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giovedì 10 marzo 2022

Cosa faranno gli stati per combattere le valute digitali private

Come spiegato in un precedente articolo, il terrore dell'apparato statale nei confronti di Bitcoin è strettamente legato alla sua trasparenza e all'immutabilità della sua blockchain. Ricordate che il fisco ed i cani da guardia dello stato son pur sempre persone, quindi "indirizzabili" verso obiettivi. C'è un guinzaglio che devono rispettare. Infatti le critiche avanzate da McMaken nel seguente articolo sono tutte legittime, ma non spiegano l'astio estremo nei confronti di Bitcoin visto che con i soli strumenti vessatori in mano alla politica potrebbe essere scalzato come forma di denaro "ufficiale". Invece l'ho spiegato io nel sopraccitato articolo. A giudicare dagli eventi attuali negli Stati Uniti e all'estero, è molto probabile che gli stati reagiranno per paura man mano che Bitcoin continuerà a salire alla ribalta, emanando regolamenti che ne renderanno difficile l'uso al di fuori della rete P2P senza raccogliere quantità folli di dati. Bitcoin è un anatema per il denaro fiat del sistema bancario centrale, un meccanismo di sorveglianza totale in fusione con il credito sociale e finanziario, in cui suddetto sistema vorrebbe ammassarci tutti. Tale schema consente il controllo completo su ogni aspetto della nostra vita. L'unica alternativa digitale sufficientemente potente a questo sistema è Bitcoin. Non pensate, quindi, alle criptovalute come ad un piano per arricchirsi velocemente, ma piuttosto ad un piano per comprare la libertà che, al giorno d'oggi, ha un cartellino di prezzo in crescente salita. Diviene quindi essenziale usare Bitcoin per costruire nuove istituzioni che preservino sia la libertà individuale/finanziaria, sia l'umanità; familiarizzate con i wallet decentralizzati, come Melis ad esempio, e con gli exchange decentralizzati (Dex), in modo da compiere i primi passi per secedere individualmente dalla tirannia incalzante. Ma, soprattutto, usate Bitcoin al posto del denaro fiat, quotidianamente.

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di Ryan McMaken

Durante un'audizione al Senato degli Stati Uniti, al presidente della FED, Jerome Powell, è stato chiesto se una valuta digitale emessa da una banca centrale potesse esistere o meno fianco a fianco con criptovalute private. Powell ha risposto che non c'è nulla che impedisca alle criptovalute private di "coesistere" con un "dollaro digitale".

Questo, ovviamente, è vero fintanto che i burocrati federali non decidono di vietare l'uso delle criptovalute.

Business Insider nel frattempo ha riferito che i commenti di Powell "sembravano rappresentare un cambiamento" rispetto ai suoi precedenti commenti secondo cui "non c'era bisogno" di criptovalute in un mondo di valute digitali delle banche centrali (CBDC).

Tuttavia non è ancora chiaro se si tratti di un "cambiamento". I precedenti commenti di Powell volevano semplicemente comunicare la sua di posizione: la CBDC della FED sarebbe stata privilegiata da chi usa queste valute. Se la valuta digitale della banca centrale è così meravigliosa, non c'è bisogno di averne altre.


Le banche centrali pianificano di scalzare le criptovalute

Infatti le due dichiarazioni di Powell su questo argomento riflettono il fatto che il sistema bancario centrale prevede di scalzare le criptovalute private. Questo sarebbe un obiettivo ragionevole per la FED, dato il vasto potere normativo ed i privilegi legali di cui gode. Poiché la banca centrale regola direttamente le banche ed è così radicata nel settore finanziario in generale, potrebbe facilitare un'introduzione praticamente senza interruzioni della propria valuta digitale nel settore finanziario e renderla più conveniente di altre. Inoltre il Congresso può usare i suoi poteri per “incoraggiare” la popolazione affinché preferisca la valuta ritenuta ufficiale, digitale o meno.


La valuta di qualità superiore vince sempre?

Questo non preoccupa molti sostenitori delle criptovalute, che generalmente sono fiduciosi che le loro valute siano di qualità superiore a qualsiasi cosa una banca centrale possa offrire. Quando dicono "qualità superiore", in particolare quelli che sostengono Bitcoin, spesso intendono che la loro valuta non può essere inflazionata come le valute fiat. Pertanto queste valute private non perdono il loro valore come invece accade alle valute fiat e presumibilmente la popolazione si dovrebbe riversare sulla valuta di qualità superiore.

È discutibile, tuttavia, se questo tipo di qualità determini davvero l'uso di una valuta come mezzo di scambio generale. Infatti l'esperienza suggerisce il contrario e questo è stato a lungo visto nel funzionamento della Legge di Gresham. Quando competono con valute di "qualità inferiore", cioè più inclini ad essere inflazionate, le valute di "qualità superiore" tendono ad essere accumulate piuttosto che utilizzate come denaro. Ciò si riflette nel movimento "HODL", in cui si presume che sia meglio conservare le criptovalute a tempo indeterminato piuttosto che convertirle in asset "inferiori", siano essi dollari o altro. Finché prevale questo pensiero, è difficile vedere come una criptovaluta possa passare a un mezzo di scambio generale, ovvero denaro, nonostante l'inferiorità della valuta fiat.


Come “convincere” le persone ad utilizzare il denaro fiat

Eppure si potrebbe anche definire “qualità” come la facilità con cui si può usare una particolare forma di denaro. I sostenitori di Bitcoin, ad esempio, hanno sottolineato la relativa facilità con cui può essere utilizzato negli acquisti senza la necessità di istituzioni intermedie. Anche in questo ambito, però, le valute fiat controllate dalle banche centrali potrebbero comunque essere competitive, nonostante siano inferiori in termini di conservazione del valore.

Questo, ovviamente, è uno degli scopi dell'emissione di nuove CBDC. Si tratta di cooptare e competere in modo più completo e diretto con le valute digitali private. Tra l'altro i pagamenti che utilizzano CBDC non devono nemmeno passare attraverso istituzioni intermediarie. Queste CBDC saranno "migliori" delle valute digitali private? Forse, ma per rimanere rilevanti non devono essere migliori, devono solo essere abbastanza buone. I regolamenti statali, poi, possono fare il resto.

Dopotutto, quando si tratta di sostenere una valuta ufficiale, un governo o una banca centrale dispone di diversi strumenti. Uno, ad esempio, è il corso legale. Contrariamente a quanto molti credono, questo non costringe le persone ad utilizzare una determinata valuta per tutte le transazioni, tuttavia le leggi sul corso legale obbligano gli utilizzatori di denaro a favorire una specifica forma di denaro rispetto ad altre per il rimborso di prestiti ed altri usi. Inoltre un governo può imporre il pagamento delle imposte nella valuta scelta da esso. I mutuatari continuerebbero a rimborsare i prestiti in dollari svalutati e questo probabilmente includerebbe molti enormi mutuatari istituzionali.

In un'atmosfera inflazionistica, questo può continuare ad offrire un supporto significativo ad almeno un certo uso di una valuta, o di una sua versione digitale, anche a fronte di un valore in forte calo. Immaginate, ad esempio, un mondo in cui ogni datore di lavoro deve pagare il sostituto d'imposta in dollari e in cui ogni proprietario di casa deve pagare le tasse sulla proprietà in dollari. Immaginate un mondo in cui ogni prestatore immobiliare, commerciale e residenziale, finanziatori fortemente regolati dai politici, debba accettare il rimborso in dollari in deprezzamento. Questo non rappresenta un piccolo vantaggio per una valuta, anche se in declino.


Usare la coercizione per proteggere la valuta fiat

E poi ci sono metodi più rozzi per proteggere la valuta ufficiale. Al di là delle leggi sul corso legale, il governo potrebbe utilizzare il fisco per punire in altri modi l'uso di valute private. L'addebito delle tasse sulle plusvalenze sulle forme di denaro alternative è solo uno di questi metodi. È noto che gli stati sono diventati piuttosto creativi quando si tratta di tasse punitive contro attività che non ama.

C'è sempre l'opzione di vietare del tutto queste valute. Non dimenticate mai che il governo statunitense un tempo vietò la proprietà privata di lingotti d'oro, punibile con multe draconiane e con la reclusione.

Niente di tutto ciò contraddice le argomentazioni economiche secondo cui in un mercato senza ostacoli, alcune criptovalute private sono di gran lunga superiori al denaro fiat in termini di conservazione del valore. Queste sono questioni economiche, però; le questioni politiche sono diverse e, una volta coinvolte, il calcolo può cambiare notevolmente. Gli stati hanno gelosamente custodito a lungo le loro prerogative sull'offerta di denaro ed è probabile che ricorreranno ad un numero qualsiasi di politiche violente, pericolose o rischiose quando questi privilegi vengono minacciati.


Ma cosa succede se il denaro fiat viene iperinflazionato?

D'altra parte gli stati, con tutto il loro potere coercitivo, a volte perdono la capacità di garantire l'uso continuato della valuta ufficiale.

Come ha osservato Daniel Lacalle, a volte la valuta fiat cessa del tutto di essere denaro:

Se il settore privato non accetta questa valuta come unità di misura, mezzo di pagamento generalizzato e riserva di valore, la valuta diventa priva di valore e cessa di essere denaro. Alla fine, diventa carta inutile.

Ciò accade quando una valuta viene svalutata così rapidamente che né la convenienza né lo status legale possono salvare il suo status di denaro.

L'iperinflazione sembra essere l'unico scenario, a parte grandi cambiamenti ideologici che andrebbero ad indebolire lo stato in generale, in cui è probabile che una criptovaluta privata diventi il ​​mezzo di scambio generale. Le valute fiat dovrebbero implodere e non solo deprezzarsi lentamente ad un ritmo, diciamo, del 5 o 10% all'anno. È già stato dimostrato per più di un secolo che le valute fiat possono andare avanti per molti decenni purché i tassi d'inflazione rientrino in ciò che la popolazione considera un intervallo tollerabile. Sfortunatamente la popolazione sembra avere una soglia decisamente alta per ciò che è tollerabile.


L'importanza di una riserva di valore concorrente

Ma anche se gli stati riescono a sostenere le loro valute indefinitamente, l'esistenza delle criptovalute ha comunque il potenziale per offrire un servizio prezioso. Cioè, l'esistenza di criptovalute private potrebbe funzionare per imporre una maggiore disciplina in termini di spesa in deficit ed altre attività che portano alla svalutazione delle valute fiat. Se chi usa queste ultime fuggire più facilmente in qualche altra riserva di valore, ciò eserciterà una maggiore pressione sulla valuta inflazionistica e costringerà gli stati a pensarci due volte prima di indulgere in alti livelli di spesa in deficit e la quasi inevitabile stampa di denaro che ne consegue. Cioè, se i risparmiatori possono facilmente trasformare i loro risparmi in una forma diversa dalle valute fiat, ciò aumenterà il rischio politico per gli stati di innescare tassi d'inflazione pericolosamente alti. Ciò significa che le criptovalute potrebbero svolgere un'utile funzione politica anche se non portano ad uno scenario in cui le valute fiat vengono completamente abbandonate in un futuro prossimo.

Sì, gli stati hanno molti strumenti per spingere la popolazione ad utilizzare i soldi fiat. ma sanno anche che ci sono dei limiti e temono scenari iperinflazionistici. Queste situazioni tendono a portare un'estrema instabilità politica e monetaria. Le criptovalute possono aiutare a rendere suddetta paura più acuta e immediata, e questa è una buona notizia.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 25 gennaio 2022

Useranno lo stato sociale per rendere conformi le persone all'obbligo di vaccinazione

 

 

di Ryan McMaken

Un politico democratico dell'Illinois ha introdotto una legislazione che richiede ai residenti non vaccinati di pagare di tasca propria per i servizi sanitari. Fa tutto parte di uno sforzo per trovare modi nuovi e creativi per punire le persone che si rifiutano di iniettarsi il vaccino. La radio WBBM di Chicago ci informa che:

[Jonathan] La legislazione di Carroll modificherebbe il codice assicurativo statale in modo che "una persona che è idonea a ricevere un vaccino COVID-19 e sceglie di non essere vaccinata, deve pagare di tasca propria le spese sanitarie se viene ricoverata in ospedale a causa di sintomi del Covid-19."

In altre parole, Carroll sta cercando di garantire che ai non vaccinati venga negata l'assicurazione sanitaria per le cure Covid, anche nei casi in cui l'assicurazione privata sia già acquistata e pagata. Inoltre in molti casi non sarà nemmeno necessario intervenire con le assicurazioni private, poiché un terzo della popolazione sta già ricevendo assistenza sanitaria finanziata dal governo federale.

Questa linea di politica è piuttosto sbalorditiva visto che arriva da un progressista come Carroll. Dopotutto, sono decenni che sentiamo dalla sinistra che "l'assistenza sanitaria è un diritto umano" e che deve essere fornita a chiunque ed a tutti a spese dei contribuenti. Tutto ciò che manca all'assistenza sanitaria universale sovvenzionata dallo stato, ci è stato detto, è inaccettabile.

Eppure, a quanto pare, i sostenitori dell'obbligo di vaccinazione – che si trovano in gran parte a sinistra, ovviamente – sono così ossessionati da tale obbligo sull'intera popolazione che ora stanno cercando modi per negare l' assistenza sanitaria alle persone.

Ma avremmo dovuto vederlo arrivare. Fino a poco tempo la sinistra ha anche affermato di volere un impiego universale ed un "pollo in ogni pentola". Ma dal momento che l'amministrazione Biden ha covato l'idea di legare l'occupazione ai vaccini all'inizio di quest'anno, i sostenitori dell'obbligo di vaccinazione ora vogliono ridurvi alla fame.

Gli stessi spacciatori dell'obbligo lo hanno anche progettato per garantire che se doveste essere licenziati per esservi rifiutati, non sareste idonei per l'assicurazione contro la disoccupazione. Sebbene in molti casi gli obblighi vengono imposti ai datori di lavoro, i politici locali hanno concluso che rifiutare il vaccino costituisce essere licenziati "per giusta causa". Ciò rende possibile negare l'assicurazione contro la disoccupazione a questi dissidenti (inutile dire che i legislatori progressisti non sono intervenuti per espandere lo stato sociale su questo argomento. Solo i governi statali controllati dai repubblicani hanno preso provvedimenti per garantire l'assicurazione contro la disoccupazione ai dissidenti).

Si scopre che l'assistenza sanitaria, il lavoro ed una "rete di sicurezza sociale" non sono diritti dopo tutto. Ora i sostenitori dell'obbligo di vaccinazione hanno deciso che sia i programmi sociali che i poteri di regolamentazione possono essere cinicamente impiegati per ottenere la conformità dai cittadini.

Da qualche tempo il governo federale vi si sta lentamente avvicinando. Ad esempio, se i sostenitori dell'obbligo di vaccinazione vogliono perseguire uno schema basato sui "permessi di lavoro", non dobbiamo guardare oltre il programma E-Verify promosso a lungo dai sostenitori dell'immigrazione. È un database federale progettato per negare l'impiego a persone sprovviste di documenti di immigrazione adeguati. Non è necessario essere un oracolo per vedere come un'infrastruttura normativa simile potrebbe essere utilizzata per collegare strettamente lo status di vaccinazione all'occupazione.


Un sistema di “credito sociale” basato sullo status di vaccinazione

Una lezione qui è che l'infrastruttura di un potenziale stato di sorveglianza medica è già stata stabilita da programmi e regolamenti che non avevano nulla a che fare con i lasciapassare vaccinali. In tutto questo gli Stati Uniti stanno seguendo le orme di stati più centralizzati in cui le risorse sono pianificate in modo più centralizzato.

Ad esempio, già prima dell'emergenza Covid, il Servizio Sanitario Nazionale nel Regno Unito aveva iniziato a negare le cure mediche ai pazienti in sovrappeso ed ai fumatori. Nel 2017 alcuni "comitati sanitari locali" controllati dallo stato si sono mossi "per vietare l'accesso ad interventi chirurgici di routine o non urgenti nell'ambito del Servizio sanitario nazionale fino a quando i pazienti non miglioravano le loro condizioni di salute". Data la natura dell'assistenza sanitaria britannica, questi pazienti hanno poche opzioni tranne che sottostare agli editti dei burocrati sanitari. Avendo stabilito un monopolio quasi totale sull'assistenza sanitaria nel Regno Unito, il SSN può più o meno dettare chi riceve le cure e chi no.

Allo stesso modo, nello stato di polizia noto come Singapore, il regime ha annunciato lo scorso novembre che avrebbe negato i benefici sanitari pubblici ai non vaccinati qualora avessero avuto bisogno di cure mediche.

Ma forse la notizia più inquietante tra tutti questi tipi di programmi è il sistema di "credito sociale" cinese, che può essere utilizzato per un numero infinito di fini.

Infatti il "lasciapassare vaccinale" sta diventando una versione nostrana del sistema di "credito sociale" cinese in cui l'obbedienza allo stato serve come misura di quante "libertà" sono concesse ad un cittadino. Come riportato dall'Associated Press nel 2019:

Aspiranti viaggiatori sono stati bloccati dall'acquisto di biglietti aerei 17,5 milioni di volte l'anno scorso per reati di "credito sociale", comprese tasse non pagate e multe, in un sistema controverso che secondo il Partito Comunista al governo migliorerà il comportamento pubblico [...].

Le autorità hanno sperimentato il "credito sociale" dal 2014 in aree di tutta la Cina. I punti vengono detratti per aver infranto la legge o, in alcune aree, reati minori come portare a spasso un cane senza guinzaglio.

Come ha evidenziato Eunsun Cho per il Journal of Public and International Affairs, il sistema è un "progetto basato sui dati per monitorare, valutare e modellare il comportamento di tutti i cittadini e le imprese". Originariamente progettato per raggiungere determinati fini economici, come il pagamento delle tasse, il piano si è presto ampliato e

una volta scoperto che un individuo si è impegnato in un comportamento disonesto, dovrà affrontare restrizioni su un'ampia gamma di attività direttamente e indirettamente correlate al comportamento. Ad esempio, la mancata adozione di una sentenza del tribunale può portare a limitazioni non solo sulle domande di sussidi statali o su determinate licenze professionali, ma anche sulla vendita di beni, sulla gestione di attività commerciali, sull'uso dei trasporti e sul consumo di articoli di lusso.

Da notare che lo scopo più ampio del sistema è sempre l'obbedienza. Coloro che dissentono e si rifiutano di obbedire vanno incontro a "sanzioni". Il sistema del credito sociale funge da modello per l'attuale imposizione di lasciapassare vaccinali a livello nazionale. Il fatto che lo stato cinese controlli le pensioni e l'occupazione in una vasta gamma di settori è estremamente utile per lo stato.


Il futuro dello stato sociale: utilizzare i “benefici” per ottenere la conformità

La crescita sia della burocrazia che dello stato sociale ha aperto la strada a nuovi modi per ottenere conformità sui vaccini e potenzialmente su quasi tutto il resto. Aspettiamoci che i poteri di regolamentazione vengano ampiamente utilizzati in qualsiasi area in cui sono già stati confermati. Ad esempio, il membro del Congresso Don Beyer della Virginia ha già introdotto una legislazione che lega il "diritto" di viaggiare in treno o in aereo con la conformità sui vaccini.

Negli Stati Uniti, tuttavia, i limiti ai poteri di polizia ed ai poteri di regolamentazione del governo federale si riveleranno molto probabilmente un ostacolo, pertanto dovremmo aspettarci che esso utilizzi il potere finanziario sugli appaltatori e sui beneficiari sociali, come abbiamo già visto, per ottenere la conformità.

Ma se milioni di americani dipendono anche da assegni del welfare di vario genere, ulteriore regolamentazione non sarà nemmeno necessaria: basterà semplicemente giocare la carta dei "benefici sociali" per ottenere ciò che vuole.

A questo proposito, le potenziali proposte di "reddito di base universale" potrebbero essere particolarmente utili per lo stato. Un programma di reddito di base universale potrebbe essere impiegato come una "carota" per convincere la popolazione ad accettare qualsiasi obbligo e requisiti burocratico. L'equazione è semplice: lo stato deve solo dire "fai questa cosa e riceverai $1.000 al mese".

Questo denaro "gratuito" potrebbe quindi essere legato al rispetto di un numero qualsiasi di obblighi immaginati dalle agenzie governative. Quando la maggior parte della popolazione si affida allo stato per l'assistenza sanitaria o ad un assegno mensile, le possibilità sono praticamente infinite.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 15 novembre 2021

L'inflazionismo della FED è la causa del caos nelle supply chain

 

 

di Ryan McMaken

Sembra che i sostenitori dell'amministrazione Biden abbiano infine optato per una narrativa che amano al fine di spiegare le carenze nelle catene di approvvigionamento: l'economia degli Stati Uniti sta procedendo così bene che gli americani chiedono enormi quantità di merci. Questo atteggiamento sta sopraffacendo le supply chain e causando il caos che turba i porti e le infrastrutture logistiche americane.

Ad esempio, il segretario ai trasporti Buttigieg questo mese ha dichiarato: "La domanda è aumentata [...] perché il reddito è aumentato, perché il presidente ha guidato con successo questa economia fuori dalel fauci di una terrificante recessione".

Allo stesso modo la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki ha detto ai giornalisti che i problemi delle catene di approvvigionamento si stanno verificando perché "le persone hanno più soldi [...] i loro salari sono aumentati [...] abbiamo assistito ad una ripresa economica ed è ancora in corso".

Questa posizione è stata derisa da un certo numero di politici conservatori, tra cui il senatore Ted Cruz, e commentatori finanziari, i quali trovano questa ipotesi assurda. Infatti Cruz e altri critici potrebbero indicare una varietà di fattori che vanno dal peso delle normative statali al problema dei lockdown che limitano la produttività dei lavoratori nelle catene di approvvigionamento.

Eppure i difensori dell'amministrazione Biden hanno ragione sulla domanda e sulla spesa dei consumatori, anche se per le ragioni sbagliate. Come ha mostrato Mihai Macovei lo scorso mese, il volume globale degli scambi e delle spedizioni nel 2021 ha superato i numeri pre-pandemia. Ad esempio, nel porto di Los Angeles le "importazioni caricate" e le "importazioni totali" per l'anno fiscale 2020-21 (che termina il 30 giugno 2021) sono aumentate rispetto allo stesso periodo dell'anno fiscale 2018-19.

In altre parole, c'è davvero un movimento maggiore in questi porti e ciò suggerisce che la domanda è più alta.

Ma perché? In un certo senso è vero che, come dice Psaki, "la gente ha più soldi", ma qui, tuttavia, è dove finisce anche la veridicità e l'utilità dei difensori di Biden nello spiegare il problema.

Il cuore della risposta la ritroviamo nell'inflazione monetaria. Ovviamente Joe Biden non ha "guidato con successo l'economia" attraverso nulla, ma è corretto dire che le persone hanno più soldi in senso nominale. I salari sono saliti a livello nominale. Dopotutto, se guardiamo all'immensa quantità di nuovo denaro creato negli ultimi diciotto mesi, dovremmo assolutamente aspettarci che le persone abbiano più denaro in cui sguazzare, ma questo significa anche molta più pressione sull'infrastruttura logistica poiché le persone acquistano più beni di consumo.

L'idea che i problemi delle catene di approvvigionamento stiano "alimentando l'inflazione" significa intendere il rapporto di causalità alla rovescia. È l'inflazione dell'offerta di denaro che sta causando molti dei problemi nelle catene di approvvigionamento. Non il contrario.

A partire da settembre 2021 M2 è passato da $15.200 miliardi a $20.900 miliardi rispetto a febbraio 2020. Si tratta di un balzo del 35%. Sì, parte di questo denaro è rimasto all'interno del sistema bancario  grazie alle riserve in eccesso i cui interessi vengono pagati dalla FED, ma gran parte è entrata nella cosiddetta "economia reale" attraverso il welfare state, le indennità di disoccupazione e la spesa in deficit federale.

All'inizio la gente ha risparmiato molto di questi stimoli, con il tasso di risparmio personale che ha raggiunto i massimi storici di oltre il 25%, ma la scorsa estate il tasso di risparmio è crollato di nuovo ed a settembre è tornato sotto l'8%. La gente ora sta inondando l'economia con i suoi risparmi precedenti.

L'appetito americano per la spesa in beni di consumo non è scomparso, tuttavia ci sono molte ragioni per sospettare che questa corsa alla spesa non sia supportata dall'effettiva attività economica e sia un fenomeno dell'inflazione monetaria.

Ad esempio, l'odierno tsunami della spesa solleva non pochi interrogativi se si considera che ci sono ancora circa 5 milioni di persone in meno che lavorano nell'economia americana rispetto all'inizio del 2020. Ciò significa che meno persone vengono pagate. Senza inflazione monetaria, un'economia con milioni di lavoratori in meno suggerisce che ci dovrebbe essere meno spesa.

Inoltre la spesa aumenta quando la gente sospetta che l'inflazione aumenterà. Cioè, se c'è una percezione che il valore del denaro diminuirà, anche la relativa domanda diminuirà. Come ha osservato Ludwig von Mises : "Una volta che l'opinione pubblica è convinta [...] che i prezzi di tutte le merci ed i servizi non smetteranno di aumentare, tutti diventano desiderosi di acquistarne il più possibile e di limitare la propria liquidità ad una dimensione minima".

Ciò significa più spesa. Questo fenomeno è già evidente nei prezzi delle case e dei generi alimentari e la gente potrebbe sospettare che l'aumento dei prezzi sia destinato a continuare. Nel frattempo l'indice dei prezzi al consumo, una misura molto limitata dell'inflazione dei prezzi dei beni, è comunque vicino al massimo da trentacinque anni a questa parte. Ciò significa che ora è un buon momento per spendere.

Con l'aumento dei risparmi indotto dalla situazione del 2020, le persone ora si chiedono se quegli stessi risparmi producono rendimenti, infatti proprio adesso si stanno sicuramente accorgendo che gli interessi sui risparmi sono quasi zero. A causa della politica dei tassi d'interesse estremamente bassi della banca centrale, viviamo in un mondo affamato per rendimenti decenti. Questo va bene per gli hedge fund che possono abbuffarsi di carry trade e altre forme di investimento ad alto rendimento, ma le persone normali sono bloccate con tassi d'interesse che non tengono il passo con l'inflazione dei prezzi. Quindi ha più senso spendere dollari piuttosto che risparmiarli.

I sostenitori di Biden hanno in un certo senso ragione che le persone hanno "più soldi" e che "la domanda è in aumento". Infatti questo è proprio quello che ci aspetteremmo in un ambiente inflazionistico, dove la domanda per tutto (tranne il denaro) sarebbe in aumento.

Tuttavia rimane un quesito: quanto ancora continuerà in termini reali e aggiustati all'inflazione l'effetto manna dal cielo del denaro a pioggia? È troppo presto per dirlo, anche se possiamo già vedere che gli utili medi aggiustati all'inflazione sono crollati del 6,3% annuo durante il secondo trimestre del 2021. Possiamo vedere che la crescita del PIL reale è drasticamente rallentata.

Per quanto riguarda il terzo trimestre è abbastanza chiaro che gli Stati Uniti erano, e probabilmente lo sono ancora, nel bel mezzo di un boom inflazionistico. Ma quanto durerà?


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 15 settembre 2020

Il 2020 sarà l'anno dei record per i debiti... ma quanto ancora può durare?



di Ryan McMaken

Il deficit è sceso durante il mese di luglio, dopo mesi di carenze record nelle entrate fiscali federali. Nei mesi di aprile, maggio e giugno di quest'anno i disavanzi sono aumentati a livelli senza precedenti quando l'attività economica si è arrestata, i lavoratori sono stati licenziati e il pagamento delle tasse è stato posticipato.

Tuttavia, secondo l'ultimo rapporto del Dipartimento del Tesoro sulle entrate fiscali e sugli esborsi federali, il divario tra entrate fiscali e spesa federale si è ridotto notevolmente nel mese di luglio. Sebbene le spese siano aumentate a $626 miliardi nel mese di luglio (un aumento del 68% rispetto a luglio 2019), le entrate fiscali sono aumentate oltre i $563 miliardi.

Negli ultimi mesi le entrate fiscali sono state, nella migliore delle ipotesi, anemiche, con totali che vanno da $173 miliardi a $249 miliardi da marzo 2020. L'impennata delle entrate a luglio non indica un miglioramento dell'economia. Normalmente le entrate fiscali raggiungono il picco ad aprile, ma a causa del panico sanitario di quest'anno, le scadenze fiscali sono state posticipate e tali entrate differite hanno iniziato a comparire nei dati del Tesoro USA a luglio.


Aspettatevi una maggiore crescita dei deficit

I totali degli incassi di luglio riflettono l'attività economica prima dei lockdown e del calo dell'attività economica a causa del "distanziamento sociale". In altre parole, è probabile che le entrate peggioreranno in modo significativo con l'avvicinarsi della fine dell'anno fiscale, il quale termina il 30 settembre.

In tal caso, possiamo aspettarci che il deficit federale cresca ancora di più, portandolo ad un nuovo massimo storico per l'anno fiscale 2020.

Infatti per questo anno fiscale fino a luglio, il deficit federale è aumentato di oltre il 200% dal 2019, raggiungendo i $2.800 miliardi. Per lo stesso periodo nel 2019 (da ottobre a luglio), il deficit è stato di $866 miliardi. L'ultima volta che si è solo avvicinato alla cifra attuale è stato quando ha superato i $1.200 miliardi nell'anno fiscale 2009.


Migliaia di miliardi in nuovi prestiti

Pronti ad aggiungere più di $3.000 miliardi al debito nazionale solo nel 2020, gli Stati Uniti stanno prendendo in prestito più che mai nonostante un debito di circa $25.000 miliardi.

Quindi che tipo di ripagamento stiamo esaminando? Anche prima che arrivasse il Covid-19, il Congressional Budget Office stimava che gli Stati Uniti avrebbero pagato più di $400 miliardi nel 2020 (rispetto a circa $650 miliardi per il budget della difesa). Ora, però, gli Stati Uniti stanno pagando circa $2.000 miliardi in più di quanto previsto dalle stime dello scorso anno.

Inoltre è improbabile che gli Stati Uniti possano sfoggiare tanto presto eventuali eccedenze di bilancio. È praticamente sicuro che i deficit continueranno a crescere e con essi ulteriori pagamenti di interessi sul debito.


“I deficit non contano”

La maggior parte degli americani non sembra particolarmente preoccupata per questo.

Un recente sondaggio del Pew Research Center suggerisce che  meno della metà degli americani considera il deficit federale "un problema importante". E perché dovrebbero? L'esperienza suggerisce che i deficit, per usare le parole dell'ex-vicepresidente Dick Cheney, "non contano". Dopotutto negli ultimi anni l'amministrazione Trump ha accumulato disavanzi sempre più grandi, superando i mille miliardi di dollari nel 2019, ed è improbabile che molti americani vedano una connessione tra deficit e malessere economico.

Però il problema dell'enorme quantità di spesa in deficit è più subdolo di questo.

In alcuni casi i problemi diventano evidenti solo quando i pagamenti degli interessi sul debito crescono notevolmente e iniziano a consumare il resto del bilancio.

Per ora pare che il Tesoro stia pagando "solo" circa $400 miliardi, ma questo è in gran parte dovuto al fatto che gli Stati Uniti pagano un tasso d'interesse bassissimo sul debito. Infatti i tassi d'interesse sul debito degli Stati Uniti sono ai minimi storici, con l'obbligazione trentennale sotto l'1,5% e le obbligazioni a breve termine a tassi ancora più bassi.

I tassi sono insolitamente bassi e persino il Congressional Budget Office prevede che saliranno considerevolmente nei prossimi anni.

E se i tassi d'interesse salissero anche solo al 3%? Se ciò dovesse accadere, il servizio del debito totale potrebbe salire oltre i mille miliardi di dollari. È un importo simile al totale pagato ogni anno in prestazioni previdenziali. Se ciò dovesse accadere, il Congresso dovrebbe trovare quei soldi da qualche parte. Per pagare gli interessi, dovrebbe tagliare i fondi della previdenza sociale, della difesa, della spesa per le infrastrutture, del Medicare o di qualche altro altro progamma.

Man mano che gli assegni del governo federale si riducono negli importi, la popolazione inizierà finalmente a comprendere il problema dei deficit.


Trasformare il debito in inflazione dei prezzi

Inoltre più gli Stati Uniti devono prendere in prestito denaro, più inondano il mercato di obbligazioni, cosa che tenderebbe a far salire il tasso d'interesse pagato. Dopotutto, se uno stato sforna obbligazioni senza fine, dovrà pagare più interessi per convincere gli investitori a continuare ad acquistarle.

Ma c'è una ragione per cui anche ora, mentre gli Stati Uniti aggiungono altri $3.000 miliardi al deficit, i tassi d'interesse non salgono.

Questo motivo è la banca centrale degli Stati Uniti, la Federal Reserve. Piuttosto che affrontare il dolore economico di dover pagare tassi più alti e tagliare la spesa federale per farlo, la banca centrale sta aiutando a mantenere bassi i tassi d'interesse.

La FED lo fa acquistando nuovo debito sul mercato aperto. Ciò aiuta a mantenere alta la domanda di strumenti di debito statunitensi e tiene bassi i tassi d'interesse.

In parte questo è anche il motivo per cui il bilancio della FED ora supera i $7.000 miliardi. La FED ha acquistato il debito dello Zio Sam, tra gli altri asset, per mantenere bassi i tassi d'interesse.

Ovviamente questo non significa che il problema sia risolto. La banca centrale generalmente effettua questi acquisti con denaro di nuova creazione e ciò significa che l'offerta di moneta cresce, con conseguente inflazione dei prezzi sia degli asset che dei beni di consumo, a parità di tutte le altre condizioni.

In altre parole, il rovescio della medaglia di deficit enormi e crescenti è un aumento dei prezzi delle case, un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e un aumento generale del costo della vita.


Peggiorare la disuguaglianza di reddito

Niente di tutto questo è un problema particolarmente grave per le persone che sono già benestanti. Infatti per chi lavora nel settore finanziario è una manna, ma per tutti gli altri, come le giovani coppie che cercano di comprare la prima casa o i genitori single che cercano di sbarcare il lunario, le cose vanno peggio; questa inflazione implacabile è davvero un grosso problema.

Dal punto di vista politico questo schema può essere mantenuto in piedi fino a quando il dollaro USA continuerà ad essere la valuta di riserva mondiale. Quando il dollaro non avrà più questo vantaggio, gli Stati Uniti dovranno infine affrontare una crisi del debito sovrano.

Ma alcuni osservatori pensano che ciò possa ancora essere evitato. Un recente articolo su The Hill  mostra il tipo di ingenuità che ancora pervade gli osservatori della politica americana:

"Finora abbiamo preso in prestito $2.800 miliardi, il triplo rispetto allo scorso anno", ha affermato Maya MacGuineas, presidente del Comitato per un bilancio federale responsabile. [...] a questo dovranno far seguito misure per ridurre il debito una volta che l'economia si sarà ripresa", ha aggiunto.

Fino a quando gli Stati Uniti non assisteranno ad un movimento mondiale per scaricare il dollaro come valuta di riserva, o fino a quando i tassi d'interesse negli Stati Uniti non inizieranno davvero a salire, non ci saranno "misure per ridurre il debito". Ci troviamo in un circolo vizioso di debiti e l'unica domanda è quanto tempo durerà prima che il paziente soccomba.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 1 aprile 2020

Finanziarizzazione: perché adesso il settore finanziario domina sull'economia globale





di Ryan McMaken


Leggere le notizie nel mondo di oggi significa confrontarsi con una vasta gamma di storie sull'organizzazione e le istituzioni finanziarie. Le notizie su banche centrali, tassi d'interesse e debito infestano ogni pagina di giornale.

Ma non sempre il settore finanziario e le istituzioni finanziarie sono state considerate così importanti. La politica in generale non sempre è stata intenzionata a sostenere le banche, mantenere bassi i tassi d'interesse e garantire un flusso sempre maggiore di prestiti a tassi ridicoli. Parlare nel dettaglio delle banche centrali, presupponendo che questi cambiamenti avessero un impatto diretto su quasi ogni aspetto della nostra vita, non sempre è stata la norma.

Ma è qui che siamo adesso.

Il cambiamento è reale ed è stato definito "finanziarizzazione". È nata da un'economia che via via s'è sempre più focalizzata sul settore finanziario rispetto ad altre aree economiche. Gli studiosi hanno suggerito molte ragioni per la sua nascita, ma spesso finiscono per incolpare i mercati. Infatti la vera causa sono decenni di politica statale e della banca centrale dedicati a far salire i prezzi degli asset sui mercati finanziari e al salvataggio del settore finanziario.



Che cos'è la finanziarizzazione?

"Finanziarizzazionr" è un termine usato per descrivere il processo attraverso il quale istituzioni finanziarie, come banche e hedge fund, hanno assunto il controllo delle economie e dei sistemi politici in gran parte del mondo.

L'economista Gerald Epstein fornisce una definizione: "La crescente importanza dei mercati finanziari, dei motivi finanziari, delle istituzioni finanziarie e delle élite finanziarie nel funzionamento dell'economia e delle sue istituzioni di governo".

La sociologa Greta Krippner ne fornisce un'altra: "La tendenza a realizzare profitti nell'economia si verifica sempre più attraverso canali finanziari piuttosto che attraverso attività produttive". 2

Alcuni studiosi hanno tentato di misurare la prevalenza della finanziarizzazione negli Stati Uniti. Forse l'esempio più comunemente indicato di finanziarizzazione è l'espansione delle armi finanziarie delle case automobilistiche statunitensi.

All'inizio degli anni 2000, la maggior parte dei profitti di GM proveniva dalle sue operazioni finanziarie e non dalla produzione automobilistica e l'indice S&P 500 è diventato sempre più dominato dalle società finanziarie.

Gli storici della finanziarizzazione in genere pongono le sue origini alla fine degli anni '70 o durante gli anni '80. Uno studio spesso citato di Lin e Tomaskovic-Devey mostra che il "rapporto tra entrate finanziarie e profitti" è più che raddoppiato negli anni '80 e poi è ulteriormente accelerato negli anni '90. Né questa tendenza è rimasta specifica agli Stati Uniti. I dati comparativi mostrano che la maggior parte dei Paesi ricchi ha subito trasformazioni simili.



Cosa dicono gli anticapitalisti riguardo le cause della finanziarizzazione?

Le cause della finanziarizzazione sono state a lungo dibattute. Alcune suggerite dagli studiosi sono basate sull'economia e altre sono sociologiche e culturali.

La finanziarizzazione è endemica al capitalismo in fase avanzata

L'accusa che la finanziarizzazione faccia parte della naturale evoluzione dei mercati ha le sue radici nel marxismo. Alcuni autori hanno affermato che la finanziarizzazione sia un processo ciclico che risale ai primi giorni del capitalismo, come descritto, ad esempio, da Giovanni Arrighi nel suo libro The Long Twentieth Century. Secondo Arrighi i sistemi capitalisti iniziano con una fase produttiva, ma finiscono, attraverso una competizione globale sempre più intensa, per entrare nella fase finanziaria nel tentativo di aumentare i profitti attraverso la speculazione finanziaria piuttosto che con la produzione. In questa prospettiva, la finanziarizzazione è solo un'altra fase del sistema capitalista ed è insita all'economia di mercato stessa.

In questa presunta naturale evoluzione del capitalismo, afferma Arrighi, "Le espansioni materiali alla fine portano ad un eccesso di accumulo di capitale [...] e sempre più la concorrenza si trasforma da somma positiva a gioco a somma zero (o anche a somma negativa)".

In un'epoca precedente, meno competitiva, i proprietari di capitale avrebbero potuto essere motivati ​​ad investire in impianti fisici, lavoro e produzione. Ma la globalizzazione e la "concorrenza spietata" rafforzano "la disposizione delle agenzie capitaliste a mantenere in forma liquida una parte crescente del loro flusso di cassa". Questo porta alla competizione tra gli stati per il capitale che finisce sempre più nei mercati finanziari. Il conseguente pregiudizio politico a favore dei proprietari di capitali porta a "ridistribuzioni del reddito da tutti i tipi di comunità alle agenzie che controllano il capitale mobile, gonfiando e sostenendo la redditività degli accordi finanziari in gran parte divisi dal commercio e dalla produzione".

L'ascesa del movimento "Valore per gli azionisti"

Una seconda causa affibbiata alla nascita della finanziarizzazione è l'accelerazione del movimento "valore per gli azionisti". Questa teoria, descritta in maggior dettaglio dal sociologo Gerald Davis, sostiene che prima degli anni '70 le società quotate in borsa erano importanti istituzioni sociali che svolgevano diverse funzioni oltre alla semplice produzione di beni e servizi. Grazie alle riforme imposte loro dai progressisti, queste corporazioni fornivano occupazione a lungo termine e fungevano da catalizzatori per il risparmio attraverso i loro programmi pensionistici. Secondo Davis: "L'azienda pubblica divenne l'attore indispensabile nell'economia americana".

Ma questo status quo, afferma Davis, fu distrutto dagli "insuccessi" negli anni '80 e le società furono "divise nelle loro parti costituenti". Ciò ha portato a licenziamenti e l'economia di queste società è diventata meno concentrata. Di fronte alla nuova concorrenza, hanno abbandonato il loro precedente ruolo sociale e si sono concentrate invece sul valore per gli azionisti. Questo nuovo panorama aziendale era quello in cui gli azionisti acquistavano e vendevano frequentemente le loro azioni e le società erano costrette a competere più ferocemente per offrire dividendi maggiori e una crescita dei prezzi delle azioni. Ciò ha risucchiato la ricchezza dai fondi pensione e dai programmi sanitari e ha diminuito i benefici sociali una volta forniti dal vecchio modus operandi.

Di conseguenza la finanziarizzazione è diventata pervasiva quando gli investitori e gli imprenditori hanno sempre più adottato l'idea che l'unico scopo di una azienda è aumentare il valore per gli azionisti piuttosto che la produzione e la propria quota di mercato. Sebbene produzione e una crescente quota di mercato possano contribuire al valore per gli azionisti, altri metodi potrebbero dimostrarsi più facili. Le aziende potrebbero aumentare il proprio valore agli occhi degli azionisti gonfiando i loro portafogli o sfruttando il potere di una mania speculativa. In ogni caso, la produzione di beni e servizi non finanziari è passata in secondo piano.

Manie speculative

Una terza teoria afferma che le manie speculative hanno favorito nel tempo la domanda del mercato di un numero sempre maggiore di strumenti finanziari che consentissero agli investitori di scommettere su quasi tutto. Queste manie possono essere innescate da qualsiasi ragione, da un rally eccezionale alla fine di una guerra o all'introduzione di una nuova tecnologia. Queste manie sono quindi accelerate da cambiamenti culturali o psicologici, accompagnando la percezione che esista una "nuova realtà". Gli economisti hanno tentato a lungo di utilizzare questi fattori culturali per spiegare gli eventi economici. John Maynard Keynes, ad esempio, usò il termine "spiriti animali" per riassumere questi cambiamenti non tangibili.

Queste teorie sono state rese popolari dagli economisti Hyman Minsky e Charles Kindleberger i quali dicevano che una volta che i mercati raggiungono un certo successo, tendono ad alimentare l'eccesso di fiducia nei mercati finanziari.

Sebbene la teoria riconosca che le manie possano essere innescate da fattori esterni, sostiene anche che i mercati stessi promuovano una tendenza verso aspettative non realistiche che "divergono rapidamente da valori intrinseci".

Secondo Krippner queste "teorie considerano i processi interni ai mercati come destabilizzanti piuttosto che stabilizzanti" (enfasi aggiunta).

In ogni caso, il risultato è che gli investitori cercano di ottenere maggiori benefici finanziari scommettendo sulle bolle anziché sulla produzione di beni fisici e servizi non finanziari. Ciò che ne viene fuori è la finanziarizzazione.

Deregolamentazione

La "liberalizzazione" è anche un tema di spicco in molte analisi sulla finanziarizzazione.

Krippner, per esempio, conclude che "la svolta verso la finanza è stata avviata dalla deregolamentazione finanziaria negli anni '70".Ciò è stato seguito dall'allentamento di numerosi regolamenti su come le banche potessero pagare gli interessi ai depositanti (nota anche come versione pre-1986 del Regolamento Q).

In breve, l'abolizione di varie normative sul settore finanziario, molte delle quali erano esistite dal New Deal, ha messo in moto un maggiore flusso di capitale e ha portato ad una maggiore concorrenza tra banche e società finanziarie per i dollari dei risparmiatori. Mentre il gioco degli investimenti era stato relativamente noioso e tranquillo prima della deregolamentazione degli anni '70 e '80, la nuova concorrenza ha portato ad una vasta gamma di strumenti di investimento più rischiosi ma potenzialmente più gratificanti.

Secondo questa narrazione il denaro si è riversato nel settore finanziario, poiché le società di investimento e le banche erano in competizione più che mai e aumentavano i rendimenti per gli investimenti. Ciò ha risucchiato denaro da altri settori che offrivano ancora i vecchi rendimenti moderati che derivavano dagli investimenti in servizi manifatturieri e non finanziari.



La vera causa: salvataggi, banche centrali e la “Greenspan Put”

I critici della finanziarizzazione hanno ragione a dire che esiste. E a volte hanno ragione nel descrivere come eventi come la deregolamentazione e le manie abbiano modellato il modo in cui è stata alimentata. Ma queste teorie non spiegano le cause profonde di come il settore finanziario sia diventato un paradiso sicuro e redditizio per così tanto capitale.

L'incapacità di identificare la causa principale ha molte implicazioni. Dopotutto, se si presume che i mercati stessi contengano i semi della finanziarizzazione e che questi processi siano semplicemente scatenati quando gli stati concedono loro una maggiore libertà, allora possiamo facilmente concludere che i mercati non possono funzionare senza un carico considerevole di regolamentazione statale e che devono essere incolpati per le varie crisi degli ultimi decenni.

Se i mercati causano ripetutamente crisi globali, forse il mercato è davvero "un motore continuo che alimenta crisi", per usare il termine di David Stockman.

Ma questa narrativa ignora le caratteristiche chiave dell'economia moderna: gli stati usano la politica fiscale e monetaria per indebolire notevolmente la disciplina del mercato attraverso i salvataggi e l'interventismo, progettati per abbassare artificialmente i tassi d'interesse ed aumentare l'offerta di moneta.

Queste politiche tendono ad essere maggiormente orientate verso il settore finanziario, quindi il rischio di investire in esso è ridotto artificialmente, soprattutto per coloro che sperano di beneficiare di salvataggi (completi o parziali) e di prestiti facili in caso di crisi. In quanto "prestatori di ultima istanza", le banche centrali sono in grado di spingere facilmente liquidità nel settore finanziario. Ciò incoraggia gli investitori ad acquistare asset rischiosi.

Anche coloro che pensano che i mercati stessi incoraggino un rischio eccessivo sono consapevoli del problema dei salvataggi. Ad esempio, sebbene Minsky e Kindleberger abbiano sostenuto che le manie speculative hanno le loro radici nei mercati, hanno comunque ammesso che tali manie erano spesso peggiorate dalla presenza di una banca centrale che agiva come prestatore di ultima istanza. Krippner riassume questo punto: "Se gli istituti finanziari sanno che saranno salvati, sono incoraggiati a speculare senza ritegno, rendendo la crisi più grave quando arriverà".

Sebbene i cambiamenti nella linea di politica durante gli anni '70 e all'inizio degli anni '80 possano aver contribuito alla finanziarizzazione, la causa fondamentale è stata la rimozione del rischio dal mercato attraverso i salvataggi statali. Dopotutto, sulla scia della deregolamentazione, è presto diventato evidente che il nuovo ambiente finanziario non era sempre una via semplice verso la ricchezza: Continental Illinois divenne la più grande banca fallita della storia degli Stati Uniti nel 1984. Il mercato azionario andò in crash nel 1987. Se i mercati fossero stati liberi di agire, suddetto default sarebbe stato un segnale che gli investimenti rischiosi presentano sempre un aspetto altamente negativo.

Ma gli investitori non hanno imparato nulla da quella lezione. Continental Illinois fu salvata quando il governo degli Stati Uniti la nazionalizzò, proteggendo i suoi azionisti. Dopo il crollo del mercato nel 1987, il nuovo presidente della FED, Alan Greenspan, "inondò immediatamente il sistema bancario con nuove riserve, facendo sì che il Fed Open Market Committee (FOMC) acquistasse enormi quantità di titoli di stato dal mercato dei pronti contro termine".

In altre parole, questo nuovo mondo della finanziarizzazione post-anni '70 non aveva nemmeno un decennio che i politici avevano già suggerito agli investitori che se fossero finiti nei guai li avrebbero salvati.

All'inizio degli anni '90 gli Stati Uniti erano entrati nel mondo della cosiddetta "Greenspan Put", in base alla quale divenne presto chiaro che la banca centrale sarebbe intervenuta per salvare i mercati ogni volta che gli investitori avrebbero assunto troppi rischi. Mentre le istituzioni del settore finanziario avrebbero potuto raccogliere i frutti durante i tempi di vacche grasse, sarebbero stati salvati dai contribuenti durante i periodi di vacche magre. Con Greenspan la banca centrale era lì per salvare ripetutamente il settore finanziario in vari modi. Abbiamo assistito alla crisi finanziaria messicana, alla crisi finanziaria asiatica della fine degli anni '90 ed ai salvataggi che hanno fatto seguito alla bolla delle Dot-com. Dopo il 2004 Greenspan è stato il responsabile della bolla immobiliare.

La Greenspan Put non è stata abbandonata dopo che l'ideatore ha lasciato il Consiglio della Federal Reserve. È stata portata avanti sotto varie forme da tutti i suoi successori, quindi è facile capire perché il settore finanziario sia diventato il luogo di riferimento per gli investitori rispetto ad altri settori. Perché investire in settori che non verranno salvati quando è probabile che un'assunzione scriteriata di rischi nel settore finanziario venga invece premiata?

Anche quando i salvataggi non sono l'obiettivo, i ripetuti sforzi delle banche centrali per iniettare più liquidità nei mercati attraverso la creazione di nuova moneta hanno favorito il settore finanziario rispetto ad altri settori dell'economia. Robert Blumen ha descritto i meccanismi che impediscono alle politiche delle banche centrali di determinare l'inflazione dei prezzi degli asset nell'inflazione dei prezzi al consumo. Ciò significa che gli aumenti di prezzo degli asset finanziari, come le azioni, fanno salire ulteriormente il valore percepito del settore finanziario rispetto ad altri settori. Tutto ciò spinge la finanziarizzazione ben oltre ciò che accadrebbe in un libero mercato.



Finanziarizzazione e la nostra economia alimentata dalle bolle in sequenza

Sebbene ricercatori come Arrighi, Davis e Krippner descrivano tutti i vari aspetti della finanziarizzazione, queste teorie non offrono spiegazioni soddisfacenti del fenomeno. Anche se i cambiamenti culturali, i nuovi strumenti di investimento o la mancanza di una regolamentazione statale consentissero nuove vie di investimento nel settore finanziario, non vi è motivo di credere che la paura umana per le perdite sia cambiata. In un mercato funzionante la promessa di immensi profitti attraverso gli investimenti nel settore finanziario è mitigata dalla paura di subire una perdita. Quando gli investitori vedono fallire le banche e le azioni crollano, normalmente vedono questi eventi per quello che sono: una dimostrazione del lato negativo della finanziarizzazione.

Ma negli ultimi decenni gli stati e le banche centrali non hanno permesso che ciò accadesse.

Quindi non è sufficiente tentare di descrivere la finanziarizzazione in termini di cambiamenti culturali o vaghe nozioni marxiste dell'evoluzione capitalista. Al centro del problema c'è l'intervento dello stato progettato per fornire alla classe di investitori più guadagni e meno perdite.

Tuttavia la "saggezza" prevalente tra i policymaker ed i banchieri centrali è che quantità sempre maggiori di finanziarizzazione, sostenute da ripetuti interventi statali, sono in qualche modo solo una caratteristica naturale ed inevitabile dell'economia di mercato. Bolla dopo bolla e crisi dopo crisi, le banche centrali sono sempre più disposte a provare interventi rischiosi e "non tradizionali", che si tratti di tassi d'interesse negativi, abolizione della liquidità fisica, o acquisti sempre più grandi di asset senza valore. Grazie a decenni di finanziamenti sponsorizzati dallo stato, la posta in gioco sale sempre più in alto.

Ma forse la parte più triste di tutto ciò è che quando arrivano le crisi, i mercati si beccano la colpa di ciò che non sarebbe mai accaduto se non fossero stati ostacolati nel loro funzionamento.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 3 marzo 2020

Chi ha votato pro-Brexit non è “irrazionale” come crede chi la pensa diversamente





di Ryan McMaken


Chris Johns sull'Irish Times è sgomento per tutto il supporto che vede nei confronti della Brexit. È seccato dal fatto che molti a favore stiano andando contro i propri interessi economici, almeno secondo la sua opinione.

Johns osserva, ad esempio, che la Brexit potrebbe avere un impatto significativo sulla produzione britannica e potrebbe essere problematica per la crescita del reddito e le entrate fiscali. Rassegnato alla Brexit come dato di fatto, però, suggerisce di provare a rendere la transizione il più indolore possibile, ma insiste: "La Gran Bretagna ne uscirà più povera o molto più povera". Ma è troppo tardi per evitare i danni: "Abbiamo cercato di avvisare la gente dei pericoli della Brexit, ma è andata avanti e l'ha supportata comunque. Quindi adesso starà peggio."

A Johns manca una bella porzione di tematiche economiche avanzate dai sostenitori della Brexit.

Al momento anche i dati economici suggeriscono che gli inglesi stiano meglio oggi, ma il gioco della Brexit per molti è sempre stato uno in cui i sostenitori ritengono che l'indipendenza politica porterà guadagni economici nel lungo termine, anche se ci saranno problemi nel breve termine. Ciò non prova che i sostenitori stiano agendo contro i propri interessi economici, o che non capiscano le realtà economiche. Mostra semplicemente che le loro previsioni sul futuro sono diverse da quelle di Johns.

Ma l'incomprensione di quest'ultimo va ben oltre. Il motivo principale per cui presume che le persone staranno peggio è la sua mancata comprensione del processo di calcolo di costi e benefici. Una volta che andiamo oltre le nozioni di "homo economicus", ci rendiamo conto che i benefici della Brexit possono essere molteplici e non possono essere tracciati da alcun ufficio statale e non compaiono in alcun dato statistico. Ad economisti ed esperti che limitano i loro calcoli a statistiche misurabili, manca un grosso pezzo di come gli esseri umani misurano e valorizzano il mondo che li circonda.



Non possiamo apporre un numero sul costo di opportunità dell'adesione all'UE

Sono state elaborate statistiche ufficiali per tenere traccia degli eventi identificabili e numerabili, questo è il motivo per cui numeri come "tassi di disoccupazione" e "redditi mediani" costituiscono la spina dorsale delle statistiche dei governi. Possono essere identificati e conteggiati con relativa facilità sulla base di sondaggi o dell'osservazione diretta. Ma questi numeri sono a malapena utili quando si tratta di misurare il mondo reale.

Gran parte della preoccupazione per l'abbandono dell'UE si è concentrata su questioni che sono difficili da quantificare, come i regolamenti governativi e le opportunità perse. Come si quantifica esattamente un nuovo regolamento sulle imprese britanniche emesso dai burocrati dell'UE? Una singola azienda potrebbe essere in grado di rischiare un'ipotesi, ma i dati aggregati sono molto meno affidabili e molto meno calcolabili con precisione.

Ancora più difficile da conteggiare è il costo di opportunità dell'adesione all'UE. Come osservato da alcuni critici, ad esempio, l'adesione all'UE ha limitato la capacità del Regno Unito di espandere gli scambi al di fuori del blocco europeo. Non c'è modo di mettere un numero su quanto queste opportunità perse possano essere costate alle famiglie britanniche. Certamente alcuni ricercatori c'hanno provato, ma finiamo per discutere dell'accuratezza e della pertinenza della ricerca. In definitiva, c'è bisogno del giudizio di ogni singola persona per valutare se l'adesione all'UE "valga o meno".



Il “profitto psicologico” di lasciare l'UE

Altre cose sono ancora più difficili da quantificare delle opportunità perse: i benefici immateriali dell'uscita dall'UE.

Ad esempio, un elettore pro-Brexit potrebbe sostenere che le leggi britanniche dovrebbero essere decise in Gran Bretagna, anche se ciò significa pagare dazi più elevati. Pertanto l'indipendenza politica sarebbe più preziosa della vendita di merci in Francia a dazi inferiori. Ovviamente, non c'è modo di determinare esattamente quanti benefici produca "l'indipendenza politica" per una persona, ma il valore è reale.

Ora siamo nel regno del "profitto psicologico", quel profitto che una persona percepisce nella propria mente operando una certa azione o in presenza di un certo stato di cose. Il problema con i profitti psicologici è che non sono quantificabili come lo sono i profitti in denaro. Come ha sottolineato l'economista Ludwig von Mises, i profitti e le perdite sono "qualità psicologiche e non riducibili a qualsiasi descrizione interpersonale in termini quantitativi". Inoltre Mises osservava che i "fenomeni psicologici" da cui derivano queste valutazioni implicano "magnitudini incalcolabili". Anche se una persona apprezza la Brexit più del commercio con dazi bassi, è impossibile stabilire quanto di più.

Un problema contabile simile si presenta con la questione dell'immigrazione. Alcuni elettori sostengono la Brexit perché sperano che ridurrà l'immigrazione. In questo caso, alcuni hanno concluso che i loro profitti psicologici saranno migliori qualora circondati da persone di lingua e cultura simili.

Di fronte all'idea che maggiori controlli sul lavoro dei migranti potrebbero aumentare il costo della vita, alcuni potrebbero tuttavia concludere che la perdita psicologica derivante dall'immigrazione superi i benefici monetari della manodopera a basso costo.

Tutto ciò dovrebbe illustrare che quando parliamo della decisione di un elettore di sostenere una determinata linea di politica, non stiamo impiegando una scienza esatta. Sostenendo politiche che potrebbero in definitiva portare a prezzi più alti o dazi più elevati, non si sta necessariamente cadendo vittime dell'analfabetismo economico. Si sta semplicemente prendendo una posizione che, nella propria mente, qualcosa che non può essere misurato in libbre ha più valore di qualcosa che può essere misurato in libbre. È un processo di calcolo razionale, solo che è un calcolo impossibile da quantificare.

Alcuni economisti trovano questo genere di cose piuttosto fastidioso. Johns, ad esempio, si lamenta del fatto che la "guerra culturale" dietro la Brexit abbia portato ad "un danno collaterale accettabile". Intende dire che gli elettori hanno abbandonato quello che considera un pensiero economico valido a favore di "benefici" che non possono essere conteggiati. Nella mente di esperti come Johns, le persone sono "irrazionali" se scelgono una politica che potrebbe ridurre il loro reddito misurato in dollari o sterline.



Il vero problema: la maggioranza impone politiche sulla minoranza

I critici della Brexit come Johns farebbero bene ad ammettere che i loro avversari non sono analfabeti economici e gente irrazionale. Ma anche se siamo tutti d'accordo sul fatto che persone diverse calcolano i benefici economici nei loro modi non misurabili, non abbiamo risolto i nostri problemi politici.

Politiche come la Brexit saranno sempre problemi finché le persone che esprimeranno giudizi di valore diversi saranno costrette a vivere sotto un governo comune. Abbiamo un problema perché la maggioranza può imporre una politica alla minoranza perdente.

Nel caso della Brexit, ad esempio, quasi metà della popolazione sembra essere indifferente all'adesione all'UE, o attivamente a sostegno di essa. E proprio come i dati statistici non possono dirci se i sostenitori della Brexit hanno "ragione", non possono nemmeno esprimere un giudizio sui sostenitori dell'UE. A molti di quest'ultimi piace il fatto che l'UE imponga normative ambientali a tutti gli stati membri, che l'adesione all'UE aumenti l'immigrazione per motivi estranei ai fattori economici e alcuni ritengono di trarre beneficio emotivo da un'Europa politicamente unita.

Ciò non significa che questa minoranza di elettori dovrebbe essere costretta a lasciare l'UE perché lo afferma il 51% della popolazione.

L'ideologia alla base della democrazia non offre risposta a questo problema. Abbiamo una situazione in cui circa la metà della popolazione crede di trarre profitto (psicologicamente o meno) da una certa linea di politica, ma circa la metà della popolazione ritiene di trarre profitto dalla linea di politica opposta. Questo problema peggiora ulteriormente se ridotto a livello regionale. La maggior parte dei residenti in Scozia, ad esempio, si oppone alla Brexit ed ora che quest'ultima è una realtà parecchi scozzesi sostengono l'indipendenza. Sembrerebbe violare le nozioni di base della giustizia insistere sul fatto che la Scozia sia tenuta a rispettare per sempre i dettami della maggioranza inglese.



Ora i separatisti scozzesi sono quelli “irrazionali”

Nonostante siano stati informati su quanto fossero economicamente inetti a sostenere la Brexit, alcuni stanno ora rivolgendo gli stessi argomenti agli scozzesi. Questo sedicente esperto, per esempio, potrebbe anche dire "guardate quei folli degli scozzesi, vogliono tagliarsi fuori dal loro miglior partner commerciale (Inghilterra)!" Nella mente di coloro che si oppongono all'indipendenza, i dettami del buon senso economico significano che la Scozia dovrebbe rimanere nel Regno Unito. Ma gli esperti anti-indipendenza potrebbero commettere lo stesso errore degli esperti anti-Brexit. Potrebbe essere che gli scozzesi pro-indipendenza ritengano di trarre maggiori benefici dall'indipendenza piuttosto che dall'unità, anche se le statistiche ufficiali dicono diversamente. Se molti scozzesi credono veramente in questo, sarà molto difficile convincerli del contrario, indipendentemente da quanti studi economici vengono stilati.

Alla fine rimane sempre un problema politico che non può essere risolto insistendo sul fatto che tutte le persone intelligenti concordano con noi perché i nostri fogli di calcolo e contatori di fagioli ci dicono quale posizione politica è "migliore".

Nulla di tutto ciò dovrebbe suggerire che l'economia sia sbagliata. Sì, i dazi bassi sono migliori di quelli alti. Sì, gli imprenditori dovrebbero essere liberi di assumere lavoratori indipendentemente dal loro Paese di provenienza. Sì, le normative statali sulle imprese sono un onere distruttivo, che siano imposte da Londra o da Bruxelles. Ma il dibattito sulla Brexit non riguardava se i dazi alti siano migliori di quelli bassi, bensì chi dovesse decidere sui dazi, e dove e come. Si trattava di questioni ben al di là del fatto che un ulteriore 1% di crescita potesse o meno essere escluso dal PIL nel trimestre successivo. Molti hanno cercato di trasformare la Brexit in un semplice dibattito sulla politica economica, ma l'economia come immaginata dagli statistici non è mai stata sufficiente per capire come le persone abbiano calcolato il valore di lasciare l'UE.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 27 febbraio 2020

Brexit: le previsioni di una catastrofe economica dimostrano il perché le persone ignorano gli “esperti”





di Ryan McMaken


Il titolo è inequivocabile: "Brexit Is Done: The UK Has Left the European Union". Il 31 gennaio è stata applicata la Legge dell'Unione Europea del 2018 sulla dipartita di uno stato membro e il Regno Unito ha iniziato il processo di uscita dall'Unione Europea. Tale processo continuerà per tutto il 2020, mentre i governi di Regno Unito ed UE negozieranno la natura delle loro relazioni future.

Ora che l'uscita britannica dall'Unione Europea è una realtà a tutti gli effetti, la situazione economica nel Regno Unito è sorprendentemente tranquilla.

Questa sarà una sorpresa per coloro che credevano in quegli esperti (economisti e commercialisti) che annunciavano una paralisi economica del Regno Unito in caso di Brexit effettiva.

Eppure non abbiamo assistito ad alcun tumulto economico. Certamente i mercati e le società si sono mosse per adattarsi alla nuova realtà, in gran parte al di fuori del mercato comune dell'UE, ciononostante è da scartare che il Paese sia in bilico sul bordo di un disastro economico causato dalla Brexit.



Previsioni di catastrofe

Non doveva andare così.

Gli oppositori di un'uscita britannica, compresi burocrati, economisti e commercialisti, insistevano sul fatto che non solo l'eventuale uscita sarebbe stata disastrosa per l'economia del Regno Unito, ma che anche l'incertezza del mercato associata ad essa avrebbe paralizzato l'economia britannica.

Ad esempio, il Ministero del Tesoro del Regno Unito ha pubblicato una relazione nel maggio 2016 affermando:
Un voto per l'uscita provocherebbe un profondo shock economico, creando instabilità e incertezza che sarebbero aggravate dai negoziati complessi e interdipendenti che ne seguiranno. La conclusione dell'analisi è che l'effetto di questo profondo shock spingerebbe il Regno Unito in recessione e comproterebbe un forte aumento della disoccupazione.

Secondo la relazione sopraccitata, questo disastro economico non richiedeva nemmeno un'uscita completa dall'UE. Il semplice atto di voto a favore dell'abbandono avrebbe innescato enormi problemi economici.

Nel frattempo l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) in una relazione dell'aprile 2016 prevedeva che la Brexit sarebbe costata alla Gran Bretagna l'equivalente di oltre tremila sterline a famiglia e "avrebbe rappresentato un grave shock negativo per l'economia del Regno Unito, con ripercussioni nel resto dell'OCSE".

Analisi più sfumate hanno discusso gli effetti di una "Brexit" no-deal rispetto ad una Brexit più "soft". Ma in vista delle elezioni, e negli anni seguenti, il messaggio era chiaro: la Brexit renderà la Gran Bretagna significativamente più povera.

Tuttavia, investitori, imprenditori e consumatori non sembrano essere stati convinti che gli ostacoli al commercio internazionale posti da una Brexit sarebbero stati sufficienti a mandare in recessione l'economia del Regno Unito. Gli investitori non hanno abbandonato le opportunità di investimento nel Regno Unito e gli imprenditori hanno scartato l'idea di un un onere tariffario schiacciante. Anche se l'UE insiste, il Regno Unito ha altri importanti partner commerciali. Infatti il Telegraph ha scritto: "La forza dell'economia britannica sta sfidando le previsioni del destino post-Brexit"; Bloomberg scrive che, nonostante le previsioni di enormi perdite nel settore finanziario, "sin dal referendum Londra ha esteso la sua leadership nel mercato dei cambi esteri e dei derivati ​​sui tassi d'interesse". Il Telegraph ha anche fatto notare che, man mano che la Brexit si avvicinava, le assunzioni sono aumentate e la crescita economica, misurata con i metodi abituali degli economisti, è aumentata.



I “costi di transazione” vanno oltre le barriere commerciali

L'affermazione secondo cui la Brexit avrebbe reso tutti più poveri era basata sull'ossessione che avrebbe fatto salire i cosiddetti "costi di transazione" per le imprese britanniche in termini di dazi e altri ostacoli alla libera circolazione di lavoro e merci. L'ipotesi affermava che gli affari con il Continente fossero semplificati e sostanzialmente privi di attriti, mentre l'uscita dall'UE avrebbe sollevato molte nuove barriere.

Questo è un argomento comune tra economisti e politici che favoriscono una maggiore razionalizzazione del commercio e della migrazione attraverso accordi internazionali.

Minimizzare i costi di transazione è sempre una buona cosa, a parità di condizioni. È positivo quando il commercio aumenta e quando i Paesi, e gli individui al loro interno, sono in grado di trarre vantaggio dalla divisione del lavoro. È anche positivo quando i consumatori e gli imprenditori possono scegliere autonomamente quali prodotti desiderano acquistare e da dove.

Ma il problema con l'integrazione economica dell'UE è che tende a portare anche una integrazione politica.

Pertanto l'integrazione economica è seguita da una serie di stringhe collegate sotto forma di gestione burocratica dall'alto. Tale gestione è stata estesa nel corso del tempo e gli oneri normativi ad essa associata sono opprimenti.

Ralph Peters alla Hoover Institution definisce l'UE come "un mostro burocratico" che interferisce assurdamente con "le strutture della vita quotidiana".

Peggio ancora, cercare di ridurre questo onere burocratico è estremamente difficile per ogni singolo membro dell'UE. Qualsiasi modifica significativa agli editti burocratici in tutta Europa richiede un enorme sforzo per ottenere sostegno dagli altri stati membri e per far avanzare le riforme. Il fardello imposto sulle piccole imprese e sugli imprenditori è particolarmente dannoso. Come ha osservato Peter Chapman su Politico "l'antipatia dell'UE nei confronti degli imprenditori rimane un enorme ostacolo" al miglioramento economico. Sebbene i vantaggi apparenti dell'adesione all'UE possano essere evidenti in termini di barriere commerciali ridotte, i benefici netti sono molto meno per coloro che sono consapevoli del costo reale della burocrazia dell'UE. Non solo l'adesione all'UE comporta costi di transazione elevati in termini di normative aggiuntive, ma la natura delle istituzioni non elette dell'UE ha reso la burocrazia meno reattiva, meno flessibile e più permanente. Questo di per sé è un onere aggiuntivo al di là delle normative stesse.

Alcuni commentatori anti-Brexit hanno detto che la Brexit non porta automaticamente ad un sollievo dagli oneri normativi. Questo è certamente vero, ma tutto ciò significa che gli imprenditori ed i consumatori britannici stanno puntando sull'idea che intanto si scrolleranno di dosso i provvedimenti normativi europei e che il costo del commercio internazionale non salirà a livelli paralizzanti. Ma significa anche che se i politici britannici vogliono cambiare o ridurre questi oneri burocratici, non devono recarsi a Bruxelles per farlo. In altre parole, il settore privato sembra avere una visione a lungo termine, mentre gli esperti anti-Brexit sono ossessionati dal futuro a breve.

Quindi coloro che prevedono un vantaggio economico sulla scia della Brexit non sono ottimisti a vuoto. Come sottolienato da numerosi commentatori pro-Brexit, le relazioni commerciali del Regno Unito sono globali e non dipendono solo da condizioni favorevoli con il blocco dell'UE. Anzi l'adesione all'UE ha limitato gli scambi del Regno Unito con il mondo esterno. La Cina e l'Asia orientale stanno rapidamente diventando più importanti per una strategia commerciale globale rispetto all'UE e ciò vale anche per i principali Paesi dell'UE come la Germania. Inoltre, nel caso in cui coalizioni politiche di imprenditori, contribuenti e consumatori cerchino un rimedio normativo, avranno maggiori possibilità e capacità di cercare un cambiamento a Londra piuttosto che a Bruxelles.



Gli economisti non possono prevedere il futuro

Quindi cosa succede adesso?

Certo, il fatto che finora non ci sia stata una grave crisi economica sulla scia della Brexit non significa che non possa accadere. Ma poi di nuovo, anche se l'economia del Regno Unito finisse in recessione, quanto di tutto ciò potrebbe essere attribuibile alla Brexit? I cicli di boom/bust sono ancora una realtà e possono essere innescati da molti fattori.

Ma c'è una cosa che sappiamo: gli stessi "esperti" che hanno predetto il caos economico a seguito di un voto di uscita, difficilmente prevederanno con precisione eventuali effetti della Brexit.

Infatti la complessità dei cambiamenti futuri nel panorama legale, politico e internazionale è tale che qualsiasi economista responsabile dovrebbe ammettere che non sa cosa accadrà.

In un articolo intitolato "Mission Impossible: Calculating the Economic Costs of Brexit", Roch Dunin-Wasowicz della London School of Economics scrive:
È un dato di fatto, stimare i costi che circondano un evento stocastico futuro (o rottura strutturale) è facile come prevedere il tempo dell'anno prossimo. I matematici finanziari conoscono la questione meglio di chiunque altro. Considerando che in precedenza nessuno è mai uscito dall'Unione Europea (né in alcuna area economica altamente integrata), la stima dei costi completi non è possibile. I tentativi che sono stati fatti prima del referendum hanno coinvolto molte ipotesi, comprese solide premesse per quanto riguarda la reazione delle altre economie e dei partner commerciali all'interno dell'UE e oltre. Inoltre la questione coinvolge una moltitudine di aspetti al di là di quelli strettamente legati al commercio, come produttività e vantaggio competitivo, mobilità del lavoro, istruzione, complementarietà transfrontaliera, interdipendenza macroeconomica, allineamenti delle politiche (macroeconomiche), interdipendenza finanziaria, flessibilità, innovazione finanziaria, liquidità, rischi sistemici e stabilità finanziaria o efficacia politica prudenziale.

Questa realtà, tuttavia, non impedirà agli attivisti anti-Brexit di incolparla per ogni sviluppo negativo nel Regno Unito nei prossimi anni.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 7 gennaio 2020

Dov'è l'inflazione? In azioni, immobili ed istruzione





di Ryan McMaken


Prima di lavorare per il Mises Institute uno dei miei colleghi sapeva della mia affiliazione con la Scuola Austriaca. Sulla scia dei salvataggi e del quantitative easing che seguirono la crisi finanziaria del 2008, a volte mi diceva: "Dov'è tutta quell'inflazione di cui voi Austriaci continuate a parlare?"

Ma poi, nella stessa conversazione, avrebbe parlato con sgomento di come gli aumenti dei prezzi delle abitazioni avessero superato il reddito delle famiglie nella regione.

Non aveva bisogno di una mia risposta. Aveva trovato da solo un po' di "quell'inflazione".



Le variazioni di prezzo non sono omogenee

Questi scambi mettono in evidenza alcuni dei punti ciechi che troviamo ripetutamente tra gli economisti e gli esperti che insistono sul fatto che non c'è inflazione, o che c'è persino deflazione. (In questo articolo parlo solo dell'inflazione dei prezzi e non dell'inflazione dell'offerta di moneta.) Che una persona viva o meno in un'economia inflazionistica può variare ampiamente il suo stato socioeconomico, la sua posizione, il suo stadio della vita e la sua età. Per coloro che necessitano di servizi di istruzione superiore, alloggio, assistenza sanitaria e risparmi per la pensione, l'attuale economia inflazionistica potrebbe essere davvero problematica.

Ciò non significa che l'inflazione dei prezzi stia aumentando ovunque. I prezzi del petrolio sono scesi di quasi la metà dal 2014, ad esempio, il che significa costi di trasporto inferiori per la maggior parte di noi. I prezzi dell'abbigliamento sono in calo da decenni.

Tuttavia la misura ufficiale dell'inflazione, l'Indice dei prezzi al consumo (IPC), mostra un aumento negli ultimi dieci anni. Nel corso dei dieci anni dal 2009 al 2018, il valore dell'IPC è aumentato del 15%. È aumentato del 50% nei vent'anni dal 1999.



Nessuna deflazione qui: immobili, assistenza sanitaria, azioni e istruzione

Tuttavia l'aumento dell'IPC è stato notevolmente superato dai prezzi in numerosi settori.

Ad esempio, il prezzo dell'istruzione superiore è aumentato del 30% negli ultimi dieci anni. Allo stesso tempo, la spesa sanitaria pro capite è aumentata del 27%.

Aumenti ancora maggiori si riscontrano nei prezzi delle azioni. Secondo il Case-Shiller, ad esempio, l'indice delle abitazioni di venti città è aumentato del 50% dal 2009 al 2018. Nello stesso periodo il Dow Jones è aumentato del 108%.

Solo perché l'inflazione dei prezzi si sta manifestando più in alcuni beni e servizi che in altri non significa che non ci sia.


I sostenitori dello status quo tendono a difendere gli aumenti dei prezzi delle abitazioni sulla base del fatto che è positivo per le persone che possiedono tali beni. Sfortunatamente non tutti sono proprietari di case.

Coloro che respingono l'idea di un'inflazione dei prezzi alta potrebbero anche affermare che l'IPC riflette la situazione del mondo reale, perché non tutti seguono un'istruzione universitaria e non tutti hanno bisogno di servizi medici considerevoli. È vero, e in questi casi si potrebbero usare le medie per illustrare che gli aumenti della spesa in queste aree sono più contenuti rispetto all'esperienza di molti individui.

Ma questo alla fine mostra solo il problema con aggregati e medie per rappresentare il costo della vita.

In pratica, gli aumenti dei prezzi degli asset danneggiano gli acquirenti che per la prima volta acquistano una casa e le famiglie a basso reddito che finora non sono state in grado di permettersi un anticipo ed i prezzi esorbitanti di adesso. Né tutti sul mercato comprano immobili molto presto. O mai addirittura. Anche gli aumenti dei prezzi immobiliari fanno aumentare gli affitti, e questo è un problema sia per i giovani che per coloro a basso reddito. Negli ultimi dieci anni nell'area metropolitana di Denver l'affitto medio è aumentato del 60% rispetto all'aumento dell'IPC del 16%. A Phoenix l'affitto medio è aumentato del 7% dal 2018 al 2019.

L'IPC potrebbe dirci che l'inflazione è "contenuta" o "attenuata", infatti ci sono molte persone i cui bilanci stanno sperimentando comunque grandi successi. Inoltre i prezzi delle case sono una parte importante delle spese mensili della maggior parte delle famiglie. In combinazione con la spesa sanitaria e l'istruzione superiore, gli aumenti del costo della vita che abbiamo visto nell'ultimo decennio non sono certo qualcosa che potremmo definire "deflazionistico".

I difensori della posizione "non inflazione" potrebbero dire: "Ma questi aumenti di prezzo sono moderati dalle diminuzioni dei prezzi in altri luoghi!" Ciò può essere vero, ma le case, l'assistenza sanitaria e l'istruzione rappresentano una parte considerevole delle spese di una famiglia. Il calo dei prezzi di abbigliamento e benzina è così considerevole da annullare gli aumenti delle abitazioni e delle medicine? Abbastanza improbabile per una persona media, pertanto non possiamo presumere che il paniere di beni dell'IPC rifletta necessariamente le realtà economiche quotidiane che la gente comune deve affrontare. Per molte persone che non corrispondono al profilo dell'americano "medio", generico, o aggregato, i numeri ufficiali potrebbero non riflettere affatto la realtà. Infatti sembra che i consumatori a basso reddito, i giovani e gli anziani siano quelli che soffrano di più. Ad esempio, i pensionati con redditi fissi non possono aumentare i loro redditi lavorando di più per tenere il passo con gli aumenti dei prezzi. E i giovani senza asset avranno più difficoltà ad acquisire risorse se i prezzi accelerano incessantemente verso l'alto. Le persone in carriera con redditi flessibili e con asset sono una cosa, tutti gli altri hanno maggiori probabilità di incappare in seri problemi.



Una bassa inflazione non vuol dire automaticamente che "non" c'è inflazione

Infine è importante tenere presente che ciò che viene regolarmente propagandato come "bassa inflazione" non è poi così bassa.

Ad esempio, anche se ci viene detto che viviamo in un'epoca di inflazione eccezionalmente bassa, la misura dell'IPC mostra che oggi abbiamo bisogno di $1,50 per comprare beni e servizi che venti anni richiedevano solo un dollaro. Anche nell'ultimo decennio, oggi abbiamo bisogno di $1,17 per comprare ciò che un dollaro una volta acquistava.

Il tanto decantato standard di inflazione al 2% mostra risultati simili. Se le banche centrali fossero in grado di inchiodare il livello di inflazione al 2%, finiremmo comunque con un dollaro che perde quasi la metà del suo valore in 20 anni. In questo scenario un dollaro perderebbe quasi un quinto del suo valore in un solo decennio.

Per le persone normali che non possono contare su un rendimento del 4% sui loro investimenti e che dipendono da banche che pagano circa l'1%, ciò significa perdita considerevole di ricchezza nonostante i migliori sforzi per risparmiare.

Sebbene i banchieri centrali insistano sul fatto che un tasso di inflazione al 2% offra "stabilità dei prezzi", la realtà è un significativo deprezzamento della ricchezza per coloro che fanno fatica ad acquisire beni e che potrebbero trovarsi di fronte a problemi di salute, affitti elevati e spese universitarie spropositate.

Ciò potrebbe spiegare una parte della crescente divisione tra investitori ad alto reddito e americani a medio/basso reddito. Spesso non possono trarre vantaggio dalle opzioni a più alto rendimento di cui godono già i percettori di redditi elevati e portafogli ricchi di asset.

Come dimostrato da Karen Petrou in una recente ricerca, molte persone normali hanno collocato la loro ricchezza nel settore immobiliare, spesso in immobili nei mercati meno inflazionistici nell'America centrale. Il risultato è stato una classe di investitori più ricchi in costose città costiere che possiedono molte azioni e proprietà immobiliari in mercati alla moda. Ma ci sono anche molti americani che hanno portafogli più piccoli e possiedono proprietà immobiliari nei mercati che hanno visto molto meno apprezzamenti. L'inflazione non è affatto uniforme a livello nazionale ed è più favorevole in alcuni luoghi, e per alcuni gruppi socioeconomici, rispetto ad altri.

Niente di tutto ciò appare nei dati aggregati ufficiali, ma i risultati sono reali. Alcuni beneficiano notevolmente dall'inflazione dei prezzi degli asset, mentre altri non ne beneficiano affatto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/