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mercoledì 20 agosto 2025

Lo tsunami di insolvenze in Germania: crollo strutturale in corso

La creazione e la proliferazione delle banche centrali nel corso dell'ultimo secolo hanno promesso una maggiore stabilità finanziaria. Tuttavia, come dimostrano continuamente la storia e gli eventi attuali, non hanno impedito le crisi finanziarie. La loro frequenza e gravità hanno oscillato, ma non sono diminuite da quando le banche centrali sono diventate il principale soggetto nella regolamentazione dei mercati finanziari e negli interventi monetari. Al contrario, hanno introdotto nuove fragilità e modificato la natura, ma non la ricorrenza, delle turbolenze finanziarie. L'evidenza empirica sfata il mito secondo cui le banche centrali abbiano posto fine all'era delle crisi finanziarie frequenti. Indipendentemente dalla loro supervisione, un boom del credito ha preceduto una crisi bancaria su tre. Chi lo ha creato? Le banche centrali attraverso la manipolazione dei tassi d'interesse. Secondo documenti di lavoro dell'FMI, ci son ostate 147 crisi bancarie solo tra il 1970 e il 2011, in un'epoca di predominio delle banche centrali. Le crisi finanziarie rimangono un fenomeno globale persistente, che si verifica in cicli che coincidono con episodi di espansione del credito. Le banche centrali hanno spesso prolungato periodi di espansione con tassi bassi e acquisti di asset, e hanno creato bruschi momenti di crisi dopo aver commesso errori in materia di inflazione e rischi di credito. Tuttavia, a ogni crisi successiva, la soluzione è sempre stata la stessa: programmi di acquisto di asset più ampi, e aggressivi, e tassi reali negativi. Ciò significa che le banche centrali sono gradualmente passate dall'essere prestatori di ultima istanza a prestatori di prima istanza, un ruolo che ha amplificato le vulnerabilità economiche. A causa della globalizzazione e delle innovazioni finanziarie, le crisi tendono ad avere dimensioni più ampie e complesse, colpendo la maggior parte delle nazioni. Il profondo coinvolgimento delle banche centrali nei mercati fa sì che le loro linee di politica, come la liquidità di emergenza o gli acquisti di asset, mascherino i rischi sistemici, portando a fallimenti ritardati ma più impattanti. In molte economie avanzate le recenti crisi sono state innescate dall'accumulo di debito e dalle distorsioni di mercato, spesso con il pretesto di mantenere la stabilità. La Banca Mondiale afferma che circa la metà degli episodi di accumulo di debito nei mercati emergenti sin dal 1970 ha coinvolto crisi finanziarie, e gli episodi associati a esse sono stati caratterizzati da una maggiore crescita del debito e un'economia stagnante. Le principali crisi degli ultimi decenni hanno evidenziato che le banche centrali non le prevengono, spesso i loro interventi hanno solo ritardato la resa dei conti, aggravando gli squilibri sottostanti, in particolare il debito pubblico. Le banche centrali usano il loro enorme potere per mascherarne l'insolvenza e aumentarne il prezzo, il che porta a un'eccessiva assunzione di rischi e a un'inflazione dei prezzi degli asset. L'espansione monetaria e la NIRP del 2020, perpetuate fino al 2022 nonostante l'impennata dell'inflazione, ne sono un chiaro esempio. Gli stati hanno beneficiato del periodo di espansione consentendo loro di far lievitare spesa pubblica e debito. Nel frattempo cittadini e piccole imprese hanno sofferto di un'inflazione elevata. Quando le banche centrali hanno infine riconosciuto il problema che avevano contribuito a creare, hanno mantenuto linee di politica accomodanti, dando priorità alla liquidità, alimentando una maggiore irresponsabilità da parte degli stati, e l'aumento dei tassi ha danneggiato le finanze delle famiglie e delle piccole imprese che in precedenza avevano subito l'esplosione dell'inflazione. Gli stati non si sono preoccupati degli aumenti dei tassi perché hanno aumentato le tasse. La Banca d'Inghilterra, ad esempio, così come la BCE, continua a tagliare i tassi e ad allentare la politica monetaria nonostante l'aumento dell'inflazione. La controtendenza degli USA non è un caso, invece, visto che mirano a riformare il sistema e stanno già mettendo in cantiere le basi di questa riforma.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lo-tsunami-di-insolvenze-in-germania)

La Germania è investita da un'ondata di insolvenze. Ora, nel terzo anno di una prolungata recessione, la situazione economica è più allarmante rispetto alla crisi finanziaria del 2009.

La spirale di morte delle imprese tedesche ha raggiunto proporzioni drammatiche. Secondo il Leibniz Institute for Economic Research di Halle (IWH), il secondo trimestre del 2025 ha fatto registrare il numero più alto di insolvenze tra società di persone e società di capitali degli ultimi 20 anni. Nonostante un leggero calo a giugno, la tendenza persiste: la sostanza economica della Germania si sta erodendo e, con essa, la nazione sta silenziosamente dicendo addio alla sua prosperità.


Estinzione di massa delle aziende tedesche

Solo a giugno gli economisti dell'IWH hanno contato 1.420 fallimenti aziendali, in calo del 4% rispetto a maggio, ma i confronti su base annua rivelano l'intera portata della crisi: un aumento del 23% rispetto a giugno 2024. Le cifre sono anche superiori, di oltre il 50%, rispetto alla media pre-lockdown. Particolarmente degno di nota: in stati economicamente forti come la Baviera e l'Assia, le insolvenze sono aumentate in modo sproporzionato, rispettivamente dell'80% e del 79%.

Nel complesso, nel secondo trimestre sono state registrate 4.524 insolvenze aziendali, con un aumento del 7% rispetto al primo trimestre del 2025.

Gli economisti citano non solo la recessione in corso, ma anche una correzione di mercato attesa da tempo, dopo anni di tassi di interesse bassissimi imposti dalla Banca Centrale Europea. Come afferma Steffen Müller, responsabile della ricerca sull'insolvenza presso l'IWH: “Per molti anni i tassi di interesse estremamente bassi hanno impedito i fallimenti e, durante la pandemia, gli aiuti di Stato hanno mantenuto in vita aziende già deboli”. Ora il mercato sta reclamando il suo potere di pulizia.


Evitare l'analisi della causa principale

Ma questa rottura strutturale si scontra con un vuoto nella politica economica.

Sebbene l'analisi dell'IWH eviti di affrontare le debolezze strutturali più profonde e i danni politici autoinflitti, questi rimangono i fattori decisivi alla base dell'isolamento economico della Germania. Gli elevati costi energetici, l'eccessiva regolamentazione e la pressione fiscale – per gli standard internazionali – stanno spingendo le aziende al fallimento o alla fuga all'estero. I lavoratori ne stanno ora risentendo sempre di più.

Secondo la società di consulenza Ernst & Young, nel 2025 saranno probabilmente tagliati oltre 100.000 posti di lavoro, soprattutto nel settore industriale, la principale vittima della crisi energetica e normativa. Dal periodo pre-COVID l'industria tedesca ha perso circa il 10% del suo volume di produzione. Considerato isolatamente, il settore è finito più in una depressione che in una recessione. Nelle condizioni attuali, un ritorno a un percorso di crescita sostenibile è improbabile.

Anche il settore edile, duramente colpito, sta soffrendo. Un tempo elemento stabilizzante nel 2020-21, l'attività edilizia è crollata sin dal 2022. La produzione edilizia reale è diminuita del 4% nel 2024, con un ulteriore calo previsto del 2,5-3% per il 2025. Nel complesso il volume reale delle costruzioni nel 2025 sarà inferiore del 10-12% rispetto ai livelli del 2019.


False speranze di salvataggio

Il governo tedesco prevede un piano di stimolo economico da €847 miliardi, finanziato tramite debito, nell'arco di quattro anni, destinato principalmente al potenziamento delle infrastrutture e dell'apparato militare. Tuttavia la maggior parte dei fondi sarà probabilmente destinata a colmare le lacune del sistema previdenziale tedesco, ormai in piena emorragia.

Solo nel 2025 si prevede un deficit previdenziale di almeno €140 miliardi. Il governo federale deve colmare questa lacuna per evitare un aumento vertiginoso dei costi secondari. In caso contrario gli ambiziosi piani di investimento dell'amministrazione Merz crolleranno.

La Germania è diventata un caso socioeconomico problematico e i suoi leader si aggrappano all'ormai sorpassato copione keynesiano. Si prevede che la spesa pubblica, finanziata attraverso il debito e sostenuta dalla soppressione dei tassi d'interesse da parte della BCE, darà una spinta all'economia.

Ma questo non accadrà. Solo il mercato può allocare in modo efficiente il capitale scarso verso usi produttivi che creino prosperità. Berlino ancora deve comprendere questa realtà.

Il recente accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea costerà alla Germania circa €6,5 miliardi in dazi solo nel primo anno, ma ben più dannoso sarà l'esodo delle aziende che trasferiscono le proprie attività negli Stati Uniti per evitare i dazi, a meno che il sistema tariffario tedesco non cambi.

L'ondata di debiti del governo Merz potrebbe ritardare brevemente l'ondata di insolvenze inondando i mercati di capitale artificiale, ma questo non farà che rinviare l'inevitabile resa dei conti: un'epurazione delle aziende zombi che prosperavano grazie al credito a basso costo o ai sussidi del Green Deal europeo.


Stato ipertrofico, ideologia verde

A poche settimane dall'insediamento di Friedrich Merz come cancelliere, una cosa è chiara: non si tornerà a una politica economica basata sul mercato. Merz si è rivelato un sostenitore del big government, dell'interventismo e dell'ortodossia della trasformazione verde.

La Germania detiene ancora il peso politico necessario per far fallire il programma di trasformazione di Bruxelles e forzare un ritorno alla razionalità economica. Tuttavia, finora, la rapida deindustrializzazione del Paese e la prolungata recessione non hanno innescato una rivalutazione critica del suo percorso politico.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 4 giugno 2025

L'etica del lavoro può tornare a dare i suoi frutti?

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/letica-del-lavoro-puo-tornare-a-dare)

Sono entusiasta quanto chiunque altro della prospettiva di un ritorno dell'industria manifatturiera americana, ma ci sono enormi ostacoli, tra cui le metriche di redditività della contabilità. Avrà senso dal punto di vista economico? Senza questo elemento, le aspirazioni politiche e la determinazione nazionale non saranno sufficienti.

Gli Stati Uniti hanno esternalizzato ingenti quantità della loro, un tempo enorme, potenza manifatturiera in Cina, Messico e altrove. Per decenni è sembrato un vantaggio reciproco, finché non ci siamo resi conto di quanto sia strano che l'America abbia talmente poche industrie da poterle definire davvero proprie.

Esistono diversi modi per affrontare questo problema, ma la sua portata non è ampiamente compresa. I differenziali salariali tra gli Stati Uniti e gli altri Paesi sono enormi e non facilmente superabili. Anche altri differenziali nei costi di produzione sono importanti, così come il valore problematico del dollaro. Il suo status di valuta di riserva mondiale consolida la logica economica delle importazioni rispetto alle esportazioni.

Ci sono altri problemi, tra cui uno più fondamentale: l'etica del lavoro americana. Si tratta di un problema culturale che emerge da decenni di soldi facili e dalla perdita di spirito imprenditoriale.

Una breve storia di ieri. Mi sono messo in coda al supermercato dietro una persona con un enorme cesto pieno di spesa, ma era sistemato in modo strano. Mentre la metteva sul nastro per la cassa, ha iniziato a usare i separatori, non in base al tipo di prodotto, ma in base a qualche altro criterio.

La osservavo attentamente mentre metteva i sacchetti di carta in ogni pila. Dopo che la prima tranche evasa, ha tirato fuori una carta e pagato. Poi ripeteva l'operazione. Infine ho capito: stava facendo la spesa per Instacart, non per una sola persona, ma per ben cinque famiglie.

Ho ripercorso in mente tutto il processo. Quando è entrata nel negozio, aveva una lista enorme e, passando per ogni corsia, tirava fuori la spesa per ogni cliente, separandola con cura e mantenendo questa separazione alla cassa, al pagamento, all'imbustamento e infine al trasporto.

La possibilità di errori in questo tipo di operazioni deve essere enorme. Un errore e il cliente si lamenterebbe sicuramente.

Ero un po' sbalordito dall'impresa ingegneristica che si stava svolgendo davanti ai miei occhi. Le ho chiesto come se la cavasse, ma al di là di una risposta laconica poco altro. Il suo inglese era stentato, quindi avevo difficoltà a comunicare. Ancora più importante, era troppo impegnata per chiacchierare con un tizio che se ne stava lì a chiedere informazioni.

Mentre ci pensavo, la guardavo lavorare con un certo stupore. Era meraviglioso. A giudicare dalle sue competenze linguistiche, è molto probabile che fosse un'immigrata recente, probabilmente senza un'istruzione “superiore”, ma con delle competenze pazzesche.

Com'è diventata così brava? La ripetizione e il miglioramento che ne consegue. È da lì che nasce l'abilità. Perché lo ripeteva così spesso? Perché doveva farlo per guadagnare. Il bisogno crea la disciplina e la disciplina alimenta l'abilità.

Un esempio veloce. Supponiamo che portiate a casa quattro sgabelli da bar girevoli dal negozio di bricolage, ma che debbano essere montati. Il primo è un disastro di viti e confusione, e potreste doverlo rifare una o anche due volte, destreggiandovi tra le istruzioni. È orribile. Il secondo è meglio. Quando arrivate al quarto, lo montate in una frazione del tempo impiegato per i precedenti.

Potreste pensare: “Wow, sono così bravo che potrei trasformarla in un'attività imprenditoriale”, ma è solo una delle competenze che ora possedete. La acquisite in un paio d'ore di lavoro intenso, ma ora ce l'avete. È così che concentrazione, disciplina, determinazione ed esperienza alimentano competenza e valore sul posto di lavoro.

Tim Cook di Apple ha chiarito che il vero motivo per cui gli iPhone e gli altri prodotti Apple vengono prodotti in Cina anziché negli Stati Uniti non è il salario. Sono l'abilità tecnica e la precisione. Questi prodotti richiedono estrema disciplina, conoscenza e profonda esperienza. Il numero di lavoratori in grado di farlo in Cina è elevato; negli Stati Uniti è esiguo.

Penso a tutti i “colletti bianchi” che ho conosciuto e che impazzirebbero se gli venisse chiesto di fare qualcosa di anche lontanamente così complicato. Dimenticatevi di assemblare un iPhone. Non potrebbero certo fare la spesa per cinque famiglie contemporaneamente, imbustarla e consegnarla.

È un'abilità fuori dalla loro portata e si irriterebbero se qualcuno glielo chiedesse. Probabilmente si lamenterebbero con le risorse umane e preparerebbero una causa legale. Farebbero un pasticcio con il primo ordine, avrebbero a che fare con clienti furiosi e un capo troppo autoritario, e si rifugierebbero nel flacone di pillole o nella bibita al THC per far passare il dolore.

A questo punto della storia, non sono sicuro che la classe operaia negli Stati Uniti sia all'altezza di questo tipo di produttività. La realtà del periodo di lockdown è che la maggior parte delle persone si è goduta due anni di svaghi, fingendo di lavorare. Quel periodo ha anche distrutto la motivazione di molti, viziando un'intera generazione di lavoratori d'élite, inducendoli a credere che fare soldi sia facile e senza sforzo.

Per 25 anni di tassi d'interesse artificialmente bassi – in particolare dal 2008 – la FED ha coltivato la sensazione che l'intero sistema si basi su una sorta di illusione. Certo, alcune persone sono ricche e altre povere, ma la differenza non ha nulla a che fare con il lavoro che svolgono. È tutta una questione di nascita, classe sociale, credenziali e fortuna nell'attrazione demografica.

Questa è una percezione tragica, completamente incoerente con la tradizionale etica americana del duro lavoro e della mobilità di classe. Una caratteristica del programma di Trump è quella di recuperare e ricostruire quell'idea con un cambiamento nelle strutture economiche, tra cui deregolamentazione e tagli fiscali. I dazi ne fanno parte, spinti dal presupposto che gli americani abbiano il necessario per rifare le cose.

Il presupposto alla base di questa politica è che investitori, imprenditori e lavoratori americani si adegueranno e realizzeranno prodotti eccellenti, godendo al contempo della protezione che i dazi doganali offrono contro la concorrenza estera. Anche se ciò dovesse accadere – ed è un grande se – gli americani sono davvero pronti a farlo? L'esternalizzazione di così tanta produzione manifatturiera va avanti da quasi 50 anni.

Le azioni di quel lavoratore di Instacart, impegnata in un'incredibile dimostrazione di abilità manageriale, sottolineano questo punto. Per generazioni, ci è stato detto che intelligenza e competenza sono distribuite in modo sproporzionato tra i livelli più alti della struttura di classe degli Stati Uniti.

Personalmente, non ci credo. È più probabile il contrario: le persone che lottano per vivere, facendo due o tre lavori per pagare le bollette, hanno più competenze della maggior parte delle persone nel terzo superiore della distribuzione del reddito che non hanno mai dovuto preoccuparsi di pagare le bollette.

Parlate oggi con qualsiasi persona seria in qualsiasi azienda di medie dimensioni e vi racconterà delle sue difficoltà. Le normative e le tasse sono esasperanti, ma sono i problemi di lavoro quotidiani a ostacolare davvero le loro attività e il loro progresso. È estremamente difficile trovare lavoratori che facciano ciò che devono fare con puntualità, attenzione ai dettagli e senza un costante supporto e complimenti.

Questo declino dell'etica lavorativa americana è in parte dovuto alle istituzioni scolastiche, ma anche al fatto che la maggior parte dei giovani che rientrano nella metà più alta della classe di reddito non ha mai lavorato un giorno in vita sua prima di aver conseguito un titolo di studio.

Non hanno la minima idea di cosa significhi accettare un lavoro duro e perseverare fino alla fine. Provano risentimento per le strutture autoritarie sul posto di lavoro e cercano di manipolare il sistema proprio come hanno manipolato la scuola per oltre 16 anni.

Una cosa è sviluppare competenze per sopravvivere in classe, un'altra è avere competenze per un nuovo mondo manifatturiero. I corsi di officina al liceo sono quasi del tutto scomparsi (solo il 6% degli studenti li frequenta, contro il 20% degli anni '80) e due terzi degli adolescenti rinunciano a un lavoro retribuito, semplicemente perché non è necessario. Sono passate generazioni da quando la maggior parte delle persone non sapeva nulla della vita in fattoria, per non parlare di quella in fabbrica.

Trump sta cercando di risolvere un problema vecchio di mezzo secolo in quattro anni. È una sfida seria e non posso dire di essere ottimista. Detto questo, ora ci sono reali opportunità per persone come il lavoratore che ho menzionato prima, persone che lavorano sodo, lavorano bene, perseverano nel loro compito e sono grate per le opportunità che hanno. Purtroppo queste caratteristiche sfuggono in gran parte ai laureati delle istituzioni scolastiche più prestigiose del nostro Paese.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 18 aprile 2025

Pandemonio sui dazi... facciamo chiarezza su cosa conta davvero

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/pandemonio-sui-dazi-facciamo-chiarezza)

Molto è stato detto nelle ultime settimane riguardo i dazi, ma senza un quadro generale coerente di quello che sta succedendo si perde il motivo per cui stanno accadendo determinate cose. Non si tratta di irrazionalità, perché secondo alcuni analisti tutto quello che conta sarebbe la teoria. No, non è un mondo prefetto questo, così come non è possibile seguire alla lettera un qualsiasi manuale teorico. Che sia di libero mercato o meno. Questa è la natura dell'essere umano in fin dei conti, dell'imprevedibilità dell'azione umana. Ci avvicineremo sempre alla teoria, quanto più possibile, ma non avremo mai un percorso “da manuale”. Sottolineo, a scanso di equivoci, che la teoria deve essere un punto di partenza per tutti, allo stesso modo. L'efficienza del libero mercato non si discute, il relativo meccanismo di allocazione delle risorse economiche scarse può avvenire con efficienza e precisione in un ecosistema in cui gli imprenditori hanno accesso libero e non fuorviato alle informazioni economiche necessarie. Nessuno mette in discussione la distorsione dei prezzi come fattore scatenante degli errori economici e, di conseguenza, di una misallocation di capitale. Qual è il problema con questo impianto teorico? Perché sulla carta è vero, ma non è riflesso completamente nella realtà? Nel momento in cui si ha una nazione che mette sul piatto, volente o nolente, il proprio bacino della ricchezza reale e permette agli altri attori economici di sfruttarlo a proprio vantaggio, è possibile emendare a suddette regole. Sia chiaro: per quanto apodittiche le leggi dell'economia non possono essere violate, questo a sua volta significa che l'aggiramento di suddette leggi è temporaneo e strettamente correlato all'erosione del sopraccitato bacino.

Finché va avanti sembra che ci sia un'eccezione alle regole e che possa andare avanti per sempre; poi arriva un momento critico che ricorda di come il nostro mondo è finito e non esiste alcun albero di Cuccagna a cui attingere sempre. Questa verità è stata chiara agli USA nel momento in cui hanno compreso le profonde implicazioni del sistema del dollaro offshore. Perché pensate che la Cina fosse uno dei maggiori detentori di titoli sovrani americani altrimenti? Uno dei centri famoso per l'intermediazione degli eurodollari è Hong Kong. E di quale colonia ha fatto parte (e fa ancora parte)? Regno Unito. Tutte le strade portano a Londra, soprattutto quella degli eurodollari. Di conseguenza non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e guardare ai mercati come la massima espressione di un consenso libero delle azioni coordinate degli individui: c'è sempre stato un recinto all'interno del quale si è agito, o che è stato accuratamente manipolato. L'ambiente di mercato può essere più o meno libero, ma non esiste un estremo.... in entrambe le direzioni. In fin dei conti, è la natura umana; l'essenza dell'azione stessa degli individui. Se non fosse così, tutte le nazioni avrebbero condizioni di partenza identiche e non ci sarebbero mercati del lavoro in cui la manodopera è pagata una miseria mentre il prodotto finito, passando per le varie filiere industriali, subisce ricarichi sproporzionati.

Mi rendo conto che quest'ultimo punto porta con sé un certo grado di etica al suo interno, quindi rivolgiamoci direttamente ai rapporti di potere tra nazioni: esistono le banche centrali e l'evoluzione economica ci ha portati a vivere in un mondo manipolato ad hoc in cui addirittura i Paesi cercano di sfruttare un vantaggio competitivo per “fregare il vicino” (beggar thy neighbour). I carry trade sono essenzialmente questo. La Cina e il Sud-est asiatico l'ha fatto tramite il mercato del lavoro; i grandi centri finanziari, come la City di Londra, l'hanno fatto tramite l'ingegneria finanziaria e l'eurodollaro. Non è affatto un caso che il picco della cosiddetta globalizzazione sia coinciso con l'inizio dei lavori del SOFR americano. Il colonialismo non è mai finito e i colonizzatori, Europa e Inghilterra, non hanno mai smesso di esercitare la loro influenza sulle proprie colonie storiche. Per quanto possano essersi ritirati a livello di facciata, sono diventati “partner commerciali”, “alleati strategici”, ecc. La Cina è stata lasciata “sorgere” per fungere da strumento, di ricatto anche talvolta. I salari sono bassi in Europa perché essa si arricchisce principalmente con l’export e quindi non si interessa al mercato interno e di conseguenza della capacità di spesa dei lavoratori. In Italia i salari sono al palo per un basso tasso di capitalizzazione delle imprese e la maggior parte della ricchezza prodotta la divora lo stato, quindi le imprese hanno poche risorse da investire in innovazione e attrezzature. I salari sono bassi anche per la concorrenza asiatica che costringe i lavoratori a condizioni poco umane.

Gli Stati Uniti hanno detto “Basta!”. I fattori “correttivi” implementati dall'amministrazione Trump nei confronti del resto mondo sono una manovra per emanciparsi dal giogo finanziario che rendeva gli USA i “salvatori” del mondo. Così come rendeva la FED il prestotre di ultima istanza del mondo. I colonialisti, così facendo, si sono garantiti un lasso di tempo in cui hanno governato senza patemi d'animo tenendo ben pasciuta e senza pensieri la popolazione sottostante. C'è dell'ironia qui: la mano invisibile del mercato di “smithiana” memoria, agendo tramite gli USA che fanno i loro affari e pensano principalmente al benessere della nazione, “aiuteranno” anche le altre di nazioni a migliorare le proprie condizioni smantellando tutte quelle architetture che erano considerate assodate nel mondo globalizzato di ieri. Il passo finale spetterà a loro, ovviamente, perché anche la “non azione” è una scelta.

È sacrosanto mirare ad avere un interventismo minore sui mercati, o addirittura nullo... ciò non vuole dire ignorare le meccaniche di sudditanza coloniale che ancora operano nel mondo. Se la Cina non ha preso ancora Taiwan è perché non gli è stato dato il permesso di farlo; sviluppare la propria industria dei chip è stato un modo per ovviare a questo “inconveniente” e crearsi una alternativa per tempi peggiori. Nessuno vuole essere una vittima sacrificale. A differenza di altri, loro l'hanno letto (e capito) Sun Tzu e sanno che, oltre a sfruttare la debolezza del nemico, ciò significa non sfoggiare le proprie attraverso la retorica magniloquente sui successi.

Ma, anche così, non è la Cina l'obiettivo finale dei dazi. Il piano generale degli USA è quello di isolarsi finanziariamente da un sistema che per decenni ha sfruttato la sua di forza per “regalarla” al resto del mondo. L'ordine monetario e finanziario uscito fuori dalla Seconda guerra monidale ha reso ipertrofico il mercato dei dollari offshore e sin dal 2008 non si è più ripreso. O per meglio dire, la Legge dei rendimenti decrescenti ha fatto il suo corso. Come accaduto nel 1985 con gli Accordi del Plaza, c'è bisogno di un nuovo reset solo che stavolta è necessario eliminare la fonte di azzardo morale alla radice: la FED si riprende in casa la sua politica monetaria e sfrutta per davvero adesso il “privilegio esorbitante” del dollaro. Un cambiamento epocale che non si pensava fosse possibile si sta dipanando sotto i nostri occhi.

Oggi vi permetterò di avere le idee chiare, quindi.


L'OBIETTIVO OLTREOCEANO

L'obiettivo oltreoceano è quello di continuare ad avere quante più fonti aperte da cui fluiscono gli eurodollari affinché la City di Londra possa sottoporli a leva e controllare di conseguenza il flusso di dollari al margine che circolano all'estero. Il sistema finanziario estero, che ha piramidato la sua esistenza su questo meccanismo per decenni, ne ha bisogno disperatamente soprattutto ora che l'amministrazione Trump ha iniziato a mettere ordine nei conti fiscali della nazione (mentre la FED ha iniziato a farlo nel 2022 nella componente monetaria). Non importa lo stock di dollari, quello che davvero è importante è il flusso di dollari al margine. E questo lo sappiamo dalla classica ABC dell'economia ed è stata una verità sin dalla rivoluzione marginalista di Menger: il prezzo di ogni cosa è impostato al margine. Di conseguenza se questo flusso viene prosciugato, è necessario, per chi ne trae la propria sopravvivenza economica/finanziaria, trovare nuovi modi affinché continui a scorrere. L'essenza dei vari surplus commerciali, Cina in primis, nei confronti degli USA non sono stati altro che un modo per far continuare a scorrere il flusso di dollari all'estero. È attraverso di essi che possono essere pagate le cedole di titoli denominati in dollari emessi all'estero.

Guardate adesso alla curva dei rendimenti statunitense. C'è un pesante avvallamento tra i titoli a brevissimo e a medio termine, mentre il back-end è schizzato in alto. La seguente ipotesi non sarà verificata fino a quando non usciranno i prossimi dati del TIC, però di fronte a un'amministrazione Trump che prosciuga la fonte principale dei tuoi finanziamenti “gratis” vendi titoli sovrani americani, specialmente quelli a più lunga scadenza (trentennali), e compri quelli sul front-end. In questo modo la stampa ha magicamente un parametro per gridare “recessione!”. Chi, sin da quando Powell ha iniziato il suo ciclo di rialzo dei tassi, ha comprato più titoli sovrani americani? Secondo gli ultimi dati disponibili, dal 2021 al dicembre 2024 le banche che si possono associare a Europa e Inghilterra hanno comprato ogni anno $1.100 miliardi netti in titoli di stato americani. Perché l'hanno fatto? In modo da tenere un tetto ai rendimenti obbligazionari oltreoceano. La percezione di stabilità viene data dal tenere tali rendimenti in certe fasce di prezzo e al di fuori di esse i derivati sui tassi d'interesse iniziano a segnalare “pericolo” con tutti i relativi rischi di vendite al margine che ne conseguono. Queste “linee di demarcazione” si possono vedere negli 83 centesimi “difesi” nel cambio EUR/GBP, per tre anni è stato “difeso” il rendimento del 2,5% sul decennale tedesco, il 3% sul decennale francese, ecc.

Per tutto il tempo che la Yellen è stata in carica del Dipartimento del Tesoro ha condotto una yield curve control in concomitanza con la Lagarde, ma adesso che la prima non è più lì ecco che le cose sono diventate preoccupanti oltreoceano: la seconda deve impedire che i rendimenti sovrani europei schizzino in alto, o accelerare il crollo del mercato obbligazionario europeo tramite spesa pubblica incontrollata ed euro digitale. Se torniamo per un momento all'agosto dell'anno scorso, quando il Ministro delle finanze giapponese ha venduto dollari per comprare yen portando l'indice di quest'ultimo da 161 a 140 e causando una serie di default, sin da allora è stato abbattuto il cartry trade sullo yen e gli europei si sono ritrovati una nuova gatta da pelare nel difendere il livello 155 nel cambio EUR/YEN (e non andasse più in basso).

E questo spiega anche come mai il cambio EUR/USD sia salito oltre 1.10 più recente. Se hai già un cambio basso, come fai poi a permetterti di stampare vagonate di soldi, svalutare la divisa e portare amenità con il “piano di riarmo”?

Sin da quando Powell ha iniziato una sorta di restringimento della politica monetaria “sotto traccia” nel giugno 2021, ho iniziato a riflettere su quale potesse essere il motivo e le relative implicazioni di una mossa del genere in opposizione a quanto accadesse nel resto del mondo. Allora le politiche monetarie delle varie banche centrali erano ancora coordinate e una rottura di quel cartello era a dir poco inverosimile. La separazione tra i mercati europei e quelli americani avrebbe significato una determinazione del prezzo del dollaro negli Stati Uniti, non più in Europa o a Londra. Washington non è mai stato in grado di fare una cosa del genere in tutto il suo passato. La mia conclusione: è questa la “seconda” dichiarazione d'indipendenza americana? Tutti gli indizi raccolti finora puntano in tale direzione. Questo a sua volta significa che mettere in ordine i conti della nazione vuol dire anche mandare in bancarotta la cricca di Davos. Come? Mettendo sotto pressione i globablisti che governano il Canada, mettendo sotto pressione Starmer, mettendo sotto pressione la NATO, mettendo sotto pressione i Five Eyes, ecc.

Tutto si riduce al flusso di dollari all'estero e i dazi sono uno strumento a tal proposito.


L'OCCASIONALITÀ DEI CRASH DEI MERCATI

Ovviamente sarebbe miope affermare che tutto questo sia stato messo in piedi dall'amministrazione Trump o da lui stesso. Dietro c'è un consorzio di grandi banche della East coast che fin dal 2019 hanno lavorato per arrivare a questi risultati. Dopo il 2008 era chiaro a tutti che fosse necessario un reset del sistema post-Seconda guerra mondiale... il problema era: sotto l'egida di chi sarebbe stato governato il mondo? Se le CBDC erano un segnale, questo avrebbe significato che il comparto bancario commerciale statunitense sarebbe stato spazzato via. La spinta principale degli USA a mettersi di traverso alla cricca di Davos è stato sostanzialmente questo, perché significava altresì che non avrebbero più fatto parte della classe dirigente. Lo slogan “bonificare la palude” significava rimuovere le incrostazioni dello Stato profondo e sopratutto tutti quegli agenti “infiltrati” che non facevano il “bene” della nazione.

L'innesco fu acceso da JP Morgan quando a settembre del 2019 alimentò la crisi dei pronti contro termine rifiutandosi di accettare come garanzia collaterale titoli europei. Jamie Dimon diede il via al distaccamento tra il sistema bancario europeo e quello americano in attesa che il SOFR sarebbe entrato a pieno regime successivamente. Allarmata da quell'evento monumentale la cricca di Davos ha scatenato letteralmente l'inferno, sia a livello economico che sociale, e la guerra contro gli USA venne scatenata allora. L'attesa della riconferma di Powell durata più di 6 mesi e i piani di stimolo fiscale furono tentativi per forzare la mano alla FED e rompere il consorzio di suddette banche. Fortunatamente per queste ultime la loro capillarità a livello territoriale ha resistito e sono riuscite a reggere il colpo fino al 2022. Se Powell ha agito come ha fatto era perché sapeva di “avere le spalle coperte”.

Il crash del 2019 poteva sembrare l'ennesima Bear Stearns, così come quello del 2023 con le banche di San Francisco, invece faceva parte di un disegno molto più grande che per forza di cose richiedeva dolore economico. Così come nel 1934 vennero lasciate fallire migliaia di piccole banche per avere la giustificazione e istituire la FDIC. Lo stesso vale per il crash più recente sui mercati azionari. Un'intera generazione di trader è stata cresciuta secondo il credo fasullo che i mercati sarebbero sempre saliti, che ogni correzione sarebbe stata assorbita dalla stampante monetaria della banca centrale. La storia del DOGE ci sta insegnando che il pompaggio monetario principale scaturiva dal Dipartimento del Tesoro che a sua volta costringeva la FED a intervenire e di conseguenza tenere liquido il flusso di dollari che scorreva all'estero, alimentando di conseguenza livelli di leva finanziaria esorbitanti. Una volta che questo flusso è stato interrotto, o per meglio dire, viene gestito dal tasso deciso dalla Federal Reserve e non più dal tasso deciso al di fuori di essa, il panico risultate è tutto all'estero. La prova? Tutte le altre banche centrali hanno tagliato i tassi più rapidamente rispetto alla FED. Infatti finché il mercato obbligazionario statunitense non diventerà bidless, la FED resterà a bordo campo. Per quanto la stampa voglia farlo credere invece, in realtà le cose stanno all'opposto soprattutto se si guarda l'ultima asta dei trentennali.

Inoltre se si vuole avere un proxy per capire quando la FED abbasserà i tassi, il seguente grafico è tutto ciò di cui avete bisogno.

Il range di riferimento sarà tra 3-3,5%. Non tornerà più allo 0%. I tassi reali inoltre saranno influenzati dalla retorica ottimista negli USA (“andremo su Marte!” ad esempio), cosa che li sta pian piano abbassando. Un termometro di ciò è la popolarità di Trump negli USA.

Guardate a quello che fanno, non quello che dicono. E con ciò mi riferisco al fatto che per quanto possa sembrare che ci sia maretta tra l'amministrazione Trump e la FED, in realtà non c'è. C'è coordinamento (anche perché sappiamo che dietro Trump c'è il consorzio delle banche della East coast). Questo significa che molto probabilmente a giugno la FED taglierà nuovamente i tassi. La cosa davvero unica di questo periodo, comunque, sarà la scissione tra il dollaro che circolerà internamente e quello che circolerà esternamente, a livello internazionale. Di questo a Trump non importa niente ed è quello la cui offerta si sta restringendo e per cui Bruxelles e la City si stanno stracciando le vesti.

La pianificazione centrale è fallimentare, ovvio. Ma qui la domanda è una: gli americani credono davvero che la linea di politica di Trump sia fallimentare?

E dopo Argentina e Vietnam, le prime nazioni a presentarsi alle porte dell'amministrazione Trump, è arrivata la Francia. E l'elenco si è subito allungato. Questa storia mi ha ricordato il primo episodio della prima stagione di Black Mirror: prima nessuno avrebbe voluto cedere le armi (commerciali) agli USA... una volta che l'orologio ha iniziato a correre e si vedeva che Trump faceva sul serio ci si è adeguati. Avevate dubbi? Stesso copione già visto con Powell nel 2022 quando ha iniziato il ciclo di rialzo dei tassi. Allora ci mise diversi mesi a “convincere” i mercati che faceva sul serio, adesso hanno imparato la lezione. Ricordate, Power policy.


LA PRIORITÀ

Seguendo tale linea di politica, le turbolenze vengono affrontate a testa alta. Infatti Bessent è stato chiaro nella sua ultima intgervista da Carlson: parafrasando le sue parole, ciò che conta per l'amministrazione Trump è il mercato obbligazionario e la gestibilità dell'enorme debito pubblico. Sia la FED che l'attuale classe politica non si faranno spaventare da correzioni nei mercati azionari. A tal proposito i rapporti P/E sono ancora fuori scala, quindi aspettarsi un altro bel crash nel comparto azionario non solo è necessario ma anche fisiologico. Senza farsi spaventare neanche da nuove buzzword come col “basis trade”. Prima di tutto uno dovrebbe domandarsi dove gli hedge fund hanno preso gli asset necessari per poi sottoporre a una leva più alta di quella media i propri bilanci in un momento storico incerto come quello di oggi (la risposta è che i loro bilanci fanno parte del cosiddetto “sistema bancario ombra” nutrito ad hoc da leggi come la Dodd-Frank... approvata, guarda “il caso”, dall'amministrazione Obama). Inoltre, come ho scritto sopra, l'avvallamento nella curva dei rendimenti che ci presenta un'inversione (artificiale) tra il front-end e il medio termine (biennale) non è motivo di panico perché i tassi nei mercati dei pronti contro termine non sono stressati.

Lo ripeto, sono stati venduti titoli sul back-end della curva, preso dollari e, per non far salire quest'ultimo rispetto all'euro, sono stati comprati i titoli sovrani a breve-medio termine. In un anno in cui giungono a maturazione $7.000 miliardi in obbligazioni da rinovare, eventualmente, trovarsi per le mani la percezione di recessione tra il pubblico (come se non ce ne fosse stata una sin dal 2008 e che solo adesso ne vengono affrontate le conseguenze) è un ostacolo non indifferente da superare. La cricca di Davos, sebbene abbia come obiettivo finale il flusso di dollari all'estero, deve adesso screditare l'attuale amministrazione Trump dato che le sue azioni sono risultate la giusta medicina per il ritorno al benessere interno e di conseguenza una sobrietà finanziaria all'estero. È questo che rappresenta la fine della “globalizzazione”: la fine dell'interconnessione finanziaria dove gli Stati Uniti rappresentano il prestatore/creditore di ultima istanza del mondo intero... senza conseguenze derivanti da una corretta ponderazione del rischio.

Paradossalmente, quindi, essa è la prima a volere tassi di riferimento alti negli USA: è consapevole che ora esistono barriere al flusso di dollari che scorrono all'estero, quindi deve fare affidamento sulle banche centrali che controlla, come la BCE e la BoE. Facedo apparire queste ultime proattive e “responsabili”, si conferisce la percezione (errata ovviamente) che la FED, rialzando o tenendo i tassi dove sono ora, sia invece irresponsabile e inaffidabile. Visto che ci troviamo in un ambiente economico in cui l'inflazione è commodity driven (vi basta guardare la correlazione tra l'IPC e i futures sulla benzina), e non credit driven (almeno non attualmente), Powell sarà in grado di tagliare di 25 punti base.

Il copione è quello già visto durante la presidenza Reagan, dove anch'egli agì velocemente nei primi mesi della sua carica per sistemare l'equazione fiscale e portare dalla sua la Federal Reserve di Volcker. Le azioni del DOGE, gli sprechi scoperti da quest'ultimo, vanno nella stessa direzione per avere successivamente carte da giocare durante le elezioni del prossimo anno. Uno degli aspetti su cui l'amministrazione Trump ha avuto maggiore successo è stato quello di smascherare i veri nemici dell'America: la classe dirigente canadese, la classe dirigente europea e la classe dirigente inglese. Uno degli aspetti su cui ha avuto minore successo è stato il mancato arresto eclatante di qualche pezzo grosso all'interno dello Stato profondo americano.

Questa è una guerra e non tutte le battaglie possono essere vinte; a volte bisogna anche tirarsi un attimo indietro e far fare la mossa successiva all'avversario. La guerra verrà vinta una volta che la cricca di Davos sarà mandata in bancarotta e verrà fortemente ridimensionato il potere che dispone, e quest'ultimo dipende da come può utilizzare a suo vantaggio l'arbitraggio tra valute. Non è un caso che il Forex sia il mercato più grande di tutti, data la leva presente, e che sia intermediato in gran parte a Londra. L'amministrazione Trump, finora, non ha fatto altro che smascherare il modo in cui la cricca di Davos acquista consensi nel sottobosco degli stati, nelle incrostazioni burocratiche che alimenta, ed è così che può agire liberamente. Ecco perché in politica circolano le stesse facce da anni e la gente si chiede chi mai li possa votare. Una volta, però, che si ferma il flusso di denaro che può essere sequestrato da agenti malevoli e si prosciugano quei bacini attraverso i quali si indirizzavano artificialmente le linee di politica di una nazione, Stati Uniti in particolare, il risultato è quanto di più auspicabile ci si possa aspettare.

Se questa gente non verrà fermata, qui e ora, saranno guai per tutti. E i mercati dei capitali sono la chiave.

 

CONCLUSIONE

Non esiste il mondo perfetto. La teoria è un'indicazione della giusta direzione, ma poi c'è l'azione umana. Questo passaggio pare sfuggire a molti. Questo per dire che ultimamente leggo molti analisti e commentatori che rimangono fermi sulla teoria senza voler affrontare la realtà pratica delle cose. Allora facciamo così, andiamo fino in fondo alla teoria.

I dazi, nessuno può negarlo, sono tasse e deviano artificialmente il corso dei mercati. Ora, torniamo all'epoca degli economisti che per primi hanno messo giù le tesi riguardo questo argomento (Smith, Ricardo). In un gold standard se l'oro è trattato $40 più in alto a Pechino rispetto a Londra, gli arbitraggisti si muoveranno per comprare oro in quest'ultima città e spedirlo in Cina. In questo modo l'ampiezza dell'arbitraggio che s'è venuto a creare man mano si riduce fino a scomparire. Se suddetti analisti credono nei mercati e nel loro dinamismo non possono negare questo fenomeno. Il libero mercato fa una cosa meglio di tutti gli altri sistemi: permette di trarre vantaggio dagli arbitraggi. Volete un esempio più recente: l'evoluzione di Bitcoin. Quando iniziarono a spuntare fuori i primi exchange, si vennero a creare anche grandi possibilità di arbitraggio tra di essi data la differenza di prezzo che proponevano. È la chiusura degli arbitraggi tra di essi, attraverso gli “speculatori”, che ha aiutato a stabilizzarne il prezzo nel tempo.

Quando esiste un arbitraggio che “si rifiuta” di chiudersi, e che dovrebbe chiudersi, c'è qualcosa che impedisce che accada. Inutile dire che bisogna liberarsene di quel qualcosa. Il surplus commerciale subito dagli USA a vantaggio delle grandi economie del primo mondo (Cina, Europa, Inghilterra) s'è rivelato un arbitraggio che “s'è rifiutato” di chiudersi. Cosa gli impediva di chiudersi: normative, multe mascherate da dazi, costo del lavoro, costo degli input, ecc. Come si cerca di risolvere tutte queste cose in un colpo solo? Imponendo reciprocità nei trattamenti commerciali. È il miglior modo per affrontare la cose? Non lo so. Ma questa è la “Power policy” e bisogna farsene una ragione perché il mondo è mutato sin dal 2022.

Infatti la cosa meno compresa di tutte, e che fino al 2022 ho faticato anche io a comprendere, è il sistema degli eurodollari: il principale ostacolo alla chiusura del sopraccitato arbitraggio. Ecco perché il mio ultimo libro, Il Grande Default, verte su questo tema e grazie a questo esercizio diventa più facile mettere insieme tutti i puntini. Avendolo scritto io questo libro, è ovvio che cerchi di pubblicizzarlo quanto più possibile. Ma al di là di ciò rappresenta un manuale che permette di diradare quella nebbia di inconsapevolezza che ancora aleggia tra i commentatori comuni. Lasciamo stare la stampa. Per quanto si possa “attaccare” l'amministrazione Trump per certe linee di politica, qui non si tratta di “ciò che si vede”. Già dal mio secondo manoscritto pubblicato, La fine delle fallacie economiche, vi ho insegnato a vedere “ciò che non si vede”. Infatti si tratta del consorzio delle banche della East coast che infine hanno individuato la causa principale del continuo sprofondare degli USA in crisi. Uno dei punti cardine che leggerete nel libro è la differenza tra LIBOR (tasso a cui veniva determinato il prezzo del dollaro offshore secondo il “giudizio” della City di Londra) e il SOFR (tasso a cui viene determinato il prezzo del dollaro in base a fattori interni). È un caso secondo voi che i dazi sono entrati in vigore all'inizio di aprile e l'ultimo contratto intermediato dal LIBOR è scaduto il 30 marzo? La portata della guerra commerciale è più ampia di quanto leggete sulla stampa.

Riuscire a manipolare la domanda di dollari all'estero rappresentava uno strumento di potere non indifferente per la City. Ora invece ciò che accade negli USA rimane negli USA: non sono più le banche europee e inglesi a impostare il prezzo del dollaro all'estero, ma quelle statunitensi e la FED. Inutile dire che la City e Bruxelles sono i perdenti forti, dato che non possono più accedere, come prima, a un dollaro più economico. Questo a sua volta significa che, internamente, il dollaro potrà essere indebolito, mentre all'estero potrà essere lasciato salire per fungere da meccanismo di “persuasione” (e a tal proposito entrano in gioco i dazi). Sobrietà finanziaria, ponderazione reale del rischio e correzioni violente se necessario... ma soprattutto non più gli USA a salvaguardare tutte le operazioni finanziarie del mondo e pagarne il prezzo (in termini di ricchezza reale risucchiata all'estero) in caso di fallimento.

È questo il cambiamento gigantesco nella “globalizzazione” che sta avvenendo nel sottobosco e non notato; è questo “mondo” che gli USA stanno abbandonando e riformando. L'interconnessione finanziaria degli anni pre-2022 era una certezza di importare le debolezze economiche altrui e “pagare di tasca propria” per risolverle. Sono queste connessioni che vengono tagliate, come sta accadendo nel mercato dell'oro ad esempio: il metallo giallo estratto negli USA rimane lì e non viene più spedito in Svizzera o a Londra attraverso il COMEX.

Dopo la contrazione dell'offerta di eurodollari da parte della FED con l'avvio del SOFR, per tutte quelle nazioni che usavano tale mercato come volano attraverso il quale accedere a dollari facili e nascondere sotto il tappeto (degli USA però) i loro problemi, era fondamentale mantenere un avanzo commerciale nei confronti degli USA. Questo permetteva ai dollari di fluire all'estero attraverso di esso, impedendo agli arbitraggisti di chiudere questo divario (es. imposizioni commerciali non reciproche europee, armonizzazione fiscale col resto del mondo, ecc.). Era vero per l'Europa ed è ancor più vero per il Canada.

A livello teorico non c'è niente di male nell'emettere titoli denominati in dollari (all'estero), dopo tutto il biglietto verde è l'asset più affidabile e liquido rispetto a tutti gli altri della sua categoria. Il problema è quando si “strumentalizza” un asset e l'eurodollaro è uno di quelli più strumentalizzati. Affinché questo pasto gratis possa continuare a fluire nella City di Londra e a Bruxelles è vitale che gli USA continuino ad avere un deficit commerciale col resto del mondo, in modo che quest'ultimo possa essere usato per avere il flusso necessario di dollari con cui pagare le cedole dei titoli denominati in dollari. Il Canada diventa un proxy attraverso il quale si instaura un carry trade tra il dollaro canadese e quello statunitense (si prende in prestito nel primo a tassi inferiori e si investe nel secondo che ha rendimenti superiori).

Il Canada in questo frangente sta diventando esso stesso un “sistema bancario ombra” offrendo i propri bilanci tramite i quali la cricca di Davos possa continuare a ricevere finanziamenti a basso costo.

Il rally recente dell'euro e la vendita di T-bond americani da parte degli europei (in modo da creare un avvallamento tra il front-end della curva e il back-end e permettere alla stampa di gridare “recessione negli USA!”) è uno step in questo percorso, in questa guerra. La pistola fumante nell'attesa dei dati TIC? I tassi europei sono scesi, l'euro è salito e lo yuan è sceso. L'Eurozona (esclusa la Svizzera) + Regno Unito controllano $3.400 miliardi in titoli sovrani americani; la Cina circa $750 miliardi. L'obiettivo dei dazi è fondamentalmente uno: ridurre l'avanzo commerciale PERENNE da parte degli altri Paesi, Europa in particolar modo (ecco perché il 20% sui beni europei). Chi è davvero nei guai è l'UE. Perché? Perché in questa guerra c'è bisogno di collaterale e non ce l'ha. I capitali finanziari scorrono a ovest, negli USA; non c'è accesso a una fonte d'energia a basso costo. Senza questi elementi l'UE non può procedere alla liquidazione. L'unica cosa che può fare è appoggiarsi all'intermediazione dei cambi, uno dei più grandi mercati al mondo (e più sottoposto a leva), per cambiare la percezione di investitori e risparmiatori.

In questo contesto la Cina cercherà di scendere a patti con gli USA, Xi non è in una posizione politica confortevole. Non credo ci sarà un avvicinamento con l'UE, per quanto la classe dirigente europea possa volerlo. Se ciò fosse possibile i cinesi avrebbero aperto e aprirebbero il proprio mercato dei capitali. Ricordate, i mercati dei capitali sono un buon “predittore” dei movimenti politici.


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martedì 25 marzo 2025

Prima nessuno lo vedeva, adesso sì: l'economia naviga in cattive acque

Le correzioni sono dolorose nel breve termine, ma nel lungo liberano quelle risorse precedentemente sprecate che possono quindi essere messe a miglior uso dal settore privato. È cosi che si conduce una politica fiscale sostenibile. E che l'amministrazione Trump l'abbia capito è un bene. Lo stesso Trump ha detto che l'economia subirà un “piccolo aggiustamento” nei mesi a venire e Bessent afferma che l'economia ha bisogno di “disintossicarsi” dalla spesa pubblica. Sfortunatamente i programmi di disintossicazione sono solitamente caratterizzati da sintomi di astinenza per il paziente, ma che poi gli permettono di recuperare la forma una volta terminato il processo. L'Argentina è un caso da manuale a tal proposito. Concentrarsi direttamente sulla produzione, mentre il consumo è enfatizzato solo nella misura in cui la ridotta importanza dei settori globalizzati e finanziarizzati dell'economia è vista come un modo per ricostruire la classe media americana dei colletti blu e colmare il divario di consumo tra ricchi e poveri. Il vantaggio comparato e l'efficienza economica vengono messi in secondo piano, dato che i dazi servono sostanzialmente per ridurre il surplus commerciale estero nei confronti degli USA, cosa che fa scorrere i dollari all'estero e permette ai globalisti di attingere da quella fonte per tenere liquido il mercato degli eurodollari con cui minano la stabilità degli USA stessi. La sicurezza delle catene di approvvigionamento viene nuovamente enfatizzata, rimarcando la necessità di rimboccarsi le maniche e sopportare le turbolenze economiche. Agli americani viene venduta una visione in cui credere, un orizzonte temporale migliore in cui credere e poterlo vedere, e ogni taglio alla spesa pubblica e alla burocrazia è un passo che si fa verso suddetto orizzonte. Un passo concreto, ora. La retorica su Marte serve anch'essa a questo scopo.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/prima-nessuno-lo-vedeva-adesso-si)

Per anni ho atteso un po' di onestà sui dati economici. I numeri ufficiali non avevano senso. I numeri nel mondo del lavoro mostravano disparità tra i metodi di raccolta dati; i numeri della produzione non si adattavano alle realtà sul campo; i numeri dei prezzi non riflettevano fonti dell'industria privata.

Mettendo insieme tutti questi elementi, da anni siamo circondati da una recessione, con numeri spaventosi sull'occupazione.

Dire questo mi ha fatto passare per un pazzo, ma gli ultimi cinque anni hanno convinto me e moltitudini di altri che le affermazioni e i numeri ufficiali non sono affidabili. Mettendo alla prova il mio intuito, ho commissionato uno studio ad alcuni esperti di dati seri che conoscono questo mondo meglio di me. Hanno concluso che i prezzi erano aumentati al doppio dei livelli comunicati, che i mercati del lavoro erano deboli, che la produzione era bassa e che eravamo in recessione tecnica sin dal 2022.

Abbiamo pubblicato quello studio e atteso il contraccolpo e le confutazioni. Non sono mai arrivate. Non una comunicazione a me rivolta contro i numeri; non un esperto ha scritto per dire che avevamo distorto qualcosa; non una persona ha respinto la conclusione. Ammetto che questo mi ha spaventato. Quante persone sanno che gli Stati Uniti sono in recessione ma non lo dicono per motivi professionali?

Nel mondo dell'economia i professionisti si aggrappano alle fonti di dati come dottrina ferma. Come si diceva nell'Unione Sovietica, i dati potrebbero essere falsi, ma è tutto ciò che abbiamo! E se lo stesso fosse valso per gli Stati Uniti? Sembra impensabile, dal momento che le relazioni del Bureau of Labor Statistics e del Commerce Department sono da tempo considerati la verità. Cosa succederebbe se scoprissimo che nessuno sa davvero cosa sta succedendo?

Eccoci qui, solo a un mese dal secondo mandato di Trump, e la verità sta venendo fuori all'improvviso.

Eugene Ludwig ha scritto un articolo sorprendente per Politico, guarda caso. Getta acqua fredda su ogni importante fonte di dati in nostro possesso. Le sue conclusioni si adattano bene a quanto avevamo detto sei mesi fa e a ciò che ho intuito dal 2020. Dice senza mezzi termini che la produzione è molto più bassa di quanto sappiamo, la disoccupazione effettiva è molto più alta e i prezzi sono aumentati fino al doppio di quanto ammesso dal governo federale.

L'articolo è intitolato: “Gli elettori avevano ragione sull'economia. I dati erano sbagliati”.

L'autore inizia ricordando ai lettori una delle principali narrazioni dell'anno scorso, ovvero che gli elettori erano scontenti delle condizioni economiche. Eppure i giornalisti dicevano sempre che i dati erano in realtà piuttosto forti. Il ragionamento era essenzialmente che le persone erano piuttosto sciocche e ignoravano cosa stavano scoprendo i mercanti dei dati. In altre parole, se eravate tra gli intelligenti, dovevate sapere che in realtà l'inflazione stava calando e che tutto andava bene con il mondo del lavoro e la produzione.

Ludwig offre un'altra spiegazione molto simile a quella che io e altri sosteniamo da tempo, ovvero che gli elettori non avevano torto; il vero problema è che i dati probabilmente non riportavano condizioni reali.

“E se i numeri che sostengono la teoria della prosperità su vasta scala fossero essi stessi fasulli?” si chiede.

“E se le valutazioni più fosche dell’economia fossero quelle più ancorate alla realtà?”

Prosegue spiegando i numeri della disoccupazione, per esempio. I principali numeri sulla disoccupazione non considerano la qualità dei lavori, le ore lavorate, la misura in cui le persone sono sottoccupate, o se hanno semplicemente rinunciato del tutto. Un indizio c'era: i rapporti occupazione-popolazione che non si sono mai ripresi. Non è stato mai preso in considerazione, per esempio, che i secondi lavori avevano raggiunti livelli record e se i salari guadagnati erano sufficienti a impedire alle persone di dover vivere per strada.

E per quanto riguarda il reddito, i numeri non consideravano la cifra assoluta di persone che a malapena sbarcavano il lunario. Potreste avere medie che sembrano buone, ma mascherano i milioni di persone intrappolate al di sotto dei livelli di sussistenza.

Se si considerano i salari medi anziché la media degli stessi, le persone “guadagnano il 16% in meno di quanto indichino le statistiche prevalenti”.

E sui prezzi, ecco dove troviamo il vero inganno. Osservando così tanti beni, l'indice dei prezzi al consumo (IPC) maschera gli aumenti di prezzo che contano di più per i beni che le persone effettivamente acquistano regolarmente.

“Il nostro indicatore alternativo rivela che, dal 2001, il costo della vita per gli americani con redditi modesti è aumentato del 35% più velocemente dell’indice dei prezzi al consumo”.

Lui e molti altri ricercatori hanno capito che il vero costo della vita potrebbe essere aumentato del doppio di quanto indicato dall'indice dei prezzi al consumo. Ciò influisce sui dati dell'output, che sono stati distorti dall'esplosione della spesa pubblica e del debito. Una volta che si aggiusta la produttività privata con una misura realistica dell'inflazione, si ottengono numeri costantemente all'interno della zona rossa della crescita reale negativa.

E la conclusione:

“Il problema non è che alcuni americani non siano usciti vincitori dopo quattro anni di Bidenomics. Alcuni sì. È che, per la maggior parte, coloro che vivono in circostanze più modeste hanno sopportato almeno 20 anni di battute d'arresto e gli ultimi quattro anni non hanno cambiato le cose abbastanza per il 60% inferiore dei percettori di reddito americani”.

Sì, questo è il genere di articolo che vi fa venire voglia di urlare: e proprio adesso ce lo dite!?

Immagino che ora che Trump è al comando avremo più verità, ma non è una verità che vogliamo sentire. Stiamo già assistendo a numeri dell'inflazione elevati, numeri di posti di lavoro rivisti e input inferiori ai numeri dell'output. Non mi sorprenderebbe vedere una recessione retroattiva ammessa entro l'estate, che verrà strombazzata dalla stampa come prova che la Trumponomics ha fallito e deve essere abbandonata.

Capite come funzionano le cose? I numeri sono diventati così politicizzati da essere quasi inutili. Persino questo articolo non fa il passo in più di aggiustare la produzione in base ai prezzi, il che avrebbe rivelato la recessione tecnica di cui abbiamo scritto.

I numeri ufficiali potrebbero essere falsi. E tuttavia ci aggrappiamo tutti a loro... perché sono tutto ciò che abbiamo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 3 febbraio 2025

Volete il progresso? Lasciate stare i lavori coi cucchiai

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Michael Munger

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/volete-il-progresso-lasciate-stare)

I politici vogliono creare posti di lavoro, “posti di lavoro sindacalizzati e ben pagati”, nelle industrie esistenti. Ma non è questo che fanno i mercati: la parte “distruttiva” nel processo di distruzione creativa elimina posti di lavoro nelle industrie esistenti. In un'economia dinamica, le innovazioni nella divisione del lavoro possono creare posti di lavoro ben pagati in nuove industrie, ma queste ultime richiedono imprenditori, non politici.

Frederic Bastiat scrisse due saggi su come le linee di politica concepite per “creare posti di lavoro” in realtà causano disastri economici. Il primo era la “Petizione dei fabbricanti di candele”, il quale chiedeva allo stato di imporre ai cittadini l'uso di tende pesanti e finestre oscurate in modo da creare posti di lavoro per chi fabbricasse candele. Il secondo era “Ciò che si vede e ciò che non si vede”, dove rompere le finestre avrebbe creato posti di lavoro per vetrai e falegnami.

In entrambi i casi, il problema deriva dall'ignorare “ciò che non si vede”: le persone che producono candele o riparano finestre rotte farebbero qualcos'altro in assenza di una linea di politica sbagliata. E le risorse spese per candele non necessarie e vetri sprecati sarebbero state spese per qualcos'altro. Vediamo i posti di lavoro, ma non vediamo i costi delle alternative perse per “creare” tali posti di lavoro.

Di recente stavo pensando a un'altra famosa storia riguardo la “creazione di posti di lavoro”, una che viene spesso raccontata quando si parla dell'economista di Chicago e premio Nobel Milton Friedman. Stephen Moore ha raccontato una versione di questa storia sul Wall Street Journal:

Durante una delle nostre cene, Milton ricordò di aver viaggiato in un Paese asiatico negli anni '60 e di aver visitato un cantiere dove si stava costruendo un nuovo canale. Rimase scioccato nel vedere che, invece di trattori e pale gommate moderne, gli operai erano attrezzati di semplici pale. Chiese perché ci fossero così pochi macchinari. Il burocrate gli rispose: “Non capisce. Questo è un programma per creare lavoro”. Al che Milton ribattè: "Oh, pensavo che steste cercando di costruire un canale. Se sono i lavori che volete, allora dovreste dare a questi operai cucchiai, non pale”.

Se scaviamo un po' (ahah!) scopriamo che la stessa battuta viene detta anche da altre persone famose, e la presunta posizione dell'accaduto spazia dalla Cina e dall'India al Canada o al Regno Unito. Ma si scopre che nessuna di queste è la vera origine del racconto, pubblicato per la prima volta a Philadelphia nel 1901:

Un accadimento che in quel momento mi era sembrato piuttosto divertente è avvenuto non molto tempo fa in North Broad Street. Una pala a vapore aveva attirato un gran numero di spettatori, tra cui due irlandesi che, a giudicare dal loro aspetto, erano lavoratori temporaneamente disoccupati.

Mentre la grande pala in un colpo solo sollevava un intero carro di terra e lo scaricava su una gondola, uno degli irlandesi commenta: “Che peccato pensare che possano scavare la terra in quel modo!” “Cosa ne pensi?” chiede il suo compagno. “Beh”, dice l'altro, “questa macchina sta togliendo il pane dalla bocca di un centinaio di lavoratori che potrebbero fare lo stesso lavoro con i loro picconi e le loro pale”. “Hai ragione, Barney”, dice l'altro.

Proprio in quel momento un uomo che stava osservando e che aveva sentito la conversazione commenta: “Ragazzi, se quello scavo darebbe lavoro a cento uomini con pale e picconi, perché non prendere un migliaio di uomini e dare loro cucchiaini con cui scavare la terra?”

Gli irlandesi, a loro merito, avevano capito la forza dell'osservazione e l'umorismo della situazione e si sarebbero uniti calorosamente alla risata chesarebbe seguita, e uno di loro aggiunge: “Immagino che abbia ragione, Capitano. Dopotutto, ciò che conta è scavare”.

— Philadelphia Public Ledger

L'esempio è divertente, e il fatto che i lavoratori disoccupati abbiano compreso “la forza dell'osservazione” è una bella chiusura del cerchio. Ma non hanno ragione? E non è forse questa ragione particolarmente forte quando si tratta di competere con altri Paesi che usano “manodopera a basso costo”, e non pale a vapore, per rubare “i nostri” posti di lavoro?

Questo è certamente l'argomento che molti politici hanno utilizzato per giustificare dazi, quote e altri tipi di barriere commerciali: dobbiamo proteggere i posti di lavoro americani! Basta con i posti di lavoro trasferiti all'estero!

Per capire perché questa logica non sia migliore di quella del “date loro i cucchiai!”, bisogna prendere in considerazione la natura del commercio internazionale di beni manifatturieri.


L'unico modo per guadagnare posti di lavoro è perderli

Un buon modo per affrontare il problema della “perdita del lavoro” è porsi una domanda semplice: Quale Paese al mondo ha perso il maggior numero di posti di lavoro nel settore manifatturiero tra il 1990 e il 2010?

La risposta (e non è così scontata) è la Cina.

Nel 1990 la “produzione” cinese consisteva, in molti casi, in un grande capannone, pieno di tavoli e contenente centinaia, forse migliaia, di uomini o donne che lavoravano con aghi e filo, telai, o un martello e alcuni pezzi di cuoio, o una piccola pressa metallica azionata a mano.

La portata dell'occupazione era enorme, forse 100 milioni o più, ma la produttività di questi lavoratori, nel 1990, era terribile. Una persona che lavorava il più duramente possibile, con un martello, una forma per scarpe e qualche pezzo di cuoio tagliato, non riusciva a produrre più di 2 o 3 paia di scarpe al giorno. Mille lavoratori, che lavoravano duramente (e non lo facevano sempre, perché queste erano fabbriche gestite dallo stato, dove dominavano le quote piuttosto che gli incentivi) potevano produrre 5.000 paia di scarpe al giorno, e la qualità era decisamente inferiore.

A metà e fine anni Novanta, la Cina ha iniziato a fare due cose: in primo luogo ha tagliato le fabbriche statali, milioni di lavoratori hanno perso il lavoro, intere città sono rimaste senza lavoro; in secondo luogo il settore privato cinese ha iniziato a sfruttare la divisione del lavoro sviluppando fabbriche altamente specializzate che producevano giocattoli, vestiti e dispositivi elettronici semplici. Queste fabbriche, poiché erano sostanzialmente automatizzate, erano molto più produttive del vecchio sistema di sfruttamento della manodopera a basso costo. La Cina ha iniziato a sfruttare la produttività. Passare da centinaia di uomini con le pale a una manciata di essi che guidano bulldozer e camion aumenta effettivamente la quantità di lavoro svolto, con meno manodopera. Tutti quei lavori che producono e pagano poco vengono spazzati via da lavori che producono e pagano di più.

A essere onesti, questo è successo anche negli Stati Uniti. La nostra produzione totale è aumentata in modo esponenziale, senza sosta, durante tutto quel periodo. Ma il numero di posti di lavoro nel settore manifatturiero in molti settori è diminuito, poiché i lavoratori sono diventati più produttivi. Tuttavia, nel complesso, c'è stata una forte ripresa nella produzione statunitense, poiché molte aziende hanno intrapreso il cosiddetto “on-shoring”.

In breve, gli USA non hanno “spedito i propri posti di lavoro” in Cina; in realtà la Cina ha perso più posti di lavoro nel settore manifatturiero di noi. Il mondo intero ha perso posti di lavoro a causa dell’aumento della produttività. Di conseguenza i prezzi di molti prodotti sono scesi, in alcuni casi in modo sostanziale, se ci atteniamo all’inflazione.

Perché? La Cina ha iniziato a usare un sistema di mercato per premiare gli investimenti in una maggiore produttività. Quando una fabbrica è passata da mille persone con macchine da cucire a venti persone che gestivano una linea di produzione automatizzata, le 980 persone che avevano “perso” il lavoro ne hanno trovato un altro altrove, e con uno stipendio più alto, perché anche quelle industrie si stavano automatizzando. In molti casi questo è risultato vero anche negli Stati Uniti, nonostante ci siano alcune industrie in cui la transizione verso nuovi lavori è stata più lenta.

Ma avere un adattamento più lento negli Stati Uniti non sorprende, perché la Cina ha iniziato con un livello di ricchezza e prosperità molto più basso. Il PIL pro capite della Cina è di quasi $13.000; negli Stati Uniti è di quasi $70.000. Gli Stati Uniti non hanno più la possibilità di distribuire cucchiai, o se non altro pale, per “creare” posti di lavoro, perché nessuno è disposto a lavorare al salario che pagano i lavori con i cucchiai. La maggior parte dei lavoratori americani trascorre il proprio tempo usando una qualche versione di un bulldozer, che si tratti di scrivere codice o di usare macchine fisiche che aumentano la produttività.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 29 gennaio 2025

Trump eredita un’economia profondamente danneggiata

C'è un dettaglio che manca a Tucker e che permette di inquadrare correttamente la situazione economica statunitense: l'amministrazione Biden ha lavorato per vandalizzare la nazione. Questo dettaglio, invece, non manca a voi cari lettori che avete comprato e letto il mio ultimo libro, Il Grande Default. Dal punto di vista economico sono state effettuate una miriade di scelte di politica atte a saturare i bilanci della nazione, senza alcun criterio per la sostenibilità futura della stessa. Paradossalmente, è stata la FED a lavorare per arginare ulteriori danni. L'approvazione dell'SOFR, la contrazione della leva nel mercato degli eurodollari, il ciclo di rialzo dei tassi, sono stati tutti espedienti messi in campo per creare argini tra gli USA e il resto del mondo in materia di contagio sistemico. Chi ha fatto una sorta di QE sin dallo scorso aprile è stata la Yellen con l'emissione spropositata di titoli di stato a lungo termine, il cui scopo è stato quello di fornire propellente al mercato (leggi City di Londra) per sopprimere il back-end della curva dei rendimenti americani e di conseguenza impedire un'esplosione al rialzo anche dei rendimenti dei titoli sovrani inglesi ed europei. Ma anche questa manipolazione è terminata, così come il tentativo tardivo degli stessi inglesi di mettere lo zampino nel processo di compensazione del Dipartimento del Tesoro americano. Non si può prescindere, quindi, dal quadro generale per capire perché la FED ha fatto determinate scelte nel corso degli ultimi 4 anni e il potere di chi è realmente a rischio al giorno d'oggi.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/trump-eredita-uneconomia-profondamente)

C'è finalmente un po' di ottimismo nel Paese. Sfortunatamente le buone vibrazioni non sono sufficienti a risolvere i profondi problemi strutturali che ora affliggono l'economia statunitense, dall'inflazione a un mercato del lavoro debole a un settore delle piccole imprese che sta a malapena sopravvivendo, oltre a un consumatore allo stremo e a gravi problemi finanziari nel governo stesso.

Di sicuro l'economia statunitense brilla ancora sulla scena mondiale, ma questo semplicemente perché quasi tutti gli altri sono in condizioni peggiori. I problemi strutturali sono globali, dovuti all'esplosione del debito pubblico, all'eccesso burocratico e alle imposizioni normative degli ultimi cinque anni. Gli Stati Uniti potrebbero essere i meno peggio, ma questa osservazione da sola non fa scomparire i problemi.

In tale contesto, un economista di spicco e brillante in Cina, il dott. Gao Shanwen, ha ammesso in un forum di Washington DC che il tasso di crescita del 5% probabilmente non è reale e che la crescita effettiva in Cina è più vicina al 2%. È stato prontamente disciplinato dal Partito Comunista Cinese al suo ritorno e non gli è più consentito parlare in pubblico.

Questo è diventato un modello mondiale: il silenzio degli economisti che osano contestare numeri palesemente falsi. Negli Stati Uniti, tuttavia, c'è almeno la libertà di parola. Dove sono i problemi e qual è la realtà?

Tanto per cominciare, l'inflazione statunitense è in accelerazione da settembre 2021. Ora è al 3%, ovvero il 50% in più rispetto all'obiettivo ufficiale. Questo dolore continuo segue quattro anni della peggiore inflazione degli ultimi 40 anni e probabilmente molto di più. Secondo alcuni parametri, ciò che abbiamo attraversato equivale o supera il dolore economico degli anni '70. L'unica differenza questa volta è che i contabili del governo sono diventati più bravi a nasconderlo.

Quanto potere d'acquisto del dollaro è stato perso? Secondo le misure ufficiali, il totale di questa ondata inflazionistica è di 22 centesimi, ma i numeri del settore alimentare, automobilistico, immobiliare e dei servizi come assicurazioni e trasporti generano numeri quasi del doppio. Nessuno lo sa per certo e il calcolo di grandi indici dipende dalla metodologia di ponderazione e dal calcolo dei fattori attenuanti. Aggiungete nuove tasse e la cosiddetta shrinkflation e i numeri saranno ben peggiori.

Anche se l'inflazione finisse oggi, i danni degli ultimi quattro anni ci accompagneranno per molti anni a venire. Purtroppo non sta finendo oggi e questo lo sappiamo semplicemente quando uno fa shopping o guarda attentamente le bollette. Tutto continua a salire di prezzo.

Perché? La FED e il Congresso non hanno forse avviato una campagna anti-inflazione a partire da due o tre anni fa? Sì, ma il Congresso ha fatto quello che fa sempre: ha speso più soldi, il che crea più debito, che la FED poi monetizza e quindi crea più soldi. Inizialmente la FED ha lavorato per assorbire l'eccesso con tassi d'interesse più alti, ma l'anno scorso ha fatto marcia indietro con una nuova campagna di quantitative easing.

Il punto più basso nella massa monetaria è stato raggiunto a novembre 2023. Poi si è invertita la tendenza verso un allentamento. Ad oggi ci sono più di $1.000 miliardi in nuovi dollari che sguazzano nel Paese e nel mondo rispetto a 14 mesi fa; unito alla crescente velocità (ritmo di spesa), tutto ciò spinge l'inflazione nella direzione opposta.

In altre parole, i nostri problemi sono una conseguenza diretta della pressione politica esercitata sul Congresso e sulla FED mentre ci avvicinavamo alle elezioni del 2024. Come al solito, il partito al potere ha scelto la stampa di denaro e la spesa come metodo di manipolazione elettorale attraverso la creazione dell'illusione di prosperità. L'amministrazione entrante ora si ritrova con questo guaio per le mani. Per invertire il danno il presidente entrante e il Congresso possono solo sperare di generare un proverbiale effetto ricchezza tramite una forte deregolamentazione e tagli alle tasse in modo da mitigare l'inflazione. Anche nelle migliori condizioni, il problema ci accompagnerà per almeno un altro anno.

Un altro problema riguarda il mercato del lavoro, che è più in crisi di quanto si dica. Sia il rapporto occupazione-popolazione che il tasso di partecipazione al lavoro sono in calo da sei mesi. Questo dopo non essere riusciti a riprendersi completamente dai lockdown di marzo 2020. Ora si attestano ai livelli visti nei primi anni '80, prima che diventasse comune che donne con bambini piccoli e in età scolare fossero nella forza lavoro.

Qualcosa di importante è cambiato. Ci sono senza dubbio molti fattori in gioco, ma tra questi c'è che molte persone hanno visto le loro vite talmente sconvolte da non essersi adattate alla graduale riapertura del 2022 e oltre. Molte persone disabili sono senza lavoro e vivono di sussidi governativi, mentre molti anziani hanno semplicemente gettato la spugna.

Dati: Federal Reserve Economic Data (FRED), St. Louis Fed

È difficile dire se tali cambiamenti strutturali siano permanenti. Alcuni di essi sembrano essere dovuti alla mancanza di assistenza all'infanzia per le donne in età fertile. C'è anche un cambiamento culturale in atto, con le famiglie con due redditi che tornano a essere famiglie con un solo reddito e istruiscono i figli a casa. Non c'è dubbio che il sistema educativo statunitense sia profondamente stressato e che genitori e insegnanti si stiano tirando indietro a ritmi mai visti prima. Ciò indubbiamente influisce sul mercato del lavoro.

I dati effettivi sulla creazione di posti di lavoro in quattro anni sembrano in un continuo stato di revisione, poiché continuano ad arrivare nuovi dati che sgonfiano e correggono le esagerazioni degli ultimi quattro anni. Anche la natività nella componente demografia solleva interrogativi, poiché quasi tutta la creazione di posti di lavoro non è ad appannaggio dei lavoratori nativi, ma di quelli nati all'estero. Se e in quale misura le espulsioni di lavoratori clandestini influenzeranno tutti questi numeri è una questione aperta.

Indipendentemente da ciò, il mercato del lavoro dei colletti bianchi è diventato estremamente ristretto. Il Wall Street Journal scrive: “Ci sono ancora molti lavori per quelli che lo cercano nei servizi, compresi i settori sanitario e alberghiero. È più arduo trovarlo nei lavori d'ufficio, dove i capi mirano a essere più dinamici e in alcuni casi a sostituire i lavoratori con l'intelligenza artificiale. [...] Ad oggi il mercato del lavoro si è indebolito principalmente a causa di minori assunzioni, non di licenziamenti. Ma una volta che le aziende decidono di ridurre gli stipendi, i tagli di posti di lavoro spesso si trasformano rapidamente in una valanga, il che potrebbe innescare un aumento molto più rapido del tasso di disoccupazione”.

Per quanto riguarda altri dati, come le vendite al dettaglio e gli ordini di fabbrica, sono stati sovrastimati per molti anni solamente perché non è di routine che vengano aggiustati all'inflazione. Una volta eseguito tale calcolo, osserviamo un'attività economica piatta o in calo per tutti gli anni dell'amministrazione Biden. La propaganda potrebbe aver funzionato nel mantenere alto il morale, ma la realtà emergerà nei prossimi mesi, poiché i media generalisti e i raccoglitori di dati nelle agenzie governative saranno più disponibili a rivelare cosa sta realmente accadendo.

Poi c'è il problema delle finanze pubbliche. Il debito federale lordo in percentuale del prodotto interno lordo rimane a livelli mai visti dalla seconda guerra mondiale. Questa è una situazione pericolosa che mette tutto a rischio, spiazza gli investimenti privati ​​e spinge la banca centrale a occuparsi di questo problema con una maggiore stampa di denaro.

Dati: Federal Reserve Economic Data (FRED), St. Louis Fed

Tutto questo non può durare. Elon Musk ha creato, con la benedizione di Trump, il Department of Government Efficiency (DOGE) per occuparsene, offrendo la possibilità di tagliare $2.000 miliardi dalla spesa federale immediatamente, senza toccare i diritti sociali.

Non c'è alcuna possibilità di un riavvio importante della produttività americana senza affrontare la crisi di bilancio. Il business as usual non può funzionare. E tuttavia tutto ciò che riguarda Washington è progettato per prevenire azioni così drastiche. È molto più facile per chiunque prenda il potere guardare dall'altra parte, persino inventando nuovi modi di spendere denaro, che affrontare la crisi come farebbe qualsiasi famiglia.

Il problema normativo è lampante: l'amministrazione Biden ha aggrovigliato più settori in una pletora di obblighi e imposizioni al punto che molti sono malfunzionanti per progettazione. Questo è qualcosa a cui l'amministrazione Trump può effettivamente porre rimedio, e si spera che gli sforzi di districare i nodi saranno immediati e drastici.

Questi sono tutti problemi gravi che l'amministrazione Trump deve affrontare. Un altro fattore: i media generalisti saranno molto più propensi a chiamare le cose con il loro nome di quanto invece non lo fossero con Biden. Forse è una cosa positiva, ma non promette nulla di buono. Dopo sei mesi l'amministrazione Trump potrebbe ritrovarsi a dover affrontare una recessione retroattiva che potrebbe vanificare molti dei suoi tentativi di consolidare i tagli fiscali.

Si tratta di un problema difficile, ereditato da un'amministrazione nei confronti della quale le aspettative pubbliche non potrebbero che essere più elevate.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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