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venerdì 16 maggio 2025

La grande riorganizzazione degli USA (Parte #1)

 


di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-grande-riorganizzazione-degli)

Il motivo principale per cui ho pubblicato il mio ultimo libro, Il Grande Default, è stato quello di mettere in evidenza due punti sostanzialmente. Il primo: nessuna autorità è amica del contribuente o del cittadino medio, possono essere alleati temporanei o “cospiratori”, ma questo è un matrimonio che è destinato a finire non appena il “nemico” (che più di tanto non lo è) viene ridimensionato e condotto al tavolo delle trattative. Si tratta pur sempre di bande mafiose che sopravvivono grazie all'estorsione di risorse. Il secondo: distinguere tra l'eurodollaro e il sistema dell'eurodollaro. Il primo esisterà sempre dato che si tratta di liquidità che serve a saldare le transazioni internazionali e la domanda di dollari, soprattutto in questo frangente, è più viva che mai. Il secondo, invece, è quello a cui si stanno indirizzando le attenzione di questa amministrazione e prima di lei della FED. Infatti l'entrata in scena del SOFR non ha fatto altro che cambiare il modo in cui il dollaro viene prezzato al margine all'estero, dato che gli USA non sono mai stati in grado di controllarlo direttamente in passato.

Non essendo in grado di controllare la “stampante” dell'eurodollaro, l'offerta è andata fuori controllo ed è stato quello che ha condotto in ultima analisi alla demonetizzazione dell'oro e alla crisi del 2008. In sintesi, quando c'era bisogno di socializzare le perdite derivanti dall'azzardo morale nel sistema dell'eurodollaro, gli Stati Uniti venivano tirati per la proverbiale giacchetta affinché intervenissero. Il colonialismo franco-inglese non è mai terminato, in verità, ed è stato riciclato fino ai giorni nostri tramite il sistema finanziario: la capacità di controllare il prezzo offshore del dollaro. Non è un caso che il LIBOR era impostato da 18 banche nella City di Londra, 17 delle quali europee e una sola americana. In passato, quindi, se si vedeva un'inversione nella curva dei futures dell'eurodollaro ciò avrebbe innalzato spauracchi di recessione e condotto la FED a intervenire sui mercati per fornire liquidità reale in modo da coprire quella fittizia. Questo sistema era stato trasformato per andare a beneficio del dollaro offshore e di chi era in grado di prezzarlo al margine, facendo sanguinare il capitale americano (industriale, energetico, manifatturiero) oltreoceano.

Tenete sempre una cosa a mente, però, questo testo non viene scritto per assolvere gli USA. Non c'è dubbio che anch'essi abbiano i loro scheletri nell'armadio sin da Bretton Woods, stiamo pur sempre parlando di bande mafiose vorrei ricordarvi. Ciononostante bisogna anche ponderare il fatto che gli USA non sono mai stati veramente in controllo della politica interna, della politica estera e della politica monetaria sin dai tempi di Woodrow Wilson. Per tutto il XVIII e XIX secolo gli Stati Uniti hanno costruito un gigantesco stock di capitale e ai tempi delle guerre mondiali erano già la destinazione preferita dal resto del mondo per quanto riguardava gli investimenti esteri. Non era affatto nel miglior interesse della nazione scialacquare questa fortuna, sia in termini umani che non, per ricostruire il resto del mondo che bruciava e cercare di “diffondere la democrazia”. L'impero risultante dalla Pax Americana non era nel miglior interesse della nazione, soprattutto in un contesto in cui per mantenere questa enorme macchina di guerra avrebbe significato lasciare che il prezzo del dollaro all'estero venisse impostato dalla City di Londra. Quando si riflette su questi punti si comprende che tutte le strade conducono a Londra e alla Banca d'Inghilterra.

L'amministrazione Trump, e i NY Boys dietro di essa, hanno detto basta. Il loro compito, adesso, è quello di invertire la tendenza e cercare di riparare a decenni di malgoverno e, soprattutto, all'erosione del bacino americano della ricchezza reale. Gli USA sono una fonte non indifferente di capitale umano e di risorse, il solo stato dell'Alaska vale più di tutta l'UE messa insieme in termini di ricchezza del sottosuolo. Ed ecco perché tutti vogliono continuare a fare affari con lo zio Sam, malgrado i dazi: non possono permettersi di vendere l'output a un prezzo inferiore rispetto a quello ideato originalmente per il mercato americano, soprattutto la Cina. La guerra commerciale è solo una costola di una guerra più grande a livello finanziario, da come avrete capito. Infatti serve a distinguere tra “amici” e “nemici” degli USA; i primi otterranno linee di swap tramite la FED in caso di stress finanziario, i secondi no.

La cosiddetta cricca di Davos è costituita da tenenti, le persone che fanno parte del WEF sono facenti funzione di figure che rimangono nell'ombra. Quindi la strategia primaria è quella di farli venire a galla e vedere fin dove si spingono le loro trame, soprattutto sul proprio territorio. Poi si passa a togliere loro le fonti di finanziamento e di influenza. Solo dopo ci si sposta a livello internazionale. Ora, se si distilla tutto il rumore, il minimo comun denominatore è solo uno: smantellare il sistema dell'eurodollaro. Per essere più precisi, bloccare tutte le scappatoie all'euro e all'accesso al collaterale (finanziario, energetico, industriale). In questo contesto Tether serve a bypassare l'intermediazione non collateralizzata della City di Londra per soddisfare la domanda di dollari nel mondo (collateralizzata grazie ai titoli sovrani americani comprati da Tether) e prezzare al margine il sistema dell'eurodollaro secondo il volere di Washington, non altrui. La tokenizzazione degli hard asset e la possibilità di diffondere capillarmente nel resto del mondo una valuta coperta da oro e Bitcoin è quanto di più vicino ci possa essere a una garanzia che il dollaro resterà la divisa preferita nel commercio mondiale. Ed è solo l'inizio, viste le implementazioni con IA che possono essere applicate al denaro catapulteranno anni in avanti gli USA rispetto a una Unione Europea che ancora deve lanciare l'euro digitale che, oltre a dimostrarsi un fallimento, è già obsoleto alla luce di tutte queste innovazioni in ambito stablecoin e Bitcoin.

I titoli del Tesoro americani rappresenteranno il collaterale di qualità alla base di questo ecosistema. E, a proposito, le aste dei bond statunitensi continuano a far registrare numeri incoraggianti come dimostrato dall'ultima riguardante i decennali, mentre, dall'altra parte dell'Atlantico, i Bund prendono una sonora sberla. Ancora una volta possiamo accogliere con una vibrante pernacchia i titoli dei giornali secondo cui i titoli tedeschi sarebbero presto diventati la nuova frontiera degli asset di riserva. Non solo, ma sarà molto probabilmente la BCE a guardare in alto per vedere fin dove schizzeranno i rendimenti dei titoli sovrani europei. Lo stesso discorso vale per la Cina, dove si chiacchiera tanto di come possa usare lo yuan per sostituire il dollaro nel commercio internazionale e di come possa vendere il biglietto verde per arginare/contrastare la potenza dello zio Sam. Notizia per voi: un calo del dollaro significa ri-dollarizzazione. Negli ultimi 20 anni solo la Cina ha creato $60.000 miliardi in nuovi prestiti. Attualmente gli NPL (es. prestiti non performanti) sono il 5% di tale cifra. Ha $2.500 miliardi in debiti esteri ($1.100 miliardi solo in dollari) e riserve monetarie estere per $3.000 miliardi (2.000 miliardi in dollari). Se volesse ripagare il suo debito estero, rimarrebbe solo con $1.000 miliardi in riserve estere e un monte di NPL ancora in crescita. Senza contare la necessità di pagare per le importazioni (nessuno vuole yuan per davvero). Alla luce di tutto ciò, che fine farebbe il peg dello yuan col dollaro? Chi è, quindi, che verrebbe realmente travolto da una vendita di dollari e asset denominati in dollari? Ah, e l'economia cinese è in crisi già adesso.

Contro l'amministrazione Trump, quindi, è stata lanciata una gigantesca campagna di caos, confusione e corruzione. Molto probabilmente si evolverà di nuovo in violenza per le strade con BLM 2.0, tra Dem, infiltrati e cricca di Davos oltreoceano il mantra rimane quello di lanciare contro il proprio “nemico” tutti ciò che si è in possesso. O per essere più precisi, per avere un vantaggio negoziale decente al tavolo delle trattative alla fine della guerra commerciale/finanziaria. Quanti asset sono stati bruciati ultimamente per cercare di tirare giù Hegseth? Quando Politico, Axios, o il Wall Street Journal parlano di “fonti interne alla Casa Bianca” che vorrebbero Hegseth, ad esempio, messo alla porta, non esiste niente del genere. È confusione; Trump sa benissimo che l'attuale gabinetto rimarrà in carica come minimo per un altro anno. È caos quanto accaduto circa un mese fa dopo il “Liberation Day” nei mercati obbligazionari e azionari americani quando la cricca di Davos, tramite il proxy di Inghilterra ed Europa, ha venduto asset americani per sostenere i mercati monetari e obbligazionari europei.

Questi spasmi sono tutti la conseguenza dello smantellamento del sistema dell'eurodollaro e il SOFR ha resistito finora a degli attacchi inauditi contro di esso riuscendone indenne. Nel mio ultimo libro, Il Grande Default, descrivo gli avvenimenti del settembre 2019 quando il SOFR esplose al 10-11% intraday a causa di una corsa agli sportelli dei mercati pronti contro termine americani e una forte domanda di denaro. Diverse banche finirono sotto pressione e la FED fu costretta a intervenire affinché creasse liquidità temporanea e puntellasse i mercati. Il problema di allora era che il SOFR era ancora in “fase beta”, tanto per usare un termine preso in prestito dall'informatica, e molto illiquido, di conseguenza molto sensibile a sbalzi improvvisi. Avanti veloce fino al 2023, durante il crollo di Silvergate, Silicon Valley Bank e Signature, la sua maturazione l'avrebbe portato ad assorbire il colpo permettendo al contempo a Powell di continuare a rialzare i tassi. Se ci pensate, qualcosa di inaudito per un banchiere centrale, ovvero rialzare i tassi durante una crisi bancaria. Avanti veloce fino al mese scorso quando, la seconda settimana di aprile, il SOFR mostra movimenti al rialzo nelle singole ore ordini di grandezza superiori rispetto ai movimenti giornalieri. Detto in termini semplici, era sotto attacco. Gli spike che vedete nel grafico del CME non dovrebbero accadere nemmeno nelle sessioni giornaliere “normali”.

Tutte le chiacchiere secondo cui la Cina stava scaricando i bond americani, i fondi pensione che scoppiavano in Giappone, o il “basis trade” erano una distrazione. Era invece un attacco al SOFR usando i titoli di stato americani a lungo termine per creare un avvallamento nella curva dei rendimenti nel medio termine e far gridare “recessione!” ai titoli dei giornali. L'obiettivo della cricca di Davos è sempre stato uno sin da quando il SOFR è entrato in gioco: delegittimarlo come meccanismo di prezzo del dollaro a livello internazionale. In passato era il LIBOR, un tasso non collateralizzato, dove i vari player si passavano tra loro le stesse passività per creare dal nulla liquidità temporanea e uno stock praticamente infinito di eurodollari con cui sommergere i loro problemi; ciò, a sua volta, avrebbe avuto ricadute sugli USA e sulla FED che sarebbe stata costretta a monetizzare questo mondo e quell'altro. Oggi devono attaccare il SOFR perché si tratta invece di un tasso collateralizzato a livello interno, basato sui mercati monetari interni agli Stati Uniti: niente più azzardo morale a spese del bacino della ricchezza reale statunitense, se si vuole accedere ai mercati pronti contro termine americani bisogna avere garanzie collaterali solide (solo titoli di stato USA). Oggi, quindi, sono necessari ingenti capitali per cercare di sovvertire un tale assetto e se tali attacchi vanno a vuoto chi li svolge perde molto rispetto al passato. Non possono essere reiterati ad libitum.

Il punto qui rimane solo uno: il sistema SOFR non si è rotto e la FED non è dovuta intervenire. Per quanto la stampa cerchi di fuorviare i lettori parlando di PIL in calo negli Stati Uniti, esso non misura né la crescita né la creazione di ricchezza reale, e il suo recente calo non è segno di debolezza bensì di forza: sono i tagli alla spesa pubblicano che lo stanno facendo scendere ed essi rafforzano l'economia. Dal punto di vista strategico è così che vengono portati allo scoperto i “nemici” ed è possibile individuarli. Trump ha davvero ricevuto tutte le telefonate che ha detto di aver ricevuto nel momento in cui ha approvato i dazi reciproci per tutti? Probabilmente no, probabilmente nessuno “ha chiamato”. Si tratta di avere la comunicazione strategica giusta per evidenziare i “nemici”. E ovviamente continuare a mettere pressione su di essi, perché la mancanza di accesso a finanziamenti facili come accadeva in passato significa altresì una ri-ponderazione del rischio su tutto lo spettro economico/finanziario mondiale.

Questo il motivo, in sostanza, per cui l'oro sale e continuerà a salire. Il metallo giallo è la forma definitiva di garanzia collaterale e c'è una corsa per accaparrarlo. Anche qui la City di Londra sta subendo altri duri colpi, perché l'oro adesso viene acquistato a New York e venduto a Londra. La LBMA è sotto corsa agli sportelli. In passato l'intermediazione dell'oro sintetico a Londra permetteva di tenere un tetto sul prezzo dell'oro fisico e veicolare l'idea che tutto fosse sotto controllo, che le crisi fossero sotto il controllo delle banche centrali. All'apertura di New York venivano scaricati i contratti e ricomprati alla chiusura, per poi continuare il gioco con apertura/chiusura in Europa. La presenza del LIBOR permetteva anche queste deformazioni. La credibilità/affidabilità degli Stati Uniti passa anche da un mercato dell'oro in ascesa in grado di stabilizzare e ripagare l'enorme debito pubblico della nazione. Ecco perché quel tetto adesso è stato smantellato e gli USA, rispetto ai loro avversari, sono la nazione con le riserve d'oro più grandi. Una volta rotto il gioco del LIBOR, a cascata tutte le distorsioni dei mercati sono venute al pettine.


BACKGROUND STORICO

Ma facciamo un passo indietro. Quando si tratta di analisi macroeconomica, ci sono sempre innumerevoli pezzi in movimento e possiamo immaginarli come punti su una scacchiera. Per capire cosa sta succedendo nel mondo dobbiamo vedere quei punti per quello che sono nel miglior modo possibile e poi dobbiamo collegarli tra loro in un modo che abbia senso. Se ci riusciamo, scopriremo che raccontano una storia. Come qualsiasi altra storia, però, può essere vera o falsa. Per determinarlo, dobbiamo continuare a valutare i pezzi in movimento e capire se nuovi dati e sviluppi supportano o invalidano la nostra storia.

Dopo tre anni trascorsi a seguire questa storia e a valutare i pezzi in movimento, credo che la mia versione sia accurata, oltre al fatto che i nuovi sviluppi sembrano supportarla. Questa storia rappresenta la natura dell'attuale lotta di potere: non è una lotta fisica, ma finanziaria. È ormai chiaro che le potenze europee del vecchio mondo hanno influenzato la politica e l'economia americana da molti anni. La realtà è molto più sfumata, ma mi piace usare il termine “cricca di Davos” per descrivere queste potenze europee. Stiamo parlando di quelle potenze che stanno alla base di istituzioni globaliste come l'Unione Europea, la Banca centrale europea, le Nazioni unite, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, la Banca dei regolamenti internazionali, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, il Forum economico mondiale (WEF) e entità simili. Queste istituzioni sono allineate nella visione del mondo e promuovono un programma simile: una governance globale centralizzata rispetto alla sovranità nazionale, e soprattutto rispetto alla governance localizzata.

Il WEF ha sviluppato un quadro politico per quantificare questo programma: “capitalismo degli stakeholder”. Klaus Schwab ha confezionato questo quadro come “Il Grande Reset” e lo ha pubblicizzato al mondo nel giugno 2020, nel mezzo dell'isteria per la crisi sanitaria. È chiaro che anche alcune grandi istituzioni americane si sono allineate a questo programma globalista ormai da anni e alcune lo fanno ancora. Bank of America, ad esempio, parla dell'implementazione del capitalismo degli stakeholder ogni anno nella sua lettera annuale agli azionisti. Tuttavia, è altrettanto evidente che altre importanti istituzioni americane hanno rotto i ranghi rispetto al programma globalista. Infatti si è verificata una frattura ai vertici della struttura di potere.


LA CONTRORIVOLUZIONE AMERICANA

Coloro che sono al centro del sistema finanziario americano sono ora in modalità autoconservazione: stanno portando avanti un piano per salvare il sistema finanziario basato sul dollaro, fondamentale per la loro ricchezza, il loro potere e la loro influenza. Questa dinamica ha iniziato a manifestarsi platealmente nell'ottobre 2022. La Federal Reserve aveva già rialzato il suo tasso di riferimento di 300 punti base dall'inizio di quell'anno e la cricca di Davos non ne era entusiasta. La campagna di rialzo dei tassi della FED spinse le Nazioni Unite a pubblicare un annuncio quello stesso ottobre, supportato da una relazione accademica intitolata Trade and Development Report 2022. La relazione delle Nazioni Unite chiedeva a tutte le banche centrali di interrompere immediatamente i rialzi dei tassi. Gli autori affermarono che sarebbe stato irresponsabile rialzarli ulteriormente, insinuando che ciò sarebbe stato paragonabile a un attacco ai Paesi in via di sviluppo.

Questa relazione era chiaramente rivolta alla FED: era un messaggio proveniente dal quartier generale globalista e proclamava che la FED aveva superato i limiti. All'epoca mi aspettavo che Jerome Powell facesse marcia indietro, dopotutto la FED aveva coordinato apertamente la politica monetaria con la BCE e altre banche centrali per anni dopo la crisi finanziaria del 2008. Sembrava proprio che fossero tutti dalla stessa parte. La settimana successiva Powell rialzò il tasso di riferimento della FED di altri 75 punti base e avrebbe continuato a farlo nei mesi successivi (+150 punti base). Inutile dire che attirò la mia attenzione: Powell non solo stava sfidando gli ordini di marcia globalisti, ma si stava muovendo contro di essi in modo aggressivo e senza scuse. Powell iniziò a parlare della necessità di una riforma fiscale all'interno del governo statunitense. In una riunione del Federal Open Market Committee, affermò esplicitamente di non ritenere che fosse compito della FED monetizzare il debito pubblico.

Nel frattempo, nel settembre 2023, l'allora Segretario al Tesoro, Janet Yellen, annunciò quello che definì un “piano di riacquisto di titoli del Tesoro”: il Dipartimento del Tesoro americano avrebbe acquistato regolarmente titoli di stato statunitensi per tutto il 2024. Si trattava ovviamente di un'operazione volta ad avviare quello che in gergo finanziario viene chiamato “controllo della curva dei rendimenti”. Si tratta di un'operazione in cui un'entità – in genere una banca centrale – acquista titoli di stato di determinate scadenze per impedire che i tassi d'interesse superino un certo livello. Il piano della Yellen assomigliava a una nuova “Operazione Twist”.

Quest'ultima era ciò che la FED aveva già implementato nel 2011. Fu allora che Ben Bernanke acquistò titoli del Tesoro a lungo termine e contemporaneamente vendette titoli a breve termine in grandi quantità. Ciò contribuì a spingere i tassi d'interesse a lungo termine più in basso di quanto sarebbero stati altrimenti. La Yellen si propose di applicare la stessa strategia l'anno scorso, ma c'era una sfumatura: il Dipartimento del Tesoro non può creare denaro dal nulla come la FED. L'unica cosa che può fare è emettere nuovi titoli di stato per finanziare la propria spesa. Ciononostante ha bisogno di investitori disposti ad acquistarli. Questo è il motivo per cui i programmi di controllo della curva dei rendimenti sono sempre gestiti da una banca centrale. Non funziona molto bene se non si possono stampare ingenti quantità di denaro per acquistare i titoli che si desidera comprare.

Perché la Yellen stava cercando di controllare la curva dei rendimenti? Non era Powell che avrebbe dovuto gestire questa operazione? La risposta è diventata chiara col tempo: la Yellen e Powell erano in squadre diverse.

La Yellen è una fedele sostenitrice della fazione globalista. Ha assecondato l'agenda globalista quando ha presieduto la FED dal 2014 al 2018 e ha fatto lo stesso dal suo incarico di Segretario al Tesoro durante l'amministrazione Biden. Powell, invece, lavora per la fazione americana, ovvero i NY Boys, che hanno rotto i ranghi con i globalisti. Powell, infatti, ha supervisionato il ciclo di rialzo dei tassi più aggressivo della storia, nonostante la struttura di potere globalista gli urlasse di fermarsi. E, come vedremo, ha avuto un ruolo fondamentale nel liberare la politica monetaria statunitense dalle influenze globaliste.

Per quanto io e altri abbiamo considerato la FED inetta e incapace, aveva messo in atto un piano da diversi anni: un tasso chiamato Secured Overnight Financing Rate (SOFR).


RIPRISTINARE LA SOVRANITÀ FINANZIARIA STATUNITENSE

Il SOFR è ora il tasso d'interesse di riferimento per prestiti e derivati ​​denominati in dollari. Si basa esclusivamente sulle transazioni del mercato pronti contro termine del Tesoro statunitense. Il SOFR è stato creato nel 2018 e implementato gradualmente nel corso degli anni successivi. Ha poi sostituito il London Interbank Offered Rate nel gennaio 2022 ed è ora il tasso d'interesse di riferimento esclusivo negli Stati Uniti. Le istituzioni finanziarie utilizzano i tassi d'interesse di riferimento per determinare il prezzo dei prestiti. Prima del 2022, per i prestiti denominati in dollari si usava il LIBOR; ora si usa il SOFR. Ricordate, la Federal Reserve non può “impostare i tassi d'interesse”, tutto ciò che può fare è modificare il tasso Fed Fund (si tratta del tasso al quale le banche si prestano denaro overnight). Con il SOFR, il tasso Fed Fund ha un impatto diretto: stabilisce un limite minimo al di sotto del quale è improbabile che il SOFR scenda.

Invece il tasso Fed Fund non ha avuto un impatto diretto sul LIBOR; ha avuto solo un'influenza indiretta. Questo perché il LIBOR era calcolato sulla base di stime giornaliere fornite da un consorzio di 16 banche: 11 banche con sede in Europa, 3 banche americane, 1 banca giapponese e 1 banca canadese. Per questo motivo il tasso Fed Fund non poteva stabilire un limite minimo con il LIBOR, perché quel consorzio poteva sempre presentare stime inferiori per abbassare i tassi. Ed è esattamente quello che facevano. Nel 2012, quando è scoppiato lo “scandalo LIBOR”, abbiamo appreso che alcune banche del consorzio avevano presentato stime di tassi artificialmente basse per manipolare il LIBOR al ribasso.

Quando il LIBOR era il tasso di riferimento per i prestiti denominati in dollari, l'economia statunitense era vincolata ai programmi stabiliti dalle fazioni al potere che controllavano l'Unione Europea: quelle 11 banche del consorzio in Europa potevano manipolare i tassi d'interesse tramite il LIBOR, se ciò fosse stato favorevole ai loro programmi. Di conseguenza la differenza tra SOFR e LIBOR è fondamentale.

Il SOFR si basa esclusivamente sulle transazioni nel mercato dei pronti contro termine. Si tratta di transazioni reali che sono accadute. Al contrario il LIBOR, che si basava su stime presentate da un consorzio di banche, non faceva affidamento su transazioni effettive. Ciò significa che il SOFR consente al mercato di avere un impatto diretto sui tassi d'interesse a lungo termine. Questo è fondamentale per determinare il prezzo del credito con ragionevole accuratezza. Con il SOFR ora in vigore, le banche europee non hanno alcuna influenza sui tassi d'interesse denominati in dollari. Non è esagerato affermare che il SOFR ha liberato la politica monetaria statunitense dall'influenza globalista.

Questo ha aperto la strada a quella che chiamo la Grande Riorganizzazione americana.


NORMALIZZAZIONE, MERCATI E TASSI

Non è un caso che il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, abbia iniziato a rialzare i tassi nel 2022, dopo quattro anni dal suo mandato. Powell ha dovuto aspettare finché il SOFR non avesse sostituito il LIBOR come indice di riferimento statunitense, altrimenti gli interessi finanziari legati all'UE avrebbero potuto vanificare i suoi sforzi manipolando il LIBOR al ribasso. In altre parole il SOFR ha permesso a Powell di rompere i ranghi con il cartello globale delle banche centrali. Ovviamente i media finanziari non ne hanno parlato in questo modo e molti analisti finanziari non si rendono ancora conto di cosa stia succedendo.

Quello a cui stiamo assistendo è un tentativo di “normalizzare” il sistema finanziario statunitense e la politica dei tassi d'interesse è una parte importante di questa normalizzazione.

La FED ha tagliato il tasso di riferimento di 50 punti base a settembre 2024 e secondo i media finanziari siamo tornati in piena corsa per tagli sempre più aggressivi. Infatti hanno affermato che la FED ha “cambiato rotta”. Non è affatto così. Powell ha dichiarato pubblicamente di volere che il tasso Fed Fund torni a essere “neutrale”. In altre parole, vuole che tali tassi siano determinati dal mercato, come consentito dal SOFR. È stato schietto e diretto a tal proposito fin da quando ha iniziato a rialzare i tassi dal 2022. Anche allora i media continuavano a dire che avrebbe “cambiato rotta”, ma non lo ha mai fatto. Se prendiamo Powell in parola, intende normalizzare i tassi d'interesse e ciò imporrebbe una massiccia riorganizzazione dell'economia americana.

Il fatto è che ogni aspetto dell'economia è stato “finanziarizzato” negli ultimi 50 anni: la società americana è stata rimodellata per favorire gli asset finanziari rispetto alla produzione di beni e servizi. Sebbene questo abbia rappresentato un grande vantaggio per Wall Street e il mercato azionario, ha anche svuotato la classe media americana e la piccola imprenditoria. Gli Stati Uniti sono risultati effettivamente in recessione per gran parte del decennio precedente, questo perché la politica monetaria allentata e la ZIRP svalutano tutto. Quando sono stati portati i tassi a zero e stampato migliaia di miliardi di dollari dal nulla, è stata incoraggiata la finanziarizzazione, la speculazione e gli sprechi.

Quello di cui sto parlando è una trasfigurazione della società americana: milioni di piccole attività commerciali nelle vie principali di tutta l'America sono state spazzate via. È così che sono spuntate fuori ville in periferia e auto di lusso che nessuno sa come riparare quando qualcosa va storto; è così che sono spuntati fuori centri commerciali e grandi magazzini ovunque e vie principali deserte; è così che sono spuntate fuori legioni di laureati in sociologia e studi sulla diversità e poche persone che sanno davvero come funziona qualcosa. Ma non dimentichiamocelo: c'è un tempo per ogni cosa e una stagione per ogni attività sotto il cielo.

Il SOFR che sostituisce il LIBOR e la rottura della FED con l'agenda globalista segnalano che è in corso una controrivoluzione americana e le briciole di pane iniziano ad allinearsi...


AFFRONTARE LO STATO PROFONDO

Questo significa, in sostanza, che l'era del denaro facile e dei tassi d'interesse artificialmente bassi sono alle nostre spalle. Ciò che è stato sostenuto da questi due meccanismi finirà con essi. E adesso ci spostiamo sul Congresso e sulla politica fiscale. Per decenni il Congresso degli Stati Uniti ha operato partendo dal presupposto di poter spendere denaro senza conseguenze. I tassi d'interesse a zero, favoriti da politiche monetarie ultra lassiste, hanno permesso deficit progressivamente crescenti senza ripercussioni immediate. Eravamo arrivati al punto in cui il Congresso sarebbe stato destinato ad aggiungere oltre $2.000 miliardi al debito nazionale ogni anno e questa era solo la punta dell'iceberg. Il livello di debito del governo degli Stati Uniti era diventato insostenibile. La spesa per interessi aveva superato i $1.100 miliardi nell'ultimo anno fiscale, rendendo il pagamento degli interessi la seconda voce nel bilancio federale. Per illustrare quanto fosse estrema questa situazione, diamo un'occhiata alle spese federali principali per l'anno fiscale 2024:

Previdenza sociale: $1.500 miliardi

Pagamento degli interessi: $1.100 miliardi

Medicare: $869 miliardi

Difesa: $826 miliardi

Il fatto che Elon Musk e Vivek Ramaswamy si siano uniti per formare il Dipartimento per l'Efficienza del Governo (DOGE) suggerisce che potenti figure abbiano capito la necessità di tagliare drasticamente la spesa federale ora, in modo da evitare una crisi del debito sovrano. Anche perché nei prossimi 4 anni arriveranno a scadenza circa $17.000 miliardi di debiti negli USA. Il team DOGE si è impegnato a pareggiare il bilancio tagliando quasi $2.000 miliardi in spesa federale. Ciò sta comportando l'eliminazione di ingenti somme di denaro dallo Stato sociale e una drastica riduzione del personale nel governo federale. Inutile dire che non mancano le resistenze. Inoltre il team DOGE sta intervenendo anche contro la regolamentazione, eliminando decine di norme e ingessando lo Stato amministrativo statunitense che opera come un governo ombra.

Questa è la lotta che sta impervesando e imperverserà per i prossimi anni: DOGE contro lo Stato profondo.

Il direttore dell'Office of Management and Budget, Russell Vought, ha articolato quello che ritengo un piano molto ben ponderato nella sua intervista con Tucker Carlson poco prima del Giorno del Ringraziamento. Mi è chiaro che comprendono il funzionamento interno del sistema e ciò che stanno affrontando: se non si ferma la spesa incontrollata del governo federale, ci sarà una crisi del debito sovrano entro i prossimi quattro anni. E poiché il dollaro e i titoli del Tesoro USA sono fondamentali per l'intero sistema finanziario globale, una crisi del genere porterebbe a qualcosa di ben peggiore di quanto visto nel 2008.

Inutile dire che la cricca di Davos consideri un tale evento come un'opportunità. I globalisti hanno già gettato le basi per il loro “Grande Reset” durante l'isteria del Covid, una crisi finanziaria globale di proporzioni epiche offrirebbe loro una finestra di caos attraverso la quale inaugurare il resto del loro programma.

La buona notizia per chi non vuole vivere sotto una grottesca forma di neofeudalesimo e tecnocomunismo è che l'America può ancora essere salvata.


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👉 Qui il link alla Seconda Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2025/05/la-grande-riorganizzazione-degli-usa_01519109095.html


venerdì 2 maggio 2025

“Fuga dal dollaro?”: un manuale per comprendere il flusso di dollari all'estero

 


di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/fuga-dal-dollaro-un-manuale-per-comprendere)

Così come accaduto col tema dei dazi, oggi prenderò un altro tema che viene tanto discusso a livello di commenti e analisi ma che, in realtà, non viene minimamente compreso. Oppure viene volutamente travisato. Sto parlando della presunta “fuga dal dollaro” da parte del mondo intero e parallelamente della favola secondo cui la Cina sarà in grado di mettere in piedi un “sistema di pagamento alternativo” che risucchierà la forza del dollaro. Negli ultimi 40 anni circa il mercato dei titoli sovrani ha visto un enorme boom sulla scia della finanziarizzazione delle economie del mondo, ovverosia i mercati finanziari hanno spiazzato sempre di più la ricchezza reale generata dai mercati industriali ed è servita per creare una base di leva scriteriata che è cresciuta a livelli estremi oggi. Soprattutto sulla scia della ZIRP degli ultimi 15 anni. La piattaforma attraverso cui tutto ciò è stato possibile si chiama eurodollaro ed è stato il tema che ho esposto nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Il gioco è stato quello di saturare tutti i bilanci possibili, arrivando infine al proverbiale Picco del debito. Questo, inutile dirlo, porta con se una pulizia inevitabile di tutti quegli errori accumulati e ciò significa a sua volta una crisi del debito sovrano. Per come è strutturata l'architettura finanziaria del mondo intero, questo significa che una crisi del genere fa schizzare in alto i tassi d'interesse e insieme a essi anche il dollaro; dato che il dollaro esiste anche nella sua versione offshore, ciò significa che le stesse dinamiche si riverberano sul mondo intero.

Infatti le economie del mondo al di fuori degli Stati Uniti, oltre ad avere attivi e passivi denominati nella valuta locale, ne hanno anche di denominati in dollari e questo non significa necessariamente debiti nei confronti degli USA, ma anche tra di essi. Avendo, quindi, dei debiti denominati in una valuta che (apparentemente) non controllano, i capitali finiscono per volare oltreoceano e sostenere i prezzi delle azioni statunitensi e dell'oro. A tal proposito non importa chi sia il giocatore che immette nuova liquidità sui mercati, ciò che conta è chi la risucchia. E il luogo dove i capitali vengono trattati meglio è solo uno: gli Stati Uniti. Infatti è importante ricordare una cosa: non è una questione che ci piaccia o meno quello che sta facendo l'amministrazione Trump, che la sua linea d'azione sia più o meno allineata alla corretta teoria economica, è una questione che non dobbiamo mettere i nostri desideri davanti a ciò che accade in modo da avere un quadro di riferimento oggettivo con cui ipotizzare dove andranno a parare i mercati dei capitali. E quello che Trump sta facendo è cambiare il modo in cui gli USA hanno fatto affari negli ultimi 60 anni. Perché? Perché sebbene a livello superficiale le cose andassero bene, sotto la superficie era tutto il contrario.

Se prendiamo in considerazione la traiettoria percorsa dagli USA, in particolar modo, i prezzi degli asset salivano e l'economia era in crescita, ma era tutto in funzione del mercato azionario, Main Street è stato lasciato indietro. Il tutto mentre entrambi i deficit, commerciale e pubblico, crescevano. Per quanto uno si possa impegnare a riflettere su quale possa essere il percorso “giusto” da intraprendere per risolvere i guai americani, non credo possa essercene uno migliore rispetto a quello che viene portato avanti adesso dall'amministrazione Trump. Non sarà perfetto, ma è il meglio che abbiamo; soprattutto se si tratta di mandare in bancarotta la cricca di Davos. Infatti è quest'ultimo obiettivo che ha consolidato tutte le visioni all'interno dei vari dipartimenti governativi ed è come se si muovessero tutti all'unisono. La proverbiale “bonifica della palude”, altro non era che l'elenco di tutti quei player all'interno degli USA, e soprattutto nello Stato profondo, per capire chi fosse interessato al “benessere nazionale” e chi invece faceva interessi esteri. Il primo mandato Trump è servito per farli venire allo scoperto; il secondo sta servendo a rastrellarli e fare loro un'offerta: “Siete con noi o contro di noi?” Il coordinamento tra grandi banche ed esercito sta facendo in modo che Trump abbia poca opposizione a livello interno.

Per quanto la stampa lo possa attaccare a livello internazionale, l'assenza di “franchi tiratori” permette alla sua amministrazione di distinguere tra “amici” e “nemici” all'estero a questo giro. Questo è evidente dal comunicato post-sospensione dei dazi, il quale va ben oltre la semplice imposizione di barriere doganali. Il messaggio è chiaro: adesso sono gli USA che determinano la loro politica monetaria e fiscale, non viene più forzata all'estero. Di conseguenza nuovi rapporti commerciali devono essere stabiliti bilateralmente, perché adesso l'unico modo che hanno i player esteri di accedere ai dollari è quello di chiederli direttamente alla FED (con l'avvento del SOFR). Infatti il calo più recente del dollaro non è un segno che punta verso la “de-dollarizzazione”, anzi è il contrario punta alla “ri-dollarizzazione”. Ogni nazione, oltre a essere indebitata nella propria divisa, ha anche debiti denominati in dollari non solo nei confronti degli USA ma anche di altre nazioni. Se non ha accesso ai dollari, finisce nei guai. E data la volatilità sui mercati, l'offerta in contrazione degli eurodollari e i guai economico/finanziario che ogni nazione del mondo oggi ha, vendere asset denominati in dollari e con i dollari risultati comprare la propria divisa è l'unico modo che hanno per stabilizzare la situazione. Questo, ad esempio, è quello che è successo di recente in Europa e Inghilterra con la vendita di T-bond americani e successivo acquisto di sterlina ed euro (non era la Cina o il Giappone, visto che yuan e yen a malapena si sono mossi).

I mercati statunitensi sono una gigantesca fonte di liquidità e quando l'incertezza inizia a montare vengono venduti asset americani per ripagare i propri debiti. È sempre successo durante tutti gli altri momenti di crisi. Nelle fasi iniziali gli asset americani e il dollaro scendono perché sono una fonte di liquidità, ma quando la crisi entra nel vivo ecco che tornano a salire. Anche qui, Trump e Bessent non vogliono una crisi sistemica; vogliono invece una quantità tale di turbolenza all'estero da forzare gli altri al tavolo delle trattative. Uno di questi è senza dubbio la Cina, ridimensionarne la capacità d'influenza a livello interno statunitense. Come si fa a negoziare qualcosa con qualcun altro se si è dipendente da quest'ultimo? Soprattutto a livello di forniture militari. Per quanto possa essere duro il braccio di ferro con la Cina, non è lei l'obiettivo finale degli USA: l'Europa lo è. O per meglio dire la classe dirigente europea e quella inglese. E il modo di affrontare un reset necessario delle valute fiat è quello di avere le carte migliori da giocare al tavolo delle trattative; inutile dire che ciò passa per forza di cose tramite la messa ordine dell'equazione fiscale e monetaria.

Siete rimasti sorpresi dal recente crash dei mercati azionari? Non dovreste. Bessent era da settimane che parlava di una correzione necessaria dei mercati, soprattutto in un ambiente finanziario in cui i rapporti P/E sono ancora fuori scala rispetto al passato. Affermare che l'amministrazione Trump sia stata “travolta” è ingenuo. L'unico parametro che conta è la base monetaria, le altre misure M sono solamente la leva cui è stata sottoposta (per non parlare poi dello stock del dollaro offshore). Ridimensionare questi parametri significa passare attraverso un processo di pulizia che per forza di cose richiederà dolore economico, ma che creerà spazio nei bilanci della nazione tramite la produzione reale e il puntellamento dell'economia di Main Street. È un percorso irto di ostacoli, ovviamente, nessuno dice qui che riescano pienamente a portare a termine questo compito; quando si entra in guerra significa prepararsi alla possibilità di venire colpiti, ma questo non significa una sconfitta... è chi rimane in piedi per ultimo che vince.

Per quanto la stampa voglia vendere la storia secondo cui gli Stati Uniti ci perdono di più dalla guerra commerciale, in realtà sono il miglior cliente per qualsiasi esportatore sulla Terra e sono in realtà gli esportatori che ci perdono di più. Un ottimo esempio a tal proposito è il mercato dei derivati del petrolio e della plastica. Così come i più recenti accordi con l'India andranno a scardinare l'asse del BRICS attraverso il quale la cricca di Davos cercava di espandersi a Est. Non solo, ma adesso possiedono il pieno controllo sul dollaro dopo lo smantellamento del LIBOR. Questo significa che, nel caso in cui la FED dovesse tornare a fare QE, non tutti avranno accesso alle linee di swap con cui alleviare le proprie economie. Sono convinto che verranno aperte solo a nazioni specifiche che hanno stipulato accordi bilaterali con gli USA, come già accaduto due anni fa con la Banca nazionale svizzera.


IL MONDO CHE VORREMMO & IL MONDO CHE ABBIAMO

Ha perfettamente senso che l'amministrazione Trump, e i NY Boys che stanno dietro di essa, si difendano da quello che viene partorito oltreoceano come “soluzione” all'enorme mole di debiti e valuta ombra creati nel tempo. Se l'Europa vuole un euro digitale, andare in default per il debito, fomentare crisi finanziarie ad hoc e spazzare via il sistema bancario commerciale (l'intermediario tra chi usa il denaro e la banca centrale), ha perfettamente senso che Jamie Dimon abbia qualcosa da dire contro questa linea d'azione. Non si tratta più del mondo che vorremmo, ma del mondo che abbiamo. Di conseguenza la teoria economica è utile per fare analisi, ma poi di fronte a una cricca di Davos che muove le leve sotterranee del mondo tramite le varie incrostazioni degli Stati profondi c'è poco che la teoria possa fare.

Alla fine della fiera tutto si riduce a una sola domanda: “Come si può togliere realmente dalle mani dell'Europa e dell'Inghilterra la possibilità d'impostare al margine il prezzo del dollaro all'estero?” L'eurodollaro è il mercato per eccellenza che imposta il prezzo del dollaro. Con il SOFR, e il pensionamento del LIBOR, abbiamo avuto la risposta e non è più possibile che player esterni agli USA possano impostare indisturbati il prezzo del dollaro. Ora se si vuole accedere a liquidità in dollari bisogna pagare quanto determinato dal tasso di riferimento della FED, mentre la City di Londra cerca modi alternativi per tenere in moto la macchina della leva finanziaria dell'offerta di dollari ombra. Come? Cercando di costringere la FED a tornare allo zero sui tassi di riferimento. L'ultimo “attacco” sui mercati, dove UK + UE, possedendo insieme alle loro succursali estere più di $3.400 miliardi in titoli sovrani americani, hanno venduto titoli sul back end della curva dei rendimenti e comprato titoli sul front end (inversione nel medio e grida di recessione sulla stampa), oltre a vendere dollari per comprare euro, sterlina, dollaro canadese e titoli sovrani tedeschi.

Nel mondo pre-SOFR ciò avrebbe forzato la FED a intervenire e impedire che il mercato obbligazionario americano divenisse bidless. Cos'è successo invece? Che le aste dei titoli di stato americani a 5 anni, 10 anni, 20 anni e 30 anni sono andate a ruba. Perché? Perché sin dal 2019 i titoli di stato americani sono l'unica garanzia collaterale accettata nel mercato dei pronti contro termine americano, i mercati dei finanziamenti a breve termine più liquidi e affidabili del mondo. Come ho documentato nel mio ultimo libro, Il Grande Default, con l'avvio del SOFR siamo entrati in un gioco completamente diverso.

Lo scopo, quindi, dell'amministrazione Trump è quello di sgonfiare progressivamente la quantità di leva finanziaria immessa nel sistema economico e finanziario senza trasformare la società in qualcosa uscito fuori dalle pellicole di George Miller su Mad Max. Da un punto di vista pragmatico ci sono quattro possibilità dinanzi a noi: tutte le nazioni finiscono nei guai simultaneamente e crollano insieme, tutte le nazioni ne escono indenni e crescono insieme, gli Stati Uniti schivano il famigerato “proiettile d'argento” e il resto del mondo affonda, gli Stati Uniti affondano e il resto del mondo schiva il famigerato “proiettile d'argento”. L'ipotesi 2 e 4 sono altamente inverosimili, e anche se la 4 dovesse verificarsi per una qualche remota possibilità la transizione verso il nuovo sistema sarebbe lo stesso devastante.

Il primo mandato Trump è stato un chiaro messaggio al resto del mondo che lo status quo non era più accettabile e non è un caso che i lavori per il SOFR sono iniziati nel 2017. Lui è stato molto furbo nel modo in cui ha criticato il resto del mondo, portando l'attenzione sulla leadership statunitense e le “infiltrazioni” che l'hanno corrotta. In questo modo ha costretto l'amministrazione Biden a seguire la stessa linea di politica per quanto riguarda la Cina, ad esempio. Al di là di ciò non riesco a immaginare il passaggio da un'economia in cui lo stato è preponderante dal punto di vista fiscale a una in cui lo è meno, da un'economia che importa gran parte di quello che ha bisogno a una in cui produce gran parte di quello che ha bisogno, diverso da come lo sta portando avanti l'amministrazione Trump. Forse c'è un altro modo, ma non riesco proprio a immaginarlo. Certo, ci saranno conseguenze impreviste, il percorso sarà dissestato, ma davvero non vedo altri modi dal punto di vista strettamente pratico. Credo che le probabilità siano alte di un successo di questo piano di “rinsavimento” economico; credo che le industrie estere verranno negli Stati Uniti per aprire impianti industriali; credo che la maggior parte del resto del mondo lascerà cadere i dazi imposti agli USA o vi continueranno a fare affari nonostante questi ultimi imporranno dazi. La ragione di base è semplice: gli USA sono il più grande mercato al consumo al mondo. Quelle stesse industrie potrebbero smettere di vendere agli USA e vendere a qualcun altro? Forse, ma non venderebbero allo stesso prezzo a cui vendono negli USA e tutto il denaro preso in prestito per finanziare la loro produzione verrebbe spazzato via nel momento in cui dovrebbero vendere a prezzi più bassi i loro inventari.

Questo la Cina lo sa, ad esempio, ed è per questo che Xi ha cercato di focalizzare la produzione sul consumo interno. Le cose non stanno andando bene, perché questa “riflessione” interna non è in grado di sostenere la complessità a cui è arrivata la società cinese. Ecco perché sono convinto che alla fine Cina e USA troveranno un modo per negoziare. Sicuramente ciò significherà cedere quote di mercato mondiali da parte americana, ma alla fine della fiera va bene perché se si riesce a rompere la mentalità colonialista europea e la sua profonda influenza sui mercati mondiali (es. intermediazione del Forex a Londra, ecc.), il ribilanciamentio globale sarà più liscio. E questo significherà anche un ridimensionamento del sistema bancario centrale così come lo conosciamo e una FED che tornerà a essere quello che era prima dell'era Roosevelt, senza che una sua eliminazione tout court vada a vantaggio di chi ha esarcebato le funzioni e l'intromissione nell'economia delle banche centrali.

Inoltre, con la benedizione a Tether e la volontà di rendere Bitcoin uno snodo nei mezzi di pagamento ufficiali, il ritorno degli asset al portatore rappresenta un salto tecnologico che va a soddisfare la domanda precedentemente insoddisfatta di coloro che chiedevano un'evoluzione dello strumento denaro. Infatti il gold standard è stato “superato” per la sua incapacità di stare al passo con la domanda tecnologica di denaro. Bitcoin, ad esempio, permette lo spostamento di ingenti somme di denaro a livello internazionale nell'arco di minuti e non di giorni come accade con le istituzioni di terze parti odierne. Questa evoluzione permette altresì di calmare shock di liquidità e fornire sollievo quasi immediato in caso di necessità. E in momenti di stress finanziario questo significa avere una maggiore possibilità rispetto ai concorrenti di sopravvivere, perché è qui che il mercato dell'eurodollaro mostra tutta la sua importanza: la quantità di credito che è stata estesa tra i Paesi al di fuori degli Stati Uniti, tra di essi senza che questi ultimi siano stati coinvolti, è più grande del debito pubblico americano. Quindi se questi Paesi vanno in default per il debito denominato in eurodollari, vanno in default tra di loro e non nei confronti degli Stati Uniti.

Le conseguenze saranno estreme. Ma questo non si riverbererà anche sugli Stati Uniti? Sì, come ho scritto prima nessuno si aspetta di entrare in guerra senza sapere che potrà essere colpito. Gli USA, però, potranno usare a questo giro il Dilemma di Triffin a loro vantaggio piuttosto che subirne gli effetti come in passato. Visto che il resto del mondo non è più in grado di entrare in possesso di finanziamenti a basso costo tramite il mercato del dollaro offshore senza grossi rischi per i suoi bilanci nazionali, questo significa che sulla graticola non c'è più il bacino della ricchezza reale degli USA ma quello delle varie nazioni. I pasti gratis sono finiti. Ciò che rischiano è un crollo della loro divisa. Il risultato ultimo di questo processo è un'impennata estrema del dollaro sulla scia di preoccupazioni lato offerta.


IL “FRULLATORE DEL DOLLARO” DIMINUISCE LA VELOCITÀ, MA NON SI FERMA

Per semplificare la comprensione dell'eurodollaro dovete immaginarlo come una stablecoin. È un dollaro digitale offshore parcheggiato in depositi esteri e che serve a rendere liquidi i mercati finanziari oltreoceano. In passato, quando ancora c'era il LIBOR, non c'era bisogno di garanzie a supporto: si potevano trattare obbligazioni denominate in dollari senza collaterale sottostante. Poi, un giorno, ci svegliamo e ci accorgiamo che quel mondo non esiste più e invece c'è una domanda senza precedenti per il collaterale. L'abbattimento di quel mondo, in precedenza impostato per risucchiare ricchezza reale agli USA e far credere che esistessero i pasti gratis, ha creato una corsa “agli sportelli” per le garanzie collaterali. La più liquida è rappresentata dai bond americani (non è un caso che le aste per i ventennali e trentennali di questa settimana sono andate alla grande). Pezzo dopo pezzo vengono smantellati quei trade che potevano sfoggiare una leva folle grazie a una frazione di collaterale posta come misera garanzia. Ecco perché la Yellen, nel suo ultimo anno al Dipartimento del Tesoro, ha supervisionato un QE fatto di titoli americani che sono stati incanalati nei bilanci dei Paesi che sarebbero stati più colpiti: Europa e Inghilterra. Ecco perché Tether, dopo l'approvazione a livello di strategia ufficiale da parte dei NY Boys, è un compratore marginale di titoli sovrani americani e sostituirà l'eurodollaro che avevamo conosciuto fino al 2022. Solo che adesso sarà pienamente collateralizzato e impostato da linee di politica decise a Washington, non a Bruxelles o a Londra.

La fine della “globalizzazione” significa principalmente la fine della finanziarizzazione dei sistemi economici, un ritorno alla ponderazione del rischio più in sintonia con l'economia reale (Main Street) e la recisione di quell'interconnessione dei bilanci mondiali che andava a far pesare sulle intere spalle statunitensi la socializzazione delle perdite durante le crisi.

A meno che l'attuale sistema non venga ridisegnato (esito a cui si dovrà infine arrivare), il dollaro tornerà a salire. Nonostante tutti i salvataggi e la stampa di denaro, l'indice DXY è salito del 30% negli ultimi 15 anni. Il modo in cui viene fornita liquidità a breve termine nel sistema è lo stesso processo che influenza la domanda a medio e lungo termine. E questo perché il sistema monetario attuale prevede l'iniezione di nuovi capitale tramite prestiti: in questo modo viene fornita liquidità a breve termine, la pressione sui mercati viene allentata, i prezzi degli asset salgono e il dollaro scende. Ma alla fine il risultato principale è l'aumento dei debiti e la saturazione dei bilanci, ed è questo che conta. E quando inizia a contare il dollaro torna a salire: il debito creato per fornire liquidità è la domanda futura per il dollaro. Finché l'architettura dell'attuale sistema economico/finanziario non verrà ridisegnata (facendo entrare in gioco anche oro e Bitcoin), assisteremo al ripetersi di questa storia.


CONCLUSIONE

Poiché il dollaro è la valuta di riserva globale viene ampiamente utilizzato per una varietà di scopi, tra cui:

Regolamento degli scambi commerciali (es. fatture, cambiali, ecc.);

Riserve monetarie delle banche centrali (es. una Banca del Giappone che utilizza i titoli di stato per sostenere lo yen);

Prestiti per debiti e prestiti internazionali (es. FMI, Banca Mondiale e altri istituti prestano denaro ai Paesi del mondo);

Mercato dei cambi, Forex (es. la maggior parte delle coppie di valute è quotata rispetto al dollaro, ad esempio, EUR/USD, USD/JPY, rendendolo centrale nei mercati monetari globali);

Dollarizzazione diretta (es. alcuni Paesi utilizzano il dollaro come valuta ufficiale, ad esempio Ecuador o El Salvador, oppure insieme alla valuta locale);

Rimesse e trasferimenti transfrontalieri (es. il dollaro è ampiamente utilizzato per inviare denaro oltre confine, in particolare nei Paesi in via di sviluppo);

Asset di rifugio (es. durante le crisi gli investitori acquistano dollari per sicurezza, causando flussi globali di capitali verso asset statunitensi come i titoli del Tesoro americani);

Mercato dell'eurodollaro, forse il più importante di tutti (es. i dollari dominano le transazioni SWIFT, le riserve bancarie internazionali e i sistemi bancari offshore, il sistema offshore è chiamato mercato dell'eurodollaro. I dollari vengono lentamente introdotti dalle banche straniere e utilizzati per finanziare il commercio globale. Ad esempio le banche in Pakistan prestano eurodollari alle raffinerie di petrolio in Iran per il commercio).

Tutto ciò crea una DOMANDA persistente e onnipresente per i dollari. La domanda deve essere soddisfatta dall'OFFERTA, altrimenti il ​​sistema monetario globale si inceppa: questo è ciò di cui l'economista belga, Robert Triffin, parlava 65 anni fa. Gli Stati Uniti hanno la scelta se soddisfare o meno suddetta domanda, e se non lo fanno la deflazione dell'offerta di denaro globale sarà una conseguenza assicurata. Molti attribuiscono l'esplosione del deficit commerciale americano alla manipolazione monetaria da parte dei Paesi del terzo mondo, a pratiche commerciali sleali, o a pratiche di sfruttamento del lavoro: tutti fattori veri e che contribuiscono sicuramente al deficit, ma non spiegano il quadro generale. Infatti man mano che il sistema monetario globale è stato sganciato sempre più dai principi fondamentali del denaro sano/onesto, ha fatto sempre più affidamento sulla liquidità, che in sostanza significa liquidità in dollari. Pertanto la delocalizzazione della base industriale statunitense (una perdita di produzione manifatturiera pari a quella di una guerra!) non è stata fatta solo per aumentare i profitti delle aziende coinvolte, ma è stata una conseguenza dell'esportazione di dollari nel mondo.

In breve, questo significa che se gli Stati Uniti vogliono mantenere in funzione il sistema monetario globale, devono mantenere uno squilibrio commerciale e aggravarlo nel tempo se il mondo continua a crescere più velocemente degli USA stessi. Questa tendenza è accelerata con l'adesione del terzo mondo (in particolare dell'Asia) al mercato dell'eurodollaro negli anni '90 e 2000.

Tutto ciò ha contribuito al proverbiale “frullato del dollaro”, processo che è uno dei motivi per cui i mercati azionari e obbligazionari statunitensi hanno registrato un andamento positivo negli ultimi 3-4 decenni. Questo costante afflusso di capitali crea una domanda costante di asset negli Stati Uniti. La sovraperformance dei mercati statunitensi è enorme: se uno avesse investito $1 nell'indice S&P 500 nel 1980, il suo valore sarebbe stato di circa $98,68 a fine 2023. Lo stesso dollaro investito nell'indice MSCI World, escludendo gli Stati Uniti, sarebbe valso circa $19,63 nello stesso periodo. Ancora una volta il fattore di differenziazione chiave, soprattutto in termini monetari, è che gli Stati Uniti sono l'UNICA valuta con una domanda esterna: NESSUN'ALTRA valuta fiat ce l'ha. L'ideatore di questa teoria, Brent Johnson, ci dice che il sistema finanziario mondiale può essere immaginato come un gigantesco frullatore composto da liquidità, debito e capitale. Gli Stati Uniti detengono la cannuccia più grande che consente loro di “bere” capitali dal resto del mondo. Mentre molti Paesi adottano politiche monetarie simili, come tassi d'interesse bassi e quantitative easing, gli Stati Uniti godono di una posizione unica, poiché emettono la valuta di riserva mondiale e dispongono dei mercati finanziari più liquidi e affidabili.

Certo, gli Stati Uniti potrebbero avere una miriade di problemi fiscali, ma li hanno anche tutti gli altri: questo li rende la “camicia sporca” più pulita nella cesta dei panni sporchi. Questo comportamento crea un flusso di capitali verso gli Stati Uniti che a sua volta rafforza il dollaro. Quando il dollaro si apprezza mette pressione sugli altri Paesi, in particolare su quelli emergenti che hanno contratto prestiti in dollari perché devono ripagare i propri debiti in una valuta che è diventata più costosa. Questa dinamica può creare un circolo vizioso, in cui le tensioni finanziarie all'estero portano a un dollaro più forte, cosa che a sua volta causa ulteriore stress per i debitori in dollari al di fuori degli Stati Uniti.

Se gli stranieri vendono titoli del Tesoro americani per intervenire sui loro mercati, questo peggiora la situazione. L'aumento del DXY è quindi un sintomo di problemi di liquidità sistemica, non un segno che gli investitori hanno necessariamente più fiducia nell'America. Gli acquisti di dollari da parte della Cina, o gli acquisti di asset denominati in dollari da parte dell'Argentina, riguardano più gli investitori che cercano di sfuggire alla propria valuta in difficoltà, che i fondamentali reali dell'economia americana. Sebbene questo possa avvantaggiare gli Stati Uniti nel breve termine, attraendo capitali e mantenendo forti i propri mercati, Brent ammette anche che la situazione non è sostenibile per sempre. A un certo punto il sistema potrebbe crollare sotto la pressione di un dollaro troppo forte e delle pressioni che esercita sulle economie globali.

Cosa sta succedendo adesso con il DXY? Ebbene, negli ultimi 3 mesi abbiamo assistito a un continuo indebolimento del dollaro dovuto alla reazione dei mercati dopo il “Giorno della Liberazione”. Il dollaro relativamente più basso di fatto rafforzerà il sopraccitato “frullato”. Il debito denominato in dollari viene spesso creato al di fuori degli Stati Uniti attraverso il cosiddetto sistema dell'eurodollaro, una vasta rete di attività bancarie offshore non regolamentata dalla Federal Reserve. In questo sistema le banche straniere concedono prestiti in dollari a mutuatari non statunitensi, come società minerarie in Cile, produttori di petrolio in Nigeria o case automobilistiche in Corea del Sud.

Queste aziende possono operare interamente nei loro Paesi e generare entrate nelle loro valute locali, ma i prestiti che contraggono sono quotati e devono essere rimborsati in dollari. Una volta che queste aziende contraggono debito in dollari, si trovano bloccate in una struttura finanziaria in cui le loro passività sono in dollari, ma i loro ricavi di solito no. Una società che estrae il rame in Perù potrebbe venderlo sul mercato ed essere pagata in soles, o in un'altra valuta diversa dal dollaro. Per far fronte ai propri oneri di debito in dollari (es. pagamento degli interessi o il rimborso completo del prestito), deve convertire in dollari i suoi ricavi in ​​valuta locale. Questo in genere comporta l'accesso ai mercati monetari per scambiare la sua valuta locale con dollari. Se quest'ultimo si apprezza rispetto alla valuta nazionale della società che estrae rame, il costo di tale scambio aumenta, rendendo più costoso e più arduo il rimborso del debito. L'azienda in questo modo non si limita a gestire la propria attività, ma specula anche sui tassi di cambio senza volerlo. Pertanto quando il DXY scende, ovvero quando il dollaro è relativamente più debole rispetto alle altre principali valute, diventa più facile per le aziende straniere onorare i propri debiti denominati in dollari.

Non solo possono estinguere più facilmente le passività in dollari esistenti, ma potrebbero anche sentirsi abbastanza sicure da contrarre ancora più debiti in dollari per finanziare l'espansione o la speculazione. È qui che inizia il circolo vizioso: man mano che un numero sempre maggiore di aziende in tutto il mondo contrae prestiti in dollari durante i periodi di debolezza di quest'ultimo, la dimensione complessiva del sistema del debito in dollari si espande. Questo non riguarda solo le aziende: anche gli stati ne subiscono gli effetti. Quando il dollaro è più debole, diventa anche più facile per gli stati esteri accumulare riserve in dollari, una parte cruciale dei loro meccanismi di difesa finanziaria. Poiché le loro valute sono più forti rispetto al dollaro in un contesto con un DXY più basso, possono scambiare meno unità della loro valuta locale per acquistare più dollari. Questo rende l'accumulo di riserve monetarie molto meno costoso.

Mentre i detrattori del dollaro indicano l'aumento del debito statunitense o la “de-dollarizzazione” come segnali del declino del biglietto verde, la realtà è che la fame globale di liquidità in dollari è viva e, per molti versi, sta crescendo, non diminuendo. Paradossalmente tutto ciò significa che la “fine dei giochi” (in mancanza di termini migliori) non si svolgerà come i detrattori pensano. Un crollo monetario globale significherà che l'indice del dollaro salirà, non scenderà. E se il DXY scende, come dice Brent, significa solo che il gioco continuerà con la “ri-dollarizzazione”. Il dollaro ha lo status di asset di riserva e valuta di riserva ed esse sono due funzioni distinte; sebbene interconnesse, in teoria il biglietto verde potrebbe perdere la prima senza perdere la seconda. Il “frullato del dollaro”, almeno nel medio termine, significa che non perderà lo status di valuta di riserva.


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venerdì 18 aprile 2025

Pandemonio sui dazi... facciamo chiarezza su cosa conta davvero

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/pandemonio-sui-dazi-facciamo-chiarezza)

Molto è stato detto nelle ultime settimane riguardo i dazi, ma senza un quadro generale coerente di quello che sta succedendo si perde il motivo per cui stanno accadendo determinate cose. Non si tratta di irrazionalità, perché secondo alcuni analisti tutto quello che conta sarebbe la teoria. No, non è un mondo prefetto questo, così come non è possibile seguire alla lettera un qualsiasi manuale teorico. Che sia di libero mercato o meno. Questa è la natura dell'essere umano in fin dei conti, dell'imprevedibilità dell'azione umana. Ci avvicineremo sempre alla teoria, quanto più possibile, ma non avremo mai un percorso “da manuale”. Sottolineo, a scanso di equivoci, che la teoria deve essere un punto di partenza per tutti, allo stesso modo. L'efficienza del libero mercato non si discute, il relativo meccanismo di allocazione delle risorse economiche scarse può avvenire con efficienza e precisione in un ecosistema in cui gli imprenditori hanno accesso libero e non fuorviato alle informazioni economiche necessarie. Nessuno mette in discussione la distorsione dei prezzi come fattore scatenante degli errori economici e, di conseguenza, di una misallocation di capitale. Qual è il problema con questo impianto teorico? Perché sulla carta è vero, ma non è riflesso completamente nella realtà? Nel momento in cui si ha una nazione che mette sul piatto, volente o nolente, il proprio bacino della ricchezza reale e permette agli altri attori economici di sfruttarlo a proprio vantaggio, è possibile emendare a suddette regole. Sia chiaro: per quanto apodittiche le leggi dell'economia non possono essere violate, questo a sua volta significa che l'aggiramento di suddette leggi è temporaneo e strettamente correlato all'erosione del sopraccitato bacino.

Finché va avanti sembra che ci sia un'eccezione alle regole e che possa andare avanti per sempre; poi arriva un momento critico che ricorda di come il nostro mondo è finito e non esiste alcun albero di Cuccagna a cui attingere sempre. Questa verità è stata chiara agli USA nel momento in cui hanno compreso le profonde implicazioni del sistema del dollaro offshore. Perché pensate che la Cina fosse uno dei maggiori detentori di titoli sovrani americani altrimenti? Uno dei centri famoso per l'intermediazione degli eurodollari è Hong Kong. E di quale colonia ha fatto parte (e fa ancora parte)? Regno Unito. Tutte le strade portano a Londra, soprattutto quella degli eurodollari. Di conseguenza non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e guardare ai mercati come la massima espressione di un consenso libero delle azioni coordinate degli individui: c'è sempre stato un recinto all'interno del quale si è agito, o che è stato accuratamente manipolato. L'ambiente di mercato può essere più o meno libero, ma non esiste un estremo.... in entrambe le direzioni. In fin dei conti, è la natura umana; l'essenza dell'azione stessa degli individui. Se non fosse così, tutte le nazioni avrebbero condizioni di partenza identiche e non ci sarebbero mercati del lavoro in cui la manodopera è pagata una miseria mentre il prodotto finito, passando per le varie filiere industriali, subisce ricarichi sproporzionati.

Mi rendo conto che quest'ultimo punto porta con sé un certo grado di etica al suo interno, quindi rivolgiamoci direttamente ai rapporti di potere tra nazioni: esistono le banche centrali e l'evoluzione economica ci ha portati a vivere in un mondo manipolato ad hoc in cui addirittura i Paesi cercano di sfruttare un vantaggio competitivo per “fregare il vicino” (beggar thy neighbour). I carry trade sono essenzialmente questo. La Cina e il Sud-est asiatico l'ha fatto tramite il mercato del lavoro; i grandi centri finanziari, come la City di Londra, l'hanno fatto tramite l'ingegneria finanziaria e l'eurodollaro. Non è affatto un caso che il picco della cosiddetta globalizzazione sia coinciso con l'inizio dei lavori del SOFR americano. Il colonialismo non è mai finito e i colonizzatori, Europa e Inghilterra, non hanno mai smesso di esercitare la loro influenza sulle proprie colonie storiche. Per quanto possano essersi ritirati a livello di facciata, sono diventati “partner commerciali”, “alleati strategici”, ecc. La Cina è stata lasciata “sorgere” per fungere da strumento, di ricatto anche talvolta. I salari sono bassi in Europa perché essa si arricchisce principalmente con l’export e quindi non si interessa al mercato interno e di conseguenza della capacità di spesa dei lavoratori. In Italia i salari sono al palo per un basso tasso di capitalizzazione delle imprese e la maggior parte della ricchezza prodotta la divora lo stato, quindi le imprese hanno poche risorse da investire in innovazione e attrezzature. I salari sono bassi anche per la concorrenza asiatica che costringe i lavoratori a condizioni poco umane.

Gli Stati Uniti hanno detto “Basta!”. I fattori “correttivi” implementati dall'amministrazione Trump nei confronti del resto mondo sono una manovra per emanciparsi dal giogo finanziario che rendeva gli USA i “salvatori” del mondo. Così come rendeva la FED il prestotre di ultima istanza del mondo. I colonialisti, così facendo, si sono garantiti un lasso di tempo in cui hanno governato senza patemi d'animo tenendo ben pasciuta e senza pensieri la popolazione sottostante. C'è dell'ironia qui: la mano invisibile del mercato di “smithiana” memoria, agendo tramite gli USA che fanno i loro affari e pensano principalmente al benessere della nazione, “aiuteranno” anche le altre di nazioni a migliorare le proprie condizioni smantellando tutte quelle architetture che erano considerate assodate nel mondo globalizzato di ieri. Il passo finale spetterà a loro, ovviamente, perché anche la “non azione” è una scelta.

È sacrosanto mirare ad avere un interventismo minore sui mercati, o addirittura nullo... ciò non vuole dire ignorare le meccaniche di sudditanza coloniale che ancora operano nel mondo. Se la Cina non ha preso ancora Taiwan è perché non gli è stato dato il permesso di farlo; sviluppare la propria industria dei chip è stato un modo per ovviare a questo “inconveniente” e crearsi una alternativa per tempi peggiori. Nessuno vuole essere una vittima sacrificale. A differenza di altri, loro l'hanno letto (e capito) Sun Tzu e sanno che, oltre a sfruttare la debolezza del nemico, ciò significa non sfoggiare le proprie attraverso la retorica magniloquente sui successi.

Ma, anche così, non è la Cina l'obiettivo finale dei dazi. Il piano generale degli USA è quello di isolarsi finanziariamente da un sistema che per decenni ha sfruttato la sua di forza per “regalarla” al resto del mondo. L'ordine monetario e finanziario uscito fuori dalla Seconda guerra monidale ha reso ipertrofico il mercato dei dollari offshore e sin dal 2008 non si è più ripreso. O per meglio dire, la Legge dei rendimenti decrescenti ha fatto il suo corso. Come accaduto nel 1985 con gli Accordi del Plaza, c'è bisogno di un nuovo reset solo che stavolta è necessario eliminare la fonte di azzardo morale alla radice: la FED si riprende in casa la sua politica monetaria e sfrutta per davvero adesso il “privilegio esorbitante” del dollaro. Un cambiamento epocale che non si pensava fosse possibile si sta dipanando sotto i nostri occhi.

Oggi vi permetterò di avere le idee chiare, quindi.


L'OBIETTIVO OLTREOCEANO

L'obiettivo oltreoceano è quello di continuare ad avere quante più fonti aperte da cui fluiscono gli eurodollari affinché la City di Londra possa sottoporli a leva e controllare di conseguenza il flusso di dollari al margine che circolano all'estero. Il sistema finanziario estero, che ha piramidato la sua esistenza su questo meccanismo per decenni, ne ha bisogno disperatamente soprattutto ora che l'amministrazione Trump ha iniziato a mettere ordine nei conti fiscali della nazione (mentre la FED ha iniziato a farlo nel 2022 nella componente monetaria). Non importa lo stock di dollari, quello che davvero è importante è il flusso di dollari al margine. E questo lo sappiamo dalla classica ABC dell'economia ed è stata una verità sin dalla rivoluzione marginalista di Menger: il prezzo di ogni cosa è impostato al margine. Di conseguenza se questo flusso viene prosciugato, è necessario, per chi ne trae la propria sopravvivenza economica/finanziaria, trovare nuovi modi affinché continui a scorrere. L'essenza dei vari surplus commerciali, Cina in primis, nei confronti degli USA non sono stati altro che un modo per far continuare a scorrere il flusso di dollari all'estero. È attraverso di essi che possono essere pagate le cedole di titoli denominati in dollari emessi all'estero.

Guardate adesso alla curva dei rendimenti statunitense. C'è un pesante avvallamento tra i titoli a brevissimo e a medio termine, mentre il back-end è schizzato in alto. La seguente ipotesi non sarà verificata fino a quando non usciranno i prossimi dati del TIC, però di fronte a un'amministrazione Trump che prosciuga la fonte principale dei tuoi finanziamenti “gratis” vendi titoli sovrani americani, specialmente quelli a più lunga scadenza (trentennali), e compri quelli sul front-end. In questo modo la stampa ha magicamente un parametro per gridare “recessione!”. Chi, sin da quando Powell ha iniziato il suo ciclo di rialzo dei tassi, ha comprato più titoli sovrani americani? Secondo gli ultimi dati disponibili, dal 2021 al dicembre 2024 le banche che si possono associare a Europa e Inghilterra hanno comprato ogni anno $1.100 miliardi netti in titoli di stato americani. Perché l'hanno fatto? In modo da tenere un tetto ai rendimenti obbligazionari oltreoceano. La percezione di stabilità viene data dal tenere tali rendimenti in certe fasce di prezzo e al di fuori di esse i derivati sui tassi d'interesse iniziano a segnalare “pericolo” con tutti i relativi rischi di vendite al margine che ne conseguono. Queste “linee di demarcazione” si possono vedere negli 83 centesimi “difesi” nel cambio EUR/GBP, per tre anni è stato “difeso” il rendimento del 2,5% sul decennale tedesco, il 3% sul decennale francese, ecc.

Per tutto il tempo che la Yellen è stata in carica del Dipartimento del Tesoro ha condotto una yield curve control in concomitanza con la Lagarde, ma adesso che la prima non è più lì ecco che le cose sono diventate preoccupanti oltreoceano: la seconda deve impedire che i rendimenti sovrani europei schizzino in alto, o accelerare il crollo del mercato obbligazionario europeo tramite spesa pubblica incontrollata ed euro digitale. Se torniamo per un momento all'agosto dell'anno scorso, quando il Ministro delle finanze giapponese ha venduto dollari per comprare yen portando l'indice di quest'ultimo da 161 a 140 e causando una serie di default, sin da allora è stato abbattuto il cartry trade sullo yen e gli europei si sono ritrovati una nuova gatta da pelare nel difendere il livello 155 nel cambio EUR/YEN (e non andasse più in basso).

E questo spiega anche come mai il cambio EUR/USD sia salito oltre 1.10 più recente. Se hai già un cambio basso, come fai poi a permetterti di stampare vagonate di soldi, svalutare la divisa e portare amenità con il “piano di riarmo”?

Sin da quando Powell ha iniziato una sorta di restringimento della politica monetaria “sotto traccia” nel giugno 2021, ho iniziato a riflettere su quale potesse essere il motivo e le relative implicazioni di una mossa del genere in opposizione a quanto accadesse nel resto del mondo. Allora le politiche monetarie delle varie banche centrali erano ancora coordinate e una rottura di quel cartello era a dir poco inverosimile. La separazione tra i mercati europei e quelli americani avrebbe significato una determinazione del prezzo del dollaro negli Stati Uniti, non più in Europa o a Londra. Washington non è mai stato in grado di fare una cosa del genere in tutto il suo passato. La mia conclusione: è questa la “seconda” dichiarazione d'indipendenza americana? Tutti gli indizi raccolti finora puntano in tale direzione. Questo a sua volta significa che mettere in ordine i conti della nazione vuol dire anche mandare in bancarotta la cricca di Davos. Come? Mettendo sotto pressione i globablisti che governano il Canada, mettendo sotto pressione Starmer, mettendo sotto pressione la NATO, mettendo sotto pressione i Five Eyes, ecc.

Tutto si riduce al flusso di dollari all'estero e i dazi sono uno strumento a tal proposito.


L'OCCASIONALITÀ DEI CRASH DEI MERCATI

Ovviamente sarebbe miope affermare che tutto questo sia stato messo in piedi dall'amministrazione Trump o da lui stesso. Dietro c'è un consorzio di grandi banche della East coast che fin dal 2019 hanno lavorato per arrivare a questi risultati. Dopo il 2008 era chiaro a tutti che fosse necessario un reset del sistema post-Seconda guerra mondiale... il problema era: sotto l'egida di chi sarebbe stato governato il mondo? Se le CBDC erano un segnale, questo avrebbe significato che il comparto bancario commerciale statunitense sarebbe stato spazzato via. La spinta principale degli USA a mettersi di traverso alla cricca di Davos è stato sostanzialmente questo, perché significava altresì che non avrebbero più fatto parte della classe dirigente. Lo slogan “bonificare la palude” significava rimuovere le incrostazioni dello Stato profondo e sopratutto tutti quegli agenti “infiltrati” che non facevano il “bene” della nazione.

L'innesco fu acceso da JP Morgan quando a settembre del 2019 alimentò la crisi dei pronti contro termine rifiutandosi di accettare come garanzia collaterale titoli europei. Jamie Dimon diede il via al distaccamento tra il sistema bancario europeo e quello americano in attesa che il SOFR sarebbe entrato a pieno regime successivamente. Allarmata da quell'evento monumentale la cricca di Davos ha scatenato letteralmente l'inferno, sia a livello economico che sociale, e la guerra contro gli USA venne scatenata allora. L'attesa della riconferma di Powell durata più di 6 mesi e i piani di stimolo fiscale furono tentativi per forzare la mano alla FED e rompere il consorzio di suddette banche. Fortunatamente per queste ultime la loro capillarità a livello territoriale ha resistito e sono riuscite a reggere il colpo fino al 2022. Se Powell ha agito come ha fatto era perché sapeva di “avere le spalle coperte”.

Il crash del 2019 poteva sembrare l'ennesima Bear Stearns, così come quello del 2023 con le banche di San Francisco, invece faceva parte di un disegno molto più grande che per forza di cose richiedeva dolore economico. Così come nel 1934 vennero lasciate fallire migliaia di piccole banche per avere la giustificazione e istituire la FDIC. Lo stesso vale per il crash più recente sui mercati azionari. Un'intera generazione di trader è stata cresciuta secondo il credo fasullo che i mercati sarebbero sempre saliti, che ogni correzione sarebbe stata assorbita dalla stampante monetaria della banca centrale. La storia del DOGE ci sta insegnando che il pompaggio monetario principale scaturiva dal Dipartimento del Tesoro che a sua volta costringeva la FED a intervenire e di conseguenza tenere liquido il flusso di dollari che scorreva all'estero, alimentando di conseguenza livelli di leva finanziaria esorbitanti. Una volta che questo flusso è stato interrotto, o per meglio dire, viene gestito dal tasso deciso dalla Federal Reserve e non più dal tasso deciso al di fuori di essa, il panico risultate è tutto all'estero. La prova? Tutte le altre banche centrali hanno tagliato i tassi più rapidamente rispetto alla FED. Infatti finché il mercato obbligazionario statunitense non diventerà bidless, la FED resterà a bordo campo. Per quanto la stampa voglia farlo credere invece, in realtà le cose stanno all'opposto soprattutto se si guarda l'ultima asta dei trentennali.

Inoltre se si vuole avere un proxy per capire quando la FED abbasserà i tassi, il seguente grafico è tutto ciò di cui avete bisogno.

Il range di riferimento sarà tra 3-3,5%. Non tornerà più allo 0%. I tassi reali inoltre saranno influenzati dalla retorica ottimista negli USA (“andremo su Marte!” ad esempio), cosa che li sta pian piano abbassando. Un termometro di ciò è la popolarità di Trump negli USA.

Guardate a quello che fanno, non quello che dicono. E con ciò mi riferisco al fatto che per quanto possa sembrare che ci sia maretta tra l'amministrazione Trump e la FED, in realtà non c'è. C'è coordinamento (anche perché sappiamo che dietro Trump c'è il consorzio delle banche della East coast). Questo significa che molto probabilmente a giugno la FED taglierà nuovamente i tassi. La cosa davvero unica di questo periodo, comunque, sarà la scissione tra il dollaro che circolerà internamente e quello che circolerà esternamente, a livello internazionale. Di questo a Trump non importa niente ed è quello la cui offerta si sta restringendo e per cui Bruxelles e la City si stanno stracciando le vesti.

La pianificazione centrale è fallimentare, ovvio. Ma qui la domanda è una: gli americani credono davvero che la linea di politica di Trump sia fallimentare?

E dopo Argentina e Vietnam, le prime nazioni a presentarsi alle porte dell'amministrazione Trump, è arrivata la Francia. E l'elenco si è subito allungato. Questa storia mi ha ricordato il primo episodio della prima stagione di Black Mirror: prima nessuno avrebbe voluto cedere le armi (commerciali) agli USA... una volta che l'orologio ha iniziato a correre e si vedeva che Trump faceva sul serio ci si è adeguati. Avevate dubbi? Stesso copione già visto con Powell nel 2022 quando ha iniziato il ciclo di rialzo dei tassi. Allora ci mise diversi mesi a “convincere” i mercati che faceva sul serio, adesso hanno imparato la lezione. Ricordate, Power policy.


LA PRIORITÀ

Seguendo tale linea di politica, le turbolenze vengono affrontate a testa alta. Infatti Bessent è stato chiaro nella sua ultima intgervista da Carlson: parafrasando le sue parole, ciò che conta per l'amministrazione Trump è il mercato obbligazionario e la gestibilità dell'enorme debito pubblico. Sia la FED che l'attuale classe politica non si faranno spaventare da correzioni nei mercati azionari. A tal proposito i rapporti P/E sono ancora fuori scala, quindi aspettarsi un altro bel crash nel comparto azionario non solo è necessario ma anche fisiologico. Senza farsi spaventare neanche da nuove buzzword come col “basis trade”. Prima di tutto uno dovrebbe domandarsi dove gli hedge fund hanno preso gli asset necessari per poi sottoporre a una leva più alta di quella media i propri bilanci in un momento storico incerto come quello di oggi (la risposta è che i loro bilanci fanno parte del cosiddetto “sistema bancario ombra” nutrito ad hoc da leggi come la Dodd-Frank... approvata, guarda “il caso”, dall'amministrazione Obama). Inoltre, come ho scritto sopra, l'avvallamento nella curva dei rendimenti che ci presenta un'inversione (artificiale) tra il front-end e il medio termine (biennale) non è motivo di panico perché i tassi nei mercati dei pronti contro termine non sono stressati.

Lo ripeto, sono stati venduti titoli sul back-end della curva, preso dollari e, per non far salire quest'ultimo rispetto all'euro, sono stati comprati i titoli sovrani a breve-medio termine. In un anno in cui giungono a maturazione $7.000 miliardi in obbligazioni da rinovare, eventualmente, trovarsi per le mani la percezione di recessione tra il pubblico (come se non ce ne fosse stata una sin dal 2008 e che solo adesso ne vengono affrontate le conseguenze) è un ostacolo non indifferente da superare. La cricca di Davos, sebbene abbia come obiettivo finale il flusso di dollari all'estero, deve adesso screditare l'attuale amministrazione Trump dato che le sue azioni sono risultate la giusta medicina per il ritorno al benessere interno e di conseguenza una sobrietà finanziaria all'estero. È questo che rappresenta la fine della “globalizzazione”: la fine dell'interconnessione finanziaria dove gli Stati Uniti rappresentano il prestatore/creditore di ultima istanza del mondo intero... senza conseguenze derivanti da una corretta ponderazione del rischio.

Paradossalmente, quindi, essa è la prima a volere tassi di riferimento alti negli USA: è consapevole che ora esistono barriere al flusso di dollari che scorrono all'estero, quindi deve fare affidamento sulle banche centrali che controlla, come la BCE e la BoE. Facedo apparire queste ultime proattive e “responsabili”, si conferisce la percezione (errata ovviamente) che la FED, rialzando o tenendo i tassi dove sono ora, sia invece irresponsabile e inaffidabile. Visto che ci troviamo in un ambiente economico in cui l'inflazione è commodity driven (vi basta guardare la correlazione tra l'IPC e i futures sulla benzina), e non credit driven (almeno non attualmente), Powell sarà in grado di tagliare di 25 punti base.

Il copione è quello già visto durante la presidenza Reagan, dove anch'egli agì velocemente nei primi mesi della sua carica per sistemare l'equazione fiscale e portare dalla sua la Federal Reserve di Volcker. Le azioni del DOGE, gli sprechi scoperti da quest'ultimo, vanno nella stessa direzione per avere successivamente carte da giocare durante le elezioni del prossimo anno. Uno degli aspetti su cui l'amministrazione Trump ha avuto maggiore successo è stato quello di smascherare i veri nemici dell'America: la classe dirigente canadese, la classe dirigente europea e la classe dirigente inglese. Uno degli aspetti su cui ha avuto minore successo è stato il mancato arresto eclatante di qualche pezzo grosso all'interno dello Stato profondo americano.

Questa è una guerra e non tutte le battaglie possono essere vinte; a volte bisogna anche tirarsi un attimo indietro e far fare la mossa successiva all'avversario. La guerra verrà vinta una volta che la cricca di Davos sarà mandata in bancarotta e verrà fortemente ridimensionato il potere che dispone, e quest'ultimo dipende da come può utilizzare a suo vantaggio l'arbitraggio tra valute. Non è un caso che il Forex sia il mercato più grande di tutti, data la leva presente, e che sia intermediato in gran parte a Londra. L'amministrazione Trump, finora, non ha fatto altro che smascherare il modo in cui la cricca di Davos acquista consensi nel sottobosco degli stati, nelle incrostazioni burocratiche che alimenta, ed è così che può agire liberamente. Ecco perché in politica circolano le stesse facce da anni e la gente si chiede chi mai li possa votare. Una volta, però, che si ferma il flusso di denaro che può essere sequestrato da agenti malevoli e si prosciugano quei bacini attraverso i quali si indirizzavano artificialmente le linee di politica di una nazione, Stati Uniti in particolare, il risultato è quanto di più auspicabile ci si possa aspettare.

Se questa gente non verrà fermata, qui e ora, saranno guai per tutti. E i mercati dei capitali sono la chiave.

 

CONCLUSIONE

Non esiste il mondo perfetto. La teoria è un'indicazione della giusta direzione, ma poi c'è l'azione umana. Questo passaggio pare sfuggire a molti. Questo per dire che ultimamente leggo molti analisti e commentatori che rimangono fermi sulla teoria senza voler affrontare la realtà pratica delle cose. Allora facciamo così, andiamo fino in fondo alla teoria.

I dazi, nessuno può negarlo, sono tasse e deviano artificialmente il corso dei mercati. Ora, torniamo all'epoca degli economisti che per primi hanno messo giù le tesi riguardo questo argomento (Smith, Ricardo). In un gold standard se l'oro è trattato $40 più in alto a Pechino rispetto a Londra, gli arbitraggisti si muoveranno per comprare oro in quest'ultima città e spedirlo in Cina. In questo modo l'ampiezza dell'arbitraggio che s'è venuto a creare man mano si riduce fino a scomparire. Se suddetti analisti credono nei mercati e nel loro dinamismo non possono negare questo fenomeno. Il libero mercato fa una cosa meglio di tutti gli altri sistemi: permette di trarre vantaggio dagli arbitraggi. Volete un esempio più recente: l'evoluzione di Bitcoin. Quando iniziarono a spuntare fuori i primi exchange, si vennero a creare anche grandi possibilità di arbitraggio tra di essi data la differenza di prezzo che proponevano. È la chiusura degli arbitraggi tra di essi, attraverso gli “speculatori”, che ha aiutato a stabilizzarne il prezzo nel tempo.

Quando esiste un arbitraggio che “si rifiuta” di chiudersi, e che dovrebbe chiudersi, c'è qualcosa che impedisce che accada. Inutile dire che bisogna liberarsene di quel qualcosa. Il surplus commerciale subito dagli USA a vantaggio delle grandi economie del primo mondo (Cina, Europa, Inghilterra) s'è rivelato un arbitraggio che “s'è rifiutato” di chiudersi. Cosa gli impediva di chiudersi: normative, multe mascherate da dazi, costo del lavoro, costo degli input, ecc. Come si cerca di risolvere tutte queste cose in un colpo solo? Imponendo reciprocità nei trattamenti commerciali. È il miglior modo per affrontare la cose? Non lo so. Ma questa è la “Power policy” e bisogna farsene una ragione perché il mondo è mutato sin dal 2022.

Infatti la cosa meno compresa di tutte, e che fino al 2022 ho faticato anche io a comprendere, è il sistema degli eurodollari: il principale ostacolo alla chiusura del sopraccitato arbitraggio. Ecco perché il mio ultimo libro, Il Grande Default, verte su questo tema e grazie a questo esercizio diventa più facile mettere insieme tutti i puntini. Avendolo scritto io questo libro, è ovvio che cerchi di pubblicizzarlo quanto più possibile. Ma al di là di ciò rappresenta un manuale che permette di diradare quella nebbia di inconsapevolezza che ancora aleggia tra i commentatori comuni. Lasciamo stare la stampa. Per quanto si possa “attaccare” l'amministrazione Trump per certe linee di politica, qui non si tratta di “ciò che si vede”. Già dal mio secondo manoscritto pubblicato, La fine delle fallacie economiche, vi ho insegnato a vedere “ciò che non si vede”. Infatti si tratta del consorzio delle banche della East coast che infine hanno individuato la causa principale del continuo sprofondare degli USA in crisi. Uno dei punti cardine che leggerete nel libro è la differenza tra LIBOR (tasso a cui veniva determinato il prezzo del dollaro offshore secondo il “giudizio” della City di Londra) e il SOFR (tasso a cui viene determinato il prezzo del dollaro in base a fattori interni). È un caso secondo voi che i dazi sono entrati in vigore all'inizio di aprile e l'ultimo contratto intermediato dal LIBOR è scaduto il 30 marzo? La portata della guerra commerciale è più ampia di quanto leggete sulla stampa.

Riuscire a manipolare la domanda di dollari all'estero rappresentava uno strumento di potere non indifferente per la City. Ora invece ciò che accade negli USA rimane negli USA: non sono più le banche europee e inglesi a impostare il prezzo del dollaro all'estero, ma quelle statunitensi e la FED. Inutile dire che la City e Bruxelles sono i perdenti forti, dato che non possono più accedere, come prima, a un dollaro più economico. Questo a sua volta significa che, internamente, il dollaro potrà essere indebolito, mentre all'estero potrà essere lasciato salire per fungere da meccanismo di “persuasione” (e a tal proposito entrano in gioco i dazi). Sobrietà finanziaria, ponderazione reale del rischio e correzioni violente se necessario... ma soprattutto non più gli USA a salvaguardare tutte le operazioni finanziarie del mondo e pagarne il prezzo (in termini di ricchezza reale risucchiata all'estero) in caso di fallimento.

È questo il cambiamento gigantesco nella “globalizzazione” che sta avvenendo nel sottobosco e non notato; è questo “mondo” che gli USA stanno abbandonando e riformando. L'interconnessione finanziaria degli anni pre-2022 era una certezza di importare le debolezze economiche altrui e “pagare di tasca propria” per risolverle. Sono queste connessioni che vengono tagliate, come sta accadendo nel mercato dell'oro ad esempio: il metallo giallo estratto negli USA rimane lì e non viene più spedito in Svizzera o a Londra attraverso il COMEX.

Dopo la contrazione dell'offerta di eurodollari da parte della FED con l'avvio del SOFR, per tutte quelle nazioni che usavano tale mercato come volano attraverso il quale accedere a dollari facili e nascondere sotto il tappeto (degli USA però) i loro problemi, era fondamentale mantenere un avanzo commerciale nei confronti degli USA. Questo permetteva ai dollari di fluire all'estero attraverso di esso, impedendo agli arbitraggisti di chiudere questo divario (es. imposizioni commerciali non reciproche europee, armonizzazione fiscale col resto del mondo, ecc.). Era vero per l'Europa ed è ancor più vero per il Canada.

A livello teorico non c'è niente di male nell'emettere titoli denominati in dollari (all'estero), dopo tutto il biglietto verde è l'asset più affidabile e liquido rispetto a tutti gli altri della sua categoria. Il problema è quando si “strumentalizza” un asset e l'eurodollaro è uno di quelli più strumentalizzati. Affinché questo pasto gratis possa continuare a fluire nella City di Londra e a Bruxelles è vitale che gli USA continuino ad avere un deficit commerciale col resto del mondo, in modo che quest'ultimo possa essere usato per avere il flusso necessario di dollari con cui pagare le cedole dei titoli denominati in dollari. Il Canada diventa un proxy attraverso il quale si instaura un carry trade tra il dollaro canadese e quello statunitense (si prende in prestito nel primo a tassi inferiori e si investe nel secondo che ha rendimenti superiori).

Il Canada in questo frangente sta diventando esso stesso un “sistema bancario ombra” offrendo i propri bilanci tramite i quali la cricca di Davos possa continuare a ricevere finanziamenti a basso costo.

Il rally recente dell'euro e la vendita di T-bond americani da parte degli europei (in modo da creare un avvallamento tra il front-end della curva e il back-end e permettere alla stampa di gridare “recessione negli USA!”) è uno step in questo percorso, in questa guerra. La pistola fumante nell'attesa dei dati TIC? I tassi europei sono scesi, l'euro è salito e lo yuan è sceso. L'Eurozona (esclusa la Svizzera) + Regno Unito controllano $3.400 miliardi in titoli sovrani americani; la Cina circa $750 miliardi. L'obiettivo dei dazi è fondamentalmente uno: ridurre l'avanzo commerciale PERENNE da parte degli altri Paesi, Europa in particolar modo (ecco perché il 20% sui beni europei). Chi è davvero nei guai è l'UE. Perché? Perché in questa guerra c'è bisogno di collaterale e non ce l'ha. I capitali finanziari scorrono a ovest, negli USA; non c'è accesso a una fonte d'energia a basso costo. Senza questi elementi l'UE non può procedere alla liquidazione. L'unica cosa che può fare è appoggiarsi all'intermediazione dei cambi, uno dei più grandi mercati al mondo (e più sottoposto a leva), per cambiare la percezione di investitori e risparmiatori.

In questo contesto la Cina cercherà di scendere a patti con gli USA, Xi non è in una posizione politica confortevole. Non credo ci sarà un avvicinamento con l'UE, per quanto la classe dirigente europea possa volerlo. Se ciò fosse possibile i cinesi avrebbero aperto e aprirebbero il proprio mercato dei capitali. Ricordate, i mercati dei capitali sono un buon “predittore” dei movimenti politici.


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