consumiamo.

Non accade mai che i consumatori si sentano improvvisamente avversi al consumo, ma accade sempre che gli individui riducano i consumi perché perdono il lavoro. Ne consegue quindi che quando la produzione diminuisce la disoccupazione aumenta; l’offerta di beni e servizi in generale diminuisce insieme alla domanda degli stessi.

In pratica, il rapporto tra offerta, domanda e prezzi è più complesso. Ci si potrebbe aspettare che la riduzione delle scorte, indicata dal forte rallentamento delle importazioni e delle esportazioni in tutto il mondo, riduca temporaneamente il livello generale dei prezzi, ma ciò durerebbe solo per il periodo di riduzione delle scorte. Un fattore molto più importante sono le variazioni del potere d’acquisto di una valuta e, a questo proposito, possiamo già vedere i prezzi dell’energia che iniziano a salire: il petrolio è salito del 21% nell’ultimo trimestre, il gasolio da riscaldamento del 36% e la benzina del 17%. Anche alcuni prodotti alimentari sono in forte aumento: olio di soia in crescita del 41%, avena del 34%, suini magri del 18%, colza del 19% e cacao del 20%. Potremmo definire questi input materie prime essenziali, la cui domanda non calerà neanche durante una recessione profonda.

Ovviamente ci sarà uno spostamento dei consumi da quegli elementi cosiddetti discrezionali a quelli essenziali, ma supporre che produttori e fornitori di servizi continueranno a sfornare prodotti in un mercato di consumo riluttante è sbagliato. Saranno di conseguenza tenuti a limitare la loro produzione e quindi possiamo vedere che la Legge di Say non può essere negata: il rapporto tra produzione e consumo preserva un equilibrio tra i due e l’idea di un eccesso di produttività, presunta dagli economisti neo-keynesiani, è manifestamente sbagliata.

Respingendo La legge di Say, i keynesiani riuscirono a illudersi che esistessero eccessi di produttività durante una recessione e che avrebbero fatto scendere i prezzi al consumo, essendo la conseguenza di una domanda insufficiente; pertanto la soluzione keynesiana è quella di incoraggiare il consumo scoraggiando il risparmio e sopprimendo i tassi d'interesse. Le banche centrali hanno iniziato a fissare come obiettivo un’inflazione dei prezzi al consumo al 2%, in modo da garantire che non si verificassero condizioni recessive.

Le idee sbagliate su un crollo generale dei prezzi hanno avuto origine nella depressione degli anni ’30, la quale sembrò confutare il precetto della Legge Say, ma quella depressione rappresentò lo scoppio della bolla creditizia degli anni ’20. C’erano quindi due cause principali di quella che poteva apparentemente sembrare una prova contro la Legge di Say: in primo luogo, la meccanizzazione dell’agricoltura negli anni ’20 portò a un eccesso di offerta di cereali e altri prodotti alimentari che continuarono a essere prodotti nonostante la domanda in calo; in secondo luogo, il fallimento di migliaia di banche portò a una sostanziale contrazione del credito bancario, aumentando il potere d’acquisto del dollaro e dando l’impressione di un calo dei prezzi. E ad aggravare i problemi per l’America e il resto del mondo ci fu l'approvazione dello Smoot Hawley Tariff Act da parte del presidente Hoover nel 1930.

Gli errori economici si aggravarono allora e si aggravano ancora oggi. La svalutazione della valuta è diventata una linea di politica ufficiale, con i banchieri centrali che negano che l’aumento dei prezzi al consumo sia in realtà un deprezzamento della valuta. E poiché il dibattito ora si concentra sulla questione se l'obiettivo dell'inflazione dei prezzi debba essere aumentato al 3 o addirittura al 4%, ciò indica sicuramente una completa assenza di ragionamento.

Ma se vogliamo riabilitare la Legge di Say, dobbiamo guardarla nel contesto moderno, in cui la produzione di beni in particolare non avviene da parte dei consumatori, ma da parte di fabbriche all'estero.


Legge di Say e commercio internazionale

Jean-Baptiste Say sottolineò i vantaggi della divisione del lavoro più di due secoli fa, ora riassunti nella sua Legge. A quel tempo, a parte le materie prime e il grano importati, quasi tutta la produzione proveniva dalle industrie nazionali. L’argomentazione secondo cui tutti produciamo per spendere i frutti della nostra produzione nell’ambito della divisione del lavoro era ovvia, ma oggi dobbiamo ammettere che la produzione si svolge in centri diversi da quelli in cui si concentra poi il consumo. Dobbiamo stabilire se la Legge di Say si applica a un’economia moderna, la cui origine è basata sull’espansione del credito a livello internazionale e non solo a livello nazionale.

A partire dalla metà degli anni Ottanta, le banche statunitensi diversificarono le loro attività dedicandosi all’investment banking e alla negoziazione di titoli quando Londra aprì l’intermediazione azionaria alle banche. È stato definito una sorta di Big Bang della "finanziarizzazione" e ha rivoluzionato l’intero settore dei servizi finanziari, non solo a Londra, ma in tutto il mondo tranne che in America. Consentì alle banche di operare sia nel settore degli investimenti che in quello commerciale. Il Glass Steagall Act, però, vietava alle banche statunitensi di svolgere entrambe le attività e la legge fu abrogata solo nel 1999. Di conseguenza per quindici anni le banche statunitensi perseguirono lucrosi finanziamenti aziendali al di fuori degli Stati Uniti, dove il Glass-Steagall non si applicava. L’eredità della lentezza degli Stati Uniti nell’adattarsi al nuovo sistema bancario globale è stata che le banche statunitensi hanno incoraggiato le aziende statunitensi a costruire fabbriche all’estero, svuotando la produzione nazionale e consentendo alla Cina e al Sud-Est asiatico di industrializzarsi. Ciò portò le catene di approvvigionamento a diventare internazionali.

L’impatto della produzione globale sugli Stati Uniti rappresenta in realtà una parte minore della sua economia totale. Con un PIL statunitense pari a circa $27.000 miliardi, le importazioni rappresentano il 15% del PIL e le esportazioni l’11%; ciò lascia il 74% del PIL indiscutibilmente soggetto alla Legge di Say nel senso originale, ma gli articoli di consumo rappresentano in realtà una parte minore delle importazioni, pari a $784 miliardi, meno del 20% delle importazioni statunitensi, mentre gli articoli di consumo esportati ammontano a $256 miliardi, pari all’8,3% delle esportazioni statunitensi. In proporzione al PIL totale, i beni di consumo interessati, pari a $1.040 miliardi, rappresentano solo il 4%. Il saldo dei totali d'importazione ed esportazione comprende materie prime e beni intermedi.

Questa cifra notevolmente bassa ci suggerisce che gli articoli di consumo non sono tanto importazioni dirette, ma importazioni assemblate, distribuite e vendute al dettaglio negli Stati Uniti. Qualsiasi argomento secondo cui gli aspetti internazionali del commercio compromettano la validità della Legge di Say può quindi essere scartato.

Cerchiamo di stabilire il rapporto tra produzione e consumo in ogni momento, soprattutto durante la recessione. Coloro che respingono la Legge di Say sostengono erroneamente che in una recessione la produzione supera la domanda, portando ad un calo dei prezzi. Ci sono altre due questioni da chiarire: il disallineamento implicito tra la produttività automatizzata e il consumo individuale, e le conseguenze della distribuzione dello stato sociale.

Nel settore manifatturiero, con la moderna meccanizzazione, il valore della produzione di un dipendente è notevolmente superiore al suo reddito. E dobbiamo tenere presente la sequenza degli eventi: i consumatori non si limitano a decidere di smettere di consumare, ma lo fanno solo quando non ne hanno i mezzi. In una recessione è sempre la produzione a diminuire per prima, portando ad un aumento della disoccupazione, pertanto se quest'ultima aumenta a causa dei tagli alla produzione, il valore dei prodotti diminuirà molto più rapidamente della perdita di reddito subita dai licenziati. Lungi dall’essere una recessione che porta a un eccesso generale di beni invenduti, oltre alla riduzione iniziale delle scorte, essa è destinata a provocare una maggiore carenza di prodotti.

Lo stesso vale per i servizi ad alto valore aggiunto, come quelli finanziari, legali e di consulenza. I servizi a bassa produttività come il settore dell’ospitalità sono vulnerabili ad altri fattori, come l’essere classificati dai consumatori come spese non essenziali. Ovviamente la Legge di Say non definisce i rapporti tra domanda e offerta in settori specifici, ma esclude solo un calo generale della domanda.

Le distorsioni economiche derivanti da parte dei sussidi sociali sono un ulteriore problema che non esisteva quando Say era vivo. Supponendo che lo stato e le organizzazioni di beneficenza siano interamente finanziati, la fonte ultima di tali sussidi è la produzione, poiché sono le tasse sulle vendite, i dazi all’importazione, le imposte sul reddito e tutte le altre fonti di reddito fiscale che, in ultima analisi, vengono fornite dalla produzione. È quando i sussidi dello stato sociale non sono finanziati dalle tasse, ecco che entra in scena la svalutazione della valuta. Le conseguenze della svalutazione monetaria si riflettono nell’aumento dei prezzi.

Coloro che faticano ad accettare che una recessione non porta a un calo generale dei prezzi dovrebbero fermarsi a riflettere sulle condizioni durante un’iperinflazione: l’economia crolla, ma i prezzi salgono, misurati ovviamente in una valuta che si deprezza rapidamente. Non vi è alcuna compensazione con prezzi più bassi dovuti al crollo della domanda. Quest'ultima è preceduto da un crollo dell’offerta ed è la svalutazione della valuta, azione raccomandata dai keynesiani come risposta alla recessione, a causare il vero danno.

Ciò è importante nel contesto delle attuali aspettative, secondo cui le principali economie del mondo sono sull’orlo di una recessione ed essa porterà ad un allentamento della linea di politica riguardo i tassi d'interesse. Questo è un errore perché, come possiamo vedere dalla Legge di Say, anche aggiornata alle condizioni economiche moderne, il livello generale dei prezzi non scenderà. E con un punto di partenza rappresentato da deficit di bilancio pubblici che sicuramente aumenteranno ulteriormente in caso di recessione, la svalutazione della valuta avrà un’influenza molto maggiore sui prezzi rispetto a qualsiasi spostamento marginale nei modelli di consumo.


La relazione tra deficit commerciale e di bilancio

Più di ogni altro fattore, la propensione al risparmio esercita una grande influenza sulle finanze nazionali, essendo il fattore di oscillazione tra il bilancio di uno stato e la posizione commerciale nazionale.

C’è un altro fattore importante che la maggior parte degli analisti ignora: l’ipotesi del cosiddetto deficit gemello, secondo la quale se il tasso di risparmio non cambia, un deficit di bilancio porta a un deficit commerciale. Il motivo per cui i due deficit sono collegati in questo modo è dovuto alla seguente identità contabile nazionale:

(Importazioni - Esportazioni) ≡ (Investimenti - Risparmi) + (Spesa pubblica - Tasse)

In altre parole, un deficit commerciale è una sorta di deficit di bilancio non finanziato dal risparmio ma dal credito aggiuntivo. Questa tesi può essere confermata seguendo il denaro. Per un deficit di bilancio ci sono solo due fonti di finanziamento: i consumatori si astengono dalla spesa per aumentare i propri risparmi al fine di sottoscrivere titoli di stato; il sistema bancario fornisce finanziamenti sotto forma di credito emesso dalla banca centrale, o dalle banche commerciali, mettendo in circolazione ulteriore credito che prima non esisteva.

Il finanziamento di un deficit di bilancio mediante l’espansione del credito porta a un eccesso di credito senza che vi corrisponda un aumento della produzione. Questo è un punto importante alla base della Legge di Say: produciamo per consumare e la funzione del denaro e del credito è quella di intermediazione tra i due. L’iniezione di credito extra in un’economia non fa nulla per aumentare la produzione, ma aumenta la domanda complessiva, almeno fino a quando non viene assorbita secondo l’Effetto Cantillon.

Direttamente o indirettamente, questo eccesso di domanda può essere soddisfatto solo da beni importati, perché non è disponibile un aumento della produzione interna, quindi un deficit di bilancio si riflette in un deficit commerciale.

Il ruolo del risparmio nel contesto delle finanze nazionali è molto importante. Un aumento del risparmio va a scapito del consumo, motivo per cui gli economisti spesso si riferiscono al risparmio come a un consumo posticipato. Affinché il consumo rimanga tale è necessario che venga investito nella produzione o nel debito pubblico, solitamente attraverso le banche, i fondi pensione, le compagnie assicurative o altri canali finanziari che agiscono per conto dei risparmiatori.

Se, ad esempio, la destinazione dei risparmi aggiuntivi è l’investimento nel debito pubblico, questi verranno trasformati in consumi da parte dello stato. Non essendo speso in beni di consumo aggiuntivi, il deficit commerciale diminuisce rispetto al deficit di bilancio.

Nonostante le linee di politica keynesiane distruttive dello stato, i risparmiatori giapponesi rispondono abitualmente ad un aumento del credito trattenendolo nei loro conti di risparmio e in altri mezzi d'investimento. Di conseguenza l’inflazione dei prezzi al consumo è contenuta rispetto a quella di altri Paesi con tassi di risparmio più bassi. L’Eurozona ha adottato linee di politica simili sui tassi d'interesse e ha visto un indice dei prezzi al consumo maggiore rispetto al Giappone, dato che l’UE ha un tasso di risparmio complessivo più basso. Come noteremo di seguito, in Cina, il cui tasso di risparmio è superiore al 40%, l’inflazione misurata dall’IPC è attualmente pari a zero.

L’impiego di capitali da parte delle imprese cinesi e giapponesi, che è la contropartita dell’aumento dei risparmi, viene investito in miglioramenti nella tecnologia e nei metodi di produzione, mantenendo i prezzi al consumo più bassi di quanto sarebbero altrimenti. Poiché i risparmiatori cinesi e giapponesi sono così coerenti nella loro cultura del risparmio, le loro aziende hanno beneficiato di un costo del capitale relativamente basso e stabile, rendendo i calcoli aziendali più affidabili. Per entrambe le nazioni, il risparmio costituisce il fattore di oscillazione positivo nell’ipotesi del deficit gemello.

Lo stesso vale per qualsiasi economia in cui vi sia un deficit pubblico e allo stesso tempo vi sia una propensione della popolazione a risparmiare piuttosto che a spendere. È la forza trainante degli enormi surplus delle esportazioni cinesi, perché con la sola eccezione di Singapore, i cinesi sono i maggiori risparmiatori del pianeta. La posizione delle nazioni le cui politiche economiche mirano a tassare il risparmio e a incoraggiare il consumo immediato è diametralmente diversa. Sono i consumi finanziati indirettamente dall’espansione del credito, senza aumenti del risparmio, che hanno portato a deficit commerciali persistenti accoppiati a deficit di bilancio.

In contraddizione con le politiche economiche neo-keynesiane, l’evidenza conferma che un’economia guidata dal risparmio ha più successo ed è meno incline all’inflazione rispetto a un’economia guidata dai consumi. Non solo il risparmio protegge il potere d’acquisto della valuta riducendo la necessità di fare affidamento sugli afflussi di capitale estero per finanziare i deficit interni, ma l’evidenza empirica mostra chiaramente che le economie guidate dal risparmio hanno più successo nel creare ricchezza per i loro cittadini. È importante sottolineare che una valuta sostenuta da una cultura del risparmio può resistere a un maggiore livello di espansione del credito da parte della sua banca centrale senza conseguenze negative sui prezzi.


Gli effetti della recessione in base all’ipotesi del deficit gemello

La spiegazione di cui sopra della relazione tra deficit commerciale e di bilancio pubblico è valida perché si tratta di un’identità contabile nazionale. E nell’attuale clima economico, ci troviamo ora di fronte a una flessione dell’attività economica mondiale, laquale porterà a minori entrate per gli stati. E quando hanno già deficit di bilancio, tali deficit inevitabilmente aumenteranno ancora di più.

Una recessione nell'attività economica creerà non poche difficoltà al governo americano. Alla vigilia di una recessione, il suo deficit di bilancio per l’anno fiscale in corso è stimato a $2.000 miliardi, pari al 7,4% del PIL. Quasi certamente aumenterà molto con il progredire della recessione e, allo stesso tempo, sembra che il tasso di risparmio stia diminuendo e che il debito delle carte di credito sia in aumento, la conseguenza naturale del fatto che i consumatori hanno dovuto affrontare un aumento dei prezzi più rapido del loro reddito.

L’identità contabile nazionale che collega il deficit di bilancio di uno stato con il suo deficit commerciale ci informa che, lungi da una recessione che porta a una minore domanda d'importazioni, e quindi a una riduzione del deficit commerciale, si verificherà il contrario. Non solo il deficit di bilancio degli Stati Uniti aumenterà, ma con i risparmi già in calo ciò porterà a un deficit considerevolmente più elevato nella bilancia commerciale. La domanda ora è: com'è possibile che ciò avvenga?

È in questo contesto che dovremmo guardare al credito nel suo complesso – non solo nel contesto del finanziamento del deficit di bilancio, ma anche per l’attività del settore privato. La contrazione del credito bancario non fa nulla per minacciare la validità dell’identità nazionale che collega i due deficit. La Legge di Say sarà ancora vera anche se la contrazione del credito bancario fosse abbastanza severa da aumentare il potere d’acquisto di una valuta, come descritto sopra nella depressione degli anni ’30. In termini reali, la Legge di Say continuerà a valere; è solo il valore della valuta in termini di beni che cambia. Per quanto riguarda il commercio internazionale di una nazione, i volumi delle materie prime importate diminuiranno durante una recessione e così anche le loro esportazioni. Lo stesso vale per i prodotti semilavorati e gli articoli di consumo, ma i volumi non sono la stessa cosa dei valori contabili registrati in valuta.

Ciò spiega perché l’ipotesi del deficit gemello vale anche in un momento di declino del commercio internazionale, di aumento dei deficit di bilancio e di calo del tasso di risparmio. A parità di condizioni, il declino dell’attività economica dovrebbe portare a un calo della bilancia commerciale, ma questo in termini reali. La soluzione a questo enigma può essere data solo attraverso un calo del potere d’acquisto della valuta nello stesso momento in cui si verifica un calo dell’attività economica. La spiegazione risiede nell’accelerazione della svalutazione della valuta, la conseguenza diretta del crescente deficit di bilancio.


La contrazione del credito da parte delle banche commerciali intensificherà la recessione

Ora sappiamo che in una recessione, o in una crisi, è l’aumento del ritmo della svalutazione della valuta che alimenta i valori delle importazioni e delle esportazioni, i cui volumi diminuiscono. Il ruolo della contrazione del credito bancario suggerisce il contrario ed è questo il nostro prossimo tema.

Il grafico seguente mostra che i depositi bancari negli Stati Uniti si sono contratti del 4,8% rispetto al picco dell’aprile 2022.

La contrazione del circolante è stata in realtà maggiore di recente, perché al credito bancario dobbiamo aggiungere i cali nella struttura reverse repo della FED, per cui i fondi del mercato monetario autorizzati cercano un tasso d'interesse più alto di quello offerto da depositi delle banche commerciali attraverso i mercati monetari. Dallo scorso settembre suddetta struttura ha fatto registrare un calo di $798 miliardi. Se consideriamo i fondi monetari come depositi bancari aggiuntivi, tenerne conto indica che la contrazione del credito bancario è stata in realtà molto più severa, in particolare negli ultimi mesi, diminuendo del 9,2% rispetto al picco dell’aprile 2022.

I monetaristi sostengono che un calo dell’offerta di denaro porta ad un aumento del potere d’acquisto del dollaro, o più convenzionalmente a un calo dei prezzi. È questa la deflazione che cercano di evitare nel raccomandare alle autorità monetarie di abbassare i tassi d'interesse, ma ciò presuppone che siano in grado di farlo, il che non è così. I tassi d'interesse sono alimentati dal ciclo del credito bancario, per cui i banchieri come gruppo temono ora di aumentare il rischio di prestito e tentano di evitarlo.

Ciò è dovuto al fatto che i bilanci delle banche commerciali statunitensi sono altamente indebitati, per cui la contrazione del credito bancario sembra destinata a continuare man mano che aumenteranno i rischi di prestito. Ma un problema per il sistema bancario nel suo insieme è che, mentre può contrarre il lato degli attivi del suo bilancio, è meno facile ridurre il lato dei passivi nei confronti dei depositanti. La soluzione per loro sarà quella di aumentare i prestiti agli stati, anche se in bond di breve termine per evitare il rischio di durata, e ridurre la loro esposizione ad altri asset. Pertanto all’interno del totale dei prestiti bancari, il calo dei prestiti al settore privato sarà più rapido di quanto indicano i numeri principali. La stretta creditizia è già rivolta alle imprese ed è destinata a intensificarsi.

Di conseguenza il costo del credito per le imprese continuerà a salire e la sua disponibilità a diminuire. Anche la produzione calerà e la disoccupazione aumenterà. Con l’offerta di prodotti in calo così come la domanda dei consumatori, questa sarà la base della condizione popolarmente definita come stagflazione, un'anomalia secondo la dottrina dei neo-keynesiani. In realtà, come sostenuto in questo saggio, è facilmente spiegabile purché si rispetti la Legge di Say. E mentre i neo-keynesiani si aspettano che il calo dei tassi d'interesse rifletta il calo della domanda, adesso siamo in grado di capire perché ciò non accadrà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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