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martedì 16 aprile 2024

I mercati più disfunzionali di oggi: Cina ed Europa

 

 

di Alasdair Macleod

All’indomani dei lockdown nel 2020, il mondo ha fatto registrare una crescita economica molto forte, principalmente un effetto base. Possiamo vederlo nella domanda di materie prime. La domanda di petrolio, ad esempio, ha raggiunto i livelli del 2019 solo alla fine del 2023. Nel 2020 la domanda di petrolio, come quella di altre materie prime, è crollata a un ritmo senza precedenti a causa dei lockdown. Ci sono voluti tre anni di crescita estremamente forte per tornare ai massimi precedenti. Si è trattato di effetti una tantum e in futuro la crescita sarà più in linea con la normale espansione economica mondiale.

Pertanto, a nostro avviso, il 2024 sarà un anno molto diverso rispetto agli ultimi tre anni. La crescita del PIL mondiale ha già rallentato in modo significativo, attestandosi ad appena il 3% lo scorso anno. Per quest’anno gli economisti della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e delle banche d’investimento prevedono una crescita del PIL simile. Riteniamo che queste previsioni siano troppo ottimistiche. Diverse regioni come l’Europa e la Cina hanno iniziato a rallentare e non ci è chiaro il motivo per cui dovrebbero improvvisamente riaccelerare. Altre regioni, come gli Stati Uniti, hanno ancora un’economia straordinariamente forte. Gli alti tassi d'interesse cominciano a farsi sentire e le due principali regioni che destano preoccupazione restano la Cina e l’Europa.

Per gran parte del XXI secolo, quando il resto dell’economia mondiale era in difficoltà, la Cina è stata il “motore della crescita di ultima istanza”. Lo stato cinese è riuscito a mettere il piede sull'acceleratore e a stimolare la domanda interna quando il suo settore di esportazione soffriva della debole domanda dall’estero. Ciò, a sua volta, ha mitigato la recessione economica in Occidente e l'ha aiutato a riprendersi più rapidamente. Ora, però, l’economia cinese stessa è finita in crisi e gli strumenti utilizzati in passato per stimolare la crescita non funzionano più. Gli economisti sono stati condizionati ad aspettarsi che la Cina venga in soccorso piuttosto che aggravare le difficoltà economiche interne, pertanto le attuali previsioni di un atterraggio morbido e di una riaccelerazione nella seconda metà di quest'anno potrebbero rivelarsi troppo ottimistiche.

Dall’inizio del secolo ogni volta che il resto del mondo si trovava in difficoltà, la Cina è andata avanti. Attraverso misure di stimolo aggressive la Cina ha rafforzato la domanda interna per raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi di crescita. A sua volta ciò ha aiutato le economie occidentali in difficoltà, poiché la domanda cinese per i loro beni non ha rallentato. Infatti spesso ha accelerato. Ciò ha avuto un effetto mitigante sulle contrazioni economiche in Occidente e ha aiutato queste economie a riprendersi più rapidamente.

Per essere chiari, l’economia cinese non è stata certamente immune dagli effetti negativi della crescita esterna. Ad esempio, nei primi giorni della grande crisi finanziaria del 2008, la crescita del PIL cinese ha subito un brusco rallentamento, passando da numeri a due cifre a “appena” il 6%. Ma la Cina ha avuto la capacità di disaccoppiarsi completamente dalla recessione che si è verificata in Occidente e lo ha fatto in modo estremamente rapido. Alla fine del 2009 l’economia europea era ancora in contrazione su base annua e quella statunitense era stagnante, mentre la Cina stava già crescendo di nuovo al 12% (Grafico 1). Ciò ha aiutato le economie occidentali a riprendersi più rapidamente, poiché la Cina ha importato più prodotti.

Grafico 1: In passato l’economia cinese non è stata immune dagli shock esterni, ma è riuscita a dissociarsene rapidamente. Fonte: GoldMoney Research, Banca Mondiale

Il rapido ritorno della Cina a una crescita a due cifre non ha aiutato solo le economie occidentali. Quando i prezzi delle materie prime hanno sofferto durante la grande recessione, la Cina ha riempito le sue scorte di materie prime e ciò ha aiutato le nazioni produttrici. I petrostati hanno sofferto meno e, a loro volta, anche la domanda di beni occidentali provenienti da queste regioni ha retto meglio di quanto sarebbe accaduto altrimenti.

Questo effetto è dimostrato nel grafico qui sotto (Grafico 2): la crescita nelle economie sviluppate rispetto alla sovraperformance della Cina (crescita del PIL cinese – crescita dell’economia sviluppata). In poche parole, quando l’Occidente aveva bisogno di una spinta, la Cina gliel'ha data.

Grafico 2: Dall’inizio del secolo la Cina ha fornito una spinta all’economia mondiale quando le economie occidentali ne avevano più bisogno. Fonte: Goldmoney Research, Banca Mondiale

Questo non è più stato vero durante la crisi sanitaria. La Cina ha optato per una linea di politica più estrema rispetto al resto del mondo e, quindi, ci è voluto più tempo affinché l’economia cinese si riprendesse. Una volta che la Cina ha posto fine a tutte le misure anti-Covid, un anno e mezzo fa, gli economisti si aspettavano che l’economia cinese andasse avanti a pieno ritmo.

Queste aspettative non si sono concretizzate. Sebbene l’economia cinese sia riuscita a crescere con numeri a doppia cifra nel 2021, questo è stato semplicemente un effetto di base dei primi lockdown, come abbiamo visto ovunque. Da allora l’economia cinese ha continuato a languire. Sebbene i dati economici ufficiali cinesi vadano presi con le pinze, essi mostrano che l’economia cinese ha subito un significativo rallentamento. Prima del Covid l’economia cinese cresceva almeno del 6% annuo; dopo che il Paese si è fermato a causa dei lockdown e ha iniziato a svegliarsi solo l’anno scorso non è riuscito a tornare ai ritmi di crescita del passato. Nel 2023 il PIL cinese era in espansione solo del 5,2%. Sebbene sia riuscito ad accelerare al 6,3% nel secondo trimestre, è sceso ad appena il 5,2% nel quarto trimestre del 2023.

La questione più urgente riguarda il settore immobiliare. Lo scorso anno la Cina ha vissuto numerosi fallimenti di alto profilo nel settore dello sviluppo immobiliare. Ma non sono solo i promotori immobiliari a vedersela brutta, l'intero settore è allo sbando. Il China Real Estate Climate Index, un indice del sentiment pubblicato dal China National Bureau of Statistics, mostra quello che può essere descritto solo come un crollo del mercato immobiliare cinese (Grafico 3).

Grafico 3: Il sentiment nel mercato immobiliare cinese è al punto più basso sin dalla nascita dell'indice. Fonte: Ufficio nazionale cinese di statistica

Il settore immobiliare cinese si trova ad affrontare enormi problemi strutturali mentre guardiamo indietro a due decenni di cementificazione. Secondo i dati della Banca Mondiale, nei dieci anni fino al 2021 la Cina ha aggiunto ogni anno 1.250 milioni di metri quadrati di nuove proprietà residenziali. Ciò equivale a 125 milioni di nuovi appartamenti con una dimensione di 100 metri quadrati (secondo Bloomberg la casa media cinese è di circa 90 metri quadrati). Altre fonti come Statista suggeriscono che in questo arco di tempo sono stati aggiunti circa 75 milioni di appartamenti. Allo stesso tempo la popolazione cinese è cresciuta di soli 63 milioni. Ciò che rende tutto ciò ancora più problematico è che la popolazione cinese ha raggiunto il picco nel 2021 e da allora sta diminuendo (Grafico 4).

Grafico 4: la popolazione cinese ha raggiunto il picco nel 2021 ed è ora in netto declino. Fonte: Ufficio nazionale di statistica cinese

Per molto tempo ciò non ha avuto importanza per i prezzi degli immobili, poiché i cinesi acquistavano immobili a fini d'investimento piuttosto che come luogo in cui vivere. Pertanto le esigenze abitative effettive non hanno avuto molta importanza per la domanda di immobili di nuova costruzione e, di conseguenza, per i prezzi. Gran parte delle unità di nuova costruzione non sono mai state occupate.

Sembra, però, che la realtà abbia finalmente raggiunto il mercato immobiliare cinese. Da anni circolano segnalazioni di intere città fantasma, ma fino a poco tempo fa ciò non aveva un grande impatto sul ritmo delle nuove costruzioni; ora invece sembra che la bolla stia finalmente scoppiando. Secondo la Banca Mondiale (Grafico 5) ​​la costruzione di nuove costruzioni è in netto calo.

Grafico 5: I nuovi progetti edilizi in Cina sono nettamente inferiori. Fonte: Banca Mondiale, Goldmoney Research

Ciò crea gravi guai per Pechino. In passato, quando l’economia incontrava un intoppo, la Cina stimolava con successo l’economia tramite il settore edile, ma ora gli acquirenti potrebbero non essere più attirati.

Il malessere economico si riflette anche nei prezzi delle azioni cinesi. Il CSI 300, il principale indice blue-chip cinese, è in netto calo rispetto ai massimi (Grafico 6). Anche se i prezzi azionari non sono necessariamente indicativi dell'economia sottostante, il lento crollo del mercato azionario cinese è in netto contrasto con gli indici dei mercati azionari occidentali, molti dei quali hanno raggiunto nuovi massimi nelle ultime settimane.

Grafico 6: Il mercato azionario cinese è sceso nettamente dai suoi massimi. Fonte: Goldmoney Research

Ciò è particolarmente significativo perché il governo cinese ha adottato diverse misure negli ultimi mesi, non solo per stimolare l’economia, ma soprattutto per sostenere i prezzi degli asset finanziari. Il fatto che finora abbia fallito indica che i problemi economici sottostanti sono decisamente gravi.

Anche se quanto sopra descritto suggerisce che la Cina non verrà in soccorso qualora l’Occidente ne avesse bisogno, finora i problemi economici della Cina non si sono ancora riversati sui Paesi sviluppati. I problemi del mercato immobiliare sono principalmente legati alla crescita, poiché il settore rappresenta gran parte del PIL cinese e dà lavoro a molte persone, ma non abbiamo ancora assistito a importanti correzioni dei prezzi. Nel mese di febbraio i prezzi degli immobili sono scesi per l'ottavo mese consecutivo, ma sono in calo solo dell’1,4% su base annua. Se i prezzi scendessero ulteriormente, prevediamo che anche i consumi cinesi inizieranno a soffrirne.

La ragione risiede nell’importanza del settore immobiliare per la ricchezza delle famiglie cinesi. Secondo i dati economici di Bloomberg, il 70% del patrimonio familiare cinese è vincolato al settore immobiliare. Ogni calo del 5% dei prezzi immobiliari spazzerà via circa $2.700 miliardi di ricchezza delle famiglie. Dato che il settore immobiliare è una parte essenziale della ricchezza delle famiglie cinesi, sarà molto difficile cercare di far ripartire l’economia stimolando i consumi interni in un contesto del genere. Le persone che sentono di diventare più povere non vogliono spendere più soldi in beni non d'investimento, non importa quanto il proprio governo voglia stimolarli a farlo.

Finora non abbiamo visto grandi effetti di ricaduta del crollo immobiliare sulla domanda cinese di beni esteri. Tuttavia in alcuni settori si registrano segnali chiari: l’area più visibile che manca agli acquirenti cinesi è il settore dei beni di lusso. Essi costituiscono una quota significativa nel mercato mondiale degli articoli di lusso: ad esempio, secondo Statista la Cina rappresentava una quota maggiore del segmento totale degli orologi di lusso rispetto ai successivi 3 Paesi messi insieme (Grafico 7).

Grafico 7: La Cina ha la maggiore domanda di orologi di lusso a livello mondiale. Fonte: Statista, Goldmoney Research

Secondo vari indici di prezzo, i prezzi degli orologi di lusso sul mercato secondario sono diminuiti del 25-35% rispetto al picco del 2022. Prove aneddotiche suggeriscono che anche la bolla degli articoli di moda di lusso, come le borse firmate, di cui alcune sono state vendute a un prezzo di vendita superiore a quello ufficiale sul mercato secondario, si sta sgonfiando. Inoltre anche i prezzi per i segmenti più costosi dei vini francesi sono in netto calo rispetto al loro picco (Grafico 8).

Grafico 8: I prezzi dei vini di lusso francesi hanno registrato una tendenza al ribasso. Fonte: Live-ex

Sebbene il mercato mondiale degli articoli di lusso non sia sufficientemente ampio da creare problemi economici nei soli Paesi produttori (e, cosa ancora più importante, la domanda di nuovi articoli supera ancora l’offerta, consentendo a questi marchi di continuare ad aumentare i prezzi e vendere quanto scelgono di produrre), è indicativo che i cinesi non spendano più i loro soldi come facevano in passato. Se e quando ciò si estenderà ad altri settori è ancora da vedere.

Un settore che continuiamo a monitorare è quello automobilistico. Le case automobilistiche cinesi producono quasi 30 milioni di unità all’anno, circa un terzo della produzione automobilistica mondiale. Se gli acquirenti cinesi iniziassero a rifuggire dall’acquisto di nuove auto, i produttori in un primo momento spingerebbero queste auto sul mercato mondiale, intensificando la pressione competitiva per i produttori occidentali, ma alla fine avrebbero bisogno di ridurre la produzione abbassando così la quota delle importazioni di materie prime.

Febbraio ha visto un significativo calo delle vendite rispetto all’anno precedente. Sebbene non sia insolito osservare un calo anno su anno nelle statistiche sulle vendite di automobili cinesi per un mese (Grafico 9), ciò diventerebbe più preoccupante se lo vedessimo ripetersi per diversi mesi.

Grafico 9: A febbraio le vendite di automobili cinesi sono diminuite rispetto all'anno precedente. Fonte: Centro cinese di tecnologia e ricerca automobilistica, Associazione cinese dei produttori automobilistici, Goldmoney Research

A nostro avviso i problemi economici della Cina sono lungi dall’essere risolti. Il settore immobiliare dovrà attraversare una fase di consolidamento pluriennale e temiamo che il calo dei prezzi osservato finora sia solo l’inizio. Si tratta di un punto di svolta per il resto del mondo e riteniamo che la maggior parte degli economisti occidentali non ne abbia compreso appieno le implicazioni. In passato l’impegno della Cina nei confronti della crescita ha fatto sì che, durante i periodi di rallentamento economico o di recessione nel mondo occidentale, la Cina rilanciasse la propria economia interna dando un certo sollievo alle industrie di esportazione nel resto del mondo. Di ciò hanno beneficiato soprattutto i Paesi esportatori di materie prime, ma anche gli esportatori di beni industriali hanno visto una forte crescita dei loro prodotti mentre le esportazioni verso i Paesi vicini sono diminuite.

Se entrassimo ora in una recessione mondiale, questo sostegno cinese con ogni probabilità non esisterebbe. La Cina dovrebbe trovare nuovi modi per sostenere la propria economia, anche se il settore edile non è più trainante. Anche se riuscissero a stimolare nuovamente l’economia interna, ciò non avrebbe lo stesso effetto sul resto del mondo come avvenuto in passato. Nel peggiore dei casi i problemi economici della Cina si intensificheranno, proprio nel momento in cui gli alti tassi d'interesse iniziano a incidere pesantemente sull’Europa. E infatti l'altra regione in grande difficoltà è proprio l'Europa.

Il PIL delle economie europee ha registrato una forte tendenza al ribasso per gran parte dello scorso anno. La Germania è in una leggera recessione ormai da un anno e altri Paesi, come Francia e Italia, hanno resistito meglio, ma ora sono anch’essi vicini alla recessione. L’Eurozona nel suo insieme mostra ancora una crescita del PIL (appena) positiva, ma ora è al livello più basso dall’uscita dai lockdown (Grafico 10).

Grafico 10: Il PIL delle economie europee ha registrato un forte trend al ribasso. Fonte: Goldmoney Research

Anche gli indici PMI hanno fatto registrare una tendenza al ribasso ed essi indicano le tendenze economiche. Sono compilati intervistando i manager nei settori manifatturiero e topografico, e viene chiesto se le cose stanno migliorando o peggiorando. Un numero superiore a 50 significa espansione rispetto al mese precedente, un numero inferiore significa contrazione e 50 significa nessun cambiamento. Gli indici PMI compositi europei (manifatturiero e servizi) indicano una contrazione sin dalla metà dello scorso anno. Sebbene alcuni Paesi abbiano fatto registrare una leggera ripresa rispetto ai minimi degli ultimi mesi, si trovano ancora in territorio di contrazione, anche se a un ritmo più lento (Grafico 11).

Grafico 11: Gli indici PMI compositi europei indicano una contrazione. Fonte: Goldmoney Research

Gli indici PMI manifatturieri mostrano un quadro pessimo. Lo scorso anno hanno fatto registrare una forte contrazione e riteniamo che ciò sia dovuto principalmente allo shock energetico. Da allora i prezzi europei dell’energia sono scesi drasticamente e sono vicini ai livelli storici, ciononostante gli indici PMI manifatturieri europei indicano ancora una contrazione (Grafico 12).

Grafico 12: Gli indici PMI manifatturieri europei mostrano una forte contrazione. Fonte: Goldmoney Research

È interessante notare che questo contesto economico debole non ha ancora comportato un aumento della disoccupazione. Tra le maggiori economie europee solo la disoccupazione tedesca è aumentata, ma è ancora ben al di sotto dei livelli successivi ai lockdown, e molto al di sotto dei livelli post-crisi finanziaria (Grafico 13).

Grafico 13: Il debole contesto economico in Europa non ha ancora portato a un aumento della disoccupazione. Fonte: Eurostat, Goldmoney Research

Questo non è insolito per l’Europa. A differenza degli Stati Uniti l’occupazione è fortemente in ritardo rispetto alla contrazione economica e questo è probabilmente il risultato di leggi sul lavoro molto più rigorose.

È importante sottolineare che l’Europa non sta uscendo da una recessione, mentre invece essa è appena iniziata. I prezzi europei del gas e dell’elettricità sono scesi dell’80-90% rispetto a un anno fa e sono vicini al range storico e a prima vista ciò potrebbe suggerire che la carenza energetica che ha portato agli attuali problemi economici sia ormai alle nostre spalle. Ma il motivo per cui i prezzi dell’energia sono più bassi è perché la domanda si è contratta tanto. Sebbene il settore industriale abbia svolto un lavoro straordinario nell’attuazione di misure di efficienza energetica, gran parte di questa distruzione della domanda energetica industriale è dovuta alla chiusura permanente della capacità produttiva poiché la produzione ad alta intensità energetica si è spostata altrove. Questo significa che la normalizzazione dei prezzi energetici europei non significa che anche l’economia europea tornerà alla normalità. Se così fosse, tornerebbe a far capolino anche la carenza di energia. A nostro avviso è più probabile che in futuro l’effetto della perdita di capacità produttiva avrà effetti di ricaduta sul resto dell’economia. Ci aspettiamo che la disoccupazione aumenti in futuro e ci aspettiamo anche un rallentamento, o addirittura una contrazione, in altri settori oltre a quello manifatturiero.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 9 febbraio 2024

Le meccaniche alla base di una crsi del credito

 

 

di Alasdair Macleod

Gli squilibri nel sistema mondiale del credito fiat sono enormi. Nel frattempo le speranze keynesiane e monetariste, che si possano abbassare i tassi d'interesse per mantenere le cose a galla, stanno accecando gli investitori rispetto ai rischi reali.

Quasi tutti credono erroneamente che tassi d'interesse più bassi siano in arrivo e rimarranno bassi. A parte il fatto che un lieve calo non è una profezia che si autoavvera, in pratica la riluttanza delle banche a concedere prestiti alle imprese manterrà i tassi elevati. E il reindirizzamento del credito bancario verso il governo degli Stati Uniti, che finanzia i suoi enormi deficit di bilancio attraverso l’emissione di titoli di stato, è altamente inflazionistico.

Ciò è destinato a portare nel tempo a tassi d'interesse significativamente più alti, cosa che minaccerà di far crollare l’intero sistema creditizio.

Potrebbe entrare in gioco anche il collateral doom-loop di Irving Fisher, per cui il calo dei valori delle garanzie porta a un’ulteriore liquidazione delle stesse. Gli scambi regolamentati a bassa capitalizzazione costituiranno un punto debole, richiedendo che l’intero registro DTC venga bloccato per mantenerli in funzione. Niente sarà più una certezza.

E coloro che pensano di potersi proteggere acquistando ETF sull’oro probabilmente scopriranno che i lingotti sottostanti vengono dirottati “nell’interesse dello stato”, lasciandoli con vacue promesse cartacee come unico conforto.

Non c’è da stupirsi se tutti pensino che i tassi d'interesse debbano scendere. Se non accade, il risultato è troppo orribile da contemplare.


La dinamica alla base del valore del dollaro

Nei mercati di oggi è difficile per i non addetti ai lavori comprenderne il funzionamento. Si è sempre trattato di credito bancario, sia a livello di banche centrali che di banche commerciali, e non deve mai essere confuso con il denaro reale, che fin dagli albori della storia è stato il metallo fisico. Oggi possiamo dire che si tratta quasi principalmente di oro, ma questo è il mezzo di scambio di ultima istanza, temuto dai singoli individui e, negli ultimi decenni, sempre più dalle banche centrali e dagli interessi asiatici.

Inoltre la differenza tra credito e denaro reale è ulteriormente minata dalla propaganda statale che possiamo far risalire alla sospensione del gold standard in America nel 1933, che de facto durava sin dal 1850 e de jure sin dal 1900. A ciò fece seguito il tentativo palese di espellere completamente l’oro dal sistema monetario ponendo fine all’accordo di Bretton Woods nel 1971. Gli eventi successivi hanno intensificato la disinformazione monetaria, portando a un sistema monetario fiat mondiale basato sul dollaro ma completamente svincolato dall’oro in termini di valore.

Per dare a tutti noi l’illusione della stabilità dei prezzi, l’accordo di Breton Woods era stato concepito per promuovere il dollaro come sostituto dell’oro per tutte le altre valute. Dopo la sua sospensione per preservare la credibilità del dollaro, il governo statunitense ha fatto sempre più ricorso alla manipolazione dei mercati. In primo luogo, all’inizio degli anni settanta tentò di vendere l’oro che fu prontamente acquistato e non riuscì a fermarne il continuo aumento del prezzo. Il tentativo successivo fu quello di creare una domanda artificiale di dollari per sostenerne il potere d’acquisto, misurato rispetto alle materie prime e ad altre valute. Ciò portò all’espansione dei mercati dei derivati, che deviarono la domanda speculativa dalle materie prime, sopprimendone così i prezzi al di sotto dei livelli che altrimenti sarebbero emersi. Facevano parte dell'inganno anche l’espansione del mercato dei lingotti a Londra, che creò oro sintetico, e la domanda di dollari non solo per regolare il commercio transfrontaliero e i prezzi delle materie prime, ma anche per sostituire l’oro nelle riserve delle banche centrali.

Nel corso dei cinquantadue anni trascorsi dalla sospensione di Bretton Woods, si sono accumulati enormi squilibri. Di seguito è riportata una tabella delle recenti stime dei saldi in dollari delle banche e delle banche ombra, onshore e offshore.

L’elemento offshore è considerevolmente maggiore di quello registrato nei numeri TIC del Tesoro statunitense per i titoli onshore, il che di per sé ci dice che l’interesse estero negli investimenti onshore in dollari e nei saldi bancari supera il PIL statunitense. L’elemento offshore si basa sull’analisi della Banca dei Regolamenti Internazionali dei depositi in dollari e delle obbligazioni a breve termine al di fuori del sistema finanziario statunitense, a cui possiamo far riferimento come mercato dell’eurodollaro. Si tratta principalmente di contratti a termine e swap su valuta in cui una gamba è in dollari. Al contrario gli asset in valuta estera dei residenti negli Stati Uniti sono notevolmente minori, ma questo accade perché i titoli a lungo termine sono detenuti prevalentemente sotto forma di ADR: essi sono denominati in dollari e le loro vendite da parte degli investitori statunitensi non danno luogo ad esposizione in valuta estera.

Ora che la bolla finanziaria gonfiata da tassi d'interesse a zero e negativi comincia a dare segni di cedimento, questi equilibri sono destinati a diminuire. Ai titoli onshore a lungo termine dobbiamo aggiungere i $10.700 miliardi stimati di obbligazioni a lungo termine in eurodollari, si tratta di $35.000 miliardi in investimenti a lungo termine di proprietà straniera in obbligazioni e azioni che sovrastano i mercati finanziari statunitensi, i cui valori sono a rischio a causa dei rendimenti obbligazionari più elevati. Includendo ulteriori depositi offshore a breve termine e posizioni in valuta estera in dollari, il totale di $127.700 miliardi è 175 volte le valute estere detenute dai residenti statunitensi.

L’importanza di questa sbilanciamento non potrà mai essere sottolineata abbastanza. Una crisi bancaria, un mercato ribassista nei titoli, sviluppi geopolitici o, più probabilmente, una sorta di combinazione dei tre potrebbero portare ad un rapido collasso dell’intero sistema creditizio. Il futuro di questa struttura dipende dal fatto che i tassi d'interesse e i rendimenti obbligazionari scendano rispetto ai livelli attuali, e che l’inflazione rimanga contenuta.

Questa è fantasia, non la realtà.


Le prospettive per i tassi d'interesse

Come se fossero consapevoli di questo pericolo, quasi tutte le analisi dei broker prevedono tassi d'interesse più bassi. Questa è una visione comune basata sulla teoria macroeconomica keynesiana e monetarista a fronte di una recessione economica ampiamente anticipata. I keynesiani sostengono che il calo della domanda dei consumatori porta a prezzi più bassi – un eccesso generalizzato – ignorando il fatto che la produzione diminuisce sempre per prima; i monetaristi collegano la contrazione dell’offerta di denaro ai futuri tassi d'inflazione dei prezzi. Queste teorie matematiche dominano il pensiero contemporaneo e in una certa misura possono agire come profezie a breve termine che si auto-avverano, almeno finché le contraddizioni economiche non le correggono, di solito violentemente.

Entrambe le discipline ignorano il fattore soggettività, che è inerente al valore di qualsiasi valuta fiat e dipende interamente dalla fiducia che hanno in esse coloro che le utilizzano. Non riescono a comprendere la realtà del mercato legata alla contrazione del credito delle banche commerciali, che anche in un gold standard costituisce la maggior parte del mezzo circolante. E commettono il semplice errore di non capire che in una recessione non è la domanda di credito a diminuire, portando a tassi d'interesse più bassi, ma i banchieri che percepiscono un aumento del rischio di prestito e limitano la disponibilità di credito, portando a tassi di prestito più alti.

La realtà è semplice: se le banche limitano l’espansione del credito, i mutuatari si troveranno a dover pagare di più per ottenerlo. E per far fronte all’aumento del rischio di prestito, le banche ampliano i propri margini facendo salire il meno possibile gli interessi pagati ai depositanti. Questo non descrive le attuali condizioni del credito bancario? Finché le cose stanno così, qualunque cosa gli investitori e i loro broker desiderino, i tassi d'interesse rimarranno ostinatamente alti.

Tuttavia la situazione relativa al credito bancario richiede un esame più approfondito, in parte perché i cambiamenti normativi hanno distorto le statistiche sull’offerta di denaro.

Dobbiamo iniziare con una semplice definizione di offerta di denaro: è costituita da credito sotto forma di passività creditizie delle banche centrali e commerciali verso individui e imprese. Ma di recente la FED ha preso credito da fondi monetari che altrimenti sarebbero registrati come depositi bancari in circolazione pubblica. Ciò è avvenuto perché, secondo le regole di Basilea 3 sul finanziamento stabile, i depositi di grandi dimensioni devono affrontare un haircut del 50% allo scopo di finanziare gli attivi di bilancio, rispetto a solo il 5% per i piccoli depositi assicurati. E le banche commerciali non sono comunque disposte a tagliare i margini sui tassi d'interesse per competere per questi depositi.

Di conseguenza la FED ha esteso la possibilità di accedere al mercato pronti contro termine inverso ai fondi monetari: ha usato i suoi titoli del Tesoro USA e le garanzie collaterali delle agenzie governative in cambio dei depositi di fondi monetari. Ciò ha avuto l’effetto iniziale di ridurre la crescita apparente dell’offerta di denaro al di sotto di quanto sarebbe stato altrimenti, e poi di accelerarne il declino quando i fondi monetari hanno ridotto le loro posizioni di riacquisto a favore dei titoli del Tesoro USA. Per cogliere la vera situazione, dobbiamo considerare i depositi bancari e i saldi pronti contro termine in modo olistico: la somma dei depositi bancari e dei pronti contro termine è illustrata nel grafico seguente.

Tra il 2020 e la fine del 2022 l’aumento dei pronti contro termine è servito a nascondere un tasso di crescita molto più elevato del credito bancario. Nella convinzione che la crisi fosse temporanea, e avendo comunque poche opzioni, le banche concessero enormi quantità di credito, maggiori di quelle indicate dalle stesse statistiche sui depositi bancari.

Gran parte del successivo calo era dovuto al calo dei pronti contro termine, che sono scesi da $2.240 miliardi nel dicembre 2022 a $681 miliardi di recente, mentre M2 è calato di soli $340 miliardi nello stesso periodo. Da allora i fondi vincolati in pronti contro termine sono migrati verso il mercato dei titoli del Tesoro USA, attratti dalle scadenze a 1 mese con un rendimento del 5,4%. In sostanza sono scomparsi nelle finanze del governo federale, senza dubbio ulteriormente rafforzati dalle banche che hanno convertito i propri portafogli di prestiti e obbligazioni in titoli del Tesoro USA a breve scadenza in fuga dal rischio di prestito. Inoltre i fondi monetari totali sono aumentati di circa $1.400 miliardi sin dallo scorso marzo fino a quasi $6.000 miliardi, tutti finiti nei titoli del Tesoro USA.

La misura in cui l'amministrazione Biden sta risucchiando credito dal sistema finanziario statunitense è davvero notevole. Pur indicando che le sue finanze sono in crisi, mostra che il livello di avversione al rischio da parte del sistema bancario nei confronti del settore privato è notevolmente maggiore di quanto generalmente previsto.

Sebbene la carenza di credito per il settore privato sia acuta, una combinazione di flussi dai fondi monetari e di riduzione del rischio nei bilanci delle banche ha consentito al governo degli Stati Uniti di prendere in prestito $2.600 miliardi l'anno scorso. Questi fondi ritornano nell’economia attraverso la spesa pubblica. In altre parole, lungi dall’essere deflazionistico come suggeriscono i monetaristi, essendo tolto dal sistema bancario commerciale e reindirizzato nelle mani del governo federale, l’apparente contrazione dei depositi bancari e dei pronti contro termine è in realtà un utilizzo del credito in modo più inflazionistico.

Ciò spiega anche perché il PIL nominale non sta diminuendo nella misura indicata da rapporti aneddotici.

Queste sono precisamente le dinamiche creditizie che alimentarono le condizioni di stagflazione negli anni ’70. A quel tempo l’establishment macroeconomico non riusciva a trovare una spiegazione e oggi è altrettanto all’oscuro. Pertanto lungi da una prospettiva di tassi d'interesse e rendimenti obbligazionari stabili e più bassi, si prospetta il contrario. E con il peggioramento delle prospettive economiche, si prospettano condizioni di credito ancora più restrittive per imprese e consumatori e una spesa pubblica maggiore. Queste condizioni di stagflazione porteranno sicuramente a tassi d'interesse e rendimenti obbligazionari più elevati, al fallimento di società zombi, a rischi sistemici che diventeranno evidenti nell’intero sistema bancario e a un grave mercato ribassista anche per le azioni.

Queste condizioni diventeranno sicuramente sempre più evidenti nei prossimi mesi. Meno ovvio è il ruolo delle garanzie senza le quali l’intera struttura creditizia crolla. Vale la pena dedicare un po’ di tempo a considerare la minaccia derivante da significative cadute nel valore degli asset finanziari.


Il ruolo delle garanzie nella crisi degli LDI

Ciò che generalmente i non addetti ai lavori non comprendono è che gli investimenti con valori gonfiati sono alla base di molte posizioni in derivati over-the-counter fungendo da garanzia. Un problema sorge inevitabilmente quando il valore di tali garanzie diminuisce, innescando richieste di garanzie aggiuntive. Il sistema bancario statunitense si trova attualmente ad affrontare un incidente di percorso nel settore immobiliare, in cui il valore dell'equity viene spazzato via dalle attuali diminuzioni di valore e le banche si ritrovano per le mani garanzie invendibili. Il problema è ormai noto, ma non finisce qui.

Il problema delle garanzie ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica nel Regno Unito quando l’aumento dei rendimenti dei titoli di stato inglesi ha minacciato i cosiddetti LDI (liability driven investment), un esempio che possiamo utilizzare per migliorare la nostra comprensione del ruolo delle garanzie nei contratti derivati e dei pericoli presentati da un collasso del sistema delle garanzie stesse.

Gli LDI venivano utilizzati dai fondi pensione britannici per aumentare i propri rendimenti. I sistemi a benefici definiti, dovendosi confrontare con costosi oneri finali nei confronti dei loro beneficiari, non sono stati in grado di far fronte a essi quando le banche centrali hanno azzerato i tassi d'interesse e, attraverso il QE, i rendimenti obbligazionari sono stati ridotti a livelli minimi. L’unica soluzione per questi schemi pensionistici era aumentare i loro rendimenti attraverso la leva finanziaria.

In genere ciò avveniva attraverso uno schema LDI fuori bilancio, permettendo a un fondo pensione di proteggersi dal calo dei tassi d'interesse e aumentandone le passività future attraverso il calcolo del valore attuale netto. Uno schema LDI forniva leva finanziaria, in modo che il reddito su un titolo di stato inglese venisse moltiplicato fino a cinque o sei volte, consentendo a un fondo pensione di dimostrare una copertura attuariale per le sue passività future.

Un fondo pensione che investe in uno schema LDI stipula di fatto uno swap sui tassi d'interesse a leva con il fornitore dell'LDI. Un tasso d'interesse in aumento conferisce un valore negativo allo swap e il flusso di reddito fisso diventa inferiore al rendimento offerto sul mercato. Ciò richiede che il fondo pensione fornisca ulteriori garanzie al fornitore dell'LDI e la leva finanziaria moltiplica la quantità di garanzie richieste. Ma i fondi pensione tendono a essere completamente investiti e, non avendo liquidità a portata di mano, sono esposti a un aumento radicale dei rendimenti obbligazionari.

La crisi è stata innescata quando i mercati sono stati spaventati dalla proposta di budget di Liz Truss nel settembre 2022. Durante il suo mandato i rendimenti del decennale inglese salirono rapidamente dal 3,88% al 4,5% e per quelli con scadenza a 30 anni dal 2,7% al 4,8%. In quest'ultimo caso il suo valore è crollato del 13% in pochi giorni.

Ciò ha costretto i fondi pensione a liquidare gli attivi, compresi i loro titoli di stato inglesi, motivo per cui la Banca d’Inghilterra è dovuta intervenire per sostenere il mercato obbligazionario. E solo quando è diventato evidente che le autorità stavano acquistando titoli di stato per stabilizzarne i prezzi, il panico tra i gestori dei fondi pensione e i fornitori di LDI si è calmato.

Successivamente i rendimenti dei Gilt sono saliti a livelli ancora più alti, con il rendimento del decennale che ha toccato il 4,75% lo scorso agosto e il rendimento di quello a 30 anni al 5,07%. Ovviamente questo episodio ha messo in guardia i gestori dei fondi pensione e hanno messo in atto tentativi per mettersi al riparo; lo stesso non si può dire per l’uso più ampio delle garanzie sui mercati internazionali, per i quali i decennali americani rappresentano il parametro “privo di rischio”.


Il problema delle garanzie sta diventando globale

I contratti LDI sono essenzialmente swap sui tassi d'interesse: scambiano un tasso variabile (nel nostro caso i rendimenti volatili dei titoli di stato inglesi) con un tasso fisso, solitamente potenziato attraverso la leva finanziaria. Queste caratteristiche sono simili a quelle del mercato globale degli swap sui tassi d'interesse, che è enorme. Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, a metà del 2023 ammontava a un valore nominale di $465.900 miliardi, di cui $167.800 miliardi in dollari e $129.300 miliardi in euro.

Fino al recente calo dei rendimenti obbligazionari, aveva il potenziale per innescare una grave crisi che probabilmente avrebbe richiesto molto più dell’intervento delle banche centrali, come quello messo in atto dalla Banca d’Inghilterra nel 2022. Si stava rapidamente trasformando in un circolo vizioso, simile a quello messo in luce dalla crisi LDI del Regno Unito, ma che avrebbe coinvolto il dollaro, l’euro e tutte le altre principali valute. Le banche statunitensi si stavano dirigendo verso migliaia di miliardi in perdite mark to market sulle loro posizioni obbligazionarie, e poiché i costi di finanziamento continuavano ad aumentare, anche il danno ai loro conti profitti/perdite stava aumentando.

Forse questo ha convinto la FED ad andarci piano con la sua linea di politica riguardo i tassi d'interesse, dato che il FOMC ha segnalato che la sua lotta contro l’inflazione è finita ed è iniziata quella per preservare i valori delle garanzie. Ma come notato sopra, la ridistribuzione di massicce quantità di fondi monetari e credito bancario dal settore privato a quello pubblico è altamente inflazionistica e indebolisce il potere d’acquisto di una valuta. I tassi d'interesse dovranno salire nuovamente, altrimenti il dollaro si indebolirà, o al limite accadranno entrambe le cose. Ma tassi d'interesse più elevati mineranno il valore dei titoli e porteranno a una nuova crisi delle garanzie e sistemica nelle banche. E con gli Stati Uniti e altre economie che si trovano ad affrontare una recessione, l’equilibrio tra la lotta all’inflazione e il mantenimento del valore degli asset non potrà durare a lungo. Sebbene i tassi d'interesse e i rendimenti obbligazionari pare abbiano arrestato la loro salita, allentando la pressione sulle valute e sui valori degli asset finanziari, ciò si rivelerà temporaneo.

Nella loro pianificazione a lungo termine le autorità hanno previsto una possibile crisi delle garanzie di questo tipo e hanno intrapreso azioni anticipate per affrontarla nel caso in cui diventasse realtà? La risposta sembra essere affermativa. Tale domanda, ma forse non la motivazione, è affrontata in un recente libro di David Rogers Webb intitolato The Great Taking.


La ridistribuzione dei titoli in una crisi sistemica

L’analisi di Webb si concentra sulla dematerializzazione dei titoli dalla forma di certificato alla scrittura contabile sul Depository Trust and Clearing Corporation (precursore di Clearstream ed Euroclear in Europa). Si tratta di depositari centrali di titoli, strettamente collegati alle controparti centrali di compensazione. Senza che la popolazione degli investitori sia a conoscenza delle implicazioni, la proprietà certificata dei titoli è stata sostituita da un “diritto al titolo”.

Il Depository Trust and Clearing Corporation dispone inoltre di una struttura di compensazione di quelle transazioni alla cui base ci sono finanziamenti tramite titoli. Dal suo sito web leggiamo che:

Il servizio di compensazione SFT [Securities Financing Transaction] introduce la compensazione centrale per le transazioni alla cui base c'è un finanziamento tramite titoli azionari, inclusi prestiti e pronti contro termine, per:

• Supportare la compensazione centralizzata delle SFT azionarie dei clienti istituzionali intermediate dai membri sponsor.

• Supportare la compensazione centralizzata delle SFT azionarie tra i membri NSCC.

• Massimizzare l’efficienza del capitale e mitigare i rischi sistemici introducendo più adesioni e opportunità di transazioni autorizzate per i partecipanti al mercato.

Ciò conferma che il bacino di garanzie è messo a disposizione dell’intero sistema. Generalmente presupponiamo che questa disponibilità richieda l’accordo di coloro che hanno un diritto sugli asset finanziari, ma non è chiaro se sia così. Inoltre la stragrande maggioranza dei titoli è gestita e amministrata da entità regolamentate su cui le autorità possono fare affidamento in caso di crisi. La posizione non viene certamente resa chiara alla popolazione degli investitori.

Da quando è stato introdotto l’Uniform Commercial Code negli Stati Uniti, che ha adottato questi cambiamenti, altre giurisdizioni come l’Unione Europea e il Regno Unito hanno seguito l’esempio. Oltre all’erosione dei diritti dei proprietari di titoli, l’obiettivo sembra essere quello di garantire alle istituzioni e agli hedge fund il più ampio accesso agli asset finanziari a fini collaterali. E in caso di perdite, ad esempio in caso di fallimento sistemico, invece di farsi carico delle perdite il depositario centrale potrebbe scaricarle su di voi.

Indubbiamente gli autori dell’Uniform Commercial Code avevano in mente la protezione delle borse a bassa capitalizzazione nei mercati regolamentati, ma in una crisi finanziaria che porta al fallimento di numerose controparti, essi non possono estendere questa protezione. La soluzione sembra essere quella di togliere loro questo rischio e trasferirlo ai depositari centrali di titoli, dando loro il potere di utilizzare il bacino di titoli sotto il loro controllo per garantire che le consegne possano continuare in tutte le circostanze. Ciò non solo facilita il prestito di titoli, ma trasferisce il rischio sistemico dagli scambi regolamentati ai bacini di diritti sui titoli.

Sembra che la corruzione dei diritti dei detentori di titoli non si fermi qui, poiché può applicarsi anche la clausola Safe Harbor contenuta nella legislazione statunitense sui fallimenti. Ciò è possibile grazie al rapporto tra depositari centrali di titoli, come il Depository Trust and Clearing Corporation, e controparti centrali di compensazione, come una banca d'importanza sistemica.

In un caso da manuale a New York tra i creditori di Lehman Brothers e JPMorgan Chase, che agiva come agente di compensazione della Lehman, i creditori cercarono di recuperare $8,6 miliardi da JPMorgan Chase. Questo era l'importo che, nei giorni precedenti al fallimento della Lehman, fu sequestrato dalla banca nonostante non fosse una garanzia. Prima del sequestro si trattava di un obbligo nei confronti della Lehman sotto forma di depositi e titoli senza pegno. Nelle 92 pagine della sentenza, infatti, vi erano molti riferimenti allo status giuridico di tali obblighi. Tecnicamente JPMorgan non ha adempiuto ai propri obblighi nei confronti dei creditori della Lehman.

Chiaramente senza le disposizioni sulla clausola Safe Harbor previste dalla legge fallimentare statunitense, il sequestro di questi beni sarebbe stato illegale. Questa è la situazione dimostrata dalla legge britannica, quando nel giugno 2010 l'ufficio londinese di JPMorgan è stato multato di £33,32 milioni dalla Financial Services Authority per non aver garantito che il denaro dei clienti, in altre parole i fondi depositati, non fosse adeguatamente separato dalle passività della banca.

Impariamo due cose da queste diverse sentenze. La prima è che, seguendo il precedente del tribunale americano di New York, JPMorgan ha il potere d'ignorare la distinzione tra asset detenuti come garanzia e asset che la banca ha l'obbligo di liberare dal depositante. E in secondo luogo, questa banca statunitense, che risulta essere la più grande e il canale principale della FED nel settore bancario commerciale, non è riuscita a distinguere tra tale relazione nella legge statunitense e i suoi obblighi legali e normativi in altre giurisdizioni, come il Regno Unito.

Tutto questo è fondamentale quando si tratta della custodia del denaro reale, ovvero l’oro, e potrebbe risucchiare in questo pantano anche il più grande ETF sul metallo giallo (GLD).


Il rapporto di JPMorgan con l’oro

Innanzitutto vale la pena di ricordare che gli organismi di regolamentazione tendono a concedere alle grandi banche il beneficio del dubbio, esaminando attentamente i loro asset di conformità solo quando queste non possono più essere ignorati. Di conseguenza è noto che le grandi banche agiscono come se le normative non esistessero. L'esempio di cui sopra, in cui era assolutamente chiaro che JPMorgan Chase violava le norme relative alla custodia del denaro dei clienti a Londra, potrebbe essere stato un'eccezione, ma abbiamo il diritto di presumere che alcuni degli avvocati e dei responsabili della conformità fossero impiegati da JPMorgan Chase e che, quindi, avessero la facoltà di muoversi tra le pieghe del sistema.

Questa mancanza di rispetto per la legge è stata dimostrata in un caso importante nel mercato dell'oro, quando il capo del trading desk associato ai metalli preziosi di JPMorgan Chase, e membro del consiglio della London Bullion Market Association, venne dichiarato colpevole di tentata manipolazione dei prezzi, frode sulle materie prime, frode telematica e falsificazione dei prezzi dei futures su oro, argento, platino e palladio. E non si tratta di un caso isolato: andava avanti da otto anni con migliaia di operazioni commerciali illecite. E anche un altro suo collega a capo del Gold Desk a New York venne giudicato colpevole. Ciò accadde nel luglio 2019, poi alla fine del 2020 la banca stessa si dichiarò colpevole di commercio illegale sui mercati dei futures sui metalli preziosi e fu pesantemente multata.

Con questo background alle sue spalle, JPMorgan Chase Bank è stata di recente nominata depositaria congiunta di SPDR Gold Shares (GLD) insieme a HSBC. Questo ETF è di gran lunga il più grande esistente e il suo sponsor è una filiale del World Gold Council. È un mistero il motivo per cui il WGC abbia sancito la nomina di una banca i cui senior dealer in metalli preziosi sono stati giudicati colpevoli di aver manipolato i prezzi dell'oro e incarcerati. Inoltre HSBC conserva tutti i lingotti GLD nei suoi caveau di Londra, in modo che siano soggetti alla legge inglese sulla proprietà e sulla regolamentazione dei titoli.

Si dice che JPMorgan Chase stia considerando il trasferimento dei lingotti GLD nei suoi depositi a New York. A quanto pare il suo caveau è collegato sottoterra a quello della FED, con quest'ultima sul lato nord di Liberty Street e la Chase Bank dall'altra parte della strada. È in questo contesto che torniamo all'analisi di David Webb delle controparti centrali, la proprietà di titoli che viene sostituita con un “diritto sulla garanzia” e il libero utilizzo della garanzia depositata all'insaputa degli aventi diritto. E secondo la sentenza del tribunale di New York che estende di fatto questa struttura a JPMorgan Chase come controparte centrale di compensazione, potremmo mettere insieme un quadro che le consentirà di utilizzare i lingotti di GLD come garanzia, o forse di affittarli o scambiarli, o in alternativa disporne in cambio di un credito a livello contabile.

I nostri sospetti aumentano se consideriamo le implicazioni della vicinanza del caveau di JPMorgan Chase a quello della FED e le prove circostanziali di un tunnel di collegamento tra i due. Conservato nel caveau della banca centrale americana c’è l’oro per conto della FED di New York, destinato alle banche centrali estere. E quando ricordiamo le difficoltà incontrate dalla Germania nel convincere la FED di New York a restituire le sue misere 300 tonnellate, senza dubbio i nostri sospetti diventano ancora più fondati.

Indubbiamente il fiduciario del GLD, la Bank of New York Mellon e il World Gold Council, hanno diverse domande a cui rispondere sul motivo per cui JPMorgan Chase è stata nominata custode. Eccone alcune:

• Il fiduciario del World Gold Council ha subito pressioni da parte di qualche organizzazione governativa, o autorità monetaria, affinché nominasse JPMorgan Chase custode dell'SPDR Trust?

• Il fiduciario e il Consiglio non erano a conoscenza del fatto che JPMorgan Chase ha una storia di manipolazione del mercato sintetico dell'oro e che la banca si era dichiarata colpevole? Secondo l’Office of Public Affairs del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti: “Nel settembre 2020 JPMorgan ha ammesso di aver commesso una frode telematica in relazione a: (1) commercio illegale nei mercati dei contratti futures sui metalli preziosi; (2) negoziazione illegale nei mercati dei contratti futures del Tesoro statunitense e nel mercato secondario delle obbligazioni del Tesoro statunitense. JPMorgan ha stipulato un accordo di prosecuzione differita di tre anni attraverso il quale ha pagato più di $920 milioni a titolo di sanzione pecuniaria penale e risarcimento delle vittime, con risoluzioni parallele della Commodity Futures Trading Commission (CFTC) e della Securities Exchange Commission annunciate lo stesso giorno”.

• Il fiduciario e il Consiglio non erano a conoscenza del fatto che due dei dipendenti senior di JPMorgan Chase erano sotto processo quando quest'ultima è stata nominato custode, uno dei quali faceva parte del consiglio di amministrazione della LBMA e gestiva il dipartimento metalli preziosi di JPMorgan, mentre l'altro era direttore esecutivo del dipartimento metalli preziosi a New York? Non erano neanche a conoscenza che entrambi sono stati successivamente incarcerati e multati per manipolazione del mercato in agosto?

Quasi certamente il fiduciario e il management del World Gold Council non saranno chiamati a rispondere a queste domande, ma la posizione giuridica dei beni sottostanti degli azionisti GLD sembra essere compromessa stando a questi sviluppi. Finora solo 1.824 lingotti LBMA da 400 once su un totale di 34.818 lingotti GLD sono in possesso presso JPMorgan (15 gennaio), ma se il totale inizierà ad aumentare materialmente sarà interessante osservare la misura in cui verranno aggiunti alla custodia di JPMorgan e la misura in cui tale accumulo finirà nel suo caveau a New York.

Inoltre i partecipanti autorizzati possono prendere in prestito le loro azioni da un depositario centralizzato di titoli e convertirle in oro fisico. Coprendo la loro posizione nei futures o nei mercati a termine di Londra, non hanno alcuna pressione per restituire l’oro e chiudere il prestito. Data questa struttura, e lungi dall’essere un investimento sicuro in lingotti d’oro, il GLD viene già utilizzato come fonte di liquidità per le bullion bank.


Come si svilupperà la fine dei giochi

Una crisi del credito è incombente: per il momento rinviata dalle speranze diffuse che i tassi d'interesse scendano quest’anno, consentendo ai rendimenti obbligazionari di stabilizzarsi. Nel momento in cui ci si renderà conto che non vi sarà alcun ulteriore ribasso nei tassi d'interesse e nei rendimenti obbligazionari, ne deriverà una crisi nei mercati azionari.

Il grafico seguente illustra la disparità che si è accumulata tra i rendimenti obbligazionari e quelli azionari. Il rapporto è già molto teso ed è improbabile che sopravviva alla prospettiva che i rendimenti dei titoli a lungo termine non scendano.

L'uscita dalle azioni potrebbe iniziare con la vendita all’estero dei circa $14.500 miliardi investiti in azioni statunitensi. Ed è improbabile che si tratti solo di un brutto mercato ribassista a causa del ruolo che le garanzie finanziarie svolgono nel sistema bancario e della massiccia struttura dei derivati.

Abbiamo avuto un assaggio di ciò che potrebbe accadere quando i programmi d'investimento LDI nel Regno Unito sono stati indeboliti dall’aumento dei rendimenti, costringendo i fondi pensione a liquidare le loro partecipazioni in Gilt. Si tratta di un problema globale, che quasi certamente tornerà a perseguitarci quando i tassi d'interesse ricominceranno a salire.

Il modo in cui le autorità affronteranno la situazione richiederà il massimo livello d'immaginazione mai raggiunto finora. In nome della protezione di tutti noi, una possibilità è quella di isolare le borse regolamentate e i loro utenti istituzionali da una crisi sistemica dando loro accesso a garanzie aggiuntive, in definitiva il possesso degli investitori ordinari – cioè voi e io. E sembra non fermarsi qui. Chiunque acquisti ETF sull’oro, in particolare GLD, potrebbe pensare di avere un’assicurazione contro una crisi del credito. Non è così. Sembra che, attraverso JPMorgan e la vicinanza del suo caveau di New York a quello della FED di New York e la nomina a sorpresa della prima come secondo custode, le autorità statunitensi avranno accesso ai lingotti della GLD detenuti per conto dei suoi azionisti.

E, infine, fu Irving Fisher che negli anni ’30 sottolineò che il calo dei valori delle garanzie porta alla liquidazione del credito e a ulteriori cali dei valori degli asset, in quello che diventa un circolo vizioso indistruttibile. Questo è il caos che potremmo dover affrontare, aggravato dall’elevata leva finanziaria, dai prestiti improduttivi agli stati e alle aziende zombi, dall’eccessivo debito al consumo e da una montagna di proprietà estera di dollari e asset denominati in dollari. Eppure siamo diventati collettivamente così illusi da non comprendere l’importanza di possedere, a livello fisico, la riserva di valore per eccellenza e senza rischio di controparte: l’oro.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 29 dicembre 2023

Non farsi sfuggire di mano gli eventi durante una crisi

 

 

di Alasdair Macleod

Questo saggio si propone di sottolineare come l’attuale calo dei rendimenti obbligazionari sia parte di una continua manipolazione dei mercati a opera delle banche centrali in modo da ripristinare la fiducia nelle prospettive economiche mondiali.

Esiste una lunga storia d'interventi statali sui mercati: nel diciannovesimo secolo ciò avvenne attraverso norme legali, la più notevole delle quali fu il Bank Charter Act del 1844, che poi dovette essere sospeso nel 1847, 1857 e 1866.

Dall’inizio degli anni ’20 l’enfasi sull’interventismo cambiò con Benjamin Strong, il primo presidente della FED, il quale iniziò a espandere deliberatamente il credito della banca centrale per stimolare l’economia. Questo fatto, unito alla fase di espansione del ciclo creditizio delle banche commerciali, portò ai ruggenti Anni venti, al boom del mercato azionario e al suo crollo.

I presidenti Hoover e Roosevelt aggravarono gli errori con interventi economici che prolungarono la depressione degli anni ’30. Fu l’inizio della manipolazione economica e monetaria da parte dello stato, la quale indossò una nuova veste con il denaro totalmente scoperto negli anni ’70.

Mentre creano problemi attraverso i loro interventi, gli stati hanno perfezionato l’arte di gestire i mercati per ripristinare la fiducia e ciò è stato dimostrato in seguito al fallimento della Lehman.

Ma se l’intervento pubblico è alla base dell’attuale calo dei rendimenti obbligazionari e delle aspettative sui tassi d'interesse, si tratta solo di una soluzione temporanea alle trappole del debito pubblico nel G7, alla stretta sul credito bancario e al deterioramento delle prospettive economiche. Sono problemi rinviati, non risolti.


Introduzione

Sebbene le autorità siano motivate ​​contro il libero mercato e non riescano a smettere d'interferire nei nostri affari quotidiani quando infine arriva la crisi da loro stessi creata, si dimostrano abili nel risolverla. Il fatto che il denaro scoperto sia sopravvissuto a un ciclo ripetuto di crisi a partire dai primi anni ’70 ne è una prova.

All’insaputa della maggior parte di noi, esse lavorano dietro le quinte per neutralizzare le minacce allo status quo e questo era lo scopo originale dell’Exchange Stabilization Fund degli Stati Uniti, fondato come parte del Gold Stabilization Act del 1934. Il sito web del Tesoro degli Stati Uniti afferma quanto segue:

L'ESF può essere utilizzato per acquistare o vendere valute estere, per detenere titoli statunitensi, asset in valuta estera e in Diritti Speciali di Prelievo (DSP), e per fornire finanziamenti ai governi esteri. Tutte le operazioni dell'ESF richiedono l'autorizzazione esplicita del Segretario del Tesoro.

Il Segretario è responsabile della formulazione e dell'attuazione delle norme statunitensi, della politica monetaria e finanziaria internazionale, compresa la linea di politica d'intervento sui mercati dei cambi. L'ESF aiuta il Segretario a svolgere questi compiti. Per legge, il Segretario ha una notevole discrezionalità nell'uso delle risorse dell'ESF.

La Banca d’Inghilterra gestisce il conto di perequazione degli scambi del Regno Unito con obiettivi simili, ma l'ESF americano non è l’unico mezzo a sua disposizione per orientare i mercati. È ampiamente riconosciuto che la FED utilizza JPMorgan Chase come canale principale nel sistema bancario statunitense e si sospetta (la riservatezza bancaria nasconde opportunamente la verità) che JPM e altre grandi banche facciano operazioni di mercato per conto del Tesoro statunitense, dell'ESF e della FED stessa.

Un altro ambito d'intervento che orienta le nostre aspettative è quello statistico. In futuro, economisti e commentatori potrebbero guardare indietro con incredulità al modo in cui i mercati vengono mossi dalle statistiche governative come se fossero la verità, quando invece dimostrano tutto fuorché la verità. E la manipolazione più spudorata riguarda i dati sull’inflazione al consumo.

Nel Regno Unito l’indice collegato ai titoli sovrani usa l’indice dei prezzi al dettaglio come base per la compensazione dell’inflazione, il quale è risultato più elevato rispetto ad altri indici, come l’IPC. Il governo inglese è riuscito a rimuovere l'IPD da molte altre forme di compensazione dell’inflazione, ma finora i passi per modificare la base di compensazione per i titoli sovrani sono un lavoro in corso, cambiando l’IPD in IPCA dal 2030, che, secondo le stime dell’Ufficio per la gestione del debito, in futuro potrebbe far risparmiare al governo miliardi di sterline.

Negli Stati Uniti armeggiare con le stime dell’inflazione ha creato un’attività alternativa per John Williams su Shadowstats.com, che calcola l’inflazione sulla base del 1980 prima che gli statistici governativi iniziassero ad armeggiare per ridurre il costo della compensazione dell’inflazione. Il grafico qui sotto proviene dal sito web di Williams e dice tutto.

Utilizzando la metodologia del 1980, Williams stima che i prezzi al consumo stiano aumentando a un tasso di circa il 12%, rispetto alle stime del governo che invece registrano dati inferiori al 5%. Ciò che dà agli statistici governativi flessibilità nel calcolo è che i cambiamenti nel livello generale dei prezzi sono un concetto non misurabile, consentendo loro di presentare qualsiasi ipotesi vogliano. Eppure, nonostante questa frode, quasi tutti nel settore finanziario accettano il mito dell’inflazione misurata dal governo come vangelo, soffocando voci dissenzienti come quella di Williams. Un altro esempio sono le statistiche sulla disoccupazione, che Williams attualmente stima essere pari a circa il 25%, compresi i lavoratori scoraggiati a lungo termine “che sono stati tagliati fuori dalle statistiche ufficiali nel 1994”.

Sorpresa, sorpresa: ogni cambiamento che i governi apportano alle statistiche riduce i loro costi, o li abbellisce, o entrambe le cose. Il risultato è un’irrealtà, che a un certo punto viene riportata coi piedi a terra. Ma forse non dovremmo preoccuparci di questo, data l’impeccabile esperienza delle autorità nel salvarci dalle loro follie.

L'intervento continuo e la manipolazione dei mercati sono vivi e vegeti ancora oggi. I tassi d'interesse e i rendimenti obbligazionari che riflettono la perdita reale di potere d’acquisto sarebbero considerevolmente più alti se la verità dietro di essi guidasse i valori degli asset finanziari. Invece il rendimento del decennale statunitense è sceso dal 5% al ​​4,37% in un mese e l’indice del dollaro è sceso di circa il 3% per alleviare la pressione sulle obbligazioni estere e sui mercati azionari, facendo sfogare un crescente senso di crisi.

Il grafico seguente mostra perché questa mossa era necessaria.

Il grafico mette a confronto la correlazione negativa tra l’indice S&P 500 e il rendimento delle obbligazioni a lungo termine. La teoria alla base di ciò è che i mercati azionari riferiscono i loro valori in modo inverso ai rendimenti obbligazionari: in altre parole, rendimenti obbligazionari in aumento indeboliscono i mercati azionari, mentre gli stessi rendimenti, ma in calo, portano a valori azionari in aumento. Si tratta di uno dei pilastri a sostegno delle linee di politica ufficiali sui tassi d'interesse, sulla base del fatto che mercati azionari sani incoraggiano la fiducia economica generale. Alan Greenspan, quando era presidente, lo affermò chiaramente.

Per illustrare il punto, il grafico mostra la disparità di valutazione tra i rendimenti obbligazionari in aumento e l’indice S&P 500, e, a parte quando i primi sono stati abbassati fino all’1,2% durante la crisi sanitaria, stiamo parlando della più grande disparità di valutazione dei tempi moderni – forse mai vista prima. Se i rendimenti dei titoli del Tesoro non fossero scesi, il mercato azionario avrebbe dovuto affrontare un bagno di sangue, riportandolo potenzialmente ai livelli post-crisi Lehman, con l’indice S&P in calo verso quota 1000.


Fare i conti con il sistema bancario

La causa principale degli errori economici dell’interventismo moderno è stata la depressione degli anni ’30; la causa principale della depressione furono gli errori nella gestione del ciclo del credito bancario, che ancora oggi porta a crisi finanziarie periodiche.

Il boom che alimentò la crisi degli anni ’30 fu la prima grande incursione nella manipolazione monetaria da parte della FED sotto la presidenza di Benjamin Strong. Quest'ultimo era un sostenitore dello stimolo del credito e il suo contributo fece leva ulteriormente sugli effetti dell’espansione del credito da parte delle banche commerciali; insieme alimentarono i ruggenti anni Venti e con essi la speculazione sui mercati azionari. La bolla scoppiò facendo crollare Wall Street e in seguito circa 9.000 banche fallirono.

Sfortunatamente per l’America, il successore del presidente Coolidge (che, per inciso, sembrava beatamente inconsapevole di ciò che stava accadendo alla FED – ma del resto Silent Cal non era un uomo d’affari) fu Herbert Hoover, di cui Coolidge disse: “Quell’uomo non mi ha dato altro che consigli, e tutti pessimi”. Il successore di Hoover, Roosevelt, ficcanasò in ogni cosa cercando di migliorarla, riuscendo solo a peggiorarle. Inventò il New Deal, che sebbene catturò l'immaginazione del pubblico, non fece altro che prolungare la depressione.

Stimolò l’immaginazione degli economisti statalisti, come Irving Fisher e Keynes, nel consigliare l’uso del credito per stimolare l’economia quando il libero mercato falliva: nessuna lezione era stata appresa dalle disastrose politiche creditizie di Benjamin Strong. Non furono i mercati a fallire, bensì l’espansione del credito da parte della FED a mettere il turbo all’espansione del credito delle banche commerciali, ad amplificare la bolla e la crisi successiva; senza tale intervento, il ciclo del credito bancario non sarebbe stato così distruttivo. Keynes e colleghi non capivano il credito, quindi, a beneficio dei suoi seguaci e della loro analisi difettosa, dobbiamo riscrivere la storia del credito e le sue varie crisi nel tentativo di capire se l’attuale calo dei rendimenti obbligazionari sia stato architettato dalle autorità.


Scuola valutaria & Scuola bancaria

L’intervento statale ha una lunga storia alle spalle, ma nel diciannovesimo secolo non si trattava di un’ingerenza diretta nell’economia, bensì di errori nella definizione giuridica dei mezzi di pagamento.

Ci fu un lungo dibattito se il denaro dovesse essere controllato secondo un approccio basato su regole, o se le banche dovessero essere libere di concedere prestiti in conformità con le esigenze commerciali. Il primo approccio era quello della Scuola valutaria, che si rifà a David Ricardo e che nel 1823 scrisse un libro intitolato Piano per l’istituzione di una banca nazionale che fu pubblicato postumo. In esso Ricardo scrisse:

La Banca d'Inghilterra compie due operazioni bancarie, ben distinte e non necessariamente collegate tra loro: emette una moneta cartacea in sostituzione di quella metallica e anticipa denaro sotto forma di prestiti a commercianti e altri. Da ciò risulterà evidente che queste due operazioni bancarie non hanno alcun nesso necessario: esse potrebbero essere esercitate da due enti distinti, senza la minima perdita di vantaggio, né per il Paese, né per i commercianti che ricevono accomodamento da tali prestiti.

L'approccio di Ricardo faceva rima con il successivo Piano di Chicago del 1933, che cercava di limitare rigorosamente il processo di creazione dei prestiti, e ancora oggi i precetti della Scuola valutaria trovano il sostegno degli economisti della Scuola Austriaca e dei monetaristi. La teoria quantitativa della moneta di Ricardo, la base del suo approccio, è sopravvissuta.

L’approccio della Scuola bancaria era più flessibile per quanto riguarda la creazione di prestiti, a sostegno di una posizione più evolutiva e meno statica in base alla quale le banche dovevano essere libere di rispondere alle condizioni di mercato e alle opportunità che presentavano. Il problema di questo approccio era che non faceva nulla per affrontare la ciclicità dell’espansione del credito bancario che periodicamente portava a crisi bancarie e recessioni economiche.

La legislazione bancaria più importante del diciannovesimo secolo fu il Bank Charter Act del 1844, il quale stabiliva i termini in base ai quali veniva rinnovato lo statuto della Banca d'Inghilterra per agire come banca dello stato. Quella legge fu un trionfo per la Scuola valutaria, dividendo la BoE in due funzioni separate: un dipartimento di emissione e un dipartimento bancario, come sostenuto da Ricardo nel 1823.

Come previsto dalla Scuola bancaria, il Bank Charter Act dovette essere sospeso in tre occasioni: nel 1847, solo tre anni dopo essere diventato legge, nel 1857 e nel 1866 quando si verificò il fallimento dell'Overend Gurney. È il rimedio a quelle crisi che ci interessa.

Nell'ottobre 1847 la BoE cercò di fermare una crisi finanziaria mettendo grandi quantità di credito a disposizione delle banche commerciali di Londra, al punto che la sua capacità di sostenere l'intero sistema finanziario si esaurì. All’inizio di quell’anno si era verificato un drenaggio delle riserve auree che limitava gravemente lo spazio di manovra della BoE stessa, perché la legge le richiedeva di mantenere una copertura in oro 1:1 per tutte le banconote emesse. Per paura che la crisi bancaria potesse far crollare l'intero sistema, il governo inglese autorizzò temporaneamente la Banca d'Inghilterra a emettere banconote a discrezione, ignorando i requisiti della legge. Il panico finanziario si placò immediatamente e la domanda frenetica di banconote e sovrane in oro scomparve.

Problema risolto. Nel novembre 1857 ci fu una corsa ai danni della stessa Banca d'Inghilterra, quando le sue riserve auree ammontavano a sole £274.000 contro passività di £5.460.000, una condizione che avrebbe impedito a una banca commerciale di operare. Anche in questo caso il governo inglese fu costretto ad autorizzare la Banca d'Inghilterra a emettere banconote a discrezione, ma le richiese anche di aumentare il tasso di sconto oltre il 10%. Il giorno dopo questo permesso, il panico si calmò. E nel 1866 il fallimento dell’Overend Gurney, di gran lunga il peggiore dei tre casi qui citati, fu risolto dal governo inglese autorizzando nuovamente la Banca d'Inghilterra a procedere in termini simili a quelli indicati per domare il panico del 1857.

La nostra ragione per ricordare i fallimenti dell’approccio della Scuola valutaria non è tanto quella di resuscitare il dibattito dell’inizio del XIX secolo, ma di sottolineare che un approccio rigorosamente basato su regole non garantisce la stabilità bancaria, e per aggiungere che le crisi bancarie periodiche si possono risolvere solo abbandonando le regole. Ma c’è un’ulteriore lezione: una crisi bancaria non richiede un calo dei tassi d'interesse per essere risolta. La soluzione si trova nel garantire che sia disponibile liquidità sufficiente e che il livello dei tassi d'interesse sia impostato dal solo dipartimento di emissione al fine di garantire che ci siano riserve auree adeguate per sostenere la valuta.

Le teorie della Scuola valutaria hanno oggi poco credito, ironicamente sostituite da un approccio della Scuola bancaria sempre più regolamentato; anche questo, però, non ha impedito l’insorgere di crisi. In quest’era di valute fiat il caso più notevole è stato il crollo del mercato azionario nel 1974. L’indice S&P 500 si era all’incirca dimezzato dal gennaio 1973 e l'indice FT30 del Regno Unito era crollato a 146 il 6 gennaio 1975, il 73% in meno rispetto al suo massimo del 1972. L’intero settore immobiliare era diventato più o meno privo di valore, a seguito del precedente crollo del novembre 1973 che mandò in bancarotta numerose piccole banche. Si vociferava che anche le banche per azioni fossero in bancarotta e il sentiment del mercato era al minimo livello possibile.

Fu a quel punto che, a porte chiuse, la Banca d’Inghilterra ordinò ai principali fondi pensione e compagnie assicurative, che avevano accumulato livelli significativi di liquidità a breve termine, di acquistare azioni indiscriminatamente. Di conseguenza il mercato salì vertiginosamente, la pressione dei ribassisti diminuì e la fiducia degli investitori ritornò rapidamente. Il discorso sulle banche per azioni in difficoltà fu dimenticato con il recupero dei valori delle garanzie.

Anche se la Banca d’Inghilterra aveva rimosso tutte le restrizioni sulla sua valuta e sulla creazione di credito in conformità con le teorie della Scuola bancaria, non solo il ciclo del credito continuò, ma fu risolte in modo simile alle precedenti sospensioni delle Bank Charter Act con una giudiziosa svolta nel sentiment. Questo è stato anche il caso quando la crisi della Lehman ci è esplosa in faccia nel 2008, quando la FED e le altre banche centrali hanno agito rapidamente per impedire che la fiducia nel sistema creditizio implodesse.

La lezione per noi oggi è che le banche centrali hanno imparato come ripristinare abilmente la fiducia. Come nel 2007, prima del fallimento della Lehman, stava diventando ovvio che le condizioni per una crisi stavano crescendo a dismisura, ma ancora non si riflettevano in una perdita di fiducia nell’enorme struttura globale del credito scoperto. La domanda che bisogna porsi ora è se le autorità stiano già intervenendo per prevenire la crisi incombente calciando il barattolo ancora una volta.


Lo sfondo della crisi di oggi

Sin dagli anni ’70, quando il credito fu svincolato dall’oro, è aumentata la necessità di una gestione dietro le quinte delle aspettative del mercato. Tutto è iniziato con i tentativi infruttuosi da parte del Tesoro americano di sopprimere il prezzo dell’oro vendendolo sul mercato. La propaganda anti-oro continuò senza successo finché, all’inizio degli anni ’80, il presidente della FED, Paul Volcker, non rialzò i tassi d'interesse in misura sufficiente a invertire la tendenza a favore del dollaro. Il fatto che il tasso dei Fed Fund dovesse essere rialzato oltre il 19% indicava il fallimento dello sforzo di propaganda anti-oro degli anni ’70, aprendo le porte alla risoluzione di quella crisi.

Oggi coloro che capiscono che l’oro è denaro e tutto il resto è credito sono una percentuale estremamente piccola di economisti e professionisti nel mondo degli investimenti. In quanto principale valuta di riserva, si ritiene ora che il dollaro abbia completamente sostituito l’oro come ancoraggio del credito globale; tuttavia esso è intrinsecamente instabile ed è necessario uno sforzo più deciso per la gestione continua delle aspettative, e ciò è avvenuto con la finanziarizzazione delle economie del G7 a metà degli anni ottanta.

Il vantaggio della finanziarizzazione è che dà alla banca centrale un maggiore controllo sui risultati economici rispetto a un’economia dipendente dal settore manifatturiero. Le banche centrali e i loro regolatori stabiliscono l’agenda su come utilizzare il credito in un modo che è impossibile per il settore manifatturiero. Il big bang finanziario di Londra ha portato all’abrogazione del Glass Stegall Act in America e ha reindirizzato il capitale mondiale dal settore manifatturiero ai mercati finanziari. L’espansione dei mercati dei derivati ​​ha assorbito la domanda speculativa di materie prime, compreso l’oro, e, insieme alla manipolazione statistica, è diventata una parte importante della repressione dell’inflazione.

L’espansione del credito rivolto ai mercati finanziari ha funzionato particolarmente bene fino alla fine del secolo, quando poi ha portato alla bolla delle dot-com, al suo scoppio e alla riduzione dei tassi al minimo storico. Alla fine si è sparsa la voce che la ripresa era in arrivo e si è verificato uno slancio crescente, riflesso nei mercati immobiliari. Probabilmente non sapremo mai se questa ripresa è stata avviata dalla Fed, come fece la Banca d’Inghilterra nel gennaio 1975, ma Alan Greenspan comprendeva i mercati, il loro sentiment e i loro tempi.

Tuttavia le conseguenze inflazionistiche hanno portato poi alla crisi del 2007-2009 e alla necessità da parte della FED di salvare l’intero sistema finanziario.

Gli elementi costitutivi di una crisi oggi sono sotto gli occhi di tutti e molti fattori sono simili alle crisi del passato. Il sistema bancario commerciale è colto alla sprovvista dalla ripresa dell’inflazione dei prezzi e dei tassi d'interesse, i quali stanno restringendo il credito; con la difficoltà del sistema bancario nel contrarre le sue passività aggregate, esso sta spostando le sue attività verso asset a basso rischio come i titoli di stato a breve termine. Inoltre le banche commerciali sono presiedute da banche centrali i cui bilanci sono stati distrutti dai precedenti quantitative easing, tassi d'interesse più alti e crollo dei valori degli attivi di bilancio.

Con il sentiment nei mercati obbligazionari ai minimi storici, ci sono ora le condizioni per innescare una stretta ribassista sui mercati obbligazionari, con banche e fondi d'investimento che hanno aumentato i loro asset quasi liquidi.


Perché ora?

Per le banche centrali si profilano due grossi problemi: il primo è come finanziare i crescenti deficit di bilancio dei rispettivi governi, quando i costi degli interessi rappresentano già la componente maggiore degli impegni di spesa; il secondo riguarda le tensioni nel sistema monetario del G7 imposte da un dollaro forte. Sembra che l’IPC nelle varie giurisdizioni si stia attenuando abbastanza da escludere ulteriori rialzi dei tassi d'interesse e che potrebbe addirittura scendere prima di quanto previsto in precedenza. Ciò crea l’opportunità di allontanare le aspettative di una crisi e, si spera, di guadagnare qualche anno di tempo.

Non c’è dubbio che la crescente fiducia in queste condizioni abbia giustificato i tagli fiscali annunciati dal Cancelliere britannico nella Dichiarazione d’autunno. La guerra in Ucraina è in una fase di calma e, a parte le manifestazioni a sostegno dei palestinesi, una politica generale da parte dell’America e dei suoi alleati d'intervento non militare su Gaza ha alleviato le tensioni geopolitiche nei mercati obbligazionari. Di conseguenza il rendimento del decennale statunitense è sceso dal 5% al ​​4,37% e il TWI del dollaro è sceso da 107 a 103,9, allentando la pressione sugli altri mercati obbligazionari, in particolare quello giapponese dove il rendimento del decennale è sceso dallo 0,96% allo 0,7%.

Con l’attenuarsi del senso di crisi, forse i rendimenti dei titoli del Tesoro USA diminuiranno ulteriormente. Sarà necessario per evitare un calo significativo dei mercati azionari e dovrebbe anche innescare un riflusso dai titoli di stato a breve termine e simili verso quelli a lungo termine, nella speranza che consentano al governo degli Stati Uniti di progredire con i suoi finanziamenti.


Per quanto tempo funzionerà ancora?

La crescente evidenza che le autorità stanno sfruttando il loro acuto senso del market timing per allontanare i mercati da una crisi dei finanziamenti e per promuovere la fiducia negli asset finanziari in generale, non dovrebbe essere confusa con la gestione di una crisi bancaria di per sé. Al meglio è come un cerotto su una ferita aperta. Al centro di tutto ciò c’è una crisi dei debiti pubblici che non si risolverà sulla scia di una stretta sui ribassisti nei mercati obbligazionari.

Quella odierna è una situazione molto diversa da quella degli anni ’70, con la quale si può paragonare questi tempi di ripresa dell’inflazione dei prezzi. Tra il 1971 e il 1980 la somma dei deficit di bilancio del governo statunitense fu di $421.823 milioni, il 15% del PIL del 1980. Al contrario, il deficit di bilancio totale negli ultimi dieci anni è stato pari a $12.918 miliardi, il 47% del PIL del 2023. Inoltre nel 1970 il rapporto debito/PIL degli Stati Uniti era pari al 34%, mentre oggi è pari al 122%.

In altre parole c’è una crisi del debito pubblico che non potrà che peggiorare e non sarà risolta da un calo di sessanta punti base nei rendimenti dei titoli a lungo termine. Inoltre le banche sovraindebitate si trovano ancora a fronteggiare un aumento dei prestiti in sofferenza nel settore privato e sta entrando in una fase di recessione, il che le scoraggia dal riprendere l’espansione dei loro bilanci. Il credito sarà ancora limitato e i debiti elevati.

Resta il fatto che per le banche sono pochissimi gli acquirenti delle garanzie detenute a fronte dei prestiti. Il grafico sopra, relativo al divario di valutazione tra rendimenti obbligazionari e mercati azionari, si applica anche ad altri asset, in particolare agli immobili. I dirigenti bancari sono tenuti a considerare questo calo dei rendimenti obbligazionari e quasi certamente concluderanno che le prospettive economiche e il modo in cui influiscono sui margini di credito rispetto al rischio sono ancora sfavorevoli.

Nel Regno Unito il Cancelliere ha deciso che le prospettive sono sufficientemente migliorate per alcuni tagli fiscali minori. Le cifre rilevanti parlano di un deficit di bilancio di £123,9 miliardi nell’anno fiscale in corso fino al prossimo aprile, con interessi sul debito di £116,2 miliardi. In altre parole, se non fosse stato per gli interessi sul debito, il bilancio sarebbe più o meno in pareggio. Parte degli interessi sul debito è dovuta al costo del rinnovo di quello in scadenza e all’aumento dei pagamenti degli interessi sui Gilt indicizzati. Anche la Gran Bretagna è in una trappola del debito e l’aritmetica ufficiale è troppo ottimista per una serie di motivi:

• Secondo le stime del governo inglese, la crescita del PIL misurata dai consumi sarà maggiore nel settore pubblico che in quello privato. Si prevede che il settore privato ristagnerà ad appena lo 0,5% reale, con un’inflazione in calo al 3,6%. Le aspettative per il 2024/25 si riveleranno quasi certamente ottimistiche, date le prospettive economiche globali prone a una recessione significativa. Invece l’Office for Budget Responsibility prevede una continua crescita economica nei prossimi anni.

• Le previsioni sulle entrate sono destinate a essere troppo ottimistiche date le prospettive di recessione globale, con anche i costi del welfare in aumento. Al netto dei costi degli interessi, il fabbisogno finanziario sarà sicuramente ampliato. I costi degli interessi sono destinati a muoversi in linea con i tassi del dollaro che quasi certamente aumenteranno, non diminuiranno.

• Le ipotesi sull’inflazione (IPC) presuppongono un ritorno al 2% nel 2025. Le prospettive di inflazione monetaria nei Paesi del G7 rendono questo risultato estremamente improbabile.

Anche se i dati del Regno Unito sono apparentemente buoni, la sterlina presenta un problema di credibilità rispetto al dollaro. Man mano che il potere d’acquisto del dollaro diminuirà, è probabile che lo stesso accada, ma in misura maggiore, alla sterlina.


Conclusione

L’attuale calo dei rendimenti obbligazionari statunitensi e del TWI del dollaro allevia un’enorme pressione sia sui mercati finanziari che sulle valute. A meno che gli eventi geopolitici non sconvolgano questa ritrovata fiducia, l’abile tempismo da parte delle autorità ha ridato fiducia nei mercati e quindi negli Stati Uniti e in altre economie.

Ripercorrendo la storia e i retroscena degli interventi volti a ripristinare la fiducia nei mercati, questo saggio ha mostrato che esistono forti prove circostanziali che l’attuale calo dei tassi d'interesse porti il segno di un certo grado di manipolazione top-down.

Di conseguenza i problemi di fondo rimangono: finanziamento pubblico, la progressione del ciclo del credito bancario e le prospettive economiche in deterioramento in tutti i governi sovraindebitati del G7. Le condizioni che hanno portato all'instabilità generale dei valori creditizi non sono state affrontate, quindi col tempo tutti i problemi che potrebbero sembrare in regressione si ripresenteranno con rinnovato vigore.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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