lunedì 31 luglio 2023

Un metodo senza tempo per resistere alla tirannia

 

 

di Barry Brownstein

Se dovessi riassumere il messaggio della monografia di Étienne de La Boétie, The Politics of Obedience: The Discourse on Voluntary Servitude, direi che non siamo vittime del mondo che vediamo. Abbiamo invertito causa ed effetto: la tirannia che stiamo sperimentando è a causa nostra.

Ci auto-assolviamo per quanto riguarda il nostro ruolo nell'aver dato potere ai nostri oppressori? Come disse Murray Rothbard nella sua brillante introduzione al Discourse di La Boétie: “La tirannia deve necessariamente fondarsi sull'accettazione da parte del popolo”.

Ancora peggio, Aldous Huxley aveva ragione sul fatto che le persone avrebbero abbracciato con gioia la loro oppressione? Come ha scritto Neil Postman in, Amusing Ourselves to Death: “Nella visione di Huxley, nessun Grande Fratello è tenuto a privare le persone della loro autonomia, maturità e storia. Per come la vedeva, le persone sarebbero arrivate ad amare la loro oppressione, ad adorare le tecnologie che annullano le loro capacità di pensare.

Huxley scrisse: “La maggior parte della popolazione non è molto intelligente, teme la responsabilità e non desidera niente di meglio che sentirsi dire cosa fare”.

Se non vivete a San Francisco, o in un'altra città distopica, camminate per la vostra città e notate come le persone siano collaborative e pacifiche per natura. Potreste chiedervi, come fece La Boétie:

Com'è che tanti uomini, tanti villaggi, tante città, tante nazioni, soffrono sotto un solo tiranno, che non ha altro potere se non quello che gli viene dato? Chi è in grado di danneggiarli se non loro stessi? Chi potrebbe far loro del male a meno che non siano loro a sopportarlo piuttosto che smettere di farlo?

“Sopportarlo piuttosto che smettere di farlo” è sempre stata una tendenza umana e qualcosa che conosciamo fin troppo bene.

Il Discourse di La Boétie è stato influenzato dal saggio del filosofo greco Plutarco "On Compliancy". Michael Fontaine, professore di lettere classiche alla Cornell, sta lavorando a una nuova traduzione di "On Compliancy". In una serie di conferenze, Fontaine spiega che Plutarco esplorò la disopia (da non confondere con la distopia). La disopia è sia una “sensazione emotiva di essere sotto pressione e vittima di bullismo” sia un “atto di cedere a una richiesta impropria o inappropriata”. Abbiamo tutti sperimentato la disopia quando qualcuno ci chiede qualcosa di irragionevole e contro il nostro miglior giudizio lo facciamo comunque.

Plutarco non scriveva necessariamente di interazioni coercitive, era concentrato su situazioni in cui “è in proprio potere dire di no”. Forse avete partecipato a una riunione sul posto di lavoro in cui qualcuno proponeva di licenziare i non vaccinati. Avete prestato il vostro consenso non dicendo nulla contro? Avete discusso contro gli obblighi di vaccinazione per gli studenti dove i rischi superavano i benefici? Avete sostenuto i diritti degli altri affinché potessero prendere le proprie decisioni in materia sanitaria?

La Boétie disse giustamente che siamo “traditori” di noi stessi se cooperiamo con la nostra oppressione:

Chi vi domina non ha che due occhi, due sole mani, un solo corpo, niente di più di quanto possegga l'ultimo uomo tra i tanti che abitano nelle vostre città; infatti non ha altro che il potere che gli conferite per distruggervi. Dove ha acquisito abbastanza occhi per spiarvi, se non li fornite voi stessi? Come può avere tante braccia per picchiarvi, se non le prende in prestito da voi?

La Boétie disse: “Decidete di non servire più. Non vi chiedo di mettere le mani sul tiranno per rovesciarlo, ma semplicemente di non sostenerlo più; allora lo vedrete come un grande Colosso a cui è stato strappato il piedistallo, cadere sotto il suo stesso peso e spezzarsi”.

La Boétie riconobbe che ci sono pochi al centro del potere, ma che essi ne impiegano centinaia che a loro volta ne impiegano a migliaia che poi a loro volta ancora ne oggi impiegano a milioni “affinché possano servire come strumenti di avarizia e crudeltà, eseguendo gli ordini al momento opportuno”.

Oggi lo stato ha i suoi tentacoli ovunque e impiega una percentuale significativa della popolazione. Come possiamo revocare il consenso? Se non paghiamo le tasse, potremmo finire in carcere anche se siamo Hunter Biden.

A prima vista l'analisi di La Boétie può sembrare non offrire alcun percorso per rovesciare i tiranni di oggi. Ma guardate meglio.

Dove dobbiamo ritirare il nostro consenso è dagli apologeti dello stato. Rothbard spiegò:

La Boétie sottolinea un punto importante: questo consenso è progettato, in gran parte dalla propaganda dei governanti e dei loro apologeti intellettuali. Gli espedienti, dal panem et circenses fino alla mistificazione ideologica, che oggi i governanti usano per ingannare le masse e ottenere il loro consenso, rimangono gli stessi dei tempi di La Boétie. L'unica differenza è l'enorme aumento dell'impiego di intellettuali specializzati al servizio dei governanti. Ma in questo caso il compito primario degli oppositori della moderna tirannia rimane educativo: sensibilizzare il popolo a questo processo, demistificare e desacralizzare l'apparato statale.

Oggi potrebbe non essere facile revocare il consenso allo stato, tuttavia possiamo ritirarlo ai cortigiani contemporanei dello stato: gli accademici, i giornalisti, gli esperti, gli influencer e gli amministratori che, come scrisse Rothbard, “ingannano le masse per ottenere il loro consenso”. 

Questi "apologeti" vi trattano in modo irrispettoso: affermano di essere oracoli e dicono che non avete la capacità di comprendere i loro dogmi. Fanno appello alla loro competenza e autorità, ma offrono poche prove. Bramano denaro e potere servendo i consumatori, ma spadroneggiano su di essi. I principi che consentono all'umanità di prosperare non significano nulla per loro. L'antidoto è ignorarli o smettere di adorarli per esporre la loro vuota retorica. Spegnete la televisione e trascorrete le serate estive con i vostri cari o con un buon libro che rafforzi il vostro coraggio morale.

Fontaine, traducendo Plutarco, ci chiede di superare la nostra disopia notando la nostra tendenza a voler “piacere alla gente” e riconquistando il potere di dire di no.

La Boétie mostrò un percorso per trovare il nostro coraggio morale. I tiranni, disse, non sono mai amati né amorevoli. L'amicizia genuina “non si sviluppa mai se non tra persone di carattere e non mette radici se non attraverso il rispetto reciproco; fiorisce non tanto per la gentilezza quanto per la sincerità”. Siamo sicuri dei nostri amici quando abbiamo “conoscenza della [loro] integrità”. 

Né i tiranni né i loro apologeti agiscono con integrità. Sviluppare il nostro carattere rispettando l'autonomia degli altri è un cammino verso la libertà. Plutarco sosteneva, e La Boétie avrebbe concordato, che “il cedimento aggrava i problemi piuttosto che risolverli”. Non ci sarà alcuna soluzione come nel Mago di Oz: non possiamo semplicemente battere i tacchi tre volte e tornare nella "terra dei liberi". La lettura di La Boétie non libera nessuno. Come scrisse il poeta William Blake, le nostre manette sono forgiate dalla mente. Con un cambiamento di mentalità, diventiamo impermeabili alla nostra disopia. Man mano che molti di noi ritirano il consenso, è possibile evitare un futuro distopico.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 28 luglio 2023

La religione della distruzione: dal comunismo rosso a quello verde

 

 

di Francesco Simoncelli

Sono passati poco più di due mesi dall'ultimo disastro ambientale che ha colpito l'Italia, ma a quanto pare i media generalisti si sono dimenticati di quegli eventi. Sto parlando dell'alluvione che ha colpito le zone dell'Emilia Romagna e che ha causato disastri economici significativi. L'impatto di questo fenomeno, così come in situazioni analoghe precedenti, rappresenta un ottimo caso di studio per evidenziare la deformazione socioeconomica che ha la spesa pubblica sulla scia dell'interventismo statale e l'aumento dei costi generati dalla distruzione del capitale. A primo acchito questa affermazione potrebbe sembrare incivile e senza cuore, ma innanzitutto qui si vuol parlare di economia quindi l'etica non ha spazio e in secondo luogo viviamo in un Paese comunista in cui il volontarismo è punito. La burocrazia sopprime questo tipo d'iniziative perché altrimenti la necessità di conformarsi a essa scomparirebbe, così come il tempo che sottrae in tal processo e che ne rappresenta la linfa vitale. In questo senso l'apparato statale viene sempre chiamato in soccorso quando si verificano eventi catastrofici, come una sorta di assicurazione a cui, obtorto collo, la popolazione deve rivolgersi. Non entreremo nel merito di quanto sia più efficace un'assicurazione privata e l'assenza di quella pubblica, ma l'evidenza empirica e l'esperienza da sole dovrebbero bastare come motivo per farsi un'idea della validità di tale affermazione soprattutto in virtù della sequenza infinita di fallimenti e incapacità dovute all'incapacità di calcolo economico genuino da parte dello stato. A supporto di ciò, inoltre, c'è la solidarietà privata che si smuove ogni volta che accade un disastro di simile portata o inferiore, quindi l'ordine spontaneo del mercato si metterebbe in moto per risolvere in modo efficace, repentino ed efficiente il disagio affrontato da chi è stato sfortunato.

Invece quello che arriva sempre è una pioggia di denaro (presumibilmente) gratis che inonda quelle terre martoriate da una catastrofe naturale e che, col passare del tempo, non porta niente di buono. Un doppio disastro potremmo definirlo, dato che, essendo il keynesismo imperante, l'economia della distruzione rappresenta un'opportunità per rilanciare zone che avevano qualche problema di crescita economica. Così come il "quasi boom" di matrice keynesiana prevede uno stato delle cose in perenne crescita senza alcuna correzione (orrore!), allo stesso modo il disastro naturale viene visto come un innesco per un rinnovato slancio economico. Poco importa quali siano i costi, per quello esiste la statistica: mentire, distorcere, manipolare. Da Pagella Politica:

[...] uno studio del 2011 non ha riscontrato una dinamica di crescita dei costi economici dovuti agli eventi climatici estremi. Questo risultato, hanno sottolineato però gli stessi autori della ricerca, va preso con cautela: gli effetti della crisi climatica sono solo all’inizio e le stime fatte si riferiscono soltanto a quanto visto finora. È molto probabile, quindi, che in futuro i costi aumenteranno.

Anche questo approccio, che tiene conto di come cambia nel tempo il valore del capitale economico, ha però alcuni limiti, in particolare per quanto riguarda le tecniche statistiche utilizzate. Il rischio infatti è quello di sottovalutare l’impatto economico degli eventi climatici estremi. In uno studio più recente, pubblicato nel 2019, alcuni studiosi italiani hanno stimato una dinamica di crescita dei costi, usando una metodologia diversa, che consente di tenere in considerazione l’eterogeneità dei fenomeni climatici considerati.

Altri economisti hanno fatto notare che i costi economici connessi agli eventi climatici possono perpetuarsi per lunghi periodi, che vanno oltre gli anni immediatamente successivi a quando sono avvenuti un uragano o un’alluvione. Uno studio del 2012 ha per esempio considerato l’impatto dell’uragano Iniki sull’isola hawaiana di Kauai, che nel 1992 ha causato poche vittime, ma danni alle infrastrutture e alle aziende per oltre 7 miliardi di dollari. Utilizzando una particolare tecnica statistica, i ricercatori hanno stimato come, due decenni dopo l’uragano, gli impatti dell’evento si facessero ancora sentire, in particolare con un calo della popolazione superiore al 10 per cento, con la mancanza di posti di lavoro e con un calo del reddito degli abitanti.

Qual è, quindi, quello strumento metodologico attraverso il quale poter definire correttamente i fenomeni economici senza che essi siano diluiti attraverso le lenti opache della statistica? Il ragionamento logico-deduttivo, ereditato dalla straordinaria letteratura della Scuola Austriaca. Uno degli autori, e padre spirituale di tale Scuola, che più ha scritto in merito alla distruzione vista come molla per innescare successivamente una ripresa economica fu Freédéric Bastiat con la sua parabola della finestra rotta. Ipotizziamo di rompere una finestra. Chiameremo poi il vetraio e lo pagheremo €100 per la riparazione. Le persone che guardano diranno che è una cosa positiva. Che fine farebbe il vetraio se non ci fossero finestre rotte? I €100 gli permetteranno di comprare altri beni e servizi, creando utili per gli altri. Questo è “ciò che si vede”. Se invece la finestra non fosse stata rotta, i €100 sarebbero potuti servire per comprare un nuovo paio di scarpe. Il calzolaio avrebbe fatto un acquisto e avrebbe speso i soldi in modo diverso. Questo è “ciò che non si vede”.

La società (in questo caso tre suoi membri) sarebbe stata meglio se la finestra non fosse stata rotta, perché ci sarebbe stata una finestra intatta e un paio di scarpe, invece che solo una finestra. La distruzione non porta a più beni e servizi, o crescita. Questa fu la lezione di Bastiat. Uno dei primi tentativi di quantificare l’impatto economico di una catastrofe fu un libro del 1969, The Economics of Natural Disasters. Gli autori, Howard Kunreuther e Douglas Dacy, studiarono ampiamente il caso del terremoto dell’Alaska del 1964, il più potente mai registrato in Nord America. Conclusero che gli abitanti dell’Alaska stavano molto meglio dopo il terremoto, poiché erano piovuti soldi da donatori privati, concessioni e prestiti agevolati dallo stato. Di nuovo, questo è “ciò che si vede”. Mentre le compagnie edili beneficiano dalla ricostruzione dopo un disastro, dobbiamo sempre chiederci: “Da dove provengono i soldi?” Se i fondi vengono dallo stato, esso deve tassare, prendere in prestito, o stampare denaro; i contribuenti rimangono con meno soldi da spendere in altri settori.

L’economia dei disastri rimane un piccolo campo di studio. C’è stato un numero limitato di studi empirici che ha esaminato la connessione tra la crescita e i disastri naturali e possono essere divisi in quelli che esaminano l’impatto a breve e a lungo termine. Gli studi a breve termine, in generale, hanno trovato una correlazione negativa tra disastri e crescita, mentre un minor numero di studi sul lungo termine ha avuto risultati misti.

Lo studio di lungo termine maggiormente citato è Do Natural disasters Promote Long-run Growth? di Mark Skidmore e Hideki Toya, i quali esaminarono la frequenza di disastri in 89 Paesi confrontandola con i loro tassi di crescita economica in un periodo di 30 anni. Gli autori tentarono di controllare una moltitudine di fattori ognuno dei quali avrebbe potuto distorcere le loro scoperte: la dimensione del Paese, la dimensione dello stato, la distanza dall’equatore e la tendenza al commercio. Operando in questo modo, trovarono una correlazione positiva tra i disastri climatici (per esempio uragani e cicloni) e la crescita. Gli autori spiegarono questa scoperta invocando ciò che potrebbe essere definito il contributo di Madre Natura a quello che l’economista Joseph Schumpeter notoriamente chiamò “distruzione creativa” del capitalismo. Distruggendo vecchie industrie e strade, aeroporti e ponti, i disastri permettono che vengano costruite infrastrutture nuove e più efficienti, forzando la transizione ad un’economia più raffinata e più produttiva. I disastri forniscono il servizio economico di ripulire infrastrutture obsolete per fare spazio a rimpiazzamenti più efficienti.

Ci sono tre principali problemi con questi studi empirici. Il primo è controfattuale: non possiamo misurare quale sarebbe stata la crescita se non fosse mai avvenuto il disastro; il secondo riguarda la correlazione e la causalità: non possiamo dire se il disastro abbia causato la crescita o se era semplicemente associato ad essa; il terzo problema è ciò che gli economisti chiamano ceteris paribus. È impossibile mantenere altri fattori costanti e misurare esclusivamente l’impatto di un disastro sulla crescita. Non ci sono laboratori per testare i concetti macroeconomici. Questa è la stessa limitazione dei lavori di Rogoff e di Reinhart sul debito e la crescita, e molte altre relazioni bilaterali in economia. Usando i dati storici dai primi anni del 1900, i ricercatori scoprirono che al crescere del prezzo del grano anche il suo consumo cresceva e proclamarono trionfalmente che la curva di domanda aveva pendenza positiva. Ovviamente la loro relazione non era una curva di domanda, ma rappresentava i punti d'intersezione tra provviste e domanda; l’assunzione di “tenere tutto il resto costante” era stata violata. In economia i dati empirici possono sostenere un ragionamento teorico, ma non possono provarlo o confutarlo. 

Dunque cosa facciamo se gli studi empirici hanno serie limitazioni? Torniamo alla teoria. Sappiamo che una curva di domanda ha una pendenza negativa a causa degli effetti di sostituzione e reddito. I negozi di elettrodomestici non fanno svendite per vendere meno! Dalla teoria ci si aspetta anche che i disastri naturali riducano la crescita (ovvero, più capitale viene distrutto, maggiore sarà l’impatto negativo sulla crescita). Più capitale significa maggiore crescita.

Robinson Crusoe catturerebbe più pesce se sacrificasse del tempo che usa per pescare con le sue mani per costruire una rete. Ora ipotizziamo che un uragano colpisca la sua isola e distrugga tutte le sue reti. Robinson potrebbe tornare indietro a pescare a mani nude e la sua resa sarebbe permanentemente ridotta. Potrebbe soffrire addirittura un declino più grande nella rendita dovendo perdere tempo nel rifare le reti. La spiegazione di Skidmore-Toya è che lui applicherebbe nuovi metodi e nuove tecniche per costruire reti migliori che poi gli permetterebbero di catturare più pesce di prima. Sorge spontanea una domanda: se aveva questa conoscenza, perché non ha costruito tali reti prima dell’uragano? Qui è dove la logica di Skidmore-Toya va in pezzi. Robinson non aveva costruito migliori reti prima dell’uragano perché per lui non era ottimale farlo.

Se una compagnia decide di sostituire una vecchia macchina con una nuova, tra le prime considerazioni ci sono il prezzo iniziale della nuova macchina, il tasso d'interesse applicabile e i costi di operazione annuali ridotti della nuova macchina. Usando un’analisi di valore attuale netto, la compagnia determina il tempo ottimale per realizzare lo scambio (un’operazione reale). Un uragano forza uno scambio affinché avvenga prima di quando sarebbe stato ottimale da un punto di vista di prezzo e profitto. L’uragano dunque crea un diverso percorso per la crescita: la distruzione creativa sarebbe avvenuta, ma su una linea temporale diversa e più ottimale.

Le stesse conclusioni possono essere tratte per ciò che riguarda i disastri creati dall’uomo. Al contrario di ciò che molti economisti keynesiani vorrebbero farci credere, la seconda guerra mondiale non tirò gli Stati Uniti fuori dalla grande depressione. Fu invece il capitalismo!

Ma la distruzione non è incarnata solo dai disastri naturali che devastano la formazione di capitale e la consecutiva allocazione dello stesso. La distruzione passa anche da misure interventiste attuate dagli stati per "prevenire" eventuali calamità climatiche.

Se posso darvi un consiglio letterario, cari lettori, leggete Psicologia delle Folle di Le Bon. Il tutto, in quest'epoca in particolare, si riduce a questo. La polarizzazione politica nell'epoca attuale in cui una congiuntura socio-economica continuare a premere sia sulle finanze pubbliche che sull'architettura fiat della società, necessita di una continua ricerca di scuse/giustificazioni per poter sopravvivere. A oggi stiamo assistendo alla deificazione della scienza come strumento attraverso il quale sfornare quante più giustificazioni possibili a questo scopo. Non è un'anomalia storica, si vide la stessa cosa nel 1936 (solo che allora c'era ancora spazio di manovra). Ciò crea divisioni, schieramenti e arroccamenti; costruire significa interagire e discutere, quindi trovare soluzioni alternative. Il dibattito invece viene scandito secondo binari prestabiliti in modo da potenziare la Legge di Parkinson applicata alla burocrazia: espansione della stessa all'espandersi del tempo necessario a conformarsi a essa. Prima quindi era la scusa sanitaria, poi la guerra e adesso il clima: l'economia delle emergenze è una impalcatura per servire su un piatto d'argento a stati e succursali a esso associate la possibilità di rendere di minor resistenza il percorso verso un maggiore comando/controllo. Infatti stanno già spuntando "accademici" (es. ridistribuzione del potere, tasse ambientali, erosione delle rendite, lotta alle disuguaglianze... rings a bell?) che indirizzano le autorità verso tale direzione.

Il comunismo ha cambiato colore, da rosso a verde, ma l'anima rimane sempre quella. Ecco perché è necessario confutare la paura e il terrorismo che vengono spacciati dai media generalisti (es. 60° al suolo in Spagna e mappe colorate ad mentula canis). Non ho la presunzione di dire che sono in grado da solo di poter invertire il fenomeno descritto, ma nel mio piccolo aver fatto la mia parte e forse essere stato d'esempio. Perché è così che funziona anche col clima: c'è molto da fare singolarmente a tal proposito. Non lasciare l'onere alla burocrazia non significa stare con le mani in mano. Il mondo è destinato a riscaldarsi (come accaduto altre volte in passato)? Bene, allora bisogna lavorare/trovare soluzioni per adattarsi a tale cambiamento, non avere l'arroganza di volerlo arginare. Una volta compreso questo punto, diventerà automaticamente chiaro che è la burocrazia a voler impedire agli uomini di buona volontà di trovare soluzioni praticabili ma che invece non sono di alcuna utilità per i burocrati.


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giovedì 27 luglio 2023

Se odiate gli Ordinal, potreste stare sottovalutando il potenziale della rete Bitcoin

 

 

da Bitcoin Magazine

Per anni i bitcoiner hanno detto agli altri che Bitcoin è sottovalutato. Qualsiasi bitcoiner che ha fatto i compiti a casa sa che Bitcoin, l'asset, è molto sottovalutato. E sono pienamente d'accordo! Ma anche se Bitcoin, l'asset, è sottovalutato, ciò impallidisce rispetto a quanto sia sottovalutata la rete Bitcoin. Ho a lungo sostenuto che i bitcoiner, come gruppo, stiano sottovalutando la rete tanto o più di quanto i nocoiner stiano sottovalutando Bitcoin come asset.

Ed è con un certo divertimento che osservo il feroce dibattito tra i puristi di Bitcoin, che credono che l'uso della rete (cioè il libro mastro digitale immutabile) sia solo per inviare valore (bitcoin), e la folla Inscription, Ordinal e token BRC che dice il contrario.

Secondo me, ciò che manca alla maggior parte dei puristi è la differenza tra Bitcoin, l'asset, e il libro mastro digitale immutabile, chiamato anche "catena del tempo". L'uso più alto e migliore per il libro mastro immutabile è detenere e inviare valore, ma non è l'unico uso, come ci mostrano le Inscription e i token BRC.

Inoltre ho sempre pensato alla rete e al protocollo (il libro mastro digitale immutabile) come a un luogo in cui posso postare un messaggio che non può essere modificato. Di conseguenza quando la Dichiarazione d'indipendenza monetaria è stata pubblicata per la prima volta il 31 ottobre 2021, ho chiesto a un collega bitcoiner di prenderne nota in modo permanente nella timechain.

Credo che possa essere trovata all'altezza del blocco 707.575. E quando abbiamo creato la versione 2023 che le persone hanno firmato a Miami all'evento Bitcoin 2023, ho fatto creare un'iscrizione a un altro bitcoiner. Entrambe possono ora essere trovate sul libro mastro immutabile. Capisco perfettamente perché molti vogliano usare la timechain solo per scopi monetari, ma considero ingenuo pensare che verrà usata solo per tali scopi.


CIÒ CHE È ASSURDO PER UNO HA SIGNIFICATO PER UN ALTRO

Ciò che mi fa arrabbiare è quanto poco il mercato (tutti noi) apprezzi la catena del tempo. Secondo me, non c'è una sola persona sul pianeta che valorizzi correttamente la rete... ancora.

Ciò che fanno le Inscription e i token BRC è aumentare il valore percepito della timechain. Nel complesso, questo è un vantaggio: fino a quando la rete non avrà un valore di 250 sat per $1, è incredibilmente sottovalutata!

Anche nell'era delle Inscription e dei token BRC, il libro mastro immutabile è ancora pesantemente sottovalutato e il costo per inserire i dati su di esso è molto inferiore a quello che un mercato intelligente potrà valutare.

È come se Satoshi Nakamoto avesse inventato due cose: una nuova forma di denaro digitale scarso e un libro mastro immutabile per tenere traccia di ogni satoshi. Usando una metafora per chiarire il punto, ha inventato un nuovo tipo di vagone ferroviario e i binari su cui viaggia.

Noi stupidi esseri umani, che siamo servilmente ossessionati dal denaro, dedichiamo il 99,9% della nostra attenzione all'asset e quasi niente alla rete (cioè la timechain), anche se quest'ultima è strabiliante quanto l'asset. E spesso viene ignorata un'altra cosa: Nakamoto ha dovuto inventare un nuovo modo per scandire il tempo in modo da consentire al libro mastro immutabile di rimanere decentralizzato. Celebriamo, applaudiamo e apprezziamo questo nuovo metodo di scandire il tempo? Non proprio. Al momento della stesura di questo articolo, all'altezza del blocco 794.076, sottovalutiamo e diamo ancora per scontato che questo nuovo metodo di cronometraggio continuerà a funzionare per decenni. Tic tac, prossimo blocco.

Dobbiamo tutti essere un po' più umili e, oserei dire, riverenti nei confronti di questo libro mastro immutabile e apprezzare che alcune persone "sprecheranno" lo spazio del blocco inserendo cose nella catena del tempo che dureranno finché continuerà a ticchettare. Chi sono io per dire a un altro come valutarla? Oggi, ogni singolo bitcoiner sottovaluta e sottopaga l'uso di questo libro mastro digitale immutabile.

Pensate a quanto sto scrivendo come a un tizio che incide le seguenti parole sulla corteccia di una quercia maestosa di 300 anni: "Satoshi ama la catena del tempo".

Per coloro che amano le querce maestose, una tale iscrizione potrebbe essere vista come vandalismo o addirittura un atto orribile. Per la persona che ha fatto l'intaglio, potrebbe rappresentare un atto d'amore aver inciso quel messaggio nell'albero. All'albero non importa, solo alle persone.

Piuttosto che sprecare altra energia discutendo di Inscription e Ordinal, prenderò spunto dalla catena del tempo di Bitcoin. Essa è assolutamente neutra in base a come noi umani la usiamo, nello stesso modo in cui all'albero non importa quali incisioni si fanno sul suo tronco.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 26 luglio 2023

Aggiornare la Legge di Say ai tempi moderni

La parte analitica di Macloed è corretta, infatti la sua analisi dei problemi affrontati dall'attuale società sono estremamente dettagliati e centrano efficacemente il bersaglio. Dove si perde invece? Si perde per campanilismo scriteriato in riforme irrealizzabili. L sue soluzioni rappresentano solo un pio desiderio, dovendo per forza di cose affidarsi a quella stessa classe politica che non solo ha dimostrato d'essere inaffidabile nella gestione monetaria, e per estensione in quella sociale, ma ha dimostrato più e più volte di non poter essere latore di un cambiamento per il meglio. Per loro stessa natura sono impossibilitati data la natura dello stato. La sua quindi non è una soluzione, è una parvenza di riforma partorita dalla sua affiliazione a un'attività che sponsorizza investimenti in metalli preziosi. Più volte ha dimostrato d'essere parziale quando ha parlato di Bitcoin, quindi è volutamente incapace di presentare questa come soluzione più affidabile dato che non esiste una terza parte a cui affidarsi. Sono le persone stesse che compongono l'ecosistema Bitcoin a far emergere spontaneamente un cambiamento di paradigma, e lo stanno facendo già da un bel pezzo. La visione mistica che scaturisce da Bitcoin, dalla sperimentazione di come funziona il protocollo e dalle buone pratiche che ne scaturiscono (incentivi all'onestà), è una che non può essere intaccata da nessuna riforma atta a sovvertirne l'esistenza; è un processo lento e inesorabile che non fa altro che inglobare porzioni crescenti della società, soprattutto quelle nazioni che hanno un disperato bisogno di standard di vita migliori. Una volta che si è parte dell'effetto di rete la realizzazione di essere pienamente responsabili del proprio destino finanziario è la molla che permette il rilascio di tutte quelle credenze legate all'autorità, ammassate durante tutti quegli anni d'indottrinamento nella scuola pubblica. Bitcoin è la vera soluzione, praticabile e che può far ottenere risultati concreti, in materia di ritorno al denaro sano/onesto.

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di Alasdair Macleod

Fu la negazione disinvolta da parte di Keynes della Legge di Say, o Legge dei mercati, nel 1936 che ci sta portando verso una crisi economica e monetaria.

Lo fece per inventare un ruolo per lo stato ed ecco perché Keynes è così popolare nell'establishment mainstream.

Abbandonando la realtà dei mercati, inventò un intero nuovo ramo dell'economia: la macroeconomia ha scambiato la statistica e la matematica con l'azione umana, la prospettiva di una gestione centralizzata ha sostituito l'ambiguità.

In questo saggio esamino i difetti della macroeconomia, la teoria statale del denaro (un vecchio tema ricorrente da John Law in poi), le statistiche fuorvianti misurate in valute fiat e il motivo per cui i timori keynesiani di un eccesso generale sono fuori luogo.

È importante sottolineare che la Legge di Say lega il volume della produzione alla domanda, quindi i policymaker che credono che una recessione ucciderà l'inflazione dei prezzi e consentirà poi alle banche centrali di abbassare i tassi d'interesse; si sbagliano.

Il mainstream istruito dallo stato è così convinto delle teorie macroeconomiche e della gestione statale dei risultati economici che il dibattito non ottiene trazione. L'unica soluzione è che una crisi economica e monetaria metta fine a tutti i dogmi macroeconomici.


L'origine della macroeconomia

Jean-Baptiste Say scrisse il suo rivoluzionario libro sull'economia nel 1803. Il suo Traité D'économie Politique, com'è noto in francese in forma abbreviata, descriveva la divisione del lavoro e il ruolo del denaro come "agenti" in grado di trasformare la produzione specializzata in consumo generale. Divenne nota come Legge di Say, o Legge dei mercati, e fu il primo comandamento dell'economia classica, finché Keynes non ci convinse diversamente nella sua Teoria generale pubblicata nel 1936.

Keynes non fece altro che riscrivere le definizioni economiche per soddisfare la sua tesi, ridefinendo l'economia per escludere la scomoda realtà della Legge di Say insieme a molte altre che ne erano logicamente seguite. Era necessario che Keynes la negasse per creare il ruolo dello stato, permettendo ai governi d'intervenire nel rapporto tra produzione e consumo. L'invenzione della macroeconomia, che ha minimizzato l'elemento umano imprevedibile espresso nei mercati a favore invece della statistica e dell'analisi matematica, può essere fatta risalire al Capitolo 3 della sua Teoria generale, dove scrisse:

Se, tuttavia, questa non è la vera Legge relativa alle funzioni di domanda e offerta aggregata, c'è un capitolo di vitale importanza della teoria economica che resta da scrivere e senza il quale tutte le discussioni riguardanti il volume dell'occupazione aggregata sono futili.

La Legge di Say venne sommariamente respinta, appena menzionata nel suo lavoro principale. L'intera base della nuova macroeconomia di Keynes, quel capitolo di vitale importanza nella teoria economica che restava da scrivere, si riduceva a quella piccola parola, "Se". "Se" è una supposizione e certamente non una prova che porta alla scoperta di un ramo completamente nuovo della scienza economica. Era un trucco banale, respingere la scomoda verità all'inizio della sua tesi in modo da poter procedere alla costruzione di una fantasiosa. Keynes avrebbe dovuto essere liquidato come un ciarlatano, come John Law che propose teorie simili e rovinò la Francia nel 1720; o Georg Knapp, un economista tedesco della scuola storica, che pubblicò la sua teoria statale della moneta nel 1905, incoraggiando il governo del Kaiser a costruire armamenti prima della prima guerra mondiale senza costi visibili per il popolo e continuare a finanziarsi con mezzi inflazionistici dopo la sconfitta della Germania.

Eppure, con il piccolo "Se" di Keynes, eccoci qui, quasi novant'anni dopo, ancora in viaggio lungo i suoi binari intellettuali verso la distruzione economica. Le ragioni per cui Law, Knapp e Keynes e le loro teorie sono passate dall'oscurità alla fama sono semplici: fanno appello agli stati, conferendo loro un ruolo economico, rafforzando il loro controllo sui cittadini e quindi la giustificazione per l'aumento del potere e delle entrate. L'ultima cosa che prenderanno in considerazione è che queste teorie siano imperfette, o almeno fino a quando l'evidenza di una crisi non li costringerà ad affrontare i loro errori.

Nonostante la frode intellettuale di Keynes, la divisione del lavoro e il ruolo del denaro non possono essere negati. Al tempo della Rivoluzione francese, quando Say osservava le attività economiche delle persone, i commercianti rifiutavano di accettare il credito come forma di pagamento, accettando solo monete d'oro e d'argento perché gli assegnati di carta, seguiti dai mandats territoriaux, stavano gradualmente cadendo nell'inutilità.

Plus ça change, plus c'est le même chose! Oggi, con le politiche neo-keynesiane dirette dallo stato, sono solo le varie forme di credito a fare da intermediario tra la nostra produzione e il nostro consumo, e il denaro reale è solo un ricordo del passato. Oltre due secoli fa nella Francia rurale il consumo per la maggior parte era più una questione di sopravvivenza che l'accesso ai lussi che conosciamo oggi e che riteniamo essere un nostro diritto. La produzione era fondamentalmente locale, mentre oggi è mondiale. E ora abbiamo le fabbriche, quando invece ne esistevano poche nelle economie prevalentemente agricole al tempo di Say, perché la rivoluzione industriale in Francia era appena iniziata.

Nonostante tutte queste differenze, la proposizione centrale di Say che collegava la produzione al consumo ed escludeva un eccesso generale di beni a causa di un crollo del consumo è ancora valida. Nessuna occupazione, nessuna domanda; nessuna domanda, nessuna occupazione.

La riabilitazione della Legge di Say nell'economia moderna deve tenere conto delle condizioni economiche e monetarie odierne. I neo-keynesiani ignorano le conseguenze della perdita di potere d'acquisto del credito nei loro modelli statistici e questo potrebbe confondere le acque, ma la Legge di Say vale ancora se le transazioni sono in denaro o credito. Qui stiamo definendo il denaro giuridico come mezzo di scambio senza rischio di controparte: oro e monete d'oro. Ora che abbiamo solo valute fiat i cui valori in termini di beni sono in continuo deterioramento, le prove statistiche sono inutili, nonostante i macroeconomisti trattino le lunghe serie di prezzi e dati correlati come se il potere d'acquisto di una valuta fiat fosse costante nel tempo.

Ai tempi del denaro sano/onesto e del credito che da esso prendeva valore, si potevano vedere le conseguenze del progresso e del regresso economico sia sui singoli prezzi che sul loro livello generale. Oggi lavoriamo con l'illusione che ciò che sapevamo essere vero col denaro sano/onesto si possa applicare anche alle valute fiat e al loro credito dipendente. In tutti i nostri confronti statistici riteniamo quindi che tutte le variazioni di prezzo provengano ancora dai valori di beni e servizi. E respingendo la Legge di Say, respingiamo la certezza che il potere d'acquisto del credito scoperto continuerà a diminuire anche durante una recessione. Quindi, in un'economia moderna, quali sono le vere conseguenze di un deterioramento delle condizioni economiche per i prezzi?

Non è una cosa semplice, ma come punto di partenza possiamo argomentare sensatamente tre punti. In primo luogo, proprio come Keynes respinse la Legge di Say per creare un ruolo economico per lo stato, la sua riabilitazione deve respingere completamente tutto ciò che è derivato da questo errore. In secondo luogo, con l'allontanamento dello stato dalle funzioni economiche, la raccolta di statistiche macroeconomiche può avere solo una validità limitata e la modellazione economica deve essere completamente respinta. E in terzo luogo, nelle condizioni economiche che portano alla disoccupazione non solo il consumo diminuisce, ma anche la produzione diminuirà perché i disoccupati non producono più. In altre parole, non esiste un eccesso malthusiano e sarà sconfessata la speranza che l'inflazione dei prezzi diminuisca in una recessione man mano che la domanda si contrae.


Gli errori nel socialismo moderno

Forse l'esempio più lampante della differenza odierna tra un'economia controllata dallo stato e un'economia capitalista relativamente libera si trova nel contrasto tra le due Coree. Al Nord muoiono di fame; a Sud prosperano le persone della stessa etnia. Non si tratta solo di un colpo di fortuna. Alla fine degli anni '40 la Cina stava sprofondando nel comunismo e nella povertà assoluta, mentre Hong Kong risorgeva dalle ceneri dell'occupazione giapponese e dal crollo dello yen. In concomitanza con la Cina e Hong Kong, la Germania orientale e quella occidentale mostravano lo stesso fenomeno fino a quando non tornò la libertà di movimento tra le due.

Storici e politici di oggi nell'alleanza occidentale dicono che l'evidenza empirica di questi fallimenti e successi è attribuita all'estremismo comunista e che sono diversi dal socialismo democratico. Ma gli apologeti dell'interventismo e del controllo dello stato possono sostenere quanto vogliono che il comunismo è diverso dal socialismo democratico, ma non possono spiegare il fatto che il comunismo è semplicemente il socialismo in extremis che condivide gli stessi difetti di base della socializzazione della democrazia.

Capire perché le cose stanno così viene ostacolato dall'attrattiva superficiale della pianificazione organizzativa applicata ai mercati spontanei. La primo fa appello a una forma superficiale di logica, mentre i secondi mancano di una pronta spiegazione. Questo enigma venne messo a nudo dal grande economista della Scuola Austriaca, Ludwig von Mises, nei suoi libri Socialismo: un'analisi economica e sociologica e Il calcolo economico nel Commonwealth socialista, quest'ultimo scritto nel 1920 e all'epoca argomento scottante. In quest'ultimo Mises esponeva le ragioni per cui la gestione economica e l'interventismo dello stato sarebbero sempre falliti. Come affermò anche l'economista russo, Yuri Maltsev: “Mises ha esposto il socialismo come uno schema utopico, illogico, antieconomico e impraticabile al suo interno”. Maltsev lo aveva visto confermato dalla sua esperienza personale di economista in Unione Sovietica.

La differenza tra comunismo e socialismo democratico può essere paragonata alla sorte di un'aragosta immersa nell'acqua bollente rispetto a quella di una rana, che nei cliché moderni viene cotta a freddo. Il livello relativo di autoritarismo è diverso dall'inizio, ma finisce per essere simile nel suo esito finale. I fallimenti dimostrabili del socialismo democratico hanno portato a restrizioni sempre maggiori sui mercati, avvicinandolo sempre di più al comunismo. La comune negazione del capitalismo e della motivazione del profitto come immorale fa parte della propaganda pro-stato e anti-mercato.

Il motivo per cui lo stato fallisce sempre nel suo tentativo di gestire l'economia è in parte dovuto al fatto che i suoi obiettivi sono di natura politica piuttosto che economica, e in parte a causa dell'impossibilità di operare un calcolo economico in accordo coi mercati. Fu quest'ultimo punto che Mises spiegò bene nel suo saggio del 1920. Indipendentemente dalla politica, è impossibile per uno stato che possiede i mezzi di produzione sapere in anticipo se la sua produzione sarà richiesta dai consumatori. In parte potrebbe anche esserlo, ma è impossibile valutare il livello della domanda nella pianificazione della produzione. E lo stato non può valutare l'evoluzione di un prodotto per garantire che sarà liberamente richiesto in futuro. Lo stato ricorre quindi a comportamenti monopolistici per imporre il consumo.

Al contrario il capitalista in un mercato libero utilizzerà le sue conoscenze specialistiche per valutare la domanda e cercherà di rispondere fornendo il suo prodotto ai consumatori in modo redditizio. Per lui il cliente è re. Se fallisce, riduce le perdite o adatta il prodotto per soddisfare le richieste dei consumatori. I metodi di produzione e l'output si evolvono per soddisfare la domanda e insieme definiscono il progresso. Mentre lo stato non è in grado di evolvere la sua produzione in modo soddisfacente e quindi manca della capacità fondamentale di promuovere il progresso economico, i capitalisti che cercano profitti nei mercati liberi migliorano le condizioni economiche e gli standard di vita del tutto in conformità con la Legge di Say. In altre parole, attraverso la specializzazione l'intera coorte di produttori indipendenti e fornitori di servizi soddisfano le esigenze generali e in continua evoluzione dei mercati.

Per una questione di praticità, la socialdemocrazia permette al capitalismo di esistere... almeno in piccola parte. In comune con le prime linee di politica fasciste di Mussolini, il capitalismo viene tollerato fintanto che può essere controllato dallo stato. Questo controllo si ottiene attraverso un'ampia regolamentazione dei prodotti, mediante una parziale nazionalizzazione dell'economia e in virtù del fatto che la spesa pubblica è l'elemento singolo più importante in un'economia socialdemocratica. Questa spesa non è finanziata dalla produzione, ma dalle tasse imposte a produttori e consumatori. Uno stato socializzante viene promosso come un vantaggio per la società nel suo insieme, ma la realtà è che rappresenta un onere economico in proporzione alle sue dimensioni.

Sotto l'egida della socialdemocrazia, l'economia si allontana sempre più dal libero mercato e rende progressivamente meno del suo potenziale per migliorare le condizioni di vita della popolazione. La sottoperformance dell'economia è invariabilmente attribuita al settore privato quando invece è la conseguenza delle politiche interventiste dello stato.


Come le statistiche ci ingannano tutti

La divisione del lavoro significa che è sempre l'individuo che dispiega le sue capacità per consumare; consumo che è personale rispetto ai bisogni e ai desideri dell'individuo. Sebbene ci siano bisogni comuni a ciascun individuo, il consumo di quali beni e servizi un individuo desidera non può essere previsto da nessun osservatore. Gran parte della domanda di domani è spontanea e non è nemmeno nota in anticipo ai singoli consumatori.

Anche se possono essere esatte, la raccolta di statistiche che misurano questa domanda non può che essere storia passata. È un grossolano errore pensare che le statistiche sulla domanda, valide nel passato, possano essere proiettate nel futuro e continuare ad avere una reale rilevanza. Lo vediamo nel continuo fallimento dei modelli economici e delle previsioni econometriche. Una cosa è per un economista approfondire la sua comprensione di una branca della scienza umana, come una branca della psicologia, e un'altra è presumere che essa sia una scienza naturale, come la fisica o la biologia. La prima non può essere calcolata in media né essere prevedibile, mentre invece la seconda può essere statisticamente quantificata. Non c'è da stupirsi se Keynes, la cui disciplina principale era la matematica, preferì respingere la Legge di Say a favore dell'analisi matematica e statistica.

Si è già accennato in precedenza all'errore nel confrontare i prezzi di beni e servizi nel tempo valutati in valute fiat. Il grafico qui sotto del petrolio WTI, unità di base dell'energia da cui dipende quasi l'intera popolazione mondiale, illustra l'enormità di questo errore.

I due prezzi sono in denaro giuridico, ovvero l'oro, e in dollari fiat. Dal 1950, quando il prezzo del petrolio WTI era di $2,57 al barile e in grammi d'oro era di $2,28, in dollari il prezzo è salito a circa $70 oggi, un multiplo di oltre 27 volte; in oro invece è di 1,14 grammi, essendosi dimezzato. In denaro giuridico il prezzo è stato molto meno volatile che in dollari. L'enigma che ci pone questo grafico è quale prezzo dovrebbe essere utilizzato per valutare il petrolio: un dollaro in deprezzamento e volatile, o una moneta giuridica e solida relativamente stabile?

Chiaramente sono i confronti dei prezzi in dollari a lungo termine che sono gravemente imperfetti. Eppure gli operatori di mercato, orgogliosi di definirsi macroeconomisti senza comprendere le implicazioni del termine, continuano a tenere in dollari fiat i loro grafici a lungo termine del petrolio e di altre materie prim, del tutto ignari della loro falsità. Inoltre tutto ciò che può essere scambiato è valutato in dollari fiat e altre valute, dagli asset finanziari alle abitazioni. Il grafico successivo è quello degli immobili residenziali a Londra, quotati in sterline e in oro.

Chiunque osservi il mercato degli immobili residenziali nel Regno Unito vi dirà che è stato un ottimo investimento, soprattutto a Londra. Ma questa affermazione vale solo per una sterlina fiat, che dal 1968 ha perso oltre il 99% del suo potere d'acquisto se misurato in denaro giuridico. Oggi il valore in oro degli immobili residenziali londinesi è aumentato di un misero 14% dal 1968, rispetto alle 116 volte in sterline deprezzate. Tuttavia i semplici fatti sono accolti con diffusa incredulità.

In un sistema monetario fiat i valori di ogni cosa sono un concetto imperfetto e riflettono non tanto i cambiamenti nei valori soggettivi quanto il declino delle valute fiat. Ma questo gioco di prestigio statistico che inganna tutti si estende ad altre aree dell'universo statistico. L'analisi della produttività del lavoro è un'assurdità a causa delle ipotesi sottostanti e della mancanza di considerazione dei costi (soprattutto fiscali) per un datore di lavoro. L'approccio è sempre dal punto di vista statalista, in base al quale i politici desiderano vedere una maggiore produzione per lavoratore promuovendo dichiarazioni dei redditi più elevate; non è mai quella di un imprenditore datore di lavoro, l'unico vero valutatore dei costi e dei benefici dell'impiego proficuo delle varie forme di lavoro nella sua impresa.


PIL e spesa pubblica

Confondere il prodotto interno lordo con la crescita economica, di per sé un termine privo di significato quando è implicito il progresso economico, è un ulteriore errore. Gli stati sono fissati col PIL, il quale deve crescere sempre. Il PIL non è crescita economica, ma la crescita del valore in valuta totale delle transazioni, di solito nel corso di un anno.

Se la valuta viene svalutata, il PIL nominale aumenta nella misura in cui la svalutazione s'inserisce nella sua statistica. L'inflazione della valuta è particolarmente associata all'aumento della spesa pubblica, quindi praticamente tutto il suo aumento alimenta il PIL. In passato gli stati hanno regolarmente sovraperformato le aspettative del mercato sulla crescita del PIL con il semplice espediente di aumentare la spesa pubblica. Gli investitori che non riescono a capire questo trucco lo vedono come positivo e i mercati azionari salgono alla notizia. Il PIL è utile solo per consentire a uno stato di stimare il reddito fiscale potenziale, altrimenti è una statistica inutile e fuorviante.

Come affermato in precedenza, il PIL viene sistematicamente e inconsapevolmente confuso con il progresso economico, ma un attimo di riflessione mostrerà che il progresso non può essere misurato statisticamente. Il progresso è un concetto che al suo livello fondamentale è un miglioramento del tenore di vita di una persona. Non c'è dubbio che la tecnologia dell'intrattenimento, sotto forma di televisori, computer e altre apparecchiature elettroniche che sono tutte diminuite di prezzo, abbia migliorato immensamente il divertimento di molte persone. Il PIL che incorpora i prezzi in calo per questi prodotti è destinato a sottovalutare questi benefici e classificando i loro prezzi come deflazionistici si potrebbe persino affermare che sminuisca la crescita economica. Tuttavia la spesa pubblica che è finanziata sottraendo potere d'acquisto a produttori e consumatori, e che rappresenta quindi un freno al progresso, è classificata come positiva a causa della sua inclusione nel PIL.

Durante la crisi sanitaria, quando gran parte dell'economia produttiva è stata chiusa, la spesa pubblica del Regno Unito è salita a circa il 50% del PIL, anche se da allora è scesa a circa il 43% nell'ultimo anno fiscale (fino al 5 aprile 2023). Aumenti simili si sono verificati in altre nazioni. In Europa la spesa pubblica francese ha raggiunto il picco del 61,3% della sua economia nel 2020, scendendo al 58,1% lo scorso anno; in Italia era rispettivamente del 57% e poi del 56,7% e in Spagna del 52% e del 47,8%. Con questi livelli di spesa pubblica, quando si analizza il PIL è estremamente importante decidere come trattarlo.

Gli economisti mainstream sono tenuti a sostenere che la spesa pubblica sia importante in termini economici e che la crescita del PIL debba includerla. Inoltre, sulla base del consumo, si sostiene che debba essere inclusa la spesa dei dipendenti pubblici, così come la domanda pubblica di beni e servizi. Sebbene questo possa sembrare un punto valido, manca il quadro più ampio.

Se è vero che le spese dei dipendenti pubblici e dei dipartimenti governativi fanno parte del totale dell'economia, le tasse che le finanziano riducono il reddito disponibile per coloro che non sono impiegati dallo stato. La spesa pubblica nel suo insieme "sopperisce" a questo saccheggio fornendo servizi non liberamente richiesti, fattore fondamentale per i benefici che derivano dalla Legge di Say.

Non è necessario guardare lontano per esempi di come la spesa pubblica sia un peso per l'attività economica complessiva e che l'approccio economico di successo sia quello di liberare il settore privato, eliminando il più possibile lo stato e il suo intervento. È questo approccio che ha portato al notevole successo di Hong Kong nei decenni del dopoguerra, rispetto alla povertà inflitta alle stesse etnie sulla terraferma sotto Mao Zedong, dove lo stato rappresentava il 100% dell'economia.

Convincere l'establishment che l'inflazione del PIL finisce per sopprimere il progresso economico è una lotta in salita. Invece di accettare l'evidenza empirica, gli stati usano abitualmente i loro poteri di riscossione delle tasse per aumentare l'interventismo, la loro spesa e svalutare la valuta aumentando deliberatamente i deficit di bilancio.

Ciò porta a un conflitto tra i politici che cercano di rappresentare gli interessi dell'elettorato e lo stato stesso. I politici di destra sono di solito sostenitori del libero mercato con l'ambizione di ridurre la presenza dello stato in proporzione all'economia totale e sono eletti per abbattere le spese e la burocrazia, ma sono obiettivi che non raggiungono mai. Quando ottengono la responsabilità ministeriale, la loro priorità cambia: impediscono una riduzione dei budget, perché i tagli alla spesa pubblica equivalgono a una perdita di potere. Pertanto, nella misura in cui si ottengono risparmi sulla spesa, i ministri vogliono sempre elaborare altri piani per mantenere o aumentare i livelli di finanziamento. Le conseguenze economiche negative si accumulano e la quota dello stato sul PIL tende inesorabilmente ad aumentare.

Questa è la vera eredità di chi confonde PIL e progresso economico. Mentre le transazioni che lo compongono possono essere misurate, non possono esserlo quelle che creano valore in termini di soddisfazione e progresso nella qualità della vita. L'unico modo in cui possono essere misurati è da ogni individuo in una comunità e nazione, e non da coloro che pretendono di rappresentarli.


Perché non può esistere un'eccedenza generalizzata

L'errore keynesiano di credere che una recessione porti a un'eccedenza generalizzata, e quindi a un calo del livello generale dei prezzi, ha origine nella depressione degli anni '30. Ma è ovvio che nelle condizioni di divisione del lavoro, per cui le persone sono impiegate per produrre in modo da poter consumare, questo non può essere vero in senso generale, perché la produzione deve diminuire così come il consumo quando aumenta la disoccupazione. In altre parole, non può verificarsi un'eccedenza generalizzata di prodotti invenduti, perché i disoccupati non producono più.

Tuttavia i timori keynesiani di un'eccedenza generalizzata quando si verifica una recessione e la disoccupazione aumenta, portano gli stati a creare domanda aumentando i benefici dello stato sociale. Secondo il copione keynesiano, bisogna stimolare l'economia per mezzo di deficit inflazionistici, destinati a stabilizzare i prezzi man mano che la domanda si indebolisce. Ma senza un'eccedenza generalizzata e una valuta stabile, è improbabile che il livello generale dei prezzi cambi significativamente in termini reali quando non c'è interventismo statale.

Gli stati intervengono spendendo in deficit senza contribuire alla produzione. Invece di una recessione che porta a un'eccedenza di produzione, la spesa pubblica porta a un'eccedenza di domanda. Questo spiega come gli effetti inflazionistici dello stimolo keynesiano possano portare a prezzi significativamente più alti, anche in una fase di crisi, come si è visto in Gran Bretagna a metà degli anni '70. È anche del tutto coerente con i fattori che spingono un'economia in una crisi durante il crollo di una valuta, come testimoniato dalle inflazioni europee nei primi anni '20.

Quindi cos'è successo negli anni '30 che ha smentito la Legge di Say nelle menti dei neo-keynesiani?

Il primo errore nella loro analisi è stato non comprendere le conseguenze degli anni '20. Vennero alimentati da politiche monetarie espansive della FED e da politiche anticapitaliste/interventiste del presidente Hoover. Le inevitabili conseguenze furono una bolla speculativa seguita da una crisi finanziaria tra la fine del 1929 e il 1932, la quale spazzò via migliaia di banche e il loro credito, la spina dorsale per il mantenimento dell'attività economica. E questo fu seguito dal pesante interventismo di Hoover.

Hoover rialzò in modo significativo le imposte sul reddito per finanziare le sue politiche fiscali. Nonostante questi aumenti, durante il mandato di Hoover il disavanzo del governo federale rispetto al PIL salì da un avanzo dello 0,7% a un disavanzo del 6,4% e sono continuati sotto Roosevelt, sebbene diminuirono con il passare della crisi bancaria.

Non solo le banche andarono in bancarotta a migliaia, ma c'erano anche altri fattori. Lo Smoot-Hawley Tariff Act, che prevedeva dazi più elevati ben oltre a quelli Ford-McCumber del 1922, fu convertito in legge dal presidente Hoover nel 1930. Quindi non solo il credito bancario nell'economia stava implodendo, ma anche i prezzi delle merci importate e quindi i costi di produzione della maggior parte dei manufatti americani furono portati a livelli antieconomici. Era una combinazione fatale, perché si poteva produrre poco in modo redditizio in un momento in cui il credito bancario disponibile era scarso o nullo. Di conseguenza il PIL degli Stati Uniti si contrasse da $103,6 miliardi nel 1929 a $56,3 miliardi nel 1933. Per niente una situazione di un'eccedenza generalizzata, perché è dimostrabile che sia la produzione che il consumo si contrassero.

Mentre il credito era diventato liberamente disponibile nel decennio precedente, l'introduzione di trattori e altre macchine agricole avevano portato a una massiccia espansione della produzione agricola. I prezzi dei prodotti agricoli, che erano già in calo a causa dell'eccesso di offerta, erano destinati a scendere ancora di più quando il credito fu ritirato dalle banche locali in fallimento. La comunità agricola fu costretta a vendere la sua produzione a tutto ciò che poteva ottenere, a causa della mancanza di credito.

Si trattava di un aggiustamento specifico del mercato in un momento in cui i prezzi mondiali dei cereali e di altri prodotti agricoli stavano diminuendo a causa della sovrapproduzione. Il crollo dei prezzi attribuibile alla crisi bancaria colpì duramente gli agricoltori, non solo in America ma in tutto il mondo, attraverso i valori riflessi sulle borse valori.

Poiché gli agricoltori americani erano venditori forzati della loro produzione agricola, in seguito Keynes e altri economisti presumettero che ci fosse un eccesso e che la Legge di Say fosse quindi viziata. L'errore fu quello di perdere i collegamenti tra il collasso del credito dovuto alle bancarotte delle banche, la pressione sugli agricoltori per scaricare i loro prodotti a qualsiasi prezzo e la coincidenza della sovrapproduzione mondiale dovuta ai rapidi progressi compiuti nella meccanizzazione nel decennio precedente.

Le cause della depressione degli anni '30 e della sua longevità erano chiare: non c'è bisogno di guardare oltre le prove empiriche. Molto prima che Keynes calunniasse la Legge di Say, sia Hoover che Roosevelt con il suo New Deal resero la depressione considerevolmente peggiore di quanto sarebbe stata altrimenti, agendo come proto-keynesiani. Era la prima volta che il governo federale era intervenuto in quelli che altrimenti sarebbero stati due o tre anni di stasi economica e creditizia, che era stata l'esperienza degli episodi precedenti. La precedente depressione del 1920-1921 durò solo diciotto mesi senza l'intervento dello stato. Prima del mandato del presidente Hoover, era generalmente riconosciuto che l'interventismo non facesse che peggiorare le cose e che un crollo dell'attività economica si sarebbe corretto da solo.

Gli economisti che successivamente formularono linee di politica stataliste hanno frainteso le cause di una recessione. Non riescono ancora ad apprezzare che esiste un ciclo del credito bancario, identificato dagli economisti della Scuola Austriaca come un ciclo economico. È causato dai banchieri che agiscono come una coorte aumentando la quantità di credito fino al punto in cui la loro esposizione di bilancio diventa eccessiva rispetto al capitale proprio e quindi finiscono col tirare i remi in barca. Questa non è una cospirazione tra banchieri, ma riflette il loro comportamento umano ed è di natura ciclica. Può essere rintracciato nel Regno Unito fin dalla fine delle guerre napoleoniche ed è un ciclo di espansione e contrazione del credito della durata media di circa dieci anni.

Anche per gli economisti è sempre più facile osservare le prove di una recessione economica piuttosto che la sua causa sottostante. In tutta la voluminosa analisi della grande depressione, il ciclo del credito bancario è appena menzionato. Solo gli economisti della Scuola Austriaca hanno fatto notare che la depressione è stata la naturale conseguenza dell'eccessiva espansione del credito nel decennio precedente; e i seguaci di Keynes con la loro macroeconomia matematica e statistica sono ancora ciechi di fronte al ruolo del credito bancario nei cicli di boom/bust. Pensano di poter modellare l'economia, guidandola da un obiettivo all'altro sopprimendo il libero mercato, ma non possono modellare l'equilibrio tra l'avidità di profitto e la paura delle perdite dei banchieri umani.

Le politiche economiche e monetarie ignorano la Legge di Say, persistendo in interventi fallimentari. La risposta al fallimento è di solito affermare che l'errore è stato quello di non essere intervenuti abbastanza. Una caratteristica di questi fallimenti è che i policymaker cercano conforto con le loro controparti internazionali, raddoppiando le deformazioni socioeconomiche per raggiungere obiettivi statalisti.


Gli errori nella gestione monetaria

Questa settimana la persistenza dell'inflazione dei prezzi al consumo nel Regno Unito ha persino portato un membro del Comitato di politica monetaria ad affermare che i tassi d'interesse dovranno essere rialzati nella misura in cui l'economia britannica entrerà in recessione. Ma con l'offerta di denaro che non si espande più, possiamo vedere che c'è qualcosa che non va nella sua analisi. Allo stesso tempo, tutti i commenti sull'ostinata inflazione dei prezzi parlano di troppa domanda per troppo pochi beni. I cambiamenti nel potere d'acquisto della valuta non vengono mai menzionati. Mentre i singoli prezzi fluttuano, quando il livello generale dei prezzi aumenta può essere solo a causa delle variazioni del potere d'acquisto di una valuta.

C'è solo una ragione per cui il potere d'acquisto di una valuta fiat cambia e lo ritroviamo nel comportamento di chi la usa. Adattando il rapporto tra la loro liquidità immediata e la loro spesa, collettivamente possono avere un profondo impatto sul suo potere d'acquisto. Questo è il motivo per cui la teoria statale del denaro è incosistente e le autorità monetarie non riescono sempre a controllare il potere d'acquisto della loro valuta fiat. Una valuta dev'essere ancorata al denaro reale, ovvero l'oro.

Quando le banconote erano scambiabili con monete d'oro, il loro potere d'acquisto rimaneva costante indipendentemente dalla quantità in circolazione. Ma le banconote sono in genere meno di un decimo del mezzo circolante, il saldo è il credito bancario. Il rapporto tra credito bancario e banconote è quasi paritario e fintanto che il rischio di controparte tra i depositanti di una banca e la banca non è un problema, il credito bancario prenderà sempre il suo valore dalla valuta. È la moneta che dev'essere credibile.

Nel primo dei due grafici sopra possiamo vedere che il prezzo del petrolio in dollari è rimasto stabile tra il 1950 e il 1970, quando è passato da $2,57 al barile a una media di $3,35. A quel tempo il dollaro era lascamente legato all'oro attraverso l'accordo di Bretton Woods, dove solo le banche centrali e organizzazioni come il FMI erano in grado di scambiare dollari con oro. Durante quel periodo M3 salì da $172 miliardi a $750 miliardi, un aumento del 336%.

Questo non fu l'unico esempio. Tra il 1844 (l'epoca del Bank Charter Act) e il 1900, l'indice dei prezzi all'ingrosso rimase invariato; tra il 1844 e il 1900, però, la somma delle banconote in circolazione della Banca d'Inghilterra e degli obblighi di deposito delle banche commerciali aumentò di undici volte, e ci fu un aumento sostanziale anche nella quantità di cambiali commerciali a breve termine che finanziavano il commercio estero. La teoria monetarista suggerirebbe che l'espansione del credito su tale scala minerebbe il potere d'acquisto della valuta, ma chiaramente non è così.

Il motivo per cui l'espansione del credito bancario non deve necessariamente indebolire il potere d'acquisto di una valuta è che fintanto che il livello del credito è realmente richiesto dall'attività economica, invece di finanziare il consumo in eccesso, la sua espansione non farà salire i prezzi. La fonte dell'eccesso di consumo va ricercata nella spesa in deficit dello stato, perché gli individui devono sempre saldare i propri debiti mentre uno stato no. Come accennato in precedenza, gli stati possono sempre ricorrere alla spesa in deficit.

Da questo sappiamo che le politiche fiscali e monetarie degli stati, insieme alle loro valute fiat, sono le uniche ragioni alla base del deterioramento del potere d'acquisto della valuta. Infatti i keynesiani mirano deliberatamente a un tasso continuo di svalutazione, riflesso in un IPC al 2%, utilizzando la politica monetaria nel tentativo di regolare la domanda di credito.


La soluzione: lasciare in pace i mercati e riportare in auge il denaro sano/onesto

Se si è alla ricerca di stabilità monetaria, tutti i tentativi degli stati di gestire i risultati del settore privato sono destinati a fallire. Dev'essere ristabilita una forma di denaro sana/onesta, ad esempio un gold coin standard per la gente comune. I tassi d'interesse si stabilizzerebbero quindi in base ai tassi annui impostati dai mercati nel contesto della domanda di capitale per investimenti e della disponibilità di risparmio. La stabilità economica sarà una conseguenza automatica. La diversione dell'attività umana verso la speculazione diminuirà, avvantaggiando l'economia dal suo reimpiego verso attività più produttive. Non avremmo più stati che tentano d'inseguire obiettivi monetari che mandano in bancarotta i proprietari di case a causa di politiche keynesiane fuorvianti.

Un ritorno al denaro sano/onesto tarpa le ali ai politici che spendono molto, ma devono essere introdotti anche altri cambiamenti specifici, invertendo completamente le politiche macroeconomiche keynesiane:

• La spesa pubblica dev'essere ridotta sostanzialmente, con un obiettivo iniziale che non superi il 20% dell'economia. Ciò ridurrà il carico fiscale sulle imprese produttive e sui lavoratori a vantaggio di un progresso non inflazionistico. Sarà richiesta l'approvazione di un'ampia legislazione che elimini gli impegni di spesa obbligatori.

• La politica di regolamentazione di beni e servizi dev'essere abbandonata e la responsabilità di giudicare l'idoneità del prodotto deve essere restituita agli individui.

• Tutta la tassazione dev'essere rimossa dai risparmi, dagli interessi maturati e dal capitale guadagnato: i risparmi saranno tassati quando guadagnati. Il risparmio è la fonte necessaria di finanziamento degli investimenti per il progresso economico e i cittadini devono essere incoraggiati a risparmiare per il loro futuro, perché lo stato deve rinunciare a fornire uno stato sociale prevaricante, limitandolo al minimo indispensabile per il reale bisogno.

• Le tasse di successione e le imposte di successione devono essere annullate. Alle famiglie dovrebbe essere consentito di accumulare e tramandare ricchezze che altrimenti sarebbero distrutte nel momento in cui vengono acquisite dallo stato.

• Le politiche commerciali protezionistiche devono essere abbandonate a favore del libero scambio. Il vantaggio per un'economia derivante dal vantaggio comparato di acquistare i prodotti più adatti da qualsiasi luogo è enorme, come confermano le evidenze storiche di esempi come Hong Kong.

• Ai ministri del governo non dev'essere permesso di essere soggiogati da gruppi di pressione e imprese, perché la loro responsabilità democratica è nei confronti dell'intero elettorato.

• Tutte le attività del sistema bancario centrale devono cessare ed essere sostituite da un'autorità di emissione di banconote che regoli il rapporto tra le monete d'oro detenute in riserva e il valore nominale delle banconote in circolazione. La relazione dovrebbe essere stabilita dalla legge, finanziata dallo stato e la relazione tra moneta d'oro e banconota dovrebbe essere mantenuta sempre a un minimo del 40%. Monete e non lingotti, in modo da essere disponibili per l'intera popolazione. Un bullion standard rischia l'arbitraggio estero in quantità potenzialmente destabilizzanti.

• La politica estera dev'essere modificata per non interferire nella politica di altre nazioni, tranne nei casi in cui gli interessi nazionali sono palesemente colpiti.

• La spesa pubblica dev'essere pienamente modificabile. Tutte le entrate ricevute dal Tesoro devono essere ipotecate: niente più rapine nei confronti di Pietro per pagare Paolo.

Chiaramente queste riforme non avverranno prima di una crisi abbastanza grave da imporre una revisione completa della linea di politica. Anche allora, dipenderà dai ministri del governo e dai burocrati, sperando che non tutti siano in balia della macroeconomia neo-keynesiana e comprendano i propri ruoli nella crisi. È probabile, quindi, un periodo di oscillazione politica, il quale porterà a un pericolo d'instabilità politica e a una ritirata verso un socialismo ancora maggiore.

La crisi che pende sulle nostre teste a causa delle linee di politica keynesiane quasi certamente non segnerà la fine di tutti i nostri problemi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 25 luglio 2023

Il “consenso” fasullo sul cambiamento climatico

Sebbene siamo spesso incoraggiati ad ascoltare gli esperti per la loro intelligenza e competenza, è sempre meglio essere scettici nei confronti delle loro dichiarazioni. Le credenze svolgono una funzione sociale, indicando la propria posizione nella società, e per preservare il proprio status nei circoli elitari gli esperti altamente istruiti possono sottoscrivere posizioni errate, poiché così facendo possono ottenere vantaggi. Rifiutarsi di sostenere un punto di vista politicamente impopolare potrebbe danneggiare la propria carriera e poiché questi professionisti sono più interessati all'acquisizione dello status, non dovremmo aspettarci che abbandonino credenze errate in nome della ricerca della verità. Allora perché dovremmo ascoltare gli esperti quando danno maggiore importanza alla pianificazione statale rispetto alla risoluzione dei problemi nazionali? Contrariamente a quanto alcuni vorrebbero farvi credere, rivoltarsi contro gli esperti non è un attacco alla scienza. Non prendiamoci in giro: le persone che occupano cariche importanti non sono interessate a perdere tale status e, come tali, cercheranno di ridurre al minimo le opinioni che minacciano la loro autorità professionale o intellettuale. Degna di nota è anche la minore capacità delle persone intelligenti di identificare i propri pregiudizi. A causa dei loro maggiori livelli di sviluppo cognitivo, è più facile per le persone intelligenti razionalizzare le sciocchezze. Giustificare supposizioni estreme richiede capacità intellettuali ben sviluppate e forse questo potrebbe spiegare perché le persone molto intelligenti sono inclini a esprimere opinioni più estreme. La nostra cultura ha un'immensa fiducia nell'opinione degli esperti, sebbene le prove indichino che tale fiducia debba essere mitigata dallo scetticismo. Le persone intelligenti, che siano esperti, scienziati o burocrati, non hanno il monopolio della razionalità. Certo, l'intelligenza può agire come una barriera al pensiero oggettivo. La capacità di una persona intelligente di fornire argomentazioni coerenti a favore delle sue idee può essere impressionante e può servire solo a solidificarla nelle sue conclusioni. Ad esempio, nell'arena del cambiamento climatico gli esperti hanno raccomandato linee di politica che sono coerenti con i dati di un presunto consenso che sostiene tali proposte. La promozione dell'uso su larga scala delle energie rinnovabili, ad esempio, è solitamente pubblicizzata come una strategia climatica sostenibile, nonostante il fatto che gli studi sostengano il contrario. Senza contare, inoltre, quando quegli scienziati che prima venivano osannati quando erano allineati con la tesi mainstream e poi magicamente passano dal lato "negazionista" quando fanno notare falle enormi in suddette tesi. Le "soluzioni" politiche sono un clamoroso fallimento, di conseguenza è opportuno percorrere altre vie dove gli scienziati stanno esplorando tecniche per rimuovere l'anidride carbonica dall'atmosfera o riflettere la luce solare in arrivo. Anche se personalmente non penso che il cambiamento climatico causato dall'uomo rappresenti una crisi, e penso che l'adattamento derivante dalla normale crescita economica sarà più che sufficiente per affrontare qualsiasi problema lungo il percorso, gli scienziati hanno queste altre tecniche da giocare se dovessero diventare necessarie per “far acquistare all'umanità qualche decennio di respiro” mentre la tecnologia avanza nei settori dei trasporti e dell'energia. Come disse il buon Michael Crichton, la scienza non ha niente a che fare con il "consenso".

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di Robert P. Murphy

Una delle mosse retoriche popolari nel dibattito sul cambiamento climatico è che i sostenitori dell'intervento aggressivo dello stato affermino che “il 97% degli scienziati” è d'accordo con la loro posizione e quindi tutti i critici sono automaticamente “negazionisti” non scientifici.

Queste affermazioni sono a dir poco improbabili; persone come David Friedman hanno dimostrato che l'affermazione di un “consenso al 97%” è diventata un punto di discussione solo attraverso una procedura distorta che caratterizzava male il modo in cui gli articoli di giornale venivano valutati, gonfiandone quindi la stima.

Oltre a ciò, una recensione su The New Republic di un libro critico nei confronti dell'economia mainstream utilizzava lo stesso identico grado di consenso per gettare disapprovazione sulla scienza economica. In altre parole, quando tra gli economisti professionisti si arriva al rifiuto quasi unanime del controllo degli affitti o dell'uso dei dazi, come minimo alcuni progressisti di sinistra concluderanno che dev'essere coinvolto il pensiero di gruppo. L'unico filo conduttore in entrambi i casi — quello degli scienziati del clima e quello degli economisti — è che The New Republic si schiera dalla parte che amplierà la portata del potere dello stato, un principio centrale sin dalla sua nascita un secolo fa grazie a Herbert Croly.


L'improbabile proclama di un “consenso del 97% tra gli scienziati” sulla scienza del clima

Nel 2014 David Friedman pubblicò il documento originale che diede il via al punto di discussione sul “97% di consenso”. Ciò che gli autori originali, Cook et al., scoprirono nel loro documento del 2013 fu che il 97,1% degli articoli pertinenti concordava sul fatto che gli esseri umani contribuiscono al riscaldamento globale. Ma si noti che non è affatto la stessa cosa se si dice che gli esseri umani sono i principali contributori al riscaldamento globale osservato (dalla Rivoluzione industriale).

Questa è una distinzione enorme. Ad esempio, sono stato co-autore di uno studio del Cato con gli scienziati del clima Pat Michaels e Chip Knappenberger, in cui ci opponevamo fermamente a una carbon tax negli Stati Uniti. Tuttavia, secondo i canoni mainstream, sia Michaels che Knappenberger ricadrebbero in quel “consenso del 97%” secondo Cook et al. Cioè, Michaels e Knappenberger concordano entrambi sul fatto che, a parità di altre condizioni, l'attività umana che emette anidride carbonica renderà il mondo più caldo di quanto non sarebbe altrimenti. Questa osservazione di per sé  non significa che ci sia una crisi, né giustifica una carbon tax.

Per inciso, quando si arriva a ciò che Cook et al. hanno effettivamente scoperto, l'economista David R. Henderson ha notato che era meno impressionante di quanto riportato da Friedman:

[Cook et al.] hanno ottenuto il loro 97% considerando solo quegli abstract che esprimevano una posizione sul riscaldamento globale antropogenico. Trovo interessante che i 2/3 degli abstract non abbiano preso posizione. Quindi, tenendo conto delle critiche di David Friedman di cui sopra e delle mie, Cook e Bedford, nel riassumere le loro scoperte, avrebbero dovuto dire: “Dei circa un terzo degli scienziati del clima che scrivono sul riscaldamento globale e che hanno preso posizione sul ruolo degli esseri umani, il 97% pensa che gli esseri umani contribuiscano in qualche modo al riscaldamento globale”. Non suona esattamente come prima, vero? [David R. Henderson, grassetto aggiunto.]

Quindi, per riassumere: le dichiarazioni dei media e le discussioni online porterebbero la persona media a credere che il 97% degli scienziati che ha pubblicato documenti sul cambiamento climatico pensa che gli esseri umani rappresentino la causa principale del riscaldamento globale. Eppure se esaminiamo il documento originale di Cook et al. (2013) e che ha dato il via al punto di discussione, quello che hanno effettivamente scoperto è che dei documenti campionati sul cambiamento climatico solo un terzo di loro ha espresso un'opinione sulle sue cause; di tale sottoinsieme il 97% ha convenuto che gli esseri umani  rappresentassero una delle cause del cambiamento climatico. Questa sarebbe la classica verità rispetto ai fronzoli negli spot pubblicitari, qualcosa di estraneo alla discussione politica a cui ora sembrano discendere tutte le questioni del riscaldamento globale antropogenico.


I diversi atteggiamenti di The New Republic nei confronti del consenso

La rivista The New Republic venne fondata nel 1914. Il suo sito web afferma: “Per oltre 100 anni abbiamo sostenuto idee progressiste e sfidato l'opinione mainstream [...] The New Republic promuove nuove soluzioni per i problemi più critici di oggi”.

Con tal contesto, non sorprende che The New Republic utilizzi il presunto consenso del 97% nella scienza del clima come fanno tipicamente altri punti vendita progressisti. Ecco un estratto da un  articolo del 2015 (di Rebecca Leber) in cui i repubblicani venivano criticati per la loro posizione anti-scientifica sul cambiamento climatico:

Due anni fa un gruppo di ricercatori internazionali guidati da John Cook dell'Università del Queensland ha esaminato 12.000 abstract di articoli sottoposti a revisione paritaria sul cambiamento climatico. Dei 4.000 che hanno preso posizione in un modo o nell'altro sulle cause del riscaldamento globale, il 97% era d'accordo: gli esseri umani sono la causa principale. Dando un numero al consenso scientifico, lo studio ha fornito a tutti, dal presidente Barack Obama al comico John Oliver, un chiaro punto di discussione. [Leber, grassetto aggiunto.]

Avrete già notato che la Leber sta aiutando a perpetuare una falsità, anche se può essere perdonata: parte del post sul blog di David Friedman mostrava che lo stesso Cook era responsabile (Friedman la definisce una vera e propria bugia) per la confusione riguardo a ciò che lui e i suoi co-autori hanno effettivamente scoperto. E notate che la Leber conferma ciò che ho affermato in questo post, vale a dire che è stato il documento di Cook et al. (2013) che originariamente ha fornito il “punto di discussione” (suo termine) sul cosiddetto consenso.

Il punto della Leber è quindi denunciare Ted Cruz e alcuni altri repubblicani per aver ignorato questo consenso tra gli scienziati del clima:

Tutto questo dibattito su una statistica potrebbe sembrare sciocco, ma è importante che gli americani capiscano che esiste un consenso schiacciante sul riscaldamento globale causato dall'uomo. I negazionisti sono riusciti a minare il modo in cui la popolazione vede la scienza del clima, il che a sua volta rende gli elettori meno propensi a sostenere l'azione.

Ora ecco cosa c'è di veramente interessante. Un collega mi ha inviato una recensione su The New Republic di un nuovo libro di Binyan Appelbaum, il quale è critico nei confronti della professione economica. Il revisore, Robin Kaiser-Schatzlein, ha citato con approvazione la scarsa visione del consenso in economia di Appelbaum:

Appelbaum mostra il grado stranamente alto di consenso nel campo dell'economia, compreso un sondaggio del 1979 tra economisti in cui “il 98% degli economisti era contrario ai controlli sugli affitti, il 97% era contrario ai dazi, il 95% era favorevole ai tassi di cambio flessibili e il 90% era contrario alle leggi sul salario minimo”. E in un momento di umorismo birichino osserva che “sebbene la natura tenda all'entropia, condividevano la fiducia che le economie tendessero all'equilibrio”. Gli economisti condividevano una raccapricciante mancanza di dubbio su come funzionava il mondo. [Kaiser-Schatzlein, grassetto aggiunto.]

Non è fantastico? Piuttosto che dare la caccia e demonizzare i democratici che osano opporsi al consenso degli esperti su argomenti come il controllo degli affitti — che invece Bernie Sanders ha di recente promosso — la reazione è quella di ridere dell'arroganza e della “raccapricciante mancanza di dubbio su come [funziona] il mondo”.


Conclusione

Fin dall'inizio l'affermazione di un “consenso del 97% tra gli scienziati” sul cambiamento climatico è stata a dir poco improbabile, con i sostenitori che hanno affermato che rappresentava molto più di quanto realmente rappresentasse. Inoltre una recente recensione di un libro su The New Republic mostra che quando si tratta di scienza economica, il consenso del 97% non significa nulla, se non supporta la linea di politica progressista.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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