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venerdì 16 febbraio 2024

Le forze della megapolitica (tutti contro tutti)

 

 

di Francesco Simoncelli

L’idea della megapolitica – secondo cui le tendenze più importanti si svolgono sotto la superficie – è stata sviluppata da James Davidson e William Rees-Mogg. Ecco come funziona: si dice che ci siano 57 milioni di persone negli Stati Uniti affette da “gravi malattie mentali” e, statisticamente, è probabile che un membro del Congresso su cinque sia compromesso. Allo stesso modo 2 o 3 dei 12 membri del FOMC potrebbero essere affetti dallo stesso morbo. Si è tentati di attribuire la colpa di molte delle linee di politica alla stupidità, ma questo non centra il punto: i politici e le altre élite non fanno cose “stupide” perché sono stupidi, ma perché sono trascinati da una tendenza megapolitica. Nel momento storico in cui viviamo sono stati corrotti, comprati e pagati da un impero in decadenza. Ricevono soldi dall’industria militare/farmaceutica/assistenziale/razzista/di genere; poi ballano al ritmo delle melodie che vengono trasmesse per loro.

Il mio obiettivo oggi non è quello di puntare il dito – né contro gli idioti al Congresso, né contro i falsari nella FED, né contro i clientelisti. Il mio compito è semplicemente capire cosa potrebbero fare dopo. Perché il Congresso vota per maggiori spese militari e armi più letali in Ucraina e Israele? Il portafoglio americano è vuoto. Inoltre la guerra in Ucraina è una causa persa (e non buona) e Israele, il Paese più ricco e potente della regione, può prendersi cura di sé stesso. Solo che ci sono troppi soldi in gioco affinché i politici possano dire “No”. In questo senso i russi e i palestinesi non possono incolpare nessuno se non sé stessi: se avessero messo insieme le loro azioni, avessero assunto il figlio del presidente, corrotto membri del Congresso, fatto enormi donazioni alle università e comprato gran parte dei media, ora staremmo inviando armi alla Russia e tirando fuori i bambini israeliani dalle macerie.

Giusto e sbagliato non c’entrano (quasi) nulla. I politici discutono su cosa “dovremmo” fare, ma sono semplicemente portavoce di forze megapolitiche che non comprendono né controllano. Le tecnologie vanno e vengono; gli imperi sorgono e cadono. Denaro, potere, flusso e riflusso di status... Sì, è questo il punto, cari lettori: le cose non funzionano come pensate che dovrebbero funzionare. In pratica, se non fosse per la stupidità e l'ipocrisia, almeno la metà dei titoli dei giornali scomparirebbero e la maggior parte di ciò che conosciamo come “politica pubblica” scomparirebbe.

La FED, ad esempio, non opera in un mondo rarefatto di pura logica e di processi decisionali innocenti. Funziona nel mondo reale, il mondo della megapolitica. I suoi annunci pubblici potrebbero non essere altro che chiacchiere e sciocchezze, ma la sua vera missione è quella di assicurarsi che i suoi fratelli nel settore bancario non abbiano molte brutte giornate. Il rifiuto di una CBDC, la rottura della central banking coordinated policy e l'indipendenza dall'indicizzazione globale dei debiti hanno rappresentato tutti dei passaggi per emancipare il settore bancario commerciale statunitense dalla soluzione partorita dal WEF al deragliamento delle finanze pubbliche in tutto il mondo e adottata fino all'amministrazione Obama. L'attuale sistema, infatti, è condannato, tutti lo sanno e i pianificatori centrali non sono stupidi, quindi hanno elaborato una soluzione per demolire parte dell'attuale status quo e riciclare il resto in un nuovo sistema. La caratteristica direzionale top-down non sarebbe cambiata. Solo che i pianificatori centrali, piuttosto che aspettare la “morte naturale” del sistema socioeconomico fiat, hanno deciso essi stessi di dettare i tempi. La contrazione energetica a cui assistiamo è deliberatamente perseguita affinché possano essere abbattuti settori della produzione sacrificabili sull'altare della megapolitica europea, inducendo una crisi economica che permetta successivamente agli stessi che l'hanno alimentata di presentarsi con una soluzione.

A quel punto sarà relativamente facile far ingoiare al pubblico qualsiasi soluzione, come l'euro digitale ad esempio. Ma, inutile dirlo, questo tipo di crisi deve essere inflazionistica per permettere agli stati di gestire senza troppi grattacapi i bilanci pubblici. Infatti la “rinascita” dell'attuale sistema passa attraverso il proxy usato negli USA per quanto riguarda i debiti agli studenti: rendere la garanzia collaterale non un oggetto, ma un individuo. In questo modo il default su tali strumenti finanziari diventa alquanto complicato e un eventuale giubileo avrà poca resistenza da parte dei diretti interessati: diversamente da quanto potrebbe accadere oggi in caso di haircut sui bond sovrani, un taglio del debito sui prestiti agli studenti è accolto con favore dalla popolazione. Accadrebbe la stessa cosa nel caso in cui divenissero realtà i cosiddetti perpetual bond con cui l'agenda del WEF immagina il futuro: capitalismo degli stakeholder e cose prese in prestito in ogni dove.

Ma il tabellone di gioco che abbiamo di fronte non è una scacchiera, ma quello del Go e i giocatori sono tanti oltre a cambiare colore velocemente. Gli Stati Uniti, infatti, si sono distaccati da questa visione e il segnale è stata l'elezione di Trump, prima, e l'ufficializzazione del SOFR, dopo. In questo modo la FED ha iniziato un arduo processo di rimpatrio della politica monetaria, andando a restringere il mercato degli eurodollari ormai fuori controllo e chiudendo i rubinetti monetari (tramite riserva frazionaria) che fino a quel punto avevano eroso progressivamente ricchezza reale dagli USA a vantaggio degli altri concorrenti sulla scena mondiale, Europa in primis. Tutti gli eventi geopolitici dal 2022 in poi hanno avuto un unico scopo: ingrandire il deficit di bilancio degli USA, grazie agli infiltrati nell'amministrazione Biden, affinché coloro i quali avevano costruito status e potere grazie alla manna degli eurodollari continuassero a essere finanziati.

Dal caos, però, non può che nascere altro caos e il proliferare di eventi bellici nel mondo rispecchia esattamente questo concetto, dove per quanto i litiganti principali siano USA ed Europa, non mancano le incursioni dei BRICS (e della Cina in particolar modo). Infatti se la guerra in Ucraina è stata fomentata ad hoc dai servizi segreti europei e londinesi, le fiamme del conflitto in Medio Oriente sono un affare direzionato nell'ombra (molto probabilmente) dalla Cina. Anche qui l'obiettivo è chiaro: far impantanare gli USA in nuovo conflitto e tenerli lontano da Taiwan. Per L'Europa significa due piccioni con una fava: il portafoglio dei deficit statunitensi rimarrebbe aperto e sarebbe possibile incolpare altri per la condizione miserevole che continua a svalutare gli standard di vita della popolazione europea. Infatti finora ci sono stati solo vertici su vertici in Europa, senza alcun atto pratico di risoluzione della crisi in Yemen. Stesso dicasi per i BRICS e l'Arabia Saudita.

Ecco perché, in sostanza, dai media generalisti si alza un coro unanime che vorrebbe Trump fuori dalla campagna elettorale. Al di là degli infiltrati nel sistema politico ed economico statunitense, ma chi negli altri Paesi concorrenti non vorrebbe la rielezione di un presidente rimbambito e debole come Biden? Sarebbe una festa soprattutto per la Cina alle prese con la gestione di una bolla immobiliare che deve essere sgonfiata il più ordinatamente possibile. Le forze della megapolitica quindi sono in movimento e muovono le loro pedine sul tabellone da gioco del Go, alleandosi o andando da soli. Come detto in precedenza, però, fomentare il caos genera solo altro caos e per definizione esso non è controllabile, quindi bisognerà stare attenti a che tipo di escalation assisteremo visto che ne abbiamo avuto un assaggio con Nord Stream 2 e, con esso, sono state tirate in ballo anche le infrastrutture adesso. Dio non voglia, infatti, che siano i cavi sottomarini...


LA PRETESA DI CONOSCENZA

La guerra cinetica finora è stata un risultato secondario di una volontà superiore di sopravvivere al pandemonio finanziario scatenato dal rialzo dei tassi della FED. L'azione, quest'ultima, unita all'impossibilità dei player esteri di porre garanzie (es. bond sovrani europei) presso il mercato pronti contro termine statunitense per accedere ai fondi, ha avuto lo scopo di spezzare quella catena che legava indirettamente eurodollari/eurobond agli Stati Uniti. Prestate attenzione a un fatto: diversamente dagli anni '80, quando Volcker rialzò i tassi della FED per “combattere l'inflazione”, egli lo fece raddoppiandoli; Powell ha rialzato i tassi di riferimento statunitensi di 25 volte! Eppure il sistema bancario statunitense, a parte le banche in California, ha retto ottimamente il colpo. Chi è che invece non sta reggendo il colpo? Il sistema bancario europeo: Barclays, Credit Agricole, Intesa San Paolo, ecc. In questo secolo il “vero” denaro è rappresentato dalle garanzie collaterali (collateral), le quali permettono l'accesso alla liquidità; in questo senso i titoli del Tesoro USA sono i migliori, i più liquidi. Nel tempo, però, è emerso un surrogato tanto buono quanto i bond sovrani statunitensi: eurodollari/eurobond. La leva finanziaria apposta a tale sistema è stata talmente grande, e inconoscibile, che gli spillover non possono essere determinati da nessuno. L'arduo compito della FED e di Powell è quello di distaccare gli USA da questo meccanismo finanziariamente mortale che stava prosciugando la nazione della sua salute economica.

Infatti con questo meccanismo non sono si accedeva a liquidità gratis, ma si otteneva anche la possibilità di estendere le proprie sfere d'influenza ben oltre le proprie possibilità. I vari di giri di QE che si sono susseguiti dopo il primo erano praticamente indirizzati a salvare non gli USA, ma la pletora di player che stavano iniziando ad avere problemi con le garanzie collaterali. La crisi sulla scia del crollo della Lehman non era affatto monetaria, bensì una crisi causata da una mancanza di collateral. Cosa tamponata in qualche modo con iniezioni di liquidità, ma quando il denaro in questo secolo è il collateral ciò non basta. Il ciclo economico, infatti, si è evoluto, potremmo dire, e adesso la sua sfera d'innesco è strettamente legata al settore bancario ombra. Una cosa è certa però: chi sta annaspando è il sistema bancario commerciale europeo.

L'UE infatti è un coacervo di burocrazia che è sopravvissuta finora grazie all'energia a basso prezzo proveniente dalla Russia e dalla percezione estera che l'euro, nel futuro prossimo, sarebbe stato in grado di essere una valuta paritaria del dollaro a livello internazionale. In realtà tutto ciò che ha sempre avuto è stato un accesso privilegiato al mercato dell'eurodollaro col quale illudere investitori e istituzioni. Dal 2022 i nodi sono venuti al pettine e l'UE è riuscita a sbarcare il lunario solo perché ha aggirato le sanzioni alla Russia.

A quale costo? Attingendo avidamente alla risorsa di capitale più importante: il tempo della sua popolazione. In questo senso sta cercando di ritardare quanto più possibile la sua scomparsa, rendendola solo più catastrofica. Infatti gli USA non solo possono vantare una banca, come JP Morgan, che praticamente sta mettendo le mani in pasta in vaste aree degli investimenti del mondo (compreso Bitcoin), ma stanno sottraendo potenza industriale all'industria europea stessa e trasferendola in patria. Inutile dire, poi, che i capitali finanziari volano a Ovest senza nemmeno pensarci due volte. In questo senso, quindi, la BCE rimane a corto di garanzie collaterali ed è incapace di fornire liquidità come supporto temporaneo. Voglio dire, anche se dovesse prolungare la vita dei programmi di allentamento quantitativo che dovrebbero terminare a fine anno, ciò non sarebbe sufficiente perché sarebbe liquidità coperta da niente: nessuno considera di ottima qualità le garanzie europee data l'incalzante desertificazione industriale, lo stato di diritto claudicante, l'accesso precluso a energia a basso costo e un mercato delle commodity in cui le banche europee sono subordinate a quelle americane e cinesi.

La realtà dei fatti è che la BCE sta seguendo a ruota la FED perché non ha altra scelta al momento, puntando sul fatto che ancora sono in vigore i suoi vari programmi di acquisto di asset. Un palliativo, in realtà, dato che il tasso d'interesse è dettato dal mercato e le banche centrali non possono far altro che ritardare gli eventi e infine seguire a ruota il mercato del credito. È controintuitivo immaginare che i tassi scendono quando la liquidità cerca i bond, ma è così che funziona la follia del credito che diventa denaro. Le banche centrali possono pungolare le banche commerciali, instradarle eventualmente, ma giammai controllano il flusso/riflusso del credito. Le banche centrali, infatti, fingono di sapere esattamente quale dovrebbe essere il tasso di prestito chiave di una nazione, o che possano essere in grado di dire quali saranno i movimenti futuri dei tassi. Il problema non è chi li dirige, i governatori non sono stupidi: è la ricetta, l’idea che un gruppo di burocrati possa pianificare la vita di milioni di esseri umani.

La cosa notevole è che nessuno sembra mettere in discussione tutto ciò. Perché abbiamo banche centrali? Perché preferiscono tassi che bassi piuttosto che alti? Né a nessuno importa particolarmente che esse gestiscano migliaia di miliardi di denaro che non è il loro e che, soprattutto, questo stesso denaro sia fraudolento. Anche se è impossibile sapere esattamente “perché” tutte queste cose sono così, nella megapolitica ci sono “ragioni” che almeno sembrano plausibili.

Ogni società, fin dai tempi dei Sumeri e dei sacrifici umani, si divide in un’élite – un’aristocrazia, un sacerdozio, una classe dirigente – e tutti gli altri. Col passare del tempo queste élite – quasi per definizione sono capaci, ben informate e intelligenti – trovano modi per migliorare il loro status e aumentare la loro ricchezza. Questo, ad esempio, è il processo che Milei sta cercando d'invertire in Argentina. La “casta politica”, come la chiama lui, ha strangolato l’economia reale per concedersi privilegi e benefici speciali.

Agli elettori non piacciono le tasse; agli investitori non piace concedere prestiti a uno stato in bancarotta. Quindi, in una democrazia moderna, il modo più semplice per un’élite di prendere potere e denaro al “popolo” è truccare i soldi. A questo proposito, il sistema monetario americano post-1971 ha rappresentato un grande passo avanti – per le élite. Da allora in poi i salari del “Popolo” sono rimasti alquanto stabili, ma la ricchezza delle classi superiori – coloro che possedevano i “mezzi di produzione” – è aumentata vertiginosamente. L’indice azionario Wilshire 5000, ad esempio, è aumentato di circa 20 volte (il possesso di azioni negli Stati Uniti è ai massimi storici, tuttavia per la persona media i guadagni nel mercato azionario sono un'utopia rispetto al reddito da lavoro). Per il lavoratore medio quasi tutto è aumentato di prezzo, tranne il valore reale della sua risorsa principale: il suo tempo. Di conseguenza ha dovuto dedicare più tempo per acquisire i beni di base della vita. Prima del cambio di denaro, per esempio, doveva lavorare circa 4 anni per comprare una casa; oggi gli costa più di 8 anni di travaglio. Il “popolo” potrebbe non possedere azioni, ma possiede case e purtroppo anche la maggior parte di questo guadagno – circa ¾ – è finita nelle mani delle élite.

In altre parole, la “ricetta” ha funzionato per alcuni ma non per tutti: la “casta politica” è diventata grassa e felice. Milei sta cercando di metterla a dieta nel suo Paese, ma per l'élite europea è ancora "All you can eat" 24 ore su 24, 7 giorni su 7.


CONCLUSIONE

La forze della megapolitica si stanno regionalizzando; il mondo ora è un tutti contro tutti. Se la globalizzazione aveva in qualche modo allungato e dilatato le supply chain, così come i rapporti diplomatici internazionali, l'inversione di tale tendenza ne sta causando una contrazione. Dal punto di vista teorico è sacrosanto criticare quelle istituzioni che hanno scatenato il caos che oggi ci troviamo ad affrontare, altresì bisogna riconoscere che senza una FED indipendente la situazione sarebbe stata ben peggiore. Ecco perché alcune forze della megapolitica vorrebbero vederla assorbita dal Ministero del Tesoro statunitense: ad esempio, potrebbe essere assecondato un movimento come quello “End the FED” solo per toglierla dall'equazione, così come l'amministrazione Biden ha assecondato le farneticazioni della MMT solo per vandalizzare i bilanci della nazione. Per quanto si possano criticare le banche centrali per la loro capacità di distorsione dell'ambiente economico, bisogna ammettere che se la FED non avesse avuto Powell, a quest'ora saremmo stati ben avviati lungo il Grande Reset della cricca di Davos.

Di certo è un obiettivo nobile e legittimo quello di perorare la causa banche centrali, allo stesso tempo bisogna chiedersi cosa sarebbe successo se la cricca di Davos avesse avuto la strada spianata per i suoi piani. Non è facile da ammettere, soprattutto per il sottoscritto, ma questo periodo storico sta presentando degli strani alleati per la libertà individuale. O almeno una preservazione quanto più possibile della stessa. Poi, se proprio vogliamo dirla tutta, le banche centrali sono un orpello in realtà nel più grande gioco delle percezioni: quelle che contano davvero sono le banche commerciali, quelle grandi ovviamente come JP Morgan. L'impostazione del tasso di riferimento è un comodo escamotage per dare la percezione che esiste un prestatore di ultima istanza in grado di stabilizzare situazioni potenzialmente pericolose. Detto in modo più semplice, che gli imprevisti possono essere anticipati grazie all'esistenza di qualcuno oltre alle banche commerciali e se qualcosa va storto allora c'è qualcuno a cui rivolgersi senza che il panico abbia modo di diffondersi velocemente. Chiamatelo pure “rischio calcolato”.

Adesso che la FED sta facendo pulizia e rimettendo ordine nella politica monetaria, (ri)facendola propria, stanno tutti scappando come scarafaggi per mettere una pezza a quel meccanismo che nel tempo garantiva loro una certa facilità nell'intreccio di alleanze e strutture di potere. Gli USA col re-onshoring delle imprese all'estero, e l'attrazione di quelle straniere come le industrie tedesche, stanno ulteriormente puntellando l'economia dagli scossoni che, inevitabilmente, si riverbereranno dalla Cina e dall'Europa. In questo senso l'accorciamento delle supply chain permettere di parare tali contraccolpi.

Adattarsi alla situazione che si verrà a creare nella propria nazione farà parte di quella strategia di difesa che risulterà un vantaggio, in termini di posizionamento anticipato, rispetto a coloro che invece sono totalmente immersi e manipolati dalle forze della megapolitica. Infatti, se prendiamo come esempio l'Europa, è particolarmente inquietante come i polarizzati (nei confronti di qualsiasi tema, non ultimo quella della guerra) siano diventati dei talebani che “sgozzano” le opinioni contrarie e arrivano persino a negare i fatti storici che hanno dato vita alla serie di eventi scatenanti la guerra. La pericolosità insita nella riscrittura del passato è stata descritta con dovizia e maestria da Orwell in 1984: chi controlla il passato, controlla il futuro... e i processi decisionali delle persone. Infatti la propaganda è un sordido strumento che s'insinua nella mente e, attraverso un'ideologia semplice ed efficace, trasforma gli individui infettati in cani rabbiosi. Non vedono più la ragione, ma solo nemici da azzannare. Color che sono attualmente polarizzati per quanto riguarda le guerre in corso, da ambo le parti, sono pronti a farsi massacrare... e altresì sono pronti a distruggersi sé stessi pur di zittire quelli che cercano di spezzare l'incantesimo. Chissà, forse un duro risveglio servirà allo scopo.

Sta di fatto che questa gente è pericolosa, dato il fanatismo che li alimenta. L'UE, quindi, non è fregata in quanto organizzazione destinata al fallimento per sua natura, ma nella caduta si sta portando dietro la società. Niente che il grande Frank Chodorov non aveva previsto nel suo magnifico libro, L'ascesa e la caduta della società (libro che vi invito caldamente a leggere). Le forze della megapolitica in Europa, pur di rimanere a galla e cercare di riprendersi il loro posto nello schema mondiale dei giochi, stanno sacrificando sull'altare della propria megalomania, presunzioen di conoscenza e psicopatia ricchezza ed energia delle varie popolazioni europee. Chi vuole rimanere in questo posto, quindi, deve prepararsi su più fronti.


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mercoledì 10 gennaio 2024

Il caos stagflazionistico dell'America

Il saggio di oggi di Stockman, oltre a tracciare un filo conduttore per capire come la stagflazione si sia di nuovo impossessata dell'economia statunitense, passa in rassegna il settore immobiliare per saggiare la devastazione economica arrecata dalle politiche fiscali e monetarie lassiste del governo federale. In questo cappello voglio aggiungere un ulteriore elemento: il debito studentesco. Il mondo del lavoro si sta avvitando su sé stesso anche a causa di questo programma di finanziamento pubblico, il quale aumenta la disoccupazione istituzionale, sovrabbondanza di lavori non richiesti, incapacità di creare una famiglia, crisi di accessibilità a tutti i livelli sociali, ecc.  Come disse Milton Friedman: “Se volete di più di qualcosa, sovvenzionatelo; se ne volete meno, tassatelo”. I prestiti studenteschi, inizialmente, erano prestiti bancari tra privati: gli studenti si rivolgevano direttamente alle banche e il governo federale garantiva contro il loro default. Inadempienze e rimborsi erano considerati gestibili e la maggior parte di questi prestiti venivano rimborsati. Ma le regole sono state cambiate radicalmente quando è entrato in vigore l’Affordable Care Act (noto come Obamacare) nel 2010: il Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti è diventato il prestatore e il progetto era realizzare profitti sufficienti sui prestiti agli studenti per pagare i premi agevolati dell’assicurazione sanitaria Obamacare. Col tempo è diventato evidente che non solo il nuovo programma dei prestiti studenteschi non stava realizzando i profitti come previsto, ma stava, di fatto, diventando una spada di Damocle sul collo del governo federale, poiché i rendimenti marginali sugli investimenti nei diplomi universitari non hanno automaticamente prodotto guadagni più favorevoli per i laureati e i mutuatari hanno fatto sempre più fatica a effettuare i pagamenti mensili richiesti per il prestito. Una volta finita l'università la maggior parte degli studenti finisce a fare "lavori umili", impedendo loro di acquistare case e creare famiglie. Nel frattempo i costi universitari hanno superato di gran lunga i prezzi in altri settori dell’economia e gran parte di tale aumento finisce nel lato amministrativo dell'equazione. Negli ultimi anni è diventato chiaro che l’esistenza dei prestiti federali agli studenti ha dato ai college e alle università luce verde per aumentare le tasse scolastiche. E sta diventando preoccupante il fatto che molti studenti (e i loro genitori) non si rendano conto delle responsabilità che si assumono quando accettano i pacchetti di aiuti finanziari offerti dalle università; nel loro entusiasmo di voler frequentare le università desiderate, gli studenti ignorano i loro oneri finanziari futuri. Ed è chiaramente inaccettabile condonare i prestiti in sospeso, costringendo tutti i contribuenti – compresi quelli che non hanno frequentato l’università, o che l'hanno frequentata senza il beneficio dei prestiti, o che l'hanno frequentata con prestiti e li hanno rimborsati – a sopportarne il costo. Nel frattempo gli studenti continuano a richiedere questi sussidi e i costi non fanno altro che accumularsi.

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di David Stockman

Il grafico qui sotto incarna un sacco di storia politica e finanziaria moderna, anche se in superficie sembra abbastanza prosaico: misura, in potere d’acquisto del 2023, l’aumento del debito pubblico sin dal 1966.

Quell'anno, infatti, fu un punto di svolta per la storia fiscale moderna: la linea di politica “Guns and butter” di LBJ raggiunse il culmine, alimentata da un'impennata della spesa pubblica sia per la Great Society che per l'escalation della guerra contro i contadini del Vietnam. E fu anche l’anno in cui LBJ malmenò il presidente della Federal Reserve nel suo ranch in Texas, chiedendogli di stampare i soldi per sostenere quei ragazzi “sanguinanti e morenti nelle giungle del sud-est asiatico”, come affermò egli stesso.

Ma un esame del grafico rende chiaro che il punto di svolta effettivo in termini di esplosione del debito pubblico della nazione iniziò 15 anni dopo: nel 1980. In potere d’acquisto del 2023, il debito pubblico passò da $2.360 miliardi nel 1966 a $2.760 miliardi nel 1980, una crescita annua piuttosto modesta dell’1,4% in termini reali.

Anche con una FED moderatamente più accomodante dopo che William McChesney Martin venne “addomesticato” da LBJ e con l’impennata dei conti per lo stato sociale a marchio Nixon e Ford, non c’era alcun segno nel 1980 che i politici americani fossero sul punto di far galoppare il debito pubblico.

Purtroppo i successivi 43 anni hanno dimostrato il contrario, poiché quella che era stata la parte piatta del grafico qui sotto è diventata praticamente verticale.

In termini di potere d'acquisto odierno, il debito pubblico fino da allora è aumentato di 14 volte: da $2.700 miliardi nel 1980 a quasi $33.000 miliardi di oggi. Tale impennata ha rappresentato un ritmo di crescita più elevato, pari al 6,0% annuo.

Inutile dire che, su un periodo di tempo considerevole, la legge dell’aritmetica composta è un mostro. Se invece il debito pubblico fosse rimasto sul percorso di crescita dell’1,4% come accaduto tra il 1966 e il 1980, il debito pubblico oggi ammonterebbe a $5.000 miliardi e la spesa per interessi sul debito federale, ad un tasso standardizzato del 4%, sarebbe di $200 miliardi, non $1.300 miliardi.

Debito pubblico statunitense in dollari costanti 2023, dal 1966 al 2023

Andiamo quindi al sodo: la svolta epocale degli eventi ha comportato la defenestrazione del vecchio partito repubblicano e il conseguente annullamento della sua dedizione alla rettitudine fiscale, al denaro sano/onesto, al libero mercato, alla prosperità interna e al commercio pacifico con l’estero.

Al loro posto è arrivata innanzitutto la dottrina neoconservatrice dell’impero globale e dell’egemonia di Washington – integrata dai guerrieri della cultura anti-aborto, dagli amanti dei pasti gratuiti, dai guerrieri anti-immigrazione e dalla brigata greenspaniana del denaro facile. Insieme tutte queste digressioni hanno compromesso, distratto e, in definitiva, reso impotente il partito repubblicano quando si trattava della sua missione nella lotta politica: essere un cane da guardia del Tesoro e robusto guardiano dei contribuenti e dei produttori della nazione.

Tutto è iniziato quando un gruppo di fanatici neoconservatori ha preso il controllo del team di Ronald e l'ha convinto a perseguire una crescita reale del 7% del budget della difesa, raggiungendo il suo apogeo ora con Nikki Haley come alternativa dell’ultim’ora al ritorno di Donald Trump.

Con la possibile eccezione di Lindsay Graham, Nikki Haley è la repubblicana più interventista e favorevole alla guerra sulla scena politica odierna. Tuttavia un partito repubblicano che la considererebbe come suo candidato presidenziale nelle circostanze attuali ha sicuramente superato la data di scadenza quando si tratta di rivendicare il ruolo di partito conservatore nel tango bipartitico della governance in America.

L’amministrazione Reagan ereditò da Jimmy Carter un budget per la difesa nazionale di $400 miliardi, se misurato in dollari attuali (2023) di potere d’acquisto. Questo era tutto ciò di cui aveva bisogno la sicurezza nazionale americana di fronte a un impero sovietico in rapida decadenza ed era solo un po’ meno di quanto il grande Dwight Eisenhower aveva definito sufficiente nel 1961, quando mise in guardia contro il complesso militare-industriale nel suo discorso di commiato.

Ma a causa della presa di potere da parte dei falchi neoconservatori che spacciavano la falsa affermazione secondo cui l’Unione Sovietica era sull’orlo di attaccare per prima, il mantra della “crescita reale del 7%” per la difesa divenne la forza dominante a guidare la politica fiscale all’interno del partito repubblicano.

Quando Reagan lasciò l’incarico, il settore della difesa aveva assunto una nuova e massiccia dimensione: nel 1988 il budget per la sicurezza nazionale aveva raggiunto i $650 miliardi (dollari 2023), rappresentando un’espansione del 65% di un sistema già gonfio.

Peggio ancora, questo livello crescente di spesa per la difesa ha ucciso qualunque residua volontà di affrontare la questione all'interno del partito repubblicano, sempre più ossessionato da questo tema. Così quando Reagan lasciò l'incarico, il bilancio interno era pari al 15,4% del PIL, praticamente la stessa cifra che i “grandi spendaccioni di Carter” avevano lasciato davanti alla porta di Ronald Reagan.

Quindi, senza tagli alla spesa interna di proporzioni materiali, senza l’impennata dei bilanci della difesa e con i profondi tagli fiscali del 1981, si è cominciato a correre in termini di deficit annuali e di debito pubblico. E ciò lasciò Ronald Reagan a balbettare che se i deficit erano dovuti alla spesa per la difesa, non aveva importanza: “Non si transige sulla difesa, si spende ciò di cui si ha bisogno”.

Non c’è dubbio, quindi, che l’economia statunitense sia alle prese con un grave periodo di stagflazione (un periodo di alto tasso d'inflazione e lenta crescita economica) e questo nonostante il PIL negativo per il terzo trimestre del 2023. L’aumento annuo del PIL reale è dovuto all’enorme accumulo di scorte (+1,32%), all’assistenza sanitaria (+0,33%) e alla spesa pubblica (+0,79%). Queste voci non sono né stabili da un trimestre all’altro, né sono gli ingredienti di ciò che alimenta l’aumento del tenore di vita e della ricchezza sociale.

Infatti negli ultimi sei trimestri il PIL reale meno queste tre voci volatili è stato in media solo  dell’1,80%  annuo. Rispetto alla crescita storica del 3-4% annuo durante il periodo di massimo splendore della prosperità americana, il recente trend del PIL che rappresenta gli investimenti fissi, i consumi interni e le esportazioni nette non è stato niente di entusiasmante.

Variazione annua del PIL reale escludendo scorte, spesa pubblica e assistenza sanitaria: 

• Secondo trimestre 2022: +1,79%

• Terzo trimestre 2022: +2,36%

• Quarto trimestre 2022: +0,31%

• Primo trimestre 2023: +2,56%

• Secondo trimestre 2023: +1,26%

• Terzo trimestre 2023: +2,46%

Ciò riconduce alla disastrosa gestione economica di Donald Trump dal 2017 al 2020. Dal quarto trimestre del 2016 il livello dei prezzi è aumentato del 27% a causa delle misure di stimolo monetario e fiscale che Trump ha supervisionato, mentre la produzione effettiva misurata dall’indice della produzione industriale (manifatturiero, energetico, minerario e utenze pubbliche) ha guadagnato solo il 4,6%.

Quest’ultima cifra equivale a un tasso annuo di appena lo 0,67% annuo, ovvero solo un quinto del tasso annuo del 3,0% prevalente nell’arco di 69 anni tra il 1949 e il 2016.

Questa è una vera e propria stagflazione, secondo qualsiasi definizione.

Indice della produzione industriale rispetto all'IPC, dal quarto trimestre del 2016 al terzo trimestre del 2023

Inoltre questo risultato stagflazionistico non è nemmeno la metà di tutta la storia. Il fatto è che l’arco di quattro anni del mandato di Trump (2017-2020) ha compreso gli ultimi anni della ripresa post-Grande Recessione. Anche alla luce del repubblicanesimo all'acqua di rose, si supponeva quindi che fosse un periodo in cui la politica monetaria e fiscale sarebbe stata normalizzata: consolidamento fiscale e normalizzazione monetaria.

Detestiamo l’idea che recessioni come quella del 2008-2009 debbano essere contrastate con deficit fiscali su larga scala e pompaggio monetario da parte delle banche centrali. Questa è solo una vecchia storia di copertura keynesiana per l'incessante espansione dello stato e la classe dirigente a Washington composta da politici, burocrati del Deep State e scagnozzi dei media generalisti.

Tuttavia i repubblicani moderni sono stati solitamente a favore degli “stimoli” durante le recessioni, con il breve intermezzo del 1981-1982 come unica eccezione. Durante quegli anni la religione dello “stimolo” fu esplicitamente rifiutata dal repubblicanesimo di Ronald Reagan; era abbastanza antiquato da capire che le recessioni sono necessarie per eliminare gli eccessi inflazionistici di debito, spesa, investimenti sbagliati e speculazione, e quindi la crisi deve seguire il suo corso anche se i lavoratori e le famiglie sono temporaneamente supportati dall’indennità di disoccupazione, ecc.

Con Donald Trump non è andata così, però. Anche prima della vergognosa follia fiscale causata dagli stimoli fiscali del 2020, il deficit era salito a $983 miliardi nell’anno fiscale 2019.

Successivamente è stata la volta di un'economia alla Looney Tunes: i deficit dell’anno fiscale 2020 e 2021 sono saliti a un totale complessivo di $5.900 miliardi. Entrambi gli anni sono stati drasticamente gonfiati dalle misure di stimolo, comprese le loro estensioni nel piano di salvataggio di Biden. In realtà il totale di quei due anni è pari all’intero debito pubblico contratto sotto la sorveglianza di tutti i 43 presidenti durante i primi 212 anni di vita della nazione!

I sopraccitati $5.900 miliardi graveranno sui contribuenti statunitensi per generazioni a venire e sono quindi una follia imperdonabile. Si tratta di un comportamento assolutamente inaccettabile per qualsiasi politico eletto nelle fila repubblicane.

Per fugare ogni dubbio, controllate il grafico del deficit federale qui sotto: stava scendendo e poi è impazzito.

Deficit federale, dall'anno fiscale 2009 all'anno fiscale 2021

Inutile dire che questa ondata di prestiti ha favorito gravi distorsioni nell’economia di Main Street. L'unico lato positivo è che la tempesta di stimoli finanziati con inchiostro rosso ha finito per confutare l'illusione keynesiana secondo cui la spesa al consumo (PCE), se gonfiata artificialmente, alimenta una crescita economica sostenibile.

Indice del reddito personale reale meno trasferimenti sociali rispetto alla PCE reale, da febbraio 2020 a settembre 2023

Il livello della PCE totale è stato inizialmente enormemente gonfiato da tutte le misure di stimolo durante la presidenza Trump, compresi i $1.600 miliardi in tagli fiscali. Infatti, tra febbraio 2020 e settembre 2023, la crescita reale della PCE (linea nera) al 2,6% annuo è stata più del doppio della crescita del reddito personale reale derivante da salari, stipendi, interessi e dividendi. Inutile dire che il divario tra entrate e spese è stato compensato da una massiccia esplosione di pagamenti nell’ambito dei molteplici cicli di stimoli fiscali da migliaia di miliardi di dollari.

Di recente, poi, il Wall Street Journal non ha usato mezzi termini per descrivere l’aumento vertiginoso dei costi della casa:

Possedere una casa è diventato un sogno irrealizzabile per un numero sempre maggiore di americani, anche per quelli che potevano permettersi di acquistarla solo pochi anni fa [...] acquistare una casa ora è meno conveniente che in qualsiasi momento della storia recente, e le cose non cambieranno tanto presto. [...] Ciò significa che gli acquirenti ottengono molto meno rispetto ai dollari spesi. Prima che la FED iniziasse a rialzare i tassi, una persona con un budget immobiliare mensile di $2.000 avrebbe potuto acquistare una casa del valore di oltre $400.000; oggi lo stesso acquirente dovrebbe trovare una casa del valore di $295.000 o meno.

E sì, si può incolpare la FED per questo stato di cose, ma non per i tassi ipotecari sono troppo alti. Né il problema potrebbe essere risolto mediante l’imposizione di tetti massimi sui tassi ipotecari imposti dal governo federale.

In realtà i tassi ipotecari reali sono ancora al di sotto della norma; ciò che è troppo alto sono i prezzi delle case e questa condizione è attribuibile a decenni di repressione dei tassi d'interesse, i quali hanno avuto il grave effetto di “far trincerare” le persone in mutui a buon mercato che a loro volta stanno tenendo fuori dal mercato milioni di di case.

Per quanto riguarda i tassi ipotecari super-economici degli ultimi dieci anni e oltre, il meccanismo di inflazione dei prezzi delle case è semplice: le case sono il bene a leva per eccellenza, con un debito ipotecario totale pari a quasi $13.000 miliardi, di conseguenza l’offerta marginale per le proprietà è pesantemente finanziata dal debito, il che significa che più bassi sono i tassi d'interesse reali, più alto è il prezzo di equilibrio degli immobili.

Ma ora che i prezzi delle case sono saliti alle stelle a causa del debito ipotecario a basso costo, i potenziali acquirenti di case vengono martellati da tutte le parti: invece di scendere con l’aumento dei tassi d'interesse secondo le normali leggi dell’economia, i prezzi delle case continuano a salire a causa della disponibilità artificialmente scarsa di unità in vendita; quando si moltiplica un tasso ipotecario più elevato per un prezzo di una casa ancora più elevato, i pagamenti mensili dei mutui escono fuori dalla portata di una quota crescente di famiglie statunitensi.

Ciò con cui abbiamo a che fare qui sono gli effetti presumibilmente “non intenzionali”, ma prevedibili, dei tentativi della FED d'impostare i tassi d'interesse al di sotto – e di solito molto al di sotto – dei livelli di mercato. L'Eccles Building potrebbe non aver avuto intenzione di causare l'impennata dei prezzi delle case, o d'indurre i proprietari a tenere le proprietà fuori dal mercato per preservare bassi tassi ipotecari a lungo termine, ma questo è esattamente ciò che la sua sciocca linea di politica sui tassi ha sortito alla fine.

Quindi analizziamo questo pasticcio un componente alla volta. All’attuale livello nominale del 7,5%, i tassi ipotecari a 30 anni possono sembrare elevati rispetto al recente passato, ma visti nel contesto degli ultimi tre decenni chiaramente non lo sono.

Ciò significa che se un tasso ipotecario del 7,5% equivale a una crisi, allora c’è qualcos’altro che non va. Dopo tutto, tra il 1998 e il 2007 il tasso ipotecario è stato per la maggior parte del tempo ben al di sopra dei livelli attuali, ma il mercato immobiliare ha comunque fatto registrare un boom. Le vendite di case esistenti sono state in media di 6,0 milioni di unità all’anno (linea tratteggiata) e non sono mai scese al di sotto dei 5 milioni rispetto al livello di ottobre 2023 di soli 3,79 milioni di unità.

Di maggiore importanza è il tasso ipotecario aggiustato all’inflazione poiché l’inflazione tende a gonfiare sia i costi che i redditi. Eppure, su questo parametro chiave, l’attuale tasso ipotecario trentennale (linea viola) al +2,52% è in realtà inferiore a qualsiasi altro periodo prima del terzo trimestre del 2011. Sembra elevato solo se paragonato all’aberrazione causata dalla frenesia monetaria della FED durante la pandemia, quando il tasso ipotecario reale ha toccato il fondo a un assurdo e del tutto insostenibile -2,0% nel primo trimestre del 2022.

In altre parole, a parte alcuni mesi durante la follia finanziaria del 2020-2021 promossa da Washington, i tassi ipotecari aggiustati all’inflazione oggi sono al livello più basso degli ultimi 25 anni!

Questo sicuramente non può costituire una crisi.

Tasso ipotecario nominale a 30 anni rispetto al tasso aggiustato all'inflazione, dal 1998 al 2023

La vera crisi, ovviamente, riguarda il lato dell’equazione relativo ai prezzi delle case, dove le infermità inflazionistiche si stanno accumulando da cinquant’anni: durante i 50 anni trascorsi dal primo trimestre del 1973, i prezzi delle case (linea viola) sono aumentati di quasi il 1.300%, o del doppio dell’aumento del 610% dell’IPC (linea rossa).

Inoltre è evidente dal grafico qui sotto che la lezione del crollo immobiliare del 2007-2009 non ha avuto seguito. Dopo aver toccato il fondo nel primo trimestre del 2009, il prezzo medio di vendita delle case statunitensi è rimbalzato del 130% in corrispondenza del picco degli stimoli fiscali/monetari nel quarto trimestre del 2022.

Variazione del prezzo medio di vendita delle case negli Stati Uniti rispetto all’IPC, dal 1973 al 2023

Inutile dire che se i salari fossero rimasti ragionevolmente al di sopra dell’inflazione generale dell’indice dei prezzi al consumo, l’incessante aumento dei prezzi medi delle case sarebbe stato ovviamente già abbastanza grave di per sé, ma i salari medi non sono andati da nessuna parte in termini reali nell’ultimo mezzo secolo.

Di conseguenza questo confronto tra il salario orario aggiustato all’inflazione e il prezzo medio della casa aggiustato all’inflazione è sicuramente da inserire nel libro del Guinness World Record: negli ultimi cinque decenni il salario medio aggiustato all’inflazione (linea nera) è aumentato solo dell’1% e, tanto per essere chiari, ci riferiamo all’intero periodo di 50 anni, non ad un incremento annuo dell’1%.

Al contrario il prezzo medio delle case aggiustato all’inflazione (linea viola) è aumentato del 100%. Proprio così. Gli aumenti dei prezzi reali delle case hanno superato di 100 volte gli aumenti dei salari reali. C’è da meravigliarsi, quindi, se anche i tassi d'interesse reali degli ultimi mesi abbiano fatto precipitare in una crisi l’accessibilità agli immobili?

Il fatto è che c’è troppo “prezzo” nell’equazione del pagamento mensile del mutuo, non troppo “tasso”.

Salario medio reale & prezzo mediano reale della casa, dal 1973 al 2023

In altre parole, nel primo trimestre del 1973 ci volevano 3,9 anni di lavoro al salario orario medio ($4,14 l’ora) per eguagliare il prezzo medio di vendita delle case ($32.600); quella cifra ammontava a  8,3 anni nel 2022.

Non sorprende, quindi, che l’indice Home Affordability della National Association of Realtors sia attualmente al minimo da 37 anni.

Dati sull’indice di accessibilità agli immobili negli Stati Uniti forniti da YCharts

Inutile dire che la frenesia della stampa monetaria da parte della FED dopo il 2000 ha dato il colpo di grazia all'accessibilità economica del settore immobiliare. L’ultima volta che i tassi dei mutui trentennali (linea nera) sono stati superiori al 7% è stato nel primo trimestre del 2001, quando il prezzo medio delle case (linea viola) era pari a soli $179.000.

Attualmente il prezzo medio delle case è più alto del 140%, a $431.000, di conseguenza l’interesse aggiuntivo sul prezzo, assumendo un rapporto prestito/valore dell’80%, è superiore a $15.000 all’anno.

Tasso ipotecario a 30 anni rispetto al prezzo mediano della casa, dal 2001 al 2023

Inutile dire che il concetto di “prigionieri del tasso ipotecario” non è solo una metafora, i dati attuali sui livelli dei tassi d'interesse dei mutui immobiliari lasciano poco all’immaginazione: nel primo trimestre del 2023 ben il 95,2% delle ipoteche totali erano prestiti a tasso fisso. In termini di volume in dollari, uno sconcertante 70% di quei prestiti erano bloccati a tassi d'interesse del 4% o inferiori, mentre quasi il 30% era inferiore al 3,0%.

Non stiamo parlando di spiccioli, ci sono quasi $13.000 miliardi di mutui immobiliari in circolazione, il che significa che oltre $9.000 miliardi di essi hanno tassi d'interesse inferiori al 4%. Sulla base dei dati a nostra disposizione, il tasso medio su questi mutui non dovrebbe essere molto superiore al 3,3%, il che significa che la differenza del costo di mantenimento degli interessi rispetto all’attuale tasso di mercato al 7,5% è superiore a $400 miliardi all’anno.

Inoltre il tasso d’interesse medio di tutte le ipoteche ammonta attualmente solo al 3,7% e ciò significa che l'attuale titolare medio di un mutuo paga un tasso pari solo al 49% del tasso di mercato odierno per i nuovi mutui. Quando si parla di distorsioni del mercato e di effetti di "trinceramento", anche questo è un tema destinato ai libri di storia.

Naturalmente la domanda ricorrente è se tutta questa distorsione – guadagni inaspettati prima ed effetti di "trinceramento" ora – ne valesse la pena. I dati seguenti implicano un sonoro no!

Lo scopo della soppressione artificiale dei tassi ipotecari negli ultimi decenni era quello di aumentare il tasso di nuovi investimenti e costruzioni immobiliari, ma in nessun modo ciò è accaduto. Su una base pro capite di completamento dell’edilizia abitativa, il livello oggi è inferiore del 55% rispetto al 1971.

Completamento pro capite di nuove unità abitative, dal 1971 al 2023

Quindi, per ripetere, l’incessante pompaggio monetario da parte della FED e la falsificazione dei tassi d'interesse hanno avuto un chiaro effetto sull’edilizia abitativa, e non quello propagandato dai keynesiani secondo cui tutto ciò avrebbe prodotto più unità abitative per le persone. Il risultato è stato gonfiare i prezzi delle case fino all'inverosimile: ha fatto lievitare il prezzo degli asset esistenti, non il livello d'investimenti in nuovi asset.

E ora che la FED è finalmente costretta a piegarsi fortemente al vento dell’inflazione, il tradizionale sogno della proprietà immobiliare è fuori portata per una maggioranza crescente di famiglie statunitensi: i tassi sono alti, l’offerta è bassa, i prezzi continuano a salire e l’accessibilità economica è diventata proibitiva.

Questo è solo l'ennesimo motivo per sottrarre il controllo del banco ai pianificatori monetari centrali; il tentativo di ancorare e microgestire i tassi d'interesse genera più danni che benefici.

Inoltre, come spiegato in un precedente pezzo, una finestra di sconto che fornisca credito della FED a tassi di mercato, più uno spread di penalità, alle banche membri fornirebbe un sostegno di liquidità più che sufficiente per il sistema finanziario di oggi. E funzionerebbe passivamente, guidato dalle forze di mercato e dalla creazione di nuova produzione economica e di garanzie commerciali.

Ancora più importante, le bolle speculative, l’inflazione dei prezzi e gli investimenti sbagliati sistematici non si verificherebbero, facendo tornare l’opportunità di possedere una casa alla portata delle famiglie della classe media.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 18 dicembre 2023

Le insidie nell'attuale guerra finanziaria mondiale

L'articolo di oggi vuole essere l'ennesima pistola fumante a supporto di una tesi sposata a lungo su queste pagine: esiste una fazione avversa all'America stessa oggi che la governa. In caso contrario, non si spiega razionalmente il motivo per cui coloro che dovrebbero salvaguardare il benessere fiscale della nazione, la stiano facendo sprofondare volontariamente. Ciò si spiega con logica coerenza se si presume che coloro che fanno parte dell'amministrazione attuale non siano altro che vandali, il cui scopo è distruggere gli USA. Mi riferisco ovviamente alla cricca di Davos, i cui infiltrati sono in entrambi gli schieramenti politici e nel tempo hanno dimostrato di essere ottimi compagni di letto (es. Bohener, McCarthy/McConnel, Johnson, ecc.). Solo la Federal Reserve sta dimostrando, invece, di opporsi alla calamità fiscale che viene attivamente promossa da Capitol Hill. È in questa chiave che dovete leggere l'articolo di oggi. La guerra tra queste due fazioni si surriscalderà ulteriormente l'anno prossimo e raggiungerà il culmine nel 2026. Ricordate, la componente finanziaria è sempre superiore a quella politica ed ecco perché se la cricca di Davos avesse messo la Brainard al posto di Powell adesso avrebbe dato scacco matto agli USA. Facendo aumentare il valore del dollaro e facendo leva sui carry trade abilitati da uno yen a prezzi ridicoli, l'effetto morsa sull'euro è schiacciante; effetto ulteriormente accentuato dal fatto che Cina e partner di scambio stanno progressivamente usando lo yuan come valuta di saldo (soprattutto nel mercato energetico) e questo contribuisce ancor di più a far arretrare l'euro. Il risultato, quindi, è la Federal Reserve che continua a fare pressione sul dollaro prosciugando biglietti verdi dall'economia mondiale e contraendo il mercato degli eurodollari (non sotto il controllo della FED ma di Londra, quindi togliendo potere agli inglesi) e i cinesi che vendono titoli di stato statunitensi per puntellare lo yuan e le loro economie satelliti, chi viene schiacciato in mezzo è l'euro, l'Eurozona e la sterlina. Chi sta cercando di sostenere, disperatamente, l'euro sono la Gran Bretagna (non a caso si fanno insistenti le voci di un'inversione della Brexit) e l'amministrazione Biden, ma il controllo sta sfuggendo di mano come abbiamo visto il mese scorso in questa intervista a Draghi. Infatti non è una questione squisitamente finanziaria, ma anche energetica laddove l'UE, a causa delle sanzioni (fallimentari) alla Russia, paga la materia energia dalle 2-3 volte in più rispetto al passato. Questa, in parole povere, è una guerra di attrito in cui la strategia è ridurre progressivamente le riserve dell'avversario. Vincerà chi avrà il fiato più lungo. Gli Stati Uniti stanno potenziando la produzione interna, ridotto le importazioni, persuaso aziende tedesche a delocalizzare sul suolo americano e continuano a sostenere l'onshoring di quelle aziende nazionali che in passato avevano delocalizzato altrove, oltre ovviamente ad avere il dollaro e una discreta capacità di produrre energia a basso costo internamente (limitata da Biden, ma facilmente ripristinabile data la natura politica di tale blocco). L'Europa, invece, non ha mai avuto una grossa capacità di produzione propria di energia e il tessuto industriale europeo è in deterioramento: la Germania, in particolar modo, è in frenata da mesi e di recente l'Italia è uscita dalla nuova "via della seta" cinese con tutte le conseguenze del caso per l'approvigionamento di semilavorati (linea di politica anche condivisibile sotto alcuni punti di vista, ma in questa fase storica non fa altro che aumentare le frizioni con la Cina che, come gli USA, ha ridotto importazioni/esportazioni in Europa). Elevati deficit di bilancio da rifinanziare, elevati costi dell'energia e fornitura di semilavorati dalla Cina in calo equivalgono a un continuo calo della produzione industriale europea da qui a tempo da definirsi. E questo panorama vi dà l'idea di chi tra Stati Uniti, nonostante i loro problemi economici, ed Europa avrà il fiato più lungo.

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di David Stockman

Eccone una che vi farà rizzare i capelli: il Tesoro degli Stati Uniti ha chiuso i conti per l’anno fiscale 2023, portando il deficit cumulativo quadriennale a $9.000 miliardi!

Proprio così: durante gli ultimi 1.461 giorni (dall'anno fiscale 2020 al 2023), lo Zio Sam ha generato  $6,2 miliardi in inchiostro rosso ogni giorno, compresi i fine settimana, le festività e i giorni di neve. Per chiunque tenga il punteggio a casa, si tratta di $4,2 milioni in inchiostro rosso al minuto.

A scopo di prospettiva, ecco quanto tempo è stato necessario per generare i primi $9.000 miliardi di debito pubblico degli Stati Uniti: ci sono voluti 43 presidenti e 219 anni per raggiungere $9.000 miliardi di debito pubblico nel luglio 2007. Quindi da lì in poi l’orologio del debito nazionale ha accelerato la sua corsa.

Valore di mercato del debito pubblico in circolazione, dal 1940 al luglio 2007

Si scopre poi che se si rimuovono tutti i fronzoli statistici dai numeri del bilancio, il deficit federale per l’anno fiscale 2023 è stato di oltre $2.000 miliardi, ovvero il doppio del livello comparabile nell’anno fiscale 2022. I numeri ufficiali, ovviamente, non sembrano altrettanto allarmanti, attestandosi a $1.400 miliardi per l’anno scorso e a $1.700 miliardi quest’anno.

Ma come ha spiegato di recente il Wall Street Journal, questo confronto è molto fuorviante perché include uno spostamento di bilancio di $380 miliardi tra i due anni. Sembra che la cancellazione del debito studentesco di Sleepy Joe sia stata registrata come “costo” nel settembre 2022, ma poi sia stata cancellata nell'anno fiscale 2023, trasformandolo in un gigantesco "risparmio"!

Quando l’amministrazione Biden ha annunciato il suo piano per condonare il debito studentesco detenuto da 40 milioni di americani nel settembre 2022, ha iscritto a bilancio il costo a lungo termine del programma: $379 miliardi in una sola volta, anche se di fatto non è stato speso denaro per quell’anno [...]. Ma nel giugno 2023 la Corte Suprema ha annullato il programma di cancellazione del debito, il che significa che la maggior parte di quel denaro non sarebbe stato effettivamente speso. Invece di aggiornare i numeri del deficit dello scorso anno, il Tesoro ha registrato i cambiamenti come un taglio alla spesa di $333 miliardi nell’agosto 2023.

Non uso alla leggera l’epiteto “statistica creativa”, ma prenotare i prossimi 50 anni per il rimborso dei prestiti studenteschi durante il solo mese di agosto 2023 equivale esattamente a questo. Tuttavia Joe Biden ha l’audacia di continuare ad affermare di aver tagliato il deficit federale!

In realtà egli è circondato dai soliti keynesiani quando si tratta di politica fiscale, ma anche loro non hanno storicamente raccomandato un aumento del deficit in un periodo di cosiddetta piena occupazione, soprattutto quando il tasso di disoccupazione ufficiale è solo del 3,8% e l’economia è ancora in difficoltà a causa della grave carenza di manodopera. Infatti il deficit da $2.000 miliardi per l’anno fiscale 2023 ammonta al 7,5% del PIL, un livello che avrebbe dovuto verificarsi solo nel momento più oscuro di una grave recessione.

Inutile dire che queste squallide cifre fiscali sono solo un ulteriore atto d'accusa contro il nefasto governo dell'Unipartito a Washington. Quando si finanzia una macchina della guerra da $1.300 miliardi, s'isolano $4.200 miliardi all’anno in previdenza sociale, Medicare e altri diritti sociali, si riempiono fino all’orlo i barili della spesa discrezionale interna, si allontana ogni idea di aumentare le entrate e si deve affrontare l’esplosione del costo degli interessi netti sul debito pubblico, il risultato sono $9.000 miliardi sotto forma di tsunami d'inchiostro rosso... e crescerà negli anni a venire.

Infatti questi numeri sono ora incorporati nella torta fiscale. Il mondo è sul punto di scoppiare in un conflitto più allargato in Medio Oriente e l’Ucraina è appesa a un filo, entrambi a causa della perfidia neoconservatrice degli ultimi decenni. Quindi il budget complessivo per la sicurezza nazionale da $1.300 miliardi (es. Dipartimento della Difesa, assistenza e operazioni di sicurezza internazionali, veterani) non potrà far altro che salire.

Nel frattempo Donald Trump ha virtualmente bloccato la nomina repubblicana anche se finisse dietro le sbarre prima del novembre 2024. Comunque andrà a finire prevarrà l'undicesimo comandamento del partito repubblicano: non toccare la previdenza sociale o l’assistenza sanitaria statale, anche se costeranno $34.000 miliardi nel prossimo decennio; i loro fondi fiduciari saranno insolventi entro l’inizio del prossimo decennio e migliaia di miliardi di questi benefici rappresentano pagamenti, non un ritorno sulle imposte versate da contribuenti nel corso della loro vita lavorativa.

Per quanto riguarda la “piccola” parte del bilancio (meno del 15%) chiamata “spesa discrezionale non legata alla difesa”, il partito repubblicano ha già firmato i suoi documenti di confessione: tra l’anno fiscale 2017 (l’ultimo bilancio di Obama) e l’anno fiscale 2021 (il bilancio finale di Trump), questa componente fiscale è aumentata da $610 miliardi a $895 miliardi. Si tratta di un aumento del 47% in un momento in cui il partito repubblicano controllava il diritto di veto alla Casa Bianca e in una o entrambe le camere del Congresso.

E poi si arriva alla ciccia, vale a dire, l’impennata del costo del servizio del debito a causa della normalizzazione a lungo ritardata, ma non ancora completata, dei tassi d'interesse.

Semmai ci fosse qualche dubbio sul fatto che Washington stesse vagando in un Paese dei balocchi grazie alla drastica soppressione dei tassi d'interesse da parte della FED, i dati relativi al costo medio ponderato del servizio del debito dovrebbero risolvere la questione.

Alla vigilia dell’anno fiscale 2020 e della summenzionata esplosione del debito pubblico da $9.000 miliardi che ne è seguita, il debito federale detenuto dal pubblico era già più che triplicato: da $5.000 miliardi alla fine del 2007 a quasi $17.000 miliardi alla fine dell’anno fiscale 2019. A causa della ZIRP, il tasso d'interesse medio ponderato sul debito federale era solo del 2,5% al ​​30 settembre 2019.

Poi è arrivata l’esplosione dei finanziamenti, ma, mirabile dictu, il costo del servizio del debito federale ha continuato a diminuire. All’inizio di marzo 2022, quando la FED si è finalmente concentrata sulla lotta all’inflazione, il tasso d'interesse medio ponderato ha raggiunto solo l’1,56%!

Proprio così. Washington era nel mezzo della più grande frenesia di spesa e d'indebitamento della storia, ma grazie alla FED il rendimento medio del debito pubblico era sceso del 40%.

Da allora la realtà si è intromessa dolorosamente: entro la fine dello scorso agosto 2023 il costo ponderato era al 2,92%, di conseguenza il tasso annuale della spesa per interessi è salito da $578 miliardi nel terzo trimestre del 2019 a $910 miliardi nel secondo trimestre del 2023. Si tratta di un aumento del 57%, ma è appena un riscaldamento per ciò che sta arrivando.

Praticamente ogni scadenza dei titoli del Tesoro, dai buoni a 30 giorni alle obbligazioni a 30 anni, viene attualmente scambiata a +/- il 5,0%, il che significa che quando le attuali scadenza dovranno essere rinnovate, il servizio del debito aumenterà di ulteriori $500 miliardi all’anno, ancor prima che nuove migliaia di miliardi vengano aggiunte al totale del carico di debito dello Zio Sam.

E oltre a ciò, il 5% non è certamente il limite massimo sui rendimenti dei titoli del Tesoro. Dato l’indebitamento pubblico galoppante e il tasso di risparmio storicamente basso della nazione, il rendimento medio del debito pubblico probabilmente si dirigerà ancora più in alto. E questa volta non ci sarà alcun salvataggio da parte della FED, perché l'inflazione non sta scendendo, il che significa che un nuovo ciclo di “denaro facile” si sta affievolendo lungo l'orizzonte.

In questo contesto la politica economica del partito repubblicano è una favola direttamente dal Paese delle fantasie. Vale a dire, anche se vogliono ancora di più per il complesso militare e stanno prendendo a gran voce per lo stato sociale, si sentono comunque obbligati a chiedere che i tagli fiscali di Trump vengano prorogati in modo permanente quando scadranno nel 2025.

Ciò costerebbe la bella cifra di $3.500 miliardi in mancate entrate nel prossimo decennio e si aggiungeranno ai $25.000 miliardi in nuovo debito.

In breve, l'Unipartito ha affidato le finanze della nazione a una macchina fiscale apocalittica che è letteralmente inarrestabile.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 15 settembre 2023

L'evanescenza delle valute fiat e la decadenza socioeconomica della stagflazione risultante

 

 

di Francesco Simoncelli

Ludwig von Mises affermò che “l’essenza della teoria monetaria è la consapevolezza che i cambiamenti indotti dalla liquidità non influenzano né allo stesso tempo né nella stessa misura i prezzi, i saggi salariali e i tassi d'interesse”. Il punto in cui nuova moneta entra nell’economia è di grande importanza se si vuole analizzare il suo effetto perturbante sulla struttura produttiva. A differenza del QE iniziato nel 2008, in cui nuova moneta è entrata nei mercati finanziari principalmente attraverso il sistema bancario commerciale, quello avviato sin dal 2020 ha finanziato la spesa in deficit degli stati. La spesa pubblica risultante si è aggiunta ai bilanci del settore privato e delle famiglie ed è parte di una linea di politica antiproduttiva. Allo stato attuale è difficile distinguere gli strati di espansione monetaria in atto: l’espansione del credito è passata per i mercati dei prestiti, grazie ai tassi d'interesse artificialmente bassi derivanti dall’attività continua del sistema bancario centrale i cui bilanci sono raddoppiati sin dal 2020. C’è anche quella che Mises chiamava "inflazione semplice", dove il Ministero del Tesoro spende i soldi che riceve dal sistema bancario commerciale, che a sua volta li riceve da quello centrale.

Entrambi i livelli possono espandere la produzione e aumentarne i prezzi dei fattori, ma i beneficiari sono scelti da parti diverse. L’espansione del credito consente a coloro che sono più abili – ovviamente grandi aziende e mercato finanziario – di accedere a fondi mutuabili ed espandere la produzione. L’inflazione semplice avvantaggia l’attività economica dello stato e trasferisce il reddito a qualunque parte con cui voglia contrattare. Contrariamente all’opinione diffusa, la spesa fiscale non può indirizzare le risorse da obiettivi di valore inferiore a quelli di valore superiore: i servizi gestiti dal settore pubblico non operano sotto la pressione del sistema profitti/perdite, quindi per natura distruggono valore. Infatti i pagamenti dello stato sociale vengono ottenuti attraverso clientelismo piuttosto che attraverso la concorrenza di mercato.

L’inflazione è sempre un fenomeno politico, in realtà. Gli stati o la assecondano, oppure cercano di frenarla, ma una volta che iniziano a inflazionare, è un’abitudine difficile da interrompere. La questione si riduce tutta a una singola formula: “Inflate or die”. Devono continuare a inflazionare per evitare bancarotte e default; oppure interrompono la musica e mettono subito fine alla festa. In ogni caso il risultato finale è più o meno lo stesso: prima o poi sfatano le fantasie degli illusi e i loro sogni vengono infranti. I tassi d'interesse artificialmente bassi hanno indotto le persone a ricorrere in modo scriteriato ai prestiti: chi ha chiesto un prestito per avviare un'impresa, chi per scommettere sulle azioni, chi per comprare una casa, chi per le vacanze e per la TV a grande schermo, ecc. Tutti hanno le loro speranze, sogni e aspirazioni e tutti sono ora incorporati in un debito pubblico/privato da migliaia di miliardi. Ma mantenendo i tassi d'interesse troppo bassi per troppo tempo, le banche centrali hanno falsificato i costi reali e ora, con l’aumento dei tassi di interesse, diventa sempre più difficile mantenere vivi quei sogni. Alla fine, molti falliranno.

In questo momento, sulla base della relazione storica tra produzione (PIL) e debito, gli americani hanno un debito di circa $50.000 miliardi di troppo e rappresenta una minaccia e un peso: può rovinare debitori e creditori allo stesso modo, sottraendo risorse dal presente per pagare pasti già mangiati, investimenti già andati a male e abbronzature che sono già scomparse. Con sempre più tempo e denaro indirizzati al passato, meno è disponibile per il futuro; la crescita rallenta. Come ci hanno mostrato gli argentini, si può prendere in prestito per molto tempo, ma non per sempre. Alla fine il debito non può essere sostenuto e in qualche modo deve andare via: o attraverso il fuoco (inflazione) o il ghiaccio (deflazione). Ma anche se entrambi i fenomeni alla fine eliminano il debito in eccesso, sono tutt’altro che uguali.

Se la festa finisce all’improvviso, come Paul Volcker pose fine all’inflazione americana degli anni ’70, molte persone si arrabbierebbero e brontolerebbero mentre, ubriachi di liquidità, cercherebbero le chiavi della macchina. Molti non sono in condizioni di guidare, hanno esagerato con i prestiti, hanno speculato in modo troppo sconsiderato e hanno speso troppo... dovranno prendere un taxi. Alcuni correranno il rischio e finiranno in un fosso... o in prigione. No, non sarà divertente, ma almeno la maggior parte tornerà a casa sana e salva; l’economia reale ne uscirà relativamente indenne. Ma se le banche centrali lo volessero, potrebbero mettere su un altro po’ di musica e perfino tirare fuori le droghe pesanti; ciò farebbe andare le cose avanti ancora per un po’ e le persone si indebiterebbero ulteriormente. Farebbero investimenti ancora più sconsiderati, potrebbero spendere di più e la resa dei conti finale sarebbe più severa, semplicemente perché ci sarebbero più debiti inesigibili con cui fare i conti.

Ma c’è di più. Basta guardare alle economie che hanno cercato di uscire dalla trappola del debito con l’inflazione: Zimbabwe, Venezuela, Argentina, Libano, ecc. L’inflazione non ha solo cancellato il debito, ha anche distrutto le loro economie: gli investimenti a lungo termine sono stati spazzati via, non nascono nuove imprese e quelle che esistono già fanno fatica a sopravvivere, le famiglie tagliano le spese oppure spendono i loro soldi prima che perdano di potere d'acquisto.

In altre parole, l’inflazione non si limita a ridurre i prezzi degli asset, portando i ricchi giù di un livello. Come una cattiva abitudine al bere, rende difficile guadagnarsi da vivere, le persone diventano più povere e le loro vite diventano squallide.


PERCEZIONE DI POVERTÀ O POVERTÀ REALE?

Il tema di oggi non è affatto nuovo per i lettori stagionati di questo sito web, soprattutto perché nel corso del tempo, nonostante lo scetticismo dovuto alla non materializzazione del fenomeno inflattivo durante i tempi del QE, mi sono speso per descrivere il processo attraverso il quale saremmo arrivati a questo esito. Per quanto i vari giri di QE fossero indirizzati sostanzialmente al circuito finanziario, la distorsione dello spettro dei tassi d'interesse ha riguardato anche l'economia più ampia e gli effetti distorsivi si sono espansi a macchia d'olio... dapprima lentamente e poi velocemente. I prezzi folli raggiunti dal comparto azionario/obbligazionario sono stati caratterizzati da un'ingegneria finanziaria senza pari nella storia economica, alimentata da uno tsunami di finanziamenti a tassi ridicoli; per quanto il sistema bancario centrale volesse focalizzarsi esclusivamente sui salvataggi di banche e clientes nel circuito finanziario, la deformazione dei tassi d'interesse a causa delle massicce manipolazioni dell'offerta di denaro ha spinto, poco alla volta, anche la persona media ad "approfittare" dei saldi nel mercato monetario. Inutile dire che ciò ha gonfiato bolle molto più grandi di quelle precedenti. Perché? Perché agli errori del passato è stata impedita la correzione sulla scia della teoria keynesiana del "quasi boom", di un sostegno a quelle industrie "più sensibili" ai tassi d'interesse e cruciali per il buon funzionamento dell'arazzo socio-economico.

Bolla immobiliare, bolla nei prestiti auto, bolla nei prestiti agli studenti, ecc. sono solo alcuni degli esempi che si possono fare per dimostrare come il credito facile sia percolato nell'economia di Main Street. La compartimentazione dell'economia, come speravano le banche centrali, erano solo un pio desiderio: l'illusione di poter socializzare le perdite una volta che si sarebbe tirato il freno a mano e chiuso il rubinetto monetario. Non è andata così, come non ci va mai in realtà, e c'è sempre un qualcosa che va storto. È prasseologicamente normale che sia così. Le banche centrali non si sono potute tirare indietro, soprattutto negli ultimi 3 anni, e hanno raddoppiato i loro sforzi d'interventismo per puntellare in qualche modo il caos finanziario che avevano scatenato coi precedenti cicli di svalutazione monetaria. La correzione che si profilava sui mercati sarebbe stata devastante, ma il salvataggio ha comportato un prezzo nascosto da pagare: ulteriore crowding out della struttura del capitale, mismatch di produzione e sovrabbondanze/carenze in vari settori industriali.

Per quanto l'espansione dello stato sociale sia stata visibile a tutti come mezzo attraverso il quale offrire sollievo dalla crisi sanitaria, prima, e da quella ambientale, poi, è la stortura prolungata nell'allocazione del capitale che ha creato criticità sequenziali nell'economia. E che adesso sta impedendo alle banche centrali di poter contare sulla socializzazione delle perdite per attutire l'impatto dello sgonfiamento delle bolle e del rialzo dei tassi. È tale deformazione, strutturale ormai e non più temporanea, che sta garantendo un'inflazione dei prezzi persistente e un impoverimento generale diffuso. Le dislocazioni nell'allocazione del capitale sono superiori alla perdita di potere d'acquisto del denaro, il quale è un sintomo di questa malattia più grande. Bear Stearns e la stessa Lehman Brothers sarebbero dovute essere delle lezioni propedeutiche a tal proposito. La perdita di potere d'acquisto del denaro è una canalizzazione dei risparmi reali verso quelle entità che si desidera salvare da una correzione di mercato, ma quando anni di distorsione dei tassi hanno praticamente azzerato la capacità di creare un bacino sano di ricchezza reale allora l'esito di una tale pratica è sterile: la socializzazione delle perdite affligge tutti indistintamente.

Ciò che rimane da fare per i pianificatori centrali è saccheggiare tutto il saccheggiabile, non più col sotterfugio ma col comando/controllo; non più con la persuasione, bensì con la violenza plateale. Continuare sulla tabella di marcia della socializzazione delle perdite cercando di limitare i danni anche al sistema clientelare imbastito nel corso degli anni e che ha garantito loro, attraverso privilegi monopolistici, la sopravvivenza fino a oggi. Il saccheggio che ne consegue non degrada solo l'ambiente economico, ma quello sociale e culturale anche. La corruzione dei costumi e delle tradizioni cui assistiamo oggi non è altro che il risultato di una nevrosi indotta da un contesto economico che impedisce l'espressione genuina delle motivazioni prasseologiche da parte degli individui; domanda e offerta non s'incontrano, a tutti i livelli, e ne consegue un'esponenziale insoddisfazione. Ma cerchiamo di capire meglio quest'ultimo punto prendendo come esempio l'Italia.

Per cosa si spendono sostanzialmente i soldi di mese in mese? Affitto, mutuo, cibo, utenze, istruzione, manutenzioni varie. Queste sono le categorie fondamentali, ma l’indice dei prezzi al consumo comprende molte più voci, alcune che non acquistate e altre che salgono di prezzo molto meno di altre. Ciononostante sono le categorie sopraccitate che consumano la maggior parte del reddito delle famiglie e, negli ultimi tre anni in particolare, sono salite sempre più in alto. Osservando le voci per le quali si spendono effettivamente i soldi, troviamo aumenti compresi tra il 20 e il 30%; diciamo, per amor di semplificazione, che la media è del 25%. Se poi prendiamo in considerazione il reddito disponibile reale delle famiglie italiane, ovvero il reddito al netto delle spese aggiustate all’inflazione, non solo è rimasto pressoché stagnante negli ultimi tre anni ma addirittura negli ultimi 13 anni! Bonus e stimoli fiscali sembrano grandiosi quando erogati, ma col tempo il loro effetto svanisce e rappresentano essenzialmente una finzione. Quindi le richieste di reddito sono aumentate del 25% in media mentre i soldi necessari per la mera sussistenza non hanno tenuto il passo. Un disastro per il tenore di vita, soprattutto della classe media. In breve, siamo stati derubati.

Le ragioni causali sono molteplici, ma riconducibili principalmente all’aumento gigantesco dell’offerta di denaro alimentato dalla BCE, cosa che ha divorato il valore dell'euro con un certo ritardo temporale. Oltre a ciò le catene di approvvigionamento sono state (volutamente) dissestate, il settore industriale è stato piallato, la libertà commerciale è stata annientata e i mercati del lavoro sono stati sconvolti. Confrontiamo il presente, adesso, con quello che tutti riconoscono come il grande disastro inflazionistico del periodo postbellico, ovvero la grande inflazione dal 1978 al 1982. Erano i tempi in cui la FED e lo stato stavano saccheggiando la popolazione come mai era accaduto prima di quel momento, prosciugavano il valore dei risparmi e del capitale e imponevano un riorganizzazione della vita sociale. Alla fine di quel periodo la famiglia media passò dal vivere con un unico reddito ad avene due. All’epoca veniva definita emancipazione delle donne ma, guardando indietro, possiamo vedere che si trattava chiaramente di propaganda per coprire un disastro economico: la discriminazione di genere sul posto di lavoro non era stata un grosso problema per gran parte del XX secolo e a metà degli anni ’20, se si considerano le donne non sposate senza figli dopo i 18 anni, il tasso di occupazione nelle città era generalmente dell’80%. Queste donne lasciavano il mondo del lavoro dopo il matrimonio per concentrarsi sui figli e sulla famiglia, mentre gli uomini avevano l'obbligo di provvedere a tutto.

La grande inflazione degli anni '80 cambiò tutto e le famiglie dovevano avere due redditi per vivere bene invece di uno, il che significa che un partner doveva andare in ufficio piuttosto che occuparsi della casa. Senza contare che in questo modo si è proceduto ad aumentare l'offerta di manodopera e ad abbassare artificialmente i compensi della forza lavoro. Uno scacco matto di matrice keynesiana alla classe media. Il fatto che i pianificatori centrali siano riusciti a spacciarla per una sorta di nuova libertà (per le donne) è sintomo di quanto possano essere pervasive e intrusive le bugie dell'establishment pur di sopravvivere un giorno in più alla propria natura prona al suicidio economico. Com'è oggi rispetto ad allora? In tre anni abbiamo visto il valore dell'euro scendere del 25% in termini di ciò per cui si spendono i soldi quotidianamente, mentre i redditi sono rimasti praticamente al palo. Durante la grande inflazione degli anni '80 questo identico fenomeno si verificò nell’arco di circa cinque anni anziché dieci come ai nostri tempi. In altre parole, i furti di massa di oggi avvengono il 50% più lentamente rispetto al passato, ma avvengono comunque. È meglio essere travolti da un autoarticolato lentamente o velocemente? Si muore in entrambi i casi. Che cosa importa se si perde gran parte del proprio reddito in cinque o dieci anni? Per la classe dirigente ha valore solo in termini di misura in cui la popolazione si lamenta e una popolazione saccheggiata lentamente – come la rana bollita – è molto probabile che si lamenti meno. Tuttavia la fine è la stessa.

La grande inflazione degli anni '80 ha cambiato radicalmente la vita delle persone: cosa farà invece l’attuale giro di furti a questa generazione? Gli indizi non sono incoraggianti: demoralizzazione, cattiva salute, mancanza di ambizione, abuso di sostanze stupefacenti e disperazione. È possibile invertire la situazione? Sì, ma non sarà facile. Richiederà enormi cambiamenti nella sfera pubblica come mai visto prima e nessun candidato politico, a nessun livello, sarà intenzionato a ridurre il debito, contenere il sistema bancario centrale, indebolire la burocrazia amministrativa, ridurre il carico fiscale e lasciare che la classe media prosperi di nuovo. Infatti un suo miglioramento crescente e incessante non ha bisogno di punti di riferimento al di fuori di essa stessa, non ha bisogno di uno stato sociale; ha solo bisogno che la classe dirigente la lasci in pace. Questo indipendentismo, oltre a essere imprevedibile, restringe automaticamente la sfera d'influenza dello stato, la sua espansione e, soprattutto, crea attrito nei confronti dell'approvazione delle sue spese. L'eutanasia della classe media significa più criminalità, più anomia culturale, più sfiducia, più rabbia sociale. In sintesi, significa il percorso di minor resistenza verso una società dipendente nei confronti dell'apparato di pianificazione centrale la cui unica via di sopravvivenza è divorare e distruggere tutto ciò che tocca.


CONTRAZIONE DELL'OFFERTA

L'espansione dell'apparato burocratico-statale è un'arma a doppio taglio, in realtà. Sebbene venga alimentato dal consenso della popolazione che vive in modo incrementale attraverso le elargizioni dello stato sociale, ciò porta a un'inevitabile contrazione del bacino della ricchezza reale cosa che a sua volta porta a un crescente impoverimento generalizzato. Più le persone finiscono per gravitare intorno all'apparato statale, meno ricchezza reale producono e più finiscono per parassitare quella esistente. Per non parlare del fatto che i prezzi non torneranno mai ai livelli precedenti, andando a formare una nuova linea di base che viene solo modificata più in alto. A tal proposito è didattico pensare per un momento al fantomatico target del 2% riguardo il tasso d'inflazione, spacciato come un parametro che dovesse essere raggiunto dal basso verso l'alto, non il contrario.

Quando l'interventismo non può distruggere più l'ambiente esterno, inizia ad autodistruggersi. In quest'era infatti sono stati ridotte allo status di zimbello sia il keynesismo che il monetarismo. La paura della deflazione s'è dimostrata solo l'ennesima giustificazione atta a fornire propellente a uno stuolo di pianificatori monetari centrali, il cui unico compito è solo preservare lo status quo a qualunque costo. La deliberata confusione creata attorno al tema dell’inflazione è servita solo come cavallo di Troia per convogliare energie e risparmi verso un'entità inefficiente, spendacciona e bancarottiera. Molti, purtroppo, soccombono al richiamo dei presunti pasti gratis. In altre parole, l’inflazione ha un modo di perpetuarsi proprio come la dipendenza dall’eroina, perché le persone continueranno a desiderare sempre di più ciò che le sta avvelenando. Basti pensare, ad esempio, al tumulto che s'è scatenato sulla scia della (temporanea) sospensione del reddito di cittadinanza.

E mentre l'apparato burocratico-statale cattura sempre più risorse di capitale, manodopera e accattoni verso di sé, dall'altro lato abbiamo una contrazione dell'offerta delle imprese produttive. Infatti le entrate fiscali non mancano a causa della fantomatica evasione fiscale, ma perché fallimenti e bancarotte sono a livelli record. Lo stesso accade negli USA, dove nei primi sei mesi di quest'anno 340 grandi imprese hanno chiuso i battenti, rappresentando un record degli ultimi 13 anni; in tutto, nei primi sei mesi del 2023, 2973 imprese statunitensi hanno portato le carte in tribunale, in aumento del 68% rispetto all'anno scorso. E per quanto riguarda l'Italia in particolare? Leggiamo cosa dice l'Espresso:

[...] secondo l’Osservatorio Cerved nel 2015 le imprese fallite erano oltre 82 mila. Oggi, su un milione e 600 mila aziende attive, Confcommercio stima 120 mila realtà a rischio fallimento nel 2023. [...] Nel 2022 le richieste di aiuto sono aumentate del 45 per cento rispetto all’anno precedente: 23 mila e 500 contro 16 mila e 300. [...] «La legge salvasuicidi sembra essere caduta in disgrazia pure lei e se ne parla davvero poco. I dati relativi ai suicidi sono fermi dal 2019. A essere sovraindebitati sono soprattutto le persone fisiche per quanto riguarda le grandi città come Roma, Milano e Napoli. In Lombardia, Emilia Romagna e Nord-Est risultano più esposti i piccoli imprenditori legati ai settori delle costruzioni, della manodopera e dell’indotto in generale. Al Sud le criticità interessano molti imprenditori agricoli». Qualche consiglio per non restare impantanati nelle sabbie mobili della burocrazia e della sopravvivenza? «Non regalare soldi a pioggia e incentivare nelle scuole l’educazione finanziaria. Il nostro paese è fanalino di coda in tema di cultura imprenditoriale», conclude Bertollo.

Inutile dire che la contrazione del credito gioca un ruolo importante in questa situazione drammatica, dato che il settore bancario commerciale sta diventando sempre più cauto nell'elargizione di prestiti. Perché? Perché i crediti incagliati si stanno moltiplicando e di conseguenza ciò spinge ancora di più le banche a tirare i remi del credito in barca. È una questione di tempo prima che tale condizione venga estesa anche alle carte di credito, come invece sta già accadendo negli Stati Uniti. Questo sviluppo, a sua volta, andrà a riverberarsi sui consumi, i quali si contrarranno mettendo ancora più pressione sulle imprese. Sulla scia di questa evoluzione ci si aspetterebbe che i prezzi in generale calino, invece non sarà così perché non dobbiamo dimenticarci della misallocation del capitale e della rottura delle supply chain: ci sarà, quindi, una corsa verso i vari beni e servizi la cui offerta non riuscirà a stare al passo con la domanda. Infatti, sebbene i prezzi del gas siano rallentati negli ultimi mesi, ciò è stato dovuto alla bancarotta di aziende. Ironia della sorte, la carta stampata esultava farneticando di vittoria della pianificazione statale; ora i prezzi risalgono e l'offerta è menomata. Non solo, c'è anche la Francia che imporrà un limite ai prezzi di circa 5000 beni alimentari; limite ai prezzi vuol dire sostanzialmente scoraggiarne la produzione. Nella feroce tempesta inflazionistica e dell'allocazione errata del capitale la Germania è l'altro esempio per eccellenza che descrive l'esito nefasto dei due fenomeni economici sopraccitati.

Se in Europa si ferma il cuore industriale pulsante, allora tutte le chiacchiere riguardo "riprese economiche" fantasiose ed esultanze sull'aumento del PIL sono solo teatro per raggirare ancora di più le vittime del furto inflazionistico. Ecco, la Germania rappresenta l'esempio ideale di come una nazione forte e fiera possa essere ridotta sul lastrico dalle linee di politica socialiste. Dalle scelte energetiche folli a uno stato sociale invadente, tutto ciò che è stato descritto finora in questo saggio ha come prova empirica la discesa nella povertà della Germania.

E questo, inutile dirlo, crea a macchia d'olio sfiducia e diffidenza nei confronti dei partner commerciali e dei loro investimenti. Pezzo dopo pezzo l'esperimento comunista dell'Unione Europea sta cadendo in frantumi sotto il peso delle sue stesse contraddizioni, avendo adottato il copione marxista come testo per la propria sopravvivenza. E non poteva essere altrimenti.

Ma la contrazione dell'offerta non riguarda solo gli aspetti economici, ingloba anche la sfera socio-culturale. Dipendere dallo stato alimenta una mentalità passiva nei confronti di tutte quelle cose che più possono interessare il benessere socio-culturale delle persone: a che servono le autorità altrimenti? In questo senso le città scivolano nel degrado, perché non si tende più a salvaguardare direttamente il territorio, come propria responsabilità, ma a delegare la questione a "chi sta più in alto". Un esempio a tal proposito è quello di quell'uomo che, per fini utilitaristici, ha riparato una buca di fronte casa aiutando così, indirettamente, anche altri che sarebbero passati di lì con le automobili. Il risultato è stata una multa e nessun sostegno da parte del vicinato (forse a parole, ma non basta). Il disinnamoramento nei confronti del territorio porta al menefreghismo riguardo la decadenza che si impossessa delle strade, del decoro urbano, della pulizia, ecc. È un circolo vizioso che relega sempre di più le persone all'interno delle quattro mura domestiche e le disincentiva a intervenire personalmente nel momento in cui si potrebbero aggiustare le cose. La responsabilità individuale viene ridotta al lumicino, l'interesse è solo quello di prendere lo stipendio a fine mese, viene smorzata ogni passione nei confronti del proprio lavoro e la macchina pubblica nel frattempo erode platealmente ogni briciolo di ricchezza rimasta.


CONCLUSIONE

Su queste pagine avete potuto leggere con grande anticipo cosa sarebbe arrivato sulla scia della sconsideratezza monetaria rappresentata dai vari giri di QE: inflazione dei prezzi. Avevo la palla di vetro? No. Una volta che si comprendono le meccaniche alla base del funzionamento dell'azione umana come insegnate dalla Scuola Austriaca d'economia, è possibile individuare processi ed evoluzioni. Infatti coloro che chiedono a gran voce la realizzazione nell'immediato di determinate previsioni non capiscono come si sviluppano i processi. Perché? Perché non capiscono il tumultuoso meccanismo dell'azione umana, fatto di apparenti contraddizioni ma di una linea di fondo inesorabile. Ecco che quindi i vari moniti che si sono susseguiti nel tempo hanno trovato fondamento dopo un certo lasso di tempo, ma hanno altresì permesso ai cosiddetti "smart money" di prepararsi per tempo e a costi inferiori rispetto ai "ritardatari". Lo stesso lo possiamo dire riguardo la spiegazione dietro alla mia previsione di un rialzo dei tassi da parte della FED, come minimo, a un 6%.

Ora si parla tanto di "de-dollarizzazione", ma non di "de-euroizzazione" il che la dice lunga sulla vera notizia tra le due. L'UE è a corto di garanzie fisiche a copertura della sua montagna di debiti, che la schiaccerà, e la perdita d'influenza coloniale in Africa ne è la prova. Gli Stati Uniti rappresentano un'ottima fuga per il capitale finanziario, mentre i BRICS (con le nuove aggiunte) stanno accaparrando reti commerciali fisiche/strategiche e giacimenti di commodity offrendo un'alternativa al precedente monopolio di istituti coloniali come l'FMI. Condonare parte dei precedenti debiti delle nazioni in via di sviluppo rappresenta il modo in cui stanno acquistando influenza in Africa e altrove. Nel mezzo rimane l'Europa, privata del capitale finanziario, energetico e fisico che, contorcendosi come stanno facendo Francia e Germania nel disperato tentativo di allargare lo schema Ponzi europeo, cerca annaspando di evitare il suo tragico ruolo: protagonista del Grande Default.

Infatti abbiamo visto come l’eccesso di debito sia un errore del passato: il sistema bancario centrale ha lasciato il tasso di riferimento troppo basso per troppo tempo con il risultato di un debito eccessivo. Cercare di risolverlo con l’inflazione mina il futuro. I prezzi instabili danneggiano l’intera economia, i salari reali non riescono a tenere il passo, gli investimenti nelle industrie che creano ricchezza a lungo termine scompaiono, i tassi di crescita diminuiscono, la classe media si contrae e le persone diventano più povere. Ma sappiamo anche che lasciare morire la bolla del debito (deflazione) colpisce particolarmente i ricchi e i potenti. Sono loro che possiedono gli asset finanziari e quando i prezzi scendono, perdono ricchezza.

In un modo o nell’altro, il fardello rappresentato dal debito in eccesso è destinato ad andare all'altro mondo: può succedere rapidamente, con un default, oppure lentamente attraverso l'inflazione. Nel 1971 il debito delle famiglie, delle imprese e del governo era tenuto a bada dall'ancoraggio lasco che le valute nazionali ancora avevano con l'oro, poi però le cose sono cambiate e le valute sono diventate “scoperte”. L'azzardo morale che ne seguì fu senza precedenti per l'epoca. All’inizio degli anni ’80 Paul Volcker, negli Stati Uniti, cercò di rimettere il dollaro in carreggiata e ne ripristinò la fiducia facendo arrivare i tassi d'interesse al 20%: l’inflazione dei prezzi venne domata e le azioni erano ai prezzi più bassi di sempre. Nel 1983 il tasso di inflazione negli Stati Uniti era sceso al 3%, un livello inferiore a quello attuale. Fu un lavoro veloce ed ebbe successo, l’economia americana prosperò nei due decenni successivi. Una mossa simile oggi farebbe piangere lacrime amare ai mercati finanziari.

Inflazione? Deflazione? Si tratta sostanzialmente di decisioni politiche ed esse vengono prese dai pianificatori centrali. E la mia ipotesi è che non saranno loro a versare lacrime; non saranno i loro soldi a morire. Sceglieranno invece la panacea che gli stati arrivati al capolinea scelgono sempre nel corso dei secoli: l’inflazione. Sarà quindi la classe media a pagare di più per il latte, il formaggio, le case e le automobili. Loro piangeranno le lacrime amare, le persone i cui risparmi sono stati derubati dai tassi d'interesse artificialmente bassi, i cui salari non sono andati da nessuna parte per mezzo secolo, i cui posti di lavoro sono stati spediti in Cina, i cui valori fondamentali sono stati derisi dalle élite, i cui portafogli sono praticamente vuoti. Saranno loro a pagare prezzi al consumo più alti per sostenere il sistema socioeconomico marcio delle élite, marciume che, come un veleno, si diffonde al parassita all'ospite.


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