mercoledì 8 novembre 2023

Woodrow Wilson, colui che aprì le porte della guerra infinita: il mito della nazione indispensabile — Parte #1

C'è un motivo per cui nel libro “1984” di Orwell viene riscritto il passato: studiarlo, e soprattutto ricordare, rappresenta la miglior difesa contro le menzogne pubbliche. Ecco perché oggi la maggior parte degli elettori è stata ammaestrata affinché abbia la memoria di un pesce rosso. Questo vale, in particolar modo, anche per l'ultima vampata in ordine cronologico del conflitto infinito tra israeliani e palestinesi. Tagliamo la testa al toro: entrambe le parti hanno le loro ragioni e i loro torti, entrambe le parti si sono macchiate di nefandezze in preda al delirio bellico e alla sete di vendetta. Per non parlare, poi, delle tifoserie che sono scese in campo in Occidente a santificare l'una o l'altra parte ignorando (comodamente) quelle domande della storia che annacquerebbero l'immacolata immagine che hanno dei loro idoli. Come scrisse lo stesso Orwell: “La guerra non è fatta per essere vinta, bensì per essere continua. La società gerarchica è possibile solo sulla base della povertà e dell’ignoranza. In linea di principio lo sforzo bellico è sempre pianificato per mantenere la società sull’orlo della fame”. È in questo senso che, ad esempio, la NATO di oggi, composta da 31 nazioni, è diventata un nemico della pace e della sicurezza. Questo perché esiste principalmente come forum di marketing per i produttori di armi e come think tank per la creazione di false minacce e storie spaventose progettate per mantenere alti i budget militari e ben rifornite le strutture militari ampiamente sovradimensionate. Non c’è bisogno del gigantesco apparato militare di Washington o delle sue estensioni nella NATO perché non ci sono minacce reali alla libertà e alla sicurezza dell'America in nessuna parte del pianeta oggi. La mega minaccia si è conclusa con la bancarotta dell'Unione Sovietica. Oggi il PIL russo da $1.800 miliardi è una barzelletta se confrontato con i $45.000 miliardi di PIL statunitensi e nazioni nella NATO; senza contare che il suo bilancio per la difesa da $85 miliardi non ammonta nemmeno al 7% dei $1.250 miliardi messi insieme nei bilanci della NATO per la difesa. La Russia non ha alcuna capacità di "scacco" nucleare e ora ha ampiamente dimostrato di non avere la capacità militare-industriale per conquistare e occupare anche quelle che sono state le sue terre di confine – terre con un PIL 2022 di, beh, appena $200 miliardi. Il mondo di oggi non pullula di aspiranti egemoni. Hitler, Stalin e la cosiddetta Guerra Fredda furono aberrazioni irripetibili nella storia, scaturite dalla carneficina della Prima Guerra Mondiale, dalla follia di Woodrow Wilson nel coinvolgerci l’America nel 1917 e dalla “pace” punitiva dei vincitori a Versailles – il vivaio che di fatto ha dato vita ai mali totalitari del XX secolo. Infatti l’inutile ingresso dell’America nel primo conflitto mondiale fu ciò che impedì una fine anticipata della guerra e una pace non vendicativa delle nazioni esauste e in bancarotta nella vecchia Europa. In quella storia alternativa il colpo di stato di Lenin non sarebbe mai stato possibile e Hitler sarebbe rimasto un oscuro pittore. Woodrow Wilson aprì le porte dell’inferno 106 anni fa.

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di David Stockman

La tesi della cosiddetta Nazione Indispensabile non ha origine nella condizione universale dell’umanità e degli stati-nazione in cui è stata suddivisa. Deriva invece da un’errata interpretazione delle circostanze uniche, casuali e storicamente aberranti del XX secolo che hanno dato origine ai giganteschi stati totalitari nella Germania di Hitler e nella Russia di Stalin, e ai conseguenti omicidi di massa e alle oppressioni che ne sono derivati.

Ciò che intendiamo è che la Russia stalinista e la Germania nazista non erano codificate nel DNA dell’umanità; non erano un orrore incipiente sempre in attesa di accadere nel momento in cui le nazioni più giuste avrebbero abbassato la guardia.

Al contrario, nacquero e si moltiplicarono nell’aprile del 1917, quando gli Stati Uniti entrarono in quella che allora veniva chiamata la Grande Guerra. E sebbene lo fece senza alcuna ragione di sicurezza nazionale, o di qualsiasi principio coerente con la legittima politica estera della Repubblica americana, l’ingresso di Washington inclinò il risultato verso il caos sociale e la pace cartaginese da cui nacquero Stalin e Hitler.

Quindi possiamo dare la colpa del male monumentale del totalitarismo del XX secolo direttamente a Thomas Woodrow Wilson. Questo pazzo megalomane, che fu il peggior presidente della storia americana, portò l’America in guerra per la peggiore ragione possibile: il desiderio vanaglorioso di avere un posto importante al tavolo della pace del dopoguerra per rifare il mondo come Dio gli avrebbe suggerito di fare.

La verità, tuttavia, era che la guerra europea non rappresentava una di minaccia per la sicurezza e l’incolumità dei cittadini di Lincoln NE, o Worcester MA o Sacramento CA. Da questo punto di vista, la presunta difesa di Wilson della “libertà dei mari” e dei diritti dei neutrali era una parola d'ordine vuota; il suo appello a rendere il mondo sicuro per la democrazia, un assurdo sogno irrealizzabile.

Infatti il mondo devastato dopo la guerra più sanguinosa della storia umana era un mondo di cui Wilson era palesemente ignorante. E rifarlo era un compito per il quale era caratterialmente inadatto, anche se i suoi famigerati 14 punti erano una chimera.


La megalomania di Wilson e la sua terribile eredità

La ragione dell'entrata dell'America nella Grande Guerra fu rivelata – anche se inavvertitamente – dal suo alter ego e adulatore, il colonnello House. Come disse quest'ultimo, l'intervento nella guerra europea permise a Wilson di giocare: “La parte più nobile che sia mai toccata al figlio dell’uomo”.

L’America si gettò nella carneficina dell’Europa e abbandonò per sempre la sua secolare tradizione repubblicana di antimilitarismo e di non intervento nelle dispute del Vecchio Mondo. Dalla svolta storicamente erronea di Wilson nacque infine la follia della cosiddetta Nazione Indispensabile, che catalogheremo in modo approfondito di seguito.

Per ora basti dire che dall'intervento di Wilson non derivò assolutamente nulla di nobile. Portò a una pace di vincitori vendicativi, nazionalisti trionfanti e imperialisti avidi – quando la guerra sarebbe altrimenti finita in una pace tra bancarottieri reciprocamente esausti e partiti di guerra screditati da entrambe le parti.

Alterando così il corso della storia, la guerra di Wilson mandò in bancarotta l'Europa e diede impulso al totalitarismo del XX secolo in Russia e Germania.

Questi sviluppi, a loro volta, portarono infine alla Grande Depressione, allo stato sociale preponderante e all’economia keynesiana, alla Seconda Guerra Mondiale, all’Olocausto, alla Guerra Fredda, al lo stato di guerra permanente e al suo complesso di sorveglianza militare-industriale e alle odierne guerre infinite a targa neocon, di cui l’attuale guerra per procura contro la Russia in Ucraina è solo l’ultima folle manifestazione.

Questi sviluppi di un secolo fa generarono anche la distruzione del denaro sano/onesto da parte di Nixon nel 1971, il fallimento di Reagan nel domare il Big Government e il culto distruttivo di Greenspan della pianificazione monetaria centralizzata.

Allo stesso modo si sono svolte le guerre di intervento e di occupazione della dinastia Bush in Medio Oriente. E da esse è arrivato anche il colpo mortale agli stati falliti nelle terre dell’Islam, stupidamente create dai cartografi imperialisti di Versailles. L’eredità è stata un’ondata infinita di contraccolpi e terrorismo, la quale è diventata la scusa per ulteriori azioni belliche da parte di Washington.


Il vero punto di svolta nella storia moderna

L’ascesa dei regimi totalitari nazista e stalinista durante gli anni ’30 e la conseguente conflagrazione della Seconda Guerra Mondiale sono ritenuti, correttamente, l’evento determinante del XX secolo, ma questa verità ovvia non fa altro che farci passare alla vera domanda.

Vale a dire, questi flagelli da incubo erano sempre stati latenti appena sotto la superficie della civiltà mondiale – in attesa di esplodere ogni volta che le persone e le nazioni buone si sarebbero addormentate, secondo la critica standard del dopoguerra al pacifismo britannico e all’isolazionismo americano che fiorirono durante la fine degli anni '30?

Oppure erano l’equivalente di un diluvio universale? Cioè, uno sviluppo così improbabile, aberrante e irripetibile da definirlo un orribile ma unico capitolo della storia, e non l'ordinario e probabile svolgersi degli eventi tra le nazioni.

Riteniamo che la risposta dipenda dal fatto che si inizi dal 2 aprile 1917, quando l’America abbandonò la sua storica politica repubblicana di non intervento e si unì alla sanguinosa mischia sul fronte occidentale del vecchio continente, o dal 7 dicembre 1941, quando il Giappone attaccò Pearl Harbour risvegliando l’America dal suo sonno isolazionista e la chiamò alla leadership mondiale del cosiddetto Secolo Americano.

Inutile dire che l’ideologia dello Stato Profondo riguardo la tesi della Nazione Indispensabile e i suoi progetti imperialisti sono radicati nella narrativa di Pearl Harbor: l’affermazione secondo cui gli affari mondiali vanno a rotoli quando le nazioni virtuose abbassano la guardia, o acconsentono ad atti anche modesti di aggressione regionale.

Le ormai sbiadite verità del non intervento repubblicano, al contrario, identificano correttamente la perfida dichiarazione di guerra di Woodrow Wilson contro la Germania nell’aprile 1917 come l’evento che cambiò il corso ordinario della storia e aprì la strada all’aberrazione una tantum di Hitler e Stalin che alla fine ne seguirono.

Non sorprende che le narrazioni storiche ufficiali dell’Impero glorifichino l’intervento dell’America durante la Seconda Guerra Mondiale e dopo, ma descrivono semplicemente gli eventi del 1917-1919 come una sorta di raggiungimento della maggiore età egemonica.

Di conseguenza l’essenza storica di ciò che accadde durante quegli anni ricchi di eventi è andata persa nella nebbia delle battaglie, nelle miserabili statistiche sulle vittime della Grande Guerra, nei racconti di prolungate dispute diplomatiche a Versailles e nel gioco di colpe per la mancata ratifica da parte del Senato della Società delle Nazioni.

In questo contesto la sconfitta della Società delle Nazioni viene considerata un errore colossale nella narrativa tradizionale. Si ritiene che costituisse un inadempimento cruciale da parte della Nazione Indispensabile, cosa che accelerò l’ascesa degli incubi totalitari e non fece altro che aggravare il compito dell’America di raddrizzare il mondo negli anni ’40 e successivamente.

Di fatto, però, la sconfitta del trattato di Wilson fu l'ultimo sussulto del repubblicanesimo; un’eco della posizione che aveva mantenuto l’America fedele ai suoi interessi e alle sue tradizioni non interventiste mentre si svolgeva la calamità della Grande Guerra.

Infatti i cosiddetti isolazionisti al Senato durante la battaglia per la ratifica della Società delle Nazioni (in realtà gli originali "America First") stavano giustamente cercando di riportare indietro l’orologio della storia al primo aprile 1917.

Questo accadde il giorno prima che Wilson convocasse il Congresso alla guerra sulla base della sua stessa megalomania e delle manovre arroganti del suo Dipartimento di Stato. Dopo le dimissioni per principio da parte di William Jennings Bryan nel giugno 1915, quest'ultimo aveva operato in totale combutta con gli interessi dei Morgan (che avevano rischiato miliardi per finanziare Inghilterra e Francia) e aveva sostanzialmente alimentato il messianismo di Wilson per la guerra.


Stalin e Hitler furono la progenie di Wilson, non il frutto del DNA dell'umanità

Di conseguenza le verità su ciò che precedette la sconfitta della Società delle Nazioni nel 1919 sono andate perdute nella storia. In quanto segue intendiamo far rivivere quegli sviluppi cruciali, perché dimostrano chiaramente che l’ondata millenaria del totalitarismo del XX secolo ebbe origine nelle decisioni insensate di Wilson e di pochi altri, non nel DNA dell’umanità né in uno scatto suicida da parte delle nazioni.

Inutile dire che non è una questione di storia accademica. Fa la differenza nel mondo di ora perché praticamente ogni manovra della Washington imperiale, come l’attuale e demenziale guerra per procura contro la Russia, si basa sulla sindrome di Hitler e Stalin: la vecchia convinzione che ci sia sempre l'ennesimo di questi mostri in agguato nei normali conflitti politici, economici e culturali delle nazioni.

Al contrario, se il mondo non è perennemente afflitto da aspiranti Hitler e Stalin, e in realtà non ha bisogno di una cosiddetta Nazione Indispensabile, l'intero predicato dell'Impero viene invalidato. La ragion d'essere della Washington imperiale e tutti i suoi progetti egemonici di “leadership”, ingerenza, intervento e occupazione, finiscono dritti nella pattumiera della storia.

Inutile dire che questo è anche il motivo per cui la Washington imperiale era così inorridita dall’elezione di Donald Trump. Egli sembrava comprendere, infatti, che la sicurezza nazionale dell’America e il suo presunto ruolo di poliziotto globale non sono affatto la stessa cosa.

Quindi ci avviamo lungo una dissezione storica che tenterà di spiegare perché Stalin e Hitler non avrebbero mai dovuto verificarsi. Di conseguenza le guerre calde, fredde e le guerre eterne che seguirono da allora in poi condannano la causa dell’Impero, non la supportano; e dimostrano che il motto "America First" di Trump è una pietra miliare molto più appropriata per la politica della sicurezza nazionale rispetto all'affermazione pericolosa della Washington imperiale secondo cui l’America è una nazione indispensabile.

Come indicato sopra, la Grande Guerra era destinata a concludersi nel 1917 con il reciproco esaurimento, la bancarotta e il ritiro dalle trincee completamente in stallo sul fronte occidentale. Alla fine più di 3,3 milioni di combattenti furono uccisi e 8,3 milioni feriti in quattro anni a causa degli spostamenti lungo linee del fronte intrise di sangue.

Tuttavia, se l’America fosse rimasta dalla sua parte del grande fossato atlantico, i risultati finali sarebbero stati molto diversi. Innanzitutto la nascente democrazia che salì al potere in Russia nel febbraio 1917 non sarebbe stata soffocata così facilmente nella sua culla.

Sicuramente non ci sarebbe stata alcuna disastrosa offensiva estiva da parte del governo Kerenskij per respingere la Germania sul fronte orientale, dove gli eserciti zaristi erano stati precedentemente umiliati e smembrati. A sua volta, una fine anticipata del sanguinoso impero russo sul fronte orientale avrebbe probabilmente precluso anche il ritorno di Lenin in Russia su un vagone merci tedesco e la successiva insurrezione armata a Pietrogrado nel novembre 1917; il suo piccolo gruppo di fanatici bolscevichi, a sua volta, quasi certamente non sarebbe mai esistito.

Il XX secolo non sarebbe stato gravato da ciò che inesorabilmente si trasformò nell’incubo stalinista. Né uno stato sovietico presidiato avrebbe avvelenato la pace delle nazioni per i 74 anni successivi, facendo pendere precariamente la spada di Damocle nucleare sulla testa del pianeta.

Allo stesso modo non ci sarebbe stato alcun abominio noto come trattato di pace di Versailles, perché era una pace tossica dei vincitori. Ma senza i miliardi di aiuti e munizioni dell’America non sarebbero stati vincitori gli Alleati, come dimostreremo di seguito.

Senza Versailles, a sua volta, non ci sarebbero state le leggende della “pugnalata alle spalle” a causa della firma forzata della clausola di “colpa di guerra” da parte del governo di Weimar; nessuna continuazione del brutale blocco post-armistizio imposto dall'Inghilterra, il quale affamò e fece morire centinaia di migliaia di donne e bambini tedeschi; e nessun esercito tedesco di 3 milioni di uomini smobilitati umiliato, indigente, amareggiato e in costante furia politica di vendetta.

Quindi non ci sarebbe stata alcuna acquiescenza allo smembramento della Germania al tavolo della “pace” di Versailles.

Quasi un quinto del territorio e della popolazione della Germania pre-bellica era sparso in parti e pezzi in Polonia (il corridoio di Danzica e l'Alta Slesia), Cecoslovacchia (i Sudeti), Danimarca (Schleswig), Francia (Saar, Alsazia- Lorena e la Renania neutralizzata) e Belgio (Eupen e Malmedy).

Questa vasta perdita di territorio significò anche che la Germania perse il 50% della sua capacità di produzione di ferro, il 16% della sua produzione di carbone e il 100% delle sue colonie lontane in Africa e nell’Asia orientale a favore dell’Inghilterra e della Francia.

Inutile dire che Dio non creò la mappa dell’Europa nel sesto giorno delle sue fatiche, ma è assolutamente vero che furono i vasti territori tedeschi e i popoli “derubati” a Versailles a fornire il carburante per l'agitazione revanscista di Hitler negli anni precedenti alla sua presa del potere; e fu proprio quella campagna per riconquistare i territori perduti a nutrire i nazisti con il sostegno pubblico e patriottico nelle restanti parti della Germania.

Allo stesso modo, l’occupazione franco-belga della Ruhr nel 1923 non sarebbe avvenuta perché la giustificazione per quell’invasione delle terre tedesche era che quest’ultima non aveva pagato le sue oppressive riparazioni di guerra – una somma sbalorditiva che ammontava a più di $500 miliardi al potere d'acquisto del giorno d'oggi.

Infatti fu proprio la crisi dei risarcimenti a portare alla folle follia monetaria tedesca e alla distruzione della classe media tedesca durante l’iperinflazione del 1923. E senza questo sviluppo della società insieme a tutto quanto sopra, i libri di storia non avrebbero mai registrato l’ascesa al potere di Hitler e tutti i mali che ne derivarono, come amplificheremo ulteriormente nella Parte 2.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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👉 Qui il link alla Seconda Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2023/11/woodrow-wilson-colui-che-apri-le-porte_01596238207.html

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