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venerdì 18 ottobre 2024

Il piatto europeo non deve saltare

 

 

di Francesco Simoncelli

Nei miei ultimi pezzi ho analizzato alcuni fattori che ci permettono di avere un quadro della situazione economica abbastanza chiaro: le due cose principali che fanno crollare una nazione sono la guerra e il debito, le nazioni del mondo stanno alimentando entrambi, il debito della maggior parte di loro supera la soglia critica del 130% del PIL, tutti utilizzano la stessa “carta di credito” per le spese pubbliche e rinviano il debito a qualcun altro, in un altro momento, e in una democrazia moderna chi decide compete per potere e denaro; nessuno ha l'incentivo a smettere di calciare il barattolo lungo la strada. Mettiamo queste intuizioni in prospettiva adesso. Il mercato obbligazionario europeo ha raggiunto il picco (con rendimenti minimi record) a dicembre 2020; il mercato azionario ha raggiunto il picco alla fine del 2000. A tutti gli effetti inversioni nel Trend primario, da allora infatti non è successo nulla che suggerisca il contrario: il picco locale del 2007, ad esempio nell'EuroStoxxx 50, è inferiore a quello precedente, così come l'ascesa attuale non ha ancora superato il massimo relativo del 2007. Molto probabilmente assisteremo a prezzi reali di azioni e obbligazioni più bassi (con tassi d'interesse più elevati) per molti anni a venire.

Abbiamo visto i massimi, ora aspettiamo i minimi. Gli investitori avveduti, quelli di lungo termine soprattutto, dovrebbero essere in modalità “prudenza massima”. Potranno allentare la tensione e vendere oro quando i prezzi delle azioni scenderanno così tanto che si potranno acquistare tutte le azioni nell'indice Dow per cinque monete d'oro da un'oncia. Molto probabilmente anche il governo degli Stati Uniti dovrà toccare un fondo: dovrà entrare nel mezzo di una vera e propria crisi del debito prima di potere rimettere insieme i cocci della nazione. Solo dopo potrà tornare a linee di politica finanziarie sostenibili.

Ma aspettate, c'è sempre qualcosa di più. Javier Milei non sta forse ribaltando le sorti dell'Argentina? Trump non sta suggerendo che farà lo stesso con gli Stati Uniti? La Giamaica, ad esempio, non è forse uscita con successo da una crisi del debito... e anche la Grecia? Sì, sì, sì e forse.

Solo pochi anni fa la Giamaica era sull'orlo di un crollo finanziario. Aveva speso troppo e preso in prestito troppo, i creditori si rifiutavano di concedere altro credito, l'inflazione era alle stelle e la valuta stava perdendo valore. Ma invece di andare in default la Giamaica si è rimboccata le maniche e si è messa al lavoro. Un paio di studi accademici, riportati anche dal Financial Times, ci raccontano cosa è successo:

La Giamaica ha dimezzato il rapporto debito pubblico/PIL dal 144% tra il 2012 e il 2023 [...]. Lo ha fatto attraverso surplus primari sostenuti (eccesso di entrate rispetto alla spesa, esclusi i pagamenti degli interessi) superiori al 7% del PIL per sette anni consecutivi.

Per riferimento, l'Italia attualmente sta operando con un deficit di bilancio di circa il 7% del PIL. Gli autori del lavoro accademico, professori di Stanford e Berkeley insieme a Serkan Arslanalp dell'FMI, hanno concluso che è stata una “dura lotta di costruzione del consenso”. In qualche modo il governo giamaicano è riuscito a convincere quasi tutti a stringere la cinghia mentre comprimeva sempre di più il proprio bilancio.

La Grecia è un altro caso di studio. Le finanze pubbliche della Grecia erano gestite in modo assurdo e notoriamente corrotto. Il governo greco era stato in “quasi default” per tutto il XIX secolo e gran parte del XX secolo, ha speso soldi che non aveva e poi ha mentito sui suoi numeri in modo che non si potesse capire cosa stesse realmente succedendo. Nel 2008, ad esempio, la sua spesa militare era il doppio della media dell'UE. Nel 2009, poi, è arrivato il giorno del giudizio, con un debito superiore al 130% del PIL. In circostanze normali le persone non avrebbero prestato tutti quei soldi, ma Goldman Sachs l'aveva aiutata a mascherare la sua situazione finanziaria reale in modo che ottenesse l'adesione all'Unione Europea. Come membro dell'UE è stata in grado di prendere in prestito in una valuta stabile, l'euro, e sembrava avere il sostegno di Germania e Francia. Poi, quando sono iniziati i guai, i tedeschi hanno protestato: non volevano salvare i greci, pigri e dissoluti.

Questi ultimi hanno fatto quello che hanno sempre fatto: sono diventati la prima nazione sviluppata a non pagare un prestito dell'FMI. Ci sono state rivolte, chiusure di banche, caos e tumulti. Le spese sono state tagliate, sono stati negoziati salvataggi, altre crisi, altre negoziazioni. Nel 2012 un bond greco a 20 anni era quasi senza valore, con un rendimento salito quasi del 140%. La Grecia era un “caso disperato”, ma la vita continuava. Gli sportelli bancomat non funzionavano, ma i ristoranti erano aperti. La disoccupazione era salita, ma molti greci erano comunque abituati a non lavorare.

Nel 2011 la Grecia era in depressione, con un PIL in calo del 7%. Più di 100.000 aziende erano fallite e il tasso di disoccupazione aveva raggiunto il 23%. Il rapporto debito/PIL aveva raggiunto il 177% nel 2014 e nel 2016 sembrava aver toccato il fondo, con un greco su tre che si diceva vivesse in povertà. Ma può sempre peggiorare: le crisi economiche spesso diventano anche crisi politiche. Se siete fortunati le persone perdono soldi, perdono il lavoro, le aziende e gli investitori vanno in rovina e questa è la fine; se invece siete sfortunati, volano proiettili e ci sono carri armati nelle strade. Finora la Grecia è stata fortunata.

Avrebbe potuto scappare dall'Europa e dire alla “Troika” (FMI, Banca Mondiale e UE) di andarsene al diavolo; avrebbe potuto tornare alla sua moneta, la dracma, come consigliato da Paul Krugman, e lanciarsi in un baccanale di stampa di denaro e iperinflazione. Invece si è rimboccata le maniche, ha tagliato la spesa, ha aumentato le tasse, licenziato “dipendenti pubblici” fannulloni ed è riuscita a ottenere un surplus di bilancio di circa il 4% del PIL. Il suo rapporto debito/PIL è sceso dal 180% al 160%, ma con l'aiuto della Troika sembra tenere le cose insieme mentre riduce il suo debito.

Cosa possiamo imparare da questi esempi? Probabilmente non molto. Sono piccoli Paesi, dove la democrazia sembra funzionare meglio. E, a differenza degli Stati Uniti ad esempio, non sono mai stati in grado di prendere in prestito grandi quantità in una valuta il cui valore controllavano... quindi non potevano “svalutare” i loro debiti.


L'INCALZANTE STRETTA SULLE PENSIONI

Nel frattempo ci sono anche schemi negli affari politici e a volte è difficile collegare le due cose: finanza e politica (un campo che viene definito Megapolitica). Ma i massimi da record nel mercato obbligazionario e azionario sono stati chiaramente il prodotto di linee di politica governative, due in particolare: debito e guerra. Gli stimoli fiscali/monetari, le guerre e i debiti sono aumentati, così come i prezzi al consumo, e poi l'inflazione ha costretto le banche centrali ad abbandonare il loro sostegno ai mercati azionari e obbligazionari. Le azioni sono scese, così come il valore delle obbligazioni (i rendimenti sono aumentati), anche se nel mercato azionario il danno è stato mascherato dall'inflazione stessa. Ciononostante l'impatto vero sui mercati obbligazionari non è stato ancora avvertito. Fondi pensione, compagnie assicurative e banche commerciali detengono miliardi di euro in obbligazioni sovrane e molti di essi sono stati obbligati ad acquistarle come forme “sicure” di riserve di capitale; poi quando hanno iniziato a perdere valore, i loro proprietari le hanno tenute al valore nominale, impegnandosi a detenerle fino alla scadenza e fingendo che non avrebbero perso denaro.

Ecco perché si parla tanto di abbassare i tassi d'interesse. Non c'è nulla di intrinsecamente buono in tassi d'interesse più bassi. Le persone li pagano e li ricevono sui loro risparmi, ma sono solo informazioni. I principali player nel nostro sistema finanziario, ovvero banche commerciali e agenzie governative, sono tutti grandi proprietari e venditori di obbligazioni sovrane. Quando i tassi d'interesse salgono, non solo per loro diventa più difficile prendere in prestito denaro, ma diminuisce anche il valore dei titoli obbligazionari in loro possesso.

I fondi pensione, ad esempio, dedicano circa il 56% dei loro portafogli alle obbligazioni sovrane. Man mano che queste ultime perdono valore a causa dell'inflazione, i rendimenti dei fondi pensione vengono schiacciati. I deflussi, i pagamenti ai pensionati, vengono aggiustati all'inflazione, ma i loro titoli di Stato no. Devono quindi raccogliere più denaro per coprire il deficit nelle loro riserve e ciò richiede più prestiti, il che spinge i tassi d'interesse verso l'alto.

Nel frattempo sempre più persone vanno in pensione mettendo ulteriore pressione sulle finanze degli stati. I pensionati diventano a tutti gli effetti dipendenti dalla previdenza sociale.

Questo schema segue i modelli di Trend primario nei mercati. Le linee di politica delle banche centrali, in particolare i tassi d'interesse estremamente bassi, hanno ingannato i mercati azionari e obbligazionari fino a farli raggiungere massimi estremi. Ora, e nei decenni a venire, le politiche fiscali/monetarie, guerra e debito li spingeranno a minimi estremi.


LENTO E PROGRESSIVO IMPOVERIMENTO PER NON FAR SALTARE IL PIATTO

Il succo del benessere, di cui tanti hanno nostalgia, degli ultimi 40+ anni era questo: la ricchezza ha abbandonato l'economia dei consumatori (grazie ai prezzi più bassi dei beni di fabbricazione estera e alla perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero) ed è entrata nell'economia finanziarizzata (grazie ai tassi di interesse ultra bassi). Le azioni sono salite alle stelle, gli stipendi sono rimasti stagnanti. Il periodo successivo sarà l'opposto: il denaro verrà sottratto all'economia del capitale e immesso nell'economia dei consumatori (tramite deficit). Tassi più alti, prezzi delle azioni più bassi.

Quanto è utile questa intuizione? Ci permette di capire come il Trend primario nei mercati (tassi d'interesse più alti, prezzi delle azioni più bassi) si collega ai modelli della politica. Non si può capire come funziona una colonia di formiche diventando una formica, né si può capire la politica moderna diventando un democratico o un repubblicano. Bisogna fare un passo indietro e osservare. Come un antropologo che cerca di studiare una tribù mai contattata prima. Anche nel mondo della finanza, conviene essere invisibili, non partigiani. Imparziali.

L'inflazione è diventata parte integrante del sistema, non è più alimentata principalmente dalla politica monetaria (tassi d'interesse bassissimi) ma dalla politica fiscale (deficit elevatissimi). Ogni anno le banche centrali sottraggono dall'economia finanziaria da uno a due mila miliardi di dollari in più (in deficit). Gli investitori acquistano obbligazioni e i fondi finiscono nei “programmi non discrezionali”, come la previdenza sociale e le pensioni. E anche nei programmi discrezionali, come i miliardi spesi in armi da usare nei vari conflitti nel mondo. Questo denaro alla fine arriva negli stipendi e poi nei prezzi al consumo. Il processo è insidioso: vent'anni fa, ad esempio, si poteva comprare un chilo di pane a circa €1,85; oggi costa €4,2 circa, quasi il 70% di più. Il pane è l'alimento più economico e veloce per la classe operaia quando si tratta di mangiare. Una paga oraria media nei primi anni 2000 era di €8 l'ora circa: ci volevano circa 15 minuti di lavoro per comprare un chilo di pane. Oggi la paga oraria media è di €19 circa, il che equivale a circa 18 minuti per comprare un chilo di pane... tre minuti in più. Non è solo inflazione; è un impoverimento lento e progressivo. Negli ultimi 24 anni i lavoratori sono diventati più poveri.

Jeffrey Tucker ci mostra, poi, come i dati ufficiali sull'inflazione distorcono ulteriormente la percezione della realtà.

La politica degli stati è cambiata. Le banche centrali non possono più dare una spinta all'economia finanziaria tramite tassi d'interesse ultra bassi, la Legge dei rendimenti decrescenti sta decretando erosione di PIL e non creazione aggiuntiva mediante nuove unità di debito immesse nel sistema. Il cambio di rotta da parte della BCE, ad esempio, non sta facendo altro che incentivare la fuga di capitali dal mercato obbligazionario europeo e ciò rende più difficile per gli stati membri prendere in prestito i soldi di cui hanno bisogno. E questo, a sua volta, necessita di misure più stringenti sui sottoposti.

Questa “carta di credito”, però, per quanto possa essere profonda, soprattutto in Italia, non è infinita e serve solo a comprare tempo. Perché? Perché con la chiusura dei rubinetti dell'eurodollaro i sogni di scalare gli Stati Uniti sono stati infranti. Questa era la fonte prediletta dei presunti pasti gratis che per molto tempo hanno tenuto in piedi le illusioni burocratiche dell'UE di far marciare in avanti l'idea che l'URSS aveva senso solo che “era gestita male”. Le illusioni socialiste sono sempre le stesse: “Abbiamo imparato dalla storia e non commetteremo gli stessi errori”. Finché i guai economici potevano essere trasferiti a qualcun altro, questo assioma pareva reggere... poi, nel 2017, sono iniziati i lavori per implementare il SOFR negli Stati Uniti e nel 2019 i sogni socialisti dell'UE sono definitivamente tramontati quando i mercati dei pronti contro termine statunitensi sono stati chiusi alle garanzie extra-americane.

Il resto è storia e potete approfondirne i vari aspetti nell'ultimo libro che ho pubblicato di recente, Il Grande Default.

Il succo della storia è che la nave europea sta seguendo la direzione del fallimento e l'unico modo che ha per salvarsi, o almeno per provarci, è quello di accentrare ancora di più il potere. Questo significa la possibilità di tassare direttamente i contribuenti di ogni singolo stato europeo e il trasferimento di tali competenze direttamente a Bruxelles. Non solo, ma anche la possibilità di emettere debito comune, ovvero obbligazioni sovrane comuni. I piani come il Next Generation EU o le obbligazioni SURE sono tutti strumenti che puntano in tale direzione. Chi ha il potere decisionale, infatti, sa benissimo che questa è solo una fase di transizione e affinché rimanga saldamente al comando deve assolutamente condurre il gioco verso suddetto finale di partita. Pensateci, il tessuto industriale è sfilacciato, la capacità innovativa inesistente e la produzione continua a perdere vigore a vista d'occhio; il presunto monopsonio europeo era un'illusione tenuta in piedi dall'accesso al mercato dell'eurodollaro che, a sua volta, permetteva all'UE di accedere a finanziamenti a basso costo. Tale accesso adesso è precluso e lo è in un momento storico in cui le principali potenze del mondo, Cina e Stati Uniti, stanno progressivamente autarchizzando le proprie economie. Se gli Stati Uniti hanno dalla loro l'innovazione tecnologica e l'energia relativamente a basso costo, la Cina può contare anche su un allargamento della sua sfera d'influenza tramite i BIRCS. Cos'ha l'Europa invece? Niente di tutto ciò, così come ha sottolineato di recente anche Draghi nella sua relazione.

Se fino al 2017 l'accentramento progressivo era stato messo sul pilota automatico, abbiamo visto che con la crisi sanitaria e l'escalation in Europa orientale e Medio Oriente ci sono state nuove vampate d'accelerazione in tal senso. Aspettiamocene, quindi, un'altra nell'arco di questa Commissione europea dato che senza tale propellente la macchina europea si ingolfa e salta in aria.


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venerdì 26 gennaio 2024

Sovranismo, parte #3: Mega-politica, la storia e la logica della violenza



di Robert Breedlove

Nella Parte 2 abbiamo esaminato da vicino la principale innovazione nella transizione mondiale verso il sovranismo: Bitcoin. Funzionando come la “banca offshore definitiva” del XXI secolo, Bitcoin è uno strumento indispensabile per gli intrepidi sovranisti che salpano nelle acque internazionali digitali. Oggi analizzeremo le variabili mega-politiche che hanno galvanizzato l’organizzazione socioeconomica umana e la logica della violenza nel corso della storia, e come i cambiamenti in queste considerazioni chiave sulla civiltà plasmeranno il futuro.


Mega-politica

“Se non sai nient’altro del futuro, puoi stare certo che i cambiamenti importanti non saranno né accolti né pubblicizzati dai pensatori convenzionali.”

~ The Sovereign Individual

La mega-politica è lo studio dei modelli macrostrutturali che si riverberano nella storia della civiltà. Uno studioso di storia poco perspicace può essere perdonato per l’errata convinzione che i manifesti politici e i decreti che ne scaturiscano dirigano l’organizzazione socioeconomica. Anche se marginalmente vero, esistono fattori più critici ma meno ovvi che modellano i principali modelli strutturali delle società nel tempo. Le variabili mega-politiche – tra cui la topografia, il clima, la microbiologia e la tecnologia – rappresentano storicamente la stragrande maggioranza della variabilità tra le numerose modalità di auto-organizzazione socioeconomica dell’umanità. In gran parte al di fuori della portata di qualsiasi controllo cosciente, questi elementi scarsamente compresi modellano i canali attraverso i quali viene focalizzata l’energia umana e viene esercitato il potere politico. Innumerevoli mezzi di sussistenza sono stati curati dalla configurazione di questi confini non evidenti per l’azione umana.

La topografia è la variabile mega-politica più evidente: la topografia del paesaggio e l’accesso ai paesaggi marini determinano in gran parte i costi di distribuzione e difesa. Le regioni montuose hanno dato rifugio a molte popolazioni ingovernabili semplicemente perché il costo di “proiettare il potere in salita” è proibitivo. L’accesso acquatico consente l’uso di rotte commerciali efficienti dal punto di vista energetico e lo schieramento di forze navali per difendere le reti economiche. Gli antichi greci, ad esempio, godevano di un elevato rapporto tra litorale e territorio interno, il che consentiva loro di generare redditi elevati su piccoli appezzamenti esportando in modo efficiente olio, olive e vino. L’accumulo di ricchezza generata dall’accesso al mare permise ai greci di armarsi e di schierare una marina competente per proteggere dai saccheggiatori i loro crescenti stock di capitale.

“La linea costiera frattale del litorale greco significava che la maggior parte delle aree della Grecia non erano a più di venti miglia dal mare [...]. I famosi opliti dell'antica Grecia erano agricoltori, o proprietari terrieri, che si armavano a proprie spese.”

~ The Sovereign Individual

La costa frattale dell’antica Grecia offriva un netto vantaggio mega-politico

Il clima è una chiara condizione mega-politica che definisce i confini degli insediamenti umani. Sebbene in qualche modo prevedibile nell’arco di decenni, il clima è costantemente in mutamento e altamente imprevedibile su orizzonti temporali più brevi. Le fluttuazioni meteorologiche stagionali possono avere un impatto determinante sui raccolti; anche lievi cambiamenti ai modelli climatici possono modificare in modo significativo le strategie agricole dell’umanità: ad esempio, un calo della temperatura anche di 1 °C può ridurre le stagioni di crescita di 4 settimane e l’altitudine massima per la coltivazione a 150 metri. Storicamente i cambiamenti improvvisi del clima hanno avuto effetti distruttivi sui redditi agricoli e sulla produzione alimentare, in molti casi “seminando i semi” dell’instabilità politica e della rivolta. I cambiamenti climatici possono anche stimolare o sopprimere in modo significativo l’influenza di un’altra variabile mega-politica chiave: le condizioni microbiologiche.

La microbiologia è una variabile in gran parte invisibile che, prima del XX secolo, era poco compresa. Ogni corpo umano è un mercato di microbi che dipende da un certo grado di equilibrio ecologico per sopravvivere e prosperare. Le culture che tipicamente consideriamo come un nesso di costumi e idee comuni sono spesso anche culture di microbiologia comune. Popolazioni specifiche sono spesso altrettanto resistenti o suscettibili ai microbi estranei, una dinamica che in tutta la storia ha modellato in modo significativo gli esiti della commistione culturale. La mancanza d'immunità ai microbi estranei causò la morte in massa delle popolazioni native americane dopo il primo incontro con i coloni europei nel XV secolo. In quel caso un contagio letale aprì la strada alla conquista europea nel Nuovo Mondo, ma la microbiologia può anche essere difensiva: nonostante i forti vantaggi militaristici, vaste regioni tropicali dell’Africa furono per secoli inespugnabili da parte degli europei perché privi di sufficiente immunità alla malaria, mentre gli africani avevano sviluppato una resistenza (una difesa che, sfortunatamente, è correlata alla prevalenza della sindrome falciforme).

Con l’avanzare della civiltà, queste tre variabili mega-politiche – topografia, clima e microbiologia – sono state gradualmente eclissate in termini di importanza dalla quarta: la tecnologia.

La tecnologia cambia il modo in cui gli esseri umani si relazionano con le altre tre variabili mega-politiche. Grazie all'applicazione dell'intelletto umano, sono stati ottenuti modi più potenti e precisi per incanalare un'ampia varietà di energie attraverso lo spazio-tempo. Gli esplosivi, l’ingegneria del movimento su terra e la bonifica dei terreni hanno consentito agli esseri umani di rimodellare la topografia della Terra per renderla più abitabile. Sebbene il controllo manuale sui modelli climatici rimanga oggi ancora fuori dalla portata della tecnologia, molti dispositivi moderni rendono vivibili luoghi un tempo inabitabili: ad esempio, diverse aree del Sud-est degli Stati Uniti erano totalmente invivibili prima del 1900 e dell'invenzione dell'aria condizionata. Vicino all’apice dell’impatto della tecnologia sull’umanità c’è la scoperta degli antibiotici, i quali hanno aumentato l’aspettativa di vita di oltre il 50% nell’arco di pochi decenni. Naturalmente la lotta umana contro le minacce microbiologiche è in corso, come ha chiaramente dimostrato il Covid-19, ma la tecnologia medica è la modalità più efficace per ridurre l’esposizione umana all’entropia della malattia.

La tecnologia è anche una variabile mega-politica critica, perché fornisce mezzi di attacco e difesa sempre più sofisticati. Entrambe le guerre mondiali del XX secolo possono essere pensate come teatri di violente dimostrazioni tecnologiche: una pletora di scimmie a due zampe che mettono alla prova le meraviglie della carneficina sviluppate nell’era industriale. Gli strumenti e le tecnologie creati dall’uomo fungono da fulcro di un concetto cruciale nell’organizzazione socioeconomica: la logica della violenza. In molte ecologie, la violenza è una strategia comprovata per garantire sostentamento, territorio e capitale; la predazione tra organismi è una strategia di sopravvivenza comune in natura. L’organizzazione socioeconomica umana oggi è vincolata alla violenza perché frutta profitti a coloro che si specializzano in essa.

Poiché la violenza paga, è intrinsecamente difficile da controllare, dato che rappresenta un modello di azione spinto dall’autoconservazione darwiniana. Detto diversamente, nello stato di natura rosseauiano, la violenza è una strategia utile per ottenere con profitto i risultati desiderati derivanti dal lavoro degli altri: un po’ come una mucca che pascola e si nutre della luce solare nelle foglie dell’erba che mangia, o un essere umano che successivamente divora l’energia solare raccolta all’interno della bistecca di mucca. Tutte le strategie competitive sono scolpite dalla ricerca del profitto: che si tratti di profitti psicologici, energetici o finanziari, fa poca differenza.

Le attività redditizie sono intrinsecamente difficili da controllare, poiché esistono pochi stimolanti più potenti per l’azione umana oltre a questa motivazione primordiale. Ma nel XXI secolo la logica e la redditività della violenza e della coercizione stanno vivendo un cambiamento paradigmatico. Una trasformazione nei metodi e nell’accessibilità economica della difesa contro queste forze offensive è in corso grazie alle nuove realtà mega-politiche del mondo digitale. La crittografia è una tecnologia eccezionalmente potente con conseguenze socioeconomiche simili alla metallurgia, o alla polvere da sparo. La crittografia altera la logica e l’applicabilità della violenza e della coercizione, aumentando l’efficacia della difesa e contemporaneamente facendo crollare componenti chiave della sua struttura dei costi. Con set di strumenti digitali crittografati, gli individui possono erigere muri impenetrabili attorno ai dati (e, grazie a Bitcoin, al capitale) a costo quasi zero. Le conseguenze di questa tecnologia sono sconcertanti. Per apprezzare appieno le implicazioni del crollo dei costi di difesa per la civiltà, dobbiamo prima esplorare la logica della violenza insita nella sua struttura esistente.


Il cambiamento nel calcolo della violenza

“Lo stato-nazione ha facilitato la predazione sistematica e su base territoriale.”

~ The Sovereign Individual

Considerati i reciproci antagonismi che possono sorgere tra gli attori di mercato, la violenza (o almeno la minaccia del suo uso) è necessaria per preservare la pace. Garantire le reti economiche che costituiscono i liberi mercati è lo scopo dello stato: l’apparato sociale di costrizione e coercizione. I sistemi giudiziari, la polizia e le spese militari comprendono collettivamente i costi della “sicurezza della rete” necessari per proteggere la divisione sociale del lavoro – l’unico processo in grado di creare tutta la ricchezza in ogni rete economica. Gli specialisti in violenza sono sempre stati necessari per preservare la vita, la libertà e la proprietà; in altre parole, proteggere gli attori di mercato dalla violenza, dall’estorsione e dalla coercizione. I prezzi che gli specialisti della violenza erano in grado d'imporre nell’Era Analogica erano tipicamente alti e in crescita, poiché la sicurezza è un servizio indispensabile per preservare una cooperazione sociale e un’attività commerciale fruttuose.

La protezione è un settore intrinsecamente centralizzatore. Ogni volta che si verifica un conflitto tra due imprese dedite alla protezione, il vincitore è preferito da tutti i potenziali clienti, poiché nessuno vuole lavorare con il secondo miglior fornitore di sicurezza fisica, il quale, essendo stato sconfitto, rimarrà sempre vulnerabile ai capricci del migliore. Detto in modo semplice: i servizi di protezione tendono ad agglomerarsi in monopoli geografici. Nel mercato della protezione “chi vince prende tutto”, lo specialista supremo nella violenza su un dato territorio è, per definizione, lo stato. I confini tra i vari stati, ovviamente, sono tracciati dall’interazione di variabili mega-politiche; dal punto di vista storico all’interno di tali confini la specializzazione della violenza ha tipicamente guidato la centralizzazione della governance. Ecco come Frederic C. Lane descrive questa progressione verso la monopolizzazione della violenza e l’emergere dello stato:

Una volta eliminati dal territorio del suo monopolio tutti i concorrenti nell’uso della violenza, potrebbe ridurre i costi della sorveglianza di quel territorio e di estrazione di pagamenti dai suoi agricoltori, artigiani e commercianti locali. Potrebbe ridurre i costi sostenuti per la produzione e la vendita di protezione, a meno che non vi sia una pericolosa minaccia dall’esterno. I costi potrebbero essere ulteriormente ridotti se lo stato acquisisse legittimità, sia attraverso il mero tempo e la consuetudine, sia attraverso atti cerimoniali e religiosi, o attraverso qualsiasi forma di appello all’opinione pubblica che stabilisca legittimità e sia un modo meno costoso di controllare la violenza rispetto alla spesa per le forze di polizia. [...] La riduzione dei costi di un’impresa produttrice di protezione non porta necessariamente ad una riduzione delle sue estrazioni. Essendo un monopolio, potrebbe mantenere il suo “prezzo di vendita”, o addirittura aumentare il prezzo fino al punto in cui incontra una sorta di resistenza alle vendite, vale a dire difficoltà nella riscossione delle tasse, o al punto in cui invita l'ingresso di un concorrente nel territorio monopolizzato. L'abbassamento dei costi, stabilendo al tempo stesso i prezzi più alti che si possano sopportare, concede all'impresa che controlla il mercato della protezione un eccesso di reddito rispetto ai costi. Si tratta di un tipo speciale di profitto dal monopolio (o surplus del produttore) che è più appropriato definirlo con il nome di tributo.

Pochi oggi si rendono conto che lo stato è nato come monopolio naturale sulla violenza. Paradossalmente nessun altro modello di business nella storia è stato così incline a violare la vita, la libertà e la proprietà dei propri clienti. C’è sempre stata una tentazione irresistibile a esercitare monopoli sulla violenza per estorcere ricchezza proprio agli stessi cittadini che sono socialmente obbligati a proteggere. Prezzi tristemente alti e bassa qualità dei servizi – come quelli resi oggi dagli stati-nazione in tutto il mondo – sono tra le inevitabili conseguenze negative della centralizzazione del potere. I monopolisti sono liberi d'imporre prezzi elevati finché i loro clienti non hanno alcuna possibilità, e i clienti non hanno altra scelta se non quella di pagare poiché la protezione è un servizio essenziale.

Dall’inizio dell’Era Industriale la crescita economica ha consentito agli imprenditori di assorbire i costi crescenti della protezione. Finché la divisione del lavoro si è specializzata sempre di più, la creazione di ricchezza è stata in grado di compensare gli aumenti (non consensuali) dei costi della sicurezza imposti dallo stato – che includono tassazione (non consensuale), inflazione dei prezzi e coscrizione. Gli attori di mercato tolleravano l’estorsione perché c’erano ancora profitti da realizzare sotto la protezione dello stato. Nell’Era Digitale la crittografia sta sconvolgendo l’equilibrio stabilito tra estorsione e protezione. Le implicazioni anche per le istituzioni più monolitiche dell’Era Industriale – banche centrali e stati-nazione – sono di proporzioni esistenziali: i modelli di reddito per tutti gli stati-nazione moderni dipendono da proprietà che possono essere facilmente saccheggiate (tramite signoraggio, tassazione, inflazione o coscrizione) e le istituzioni dominanti dell’Era Industriale stanno diventando sempre meno capaci di estorcere denaro ai cittadini nell’Era Digitale, poiché la crittografia protegge la proprietà dei cittadini dal sequestro forzato.

Chiaramente la violenza e la coercizione sono sempre meno efficaci, ma meno chiaro è il percorso che ha portato la civiltà a questo punto. In che modo l’organizzazione della violenza ha storicamente influenzato la configurazione della civiltà? Si tratta di un brutale processo dal quale nel XX secolo il capitalismo alla fine è emerso come la strategia dominante in materia di risorse.


Emanciparsi dalla violenza

“Le passate transizioni megapolitiche, come la caduta di Roma e la rivoluzione feudale dell’anno 1000, furono indicatori delle equazioni di potere crescenti e calanti che componevano i governi e fecero sì che il bottino dell’agricoltura passasse di mano da un gruppo all’altro.”

~ The Sovereign Individual

Come discusso in precedenza in questa serie, il capitalismo di stato ha surclassato il comunismo nel XX secolo: assimilando i bacini di conoscenza localizzati attraverso il segnale dei prezzi, il capitalismo ha generato molta più ricchezza del comunismo, portando infine al collasso finanziario dell’URSS e alla fine della Guerra Fredda. Come prologo al capitalismo schumpteriano propriamente inteso, Frederic C. Lane espone una teoria in 4 fasi dello sviluppo economico basato sull’organizzazione e sulla redditività storica della violenza:

Fase 1: il saccheggio dilaga e l'anarchia è la modalità dominante di organizzazione sociale; un ambiente simile all'età dei cacciatori/raccoglitori o allo stato di natura rousseauiano. In questa fase la violenza è un’impresa altamente competitiva: i costi della protezione sono elevati e i margini per gli specialisti in violenza sono estremamente ridotti. Neutralizzare con successo i dissidenti locali e proteggere i confini delle enclavi geografiche porta infine alla creazione di aree pacifiche in grado di puntare sulla cooperazione sociale e sulle imprese commerciali. I cittadini di questi modelli di governance primitivi non hanno opzioni e mobilità, e quindi cedono la stragrande maggioranza dei surplus economici generati ai loro padroni monopolistici nel tentativo di sopravvivere. Tale creazione di centri commerciali regionali o provinciali ben difesi, inizialmente come piccoli monopoli basati sulla violenza naturale, porta alla seconda fase.

Fase 2: Isolate dal saccheggio e dall’anarchia grazie alle imprese che forniscono protezione, le enclavi ben difese della produzione agricola e commerciale iniziano a creare surplus economici sempre maggiori. I governi, detenendo il monopolio naturale della violenza su queste enclave di produzione, prendono per sé la maggior parte di questo crescente surplus. In quanto monopolisti senza concorrenza endogena, i costi della difesa resi dai governi possono essere ammortizzati nel tempo, mentre le entrate connesse (tasse) possono essere aumentate fino al punto massimo sopportabile dall’economia produttiva sottostante, o altrimenti viene sollecitata la concorrenza esogena. Man mano che i fornitori in cerca di profitto stabiliscono monopoli più solidi, iniziano a offrire protezione a prezzi più bassi (incentivi fiscali) ai potenziali cittadini. Il conseguente aumento della produzione è un vantaggio per il surplus economico generato, il quale stimola il commercio interregionale tra enclavi adeguatamente protette. Questi commercianti iniziano quindi a generare profitti di arbitraggio giurisdizionale (quelli che Lane chiama “rendite di protezione”) ottenendo costi di protezione inferiori attraverso una mix di astuzia, corruzione, assicurazione e legittima difesa. Una terza fase viene raggiunta quando i profitti che affluiscono ai commercianti superano quelli che affluiscono ai governi.

Fase 3: Grazie all’arbitraggio giurisdizionale, le imprese produttive ora ricevono una quota maggiore del surplus economico generato dalla divisione del lavoro rispetto ai governi. In questa fase le imprese private producono redditi sempre più alti rispetto ai monopoli sulla violenza. Poiché il successo dei commercianti deriva in gran parte da investimenti intelligenti, essi mostrano una maggiore propensione a reinvestire i profitti che guadagnano dalla loro percentuale, ora più elevata, del surplus economico. Ciò si traduce in un ciclo di feedback positivo di imprese commerciali in espansione, miglioramenti agricoli, innovazione e nuova industria. La quarta e ultima fase viene raggiunta quando l’innovazione tecnologica diventa la principale fonte di redditività sul mercato.

Fase 4: In questa fase finale dello sviluppo economico antecedente all’emergere del capitalismo, prolifera una classe politica di ricchi mercanti e i monopoli sulla violenza finiscono sempre più sotto il controllo dei loro cittadini, come si riflette nella proliferazione di modelli di governance democratica. Fioriscono i lussi della moralità e della virtù moderne. I mercati dei capitali e del credito – che sono stati creati per servire le imprese di violenza e protezione – iniziano a servire le imprese agricole, commerciali e industriali (poiché la complessità della produzione e i profitti sono ora maggiori in questi settori). A questo punto la sequenza laneiana del prologo dello sviluppo economico lascia il posto al capitalismo schumpteriano.

Questa sequenza laneiana di sviluppo economico può essere pensata come un processo di emancipazione socioeconomico. Se paragonato all'informatica, i computer inizialmente eseguono un programma autoreferenziale (ad esempio, un compilatore C scritto nel linguaggio C) che carica ed esegue programmi costantemente più complessi per attivare un processo autosufficiente che procede senza input esterni. Una programmazione più veloce e ambienti più ricchi di funzionalità emergono a ogni livello più elevato di astrazione dal substrato hardware. Una qualche versione di questo processo si verifica ogni volta che si avvia un computer. Allo stesso modo l’umanità ascende a stadi sempre più complessi di organizzazione sociale (programmazione) e produzione economica (caratteristiche). Il nocciolo di questo processo socioeconomico è il sacrificio: l’idea, faticosamente scoperta dagli antichi esseri umani, di ritardare la gratificazione presente con l’obiettivo di migliorare il consumo futuro. Le condizioni iniziali si basano sull’utilità della violenza, compresi i ritorni economici attesi, l’accettazione socioculturale e la codifica istituzionale.

Nella Fase 1 l’umanità separa gli individui fisicamente robusti e virili da quelli deboli. Nella Fase 2 si cristallizzano modalità più complesse di auto-organizzazione umana e si espande la sicurezza della rete per il commercio, supportando così la divisione del lavoro e l’accumulo di energia potenziale umana (sotto forma di capitale) prima che venga raggiunto un punto critico. Nella Fase 3, quando è stato accumulato uno stock di capitale sufficiente ed è stata stabilita la pace a livello locale, emerge la politica e l’intelligenza e l’astuzia diventano qualità di leadership più importanti rispetto alla violenza manifesta. Di conseguenza coloro che sono più esperti in questo campo vengono spinti ai margini della rete economica, nell’impresa dell’espansione territoriale. Come un organismo micellare che inizia a produrre i suoi funghi riproduttivi, una volta sfruttata l’energia adeguata, le economie isolate dal governo si espandono in aree geografiche adiacenti, un’impresa che spesso comporta conflitti armati con altri governi. Infine, nella Fase 4, la produttività tecnologica è diventata la principale fonte di creazione di ricchezza, e la variabile mega-politica della tecnologia – l’indicizzazione degli atomi alle idee – diventa il determinante dominante nell’auto-organizzazione umana. Con l’accumulo di capitale che allevia la povertà e le tecnologie della comunicazione che accelerano il darwinismo delle idee, le “finzioni utili” moderne come le libertà civili, i diritti umani e la democrazia cominciano a fiorire.

I sovranisti vivranno abbastanza per vedere la fase post-capitalismo di stato in questa sequenza di sviluppo economico: la generazione di uno stock di capitale sufficientemente sofisticato di hardware, software e strumenti digitali che annulla l’influenza coercitiva degli stati-nazione conferendo agli individui un ampio potere di controllo e uno spettro di opzioni in ambiti critici come il capitale, le armi, la posizione, l’identità, l’anonimato, le comunicazioni e l’autodifesa. Nessuno sa esattamente come appariranno le (molteplici) implementazioni del sovranismo, ma la sua affermazione come ideologia guida della civiltà è certa quanto i principi biologici che ne hanno spinto l’esistenza. Gli amanti della pace in tutto il mondo troveranno presto motivo di festeggiare, poiché i sovranisti saranno incentivati a cooperare e competere in modo non violento. Aspettatevi di vedere culture globali caratterizzate meno da “falchi” e più da “colombe” man mano che il XXI secolo andrà avanti.

 

Un'arma di pace

“Quando le capacità difensive aumentano, diventa più costoso proiettare il potere al di fuori delle aree centrali, causando la devoluzione delle giurisdizioni e la frattura dei grandi governi in governi più piccoli.”

~ The Sovereign Individual

La Teoria dei giochi può fornirci una comprensione più profonda dell’impatto che il capitale a prova di furto ha sulla configurazione mondiale del potere, della ricchezza e dell’organizzazione socioeconomica. Nel modello evolutivo della Teoria dei giochi “Falchi contro Colombe”, tutti i falchi e le colombe sono ugualmente forti: ognuno ha le stesse possibilità di vincere un incontro competitivo contro l'altro. Tuttavia adottano strategie nettamente divergenti: i falchi intensificano sempre il conflitto, mentre le colombe si tirano sempre indietro se il loro avversario vuole un'escalation.

Supponiamo che in questo gioco 20 punti vengano dati a chi vince un incontro competitivo e 80 punti vengano persi se un avversario intensifica il conflitto e viene ferito. Quando due falchi competono, nessuno dei due si tira indietro, quindi eseguendo un calcolo sui punti diciamo che il falco medio perde 30 punti quando compete contro un altro falco: [(50% * 20)+(50% * -80)] = -30. In un mondo puramente "falco contro falco" sarebbero dei perdenti. Quando due colombe competono, ciascuna vince la metà delle volte, ma nessuna colomba si fa male poiché non intensificano i conflitti; pertanto il calcolo dei punti per la colomba media è di 10 punti: [(50% * 20) + (50% * 0)] = 10. In un mondo puramente "colomba contro colomba" ci sarebbe da guadagnare. Mescolare le popolazioni aggiunge nuove peculiarità al gioco: quando un falco compete contro una colomba, il falco vince (20 punti), la colomba perde (0 punti) e non ci sono feriti (poiché le colombe si ritirano dall'escalation). Questa matrice riassume tale gioco:

L’economia della violenza determina il rapporto tra strategie tra falchi e colombe

La selezione naturale favorisce le strategie più adatte al loro ambiente. Una componente importante di questa idoneità è la proporzione di strategie concorrenti affrontate, ovvero le proporzioni di falchi e colombe nella popolazione. Ignorando altri fattori ambientali in questo gioco semplificato, se la popolazione è composta al 100% da falchi, allora tutti perdono in media 30 punti in ogni competizione: una strada veloce verso l’estinzione. Se la popolazione è composta al 100% da colombe, allora tutti guadagnano in media 10 punti in ogni competizione: una via veloce verso un mondo migliore. Il problema è quando c'è una nicchia: in una popolazione composta al 100% da colombe, quando arriva un falco ha un periodo di massimo splendore, vincendo 20 punti per ogni incontro contro una colomba, mentre le colombe hanno un valore atteso di 10 punti competendo con altre colombe e 0 punti in competizione contro i falchi. Più punti significano più riproduzione, quindi la popolazione dei falchi si espande in modo sproporzionato a scapito delle colombe. La popolazione dei falchi smette di crescere al 25% del totale, in base alla matematica della matrice.

Ora ipotizziamo invece un aumento del rapporto tra ricompensa e rischio in questo gioco evolutivo, in cui si guadagnano 40 punti per la vittoria e 60 punti persi per la sconfitta. Il cambiamento delle ipotesi provoca uno spostamento dell’equilibrio strategico, come si evince dalla proporzione di falchi e colombe nella popolazione totale. Sulla base di queste nuove ipotesi, all’equilibrio il 67% della popolazione sarà costituita da falchi.

Maggiori ritorni economici derivanti dalla violenza portano a una maggiore aggressività

L'equilibrio dipende non solo dai profitti, ma anche dalla strategia impiegata contro le strategie concorrenti. Se tutti sono colombe, è più adatto essere falchi; se tutti sono falchi, è più adatto essere colombe. Il punto chiave: l'equilibrio non rispecchia il mondo. Dipende dallo stato del mondo, dallo stato dell'organismo e dalle frequenze delle strategie; conquistare territorio (e la sua espressione umana, la proprietà privata) è la fonte sottostante dei profitti: i punti guadagnati nella competizione darwiniana. Ma cosa succede quando la proprietà privata per aver vinto una disputa economica scende quasi a zero? Questa è l’inevitabile conseguenza della moneta a prova di furto sugli aspetti darwiniani della competizione economica.

Per estendere questo gioco alla realtà economica, potremmo considerare le ricompense per aver vinto giudizi favorevoli, proprietà confiscate, monopoli legali, entrate fiscali, inflazione, tributi, o altri privilegi politici ottenuti con la forza attraverso il conflitto. “Al vincitore va il bottino”, recita l’aforisma. I danni subiti a seguito dell’escalation dei conflitti economici potrebbero includere sentenze sfavorevoli, spese legali, spese militari, perdite di tempo, tributi da pagare, riduzione in schiavitù, o consumo di capitale. Poiché Bitcoin è praticamente immune a tutte le sentenze legali, ai decreti, all'autorità politica, alla tassazione involontaria, alla confisca e all'inflazione, un’economia che opera secondo uno standard monetario a prova di furto fa crollare tutti quei vantaggi derivanti dalla vittoria nelle lotte socioeconomiche fino a ridurli quasi a zero, dal momento che lo scambio involontario di valore è quasi eliminato. Quando le ricompense monetarie per aver vinto giochi a somma zero a livello interpersonale, socioeconomico e geopolitico si avvicinano allo zero, mentre il costo della sconfitta rimane positivo, la strategia dominante diventa quella accomodante. Di conseguenza le strategie da falco declinano rapidamente verso l’estinzione – una traiettoria matematica favorevole all’emergere del sovranismo, come chiaramente spiegato nella seguente matrice:

L’atteggiamento aggressivo, ovvero la propensione a intensificare i conflitti socioeconomici, è una strategia in rapido declino grazie a Bitcoin

In termini di valore assoluto, maggiore è il rapporto tra i guadagni per vincere e perdere, più aggressiva diventa la popolazione. È vero anche il contrario: un rapporto più basso indurrà una popolazione a mostrare un atteggiamento complessivamente più accomodante. Detto in altro modo: quando il denaro è facile da rubare, la società scivola verso la cleptocrazia, mentre quando il denaro è difficile da rubare, la società diventa laboriosa. La proverbiale “skin in the game” – l’equilibrio tra incentivi e disincentivi in qualsiasi sistema – è il determinante più importante del comportamento. Nel senso del darwinismo universale, le forme di vita sono complesse e impiegano strategie adattative che si propagano attraverso carne, sangue e ossa. Per necessità queste strategie si adattano nel tempo alle circostanze ambientali e quelle che falliscono scompaiono. L'evoluzione avviene tanto a livello dell'organismo individuale quanto a livello della specie collettiva, e nella sfera della socioeconomia nessun incentivo è più potente del denaro.

Un insieme di principi monetari senza tempo permanentemente impressi nel codice: Bitcoin è un’arma di pace brandita dai sovranisti per combattere le devastazioni della predazione sistematica degli stati-nazione.

Bitcoin rappresenta una variabile mega-politica d'impareggiabile importanza: un diritto di proprietà privata indipendente da ogni monopolio sulla violenza che non può essere confiscato né compromesso con la forza. Nel gioco del denaro nel XXI secolo, la criminalità non paga più. Per necessità gli attori di mercato adotteranno strategie competitive e cooperative a lungo termine, meno coercitive e molto più produttive. Progredendo a un ritmo accelerato, la tecnologia continuerà a eclissare la topografia, il clima e la microbiologia come variabile mega-politica più importante nell’era digitale; e all’avanguardia di questo cambiamento c’è Bitcoin, una tecnologia che ha la natura umana come uno dei suoi componenti operativi principali. Nessuna forza politica può contenere l’influenza degli incentivi intrinseci e inviolabili di Bitcoin sull’azione umana e, quindi, sull’ascesa del sovranismo.

La transizione dallo statalismo al sovranismo potrebbe essere caotica nel breve termine, ma il risultato finale promette di essere una società globale più pacifica e produttiva. Nella Parte 4 esploreremo l’origine del concetto di proprietà e la corrispondente crescita della criminalità organizzata nel mondo. Una conoscenza più approfondita di questi elementi socioeconomici fondamentali ci aiuterà a comprendere meglio cosa potrebbe riservare il futuro in un mondo modellato dal sovranismo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 1 novembre 2023

Powell mette alla berlina la guerra nascosta dell'Europa nei mercati obbligazionari

 

 

di Tom Luongo

I leader dell’Unione Europea si sono incontrati la scorsa settimana per discutere come riorganizzare le sedie a sdraio sul loro Titanic politico. Mentre le decisioni di continuare a sostenere finanziariamente l’Ucraina e ora Israele hanno dominato i titoli dei giornali, la verità è che ciò che devono essere sistemate sono le nuove regole di bilancio.

E questa discussione è importante nel contesto della politica monetaria restrittiva da parte della FED e ora con la potenziale sanità fiscale proveniente da Capitol Hill con il nuovo presidente della Camera Mike Johnson.

A gennaio termina la sospensione delle regole di bilancio previste dal Trattato di Maastricht, il che significa che la dura “austerità” torna in gioco per i 28 membri dell'UE. In breve, significa che obiettivi per un deficit di bilancio non superiore al 3% del PIL e un rapporto debito/PIL del 60% tornano a essere legge...

A meno che voi non siate francesi.

Questo è stato il tema oggetto di accesi dibattiti durante il vertice della Commissione Europea della scorsa settimana a Bruxelles: come possiamo, in quanto UE, organizzare un atterraggio morbido sulle regole di bilancio senza alienare ciò che resta della nostra base di investitori?

Le regole sono state sospese originariamente a causa del Covid-19, come parte, a mio avviso, della distruzione pianificata della classe media europea. Lo scopo della crisi sanitaria, dal punto di vista politico dell’UE, era quello di creare una crisi che richiedesse una soluzione preordinata: l’integrazione delle finanze europee sotto il controllo della Commissione Europea (CE) e della Banca Centrale Europea (BCE).


Obbligazioni SURE: il più classico degli specchietti per le allodole

Ciò è stato in parte ottenuto dando alla CE un’autorità fiscale limitata di emettere prestiti di emergenza nell’ambito del fondo di ripresa da €800 miliardi, la prima tranche dei quali erano chiamate obbligazioni SURE. L'unica cosa di certa che avevano era che fossero uno specchietto per le allodole.

C'è anche una forte spinta nel sottobosco affinché queste obbligazioni vengano indicizzate accanto a quelle di tutti gli altri, cioè per venderle più facilmente agli investitori boccaloni attraverso l'imprimatur che siano ufficiali e coperte completamente dalla CE. Naturalmente i primi investitori in tali titoli hanno perso anche le mutande, poiché la maggior parte di esse è stata emessa quando la BCE era al -0,6% coi tassi (si veda qui).

La BCE ha appena mantenuto i tassi al 4,5%, quindi l’UE ha ricevuto l’ultima grande trasfusione di liquidità e capitali dopo l’operazione COVID dalla sua classe di investitori, che ora subisce enormi perdite. Alcuni di questi investitori sono addirittura le stesse banche centrali nazionali.

Non mi credete? Un’obbligazione SURE da €7 miliardi con cedola dello 0,1% e scadenza nell’ottobre del 2040 è ora trattata con un rendimento del 3,867%. Non sembra tanto male finché non si controlla il prezzo di tale obbligazione, la quale viene scambiata con uno spread bid/ask di 0,54/0,55... o una perdita del 45%.

Bene, quando dico trading, intendo davvero quotato, perché nessuno tratta davvero questa spazzatura, certamente non con rendimenti in aumento a livello mondiale, l’inflazione non domata da nessuna parte e l’euro aggrappato al precipizio di una rovinosa caduta contro tutto ciò che non è lo yen giapponese.

E la Banca del Giappone interviene quotidianamente per modificare la propria politica monetaria in difesa dello yen.

Ma non sentitevi troppo male, gente, perché l’UE è così affidabile che tra 17 anni riavrete "sicuramente" indietro i vostri soldi, pagati per intero più lo 0,1% composto annualmente.

E questa gente vuole che tale pattume obbligazionario venga listato accanto ai bund tedeschi, ai gilt britannici, o ai bond del Tesoro statunitensi... Perché? In modo che le persone possano ridere di loro?

Se avessero anche il minimo scrupolo, sentirebbero almeno un briciolo di vergogna per gli investitori che hanno truffato; ma non ce l'hanno.

Ciò che vogliono ora è ottenere una maggiore integrazione fiscale per rassicurare gli investitori sul fatto che un’unione più perfetta sarà la grande scommessa per il 2040.

Questo è il motivo per cui la presidente della BCE, Christine Lagarde, ha esercitato forti pressioni a favore di una maggiore unione fiscale.

Garantire un accordo sull’attuazione del Patto di stabilità sarebbe un importante segnale di unità, ha detto la Lagarde – secondo un funzionario ufficiale che ha familiarità con la questione – osservando inoltre che il blocco europeo deve promuovere sia la sostenibilità del debito che gli investimenti.

I Paesi dell’UE sono ai ferri corti su come applicare in modo flessibile il regime fiscale, che normalmente limita il deficit al 3% del prodotto interno lordo. Tali norme sono state sospese dall’inizio della pandemia, ma dovrebbero essere ripristinate all’inizio del 2024.

Se si vuole capire perché il mondo non ha abbandonato del tutto i mercati degli eurobond è proprio grazie a queste regole di bilancio, pensate per rassicurare gli investitori che ci fosse gente responsabile al tavolo geopolitico, non come quei pagliacci a Capitol Hill.

C'è solo un problema: il presidente del FOMC, Jerome Powell.

Potete discutere con me sul perché Powell abbia rialzato i tassi come ha fatto finora; potete prendere la “pillola nera” e dire che lo ha fatto per effettuare una demolizione controllata della classe media e provocare il Grande Reset del WEF .

Oppure potete fare gli adulti e capire che il mondo è più complicato di quello che sembra, senza doverlo per forza ridurre a una contrapposizione cartoonesca bene/male. Che l'UE possa usare a proprio vantaggio la linea di politica aggressiva di Powell per i propri fini non equivale a dire che quest'ultimo fosse coinvolto nel piano.

Dire che tutto e tutti facciano parte di un unico piano significa non essere in grado di vedere la complessità del comportamento umano.

Ciò che non si può negare è quanto segue: molti dei bond SURE e NGEU (Next Generation EU) sono stati emessi in un momento in cui sembrava che la cricca di Davos e l’UE avrebbero ottenuto non solo il controllo politico sulla politica statunitense sbarazzandosi di Trump, ma anche il controllo monetario sabotando la ricerca di Powell per un secondo mandato come presidente del FOMC.

Sono sicuro che pochi pensavano che saremmo arrivati ​​dove siamo oggi anche tra la cricca di Davos alla fine del 2021. Inoltre se i principali acquirenti delle obbligazioni SURE fossero le altre banche centrali, l'aumento dei rendimenti garantirebbe solo che diventino insolventi e affamate di capitale. molto più velocemente. Esempio calzante: la Bundesbank ha bisogno di un'iniezione di capitale secondo un'analisi recente di una società di revisione.

I titoli obbligazionari crollano pesantemente, i bilanci delle banche centrali si deteriorano rapidamente… et voilà, si crea la necessità di una maggiore integrazione fiscale perché gli italiani non riescono a smettere di spendere il denaro degli altri.

Almeno così la metteranno i tedeschi.

Saprete se il prezzo di queste obbligazioni è sceso abbastanza da attirare gli avvoltoi, quando le vedrete scambiate per davvero sulle borse europee. E sarà solo a quel punto che saprete che l’UE sarà pronta a premere finalmente il grilletto verso una vera integrazione fiscale.

Se/quando ciò finalmente accadrà, il prezzo di tali obbligazioni salirà alle stelle.

Perché non solo bisogna mandare tutti in bancarotta per convincerli ad accettare il piano che si è messo in atto, ma bisogna anche assicurarsi che le uniche persone rimaste con un po' di soldi possano trarre profitto profumatamente raccogliendo i pezzi a pochi centesimi.

E qui sta il vero problema: questi bond SURE e NGEU, con grande costernazione della Commissione Europea, continuano ad essere scambiati a rendimenti molto più alti con scadenze simili a quelle dei bund tedeschi, per esempio. Ecco un link all'ultimo rapporto della CE sullo sviluppo di questo mercato. Il tono è tutt’altro che euforico.

In definitiva, la mancanza di un'unione fiscale è ciò che mantiene l’UE in una posizione di svantaggio rispetto agli Stati Uniti. E tale mancanza mantiene gli investitori in ansia, i quali invece vogliono certezze; la Lagarde e la Commissione europea vogliono dargliela.

Il problema è che non c'è il sostegno dei cittadini europei, i quali non hanno mai firmato alcunché affinché fossero governati da eurocrati comunisti non eletti a Bruxelles. Queste obbligazioni SURE e NGEU sono pensate per essere l’inizio di un vero creditore centrale dell’UE, ma senza un’autorità fiscale centrale assegnare un rating AA+ a un’obbligazione non la rende meritevole di credito.

E ora dovreste essere in grado di capire qual è la vera guerra: c'è bisogno della guerra cinetica non solo per coprire il default e/o controlli di capitale più severi, ma anche affinché gli Stati Uniti possano combatterla da soli.

Altrimenti perché pensate che la Francia stia inviando aiuti a Gaza?


Euro-fustigazione

Il problema, ovviamente, con le regole di Maastricht è l’euro stesso. Senza la capacità della Commissione Europea di avere autorità fiscale e di spesa transfrontaliera, la politica dei tassi d'interesse della BCE pone un onere gravoso sui Paesi con una minore efficienza nel mondo del lavoro.

Crea proprio quella dinamica che le regole avrebbero dovuto prevenire, ovvero la disintegrazione fiscale. Per Paesi come la Grecia o l’Italia, dove una lira o una dracma locale sarebbero più economiche di un marco tedesco normalizzando così le differenze tra loro quando commerciano, l’euro è troppo forte per i commercianti italiani o greci e troppo economico per quelli tedeschi.

I primi hanno deficit commerciali strutturali perpetui rispetto agli altri e la ricchezza viene quindi trasferita ai tedeschi a spese di greci e italiani, in questo esempio.

Ho già sottolineato questo punto in passato: la moneta unica con il sistema monolitico di tassi d'interesse che abbiamo qui negli Stati Uniti ha favorito la California a scapito del Mississippi. Quando sentite gentaglia lamentarsi del fatto che gli stati "blu" sono produttori di tasse e gli stati "rossi" sono consumatori di tasse, non mentono, ma ignorano anche l’inclinazione del campo di gioco in direzione della California.

La Germania è stata la prima beneficiaria dell’euro finché Powell non ha iniziato a rialzare i tassi e ad agire come se guidasse la FED a beneficio dell’America e non della Germania o della Cina.

Prevedibile come i movimenti del sole nel cielo, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha chiesto regole fiscali più severe mentre Francia e Germania stanno negoziando tra loro per fregare il resto del continente.

Il rialzo dei tassi da parte di Powell ha costretto tutti gli altri che fanno affari in dollari a fare la stessa cosa. Ciò significa che il costo per ottenere dollari, o coprire il rischio in dollari, è più costoso di prima.

Questo è il motivo per cui la Lagarde è arrabbiata con Powell, perché mentre cercava di vendere al mondo quasi mille miliardi di euro in obbligazioni di emergenza allo 0%, Powell invece stava dicendo:

È per questo che neanche i loro piani di vendere al mondo una spesa pubblica illimitata per combattere il cambiamento climatico sta funzionando. Senza la FED che dà loro luce verde, gli investitori mondiali non sganceranno un soldo. Tutta l’aria di inevitabilità dell’UE inizia a puzzare come un pesce di tre giorni, o un ospite in casa.

In questo modello di mondo la Banca d’Italia è subordinata alla BCE, ma quest'ultima è subordinata alla FED.

Questo è il motivo per cui penso che Powell sia ai posti di comando. Ecco perché Mike Johnson presidente della Camera potrebbe essere un'ottima cosa. Perlomeno se mettesse fine al Progetto Ucraina, si rallenterebbe la discesa nella follia fiscale. Se Johnson fosse seriamente intenzionato a tagliare le spese e il Congresso tornasse a fare il suo, potremmo vedere un 2024 e oltre negli Stati Uniti molto diverso da quello che chiunque, me compreso, avrebbe potuto sognare.

D’altro canto, essendo questo un altro fronte nella guerra tra le banche centrali, ci sono altri pericoli che mi lasciano molto preoccupato su dove ci troveremo entro la fine dell’anno; da qui la vera minaccia rappresentata da qualsiasi ulteriore escalation da parte di Israele a Gaza. Gli Stati Uniti stanno cercando di indirizzare le colpe, come hanno fatto dopo l’11 settembre, per scatenare quella guerra che hanno sempre desiderato, questa volta con l’Iran che fa la parte dell’Iraq.

La CE sta cercando di soppiantare i singoli titoli sovrani affinché vengano sostituiti dai propri. Deve avviare il prossimo ciclo d'integrazione fiscale quest’inverno, o perderà la corsa per il capitale finanziario a favore degli Stati Uniti e/o della Cina. Se ci riuscirà – cosa per cui sospetto non abbia altra scelta se non riuscirci – è un segnale che sta cercando di sopravvivere a Powell nella speranza di poter presentare un fronte unito agli investitori europei abbastanza a lungo da far implodere l’economia americana, sperando anche che i guerrafondai al Congresso mandino gli Stati Uniti in guerra aperta contro qualcuno... chiunque... da qualche parte!

Ciò manterrà gli spread obbligazionari positivamente sbilanciati nei confronti dell'UE rispetto agli Stati Uniti, permettendo alla prima di essere superata dai secondi in questa folle race to the bottom.

Purtroppo per il resto di noi, non è uno scenario inverosimile.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 1 maggio 2023

La linea sottile tra tribalismo e prosperità

 

 

di Barry Brownstein

Walter Grinder, grande paladino della libertà, è deceduto lo scorso dicembre. Era un eccellente studioso di letteratura e un leader presso l'Institute for Humane Studies. Si è speso affinché venissero rimosse tutte quelle barriere alla prosperità umana diffondendo gli ideali di libertà. John Hagel III, amico e collaboratore di lunga data di Walter, ha così commentato: “Walter era consumato dal desiderio di condividere le sue letture e i suoi pensieri con la sua rete di associati e protetti libertari, in modo che potessero vedere più chiaramente come si interfacciava con il loro lavoro e i loro interessi specifici”.

In una delle sue e-mail Walter ha scritto di aver tratto ispirazione dal lavoro dell'autrice turco-britannica Elif Shafak. Era meravigliato da “quanto ella conoscesse bene la condizione umana”.

Walter aveva compreso come le intuizioni sulla condizione umana sono fondamentali per comprendere quella forma mentis che favorisce od ostacola la prosperità umana. Su sua raccomandazione ho letto il romanzo di Shafak sulla guerra civile di Cipro, L'isola degli alberi scomparsi. Usando l'espediente narrativo di una coppia greco-turca divisa dalla guerra, Shafak impartisce saggezza poetica sui pericoli del tribalismo.

Il romanzo di Shafak racconta la discesa di quell'isola lussureggiante nell'odio tribale, mentre le persone compivano scelte sempre più primitive. I fanatici greci e turchi hanno lavorato senza pietà per instillare identità tribali, mettendo l'uno contro l'altro persino quei vicini affettuosi.

I tribali preferirebbero essere schiavi della loro identità piuttosto che membri di una società fiorente. Nel suo libro, Open: The Story of Human Progress, Johan Norberg ha citato il romanziere e saggista peruviano Mario Vargas Llosa:

Il "richiamo della tribù" – di quella forma di esistenza in cui gli individui si schiavizzano […] è sentito di volta in volta da nazioni e popoli e, anche all'interno di società aperte, da individui e collettività che lottano instancabilmente per negare la cultura della libertà. Le mentalità autoritarie nascono dalle questioni tribali.

Noberg ha poi aggiunto:

La mia ferma convinzione è che proprio perché siamo così tribali abbiamo bisogno di un mondo aperto e cosmopolita. Se non ci incontrassimo, comunicassimo e scambiassimo regolarmente idee con individui di altri gruppi, gli altri rimarrebbero per sempre il misterioso e pericoloso gruppo esterno, i barbari alle porte.

In The Road to Serfdom, Friedrich Hayek ha sottolineato che “l'uomo primitivo [...] era vincolato a un rituale elaborato in quasi tutte le sue attività quotidiane [...] era limitato da innumerevoli tabù e [...] riusciva a malapena a concepire di fare cose diverse dai suoi simili”. La crescita della civiltà, e quindi la prosperità umana, dipende dal superamento di tali limiti primitivi.

Prima che il conflitto tribale sfociasse in una guerra civile, Shafak descrive Cipro come una società con una rete di comunicazione e scambio: “Si diceva che greci e turchi fossero una carne e un'unghia. Non si può separare l'unghia dalla propria carne. A quanto pare si sbagliavano, visto che si poteva fare. La guerra è una cosa terribile, tutti i tipi di guerre lo sono, ma forse le guerre civili sono le peggiori, quando i vicini diventano i nuovi nemici”.

Quando iniziò il conflitto aperto negli anni '50, scrive Shafak, “i britannici credevano [...] che non ci fosse nulla da temere, perché come poteva esserci una guerra civile su un'isola così bella e pittoresca di fiori che sbocciano sulle dolci colline?” Quegli esperti si chiedevano come potessero “persone colte e civili [...] fare qualcosa di violento?” Le risposte a tali domande, come sempre, puntano verso l'inculcazione d'idee sbagliate.

Prima del conflitto, scrive Shafak, cristiani greco-ciprioti e musulmani turco-ciprioti lavoravano insieme. Poi, d'un tratto, questo è cambiato. “I leader politici e spirituali che rappresentavano un ponte con l'altra parte venivano messi a tacere, evitati e intimiditi; alcuni addirittura presi di mira e uccisi da estremisti della loro stessa parte”.

Greci e turchi assassinarono migliaia d'individui comuni. Apparvero cartelli "Morte ai traditori" e il tribalismo, ha scritto Shafak, alla fine trionfò: “Le strade non erano sicure. I turchi dovevano restare con i turchi, i greci con i greci”. Il commercio si fermò mentre le persone restavano a casa.

Shafak ha esplorato il modo in cui i tribali hanno eretto barriere contro la cooperazione pacifica: “Gli amici vendono gli amici. Questo è un tipo di male decisamente diverso, uno con cui non abbiamo ancora fatto i conti come umanità. È un argomento difficile in tutto il mondo: gli atti di barbarie che accadono fuori dal campo di battaglia”. La collettivizzazione attorno alle identità tribali favorisce la barbarie e i tribali si sacrificano prontamente quando si tratta di aderire a idee distorte.

Quando escludiamo "l'altro", rinunciamo ai frutti della cooperazione umana. Siamo sicuri che “loro” siano colpevoli, quando invece è il nostro fanatismo la causa della nostra sofferenza. Quando liberiamo gli altri dal nostro odio, liberiamo noi stessi.

Shafak ha scritto: “Penso al fanatismo – di qualsiasi tipo – come a una malattia. Insinuandosi minacciosamente, ticchettando come un orologio a pendolo che non si scarica mai, ti afferra più velocemente quando fai parte di un'unità chiusa e omogenea”.

Nel 1964 l'isola fu divisa. Dieci anni dopo, nel 1974, i turchi invasero Cipro e la spartizione, inclusa la capitale Nicosia, divenne permanente. Shafak scrive:

Alla fine di quell'interminabile estate [1974], 4.400 persone erano morte, migliaia i dispersi. Circa 160.000 greci che vivevano nel nord si trasferirono a sud e circa 50.000 turchi si spostarono a nord. Le persone divennero profughi nel proprio Paese. Le famiglie persero i loro cari, abbandonarono le loro case, villaggi e città; vicini e buoni amici si separarono, a volte si tradirono a vicenda.

Una zona cuscinetto larga fino a quattro miglia correva lungo la partizione permanente. Edifici e negozi all'interno della zona andarono in rovina. Shafak ha descritto la situazione penosa: “Le strade erano bloccate da bobine di filo spinato, pile di sacchi di sabbia, barili pieni di cemento, fossati anticarro e torri di guardia. Le strade finivano bruscamente, come pensieri incompiuti, sentimenti irrisolti”. Il commercio venne distrutto, poiché un “resort mondiale [...] divenne una città fantasma”. Shafak poi aggiunge:

Le spiagge di Varosha vennero delimitate con filo spinato, barriere di cemento e cartelli che ordinavano ai visitatori di stare alla larga. Lentamente gli alberghi si disintegrarono in ragnatele di cavi d'acciaio e piloni di cemento; i pub diventarono umidi e deserti, le discoteche crollarono; le case con i vasi di fiori sui davanzali si dissolsero nell'oblio.

L'odio tribale ha attraversato turchi e greci, ma Shafak ci tiene a sottolineare una cosa: “Ciascuna parte dirà solo la propria versione delle cose. Narrazioni che vanno controcorrente, senza mai toccarsi, come linee parallele che non si intersecano mai”. I tribali vedono solo il proprio dolore: “Le persone su entrambi i lati dell'isola hanno sofferto e le persone su entrambi i lati vi odieranno se lo diceste ad alta voce. Perché? Perché il passato è uno specchio oscuro e distorto [...]. Non c'è spazio per il dolore di qualcun altro”.

Quando gli odi tribali prendono piede, non c'è spazio per perdonare, né perdere l'identità di vittime. Shafak ha scritto: “Quando le anziane donne cipriote augurano il male a qualcuno, non chiedono che accada loro qualcosa di palesemente brutto. Non pregano per fulmini, incidenti imprevisti, o improvvisi rovesci di fortuna. Dicono semplicemente: che tu non possa mai dimenticare, possa tu andare nella tomba ricordando ancora”.

In breve, Shafak ci vuole dire una cosa importante: “Gli odi tribali non muoiono [...] aggiungono solamente nuovi strati a gusci induriti”.

L'autrice turco-britannica ha riflettuto su come le scelte sbagliate portino a una rovina inimmaginabile: “Se qualcuno ci avesse detto che l'isola sarebbe stata divisa in base a linee etniche e che un giorno avremmo dovuto cercare tombe anonime, non ci avremmo creduto”. L'odio tribale azzerò le aspettative per Cipro: “Ora non crediamo più che possa mai tornare a essere unita”. Tuttavia, poiché è avvenuta un'inimmaginabile rovina, Shafak offre la speranza che possa esistere una società aperta quando le persone fanno scelte migliori: “Ciò che pensiamo sia impossibile cambia con ogni generazione”.

Walter Grinder avrebbe convenuto che l'impossibile è possibile grazie al potere delle scelte. La luce creata dalla cooperazione umana è più potente dell'oscurità proiettata dall'odio tribale.

Cipro divisa potrebbe sembrare lontana anni luce dagli Stati Uniti, tuttavia Norberg ci avverte che gli esseri umani “sono predisposti sia al tribalismo che alla tolleranza, e l'atmosfera intellettuale rafforza diverse parti di questa complessa personalità. Una cultura che dice che il collettivo è tutto e l'individuo niente, trascinerà con sé il resto degli individui”. Per quanto distruttivi siano stati i leader tribali ciprioti di allora, gli attuali politici, educatori e altri non hanno imparato niente e incoraggiano gli americani ad adottare identità tribali. È finita male a Cipro e l'esito delle mentalità tribali che dividono gli americani può differire solo nella misura.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 23 settembre 2022

L'inflazione, “in mano” allo stato e al sistema bancario centrale, è una frode

 

 

di Francesco Simoncelli

Per quanto il fenomeno inflattivo possa essere apparso sui media generalisti solo di recente, in realtà è qualcosa che si trascina da molto tempo. Perché nessuno l'ha notato prima? Gli Austriaci, come il sottoscritto, l'hanno fatto, ma sono stati ignorati. Il problema della maggior parte delle persone e degli economisti mainstream in generale è che non capisce le meccaniche alla base del funzionamento di un'economia. Perché? Perché trasformano gli effetti in causa e viceversa. Perché? Perché in questo modo si può giustificare l'esistenza di architetture artificiali in grado di manipolare attivamente i fenomeni economici. Un privilegio non indifferente. Ecco che, inflazione e deflazione, assumono tutto un altro significato rispetto alle forze "naturali" che sono: diventano politicizzate, ovvero, diventano fenomeni violenti in risposta a storture e distorsioni cicliche. Se in un libero mercato l'inflazione non ha accezione etica, in un mercato manipolato, come quello in cui siamo immersi oggigiorno tra stati e banche centrali, essa acquisisce una connotazione etica: è una frode.

Quando viene creato nuovo denaro, esso entra nell'economia attraverso i settori pubblico, finanziario e aziendale. I primi destinatari lo ottengono prima che i prezzi salgano e questi ultimi salgono man mano che il denaro creato ex novo viene speso. La gente comune è sostanzialmente l'ultima ruota di questo carro, destinataria ultima del denaro creato ex novo e quasi sempre dopo che i prezzi sono già aumentati. Se il processo inflazionistico è continuato nel tempo, allora il potere d'acquisto in loro possesso verrà diluito a ritmo battente; ma anche se l'inflazione subisce colpi di arresto e poi riprende, i percettori primi ottengono pur sempre un vantaggio sul resto della popolazione in termini di potere d'acquisto e ripercussione sui prezzi. Infatti i primi destinatari spendono il denaro creato ex novo quando i prezzi sono ancora bassi e questa spesa li fa salire, poi il flusso monetario si fa strada attraverso l'economia in una distribuzione più generale e la gente comune affronta un mismatch tra salari nominali e reali. Nel frattempo i primi destinatari del denaro creato ex novo hanno guadagnato un maggiore potere d'acquisto reale, senza fare nulla per guadagnarlo, senza aggiungere niente alla produzione di ricchezza reale; avevano solo i "contatti" giusti.

In un tale ambiente di mercato, l'inflazione avvantaggia sempre e comunque coloro che ricevono per primi il denaro creato ex novo e svantaggia la gente comune. Inutile dire che nell'ambiente monetario fiat di oggi, le stesse persone che controllano il potere dell'inflazione sono quelle che possono beneficiarne direttamente. Il prodotto civetta, che keynesiani e monetaristi hanno cercato di riciclare nel tempo attraverso le loro strambe teorie, è che un po' d'inflazione fosse necessaria per stimolare l'economia; i keynesiani attraverso il pompaggio della domanda, mentre i monetaristi attraverso un aumento "rigido" dell'offerta di denaro secondo percentuali annue fisse. L'inflazione, e di conseguenza l'inflazione dei prezzi, vengono rese degli obiettivi, mentre le loro controparti, la deflazione e la deflazione dei prezzi, vengono demonizzate come latori di sciagure. Inflazione e deflazione sono due lati della stessa medaglia, strumenti di gestione delle informazioni di mercato che non possono assolutamente essere inquadrate in un quadro etico.

In realtà, l'inflazione non è del tutto necessaria per un'economia in crescita e prospera. È semplice: se i pianificatori monetari centrali non stampano denaro, i prezzi sono dettati completamente dal mercato; la concorrenza e l'innovazione fanno scendere i prezzi e per rimanere in attività le aziende devono realizzare un profitto; per realizzare un profitto devono attirare i clienti; per attirare i clienti devono offrire prodotti di qualità superiore a un prezzo inferiore rispetto ai loro concorrenti. Questo processo ha avuto luogo costantemente nel corso della storia economica. Ricchezza reale e crescita economica sono definite dal tenore di vita. Sebbene abbiano una componente soggettiva, il buon senso ci dice che esistono modi oggettivi per misurare il benessere materiale di un individuo (si veda il Capitolo 2 del libro di George Selgin, Less Than Zero: The Case for a Falling Price Level in a Growing Economy).

Prima di descrivere il punto in cui siamo arrivati oggi con l'inflazione dei prezzi, è bene mettere un punto fermo dal punto di vista teorico.


I DATI SENZA UNA TEORIA SONO SOLO RUMORE

La maggior parte degli economisti mainstream, se non tutti, ritiene che i dati storici siano la chiave per valutare lo stato dell'economia: se una statistica, come il prodotto interno lordo, o la produzione industriale, mostra un aumento visibile, l'economia è più forte; al contrario un calo del ritmo di crescita di suddetta statistica indica un indebolimento. Secondo questo modo di pensare le condizioni economiche vengono guidate dai fantomatici "dati", i quali non sono altro che una serie d'informazioni storiche. In The Philosophical Origins of Austrian Economics, David Gordon scrive che Eugen von Böhm-Bawerk sosteneva come i concetti impiegati in economia debbano per forza di cose provenire dai fatti della realtà ed essi, a loro volta, devono essere fatti risalire alla loro fonte ultima.

Qual è un'idea, o concetto, che soddisfa questi criteri? Gli esseri umani agiscono consapevolmente e intenzionalmente. Non si può andare più indietro di questa affermazione e altresì non può essere confutata, perché chiunque voglia farlo lo fa consapevolmente e intenzionalmente, cioè si contraddice. Mises, colui che inaugurò questo approccio, lo definì prasseologia: la consapevolezza che le azioni umane sono intenzionali consente di dare un senso ai dati storici. Ciononostante gli stessi economisti mainstream, incapaci di fornire una base solida ai dati che tanto lodano nel momento in cui essi vanno contro le loro tesi, e desiderosi di validare i loro metodi d'indagine controintuitivi, viziano le proprie analisi con metodi presi in prestito dalle scienze naturali. Secondo loro gli esperimenti di laboratorio potrebbero portare a un importante passo in avanti nella comprensione del mondo dell'economia. A tal proposito è utile citare Rothbard:

Questa metodologia, in breve, consiste nell'esaminare i fatti, quindi inquadrare ipotesi sempre più generali per rendere conto dei fatti, e quindi verificarle sperimentalmente tramite altre deduzioni da esse ricavate. Ma questo metodo è appropriato solo nelle scienze naturali, dove iniziamo conoscendo tutti i dati esterni e poi procediamo col nostro compito di tentare di trovare, il più fedelmente possibile, quelle leggi causali che governano il comportamento della cosa analizzata. Non abbiamo modo di conoscere direttamente queste leggi, ma fortunatamente possiamo verificarle eseguendo esperimenti di laboratorio per testare le proposizioni da essi dedotte. In tali esperimenti possiamo variare un fattore, mantenendo costanti tutti gli altri fattori rilevanti. Eppure il processo di accumulo delle conoscenze in fisica è sempre piuttosto tenue; e, come succede spesso man mano che ci spostiamo sempre più nel regno dell'astratto, aumentano le possibilità di spiegazioni alternative che spiegano meglio i fatti osservati e che possono sostituire le teorie vecchie.

Mentre gli esperimenti di laboratorio sono validi nelle scienze naturali, non lo sono in economia. Nello studio dell'azione umana, il procedimento corretto è il contrario: si inizia con gli assiomi primari. Sappiamo che gli esseri umani sono gli agenti causali, che le idee che adottano spontaneamente governano le loro azioni. Iniziamo quindi con la conoscenza completa degli assiomi astratti e possiamo quindi basarci su di essi per deduzione logica, introducendo assiomi sussidiari per limitare la portata dello studio alle applicazioni concrete. Inoltre, negli affari umani, l'esistenza del libero arbitrio ci impedisce di condurre esperimenti controllati, perché le idee e le valutazioni delle persone sono continuamente soggette a cambiamento, e quindi nulla può essere mantenuto costante. La corretta metodologia teorica nelle vicende umane, quindi, è il metodo assiomatico-deduttivo. Le leggi dedotte da questo metodo hanno un fondamento migliore rispetto a quello delle leggi della fisica, poiché le cause ultime sono conosciute direttamente come vere e sono vere anche le conseguenze.

Sebbene lo scienziato possa isolare varie particelle, non conosce le leggi che le governano. Non resta che ipotizzare sulla “vera legge” che regola il comportamento delle varie particelle individuate; non potrà mai essere certo delle “vere” leggi della natura.

Contrariamente alle scienze naturali, i fattori relativi all'azione umana non possono essere isolati e scomposti nei loro elementi più piccoli. In economia sappiamo che gli esseri umani agiscono consapevolmente e in modo mirato e questa conoscenza ci aiuta a capire meglio la materia che studiamo: il fatto che un individuo persegua azioni mirate implica che le cause nel mondo dell'economia provengano dagli esseri umani stessi e non da fattori esterni. Ad esempio, le spese individuali per beni/servizi non scaturiscono freddamente dal reddito reale in quanto tale: nel proprio contesto unico, ogni individuo decide quanto di un determinato reddito sarà utilizzato per i consumi e quanto per gli investimenti. Sebbene sia vero che le persone risponderanno ai cambiamenti dei loro redditi, la risposta non è automatica, proprio perché ogni individuo valuta l'aumento del reddito rispetto al particolare insieme di obiettivi che vuole raggiungere. Potrebbe decidere che sia più vantaggioso aumentare il suo investimento in asset finanziari piuttosto che aumentare i suoi consumi.

L'affidarsi ai dati storici come base per la formazione di un'opinione sullo stato dell'economia genera quindi confusione, perché tali dati non possono produrre molte informazioni sui fatti della realtà senza una teoria che "si regge con le proprie gambe" e non sia derivata dai dati stessi. Sarebbe altrimenti una tautologia. I vari metodi matematici e statistici, per quanto utili, non possono aiutare un analista a stabilire i rapporti di causa/effetto nel mondo dell'economia; tutto ciò che questi metodi possono fare è descrivere le cose. Per accertare le cause sottostanti, è necessaria una teoria logica e coerente. Ad esempio, secondo la teoria economica gli individui attribuiscono una maggiore importanza al consumo presente rispetto a quello futuro. Questa preferenza deriva dal fatto che per sopravvivere e promuovere il proprio benessere, le persone devono consumare nel presente piuttosto che nel futuro. Inutile sottolineare, quindi, che il tasso d'interesse, la manifestazione delle preferenze individuali, non potrà mai essere negativa. Da un "semplice" fatto del genere possiamo arrivare a concludere che le politiche delle banche centrali non sono affatto vincolanti come si vuole far credere o "onniscienti" come suggeriscono la analisi mainstream: sono il risultato di opinioni di un ristretto gruppo di persone che cerca d'imporle sul resto degli attori economici.

A maggior ragione si comprende, quindi, che la natura di queste politiche non è affatto genuina in quanto spontaneamente predominante nell'ambiente economico, bensì coercitivamente predominante. I tassi negativi sono la pistola fumante della natura inutile e dannosa del sistema bancario centrale.


AVVALORARE LA TEORIA COI DATI, NON VICEVERSA: IL CASO ITALIANO

Prendiamo come esempio l'Italia. Nel tempo abbiamo visto come il sistema bancario centrale abbia adottato misure di politica monetaria sempre più audaci per "contrastare" la deflazione dei prezzi, una piaga che secondo i vari presidenti che si sono alternati alla BCE rappresenta una bestia da domare e il cui primo ammaestratore è stato Milton Friedman.

Indice dei prezzi alla produzione in Italia

Infatti sono stati lui e il suo principale discepolo, Ben Bernanke, ad aprire l4e porte dell'attuale inferno inflazionistico. Sono stati loro a instillare la paura della deflazione tra i banchieri centrali, culminata nel pensiero di gruppo della "bassa inflazione" e che, a sua volta, ha favorito la stampa forsennata di denaro dell'ultimo decennio. Il fatto è che, quando l'Italia si unì alla moneta unica e schivò il proiettile d'argento del default alla fine degli anni '90, si ritrovò un'opportunità senza precedenti per una deflazione virtuosa. Vedersi garantito il proprio debito pubblico da una nazione più forte e che metteva a disposizione di tutti la reputazione forte della propria valuta, ovvero il marco tedesco, rappresentò un'occasione irripetibile di mettere i conti a posto sfruttando la credibilità altrui. Questo avrebbe permesso di sgonfiare il settore pubblico in bolla e di sostenere quello privato che vedeva sottrarsi risorse economiche preziose. Invece abbiamo visto l'esatto contrario: politiche fiscali pro-cicliche, ipertrofizzazione del settore pubblico e pieno sfruttamento della tragedia dei beni comune europea.

Il lassismo monetario della BCE, poi, ha fatto il resto. Il ritardo della trasmissione della politica monetaria all'economia più ampia non era più confinato a un singolo Paese, ovvero l'Italia, ma diluito in diversi altri e ciò ha inizialmente ammansito il ritmo della crescita dei prezzi al consumo e la proliferazione di errori economici conseguenti. Durante il periodo tra il 2000 e il 2010, l'indice dei prezzi al consumo è salito dell'1,5% annuo circa in Italia e il costo unitario del lavoro dello 0,1% circa; quest'ultimo elemento è quello più interessante perché dopo lo spartiacque della Grande Recessione europea del 2012, non è più andato sotto il trend dell'inflazione dei prezzi (salvo singoli e brevi casi). Ma dopo che Draghi ha inaugurato l'era dei quantitative easing europei, entrambe i numeri sono raddoppiati: negli ultimi dieci anni infatti l'IPC è salito del 3% annuo, provocando un aumento del costo unitario del lavoro 4% annuo.

Indice dei prezzi al consumo & costo unitario del lavoro in Italia

Inutile dire che si tratta di dati "ufficiali", mentre stime ufficiose, scevre da tutti gli artifici contabili nel calcolo del paniere dell'inflazione dei prezzi, pongono la salita a ritmi molto più alti. Senza contare il fenomeno Cina, ovvero lo svuotamento delle risaie dai contadini e il successivo popolamento delle industrie cinesi, le quali hanno invaso il mondo con beni e servizi a basso costo. Ma prima Draghi e poi la Lagarde non hanno permesso alle recessioni di fare il loro corso, pulire l'ambiente economico delle storture accumulatesi durante gli anni precedenti e permettere che salari, prezzi e costi interni si sgonfiassero. Tutti dovevano unirsi per combattere lo spauracchio della "deflazione dei prezzi", una crociata in nome di Milton Friedman secondo cui l'insufficiente pompaggio monetario da parte della FED durante il 1930-1933 causò la Grande Depressione. Il risultato è stato uno dei peggiori nell'intera storia economica: la BCE (insieme ad altre banche centrali) ha gonfiato in modo spropositato il proprio bilancio, passato da €800 miliardi a €8.800 miliardi dalla sua nascita fino a oggi (11X), quando invece non sarebbe dovuto aumentare quasi per niente. La continua misallocation di capitale era un'inevitabilità, la quale ha contribuito alla desertificazione industriale incalzante che, oltre alla delocalizzazione, ha visto un continuo flirt della bilancia commerciale con i disavanzi.

Vale a dire, la stupida politica di un'inflazione al 2,00% ha causato un ulteriore aumento del costo unitario del lavoro interno, gonfiando, piuttosto che sgonfiare, il divario tra il costo della produzione tra Italia e Cina.

Bilancio della BCE & bilancia commerciale italiana

Non solo suddetta delocalizzazione ha eliminato posti di lavoro ben pagati, ma, cosa ancora più importante, ha favorito l'illusione che non ci fossero conseguenze inflazionistiche per la folle stampa di denaro della BCE e che l'economia italiana soffrisse di una nuova "malattia" economica: la "bassa inflazione" definita come un deficit persistente dall'ormai sacro obiettivo al 2,00%. Ma tale fenomeno non è mai stato strutturale, solo la conseguenza una tantum della delocalizzazione e un artefatto della graduale evoluzione del ciclo globale delle merci.

E quanto descritto finora non ha preso in considerazione la crescita smisurata del debito pubblico italiano, il quale è salito da €1.800 miliardi a €2.800 miliardi, mentre il costo di gestione di questa impennata ha continuato a diminuire nel tempo. Ovvero, i politici italiani si sono ritrovati per le mani il sogno di qualsiasi cattivo debitore: quello che avrebbe dovuto essere un periodo di aumenti vertiginosi degli interessi passivi, ha invece visto un continuo avallo della sconsideratezza e irresponsabilità fiscale. Infatti se la BCE non avesse spazzolato nel proprio bilancio quantità indecenti di bond sovrani italiani e bond aziendali italiani, spingendo così i tassi d'interesse molto al di sotto dei livelli di compensazione del mercato, oggi staremmo parlando di un'altra storia. In parole povere, la BCE ha sovvenzionato la più grande esplosione di dissolutezza fiscale che l'Italia abbia mai visto.

Come vediamo dal grafico qui sotto, il rendimento del decennale italiano è passato dal 7% all'indomani della crisi del debito europea nel 2010 allo 0% circa nel 2021. C'è stato un momento in cui rendeva meno del decennale statunitense! Non solo, ma nonostante tutti i problemi attuali di ordine socio-economico parliamo ancora di un interesse reale del -4,4%! Prima della BCE e della tragedia dei beni comuni europea, la cosa che generava una misura decente di rettitudine fiscale era la paura dei politici che i bond vigilantes avrebbero reagito con indignazione all'aumento del crowding out da parte dello stato. Non più ormai. Dal luglio 2012, anno del whatever it takes di Draghi, il tasso di riferimento sui finanziamenti pubblici aggiustato all'inflazione è sceso in territorio negativo; nessuna paura di crowding out e nessuna rabbia da parte d'imprenditori e mutuatari.

Debito pubblico italiano & rendimento del decennale italiano

In conclusione, la massiccia produzione di credito fraudolento da parte della BCE ha generato una calamità fiscale.


IL SISTEMA BANCARIO CENTRALE VA ALLA CIECA

Il sistema bancario, quindi, man mano che ha reso predominante la sua presenza all'interno dell'ambiente economico attraverso manipolazioni distorcenti, ha creato intorno a sé una nebbia sempre più impenetrabile. Adesso, con un ambiente economico deformato e gravato da errori economici, non si ha più idea di quale possa essere una linea di politica consona a un briciolo di crescita economica. L'unica strategia è quella di affibbiare l'onere della correzione su quelle realtà che stanno peggio. Come descritto in altri articoli, è questo l'attuale scopo della FED nella sua campagna di rialzo dei tassi, non stabilizzare l'ambiente economico interno. I banchieri centrali sanno benissimo che per tornare ad avere un quadro economico vagamente prevedibile nel breve-medio periodo, c'è bisogno di pulizia. Pertanto, gli Stati Uniti in particolare, vogliono sfruttare la debolezza del resto del mondo e approfittarne per mettere a posto i propri conti. Perché possono approfittarne? Perché negli ultimi 50 anni l'economia mondiale ha sfruttato il dollaro, nello specifico il sistema eurodollaro offshore, per vivere al di sopra dei propri mezzi.

Spesso incapaci di commercializzare titoli denominati nelle proprie valute, molti mutuatari dei mercati emergenti si rivolgono a obbligazioni denominate in una delle principali valute estere, prevalentemente in dollari, per ottenere un migliore accesso ai mercati del credito globali (e la FED, fino alla Yellen, ha assecondato questo "gioco"). I pagamenti su tali obbligazioni vengono effettuati spendendo le proprie riserve di quella valuta o, più spesso, acquistando la valuta necessaria sul mercato aperto. Ciò rende suddetti mutuatari decisamente vulnerabili all'aumento dei tassi d'interesse, cosa che a loro volta fanno salire il relativo onere del debito. Ma questo è quello che i libri contabili ufficiali vedono... perché poi ci sono anche quelli ufficiosi, o facenti riferimento al sistema bancario ombra, i quali ci raccontano una storia molto più grande. Con la Federal Reserve che ha soppresso i tassi d'interesse negli ultimi dieci anni, gli investitori sono stati spinti nel debito dei mercati emergenti più rischiosi in quella che è stata a tutti gli effetti una ricerca di rendimenti decenti. Inutile dire che negli anni successivi alla Grande Recessione sono proliferati prestiti bancari transfrontalieri e obbligazioni societarie denominate in dollari. Alla fine del 2021 il debito totale dei mercati emergenti sforava la soglia dei $90.000 miliardi. Inutile dire che la campagna di rialzo dei tassi della FED sta diffondendo insolvenze sul credito a macchia d'olio.

Sebbene molte di queste crisi si stanno verificando, o si verificheranno, alla periferia dell'economia mondiale, e quindi ci si può aspettare che abbiano un impatto minimo su mercati più ampi, alcune di esse però hanno il potenziale per causare seri problemi. Il Pakistan sta vivendo la sua peggiore crisi politica: estrema carenza di carburante e cibo e inflazione fuori controllo. Le cose sono andate così male che a luglio è intervenuto (di nuovo) l'FMI. Il più grande creditore del Kenya, la Cina, ha rifiutato di offrire al Paese una riduzione del debito, mentre la sua posizione fiscale continua a deteriorarsi. Poi c'è l'Argentina, dove l'inflazione è ancora una volta fuori controllo, l'instabilità politica imperversa e le riserve di valuta estera sono in calo. Già adesso l'Egitto deve pagare interessi al 10% del suo PIL su un carico di debito al 100% del PIL, situazione che nei prossimi tempi peggiorerà vista l'elevata disoccupazione e l'onere fiscale impossibile da diminuire. E, tra le altre storie riguardanti i mercati emergenti, c'è soprattutto il Libano dove l'iperinflazione continua a causare danni enormi. Ma per quanto questi spillover della politica di rialzo dei tassi da parte della FED possano essere considerati "danni collaterali", il vero obiettivo è l'Europa: l'epicentro mondiale della ristrutturazione di un sistema socio-economico che ha raggiunto la sua data di scadenza. La Grecia mostra ancora un 30% di disoccupazione giovanile, un rapporto debito/PIL del 210% e pagamenti degli interessi sul debito oltre il 6% del suo PIL. Ma, come abbiamo visto nella sezione precedente, l'Italia è il vero morto che cammina, con la BCE che ha posto un tetto ai rendimenti obbligazionari italiani per impedire l'ulteriore allargamento degli spread del debito.

Sebbene ogni caso abbia le sue specificità, i cosiddetti fattori generali che contribuiscono alla sistematicità di una crisi che deve affrontare ogni Paese debitore sono: un debito elevato e in crescita in rapporto al PIL, ampi deficit strutturali, cattiva gestione monetaria, disallineamento delle scadenze, settore privato indebitato, carico fiscale in ascesa e dipendenza dalle riserve monetarie estere o da finanziamenti a breve termine per coprire le importazioni. Quella a cui assistiamo non è solo una bancarotta d'istituzioni zombi che hanno parassitato il bacino della ricchezza reale, stiamo assistendo al fallimento delle concetto di mondo fiat e d'interventismo attivo per risolvere i problemi della società. Volenti o nolenti, siamo infine messi di fronte ai frutti marcescenti che questo percorso ha prodotto nel corso del tempo: dal degrado economico/monetario a quello socio-culturale. Di conseguenza, per quanto alcuni pianificatori centrali stiano spingendo per un Grande Reset, mentre altri per un ritorno allo status quo pre-2020, l'inevitabile risultato finale sarà solo uno: Grande Default.


CONCLUSIONE

Molti economisti e analisti pensano che la minaccia sia finita: vedono il "picco dell'inflazione" alle spalle e ritengono che le banche centrali possano tornare a fare quello che sanno fare meglio, ovvero, consegnare messaggi rilassati ai mercati finanziari attraverso nuove misure di allentamento. Questo qui è un pezzo dello scorso maggio. Vi dà l'idea di quanto siano confusi la maggior parte dei consulenti finanziari quando si tratta di teoria economica coerente e logica. Ecco perché ho pubblicato il mio libro "La fine delle fallacie economiche", in modo da spiegare in modo semplice e diretto come intendere l'ambiente economico che ci circonda attraverso un metodo d'analisi logico e coerente. Applichiamolo anche adesso. In primo luogo, la visione generalmente accettata dell'inflazione è probabilmente per lo più corretta: aggiungete più "denaro" e i prezzi saliranno. C'è molto di più, ovviamente, ma se si entra troppo nei dettagli è probabile che il lettore perda il punto principale.

La maggior parte del denaro stampato dal sistema bancario centrale è finito nel circuito finanziario (perché le banche centrali usano il denaro ex novo per acquistare obbligazioni), facendo aumentare i prezzi degli asset finanziari. Questi ultimi sono diversi dagli articoli di consumo: se possedete un'azione del valore di $100, avete un diritto di prelazione su beni e servizi per un valore di $100; se arriva a $200, potete acquistare il doppio di beni e servizi. Il problema è che la produzione di beni e servizi non si è avvicinata all'aumento dello stock di denaro. Quindi, poiché i prezzi degli asset finanziari sono aumentati, molte persone hanno rivendicato beni e servizi che non esistevano. Potremmo chiamarla corsa agli sportelli finanziari...

Risolvere questo squilibrio significa deflazione per alcuni asset e inflazione per altri. In un modo o nell'altro, i prezzi degli asset finanziari devono tornare in linea con i beni e i servizi disponibili. Il calo dei prezzi degli asset finanziari (deflazione) riduce i diritti di prelazione degli investitori sulla produzione reale. Nel frattempo l'aumento degli articoli di consumo aiuta a correggere lo squilibrio: un tasso d'inflazione del 100%, ad esempio, dimezza il valore dei prezzi degli asset ogni anno.

Aumento dei prezzi al consumo da un lato, prezzi degli asset finanziari dall'altro... e famiglie, investitori e piccole/medie imprese schiacciati nel mezzo.