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venerdì 10 gennaio 2020

Come i banchieri centrali minacciano la civiltà di oggi e il ruolo dell'inflazione nel processo





di Claudio Grass & Thorsten Polleit


Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo sull'impatto dei tassi d'interesse negativi e delle obbligazioni a rendimento negativo, ho pensato che fosse un'occasione per esaminare l'argomento da una prospettiva più ampia. Sono stati scritti molti articoli che fanno ipotesi sulle possibili implicazioni e si concentrano sul loro impatto a breve termine, ma non è molto frequente che un'analisi guardi un po' più in là nel futuro, cercando di collegare il denaro e il suo effetto sulla società stessa.



Cui Bono?

Cominciamo con una domanda che sta alla base di questo problema: chi beneficia di un prestito che deve rimborsare meno dell'importo preso in prestito? Ovviamente il mutuatario e non il creditore, che nel nostro caso è lo stato e quelli strettamente collegati ad esso. I tassi negativi e le obbligazioni a rendimento negativo favoriscono per definizione i debitori e puniscono i risparmiatori. Inoltre queste politiche sono un affronto ai principi economici di base e anche al buon senso. Contraddicono tutte le idee logiche su come funziona il denaro e non hanno basi né precedenti in alcun sistema economico organico. Quindi, oltre all'imposta nascosta rappresentata dall'inflazione, abbiamo anche un altro meccanismo che ridistribuisce la ricchezza dal cittadino medio a quelli in cima alla piramide.

Il concetto stesso di autorità centrale in grado di piegare e distorcere le regole, anche quando il risultato è illogico, ha implicazioni che vanno ben oltre le attività economiche quotidiane. Alla fine si divide la società in due classi, quelli che traggono profitto da questa riscrittura arbitraria e unilaterale delle regole e quelli che sono costretti a pagarne il prezzo, anche se non hanno mai avuto voce in capitolo.



Un sistema di corruzione collettiva

Certo, possiamo anche guardare tutto ciò secondo l'ottica collettivista del cosiddetto contratto sociale di Rousseau e sostenere che il suddetto sistema di ridistribuzione palese (tassazione) e nascosto (politica monetaria) è legittimo o addirittura benigno. Potreste ancora credere che lo stato si prenderà cura di voi in futuro, e quindi siete disposti a sacrificare una parte della vostra ricchezza e risparmi oggi per assicurarvi che ciò accada. In tal caso è utile ricordare che l'attuale sistema bancario centrale non è così vecchio. Esiste da circa cento anni, o due cicli di debito a lungo termine combinati. Il primo ciclo terminò quando il presidente Nixon demonetizzò ufficialmente l'oro nel 1971, potenziando un sistema centralizzato in base al quale alcuni decidono chi riceve per primo la valuta e a quale tasso d'interesse, consentendo loro di creare bolle in determinate classi di asset, proteggere diversi settori chiave, usarlo per finanziare le guerre e arricchire politici e quelli a loro vicini.

Finora il credito totale su scala globale è di circa $240.000 miliardi. È difficile concepire un tale numero, ma se si considera che 1000 miliardi di secondi equivalgono a 31.709 anni, si potrebbe iniziare a capire come è diventato pesante il sistema. Non dovremmo mai dimenticare che il debito è sempre il consumo che viene gravato sul futuro. Detto questo, i debiti devono essere rimborsati o cancellati, non c'è altro risultato. Inoltre la quantità di debito che un sistema può trasportare è limitata e quando un sistema basato sul credito non può crescere ulteriormente, il risultato logico è il collasso dell'intero sistema.

Questo è il motivo per cui le banche centrali stanno cercando di evitare questo collasso sistemico spingendo i tassi d'interesse al di sotto dello zero e consentendo ai grandi player di contrarre debiti gratis e ridurre allo stesso tempo quelli già esistenti. Questo, ovviamente, è qualcosa a cui abbiamo già ampiamente assistito nell'ultimo decennio ed è solo una questione di tempo prima che più banche centrali, compresa la Federal Reserve, usino la stessa tattica fraudolenta per far uscire un po' d'aria dalla bolla per ridurre la leva finanziaria dei debitori a spese dei risparmiatori. Tuttavia è molto discutibile se questa tattica possa essere gestita con successo, soprattutto perché i dati demografici sono stati un problema per decenni in Occidente, rendendo anche la crescita un problema. I governi hanno avallato una politica di immigrazione di massa per combattere la tendenza della popolazione ad invecchiare, ma la sua esecuzione è stata disastrosa; invece di ringiovanire le nazioni e stimolare la produttività, hanno finito per ingolfare ulteriormente i sistemi di welfare nazionali.

È quindi chiaro che l'attuale percorso che gli stati ed i banchieri centrali hanno scelto è assolutamente insostenibile e che i loro tentativi di "mettere toppe" a breve termine hanno poche speranze di fermare l'inevitabile implosione, che è già in atto da decenni. Fingere altrimenti è tanto inutile quanto ingenuo. Come diceva Ayn Rand:
Possiamo ignorare la realtà, ma non possiamo ignorare le conseguenze dell'ignorare la realtà.


L'effetto della "de-civilizzazione"

I tassi d'interesse negativi sono un ottimo esempio di queste toppe a breve termine, ma non solo sono inutili come cura per i nostri mali economici, in realtà fanno più male che bene.

Il risultato di questa politica è che il tempo diventa inutile. Poiché i soldi guadagnati duramente invece di apprezzarsi, come detterebbe la logica, perdono valore di giorno in giorno, non ha più senso produrre e risparmiare. Viene cancellata la motivazione di base affinché ogni individuo si alzi al mattino e lavori per raggiungere uno standard di vita più elevato e il tempo, quindi, si trasforma in una dimensione senza alcun valore. Se le persone non possono più risparmiare, allora non possono far altro che consumare. E con tutte le opzioni di investimento tradizionalmente sicure non più disponibili, possono solo speculare sui mercati finanziari truccati; il rischio è enorme, soprattutto ora che ci avviciniamo alla fine di un ciclo del debito a lungo termine.

L'individuo diventa così sempre più dipendente dallo stato, poiché gli ingredienti per una vita libera sono l'indipendenza finanziaria e poter risparmiare. Il fondamento di un sistema di successo richiede che le persone vivano una vita dignitosa, sapendo che devono prima produrre e poi consumare.

Le masse sono addestrate e costrette a consumare e spendere soldi per cose di cui non hanno bisogno. Il nostro sistema monetario in combinazione con questo tipo di politica pubblica provoca un consumo eccessivo di massa, distruzione della ricchezza, spreco di capitale e distruzione della natura.

Le persone aggiungono valore alla società se sono in grado di risparmiare, in quanto ciò consente loro di investire in una fase successiva, una volta accumulato quanto necessario, e quindi aiutare gli altri nei propri sforzi per avere successo e raggiungere l'indipendenza finanziaria. I genitori possono aiutare i loro figli e gli investitori possono aiutare le imprese in erba che portano idee innovative a beneficio dell'economia e della società nel suo insieme. Mentre questo circolo virtuoso continua, basato sulla produttività, sul pensiero a lungo termine e sulla gestione finanziaria responsabile, "la marea crescente solleva tutte le barche".

Al contrario, quando questo processo naturale viene forzatamente interrotto e invertito, gli effetti sono deleteri e di vasta portata: il consumo eccessivo di massa, la distruzione della ricchezza e lo sfruttamento della natura e dell'ambiente sono tutti sintomi di questa spinta istituzionale a pensare solo al presente, a concentrarsi solo sull'oggi a spese del domani.



Implicazioni più ampie

Pertanto ciò che c'è in gioco non è solo l'economia mondiale, ma il declino della cultura occidentale, che, basata sul liberalismo (libertà personale e diritti di proprietà) e sul cristianesimo (responsabilità personale), ha gettato le basi di un'Europa decentralizzata e ha permesso una concorrenza tra beni e servizi ma soprattutto di idee. Questo pericoloso declino non è una novità, poiché è iniziato dopo la prima guerra mondiale, quando l'Europa si è orientata verso un approccio più centralizzato aprendo la porta ad ogni sorta di idee collettiviste. Oggi vediamo una rapida accelerazione di tale declino, poiché il nostro sistema economico può a malapena rimanere in piedi; mentre la nostra politica e le nostre società si trasformano ancora più rapidamente in gruppi tribali, o più precisamente in gruppi di identità politica, ci si combatte a vicenda per faide insignificanti. Nel frattempo passa inosservata la vera minaccia, quella che gli stati le banche centrali pongono al nostro futuro ed a quello dei nostri figli.

Finché le persone hanno paura della libertà e delegano la propria responsabilità ad un'autorità centrale, la speranza è debole. È tempo di pensare indipendentemente se il sistema centralizzato di oggi abbia davvero senso, se è sostenibile e per quanto ancora. Se le risposte a queste domande vi spaventano, è inutile aspettarsi che le soluzioni vengano dall'alto. È quindi tempo di agire direttamente e responsabilmente, con un piano solido e una strategia a lungo termine che non dipende dai capricci dei burocrati.

Infatti la più grande balla a cui la maggior parte delle persone crede è che le banche centrali abbiano come obiettivo la "stabilità dei prezzi, assicurandosi che i prezzi al consumo non superino la soglia magica del 2% all'anno. Questa, inutile dirlo, è una grande finzione. Se i prezzi dei beni salgono nel tempo, non ci vuole molto a capire che i prezzi non rimangono stabili. E se i prezzi dei beni salgono nel tempo, significa necessariamente che il potere d'acquisto dell'unità monetaria diminuisce.

Man mano che il denaro perde il suo potere d'acquisto, reddito e ricchezza vengono ridistribuiti di nascosto. Alcuni individui e gruppi di persone si arricchiscono a spese di tutti gli altri. I risparmiatori ed i lavoratori vengono truffati, mentre quelli che possiedono asset che salgono di valore, o che prendono in prestito denaro, ne traggono profitto. Il settore bancario è uno dei principali beneficiari della svalutazione monetaria.



"L'inflazione" è un aumento della quantità di denaro

Le banche centrali sono la causa del fatto che tutti i prezzi dei beni tendono ad aumentare nel tempo. Detengono il monopolio sulla produzione monetaria e aumentano (in stretta collaborazione con le banche commerciali) la quantità di denaro attraverso l'espansione del credito, non coperto da risparmi reali ovviamente. Va da sé che è piuttosto redditizio essere attivi nel settore della produzione di denaro.

L'aumento della quantità di denaro ha come risultato, e necessariamente così, prezzi più alti rispetto ad una situazione in cui non viene aumentata artificialmente. Questa non è un'affermazione arbitraria, ma deriva da un ragionamento logico: un aumento dell'offerta di denaro riduce l'utilità marginale di ogni unità aggiuntiva aggiuntiva, il che significa che sale l'utilità marginale di altri beni che possono essere acquistati col denaro.

Prendete in considerazione l'ipotesi in cui aumenta la quantità di denaro nelle mani degli attori di mercato. Le persone scambieranno denaro (che è sceso in utilità marginale) con altri oggetti vendibili (che sono saliti in utilità marginale) e man mano che questo processo continua i prezzi in denaro aumentano (rispetto ad una situazione in cui la quantità di denaro non sarebbe affatto salita).



La spiegazione popolare ed i suoi problemi

Naturalmente nella vita reale altri fattori (come, ad esempio, i cambiamenti della domanda, l'introduzione sul mercato di nuovi prodotti, ecc.) interferiscono con il legame tra l'aumento della quantità di denaro e l'aumento dei prezzi dei beni. Ciò, tuttavia, non confuta in alcun modo l'intuizione economica secondo cui un aumento della quantità di denaro porta a prezzi più alti dei beni.

L'aumento della quantità di denaro è ciò che viene chiamata inflazione; l'aumento dei prezzi è solo un sintomo di un aumento della quantità di denaro. Tuttavia gli economisti tradizionali definiscono l'inflazione come un aumento dei prezzi dei beni di consumo. Tale definizione è problematica per almeno due motivi. Innanzitutto se si connette l'inflazione all'aumento dei prezzi, viene oscurata la vera ragione di prezzi più alti (l'aumento della quantità di denaro).

Questo, a sua volta, dà origine a spiegazioni arbitrarie sul perché i prezzi dei beni potrebbero aumentare: sceicchi che fanno salire i prezzi del petrolio, sindacati che fanno salire i salari, un'economia vivace che crea carenze nei fattori di produzione, e così via. Tutte queste pseudo-spiegazioni si discostano dal vero colpevole: la banca centrale, in collaborazione con le banche commerciali, che emette nuovo denaro, in modo che le persone non capiscano più chi, di fatto, le danneggi.



Inflazione dei prezzi degli asset

In secondo luogo le variazioni dei prezzi dei beni di consumo non ci raccontano l'intera storia, poiché non tengono conto dei prezzi degli asset come, ad esempio, i prezzi delle azioni, i prezzi delle abitazioni ed i prezzi dei terreni. Tuttavia ci si può aspettare che i soldi appena iniettati non solo faranno salire i prezzi dei beni di consumo, ma  anche i prezzi degli asset. E come l'aumento dei prezzi al consumo, l'aumento dei prezzi degli asset riduce il potere d'acquisto del denaro.

In altre parole, l'inflazione dei prezzi degli asset distrugge il potere d'acquisto della moneta allo stesso modo in cui lo fa l'inflazione dei prezzi dei beni di consumo. Prendete ad esempio i prezzi del mercato azionario. Se i prezzi salissero, per esempio, da $100 a $200, il potere d'acquisto dell'unità monetaria diminuirebbe del 50%. Il proprietario dell'azione diventa più ricco, mentre il detentore di dollari diventa più povero. Infatti questo è esattamente ciò che è accaduto negli ultimi decenni.


A scopo illustrativo, diamo un'occhiata al grafico qui sopra dove viene mostrato l'andamento della quantità di moneta negli Stati Uniti, il PIL nominale ed i prezzi delle azioni dal 1996 all'autunno 2019. Nel periodo in esame, il PIL nominale degli Stati Uniti è aumentato in media del 4,3% annuo. La quantità di denaro è aumentata del 6,1%, mentre i prezzi delle azioni sono aumentati dell'8,1%. Per l'osservatore attento, questi numeri contengono un messaggio importante.

L'aumento dell'offerta di moneta non solo aumenta i prezzi dei beni di consumo, ma tende anche ad aumentare tutti i prezzi. Ad esempio, nel periodo in esame, in media, il PIL reale negli Stati Uniti è aumentato di circa l'1,9% all'anno, mentre i prezzi di beni e servizi inclusi nel PIL degli Stati Uniti sono aumentati del 2,4%. I restanti "soldi in eccesso" hanno ovviamente fatto salire i prezzi delle azioni e di altri asset, come ad esempio i prezzi delle case.



Non fidatevi del denaro (fiat) di oggi

Le lezioni da imparare sono queste: pensare sempre all'inflazione come ad un aumento della quantità di denaro. Essere consapevoli del fatto che le banche centrali e le banche commerciali forniscono un tipo di denaro che non mantiene il suo potere d'acquisto e la maggior parte delle persone subisce perdite quando lo mette da parte. Meglio non fidarsi del denaro di oggi e usarlo solo per le piccole transazioni. Non fatevi fregare dall'inflazione.

Le idee di cui sopra dovrebbero incoraggiare tutti noi ad usare una forma di denaro sano ed onesta, che sia all'altezza dei più alti standard economici ed etici. Questo è un obiettivo raggiungibile creando un mercato libero nel campo monetario, in cui le persone sono libere di scegliere il tipo di denaro che vorrebbero utilizzare e in cui gli spiriti imprenditoriali sono liberi di offrire agli attori di mercato la loro versione di denaro libero ed onesto.

Un mercato libero nel campo monetario, che equivarrebbe a porre fine ai monopoli sulla produzione monetaria delle banche centrali, è in realtà facile da istituire. Basta rimuovere la valuta ufficiale dal suo status di "corso legale" e rimuovere tutte le tasse su plusvalenze e vendite su tutti i mezzi di pagamento che hanno un'eccellente possibilità di competere per diventare valuta (in particolare oro e argento, ma anche criptovalute).

Un mercato libero nel campo monetario farà miracoli. Molti dei mali che perseguitano il nostro mondo oggi (che si tratti di inflazione cronica dei prezzi, crisi finanziarie ed economiche, cicli boom/bust e persino governi in bancarotta e guerre) sarebbero notevolmente ridotti. Una delle maggiori sfide del nostro tempo è quella di riformare il sistema monetario. La soluzione è aprire le porte del mercato al denaro.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 19 dicembre 2019

QE sotto mentite spoglie





di Claudio Grass


In meno di un anno abbiamo assistito a delle montagne russe nella politica monetaria, qualcosa che non ha precedenti. La Federal Reserve ha inizialmente fatto un'inversione ad U a gennaio e da allora ha continuato a spingere sull'acceleratore monetario. È facile dimenticare che meno di un anno fa tutte le dichiarazioni ufficiali e le aspettative del mercato erano allineate ad un rialzo continuo dei tassi, mentre ulteriori tagli erano considerati a dir poco improbabili. Gli investitori azionari stavano quasi per fare i conti con l'idea di una normalizzazione delle politiche e la FED era considerata dagli osservatori di mercato e dagli economisti come una delle pochissime banche centrali in qualche modo responsabili: poiché stava facendo progressi nella riduzione del suo bilancio contrariamente alla BCE e alla BoJ. Tuttavia questo esperimento ha visto una fine brusca e precoce, quando il capo della FED, Powell, ha messo in chiaro che intendeva seguire le orme dei suoi pari e ritornare a politiche accomodanti.

Pertanto la fase di tightening è stata interrotta e ancora una volta abbiamo assistito a tagli dei tassi, nonché iniezioni di liquidità nel mercato dei pronti contro termine. Nel frattempo la reazione del mercato è stata nella migliore delle ipotesi tiepida, con la volatilità a livelli elevati e i recenti dati economici continuano a destare serie preoccupazioni in merito alla prossima recessione. Allo stesso tempo la FED ha fatto di tutto per evidenziare che tutte le recenti misure di accomodamento non erano il risultato dei timori per una recessione. Ad esempio, Powell ha caratterizzato i due tagli dei tassi quest'anno come una semplice mossa preventiva, per proteggere e sostenere l'espansione economica, che non dovrebbe essere interpretata come un segnale di avvertimento di problemi economici futuri. Al contrario, ha insistito sul fatto che gli Stati Uniti godono di una base solida e non c'è nulla di cui preoccuparsi.

Tutti questi sforzi della banca centrale statunitense per minimizzare il significato dei suoi interventi sono destinati a diventare molto più difficili. A metà ottobre la FED ha ripreso ufficialmente i suoi acquisti di debito. La FED è passata dal drenare $50 miliardi al mese dal suo bilancio, all'acquisto di $60 miliardi di bond del Tesoro USA ogni mese. Gli acquisti continueranno fino ad "almeno il secondo trimestre del prossimo anno", mentre è possibile che il loro ritmo possa essere aumentato e la loro durata estesa ulteriormente.

Ancora una volta, in previsione delle reazioni a questa misura, i funzionari hanno rapidamente sottolineato che "queste azioni sono misure puramente tecniche" e "non rappresentano un cambiamento" nella loro posizione monetaria. Il presidente della FED di Dallas, Robert Kaplan, ha insistito sul fatto che la decisione "non ha lo scopo di creare più accomodamento o creare più stimoli". Per quanto riguarda lo stesso presidente Jerome Powell, ha fatto di tutto per sottolineare che la mossa non rappresenta "in nessun modo" una ripresa del quantitative easing (QE). Invece, ha sostenuto, questi acquisti di asset, che non hanno nulla a che fare con quelli che abbiamo visto dopo il 2008, hanno lo scopo di garantire che vi sia abbastanza liquidità nel sistema finanziario per prevenire ulteriori picchi nei mercati dei prestiti a breve termine, come l'improvvisa carenza di liquidità riscontrata a settembre e che ha spinto il tasso dei fondi federali al di fuori del suo obiettivo.


Nonostante tutte le garanzie e tutti i tentativi di minimizzare il significato di questa mossa, molti investitori e analisti l'hanno vista per quella che è in realtà. Come un analista di Wall Street ha scritto in una nota ai suoi clienti, la nuova strategia è "sicuramente un QE". La giustificazione della "misura tecnica" suona piuttosto strana, poiché ciò che è iniziato come un'emergenza e iniezioni di denaro "una tantum" (come le descrivevano all'epoca i funzionari) si sono trasformate in un qualcosa di permanente. E mentre è vero che la FED ora punta al debito del Tesoro USA a breve termine piuttosto che quello a più lungo termine, resta il fatto che il denaro che prevede di iniettare nel sistema ammonta ad almeno $400 miliardi, che verranno aggiunti al suo già massiccio bilancio di $4.000 miliardi. Solo da settembre il bilancio della FED è già cresciuto di oltre $185 miliardi e questo prima ancora dell'inizio dei nuovi acquisti.

L'intento, quindi, fa poca differenza, e poco importa se l'obiettivo della FED è quello di stimolare l'economia o semplicemente aggiungere un supporto "tecnico" al mercato overnight se il risultato è lo stesso. Secondo un'analisi di Benjamin Ong, capo dell'unità Financial Standard Intelligence: "I $60 miliardi in acquisti mensili di T-bill si rapportano con gli $85 miliardi che la FED acquistava mensilmente prima che venissero ridotti di $10 miliardi al mese, a $75 miliardi a dicembre 2013. E, alla fine, QE o no QE, l'ultima mossa della FED dovrebbe contribuire ad aumentare la pendenza della curva dei rendimenti, indebolire il dollaro USA e sostenere i mercati azionari come aveva fatto in passato".

Ciò che è chiaro è che la FED ha commesso un grave errore di giudizio quando ha iniziato il suo programma di tightening nel 2017. Ha sopravvalutato la solidità dell'economia, ha sottovalutato il livello di dipendenza dei mercati dal denaro a buon mercato ed era troppo presto per proclamare una "piena ripresa" dalla crisi. Di conseguenza è stata costretta ad arretrare. Avendo abbreviato la fase di tightening, non è riuscita a sfruttare appieno i benefici previsti di questa mossa, vale a dire, ricaricare la sua "potenza di fuoco" per combattere la prossima recessione economica. Mentre quest'ultima si avvicina pericolosamente, le rimangono poche opzioni. Sebbene la FED possa trovarsi in una posizione relativamente migliore rispetto ai suoi pari, come la BCE o la BoJ che non si sono mai fermate, tutti gli scenari probabili sono davvero cupi per il futuro.


Ad esempio, l'idea stessa di un ritorno a tassi d'interesse pari a zero, che solo un anno fa sarebbe sembrata bizzarra, è ora una possibilità reale. E anche i tassi negativi, del resto. Una volta impensabili, l'opzione non è più così stravagante al giorno d'oggi. Infatti un documento di ricerca intitolato “Yield Curve Responses to Introducing Negative Policy Rates” pubblicato dalla Federal Reserve Bank di San Francisco ha rivelato che i tassi d'interesse negativi "potrebbero diventare un importante strumento per combattere le future recessioni economiche". Perfino lo stesso Trump ha pubblicamente spinto per questa mossa, quando a settembre ha chiesto che la FED facesse il passo straordinario di introdurre tassi negativi.

La banca centrale statunitense ha danneggiato la propria credibilità dicendo una cosa e facendone un'altra. I suoi funzionari insistono sul fatto che l'economia sia in "buona forma", proprio prima di annunciare l'ennesimo taglio dei tassi. Fanno la stessa cosa prima di iniziare l'ennesima espansione del bilancio e riavviare il QE, insistendo che nessuno dovrebbe chiamarlo QE. È utile ricordare queste cose la prossima volta che il presidente Powell offrirà garanzie contro l'avvento della ZIRP e della NIRP. È anche utile ricordare che la FED ha già "esplorato le possibilità" di interventi in stile giapponese all'inizio dell'estate. Secondo la CNBC, poiché le banche centrali occidentali si rendono conto di quanto siano limitate le loro opzioni e vogliono aggiungere strumenti nuovi e molto più aggressivi, "la BOJ ha ricevuto richieste di informazioni da diverse banche centrali, tra cui la FED, riguardo il suo esperimento di controllo della curva dei rendimenti per ancorare i tassi d'interesse a lungo termine vicino allo zero".

Al fine di proteggere la propria ricchezza e assicurarsi che sia preservata per la prossima generazione, è essenziale guardare al quadro generale. Ciò che oggi sembra inverosimile può facilmente diventare la notizia principale di domani e poi la "nuova normalità" un anno dopo. "Senza precedenti" non è più qualcosa di "impossibile", soprattutto in questa era di radicalismo nella politica monetaria. Lo abbiamo visto nell'ultima recessione, quando migliaia di miliardi di dollari hanno inondato tutte le principali economie ed i bilanci delle banche centrali sono esplosi a livelli record.

Se sarà "più della stessa cosa", con ZIRP/NIRP e acquisti massicci di asset, o se i banchieri centrali si sposteranno in nuovi territori interventisti, forse emulando il Giappone, non ha molta importanza, perché l'esito di tutte queste politiche può essere facilmente previsto, almeno per i risparmiatori e gli investitori prudenti: punire coloro che hanno un orizzonte di investimento a lungo termine.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 12 giugno 2019

Perché la crisi del debito turca rappresenta un rischio maggiore per l'Eurozona rispetto ai PIIGS





di Claudio Grass


La Turchia è finita quasi sempre sui titoli dei giornali nell'ultimo anno, a causa della sua economia in difficoltà e la situazione politica burrascosa. Tutti ricordiamo il crollo della sua valuta la scorsa estate, quando la lira turca è precipitata di quasi il 40% gettando l'economia turca nel panico. A gennaio l'inflazione ha superato il 20%, con un aumento vertiginoso dei prezzi alimentari e un impatto particolarmente grave sulla popolazione. Allo stesso tempo la disoccupazione ha raggiunto il 14,7%, il livello più alto in un decennio e una cifra destinata a salire ulteriormente. Dal punto di vista politico l'attrito del Paese con gli Stati Uniti , così come i suoi sconvolgimenti interni, hanno fornito altri motivi di preoccupazione e hanno annebbiato le prospettive future.




Un boom artificiale e poi il bust

Dopo le ultime elezioni fortemente contestate, che hanno inflitto gravi danni al regno di Erdogan, si sono ben presto consolidate le prospettive di un'ulteriore instabilità. Erdogan, già al potere da 18 anni, sta ora spingendo per nuove elezioni comunali a Istanbul, in seguito alla sconfitta del suo partito. È proprio questa tempistica, insieme allo spauracchio di una recessione, che rende la situazione in Turchia ancora più precaria.

Negli ultimi due decenni l'economia del Paese è stata determinante per l'espansione e il consolidamento del potere del presidente della Turchia. Tuttavia l'adozione di politiche monetarie populiste e la crescita artificiale alimentata dal debito sono diventate sempre più insostenibili, come di solito accade. Poiché le fratture sono ora evidenti nell'economia del Paese, anche il sostegno al partito al governo è ai minimi storici. Nel mezzo di una recessione, con ulteriori frizioni politiche all'orizzonte, gli investitori sono giustamente preoccupati che gli obiettivi politici possano oscurare l'urgente necessità di risolvere i problemi economici del Paese. Le misure difficili e necessarie per fermare la spirale mortale della lira e per controllare la bomba ticchettante del debito, difficilmente rappresentano temi elettorali vincenti.

Il presidente turco è noto per la sua interferenza nell'economia e nel settore privato, mentre la banca centrale ha perso credibilità poiché la sua indipendenza è stata ampiamente compromessa. Poco prima di quest'ultima elezione, ad esempio, ha utilizzato le sue riserve per sostenere la lira, con i dati pubblicati che rivelano che le sue riserve sono diminuite di oltre $2 miliardi nella settimana precedente al voto. Secondo l'agenzia di rating Moody's, le riserve lorde e nette erano "già a livelli molto bassi".


Oltre a scuotere la fiducia degli investitori e ad incoraggiare i sospetti sulla politicizzazione della banca centrale, la mossa non è riuscita a sostenere la valuta, poiché la lira ha continuato a precipitare in ogni caso sotto la pressione delle preoccupazioni sulle riserve in diminuzione del Paese. Ulteriori pressioni sono arrivate dalla valuta indebolita e dalla credibilità indebolita di Erdogan, alimentate inoltre dalla tendenza sempre più dominante di una dollarizzazione a livello nazionale. Sempre più cittadini turchi si rivolgono all'USD e all'Euro per proteggere il loro potere d'acquisto e persino usarli nelle loro transazioni quotidiane. Secondo i dati recenti del Financial Times, i depositi in valuta estera dei residenti sono saliti di $2,1 miliardi nell'ultima settimana di marzo, portando il totale a $167 miliardi.

Il governo turco ha tuttavia ignorato i segnali di pericolo. Al contrario Erdogan rimane focalizzato sugli aspetti politici dell'attuale crisi, farneticando di cospirazioni straniere e insistendo su politiche che servono solo a nascondere le carenze dell'economia. Nonostante gli sforzi per controllare l'inflazione e per far uscire l'economia dalla recessione, i fondamentali economici sono ancora disastrosi e il sentiment degli investitori rimane molto basso. Un nuovo programma di riforme avviato a metà aprile non è riuscito a convincere gli investitori a migliorare le loro prospettive, con un sondaggio di JP Morgan che dimostra che oltre l'80% degli investitori non ha fiducia nella capacità del governo di rilanciare l'economia. Il piano prevedeva un'iniezione da $5 miliardi a banche statali in difficoltà, senza tagli alla spesa o qualsiasi altra misura fiscale realistica che potesse contribuire concretamente a risolvere il problema del debito.



Ripercussioni

Il problema del debito della Turchia, insieme alla lira in declino, è probabilmente il fattore di rischio più importante per l'economia della nazione. A peggiorare le cose c'è la possibilità concreta che la bomba ad orologeria turca produca danni significativi anche altrove, a partire dalle economie chiave dell'Eurozona.

A prima vista la situazione in Turchia potrebbe somigliare a molti scenari del passato: una nazione pesantemente indebitata con una moneta in declino che finisce in una grave recessione e alla fine viene salvata, come la Grecia. Tuttavia c'è una differenza fondamentale che rende il problema del debito della Turchia molto più complicato e potenzialmente più pericoloso. A differenza della Grecia, dell'Italia o di altre economie gravate dal debito, non è solo il debito pubblico il principale rischio: c'è il debito aziendale insostenibile che rende la Turchia una bomba ad orologeria e rende problematica un'opzione di salvataggio da parte del FMI.

Il debito privato in rapporto al PIL si attesta al 170% ed oltre la metà è denominata in valuta estera. Pertanto il crollo della lira ha reso estremamente difficile per le imprese ripagare il loro debito, mentre il rischio di insolvenza è aumentato. Circa $179 miliardi di debito estero dovrebbero maturare il mese prossimo, il che equivale a quasi un quarto della produzione economica annuale del Paese, secondo le stime di JPMorgan. La maggior parte di questa cifra, $146 miliardi, è dovuta in particolare dal settore privato e dalle banche.

Per quanto l'attuale situazione del debito possa sembrare disastrosa per le imprese e le prospettive economiche della Turchia, è importante considerare anche le implicazioni per i suoi creditori, soprattutto dal momento che le banche europee sono tra i più importanti. Infatti il livello di esposizione in alcuni casi è così preoccupante da poter affermare che ciò che accade in Turchia non si limiterà a rimanere in Turchia.


Il settore bancario spagnolo è uno dei pochissimi nel blocco europeo che finora non è stato considerato problematico; soprattutto rispetto alle banche italiane o greche. Tuttavia l'esposizione delle banche spagnole al debito turco rimetterà in discussione questo assunto. La seconda banca spagnola, BBVA, controlla il 49,9% della banca turca Garanti, che ha già fatto registrare un aumento dei prestiti non performanti. Le banche spagnole hanno anche guidato la corsa al credito delle imprese turche negli ultimi anni, rendendole vulnerabili al rischio d'insolvenza.

Sebbene le banche spagnole siano state di gran lunga i maggiori finanziatori della Turchia, anche le banche francesi, italiane e tedesche hanno un'esposizione significativa al debito turco. Ciò è già diventato problematico dall'insorgere delle turbolenze turche la scorsa estate, quando gli investitori hanno scaricato le azioni e i prezzi delle banche dell'Eurozona hanno subito forti colpi. Tra quelle messe peggio ci sono BBVA, Unicredit e PNB Paribas. Eppure tutto questo non è niente in confronto al danno che una crisi monetaria prolungata e un rischio d'insolvenza crescente possono infliggere al già vulnerabile settore bancario europeo.



Lezioni chiave

Complessivamente i problemi della Turchia sono l'ennesimo promemoria della fragilità dell'attuale sistema monetario e del settore bancario, nonché delle debolezze sistemiche e dell'inevitabile insostenibilità di un'economia pianificata centralmente e del denaro fiat.

Dopo tutto il valore della lira, come quello di qualsiasi altra valuta fiat, dipende dalla fiducia che la gente ripone nell'istituzione che la emette. Una volta che viene compromessa o addirittura persa, nessuna misura dei pianificatori centrali può stabilizzarla. Lo abbiamo visto negli ultimi mesi in Turchia, con il governo che ha tentato un'ampia varietà di approcci per controllare il calo della valuta, senza successo. Ciò dimostra chiaramente la natura fragile dell'intero sistema.

Con il crollo della valuta turca, la domanda di oro è più che raddoppiata nel Paese. Infatti il metallo giallo ha raggiunto massimi di prezzo storici in lire turche, come ci si può aspettare in tempi di crisi. Le richieste pubbliche di Erdogan ai cittadini (vendere l'oro e acquistare la lira per aiutare a difendere il Paese dagli "attacchi economici" esteri) sono state chiaramente ignorate. I consumatori si sono accalcati sul metallo prezioso in risposta al deterioramento della valuta fiat e sin dallo scorso dicembre le importazioni di oro in Turchia sono aumentate di otto volte, mentre negli ultimi due anni la stessa banca centrale turca ha aumentato drasticamente le sue riserve auree ufficiali.


Mentre il Paese si unisce alla lunga lista di nazioni che sono arrivate a rimpiangere l'interventismo sconsiderato e la manipolazione monetaria, la Turchia incarna un messaggio forte a quegli investitori che sono abbastanza saggi da leggerlo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 15 aprile 2019

L'Europa sta rallentando e la BCE non è pronta





di Claudio Grass


Alla fine di gennaio, solo un mese dopo la fine ufficiale del programma di QE della Banca Centrale Europea (BCE), Mario Draghi ha dichiarato alla commissione del Parlamento europeo che la banca centrale potrebbe riprendere i propri acquisti obbligazionari, in uno sforzo discutibile per attenuare le preoccupazioni sull'impatto del cambiamento della sua politica monetaria. Mentre l'economia europea mostra chiari segnali di rallentamento, i dubbi si stanno moltiplicando sulla sostenibilità dei piani della BCE, sull'efficacia delle sue misure e sulla sua capacità di sostenere l'economia, qualora dovesse verificarsi un'altra crisi.



Le vulnerabilità dell'economia europea

I dati più recenti della produzione industriale della zona Euro hanno rivelato un calo molto preoccupante: 0,9%, più del doppio delle previsioni di dicembre. Su base annua la crisi è stata la peggiore sin dalla Grande Recessione.

Fonte: Eurostat, Bloomberg

Nel frattempo la Germania, il motore economico di tutto il blocco, ha più volte mostrato segni di debolezza, giustificando e riaffermando le diffuse preoccupazioni sul futuro dell'economia europea. L'economia tedesca ha subito una brusca battuta d'arresto, con gli ultimi dati sulla crescita che indicano che è rimasta invariata nell'ultimo trimestre del 2018. Sfatando le già cupe previsioni di uno 0,1%, ha trainato la maggior parte dei suoi pari nell'area Euro con una crescita media dello 0,2%. Essendo arrivata così vicino al territorio della recessione e senza segni positivi all'orizzonte, un rimbalzo in questa fase appare molto improbabile. Come il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha detto il mese scorso in un discorso, la crisi economica potrebbe durare più a lungo di quanto si pensasse in precedenza e "le cattive notizie per l'economia tedesca potrebbero continuare per un bel po' ".

Dopo una lunga serie di rapporti preoccupanti e dati economici deludenti, le aspettative per le prestazioni europee sono state ridimensionate, con la Commissione europea che ha annunciato significative revisioni al ribasso per molte delle principali economie della zona Euro. Nel complesso le sue previsioni di crescita per il 2019 sono state ridotte all'1,3% a febbraio, una notevole riduzione rispetto all'1,9% previsto a novembre. Nonostante la revisione al ribasso, molti analisti ritengono che le aspettative siano ancora eccessivamente ottimistiche e per il 2019 proiettano invece una realtà economica peggiore. Come Citigroup afferma in una nota: "Il rischio di recessione è ovunque, ma più imminente in Europa che negli Stati Uniti".

Fonte: Commissione europea, Bloomberg

Questi rischi sono davvero difficili da ignorare. Per prima cosa, l'Italia è una fonte di grandi preoccupazioni, sia a livello economico che politico. La terza maggiore economia dell'Eurozona sta crollando sotto la pressione del suo enorme debito pubblico, mentre è ufficialmente entrata in recessione, facendo registrare una contrazione economica dello 0,2% nell'ultimo trimestre. Anche la Brexit è un importante fattore di rischio, poiché il tempo stringe e anche le speranze di un divorzio amichevole e una transizione graduale. Per quanto riguarda le controversie commerciali con gli Stati Uniti, le minacce di introdurre pesanti dazi, soprattutto nel settore automobilistico, hanno generato nuove pressioni ed oscurato ulteriormente le prospettive economiche del blocco europeo.

La regione è stata anche tormentata da proteste e disordini pubblici persistenti e diffusi. Il noto movimento Gilet Gialli, nato in Francia ma che presto ha messo radici anche in altri stati membri, non mostra segni di esaurimento. Al contrario, le figure di spicco dei gilet gialli francesi stanno già pianificando la loro transizione dalle strade all'arena politica, presentando una seria sfida allo status quo. Allo stesso tempo, il presidente Macron e il suo governo, ampiamente impopolare, stanno intensificando i loro sforzi per sedare il movimento, dispiegando metodi sempre più violenti per controllare la folla. Le crescenti brutalità riscontrate nelle recenti proteste hanno suscitato preoccupazioni sull'uso delle forze di polizia e sono solo servite ad infiammare ulteriormente i manifestanti.

Il rallentamento economico e le tensioni politiche hanno formato un cocktail tossico che conferma le aspettative negative e le paure di una prossima recessione in Europa, la quale potrebbe minacciare l'economia globale. Le grandi aziende del blocco europeo stanno già proiettando un pronunciato pessimismo per il futuro, con aziende tedesche come Leoni AG che hanno sospeso i pagamenti dei dividendi dopo che i guadagni sono diminuiti più del previsto e Daimler AG sta preparando un programma "globale" di riduzione dei costi, dopo aver segnalato un 28% di utili netti in calo nel 2018. Una recente indagine sui CFO condotta dalla Duke University ha mostrato che il 66,7% si aspetta una recessione entro la fine di quest'anno in Europa. A livello globale, un sondaggio della Bank of America Merrill Lynch ha rivelato che le aspettative pessimistiche sono al punto più alto sin dal dicembre 2011.



A corto di munizioni

Tenendo presente i rischi e le numerose indicazioni che puntano ad una imminente recessione economica, la prontezza tattica della BCE è di fondamentale importanza, poiché la Banca Centrale Europea sarà nuovamente chiamata a salvare capre e cavoli. Ecco perché la BCE, nel suo attuale stato di impreparazione e con la sua mancanza di munizioni per combattere la prossima recessione, è estremamente vulnerabile.

Negli ultimi anni è diventato evidente che la BCE ha reagito lentamente e, quando lo ha fatto, ha ottenuto troppo poco troppo tardi. In termini di normalizzazione, ha chiaramente perso l'opportunità di ridurre il proprio sostegno in tempo utile per prepararsi alla recessione economica. Prolungando oltremodo il suo programma di QE e tassi d'interesse negativi, la banca centrale è all'angolo ormai. Mentre la sua controparte americana è stata molto più veloce ad invertire la rotta, col rialzo dei tassi ed il suo quantitative tightening, la cronica riluttanza della BCE e la paura di scatenare una crisi nei mercati l'hanno posta in grave svantaggio. L'inadeguatezza della banca centrale diventerà molto evidente non appena inizierà la prossima recessione.

La BCE ha messo fine al suo programma di QE a dicembre, una mossa che è arrivata quattro anni dopo la FED e probabilmente troppo tardi, poiché ormai nuvole scure si stavano già addensando all'orizzonte dell'economia europea. Inoltre, mentre ha ufficialmente concluso l'acquisto di nuove obbligazioni, la BCE continua a rinnovare quelle esistenti che detiene, almeno fino a quando non annuncerà un cambio di strategia. Fino a questo punto la sua politica sui tassi d'interesse è rimasta invariata e non vi sono piani per un loro rialzo fino alla fine del 2019.

Nel complesso, sotto la supervisione di Draghi, il bilancio della BCE è balzato a livelli inimmaginabili e politiche aggressive come l'ampio programma di QE ed i tassi negativi hanno favorito l'accumulo di debito e meccanismi di mercato fortemente distorti.


Decine di aziende "zombi", che altrimenti sarebbero morte senza il supporto artificiale del credito a basso costo, stanno ora infestando la maggior parte delle grandi economie. L'incoraggiamento e l'incentivazione mirata del debito rispetto al risparmio o agli investimenti prudenti hanno creato una montagna tossica di crediti inesigibili. Se si innesca una valanga di default, è improbabile che il settore bancario, già sofferente e altamente vulnerabile, sia in grado di assorbire lo shock.

Allo stesso tempo, i principali Paesi europei stanno annegando nel debito pubblico e non sono in grado di utilizzare misure fiscali e programmi di stimolo per rianimare le loro economie. Inoltre milioni di pensionati e risparmiatori sono stati costantemente penalizzati per la loro gestione finanziaria oculata e responsabile, mentre sono state incoraggiate le spese spericolate con denaro preso in prestito. Poiché i rendimenti sono svaniti dai veicoli d'investimento che un tempo erano considerati opzioni sicure da coloro che avevano una tolleranza per un profilo di rischio basso, anche gli investitori responsabili sono stati obbligati nelle aree più rischiose del mercato affinché potessero ottenere prestazioni positive.

Oltre ad un impatto economico negativo, queste politiche hanno anche alimentato divisioni sociali. Mentre quelli in cima alla piramide vedevano aumentare il valore dei loro asset, alla grande maggioranza della popolazione, che non ha tratto vantaggio dai prezzi più alti delle azioni, è stata negata la possibilità di beneficiare dalla frugalità. Tali ingiusti vantaggi hanno contribuito in modo significativo alle tensioni politiche che vediamo oggi. L'ascesa del populismo in tutto il mondo può essere ricondotta alle disparità che sono state incoraggiate da suddette politiche e all'ampliamento della divisione socioeconomica cui hanno contribuito. Ciò che è ancora più preoccupante è l'escalation di questo attrito e del conflitto interno in caso di crisi. Dato che ci sono molti focolai già diffusi in molte nazioni europee, una recessione potrebbe far divampare un incendio imponente.

In questa fase difficilmente ci si può aspettare che la fine degli acquisti di obbligazioni mensili faccia la differenza. Qualsiasi tentativo da parte della BCE di un'inversione di queste politiche non è solo destinato a fallire, ma rischia anche di innescare un tracollo economico.



Implicazioni per gli investitori

Dopo gli ultimi sviluppi ed una lunga serie di cattive notizie (es. le revisioni al ribasso delle previsioni economiche ed il rallentamento economico sia in Europa che a livello mondiale), gli investitori hanno iniziato a spostarsi verso approcci di rischio diversi ed a gravitare verso i beni rifugio. Il prezzo dell'oro ne ha già beneficiato considerevolmente, poiché il metallo prezioso sembra essere entrato in una fase decisiva. Alla fine di gennaio il prezzo dell'oro ha superato la barriera dei $1300 e continua a librarsi al di sopra di essa sin da allora.

Questo recente aumento dell'interesse degli investitori per il metallo giallo è una buona notizia per chi lo possiede, ma la salita della domanda che seguirà l'inizio di una recessione farà impallidire quella attuale. La maggior parte degli analisti e delle previsioni sono già positivi per quest'anno, anche se il potenziale per una grave recessione non è stato ampiamente preso in considerazione. Quindi solo dal punto di vista delle prestazioni ora è un ottimo momento per espandere le proprie riserve di metalli preziosi.


Tuttavia l'oro è destinato a svolgere un ruolo molto più importante negli anni a venire. Con un numero crescente di analisti, investitori ed economisti che prevedono una recessione entro il 2020, prepararsi agli scenari peggiori è una scelta saggia. A differenza della crisi del 2008, quando le banche centrali avevano ancora munizioni da sparare, il prossimo crollo le coglierà sprovviste di misure con cui agire. Se il QE ed i tassi d'interesse estremamente bassi sono stati criticati come misure radicali, eccessivamente zelanti e pericolosamente aggressive, la reazione delle banche centrali alla prossima recessione sarà probabilmente ancora più spericolata.

Data tale prospettiva, è probabile che la BCE, non avendo imparato nulla dagli errori del passato, cercherà di evitare il disastro stampando più denaro e usando il credito a basso costo come panacea. Naturalmente questo scenario sarebbe molto vantaggioso per l'oro, specialmente in termini di euro. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, non possiamo ancora sapere quanti soldi verranno immessi sul mercato in questo scenario e dobbiamo osservare la pressione che l'USD potrebbe esercitare sull'oro. Tuttavia gli Stati Uniti non sono troppo entusiasti di un dollaro forte e quindi, da un certo punto in poi, possiamo aspettarci che anche la FED inizi a stampare.

Nel complesso, poiché sta salendo il rischio di una recessione, diventa sempre più chiaro che questa volta sarà diverso: con pochi strumenti a loro disposizione, il presupposto "venire in soccorso dei mercati" è destinato a spingere ulteriormente i banchieri centrali in territorio sperimentale, con risultati imprevedibili e pericolosi. Pertanto per l'investitore prudente pianificare in anticipo tali eventualità è fondamentale per proteggere e preservare la propria ricchezza. I metalli preziosi e le criptovalute svolgeranno un ruolo essenziale per soddisfare tale obiettivo. 


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 3 aprile 2019

Il rallentamento della Cina sta mettendo in evidenza le crepe nell'economia mondiale





di Claudio Grass


Gli ultimi numeri pubblicati dall'ufficio statistico cinese hanno alimentato timori riguardo le prospettive dell'economia mondiale, dal momento che la superpotenza asiatica ha fatto registrare il tasso di crescita più lento sin dal 1990. I dati mostrano una crescita del 6,6% per il 2018, confermando l'opinione diffusa che il motore della crescita economica mondiale sta perdendo energia.



Le vulnerabilità vanno al di là della guerra commerciale

L'indebolimento della crescita della Cina è stato ampiamente attribuito alle frizioni commerciali con gli Stati Uniti. In una certa misura questo è vero, in quanto la controversia commerciale pesa su entrambi i Paesi con miliardi di dollari di dazi da una parte e dall'altra. Il "cessate il fuoco" di 3 mesi concordato durante l'ultima conferenza del G20 a Buenos Aires si è concluso tre giorni fa e se non si raggiungerà un nuovo accordo, le ostilità sono destinate a riprendere. Donald Trump ha minacciato un dazio del 25% su $200 miliardi di importazioni cinesi, un passo che alimenterà forti pressioni sulla già vulnerabile economia cinese e ne peggiorerà le prospettive.


Tuttavia la guerra commerciale è solo uno dei tanti problemi della Cina. Anche se sarà siglato un nuovo accordo commerciale, sarà probabilmente solo temporaneo. Le ragioni del rallentamento della crescita sono molto più profonde e dipingono un'immagine davvero preoccupante del futuro. E mentre le crepe stanno appena iniziando ad uscire fuori, le loro origini risalgono addirittura al 2008.

All'indomani della crisi finanziaria, la Cina sembrava essere uno dei pochi Paesi ad esserne uscita incolume. Mentre i suoi pari occidentali sprofondavano nel caos e nella disperazione, la sua economia continuava ad andare bene, quasi come se nulla fosse realmente cambiato. Tuttavia questa situazione ha avuto un costo estremamente elevato. La Cina ha accumulato una quantità senza precedenti di debito. Già a metà del 2018 il debito pubblico totale in rapporto al PIL era salito oltre il 250%, un'esplosione gigantesca dal 140% di un decennio prima. Oggi, secondo i numeri di Goldman Sachs, supera il 300%, rendendo vani gli sforzi del governo di progettare un "atterraggio morbido".


Mentre il governo cinese cercava di ridurre la leva finanziaria e di frenare alcuni dei suoi eccessi passati, l'entità del danno è iniziata a venire alla luce. Il Paese è pieno di fabbriche in perdita, con capacità produttiva in eccesso e società "zombi" insolventi, tutte parti di un'economia creata dal debito, dalla corruzione e dall'estrema centralizzazione del potere nelle mani del Partito comunista cinese. Dopo anni di spese aziendali folli con denaro preso in prestito, nel 2018 il tasso di insolvenza del debito societario ha stabilito nuovi record.

Anche il settore bancario è paralizzato, con prestiti non performanti che raggiungono il livello più alto da un decennio a questa parte. Poiché le cifre ufficiali della Cina sono in gran parte inattendibili, l'analisi indipendente e le stime condotte dalla ricerca autonoma ci dicono che le perdite effettive delle banche cinesi arrivano a $8.500 miliardi. Tale cifra rappresenta il 24% del credito totale, moltiplicando per cinque le stime delle proiezioni ufficiali riguardo i prestiti su cui i debitori non riescono a tenere il passo con rate pianificate o pagamenti degli interessi.

Anche i deflussi di capitali rappresentano una seria sfida: nonostante le severe misure del Paese e gli sforzi per prevenirli, la fuga di capitali è dilagante. Gli investitori cinesi sono stati accusati di far salire i prezzi degli immobili in molte capitali occidentali, un concetto non del tutto infondato visto che nel 2018, secondo la National Association of Realtors, sono risultati i migliori compratori di immobili residenziali negli Stati Uniti per sei anni consecutivi.

Infine anche le prospettive di lungo termine della Cina appaiono fosche. Le tendenze demografiche rappresentano un pesante onere per il Paese e per la sua capacità di sostenere la crescita economica. Nonostante gli sforzi del governo negli ultimi anni per incoraggiare i suoi cittadini ad avere più figli, gli ultimi dati mostrano che il tasso di natalità sta raggiungendo i livelli minimi sin dal 1949, poiché il numero di bambini nati in Cina nel 2018 è sceso di 2 milioni. Sebbene nel 2016 il Paese abbia finalmente allentato la politica del figlio unico, i tassi di natalità non sono aumentati, mentre a lungo termine sono stati arrecati gravi danni al suo sviluppo sociale ed economico. Oltre alla palese repressione e alle violazioni dei diritti umani (che si stima abbia prevenuto circa 400 milioni di nascite), ha anche provocato una diminuzione della forza lavoro, squilibri di genere e l'aumento di quella parte di popolazione composta da vecchi. Secondo uno studio della China Academy of Social Sciences (CASS), la popolazione del Paese, ora a 1,4 miliardi, dovrebbe raggiungere un picco di 1,44 miliardi entro il 2029. Successivamente si prevede che entrerà in un periodo prolungato di "inarrestabile" declino, con la popolazione nella forza lavoro che scenderà di ben 200 milioni entro il 2050, mentre la proporzione di pensionati è destinata ad aumentare costantemente fino al 2060.



Impatto a livello globale

L'economia cinese rappresenta quasi un terzo della crescita mondiale e ha il primato nel commercio mondiale, trainandosi dietro tutti gli altri Paesi. Ciò significa che un rallentamento economico non è solo un problema della Cina, influisce su molti Paesi che hanno diversi gradi di esposizione alla superpotenza asiatica. Alla fine di gennaio il Fondo Monetario Internazionale ha tagliato le sue stime riguardo la crescita globale al 3,5%, un calo notevole rispetto al tasso del 3,7% registrato nel 2018 e un'inversione rispetto ai tassi di crescita degli anni precedenti. Questo pessimismo è tutt'altro che esclusivo al FMI, perché anche le previsioni della Banca mondiale e dell'OCSE sono altrettanto pessimiste. Tra le ragioni comuni per il rallentamento della crescita c'è la preoccupazione per la Cina. Come ha avvertito Citigroup in una nota a metà gennaio, un crollo in Cina può "spazzare via l'economia globale".

Un rallentamento economico sarebbe particolarmente doloroso per l'Asia e per molti mercati emergenti, poiché per gran parte dell'ultimo decennio sono diventati dipendenti dalla Cina e dalla sua robusta domanda di materie prime e materiali. Tuttavia non sarà solo l'Asia a risentire dell'impatto della contrazione della domanda: anche Germania, Stati Uniti e Australia sono fortemente esposti a questo rischio. Ciò è particolarmente preoccupante nel caso della Germania, poiché essa gioca un ruolo decisivo nel futuro economico dell'Eurozona. Dato che è già debole e si trova di fronte a forti venti contrari, le ulteriori pressioni provenienti dalla Cina non potrebbero arrivare in un momento peggiore.

L'impatto delle preoccupazioni economiche in Cina è già stato avvertito da aziende di livello internazionale. Le vendite di auto in Cina sono scese ad un minimo di 7 anni, indebolendo case automobilistiche come Volkswagen e Toyota, mentre un significativo calo delle vendite di iPhone ha inferto un duro colpo al prezzo delle azioni di Apple.

Nel complesso, i problemi affrontati dalla Cina erano ampiamente prevedibili. Una nazione sepolta da montagne di debiti avrebbe dovuto affrontare l'elefante nella stanza: la crescita alimentata dal credito è solo un'illusione e non è sostenibile. A mano a mano che la realtà bussa alle sue porte, le cupe previsioni per la Cina dovrebbero servire da monito per gli investitori in Occidente, dove i governi hanno tentato di usare gli stessi metodi per sostenere le loro economie.

A questo punto il danno è irreversibile e l'imminente rallentamento economico globale esporrà le profonde crepe nel nostro sistema. Per gli investitori, mentre la tempesta inizia ad insinuarsi, è giunto il momento di adottare misure proattive e proteggere la propria ricchezza attraverso un solido portafoglio di metalli preziosi e criptovalute.

Infine, è particolarmente significativo il fatto che la Cina abbia accelerato i suoi acquisti di oro negli ultimi decenni e aggiunto grandi quantità alle sue riserve. Sebbene la People's Bank of China (PBoC) si collochi ancora al quinto posto tra le nazioni del mondo che accaparrano oro, le stime dei possedimenti totali d'oro tra gli individui, le grandi aziende ed i minatori segnalano 20.000 tonnellate. Questo dimostra che le persone hanno capito da molto tempo che se si vuole essere indipendenti, bisogna proteggere la propria ricchezza ed i propri risparmi con un asset che non può essere creato dal nulla, svalutato e manipolato arbitrariamente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 1 aprile 2019

Cosa accade all'Europa quando l'economia della Germania rallenta?





di Claudio Grass


Fino a poco tempo fa la Germania era il cavallo da corsa, apparentemente indistruttibile, che ha allontanato l'economia europea dall'orlo del baratro e l'ha tenuta compatta attraverso una miriade di pressioni interne ed esterne, nonché crisi politiche, nell'ultimo decennio. Quale leader innegabile del blocco europeo, il Paese tedesco ha guidato e supportato piani di salvataggio per i soggetti più deboli dell'Eurozona, nonché una serie di politiche controverse che miravano ad una maggiore centralizzazione dell'UE. Tuttavia, con nuvole nere che ora si addensano all'orizzonte riguardo le prospettive economiche della Germania, stanno aumentando le preoccupazioni sui potenziali effetti a catena sull'intera unione monetaria.



Scendere sotto le aspettative

Le tensioni commerciali, la minaccia di una hard Brexit e la debole crescita dei mercati emergenti hanno contribuito a smorzare la ripresa economica della Germania durata nove anni. Il 2018 è stato un anno difficile per il terzo esportatore mondiale, poiché la Germania ha visto diminuire il suo surplus commerciale. Con le importazioni che crescono più velocemente delle esportazioni, l'impatto delle dispute commerciali tra gli Stati Uniti e Cina/Unione Europea è stato ampiamente sentito dai leader nel settore industriale.

I dati recenti gettano grandi ombre sul formidabile settore manifatturiero tedesco, con una produzione industriale molto inferiore alle attese. A novembre la produzione industriale è diminuita dell'1,9%, mentre il calo anno/anno è stato del 4,7%. Queste cifre, le peggiori dalla fine della crisi del 2008, stanno facendo sorgere timori tra gli investitori e gli analisti di una recessione imminente.

Inoltre è improbabile che il nuovo anno riesca ad invertire questo trend, poiché si prevede che l'economia tedesca cresca ad un tasso inferiore all'1,5%, una stima rivista verso il basso da marzo. Allo stesso tempo il sentimento da parte dei leader del settore industriale e degli investitori si sta spostando dalla prudenza al puro pessimismo per ciò che ci aspetta. Secondo un recente sondaggio dell'associazione di categoria BVMW, il 53% delle piccole e medie imprese tedesche ritiene che il paese scivolerà in recessione il prossimo anno.



Fattori aggravanti

Il rallentamento economico può avere gravi conseguenze in sé e per sé, tuttavia la situazione è destinata a peggiorare a causa di una serie di sviluppi esterni ed interni. In primo luogo, poiché la Banca Centrale Europea (BCE) si sforza di normalizzare la propria posizione monetaria, il contesto estremamente accomodante in cui i mercati e le società hanno operato negli ultimi anni diventerà un lontano ricordo.

Le forze interne contribuiranno ad andare contro l'economia tedesca, con il mercato del lavoro che è diventato uno dei problemi chiave. La crescente penuria di lavoratori qualificati ha messo in grosse difficoltà i datori di lavoro ed è stata dannosa per le loro operazioni. In media ci vogliono 100 giorni affinché un'azienda riempia un posto vacante ed i settori più duramente colpiti sono quelli dell'industria tecnologica, edilizia e sanità. Come mostra una nuova relazione dell'istituto di ricerca economica Prognos, il problema è destinato a peggiorare. La relazione prevede una carenza di circa 3 milioni di lavoratori qualificati entro il 2030, stima che salirà a 3,3 milioni entro il 2040. I dati demografici della Germania, in particolare i bassi tassi di natalità, sono i principali colpevoli di questo disallineamento, in quanto la prossima generazione di lavoratori non sarà sufficiente a sostituire la popolazione attiva che si sta ora spostando verso la pensione. L'ondata migratoria iniziata nel 2015, nonostante le previsioni contrarie, non è riuscita a colmare tale lacuna, poiché l'integrazione nella forza lavoro è ampiamente fallita e la maggior parte dei candidati non ha le competenze linguistiche e tecniche richieste per coprire i posti vacanti.

La carenza di manodopera è una ferita auto-inflitta per la Germania, proprio come i problemi nel settore dei servizi. L'eccessiva regolamentazione, gli ampi interventi e le inevitabili inefficienze di un'economia pianificata centralmente stanno creando ostacoli significativi che frenano la crescita e la competitività. Requisiti eccessivamente restrittivi e imposti dallo stato per l'accesso a varie professioni riducono drasticamente il numero di candidati idonei, rendendo ancora più difficile per i datori di lavoro riempire i posti vacanti. Inoltre i costi esorbitanti di previdenza sociale ed altre imposte, nonché le severe restrizioni sulle condizioni di licenziamento dei dipendenti, impongono un pesante onere sulle aziende, in particolare per coloro che cercano di competere a livello internazionale. In altre parole, la demografia è uno dei candidati per spiegare le difficoltà tedesche, ma il suo ruolo dannoso è ampiamente amplificato dalle inefficienze sistemiche esistenti e dalle restrizioni al mercato.

Ultimo, ma non meno importante, è il profilo dell'economia tedesca stessa. Nonostante la retorica dell'ottimismo e le proposte che ascoltiamo regolarmente dal governo tedesco e dai suoi rappresentanti, la maggior parte delle idee non sono passate dalla teoria alla pratica. Il Paese non è riuscito a sfruttare i suoi anni di boom per migliorare la competitività del suo settore dei servizi, modernizzare e digitalizzare aspetti chiave del suo settore industriale, fare passi in avanti sulla riforma fiscale o imporre misure significative per sostenere le pensioni che sono vicino al punto di rottura. In altre parole, aver perso l'opportunità di prepararsi potrebbe rivelarsi una mancanza fatale quando la Germania dovrà rispondere alla prossima crisi economica.



Effetto domino

Il ruolo della Germania come locomotiva dell'intero blocco europeo è stato cruciale nell'ultimo decennio e le crepe nella sua economia non potevano emergere in un momento peggiore. L'Eurozona nel suo insieme sta già affrontando forti venti contrari, con stime di crescita che già fanno segnare nuovi minimi. Secondo un recente sondaggio condotto dal Consensus Economics, la crescita del PIL per il 2019 sarà appena al di sotto dell'1,6%, ovvero dello 0,4% in meno rispetto alla precedente previsione di marzo. Questo sarebbe il secondo calo consecutivo annuale, con i dati sulla crescita per il 2018 inizialmente previsti all'1,9%, molto al di sotto del 2,4% registrato nel 2017.

Non scordiamoci delle pressioni periferiche, sia economiche che politiche. La Francia, un tempo alleato politico affidabile della Germania e una forte presenza economica nell'Unione Europea, è gravemente indebolita da disordini interni e perdita di fiducia della popolazione nei confronti del governo, mentre per la prima volta sin dal 2016 il suo settore privato è scivolato in una contrazione. L'Austria, anch'essa ex-sostenitrice delle iniziative tedesche nell'UE, si è spostata su una posizione più critica, opponendosi ferocemente alle proposte di migrazione guidate dalla Germania e schierandosi invece con Ungheria, Polonia e altri stati membri che la pensano allo stesso modo. Nel frattempo la prospettiva di una Brexit "senza accordo", una volta impensabile per Bruxelles, sta lentamente prendendo piede, così come le sue implicazioni economiche per il blocco europeo.

Sullo sfondo delle tensioni sociali e politiche che sono spuntate in tutto il continente da oltre due anni, le elezioni del Parlamento europeo che si terranno a maggio di quest'anno suscitano timori di una "rimonta" euroscettica. Profonde divisioni ed una cronica mancanza di dialogo hanno significativamente indebolito la coesione sociale in Europa, attenuando la voce dell'individuo e spostando il potere sulle strutture di gruppo e sulle identità collettive. I dibattiti su questioni politiche ed economiche vitali sono stati in gran parte sostituiti da discussioni inutili, semplicistiche e populiste, poiché l'interesse pubblico per la politica e la fiducia nei politici sono colati a picco. La recente sommossa dei "Gilet Gialli" ha ispirato proteste in tutto il continente, fornendo forti segni di questo pubblico scontento nei confronti dello status quo.

Complessivamente sembrerebbe che la Germania sia come la corda che mantiene unito il blocco europeo e se si dovesse spezzare, potrebbero emergere molteplici problemi che minaccerebbero il futuro dell'Eurozona e la coesione dell'UE. A causa delle crescenti difficoltà politiche e del rallentamento economico, le prospettive per i mercati europei e per l'euro sono tutt'altro che incoraggianti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 21 febbraio 2019

Denaro: come il suo passato ne predice il futuro





di Claudio Grass


Cos'è il denaro, da dove viene e, ancora più importante, dove va a finire?

A prima vista potrebbe sembrare inesplicabile e bizzarro che i nostri governi ed i nostri governanti siano riusciti a mantenere la loro presa sul sistema monetario per 2.000 anni, specialmente quando si pensa agli innumerevoli modi in cui hanno abusato di tal potere e usato il loro monopolio a danno dei propri cittadini. È stata un'illusione di massa che ha facilitato tutto questo, una convinzione cieca che loro, e loro solamente, possono essere degni di fiducia per questo compito vitale, poiché apparentemente in grado di badare ai nostri migliori interessi. Tuttavia, ora che la sfiducia nei confronti dei nostri governanti sta giustamente sbiadendo, sta diventando sempre più chiaro che solo noi come individui possiamo badare ai nostri interessi ed è solo una questione di tempo prima che l'intero castello di carte cada a terra.

Per rispondere a tutte queste domande sul denaro dobbiamo prima capire la sua storia, tenendo presente che coloro che non conoscono la storia sono condannati a riviverla. Tutto è iniziato quando le persone sono diventate stanziali e invece di vivere nello stato di natura hanno iniziato a sfruttarla; questo fu l'inizio dei diritti della proprietà privata. Inoltre gli uomini hanno iniziato a rendersi conto che alcune persone erano più brave a svolgere compiti specifici rispetto ad altre e quindi mettere in atto ciò che oggi conosciamo come divisione del lavoro. Questi cambiamenti migliorarono la produzione economica e in generale tutti ne beneficiarono. Questa transizione nel modo in cui veniva svolto un lavoro in un'economia, rese necessario il commercio tra gli individui. Così il baratto, o lo scambio di beni e servizi reali con altri beni e servizi reali, divenne una pratica comune. Anche il baratto aveva i suoi svantaggi, perché richiedeva quella che è nota come "doppia coincidenza dei desideri" per poter funzionare. Ad esempio, per poter scambiare la vostra mucca con tre capre in un'economia caratterizzata dal baratto, dovevate prima trovare qualcuno che volesse una mucca, avesse tre capre e fosse disposto a scambiarle con la vostra mucca.

Il concetto di denaro, tuttavia, liberò tutti gli operatori di mercato da questo onere ed eliminò tali inefficienze; offrì la possibilità di utilizzare una merce, o più precisamente, un hard asset di valore ampiamente riconosciuto e accettato, che servisse "a riempire il vuoto" di quei desideri non coincidenti. Nel corso della storia umana, molte cose sono servite come denaro, dal bestiame al tabacco alle conchiglie e alle perle. Ancora oggi usiamo parole che provengono da quei tempi e derivano dal latino, come "salario", sale che veniva usato come mezzo di pagamento per i soldati durante l'Impero Romano.

Nel corso di migliaia di anni i metalli preziosi, e in particolare l'oro e l'argento, sono emersi come la migliore forma di denaro, con l'oro che alla fine ha prevalso sul mercato. L'oro è stato quindi scelto in modo organico e come risultato di un processo di selezione naturale e decentralizzato. Perché? Perché le persone conferivano valore all'oro come merce ancor prima che diventasse denaro. Pertanto il denaro reale non viene in essere a causa della coercizione o di un decreto. È, in sostanza, un processo di mercato, in cui gli attori di mercato decidono liberamente quale mezzo di scambio utilizzare. L'oro e l'argento erano facilmente riconoscibili e trasportabili, erano rari e quindi assolvevano la funzione di deposito di valore privo di rischi di controparte.

La gente oggi, specialmente in Occidente, ha dimenticato che il denaro cartaceo rappresentava un semplice titolo di proprietà per una certa quantità di oro o argento. Anche in passato non era considerato saggio camminare con troppe monete d'oro o d'argento in tasca, così la gente iniziò a depositare il proprio oro presso gli orafi, i quali in cambio chiedevano un deposito per la custodia. I depositanti erano ancora i proprietari e l'oro non poteva essere prestato, mentre ricevevano una ricevuta per i loro depositi. Con il passare del tempo, questi biglietti divennero un mezzo di pagamento, poiché erano un titolo di proprietà sull'oro e quindi "buoni come l'oro". Questo sviluppo diede origine al sistema bancario moderno e alla dematerializzazione del denaro.

L'avidità, tuttavia, prese il sopravvento e gli orafi vollero fare più soldi. Il primo caso documentato di frode da parte di un "banchiere" risale all'anno 393 a.C. Isocrate descrive come il banchiere "Passio" usava tangenti e documenti falsificati per appropriarsi indebitamente dell'oro che era stato affidato alla sua "banca". Diventò una pratica largamente usata tra gli orafi prestare l'oro che era stato loro consegnato per sicurezza e guadagnare interessi sul prestito dell'oro attraverso le ricevute. Poiché queste ultime erano percepite come oro, creavano denaro dal nulla e si guadagnava un interesse su di esso. Questo schema di Ponzi funzionava bene finché la gente aveva fiducia nella banca e tutti non si presentavano nello stesso momento a ritirare il loro oro.

La popolazione viene quindi automaticamente divisa in pochi vincitori e molti perdenti. Organizzazioni e istituzioni più vicine alla nuova produzione di denaro, al governo e alle banche centrali, ricevono per primi i soldi creati ex novo e quindi possono acquistare beni ai livelli di prezzo esistenti prima che aumentino a scapito di tutti gli altri, i quali non possono far altro che guardare evaporare i loro risparmi e perdere potere d'acquisto.

Dove possiamo andare da qui? Negli anni '70 Friedrich August von Hayek lo spiegò in un'intervista:
Non saremo mai in grado di prevenire l'inflazione se non togliamo allo stato il monopolio della spesa iniziale del denaro. Gli stati non ci hanno mai dato un buon mezzo di scambio; sì, il fondamento logico per il monopolio degli stati sulla spesa iniziale del denaro non era nemmeno il fatto che ci avrebbero dato un buon mezzo di scambio, ma solo quello che avrebbe permesso loro di finanziarsi. Il risultato è stato che per duemila anni abbiamo avuto un monopolio che nessuno ha messo in dubbio. Quindi, se vogliamo avere una società libera, dobbiamo ricostruire la democrazia e togliere allo stato il monopolio monetario.

Oggi siamo negli stadi iniziali di una rivoluzione come quella auspiacata da Hayek. Proprio come il cambio di paradigma e gli effetti dirompenti di Internet negli anni '90, le applicazioni blockchain e le criptovalute hanno il potenziale per rompere e ricostruire il sistema monetario attuale. La comunicazione decentrata, regole decentralizzate, la produzione decentralizzata e un sistema finanziario decentralizzato possono permetterci di riprendere il controllo e porre fine a tutti gli abusi di potere da parte delle istituzioni centralizzate.

In tale sistema decentralizzato, basato sulla blockchain, le risorse reali possono essere digitalizzate e ogni persona può decidere da sé ciò che vuole utilizzare come denaro. Potranno essere scambiati anche titoli di proprietà su oro fisico, argento o altre materie prime, immobili o azioni di società operanti nel mondo reale. Immaginate il mondo come un mercato globale, connesso, ma totalmente decentralizzato e veramente libero. L'allocazione delle risorse sarà ottimizzata, i talenti umani saranno utilizzati in modo migliore rispetto a oggi, l'innovazione fiorirà, mentre la libertà totale di commerciare con chiunque piaccia, senza barriere e in qualsiasi forma di valuta preferita, ridurrà i costi ed eliminerà tutti gli intermediari e tutti gli oneri e le limitazioni imposte dallo stato.

Se pensate che suona come un lontano futuro, ripensateci. Le startup Fintech ed i progetti su blockchain stanno già lavorando intensamente in tutto il mondo, in particolare nei principali cripto-hub come la Svizzera ed il Liechtenstein. Certo, sarebbe sciocco credere che la transizione verso questo nuovo mondo sarà completamente priva di sfide e difficoltà. Tuttavia, alla fine della fiera, dobbiamo decidere se vogliamo vivere in un sistema che impone e limita le nostre scelte quando si tratta di che tipo di denaro possiamo usare, o se vogliamo reclamare il diritto di prendere le nostre decisioni.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 3 gennaio 2019

Italia: una tempesta all'interno dell'UE





di Claudio Grass


Negli ultimi due anni la principale spina nel fianco alla coesione dell'UE è stata la Brexit, con i media fortemente incentrati sui negoziati e su tutti gli sviluppi rilevanti. Dopo la pubblicazione del progetto di accordo sulla Brexit, largamente percepito come una vittoria per l'UE, coloro che sostengono il progetto europeo e credono in una forte leadership di Bruxelles hanno proiettato fiducia e ottimismo per il futuro. Secondo queste voci, le divisioni causate dall'aumento del nazionalismo e del populismo negli anni passati stanno sparendo, la relazione tra gli stati membri si sta normalizzando ed è alle porte un futuro di stabilità ed armonia.

Tuttavia un punto di vista del genere potrebbe rivelarsi ingenuo, poiché prende sottogamba un rischio molto maggiore per l'UE rispetto a quello della Brexit: la polveriera politica ed economica che è l'Italia.



Il tira & molla sulla bozza di bilancio

Per oltre tre mesi il piano di bilancio del 2019 in Italia e l'attrito che ne è derivato con Bruxelles hanno fatto scalpore e hanno fatto emergere numerose preoccupazioni sulla stabilità economica del Paese e sulle relazioni con l'UE. Il governo italiano, con l'obiettivo di onorare le sue promesse pre-elettorali populiste, ha presentato un bilancio fortemente in disaccordo con i piani e gli obiettivi dei funzionari dell'UE. Acclamato dal governo italiano come un bilancio che "porrà fine alla povertà", il piano include (tra vari altri programmi di spesa e tagli fiscali) un'età pensionabile più bassa e un reddito di base garantito dallo stato di €780. Per finanziare la sua ambiziosa corsa alla spesa, il nuovo governo italiano prevede di aumentare il deficit di bilancio al 2,4% del PIL, un numero che i funzionari dell'UE hanno trovato molto difficile da digerire, soprattutto perché i piani di bilancio dei governi precedenti richiedevano solo un deficit dello 0,8%. Dati i livelli del debito pubblico italiano, i funzionari dell'Eurozona hanno visto una chiara minaccia di instabilità futura, la quale potrebbe facilmente diffondersi in tutto il blocco.

A ottobre le tensioni sono culminate in una mossa senza precedenti da parte della Commissione Europea: il progetto di bilancio italiano è stato respinto e sono state imposte una serie di revisioni. L'Italia ha provocatoriamente annunciato che sarebbe andata avanti per la sua strada e la Commissione ha risposto con minacce di sanzioni e multe significative contro il Paese. Le ammende che la Commissione ha minacciato potrebbero ammontare allo 0,5% del PIL italiano, mentre ulteriori misure disciplinari potrebbero includere il blocco dei fondi di sviluppo. In questa fase una soluzione di compromesso dell'ultimo minuto potrebbe scongiurare le sanzioni, tuttavia l'intera faccenda ha gravemente danneggiato la relazione già tesa tra l'Italia e l'UE.



Una storia di attriti

Mentre la posizione dura della Commissione nei confronti della bozza di bilancio del governo italiano è stata vista da molti come un passo insolitamente aggressivo, è utile ricordare che questa non è la prima volta in cui Bruxelles alza la voce affinché le cose vadano come da loro deciso. A giugno, quando il nuovo governo era ancora in trattative per occupare i posti chiave, Paolo Savona era stato selezionato come prima scelta per ricoprire il ruolo di ministro delle finanze. Professore di economia con esperienza presso la Banca d'Italia, Savona è stato sommariamente scartato a seguito delle pressioni dell'Unione Europea, poiché le sue posizioni non erano in linea con il progetto europeo e ancor meno con la moneta comune, la quale definiva "una gabbia tedesca". Il nascente governo lo nominò ministro per gli affari europei, nominando un candidato molto meno controverso come ministro delle finanze.

Tuttavia è importante notare che i due partiti di cui è composto il governo italiano costituiscono insieme oltre il 50% dei voti. Matteo Salvini, leader del partito nazionalista della Lega, vice primo ministro e ministro dell'interno, ha ripetutamente espresso la sua opposizione all'euro che ha definito "un crimine contro l'umanità" e solo il mese scorso ha detto che "persone come Juncker e Moscovici hanno rovinato l'Europa e il nostro Paese". Il governo di coalizione ha anche chiarito che se l'UE continuerà con questo suo atteggiamento da bullo, non calerà le braghe come ha fatto Grecia, anche se ciò significa turbolenze nei mercati. Invece abbandonerà l'euro e adotterà una valuta parallela; una mossa conosciuta anche come "Piano B."



Una bomba ad orologeria

L'Italia è la terza economia più grande nella zona Euro, ma porta il secondo debito più grande in rapporto al PIL, superata solo dalla Grecia. Con il 131% di tutta la sua produzione economica, il debito pubblico italiano si attesta a oltre €2.300 miliardi. Il Paese l'anno scorso ha speso il 3,7% del suo PIL solo per i pagamenti degli interessi, una cifra che si prevede aumenterà al 3,9% entro il 2020.


A peggiorare le cose, c'è anche la crescita economica che è sostanzialmente piatta. Le proiezioni del governo prevedono una crescita dell'1,5% per il 2019, in netto contrasto con l'ultima previsione di Morgan Stanley di appena lo 0,5%. Queste cifre potrebbero sembrare pessimiste, ma sono coerenti con il record di crescita dell'Italia negli ultimi anni. Dal 2008 il Paese ha attraversato una lunga recessione da cui deve ancora riprendersi. Il PIL pro-capite attuale, aggiustato all'inflazione, è inferiore a quello del 2000.

Inoltre il Paese sta affrontando un grave problema demografico, il quale peggiorerà la sua crisi del debito. Un rapporto dell'ISTAT ha rivelato che il tasso di natalità è nuovamente diminuito nel 2017. Questa persistente tendenza al ribasso degli ultimi anni solleva preoccupazioni significative, poiché, dopo il Giappone, l'Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo in termini di anziani/popolazione totale.

Inoltre le banche italiane sono ancora un anello debole a livello sistemico. Nel complesso le banche europee hanno circa €944 miliardi di prestiti in sofferenza che intasano i loro bilanci. Le banche italiane sono in cima alla lista: detengono €224,2 miliardi di NPL che appesantiscono il settore bancario del Paese.

È quindi chiaro che, a parte l'attrito politico con l'UE, i problemi dell'Italia sono sfaccettati, deteriorati dopo decenni di incuria e arrivano molto in profondità, ponendo un reale rischio sistemico non solo per il Paese stesso ma anche per l'intero blocco europeo. Crescita anemica, settore bancario in difficoltà, debito pubblico enorme, andamento demografico sfavorevole e aumento dei costi di finanziamento formano una combinazione tossica che può seriamente destabilizzare l'Eurozona.



"Troppo grande per essere salvata"

L'ultima volta che l'Italia si è trovata vicino alla bancarotta è stata salvata dalla decisione della BCE di inaugurare un decennio di stampa dil denaro, pesanti interventi nell'economia e massicci acquisti di titoli di stato.

Tuttavia la BCE è ora pronta a fermare ed invertire le misure che hanno alimentato un ambiente favorevole all'intera economia europea dopo l'ultima recessione. Questa decisione potrebbe rivelarsi catastrofica per l'Italia. L'aumento dei tassi d'interesse renderà quasi impossibile il servizio del debito senza incidere sui principali programmi di spesa e sui servizi statali. Senza un sostegno esterno, sistemico ed ampio, il Paese è destinato ad annaspare pesantemente nei prossimi anni. A differenza della Grecia, l'Italia sarà molto più grande da salvare e l'incapacità di farlo avrà implicazioni peggiori.

Mentre i problemi economici hanno una miccia che brucia lentamente e alla fine porterà inevitabilmente ad una grave crisi, sono i problemi politici che potrebbero accelerare questo processo. Le recenti tensioni hanno attirato l'attenzione sulla capacità che Bruxelles ha di interferire con le politiche nazionali e gli affari degli stati membri. È anche servito come prova di quanto sia disposto a spingersi per esercitare questi poteri, se uno stato membro si rifiuta di conformarsi ai suoi dettami.

Inoltre questioni quali il divario sempre più ampio con l'UE sulla migrazione hanno anche accresciuto il malcontento della popolazione. Le implicazioni reali delle sfide che gravano sull'Italia hanno penalizzato la vita media dei cittadini e questo si riflette fortemente nelle loro opinioni e prospettive sul futuro. Secondo uno studio pubblicato ad agosto da Ipsos solo il 16% degli italiani ritiene che la globalizzazione abbia avuto un impatto positivo sull'economia, mentre il 73% afferma che i partiti ed i politici non si preoccupano delle persone reali. Mentre sempre più elettori sono attratti dagli estremi dello spettro politico, la spaccatura tra sinistra e destra continua a crescere.

Sebbene non sia ancora chiaro quale mossa dell'UE il governo italiano interpreterà come "goccia che fa traboccare il vaso" e lo indurrà a ricorrere Piano B, ciò che possiamo dire con certezza è che il progetto europeo, la moneta comune e la burocrazia di Bruxelles non saranno in grado di reggere il colpo rappresentato da un'altra uscita; soprattutto se è l'Italia che decide di andarsene.

Detto questo, dovrebbe anche essere ovvio che i problemi sistemici esistenti dal 2008 non sono scomparsi; al contrario, sono semplicemente peggiorati. Sebbene non possiamo prevedere il futuro, possiamo sicuramente prepararci. Pertanto vorrei chiudere con una citazione di Anthony C. Sutton che una volta disse:
Quelli intrappolati dall'istinto del branco sono annegati negli alluvioni della storia. Ma ci sono sempre i pochi che osservano, ragionano e adottano contromisure, e quindi sfuggono all'alluvione. Per questi pochi, l'oro è stata la risorsa di ultima istanza.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.com/