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giovedì 28 agosto 2025

Il futuro delle cartolarizzazioni in un mondo popolato da crittovalute

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato fuori controllo negli ultimi quattro anni in particolare. Questa una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Omid Malekan

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-futuro-delle-cartolarizzazioni)

Le società nell'elenco Bitcoin Treasury come Strategy sono di gran moda in questo momento. Non passa giorno senza che venga annunciato l'ennesimo veicolo pubblico il cui scopo principale è quello di offrire esposizione alle crittovalute all'interno di un involucro azionario. Sebbene questa soluzione abbia i suoi vantaggi, alcune di queste società non hanno una proposta di valore unica e sono indistinguibili l'una dall'altra. Le loro azioni potrebbero non generare un premio durante un mercato ribassista.

Un approccio migliore è quello di offrire un'azienda che si occupi di ecosistema, che offra un'esposizione completa alle diverse sfaccettature di una specifica blockchain, combinando attività operative con investimenti mirati e fluidi. Mentre le società nell'elenco Bitcoin Treasury sono in definitiva poco più che una beta, un'azienda che si occupa di ecosistema può fornire l'alfa.


Quadro di riferimento

Col senno di poi, i mercati azionari e le crittovalute sono sempre stati destinati l'uno per l'altra. Il mercato azionario è ampio, liquido e ampiamente accessibile; le crittovalute non sono niente di tutto questo, ma una nuova ed entusiasmante classe di asset con un maggiore potenziale di rialzo. Da qui l'interesse di inserire una strategia long sulle crittovalute all'interno di un portafoglio di società quotate, in particolare nei mercati senza ETF sulle crittovalute.

Strategy (ex-MicroStrategy) ha eseguito il piano con successo. Attualmente detiene quasi il 3% di tutti i bitcoin e viene trattato oltre 1,5 volte il valore dei suoi bitcoin. Essendo la prima, e di gran lunga la più grande, società Bitcoin Treasury, ha goduto di un significativo vantaggio da pioniere. Le sue azioni sono altamente liquide, accessibili a investitori istituzionali e retail su innumerevoli piattaforme e ora fanno parte del prestigioso NASDAQ 100. Questa liquidità, insieme al premio sul suo NAV (valore del patrimonio netto), le consente di continuare a emettere più azioni per acquistare più bitcoin. Strategy è stata anche pioniera nell'uso di obbligazioni convertibili per estendere la sua portata (e l'esposizione a Bitcoin) nel mercato del debito.

Rispetto al possesso diretto di bitcoin, i vantaggi di investire in una società Bitcoin Treasury includono:

• Semplificazione della gestione della custodia delle crittovalute, del trattamento fiscale e della rendicontazione;

• Ottenere esposizione alle crittovalute tramite infrastrutture del mercato azionario (custodi, prime broker, ecc.);

• Accessibilità da parte di un'ampia gamma di conti e tipologie di investitori (piani pensionistici, RIA, ecc.);

• Miglior trattamento fiscale delle azioni rispetto alle crittovalute in alcuni Paesi;

• Accesso a un mercato di opzioni più liquido rispetto a quello spot BTC;

• Arbitraggio del mandato di investimento tramite emissione di obbligazioni senior convertibili;

• Monetizzazione di stack di capitale flessibili per la leva finanziaria.

Molti di questi vantaggi sono offerti anche dagli ETF spot su Bitcoin, con l'ulteriore vantaggio di commissioni più basse e strutture di pass-through più pulite. Altri saranno eliminati dalla maggiore maturazione dei mercati spot su Bitcoin, o da nuove leggi che elimineranno le scappatoie normative.

Il fattore più probabile che determina il premio di Strategy rispetto al NAV è la percezione che mercati obbligazionari favorevoli consentiranno di continuare ad acquisire più bitcoin senza diluizione. Tuttavia non vi è alcuna garanzia che la domanda di debito continuerà e può sempre invertirsi a causa della saturazione del mercato, o di un mercato ribassista. L'impossibilità di un rifinanziamento potrebbe portare i detentori di debito esistenti a essere rimborsati tramite azioni di nuova emissione, forzando la diluizione nel momento peggiore possibile.

Ciò non significa che gli sconti sul NAV siano imminenti, o che le aziende non dovrebbero ricorrere alla leva finanziaria, ma piuttosto che le sole operazioni di tesoreria non determineranno necessariamente premi sul NAV, pertanto le crittovalute dovrebbero cercare ulteriori proposte di valore.


Un approccio più sostenibile

Un modo per fare distinzioni è concentrarsi su altcoin che non hanno ETF. Un titolo di questo tipo sarebbe particolarmente interessante se l'asset sottostante non ha ancora un mercato spot liquido. Se si tratta di una coin che può essere investita in staking, la società potrebbe seguire tale strategia per ottenere un rendimento con un rischio di controparte minimo.

Tuttavia il semplice acquisto e detenzione di una coin del genere potrebbe non essere sufficiente per fare la differenza, dato che sempre più ETF stanno emergendo online, compresi quelli che offrono lo staking. I vantaggi di accesso diminuiscono con l'aumento dell'accesso complessivo.

Una strategia più duratura è quella di trasformarsi in un ecosistema: una scommessa onnicomprensiva su un'intera blockchain e su tutte le opportunità di rendimento che presenta, ora e in futuro.

Le aziende basate su ecosistemi possono essere impiegate per qualsiasi crittovaluta, incluso Bitcoin. Possono offrire un'esposizione più completa e diversificata a una piattaforma e gestire la complessità operativa dell'impiego di capitale su una nuova catena. La più ampia superficie di attività consente inoltre ai manager di distinguersi dai concorrenti che si concentrano sullo stesso ecosistema.

Altri vantaggi dell'essere un'azienda ecosistemica includono:

• Gestire attività operative dedicate a una singola catena, come l'esecuzione di validatori, l'offerta di staking delegato e il lancio di un L2;

• Andare oltre il semplice staking per rendere più liquidi quest'ultimo e il restaking;

• Partecipare a opportunità di DeFi e yield farming;

• Utilizzare la leva finanziaria per aumentare i rendimenti su DeFi/yield farming;

• Ottenere un trattamento preferenziale dai team di sviluppo del protocollo;

• Investimenti di rischio in nuove dApp sviluppate in quell'ecosistema;

• Fornire uno sportello unico per accedere a tutte le opportunità che ruotano attorno a una moneta nativa;

• Offrire agli investitori la possibilità di spostare senza problemi il capitale investito da un ecosistema all'altro, senza ritardi o complessità e al minimo costo.

Le aziende ecosistemiche sono progettate per massimizzare i vantaggi delle strutture finanziarie permissionless, in cui il capitale può fluire senza soluzione di continuità da un'opportunità di rendimento all'altra. Le opportunità offerte dalle piattaforme di smart contract come Ethereum e Solana sono innumerevoli, e altre ne emergeranno negli anni a venire.

I mercati azionari potrebbero trovare questa caratteristica delle crittovalute particolarmente interessante, data l'assenza di un equivalente TradFi. Tuttavia sfruttare questa fluidità – e gestirne i rischi – richiede competenza e attenzione costante, soprattutto per le blockchain più recenti. Chi applica la strategia in modo efficace può attenuare gli inevitabili cicli di mercato.

I rendimenti derivanti dall'indebitamento finanziario delle società di tesoreria pura sono decrescenti e non vi è alcuna garanzia di riuscire a raccogliere debito e capitale proprio, soprattutto in mercati difficili. Inoltre è improbabile che persistano ostacoli fiscali e di accesso.

Tuttavia le aziende che sviluppano ecosistemi presentano caratteristiche che offrono qualcosa di più prezioso (e sostenibile) della semplice esposizione al prezzo o della leva finanziaria. Offrono convessità ecosistemica. Se ben gestito, questo è un servizio per cui il mercato sarebbe giustificato a pagare un sovrapprezzo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una mancia in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


venerdì 25 luglio 2025

“Lose-lose”: quando il mercato costringe anche l'apparato statale a comportarsi bene

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lose-lose-quando-il-mercato-costringe)

In base alla mia esperienza alle persone non piace sentirsi dire che ciò che pensavano fosse vero è sbagliato. In particolare non amano sentirsi dire che potrebbero non guadagnare quanto pensavano; o che non sono davvero così ricche come credevano di essere. I movimenti dei prezzi nel mercato azionario sono episodici e ciclici. Non sono mai completamente indipendenti dall'economia reale e qui sta la parte più importante: sono sempre soggetti a una regressione alla media, cioè tornano sempre dove dovrebbero essere. I prezzi del mercato azionario riguardano il futuro e forse il futuro sarà molto migliore di quanto ci aspettiamo, ma i prezzi non possono essere indipendenti dal mondo reale. E in questo momento c'è un enorme divario tra la realtà e il valore di mercato delle azioni.

L'unico modo per colmare questo divario è l'argomento di questo saggio. È ciò che ho definito la “Grande Perdita”. Non c'è tempo per scrivere un libro su come evitarla, ma alla fine non ce n'è bisogno: ve lo mostrerò.

Gran parte di ciò che pensate sugli investimenti e sul mercato azionario è sbagliato. Sapevate che il 58% delle azioni non ha generato profitti per gli investitori negli ultimi 100 anni? Gli studi dimostrano che l'investitore medio ottiene risultati peggiori rispetto alle medie di mercato e anche se conservasse le sue azioni per 100 anni, difficilmente guadagnerebbe un centesimo in valore reale. I mercati seguono schemi ciclici, alcuni di questi possono durare fino a 73 anni, da un massimo all'altro. Non potete permettervi di trovarvi dalla parte sbagliata, né potete permettervi di subire grosse perdite, soprattutto non a fine carriera. Mentre nel breve periodo può succedere di tutto, nel lungo periodo gli eventi di mercato seguono degli schemi. Un uomo, a 90 anni, può occasionalmente diventare padre; può apparire giovane e vincere partite di tennis. Eppure, tra qualche anno, sarà morto. È uno schema contro cui sarebbe poco saggio scommettere.

L'andamento dei mercati ribassisti: strutturale e ciclico

Nei mercati e nelle economie, così come in politica, esistono anche degli andamenti. La tabella qui sopra mostra che ci sono stati oltre 25 mercati ribassisti nella storia del mercato azionario statunitense. Quelli ciclici si verificano più spesso e durano meno; quelli “strutturali”, come quello in cui ci troviamo ora, durano più a lungo e colpiscono più duramente. L'andamento più importante nei mercati è quello che chiamo il Trend Primario, la corrente profonda che muove gli eventi, indipendentemente da ciò che le persone sanno, vogliono o pensano. Purtroppo, in mezzo a tutto il rumore dei continui movimenti di mercato, e a un vento impetuoso di notizie e opinioni, può essere difficile distinguere il Trend Primario. Bisogna ascoltare attentamente, isolarsi il più possibile dal rumore di fondo e ascoltare attentamente.

Esistono andamenti prevedibili: un albero cresce molto in alto, poi marcisce. Un Impero – anche il più potente di tutti i tempi – si espande e poi si restringe. Su, giù, su, giù... in tondo – gli schemi ciclici del mondo naturale, ad esempio i cicli del sole o di un motore a quattro tempi, sono regolari e, in una certa misura, prevedibili. Ma gli schemi di mercato sono diversi: sono soggetti alla “riflessività”. È un circolo vizioso in cui i prezzi influenzano le percezioni... che a loro volta influenzano i prezzi... che a loro volta influenzano le percezioni. I mercati non sono sempre efficienti o razionali, a volte “impazziscono” un po': ovvero, reagiscono a ciò che sta accadendo, a ciò che è già accaduto e a ciò che la gente pensa stia accadendo. Questo crea molta incertezza e volatilità. Ma è comprensibile...

Se i picchi di mercato fossero prevedibili come le eclissi solari, ad esempio, non si verificherebbero mai. Gli investitori anticiperebbero il momento culminante e si precipiterebbero a vendere temendo che i prezzi scendano prima di uscire. Invece gli investitori ipotizzano sempre, sempre incerti e sempre soggetti a influenze. Le azioni passano da valori molto bassi a valori molto alti in trend di lungo termine. Durante tutto il XX secolo ci sono stati solo tre di questi cicli a lungo termine, come vi mostrerò tra poco. Ma prima, un breve commento sul denaro.

Oggi, quello cartaceo, perde valore rapidamente. Se ragioniamo in termini di oro, ad esempio, all'inizio del 1915 i 30 titoli del Dow Jones Industrial (un buon indicatore per i titoli di qualità) valevano 2,65 once d'oro. Quel rapporto salì a oltre 18 quando il primo picco del secolo fu raggiunto nell'agosto del 1929. Poi iniziò la fase discendente, che si concluse all'inizio del 1933 con il Dow che valeva solo 1,92 once. Quello fu il primo ciclo “dal basso verso l'alto e poi verso il basso”. Il successivo iniziò nel 1933 e proseguì fino a un altro massimo per le azioni del Dow Jones durante la prima settimana del 1966. Il Dow Jones raggiunse il picco a 28 once d'oro. In seguito i prezzi scesero di nuovo e si stabilizzarono 14 anni dopo (nel gennaio 1980) a 1,29 once d'oro per il Dow Jones. Fu il secondo ciclo. Il terzo iniziò nel 1982, con il Dow Jones che raggiunse la ragguardevole quota di 42 once entro la fine del secolo. E oggi, a un quarto di secolo di distanza, il rapporto tra prezzi reali (in oro) e valore reale (le aziende nel Dow Jones che producono beni e servizi utili) è più forte che mai.

Nel 1915 si potevano acquistare 2,65 once d'oro al prezzo di 30 azioni del Dow. Quel rapporto seguiva l'andamento altalenante di cui ho parlato in precedenza: da un minimo inferiore a 2 a un massimo superiore a 40. Ma quando le azioni erano molto convenienti in termini di oro, tendevano a diventare meno convenienti in futuro. Se erano costose, accadeva il contrario. Oggi, dopo oltre un secolo di oscillazioni, il rapporto è a 11 circa. Solo pochi mesi fa era intorno a 15, più o meno lo stesso del settembre del 1929. Da allora a oggi gli investitori nel Dow hanno guadagnato solo dividendi e non un centesimo di plusvalenza. Il valore delle migliori industrie americane, rispetto al valore del denaro reale, non è andato da nessuna parte. Durante il boom degli anni '60 il Dow Jones valeva circa 1,2 volte il PIL, ovvero il 120%. Per mettere la cosa in prospettiva, la “media” (la media a lungo termine) del rapporto azioni/PIL è di circa l'82%. Se fosse superiore, le azioni sarebbero sopravvalutate. Ancora più in alto, una bolla. Se sapeste che il mercato azionario sale e scende, in lunghi cicli della durata di un decennio o più, e sapeste che nel tempo non potete aspettarvi di realizzare plusvalenze dalle vostre azioni, e che l'unico modo per progredire è fare trading comprando quando sono a buon mercato e vendendo quando diventano costose, non cerchereste di mettere in pratica questa intuizione?

Le statistiche di mercato ci mostrano che essere nel posto giusto al momento giusto è la chiave per ottenere grandi guadagni. In altre parole, “l'allocazione” è molto più importante della selezione dei titoli – o, per usare il gergo di Wall Street, il beta è più importante dell'alfa. La vera domanda è quanta parte del vostro patrimonio allocare in azioni in un dato momento. A questo proposito c'è il cosiddetto Dow/oro: se aveste investito $100 nelle azioni Dow a partire dal 1° gennaio 1913, oggi avreste $51.338, ovvero $4.897.400 con i dividendi reinvestiti. Se aveste seguito la strategia di trading Dow/oro – con solo cinque operazioni nell'ultimo secolo, escluso l'investimento iniziale – oggi avreste un conto del valore di $56 milioni.


LA GRANDE PERDITA

L'obiettivo sorprendente del sistema di trading Dow/oro non è fare soldi, invece è evitare la Grande Perdita. In questo momento il rischio è molto elevato. Se venite investiti da un'auto, o dal mercato, il risultato è lo stesso: siete fuori dai giochi. Subire una Grande Perdita è la cosa peggiore che vi possa capitare, perché non potete più sperare in alcun guadagno. È importante rendersi conto che, così come è difficile identificare il Trend Primario, è ancora più difficile individuare gli investimenti che saranno i grandi vincitori. Anche se siete uno dei migliori investitori del Paese, a volte si vince, a volte si perde. In generale se siete in sintonia con il Trend Primario potete sperare in una crescita, ma solo se siete ancora in gioco, solo se avete evitato la Grande Perdita. Ecco perché evitarla deve essere la priorità numero uno. Tutta la mia strategia si basa sul rimanere in Modalità Massima Sicurezza per evitarla.

Perché?

Va bene perdere soldi quando si è giovani, fa parte del processo di apprendimento. Ma se lavorate tutta la vita per accumulare un gruzzolo, non potete permettervi di perdere tutto. A quel punto avrete 50 o 60 anni. Non avrete tempo di recuperare. Si evitano le Grandi Perdite rispettando la disciplina del trading Dow Jones/oro. Gli investimenti salgono e scendono. Quando salgono nessuno ha un'idea precisa di dove andranno in seguito, ma ora comportano il rischio di una grossa perdita. Più sono costosi, più possono perdere.

In breve, non cerco di prevedere la prossima mossa del mercato azionario, ma per l'investitore medio il suggerimento è quello di abbandonare gli investimenti quando il rischio di perdita è elevato. Poi, dopo la svendita delle azioni, il rischio si riduce e le si riacquista. Chiaramente si tratta di un percorso generico che per forza di cose non si può adattare a tutti gli investitori. Infatti esistono anche strategie “su misura” e, a tal proposito, l'allocazione degli asset – tra liquidità, azioni, obbligazioni, metalli preziosi e Bitcoin – può essere ripartita con una consulenza col sottoscritto prenotabile su Calendly.


LA REGOLA AUREA

Quando dico che le cose “valgono” di più significa che è possibile scambiarle con altre in quantità maggiore. Il denaro è un modo per tenere traccia delle transazioni e semplificarle. L'oro è diventato denaro perché funzionava sia come riserva di valore che come mezzo di scambio. Non ha altri scopi significativi (a parte l'ornamento). E nel tempo non cambia molto rispetto ad altri beni. Man mano che un'economia cresce, ci sono più beni disponibili per l'acquisto. Se l'offerta di moneta fosse fissa, i prezzi scenderebbero: ci sarebbe la stessa quantità di denaro, ma un grande volume di “roba” che si potrebbe acquistare.

Ma la quantità di oro tende a crescere alla stessa velocità dell'economia stessa. L'attività mineraria fa parte dell'economia, resa più facile dalla tecnologia, ma resa più difficile dall'esaurimento dei giacimenti facili e le nuove scoperte tendono a essere più lontane e più costose da sfruttare. Quindi l'equilibrio tra il denaro e le cose che acquista non cambia molto rapidamente. Ecco perché una riserva d'oro, risalente a centinaia di anni fa, ha ancora oggi, più o meno, lo stesso potere d'acquisto di quando è stata portata alla luce.

Anche il valore delle aziende produttive di una nazione (azioni) non cambia molto, non rispetto ai beni e ai servizi disponibili, o al denaro utilizzato per misurarli. Questo perché anche il loro valore deriva dall'economia reale. Le aziende valgono solo ciò che possono offrire agli azionisti in termini di profitto, ma nel complesso non possono generare più vendite e profitti di quanto l'economia consenta. L'economia potrebbe crescere a un tasso del tre percento. Il potere d'acquisto dei consumatori dovrebbe crescere con l'economia, né più né meno, il che significa che anche le vendite e i profitti a disposizione delle imprese nazionali crescono a quel ritmo, insieme alla quantità di oro (la massa monetaria).

L'importo totale del credito può essere aumentato facilmente, oro e Bitcoin ad esempio no. Il denaro “stampato” può far sembrare che le cose stiano “salendo”, può dare impulso alle vendite, al PIL e agli utili. Può distorcere l'intero quadro. I profitti sono particolarmente vulnerabili. In genere le imprese pagano i propri dipendenti, poi essi acquistano prodotti e servizi dalle aziende per cui lavorano. Quindi i profitti sono solitamente frenati dai costi del lavoro. Ma l'espansione del credito consente alle imprese di generare vendite senza costi del lavoro a compensarle. È come se il denaro arrivasse per magia, anziché dall'economia reale. E senza salari da pagare, i ricavi delle vendite diminuiscono in modo sproporzionato rispetto al risultato finale. Le azioni possono dare l'impressione che “stiano andando sulla luna”, ma solo in termini di denaro fasullo. In termini di denaro reale superano le 15 once d'oro/Dow solo periodicamente e temporaneamente. E poiché l'oro è sempre collegato all'economia reale e alla produzione reale, i legami tra oro, PIL e le aziende che lo producono possono essere allungati, ma mai infranti.

Ecco, quindi, le fondamenta di una qualsiasi strategia che voglia solo successivamente diversificare i propri obiettivi: quando i valori sono bassi, favorire le azioni; quando sono costosi (oltre 15 once d'oro/Dow) privilegiare l'oro. E cercare sempre da dove potrebbe derivare la Grande Perdita ed evitarla.


COSA ACCADRÀ ORA

Gli eccessi del passato devono essere corretti... o come minimo ri-assorbiti. E per farlo ci sarà bisogno di equity. Questo vale sia per i singoli individui che per il governo federale stesso. Infatti quando gli accordi di mercato diventano “lose-lose”, ovvero vicendevolmente svantaggiosi, tutti ci perdono. Alla fine della fiera il denaro fiat è un'arma a doppio taglio che intacca anche la ricchezza e il benessere di chi lo emette. È una corrosione che si diffonde dal basso verso l'alto, che danneggia più gli strati bassi della società per poi risalire la catena dei quintili di reddito, ma che infine non lascia superstiti. Il problema è che se ci si aspetta un cambiamento dall'alto, e si attende solo quello, allora bisognerà aspettare che i quintili di reddito più alti inizino a provare dolore economico. Negli Stati Uniti siamo esattamente in questa condizione adesso.

Circa $50.000 miliardi rischiano di svanire in uno schiocco di dita dalla presunta ricchezza delle famiglie americane. Le famiglie americane hanno aggiunto tale somma in “patrimonio netto” dopo i lockdown e la maggior parte di questa è in azioni e immobili. Tenete presente che non si è mai trattato di ricchezza “reale” in primo luogo: è stato il risultato del più “Grande Esperimento Finanziario della Storia”, ovvero una spesa pubblica sconsiderata e una stampa di denaro ancora più sconsiderata che hanno gonfiato bolle in azioni, vendite e utili aziendali, PIL, obbligazioni, immobili... quasi tutto.

Questa è una situazione che può essere solamente stabilizzata: una contrazione contenuta di tale ricchezza e un ampliamento dell'equity per attutire i contraccolpi. Ecco perché oro e Bitcoin stanno tornando alla ribalta sulla scena pubblica: rappresentano il volano attraverso il quale ampliare il lato degli attivi della nazione nel suo complesso. Perché se c'è un argomento che viene ripetutamente sorvolato è il lato degli attivi degli USA, con le tesi della “controinformazione” che si concentra solo ed esclusivamente sul lato dei passivi. In questo modo si finisce per essere utili idioti per chi diffonde in prima istanza questa consuetudine: la City di Londra.

Un giorno guarderemo indietro e commenteremo di come il GENIUS Act sarà stato l'anticamera dello smembramento del sistema bancario centrale così come lo conosciamo. Per quanto si possa essere d'accordo con lo slogan “End the FED”, non è così che questa storia può finire visto che i suoi (adesso) concorrenti, BCE e BOE, prenderebbero il sopravvento sull'economia statunitense. Ci vuole criterio in questa partita in modo da non diventare inconsapevolmente utili idioti al soldo della cricca di Davos. Ecco perché la chiarezza nella modalità d'ingaggio riguardo l'ecosistema crittovalute da parte delle imprese private e pubbliche negli Stati Uniti è fondamentale: si toglie quella cappa d'incertezza e rallentamento nell'adozione che ha caratterizzato l'amministrazione precedente. Ora ogni banca potrà emettere la propria stablecoin e così far tornare la FED a quello che era prima della riforma Roosevelt: un prestatore di ultima istanza per quelle banche, americane, in sofferenza. In un certo senso tornare addirittura al sistema di stanze di compensazione emerso prima del Federal Reserve Act. Il sistema monetario attuale a due livelli (banca commerciale e banca centrale) verrebbe contratto a un solo livello dove l'individuo si interfaccerebbe solo con la banca commerciale. Questa non dovrebbe più passare dalla banca centrale per la domanda di liquidità ed essa sarebbe coperta esclusivamente dai titoli del Tesoro americani, abolendo la SLR che serve solo per tenere a galla asset di nazioni bollite.

A ciò si aggiungerebbe che i titoli del Tesoro americani sarebbero coperti da hard asset come oro e Bitcoin. Questo significa che c'è una profonda trasformazione in atto nell'economia statunitense, dove il compito di persone come Bessent è quello di rimuovere quel fattore a doppio livello che ha fatto sprofondare nel tempo l'economia statunitense. Infatti esso era paragonabile a un individuo che mangiava ogni sera al ristorante pagando con la carta di credito... senza avere un reddito però. A tal proposito una notizia passata un po' troppo velocemente secondo me, perché rappresenta un cambiamento epocale nell'ecosistema Bitcoin, è la possibilità di inserirlo come collaterale quando si accendono mutui per le case. Sta maturando sempre di più la sua economia del credito ed è l'anello che gli mancava affinché possa fare il vero salto di qualità. Si tratta ancora di un processo rudimentale e rozzo, ciononostante è un segnale inequivocabile di come sia stato smentito anche chi dubitava che Bitcoin potesse avere successo dato che non aveva un mercato del credito. Certo, saranno gli ETF a essere posti come garanzia, ma la recente notizia che essi possano essere rimborsati “in kind” aggiunge ulteriore fascino al tutto.

In questo modo si stabilizzano i prezzi delle case e le si collateralizza con hard asset. Non solo, ma viene a crearsi un circolo virtuoso dove i vari asset degli USA vengono puntellati da asset credibili come oro. Bitcoin e titoli di stato americani. Il tutto intermediato da Tether. L'obiettivo di ampliare l'equity della nazione sta venendo soddisfatto in modo egregio dall'amministrazione Trump. Ecco come si ridimensiona, nel concreto, il potere del sistema bancario centrale e si impedisce alla nazione di essere attaccata da player esteri ostili. E su questa scia non solo abbiamo visto l'Australia seguire l'esempio, ma addirittura l'apertura del mercato dei pensionamenti all'uso di Bitcoin. E quale mercato più di quest'ultimo ha bisogno di copertura a causa delle passività non finanziate che si porta dietro?

Finora Powell non ha abbassato i tassi perché lo spazio fiscale non era sufficiente da permettere un nuovo allentamento delle condizioni creditizie. Se riavvolgiamo il nastro all'anno scorso, se avesse tagliato in estate avrebbe favorito i democratici nella corsa alla Casa Bianca, invece tagliando a ridosso delle elezioni ha permesso che i risultati della sua decisione si manifestassero dopo il voto favorendo in questo modo Trump. Poi chiaramente ha messo in pausa ulteriori tagli in attesa di motivazioni concrete lato bilancio federale. Se l'inflazione è scesa, così come registrato dai numeri ufficiali, è stato solo grazie alle sue azioni. Adesso che la legge di bilancio è passata e la Rescission Bill fa il suo corso, ci sarà spazio per tagliare i tassi. O perlomeno finché il prezzo del petrolio e i futures sulla benzina rimarranno in un certo range, e l'indice dei prezzi al consumo rimanga contenuto. Non scordiamoci la pressione sull'eurodollaro. Quest'ultima sta rallentando i piani di rilancio dell'economia americana di Trump e Bessent? Sì. Conta davvero in ottica di investimenti esteri che affluiscono negli Stati Uniti? No.

Il tempo dei tagli alla spesa discrezionale sarebbe arrivato ed eccoci qui prontamente a commentare quanto sta accadendo in termini di Rescission Bill. Inutile dire che si tratta di un primo pacchetto, dato che l'ammontare iniziale è ancora insufficiente per definirli “tagli alla spesa”. È pur sempre un buon inizio. Non solo, ma i tagli maggiori stanno avvenendo a livello di licenziamenti di dipendenti pubblici, come si vede dal grafico qui sotto.

Guarda caso tutto il polverone alzato per la Big Beautiful Bill adesso si è posato alla prova dei fatti, alla prova di dover votare davvero per i tagli nel processo politico adeguato. Non credo che Paul e Massie abbiano fatto tutto quel baccano solo per i “principi”... ci sono le rielezioni l'anno prossimo e avere famiglia è pur sempre un aggancio per eventuali ricatti... Al di là di ciò la “motosierra” sta calando anche sul lato spese federali, man mano che il DOGE scopre nuove aree da tagliare.

Ora che Trump ha visto l'approvazione del bilancio, nonostante fino a ottobre debba inghiottire la parte approvata dall'amministrazione Biden, può dimenticarsi del Congresso per le cose importanti fino alle midterm dell'anno prossimo. A meno che il Congresso, con la formazione attuale, non voglia essere annoverato come costola dell'amministrazione Biden (che ha aumentato il debito pubblico nell'ordine degli $8.000 miliardi), dovrà votare a favore di ogni codifica in legge dei tagli scoperti dal DOGE. Con le rielezioni che pendono sulle teste dei senatori l'anno prossimo, sarebbe politicamente suicida. Comunque il connubio tra tagli alla spesa, dazi, tassi d'interesse alti è sostanzialmente uno: ridurre il flusso di dollari all'estero. E come ci ha dimostrato il DXY, per quanto si sia fantasticato di “de-dollarizzazione” non c'era niente di concreto. Da qui la “necessità” di alzare l'asticella del tetto del debito americano, perché a fini pratici nel futuro a breve termine la domanda di strumenti in dollari e strumenti denominati in dollari (es. titoli di stato americani) salirà. In questo modo si soddisfa tale domanda e al contempo si impedisce che il DXY schizzi troppo in alto da richiedere davvero alternative. Infatti con la contrazione dell'offerta di dollari offshore c'è stato un cambiamento nel modo in cui la domanda di dollari e strumenti denominati in dollari si manifesta sui mercati: non più con l'inganno e nell'ombra, ma alla luce del sole adesso.

In base a questo nuovo assetto le stablecoin diventeranno un assorbitore di emergenza di titoli di stato americani, le banche commerciali emetteranno le proprie valute digitali coprendole con titoli di stato americani, l'abolizione della SLR e delle varie parti del Dodd-Frank Act aprirà spazio di manovra alle banche commerciali, domanda/offerta di titoli di stato americani verrà intermediata esclusivamente dal Dipartimento del Tesoro e non più dalla FED, domanda/offerta di denaro verrà intermediata dalle 12 FED regionali e dalle stablecoin, la FED fungerà da finestra di sconto per prestiti di emergenza in caso di difficoltà, ci saranno due dollari (uno per le transazioni interne e l'altro per quelle esterne) e il SOFR fungerà da tasso di mercato determinato solo negli USA per coordinare la relativa attività commerciale.

Non dimentichiamoci, però, un dettaglio importante che vale sia per i singoli investitori, come d'apertura di questo saggio, che per il governo federale: la rivalutazione dell'oro. Attualmente sui bilanci della FED l'oro in suo possesso, circa 8.000 tonnellate, è valutato a $42 l'oncia. Ai prezzi spot attuali, però, sarebbero equivalenti a circa $900 miliardi. Un passo in avanti, certo, ma non una soluzione ai problemi di debito degli Stati Uniti. Oh, ma se invece suddetta rivalutazione arriverebbe, ad esempio, fino a $10.000 l'oncia? Non è un'ipotesi personale, ma una che è stata scritta nero su bianco sulla relazione di maggio della Federal Reserve.

Non dimentichiamoci inoltre che, se l'oro venisse rivalutato in questo modo, la nazione con più oro avrebbe la maggiore leva finanziaria in questo nuovo sistema. Inutile dire che in tal modo sarebbe più facile puntellare e far riassorbire gli squilibri finanziari. Senza contare che l'oro rappresenta ancora solo una piccola frazione del sistema finanziario globale. Gli ETF sull'oro fisico rappresentano appena l'1% di tutti gli ETF e quelli legati alle industrie dell'estrazione di oro rappresentano una quota ancora inferiore. E con Bitcoin lo spazio di manovra si amplierebbe ulteriormente. In aggiunta a tutto ciò, il governo federale ha anche in programma di investire ingenti somme nelle infrastrutture energetiche. Infatti la capacità totale prevista della rete elettrica dovrebbe aumentare di oltre 400 GWh nel 2025, rispetto ai 160 GWh dell'anno scorso. Quindi nonostante l'attuale clima di difficoltà economiche, vale la pena di prendere in considerazione anche commodity critiche in tale settore.

Forse l'amministrazione Trump rimetterà davvero le cose a posto per gli USA, o almeno inizierà il processo in tal direzione. Sarebbe fantastico se tutto ciò accadesse. Ma la risalita dagli accordi “lose-lose”, ovvero vicendevolmente svantaggiosi, comporta il passaggio dagli accordi “win-lose”, ovvero a somma zero, prima di poter ritornare a quelli “win-win”, ovvero vicendevolmente vantaggiosi. Questo significa, quindi, che il vostro piano d'investimento NON PUÒ dipendere da forze politiche al di fuori del vostro controllo. Il vantaggio competitivo in tale fase di transizione si coglie, non si eredita: https://calendly.com/fsimoncelli


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giovedì 22 maggio 2025

Il catalizzatore che potrebbe “standardizzare” Bitcoin

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da Bitcoin Magazine

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-catalizzatore-che-potrebbe-standardizzare)

Oggi volevo scrivere di una rivelazione sull'adozione, la standardizzazione e la normalizzazione di Bitcoin che ho avuto la scorsa settimana. Mentre riflettevo su cosa sarebbe necessario affinché ricevesse una spinta considerevole all'adozione negli Stati Uniti, mi è venuto in mente uno scenario del genere, che potrebbe non essere molto lontano.

E contrariamente a quanto si pensi, non ha nulla a che fare con la regolamentazione, la tassazione, gli standard contabili, o con qualsiasi altro aspetto di cui si parla erroneamente riguardo tale tema. Come ho imparato in prima persona, mentre facevo qualche ricerca su Bitcoin il mese scorso, nessuna di queste cose conta davvero. La natura decentralizzata della rete implica che non abbia bisogno di nessuno di questi elementi per prosperare. L'ho sottolineato nel mio articolo della scorsa settimana intitolato Io, Bitcoin.

Ma quello che ho anche sottolineato è che esso sopravviverà se le persone lo vorranno. Chi conosce la rete capisce che circa 20.000 nodi globali significano che la rete rimarrà in piedi indipendentemente da quale politico, giurisdizione o ente regolatore in tutto il mondo cerchi di ostacolarla. Fa parte dell'eleganza della rete stessa.

E tuttavia, dopo aver compreso tutto questo, mi chiedo: “Cosa accelererà così tanto questa adozione da farci passare da un punto di quasi non ritorno per Bitcoin a un punto significativo di seria velocità di fuga?” La risposta era proprio sotto il mio naso.

Quando ho scelto il titolo di quell'articolo è stato uno di quelli che ti vengono in mente d'istinto. A volte passo ore a cercare di capire quale titolo sia il più accattivante, mentre altre volte ce l'ho già pronto perché è chiarissimo cosa voglio dire.

Ma durante il fine settimana ero in giro e mi chiedevo dove avessi già sentito quella frase.

All'improvviso, mi è venuto in mente: in uno dei miei sketch comici preferiti, un gruppo di comici improvvisati di Filadelfia si è recato alle proteste di Occupy, scoppiate in seguito alla crisi economica del 2008. In più di un punto c'erano cartelli con su scritto “Why I Occupy”; in realtà era il nome di una parte del movimento Occupy. Ricordo che WhyIOccupy.org era la fonte di informazioni per una buona parte della popolazione arrabbiata dell'epoca; pensavano che qualsiasi ideologia fosse presente su quel sito web, fosse la loro particolare versione di soluzione alla crisi finanziaria.

Solo dopo averlo ricordato, ho pensato che nella prossima crisi finanziaria le persone avrebbero davvero avuto una legittima via d'uscita dal sistema. Bitcoin è quella via d'uscita. È ciò che le persone coinvolte nella frenesia per GameStop cercavano così disperatamente, che lo sapessero o no, ma non sono riuscite a trovare.

Mentre si consumava il fiasco di GameStop, ricordo di aver pensato tra me e me che c'erano troppe persone arrabbiate, ma che non avevano la minima idea del motivo. Nelle chat room e sui social media, a tutto si dava la colpa tranne che alle banche centrali. Queste persone erano furiose perché si sentivano raggirate: stavano reagendo, che ne fossero consapevoli o meno, all'aumento del divario di disuguaglianza, mentre loro faticavano ad arrivare a fine mese.

Ma quello che non sapevano era che la colpa non era di Ken Griffin, di Citadel o degli speculatori, bensì delle banche centrali.

Oggigiorno è diventato chiaro che le banche centrali hanno ulteriormente ampliato questo divario di disuguaglianza. È più chiaro perché l'inflazione è un fenomeno di dominio pubblico e comprensibile per tutti. Anche se non sanno perché si verifichi, la maggior parte delle persone ha una parvenza di comprensione del fatto che sia dovuto alle banche centrali che hanno fatto esplodere la massa monetaria negli ultimi quattro anni e poi, per aggiungere la beffa al danno, hanno mentito sulla transitorietà dell'inflazione.

E coloro che speravano di ripetere il successo di GameStop con nomi come AMC, ora sanno che una gestione tossica e un asset in perdita possono facilmente indebolire qualsiasi slancio in qualsiasi tipo di short squeeze, o FOMO, su qualsiasi azione. E sanno anche che broker e autorità di regolamentazione possono impedirgli di effettuare transazioni in qualsiasi momento lo ritengano opportuno.

Durante la prossima crisi finanziaria, che, a mio parere, non è poi così lontana, lo stesso gruppo di “poveri” arrabbiati, si spera, attribuirà la colpa a chi ce l'ha davvero: alla politica monetaria. Dopotutto, l'inflazione è una tassa brutale per chi non se la può permettere ed è praticamente ininfluente per i super-ricchi. E questi ultimi diventano ancora più ricchi grazie al quantitative easing e alla stampa di moneta, che indirizzano una quantità sproporzionata di aiuti al mercato azionario, obbligazionario e immobiliare: asset che i ricchi possiedono e che le persone a basso reddito no.

Durante la stampa di denaro nel periodo della “pandemia”, mi chiedevo spesso: se le banche centrali avessero voluto stampare $5.000 miliardi, perché non dividerli equamente tra tutti gli abitanti e staccare un assegno per tutti? Dopotutto $5.000 miliardi divisi per 300 milioni di americani equivalgono a circa $16.500 a persona. Tralasciando il ragionamento sistemico, questa è una domanda piuttosto semplice e diretta. Se si vuole stimolare l'economia distribuendo denaro ovunque, perché non farlo equamente tra tutti i cittadini, invece di fare favoritismi?

Ma non è questo che è successo nel 2008 e non sarà questo che accadrà durante la prossima crisi finanziaria.

Quello che penso accadrà è che un nuovo gruppo di “poveri” sarà più informato sul funzionamento della politica monetaria, non solo a seguito del fiasco di GameStop, ma anche man mano che una nuova generazione più giovane avrà familiarizzato con le argomentazioni ideologiche a favore di Bitcoin. Prima ancora di iniziare a usarlo, una delle cose che mi piaceva era l'idea che stesse costringendo una generazione più giovane a comprendere l'economia Austriaca in un mondo in cui abbiamo praticamente abusato e sfruttato a morte i privilegi della MMT. Armata di questa nuova conoscenza, un'intera generazione di persone arrabbiate dovrà ancora una volta pagare il prezzo delle perdite socializzate di aziende nefaste e tossiche che hanno privatizzato i loro profitti. E questo avverrà in un contesto di crisi inflazionistica ancora vivida nelle loro menti. Questa volta non ci saranno dubbi su chi stia erodendo, attraverso tassazione e inflazione, il potere d'acquisto e la ricchezza per cui hanno lavorato.

Il che mi porta al punto: Bitcoin potrebbe benissimo rappresentare la rampa d'uscita verso cui milioni di persone arrabbiate guarderanno a una situazione del genere.

A differenza di GameStop, Bitcoin ha la possibilità di incidere su un cambiamento radicale, perché il successo della rete è legato alla sua crescita. Questo significa che ogni singola persona che decide di possedere Bitcoin, o di informarsi su di esso, diventa parte di una profezia che si autoavvera sul successo della rete. E, naturalmente, l'ideologia alla base del successo della rete è saldamente radicata nel dare potere a persone proprio come loro: persone stanche di vedere quel poco che guadagnano portato via silenziosamente dall'oscura macchina finanziaria inflazionistica.

Molte persone che hanno partecipato alla frenesia di GameStop, comprese le “scimmie” di Wall Street Bets su Reddit e milioni di altri trader al dettaglio, saranno costrette a rendersi conto che Bitcoin ha tutti gli aspetti positivi di ciò che hanno cercato di ottenere in passato, ma senza gli aspetti negativi. Non c'è un management che possa rovinarlo, non c'è una controparte che possa diluirli, non c'è nessuno che possa disattivare il pulsante di acquisto e non c'è sostanzialmente alcun organo di governo o di regolamentazione che impedisca alla rete di avere successo se le persone lo desiderano. Diventa la libertà digitale che tutte queste persone hanno cercato durante l'ultima crisi finanziaria, ma che non hanno trovato un modo efficace per manifestare.

Il 2008 è stato l'esempio di quella che è ormai la norma a Wall Street: ogni volta che la situazione precipita, la popolazione ne paga le conseguenze, si infuria e brandisce le torce. Ma poi, alla fine, la situazione si placa e la gente torna a badare ai fatti propri.

“Sto iniziando a sentirmi un po' meglio riguardo a tutta questa faccenda”, dice John Tuld alla fine del film Margin Call, a significare che più le cose cambiano, più restano le stesse.

Banchieri e politici hanno fatto affidamento su questo schema e l'hanno perpetuato per decenni. È, in sostanza, ciò che permette l'errore di giudizio da parte di cittadini americani comuni che pagano il prezzo dei fallimenti degli ultra-ricchi.

E così, la prossima volta che ciò accadrà, gli investitori potrebbero legittimamente avere la possibilità di interrompere questo ciclo per la prima volta in mezzo secolo adottando Bitcoin. Avrebbero la possibilità di escluderli dal sistema contro cui si sono scagliati. I flussi di capitale verso Bitcoin e in uscita dagli asset finanziari tradizionali invieranno un messaggio ai principali istituti finanziari che reagiscono solo all'opportunità di applicare commissioni (si veda la loro nuova ossessione per Bitcoin ora che ci sono gli ETF). Allo stesso tempo questi flussi potrebbero contribuire alla profezia autoavverante del successo della rete, grazie alla sua ridondanza che funge essenzialmente da barometro per la salute della rete stessa.

Non è affatto garantito, ma se il sistema dovesse fallire di nuovo e la persona media cercasse una vera arma per combatterlo (e una che sia letteralmente programmata per essere il Braille tecnologico delle frasi “l'unione fa la forza” e “il potere al popolo”), Bitcoin potrebbe emergere e inaugurare un'epoca che in futuro potrebbe essere considerata il Rinascimento della sua adozione.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 21 maggio 2025

Quando i keynesiani prevedono un disastro, iniziate ad acquistare...

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Daniel Lacalle

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/quando-i-keynesiani-prevedono-un)

Mi emoziono sempre per una correzione di mercato quando leggo che il consenso keynesiano prevede un disastro. Le stesse persone che sostenevano che la stampa di moneta sfrenata e l'impennata della spesa pubblica non avrebbero causato inflazione, sono quelle che sanno esattamente come i dazi influenzeranno i prezzi aggregati. Davvero affascinante.

Nel giugno 2016 sedici premi Nobel si aspettavano un'inflazione più elevata a causa dei dazi, ma questo non si è mai verificato. Inoltre molti di quegli economisti hanno raccomandato un'enorme spesa pubblica e un allentamento quantitativo alla Federal Reserve nel 2020, affermando che non vi erano preoccupazioni per l'inflazione. Tuttavia ciò ha portato alla più alta esplosione inflazionistica degli ultimi trent'anni. La realtà ha dimostrato che non c'è stata inflazione nel periodo 2016-2019 e che la folle ondata di stampa e spesa del 2021 ha portato all'attuale esplosione inflazionistica. Questo accade perché molti esperti giustificheranno sempre tutti gli squilibri governativi e gli aumenti delle tasse, ma lanceranno l'allarme per qualsiasi taglio fiscale o misura dal lato dell'offerta. Non dovremmo mai fidarci di esperti che lavorano a stretto contatto con i governi socialdemocratici.

Secondo i seminatori di panico, i dazi creeranno un'enorme esplosione dell'inflazione sia negli Stati Uniti che all'estero. Queste stime mostrano che i dazi di Trump saranno pagati dai consumatori statunitensi, così come i dazi cinesi contro gli Stati Uniti, e le contromisure dell'UE saranno pagate solo dai consumatori americani. Davvero divertente. Se credessimo a questa narrazione, i dazi sarebbero la migliore notizia per le aziende di tutto il mondo: gli americani ne ingoierebbero completamente i costi, i margini non diminuirebbero e il mondo ne sarebbe felice. Sarebbe oltremodo ridicolo se milioni di persone prendessero sul serio le loro parole. Inoltre, secondo la narrazione prevalente, i dazi causerebbero una recessione globale se imposti dagli Stati Uniti. Tuttavia quando i dazi vengono imposti dalla Cina o dall'UE, allora va tutto bene.

Quando i keynesiani prevedono un disastro, è improbabile che accada. Quando il consenso keynesiano vi dice che non c'è rischio, come nel 2008, scappate.

Dovremmo prendere in considerazione alcuni fattori rilevanti. I mercati già scontano una recessione e un rischio di stagflazione, ma l'ultima relazione sull'occupazione mostra il contrario. A marzo sono stati creati 228.000 posti di lavoro, nonostante alcuni siano stati creati nel settore pubblico. L'indice composito ISM indica un'espansione e il dato ponderato economicamente è ampiamente al di sopra del livello di espansione (50) secondo Real Investment Advice. Tutti gli indicatori principali di investimento e produzione sono ben lontani da un segnale di recessione. Inoltre molti operatori di mercato sembrano scontare una Federal Reserve aggressiva e una recessione, cosa che non accadeva da due decenni.

Ciò che trovo interessante è che, per la prima volta da molti anni, l'indice S&P 500 abbia un prezzo interessante. Dopo essere stato estremamente costoso in un mercato rialzista con una costante espansione dei multipli, possiamo finalmente affermare che sta iniziando a essere interessante, anche scontando una significativa revisione al ribasso degli utili. Il rapporto prezzo/utili di 15,2X per il 2027 offre ampio margine di revisione e mostra ancora un punto di ingresso interessante. Le azioni sono piuttosto convenienti, con un EV/EBITDA di 10,3X al 2027 (valore d'impresa/utile al lordo di interessi, imposte, deprezzamento e ammortamento). Inoltre, con il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni al 4%, significa che per la prima volta da mesi le azioni sono interessanti rispetto alle obbligazioni. I margini sono solidi, le previsioni sono positive e i punti di ingresso per gli investitori a lungo termine stanno iniziando a essere evidenti, poiché è probabile che le pressioni inflazionistiche saranno limitate e la cosiddetta guerra commerciale finirà con dei negoziati, con oltre 50 nazioni che chiedono al governo degli Stati Uniti di raggiungere un accordo sulle barriere commerciali.

Qualsiasi investitore a lungo termine dovrebbe valutare opportunità in cui la paura è esagerata, le valutazioni sono interessanti e le preoccupazioni del consenso sono irrealistiche. Potrebbe essere una buona idea iniziare ad aprire posizioni lunghe, sapendo che a un quantitative easing e a tagli dei tassi seguiranno probabilmente periodi di volatilità.

Gli investitori devono proteggersi dall'inflazione e dalla distruzione del potere d'acquisto della valuta da parte delle banche centrali. Questo fenomeno non è scomparso; sta ritornando, mentre gli stati di tutto il mondo continuano ad accumulare debito e squilibri fiscali. Proteggetevi dall'inflazione con una strategia bilanciata, costruendo posizioni che proteggano il vostro patrimonio e vi aiutino a gestire la volatilità.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 15 novembre 2024

Anamnesi della vittoria di Trump: cosa e chi ha dato vita alla cosiddetta “onda rossa”

 

 

di Francesco Simoncelli

Ci sono schemi per ogni cosa. Ciò che si osserva di questi tempi è la sovrapposizione tra gli schemi dei mercati, in particolare il cosiddetto Trend primario, e gli schemi delle politiche pubbliche.Queste ultime oggi sono sempre più del genere “win-lose” (somma zero), rafforzando il Trend primario e aprendo la strada una discesa ripida. Vilfredo Pareto ci ricorda che ci sono sempre delle persone che formano l'élite di un Paese. Per lo più sono benigne e disponibili: tracciano strade, si assicurano che gli impianti idraulici funzionino, risolvono controversie e stabiliscono standard civili. Ma col tempo i loro cuori piccoli e vili si oscurano: invece di agire come giudici imparziali, assicurandosi che le regole siano rispettate, ne inventano di nuove a loro piacimento. Sanzioni, dazi, regolamenti, leggi, limiti alla libertà di parola, deficit, bombardamenti, uccisioni, sussidi e tangenti: sono tutti parti del programma.

Il potere, come si suol dire, corrompe.

La Repubblica Popolare Cinese è piuttosto nuova: è stata fondata solo nel 1949. Allora l'economia americana era 600 volte più grande di quella cinese. L'America ha continuato a crescere, ma dopo il 1978 la Cina ha intrapreso la strada del capitalismo e ora il 18% del PIL mondiale è suo. In termini di parità del potere d'acquisto, la sua economia è già più grande di quella statunitense.


UNA SCALATA OSTILE MASCHERATA DA INCOMPETENZA

Una delle date chiave per capire come siamo arrivati ​​dove siamo è il 1992. Quello fu l'anno in cui Francis Fukuyama scrisse il suo famoso saggio e si chiese se fosse arrivata la “fine della storia”. L'Occidente era trionfante e non c'era bisogno di ulteriore “storia”. Nessun altro esperimento, non c'era più bisogno di imparare, di evolversi, o di mettere in discussione. Guerre? Rivoluzioni? Nuovi sistemi di governo o economie? Tutto questo era il passato, avevamo trovato la formula vincente. Guardandosi allo specchio, allora, sembrava ovvio cosa sarebbe successo dopo: tutti volevano essere come noi. Erano diventati tutti “occidentali”. La Cina stava già imparando velocemente: seguendo il modello stabilito dal Giappone, stava costruendo un'economia guidata dalle esportazioni vendendo prodotti a basso costo, acquisendo competenze e capitale, e costruendo i suoi settori manifatturieri. Tutte quelle esportazioni contribuirono a mantenere bassi i prezzi al consumo negli Stati Uniti e diedero alla Cina i soldi per acquistare obbligazioni statunitensi. E perché non avrebbero dovuto? Tutti sapevano che erano l'asset più grande, più liquido e più sicuro del mondo.

La Russia, a quel tempo, era appena tornata Russia. L'Unione Sovietica, con la sua pianificazione centralizzata e i soffocanti controlli economici, non riusciva a competere. I suoi addetti ai lavori guardavano oltre confine alla Germania Ovest e volevano ciò che vedevano: si resero conto che possedere i mezzi di produzione, come capitalisti, sarebbe stato meglio che continuare a controllarli come burocrati. Smisero di essere burocrati nel sistema sovietico e divennero oligarchi nel nuovo sistema “occidentale”. Vladimir Putin pensò persino che la Russia avrebbe potuto unirsi alla NATO. Il problema per gli oligarchi era che l'Unione Sovietica produceva pochissimi beni/servizi che gli occidentali avrebbero acquistato. Tutto ciò che avevano veramente erano materie prime ed energia, ma con la carota del profitto davanti a loro, piuttosto che il bastone comunista sulle loro spalle, gli oligarchi si gettarono a capofitto nelle miniere e i pozzi e presto iniziarono a far scendere i prezzi delle risorse energetiche.

Con la minaccia sovietica fuori dai piedi, gli Stati Uniti avrebbero potuto godere di un “dividendo grazie alla pace”, avrebbero potuto tagliare la spesa militare di centinaia di miliardi e, con gli oligarchi che inondavano il mondo di materie prime a basso costo e i cinesi che sfornavano prodotti finiti a basso costo, “l'Occidente” se la passava bene. I suoi costi al consumo stavano scendendo mentre i prezzi dei suoi asset stavano salendo. Il Trend primario era in ascesa per gli asset finanziari e i policymaker in Cina, Russia e Stati Uniti contribuirono a mantenere il boom, ma gettarono anche le basi per il successivo Trend primario: gli Stati Uniti avrebbero potuto usare questo periodo di “vacche grasse” per aumentare i propri risparmi, aggiornare le proprie istituzioni e migliorare la propria infrastruttura, invece, dopo il 1999, hanno commesso alcuni degli errori di politica più disastrosi nella loro storia.

La spesa militare è aumentata; non c'è stato alcun “dividendo grazie alla pace”. Invece ci sono state richieste di capitale per pagare un'invasione dell'Iraq e una farsesca guerra al terrorismo. Poi, nel 2009, i burocrati hanno salvato Wall Street e hanno portato i tassi d'interesse sotto lo zero (aggiustati all'inflazione) e li hanno lasciati lì per più di 10 anni. Come se non bastasse, sono state istituite barriere commerciali per rallentare le importazioni cinesi; sono state imposte sanzioni sconsiderate, indebolendo il sistema di pagamenti internazionali basato sul dollaro; migliaia di miliardi di dollari sono stati sperperati per finanziare guerre all'estero e assegni dello stato sociale in patria.

Nel 1992 gli Stati Uniti ebbero un'opportunità straordinaria: erano già in cima al mondo e, grazie alle nuove linee di politica in Cina e Russia, avrebbero potuto rafforzare la loro posizione, liberarsi dai debiti, liberarsi dai grovigli burocratici... in pace e più prosperi che mai. Invece si sono lanciati in una serie di guerre e spese in deficit aggiungendo $30.000 miliardi al loro debito e ora la sua politica interna è uno zimbello, la sua politica estera è una vergogna, e lotta contro un nuovo e spietato Trend primario.


ESASPERARE IL NUOVO TREND PRIMARIO

I tassi d'interesse ultra bassi hanno esasperato i massimi, ora, come se fossero guidati da una “mano invisibile”, esaspereranno i minimi. Le amministrazioni americane precedenti a quella Trump, ad esempio, hanno speso troppi soldi a livello statale, hanno tenuto in piedi troppe guerre, hanno limitato il commercio, hanno premiato gli “ammanicati”, hanno punito i loro oppositori e hanno promulgato regolamenti che limitavano la produzione, aumentando così i prezzi reali al consumo e aumentando la povertà.

Potere e sfere di influenza mutevoli tendono a far degenerare un impero che ha raggiunto la sua grandezza massima. Non è una semplice supposizione, è la realtà. È vandalismo, è l'apertura dei cancelli ai “barbari”. E finora le amministrazioni democratiche, in particolare, hanno fatto esattamente questo: il loro vero obiettivo è stato quello di abbassare di livello gli Stati Uniti e peggiorare le cose per la maggior parte degli americani. Questo punto di vista è il migliore per comprendere l'ennesimo invio di aiuti esteri approvati dalla Casa Bianca di Biden.

E che dire delle generazioni che ci hanno preceduto e che ora dormono sottoterra? Erano chiari al riguardo: per gli Stati Uniti era opportuno evitare “coinvolgimenti esteri”; ora invece sono dappertutto. E per 180 anni hanno fatto del loro meglio per controllare i deficit. Perfino ai tempi dell'amministrazione Reagan il debito totale accumulato dagli Stati Uniti era inferiore a $1.000 miliardi. Erano stupidi anche loro per aver cercato di vivere secondo le proprie possibilità?


L'ELEZIONE DI TRUMP

La vittoria di Trump in queste elezioni epocali ha indirizzato in definitiva il Paese verso quel cambiamento di paradigma di cui ho scritto nel dettaglio nel Capitolo 6 del mio ultimo libro, Il Grande Default. Questo cambiamento di percorso è iniziato nel 2017 e, per quanto sia stato rallentato negli ultimi 4 anni, adesso è pienamente operativo: spostare l'epicentro del Grande Default e piazzarlo lì dove merita di essere, ovvero in Europa. L'emancipazione monetaria di cui parlo in quel capitolo è una strategia di sopravvivenza che gli USA possono permettersi, Bruxelles no. Ecco perché da questo lato dell'oceano si sperava in una vittoria della Harris. Ecco perché la cricca di Davos ha riscoperto un vecchio adagio: le bugie sono costose da mantenere a lungo andare, la verità si vende da sola. La pubblicazione del sopraccitato libro, infatti, ha l'intenzione di fornire un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato “fuori controllo” negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto con i membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

La cosiddetta “onda rossa” che vedete nell'immagine qui sotto non equivale a una “rivolta popolare” contro il malgoverno democratico, rappresenta invece una presa di posizione del sistema bancario commerciale statunitense contro la “soluzione” proposta dalla cricca di Davos al problema del debito pubblico: scalata ostile del dollaro e riduzione degli USA a mera succursale dell'Europa e, soprattutto, della City di Londra. Chi riceve le chiamate qui non è Trump, ma personaggi del calibro di Jamie Dimon. Senza la benedizione di Wall Street la FED non avrebbe mai potuto rialzare i tassi d'interesse. Se non si ha chiaro il vero obiettivo dell'Agenda 2030 del WEF, ovvero il sistema bancario commerciale statunitense, allora non si è in grado di unire coerentemente i puntini. Una volta compreso questo punto, va da sé che diventa chiaro come deve essere un meccanismo di difesa: chiudere i rubinetti dell'eurodollaro e indicizzare i debiti interni a un indice nazionale (SOFR) piuttosto che internazionale (LIBOR).

Come avevo avuto modo di dire in precedenza, la FED avrebbe agevolato il compito di Trump una volta eletto tagliando i tassi (senza mai tornare, però, allo zero percento). Non l'avrebbe fatto con la Harris, invece, dato che una sua amministrazione avrebbe portato “serpi in seno” così come le hanno portate le amministrazioni Biden e Obama. Fino a quando ci sarà Powell alla FED, quest'ultima rimarrà indipendente e apporrà quanta più pressione politica possibile affinché vengano risanati le deformità fiscali alimentate dalle amministrazioni precedenti. In questi ultimi anni la FED ha resistito a diversi assalti alla sua indipendenza tramite il proxy del budget fiscale: giganteschi deficit, curva dei rendimenti “impazzita”, senatori come Elizabeth Warren che avrebbero voluto rifonderla con il Ministero del Tesoro, ecc. Tutte le linee di politica adottate dalla FED negli ultimi 4 anni in particolar modo sono state tutte indirizzate per arrivare al momento di oggi, “all'onda rossa”. Con una maggioranza sia alla Camera che al Senato, la FED potrà tagliare i tassi e permettere al sistema bancario commerciale americano di affrontare la tormenta finanziaria. Questo è solo l'inizio di un cammino lungo, non avverrà in 4 anni, le deformazioni economiche del passato sono state talmente profonde che richiederanno anni per essere risanate.

La reazione dei mercati post-elezioni era prevedibile: euro in calo, sterlina in calo, mercato obbligazionario europeo in calo... mercato azionario statunitense in ascesa. Liquidità drenata dal mercato dell'eurodollaro e che vola nei mercati finanziari statunitensi. Niente di più, niente di meno di quanto scrivo nel mio libro per spiegare con dovizia di dettagli il momento a cui siamo arrivati partendo dal suo incipit. Alla luce di tutto ciò, ecco perché Dimon è uno di coloro che guida il processo decisionale dietro Trump. “L'onda rossa” equivale a dire a chi lavora per la fazione avversa, o cricca di Daovs, e che ha remato contro gli USA: “Ora voi lavorate per me”. Sto parlando di gente come Mitt Romney, Mitch McConnell, Susan Collins, Lisa Murkowski, Elizabeth Warren, ecc.

Come ho sempre detto, vedetela come una cupola mafiosa al cui interno le famiglie a volte stringono accordi e a volte si accoltellano alle spalle. Il messaggio di Dimon è chiaro: “Se non volete perdere quel poco che vi resta ancora, farete come diciamo e approverete le leggi che vi diremo di approvare. Potrete tenervi le vostre ricchezze, potrete ricevere contratti di ricostruzione in Ucraina o altrove, verrete pagati. Però voterete a favore di qualsiasi cosa vi diremo di votare quando l'amministrazione Trump proporrà leggi in materia fiscale, commerciale, tagli agli sprechi, ecc. Adesso lavorate per noi. Siete asset americani adesso. Non volete? Bene, ci sarà qualcuno che vi rimpiazzerà... ma voi verrete distrutti così come le vostre famiglie”. È così che funziona questo gioco. Questa gente, quindi, verrà richiamata “all'ordine” fino a quando la cricca di Davos si ritroverà che nessuno dagli USA risponderà più alle sue chiamate. Sono queste le vere conseguenze dell'elezione di Trump.

Da questo punto di vista la carta vincente è stata senza dubbio la scelta di Musk di comprare Twitter. Per quanto si sia rivelato, nel breve termine, una scelta economicamente negativa (visto che ci sta perdendo soldi), si sta invece rivelando una scelta economicamente vantaggiosa per il lungo periodo. Twitter, ormai X, ha rappresentato una breccia nelle vie di comunicazioni della cricca di Davos, la quale ha visto aumentare il costo delle menzogne. In particolar modo dopo la questione Twitter files. Vogliamo poi parlare di come Starlink abbia funzionato come un mezzo attraverso il quale le persone nelle zone di guerra hanno potuto inviare video e quindi scavalcare quelle notizie fuorvianti date dai media generalisti?

Questo è un tipo di mentalità che è stata venduta egregiamente da Trump e amplificata da Musk. Inutile dire che il mio intero libro è permeato dalla necessità di spiegare questa filosofia, perché sarà cruciale nel futuro prossimo, soprattutto per gli USA. I “troppo grandi per fallire”, la cricca di Davos e le sue sfere d'influenza, adesso sono “troppo grandi da tenere in piedi”.

Infatti, sulla scia della vittoria di Trump, quegli “strumenti” che la cricca di Davos ha usato per modificare usi/costumi della società e seminare il controllo capillare di cui aveva bisogno per sedimentare la propria influenza, si sono spuntati. La cultura woke sta esalando i suoi ultimi respiri, così come tutto quel perbenismo e politically correct che ha permeato negli ultimi anni il mondo LGBT, per non parlare dell'abominio rappresentato dalla sessualizzazione precoce dei bambini. Lo stesso destino attende i criteri ESG, già in dismissione da parte di Wall Street da un po' di tempo. Altrettanto “curioso”, poi, è l'implosione del governo tedesco e dell'azienda ucraina Ukrenergo legata a doppio filo all'UE tramite la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Perché è importante? Perché può rappresentare una potenziale LTCM dei giorni nostri. Se lo scorso luglio c'era ancora tempo per concedere una moratoria all'Ucraina per il rimborso dei suoi prestiti, adesso l'orologio sta ticchettando più forte. Come ho detto anche in precedenza, non mi sorprenderebbe vedere istituti finanziari che come asset hanno titoli ucraini (sia sovrani che non). L'eurodollaro è prosciugato e gli USA si apprestano a mettere ordine anche dal lato fiscale dell'equazione, quindi i pasti gratis per Bruxelles sono destinati a diminuire drasticamente.


CONCLUSIONE

Come Buffett, è opportuno essere pronti per un periodo di caos finanziario. Il Trend primario è sceso; potrebbe durare per molti anni. Con il calo dei prezzi degli asset è inevitabile che si verifichino delle crisi. Non è necessario fare alcuna previsione, basta solo vedere che le azioni sono costose. L'indice S&P ha un rapporto CAPE di 35+, il doppio del prezzo medio delle azioni, storicamente nel 97° percentile. Ciò suggerisce che i prezzi delle azioni potrebbero scendere della metà, solo per tornare a un intervallo “normale”.

Il rapporto Dow/oro ci dice che le azioni hanno ancora molta strada da fare per scendere. Il rapporto è solitamente intorno a 10; ora è 16,5. Le azioni dovranno perdere circa il 40% del loro valore per tornare alla media. Ma i mercati non si spostano semplicemente alla “media” e ci rimangono. Passano da prezzi troppo alti a prezzi troppo bassi... e viceversa. In questo momento le azioni sono destinate a una fase di ribasso di portata sconosciuta, ma poiché le banche centrali hanno spinto l'ultimo Trend primario all'estremo, e poiché ora sembra che stiano spingendo all'estremo opposto, il prossimo periodo di caos dovrebbe essere decisamente pronunciato.

Il modello Dow/oro ci dice di restare in “modalità sicurezza” finché il rapporto non scende a 5 o meno (quando si può acquistare l'intera lista di 30 azioni Dow Jones per l'equivalente di 5 once d'oro). A quel punto sarà il momento di seguire il consiglio di Buffett e “giocare all'attacco mentre gli altri si dannano per sopravvivere”. Ma per questi aspetti c'è sempre il servizio di consulenza del blog a cui potete rivolgervi.


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venerdì 18 ottobre 2024

Il piatto europeo non deve saltare

 

 

di Francesco Simoncelli

Nei miei ultimi pezzi ho analizzato alcuni fattori che ci permettono di avere un quadro della situazione economica abbastanza chiaro: le due cose principali che fanno crollare una nazione sono la guerra e il debito, le nazioni del mondo stanno alimentando entrambi, il debito della maggior parte di loro supera la soglia critica del 130% del PIL, tutti utilizzano la stessa “carta di credito” per le spese pubbliche e rinviano il debito a qualcun altro, in un altro momento, e in una democrazia moderna chi decide compete per potere e denaro; nessuno ha l'incentivo a smettere di calciare il barattolo lungo la strada. Mettiamo queste intuizioni in prospettiva adesso. Il mercato obbligazionario europeo ha raggiunto il picco (con rendimenti minimi record) a dicembre 2020; il mercato azionario ha raggiunto il picco alla fine del 2000. A tutti gli effetti inversioni nel Trend primario, da allora infatti non è successo nulla che suggerisca il contrario: il picco locale del 2007, ad esempio nell'EuroStoxxx 50, è inferiore a quello precedente, così come l'ascesa attuale non ha ancora superato il massimo relativo del 2007. Molto probabilmente assisteremo a prezzi reali di azioni e obbligazioni più bassi (con tassi d'interesse più elevati) per molti anni a venire.

Abbiamo visto i massimi, ora aspettiamo i minimi. Gli investitori avveduti, quelli di lungo termine soprattutto, dovrebbero essere in modalità “prudenza massima”. Potranno allentare la tensione e vendere oro quando i prezzi delle azioni scenderanno così tanto che si potranno acquistare tutte le azioni nell'indice Dow per cinque monete d'oro da un'oncia. Molto probabilmente anche il governo degli Stati Uniti dovrà toccare un fondo: dovrà entrare nel mezzo di una vera e propria crisi del debito prima di potere rimettere insieme i cocci della nazione. Solo dopo potrà tornare a linee di politica finanziarie sostenibili.

Ma aspettate, c'è sempre qualcosa di più. Javier Milei non sta forse ribaltando le sorti dell'Argentina? Trump non sta suggerendo che farà lo stesso con gli Stati Uniti? La Giamaica, ad esempio, non è forse uscita con successo da una crisi del debito... e anche la Grecia? Sì, sì, sì e forse.

Solo pochi anni fa la Giamaica era sull'orlo di un crollo finanziario. Aveva speso troppo e preso in prestito troppo, i creditori si rifiutavano di concedere altro credito, l'inflazione era alle stelle e la valuta stava perdendo valore. Ma invece di andare in default la Giamaica si è rimboccata le maniche e si è messa al lavoro. Un paio di studi accademici, riportati anche dal Financial Times, ci raccontano cosa è successo:

La Giamaica ha dimezzato il rapporto debito pubblico/PIL dal 144% tra il 2012 e il 2023 [...]. Lo ha fatto attraverso surplus primari sostenuti (eccesso di entrate rispetto alla spesa, esclusi i pagamenti degli interessi) superiori al 7% del PIL per sette anni consecutivi.

Per riferimento, l'Italia attualmente sta operando con un deficit di bilancio di circa il 7% del PIL. Gli autori del lavoro accademico, professori di Stanford e Berkeley insieme a Serkan Arslanalp dell'FMI, hanno concluso che è stata una “dura lotta di costruzione del consenso”. In qualche modo il governo giamaicano è riuscito a convincere quasi tutti a stringere la cinghia mentre comprimeva sempre di più il proprio bilancio.

La Grecia è un altro caso di studio. Le finanze pubbliche della Grecia erano gestite in modo assurdo e notoriamente corrotto. Il governo greco era stato in “quasi default” per tutto il XIX secolo e gran parte del XX secolo, ha speso soldi che non aveva e poi ha mentito sui suoi numeri in modo che non si potesse capire cosa stesse realmente succedendo. Nel 2008, ad esempio, la sua spesa militare era il doppio della media dell'UE. Nel 2009, poi, è arrivato il giorno del giudizio, con un debito superiore al 130% del PIL. In circostanze normali le persone non avrebbero prestato tutti quei soldi, ma Goldman Sachs l'aveva aiutata a mascherare la sua situazione finanziaria reale in modo che ottenesse l'adesione all'Unione Europea. Come membro dell'UE è stata in grado di prendere in prestito in una valuta stabile, l'euro, e sembrava avere il sostegno di Germania e Francia. Poi, quando sono iniziati i guai, i tedeschi hanno protestato: non volevano salvare i greci, pigri e dissoluti.

Questi ultimi hanno fatto quello che hanno sempre fatto: sono diventati la prima nazione sviluppata a non pagare un prestito dell'FMI. Ci sono state rivolte, chiusure di banche, caos e tumulti. Le spese sono state tagliate, sono stati negoziati salvataggi, altre crisi, altre negoziazioni. Nel 2012 un bond greco a 20 anni era quasi senza valore, con un rendimento salito quasi del 140%. La Grecia era un “caso disperato”, ma la vita continuava. Gli sportelli bancomat non funzionavano, ma i ristoranti erano aperti. La disoccupazione era salita, ma molti greci erano comunque abituati a non lavorare.

Nel 2011 la Grecia era in depressione, con un PIL in calo del 7%. Più di 100.000 aziende erano fallite e il tasso di disoccupazione aveva raggiunto il 23%. Il rapporto debito/PIL aveva raggiunto il 177% nel 2014 e nel 2016 sembrava aver toccato il fondo, con un greco su tre che si diceva vivesse in povertà. Ma può sempre peggiorare: le crisi economiche spesso diventano anche crisi politiche. Se siete fortunati le persone perdono soldi, perdono il lavoro, le aziende e gli investitori vanno in rovina e questa è la fine; se invece siete sfortunati, volano proiettili e ci sono carri armati nelle strade. Finora la Grecia è stata fortunata.

Avrebbe potuto scappare dall'Europa e dire alla “Troika” (FMI, Banca Mondiale e UE) di andarsene al diavolo; avrebbe potuto tornare alla sua moneta, la dracma, come consigliato da Paul Krugman, e lanciarsi in un baccanale di stampa di denaro e iperinflazione. Invece si è rimboccata le maniche, ha tagliato la spesa, ha aumentato le tasse, licenziato “dipendenti pubblici” fannulloni ed è riuscita a ottenere un surplus di bilancio di circa il 4% del PIL. Il suo rapporto debito/PIL è sceso dal 180% al 160%, ma con l'aiuto della Troika sembra tenere le cose insieme mentre riduce il suo debito.

Cosa possiamo imparare da questi esempi? Probabilmente non molto. Sono piccoli Paesi, dove la democrazia sembra funzionare meglio. E, a differenza degli Stati Uniti ad esempio, non sono mai stati in grado di prendere in prestito grandi quantità in una valuta il cui valore controllavano... quindi non potevano “svalutare” i loro debiti.


L'INCALZANTE STRETTA SULLE PENSIONI

Nel frattempo ci sono anche schemi negli affari politici e a volte è difficile collegare le due cose: finanza e politica (un campo che viene definito Megapolitica). Ma i massimi da record nel mercato obbligazionario e azionario sono stati chiaramente il prodotto di linee di politica governative, due in particolare: debito e guerra. Gli stimoli fiscali/monetari, le guerre e i debiti sono aumentati, così come i prezzi al consumo, e poi l'inflazione ha costretto le banche centrali ad abbandonare il loro sostegno ai mercati azionari e obbligazionari. Le azioni sono scese, così come il valore delle obbligazioni (i rendimenti sono aumentati), anche se nel mercato azionario il danno è stato mascherato dall'inflazione stessa. Ciononostante l'impatto vero sui mercati obbligazionari non è stato ancora avvertito. Fondi pensione, compagnie assicurative e banche commerciali detengono miliardi di euro in obbligazioni sovrane e molti di essi sono stati obbligati ad acquistarle come forme “sicure” di riserve di capitale; poi quando hanno iniziato a perdere valore, i loro proprietari le hanno tenute al valore nominale, impegnandosi a detenerle fino alla scadenza e fingendo che non avrebbero perso denaro.

Ecco perché si parla tanto di abbassare i tassi d'interesse. Non c'è nulla di intrinsecamente buono in tassi d'interesse più bassi. Le persone li pagano e li ricevono sui loro risparmi, ma sono solo informazioni. I principali player nel nostro sistema finanziario, ovvero banche commerciali e agenzie governative, sono tutti grandi proprietari e venditori di obbligazioni sovrane. Quando i tassi d'interesse salgono, non solo per loro diventa più difficile prendere in prestito denaro, ma diminuisce anche il valore dei titoli obbligazionari in loro possesso.

I fondi pensione, ad esempio, dedicano circa il 56% dei loro portafogli alle obbligazioni sovrane. Man mano che queste ultime perdono valore a causa dell'inflazione, i rendimenti dei fondi pensione vengono schiacciati. I deflussi, i pagamenti ai pensionati, vengono aggiustati all'inflazione, ma i loro titoli di Stato no. Devono quindi raccogliere più denaro per coprire il deficit nelle loro riserve e ciò richiede più prestiti, il che spinge i tassi d'interesse verso l'alto.

Nel frattempo sempre più persone vanno in pensione mettendo ulteriore pressione sulle finanze degli stati. I pensionati diventano a tutti gli effetti dipendenti dalla previdenza sociale.

Questo schema segue i modelli di Trend primario nei mercati. Le linee di politica delle banche centrali, in particolare i tassi d'interesse estremamente bassi, hanno ingannato i mercati azionari e obbligazionari fino a farli raggiungere massimi estremi. Ora, e nei decenni a venire, le politiche fiscali/monetarie, guerra e debito li spingeranno a minimi estremi.


LENTO E PROGRESSIVO IMPOVERIMENTO PER NON FAR SALTARE IL PIATTO

Il succo del benessere, di cui tanti hanno nostalgia, degli ultimi 40+ anni era questo: la ricchezza ha abbandonato l'economia dei consumatori (grazie ai prezzi più bassi dei beni di fabbricazione estera e alla perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero) ed è entrata nell'economia finanziarizzata (grazie ai tassi di interesse ultra bassi). Le azioni sono salite alle stelle, gli stipendi sono rimasti stagnanti. Il periodo successivo sarà l'opposto: il denaro verrà sottratto all'economia del capitale e immesso nell'economia dei consumatori (tramite deficit). Tassi più alti, prezzi delle azioni più bassi.

Quanto è utile questa intuizione? Ci permette di capire come il Trend primario nei mercati (tassi d'interesse più alti, prezzi delle azioni più bassi) si collega ai modelli della politica. Non si può capire come funziona una colonia di formiche diventando una formica, né si può capire la politica moderna diventando un democratico o un repubblicano. Bisogna fare un passo indietro e osservare. Come un antropologo che cerca di studiare una tribù mai contattata prima. Anche nel mondo della finanza, conviene essere invisibili, non partigiani. Imparziali.

L'inflazione è diventata parte integrante del sistema, non è più alimentata principalmente dalla politica monetaria (tassi d'interesse bassissimi) ma dalla politica fiscale (deficit elevatissimi). Ogni anno le banche centrali sottraggono dall'economia finanziaria da uno a due mila miliardi di dollari in più (in deficit). Gli investitori acquistano obbligazioni e i fondi finiscono nei “programmi non discrezionali”, come la previdenza sociale e le pensioni. E anche nei programmi discrezionali, come i miliardi spesi in armi da usare nei vari conflitti nel mondo. Questo denaro alla fine arriva negli stipendi e poi nei prezzi al consumo. Il processo è insidioso: vent'anni fa, ad esempio, si poteva comprare un chilo di pane a circa €1,85; oggi costa €4,2 circa, quasi il 70% di più. Il pane è l'alimento più economico e veloce per la classe operaia quando si tratta di mangiare. Una paga oraria media nei primi anni 2000 era di €8 l'ora circa: ci volevano circa 15 minuti di lavoro per comprare un chilo di pane. Oggi la paga oraria media è di €19 circa, il che equivale a circa 18 minuti per comprare un chilo di pane... tre minuti in più. Non è solo inflazione; è un impoverimento lento e progressivo. Negli ultimi 24 anni i lavoratori sono diventati più poveri.

Jeffrey Tucker ci mostra, poi, come i dati ufficiali sull'inflazione distorcono ulteriormente la percezione della realtà.

La politica degli stati è cambiata. Le banche centrali non possono più dare una spinta all'economia finanziaria tramite tassi d'interesse ultra bassi, la Legge dei rendimenti decrescenti sta decretando erosione di PIL e non creazione aggiuntiva mediante nuove unità di debito immesse nel sistema. Il cambio di rotta da parte della BCE, ad esempio, non sta facendo altro che incentivare la fuga di capitali dal mercato obbligazionario europeo e ciò rende più difficile per gli stati membri prendere in prestito i soldi di cui hanno bisogno. E questo, a sua volta, necessita di misure più stringenti sui sottoposti.

Questa “carta di credito”, però, per quanto possa essere profonda, soprattutto in Italia, non è infinita e serve solo a comprare tempo. Perché? Perché con la chiusura dei rubinetti dell'eurodollaro i sogni di scalare gli Stati Uniti sono stati infranti. Questa era la fonte prediletta dei presunti pasti gratis che per molto tempo hanno tenuto in piedi le illusioni burocratiche dell'UE di far marciare in avanti l'idea che l'URSS aveva senso solo che “era gestita male”. Le illusioni socialiste sono sempre le stesse: “Abbiamo imparato dalla storia e non commetteremo gli stessi errori”. Finché i guai economici potevano essere trasferiti a qualcun altro, questo assioma pareva reggere... poi, nel 2017, sono iniziati i lavori per implementare il SOFR negli Stati Uniti e nel 2019 i sogni socialisti dell'UE sono definitivamente tramontati quando i mercati dei pronti contro termine statunitensi sono stati chiusi alle garanzie extra-americane.

Il resto è storia e potete approfondirne i vari aspetti nell'ultimo libro che ho pubblicato di recente, Il Grande Default.

Il succo della storia è che la nave europea sta seguendo la direzione del fallimento e l'unico modo che ha per salvarsi, o almeno per provarci, è quello di accentrare ancora di più il potere. Questo significa la possibilità di tassare direttamente i contribuenti di ogni singolo stato europeo e il trasferimento di tali competenze direttamente a Bruxelles. Non solo, ma anche la possibilità di emettere debito comune, ovvero obbligazioni sovrane comuni. I piani come il Next Generation EU o le obbligazioni SURE sono tutti strumenti che puntano in tale direzione. Chi ha il potere decisionale, infatti, sa benissimo che questa è solo una fase di transizione e affinché rimanga saldamente al comando deve assolutamente condurre il gioco verso suddetto finale di partita. Pensateci, il tessuto industriale è sfilacciato, la capacità innovativa inesistente e la produzione continua a perdere vigore a vista d'occhio; il presunto monopsonio europeo era un'illusione tenuta in piedi dall'accesso al mercato dell'eurodollaro che, a sua volta, permetteva all'UE di accedere a finanziamenti a basso costo. Tale accesso adesso è precluso e lo è in un momento storico in cui le principali potenze del mondo, Cina e Stati Uniti, stanno progressivamente autarchizzando le proprie economie. Se gli Stati Uniti hanno dalla loro l'innovazione tecnologica e l'energia relativamente a basso costo, la Cina può contare anche su un allargamento della sua sfera d'influenza tramite i BIRCS. Cos'ha l'Europa invece? Niente di tutto ciò, così come ha sottolineato di recente anche Draghi nella sua relazione.

Se fino al 2017 l'accentramento progressivo era stato messo sul pilota automatico, abbiamo visto che con la crisi sanitaria e l'escalation in Europa orientale e Medio Oriente ci sono state nuove vampate d'accelerazione in tal senso. Aspettiamocene, quindi, un'altra nell'arco di questa Commissione europea dato che senza tale propellente la macchina europea si ingolfa e salta in aria.


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