Prima di leggere questo pezzo, consiglio a chi non l'avesse ancora fatto di leggere il saggio di Bastiat "Le Macchine". In questo modo riuscirete a capire che coloro che protestano contro Uber non sono altro che la manifestazione odierna dei luddisti. Ugualmente ai loro avi, vanno in giro a distruggere i beni di quei "portatori della novità". Infatti la fallacia ipocrita e meschina che spesso risuona nelle loro bocche, prevede l'attacco di Uber poiché aiuterebbe i suoi dipendenti ad evadere le tasse. Questo è un pensiero dettato dall'invidia. Vuole la distruzione della posizione di successo raggiunta da qualcun altro. E' come se un prigioniero scappasse di prigione e un altro degli incarcerati avvertisse la guardia. Invece di pretendere di essere esonerati dal pagamento delle tasse, i tassisti vogliono imprigionare chi è riuscito a trovare una scappatoia dalla camera a gas rappresentata dal fisco. Il cosiddetto "investimento" nelle licenze è semplicemente un investimento improduttivo, poiché sostenuto dal potere di coercizione dello stato che erige barriere all'ingresso per controllare quanto più possibile il mercato in questione. Diversamente dalla volontà pianificatrice dello stato, le forze di mercato creano quegli anticorpi che corrodono tali barriere. Possono essere sostenute attraverso politiche che precluduno l'uso della novità, ma alla fine vengono abbattute. Accade sempre. Anche perché, chi ormai pensa più alle lavandaie? A coloro che accendevano le candele per illuminare le strade pubbliche? Uber potrebbe portare all'estinzione della figura professionale del tassista, ma ciò non è un male. Il mercato, infatti, tende ad incrementare l'efficienza e a scacciare i lavori usuranti, permettendo agli individui di risparmiare tempo e risorse con i quali migliorare i beni e servizi esistenti.
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di James E. Miller
L'anno scorso il servizio Uber car-sharing, ha avuto il privilegio d'essere il bersaglio primario del disgusto sinistroide nei confronti del capitalismo. Non solo la compagnia ha sfidato le tradizionali barriere all'ingresso stabilite dai cartelli statali, ma si è anche guadagnata la diffidenza della stampa mainstream. Gran parte di questo antagonismo è stato trainato da un'osservazione poco dignitosa espressa dal dirigente Emil Michael, il quale avrebbe voluto scovare dati personali sconvenienti riguardo i giornalisti. Michael ha poi chiesto scusa per queste osservazioni e ha detto di non possedere niente di tutto ciò.
Ma i commenti della stampa, scandalosi e fuori luogo, hanno reso la vita difficile ad Uber. Durante tutto il 2014 sono stati scritti un sacco di articoli denigratori sul modello di business della compagnia. I progressisti che scrivono su The Nation hanno addirittura proposto di socializzare Uber, cosicché i guidatori avrebbero avuto una quota della compagnia (gli autori non si rendono conto che la socializzazione comporterebbe un controllo da parte dello stato piuttosto che da un sindacato operaio).
Ma alla fine, la stampa non può far altro che soffiare sul fuoco del risentimento pubblico. Stati e consigli comunali hanno sferratto l'attacco più grande a Uber, poiché hanno introdotto una serie di disegni di legge o per vietare il servizio, oppure per limitarne notevolmente l'accessibilità. Intere nazioni sono arrivate a vietare Uber all'interno dei loro confini.
Con un anno difficile alle spalle, non sembra come i tempi possano migliorare per Uber. Il modello di business della compagnia è ancora una volta sottoposto alle paranoie degli incartapesce, i quali non comprendono l'ABC dell'economia. Gli avversari di Uber nella carta stampata sono più agguerriti che mai, soprattutto perché secondo il loro giudizio i prezzi della compagnia sono sleali.
Alla fine del 2014, il servizio di ride-sharing si è preparato per le festività di Capodanno attuando quello che si chiama un "aumento dei prezzi". La logica è semplice: con una maggiore domanda di corse, ci dev'essere un modo per fornire il servizio ai clienti. Le corse non sono gratuite. Capodanno è un giorno in cui si possono incontrare più persone ubriache del solito, e tutti sono d'accordo che coloro che alzano troppo il gomito non devono guidare. Per questo motivo il servizio di Uber, che riporta a casa i festaioli sani e salvi, è un vero e proprio bene pubblico.
Ma gli imperativi morali non sempre rappresentano un buon modo di fare economia. Le risorse sono scarse, inclusi i guidatori e le vetture di Uber. Quindi la compagnia ha dovuto trovare un modo per bilanciare la domanda con un'offerta limitata, o per dirla in gergo economico, adeguarsi alla curva della domanda quando si sposta verso destra. E' qui che entrano in gioco gli aumenti dei prezzi ed è anche qui dove risiede la reazione anti-Uber.
Numerosi commentatori online hanno fatto del sarcasmo circa l'aumento dei prezzi dopo aver accettato il servizio. Anche se Uber aveva avvertito i clienti di questa evenienza, non è riuscito a frenare le lamentele. Alcuni degli indignati l'hanno definita "fare la cresta sui prezzi" – un termine destinato a suscitare il classico odio anti-capitalista. Nonostante tutte le lamentele, c'è una semplice ragione economica per un aumento dei prezzi.
Come ha scritto Thomas Sowell: "La prima lezione dell'economia è la scarsità: non c'è mai abbastanza di una qualsiasi cosa per soddisfare tutti coloro che la vogliono." La legge della domanda e dell'offerta dice che quando aumenta la domanda, aumenta anche il prezzo. Quanto più un prodotto, o un servizio, è richiesto, tanto più aumenta l'opportunità di profitto per il produttore. Però questa dinamica non verte esclusivamente sull'incrementare i profitti. Le variazioni dei prezzi permettono ai fornitori di poter scegliere tra le persone che richiedono i loro prodotti. Se la notte di Capodanno qualcuno è disposto a pagare $50 per un passaggio a casa e un altro è disposto a pagarne $60, il conducente di Uber sceglierebbe a chi offrire il servizio. In questo modo, la persona che vuole fortemente il servizio può pagare per il privilegio di ottenerlo rispetto agli altri.
Lo scopo del sistema dei prezzi è quello di garantire che le risorse vengano destinate a chi le richiede di più. E' per questa ragione che il socialismo – la distribuzione arbitraria di beni e servizi da parte di burocrati statali – non può funzionare. Se la notte di Capodanno Uber avesse offerto un prezzo universale per il suo servizio, ci sarebbe stata una carenza di corse. Per quanto le persone si possano lamentare di un servizio costoso, è sempre meglio del non avere alcun servizio.
L'aumento dei prezzi di Uber è il modo più efficiente per assicurarsi che coloro che desiderano i suoi servizi, li possano ricevere. Ma serve anche ad un altro scopo importante. Prima di Capodanno era scoppiato un altro scandalo in seguito alla crisi degli ostaggi a Sydney, Australia. Mentre gli ostaggi fuggivano, i guidatori di Uber sono stati chiamati in massa. La compagnia, al solito, ha risposto alla crescente domanda incrementando le tariffe. Tra l'altro l'aumento dei prezzi aveva attirato più guidatori sul luogo, permettendo all'offerta di tenere il passo con la domanda. I guidatori di Uber non sono automi che vanno dovunque ci siano dei problemi. Si trovano in questo business per racimolare qualche soldo, altrimenti avrebbero scelto un'altra professione. Il reddito supplementare è il modo migliore per attirare gli imprenditori e ogni guidatore di Uber agisce in proprio. Con l'aumento dei prezzi, Uber sperava di avere più guidatori disponibili per coloro che fuggivano da una situazione di pericolo.
Il piano non ha funzionato così bene. La reazione del pubblico è stata così negativa che la compagnia ha rilasciato delle scuse ufficiali e ha rimborsato tutti coloro che hanno utilizzato il servizio in seguito alla crisi degli ostaggi. Questo è stato un caso in cui l'incremento dei prezzi ha fallito. Un altro, a sorpresa, si è verificato alla vigilia di Capodanno, quando molti hanno scelto di non pagare l'aumento delle tariffe. Ciò che aveva economicamente senso, non è stato compreso come previsto – un altro esempio di scarsa lungimiranza da parte di Uber.
L'imprenditorialità richiede d'essere consapevoli delle opportunità di profitto. Come azienda, Uber ha riempito una nicchia economica offrendo ai consumatori corse a prezzi accessibili e personalizzabili. Ha sostanzialmente offerto un'alternativa al di fuori dei cartelli dei taxi. Per la sua alertness alla domanda, Uber è stato profumatamente ricompensato con quasi $10 miliardi di guadagni. Il successo, tuttavia, non è mai un evento isolato. E Uber è entrato in competizione con l'opposizione politica.
Per il momento Uber merita la sua popolarità nelle principali città poiché fornisce un ottimo servizio. Lamentarsi delle sue tattiche commerciali aggressive e proporre modi per limitarne il potere di mercato, è una strategia miope. Uber risponde al mercato. Il modello di business della compagnia non sempre è perfetto, soprattutto perché le creazioni dell'uomo sono intrinsecamente imperfette. Detto questo, non vi è alcuna ragione per cui la compagnia debba essere osteggiata così dalla stampa e dalla sinistra politica. Le intenzioni degli avversari di Uber sembrano voler danneggiare la compagnia piuttosto che tutelare i consumatori. E' solo una questione di tempo prima che la compagnia passi da disgregatore schumpeteriano ad impresa autorizzata dallo stato. E' un peccato, ma prevedibile in un'economia così strettamente allineata con lo stato.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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giovedì 18 giugno 2015
giovedì 26 marzo 2015
La complessità della crescita economica
di James E. Miller
Che cos'è la crescita economica?
Gli economisti ne parlano incessantemente. Sia sui giornali sia nei libri di testo, la scienza triste sembra proprio che si basi sull'idea di aumentare la crescita. I politici amano quando c'è crescita economica durante il loro mandato e crisi in quello degli avversari. Per quanto se ne parli, però, il termine stesso non viene mai definito. La crescita è buona; la contrazione è male. E se il capofamiglia ha un lavoro dignitoso e ben pagato, allora tutto è in pieno boom.
Ecco come viene recepita la crescita economica dai cosiddetti profani. Gli intellettuali hanno la cattiva abitudine di condensare questioni complesse in istruzioni concise che non hanno alcuna incidenza sulla realtà. Infatti il termine "crescita" è solamente una parola con poco significato. Per fortuna abbiamo storie reali che ci dicono quanto l'economia moderna sia "cresciuta" rispetto a mezzo secolo fa.
Di recente l'editorialista del Wall Street Journal, Peggy Noonan, ha scritto un pezzo sui "vecchi tempi" dell'America, prendendo come spunto un discorso del senatore Joni Ernst. Quegli anni d'oro non erano così romantici come spesso li dipinge la narrativa moderna. La convenienza materiale non era onnipresente. L'abbigliamento di base era raro. Come scrive Noonan: "Se foste vissuti in una famiglia che era a malapena in grado di arrangiarsi, è probabile che non avreste avuto nemmeno un paio di scarpe."
Al giorno d'oggi la classe più bassa può permettersi più paia di scarpe di marca. Questo era inaudito oltre una generazione fa. C'erano semplicemente meno merci per tutti, e ciò comprendeva anche beni di prima necessità come il cibo, l'abbigliamento e la risorsa più importante: il tempo libero.
L'editorialista di Bloomberg View, Megan McArdle, sottolinea che la vita ritratta nella serie La Casa nella Prateria era tutt'altro che idilliaca. I personaggi imputavano un alto valore su certi ninnoli che noi oggi butteremmo via senza pensarci due volte. Le feste di famiglia gioiose? Ci voleva più di un giorno per prepararle; per non parlare di come fossero una rarità. I pasti nell'America del XIX secolo di solito contenevano, secondo la McArdle: "Fagioli, pane (o una sorta di grano porridge) e un po' di carne per il sapore, tra l'altro conservata sotto sale." Vivere con poco, ma assaporando le ricompense dure della vita bucolica, suona meraviglioso sulla carta. In realtà, vivere in quel modo era una questione completamente diversa. La vita era dura e talvolta brutalmente breve.
Le nostre vite sono state liberate da tale fatica grazie alla crescita economica. Mentre gli economisti amano snocciolare numeri e statistiche per dimostrarla, la crescita è facilmente riscontrabile quando guardiamo agli elettrodomestici che usiamo quotidianamente. Lavatrici, condizionatori, frigoriferi, automobili e forni a microonde sono tutti i prodotti della "crescita". Che cosa significa? Significa semplicemente che la crescita economica è il risultato di un maggior numero di prodotti disponibili. Niente grafici, niente tabelle di dati, niente percentuali e formule. La crescita significa poter acquistare un paio di scarpe da ginnastica durevoli con due ore di lavoro a salario minimo.
Non dobbiamo scordare i vantaggi economici che abbiamo sperimentato nel corso dell'ultimo mezzo secolo quando li si confronta con i temi della povertà e della disuguaglianza di reddito. I sostenitori del welfare state sono pieni di messaggi empatici, ma non comprendono la nostra fortuna economica. Ignorando la mole di progressi che abbiamo fatto, si perde anche la possibilità di capire come possono essere risolti i problemi.
Un esempio particolare di quanto detto possiamo ritrovarlo in un recente editoriale del New York Times scritto da Nicholas Kristof. Chiedendosi "Dov'è l'empatia?" Kirstof ci racconta la storia del suo amico Kevin Green scomparso all'età di 54 anni. Green non era affatto un uomo decadente. Verso la fine della sua vita riusciva a sopravvivere grazie ai food stamp, all'assicurazione per l'invalidità e al piccolo profitto che otteneva dalla raccolta di materiali riciclabili e dalla vendita di marijuana.
Da qualche parte nella sua vita, la strada di Green verso una vita piacevole ha preso una piega sbagliata. Dopo essere cresciuto in una classica famiglia della classe media, il tipo di lavoro che aveva sostenuto i suoi genitori iniziò a scomparire. Il padre di Green aveva un'istruzione di basso livello, ma aveva un lavoro che pagava bene. Suo figlio non è stato così fortunato, passando da un lavoro a basso salario al successivo con un salario ancora più basso, mentre metteva al mondo due figli con una ragazza che alla fine l'ha lasciato.
I figli e un infortunio alla schiena hanno lasciato Green con pochi mezzi per mantenersi. Poi sono arrivati diabete, arresti per droga, patente di guida ritirata e problemi di cuore. Scrive Kristof: "La mobilità che sembrava così promettente una generazione fa, si è rivelata solo un miraggio." Kristof conclude che la disuguaglianza crescente e la mancanza di posti di lavoro buoni sono quello che hanno fregato Green. Quanto c'è di vero?
Bastiat disse che l'immaginazione è il miglior strumento che possa avere un pensatore economico. Quindi immaginate se Kevin Green fosse vissuto 80 anni fa: quanto più difficile sarebbe stata la sua vita? Il piccolo reddito che guadagnava non avrebbe potuto acquistare la quantità di cibo, vestiti e riparo di oggi. La benedizione della crescita economica è che aiuta i meno abbienti a sopravvivere, seppur con parsimonia.
Storie di disagio, come quella di Green, dovrebbero suscitare empatia. Ma non devono essere considerate come una forma di sprone affinché lo stato agisca o come la prova che viviamo in tempi bui. Circa 100 anni fa, il più ricco dei ricchi poteva solo sognare il tipo di abbondanza che esiste oggi. Avere tutto l'oro del mondo non significa avere accesso immediato al cibo ad alto contenuto calorico o a cure mediche.
"I poveri li avete sempre con voi, e potete aiutarli ogni volta che volete," dice la Bibbia. Ciò che è successo a Green è tragico. La sua morte ci dovrebbe far pensare alla stupidità delle leggi sulle droghe e sull'efficacia del welfare, ma dovremmo anche rimanere concentrati sulla crescita economica per capire meglio la complessità di un tenore di vita crescente. Green sarebbe stato meglio con uno stato più generoso solo nel breve periodo. L'opportunità è ciò che più importa; l'opportunità di lavorare e acquistare beni sono i sottoprodotti della crescita economica. Sono cose che richiedono tempo. Se Green avesse avuto accesso a più frutti della crescita, forse non sarebbe stato il protagonista di questa triste storia.
La crescita economica è un processo lento che non diviene evidente in modo immediato. Accade sempre, che venga notato o meno. L'America non è diventata all'improvviso una nazione da un paio di scarpe per bambino a più varianti di calzature. Questa transizione ha richiesto produttività e accumulo di capitale, ed è qualcosa che pochi economisti vi diranno mai. Invece preferiscono darvi la spiegazione politicamente più conveniente piuttosto che la verità. Persone come Kevin Green ne risentono.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
lunedì 22 settembre 2014
Il declino di un impero
di James E. Miller
Il mondo sembra proprio finito nel caos più assoluto. L'esercito israeliano ha invaso la striscia di Gaza dopo la rottura di un accordo di cessate il fuoco durato 18 mesi. Quale lato abbia rotto l'accordo è ancora una questione aperta. Un aereo di linea commerciale è stato abbattuto nello spazio aereo ucraino. I media occidentali ed i politici affermano che l'atto di violenza sia stato commesso dal presidente russo Vladimir Putin nel tentativo di conquistare la zona contigua. In Iran, il governo sta pensando seriamente di costruire armi nucleari, con grande costernazione dei pensatori globalisti. Lì accanto, nel parco giochi del Diavolo in Iraq, gli islamisti radicali stanno causando enormi disastri, compresa la distruzione di chiese storiche dei tempi apostolici.
Tutto questo sconquasso è colpa del prestigio americano in calo, secondo Robert Fulford. Nel suo ultimo articolo per il National Post, Fulford lamenta l'indifferenza del presidente Barack Obama mentre la violenza esplode nella parte più pericolosa del pianeta. Scrive che gran parte del mondo non vede più Washington come una minaccia. Sotto la presidenza Obama: "La politica degli Stati Uniti è diventata irregolare e timida, soggetta a modifiche arbitrarie senza preavviso." Fulford porta l'esempio della mancanza di una risposta forte nella guerra civile siriana, tanto per evidenziare l'allontanamento dell'America dalle luci della ribalta. Se gli Stati Uniti non riprederanno presto la loro leadership sulla scena mondiale, il "futuro sarà sempre più terribile."
Fulford è ben lungi dall'essere solo nella sua ricerca di colpe da assegnare. Giornalisti provenienti da entrambi gli schieramenti politici hanno criticato il Presidente. L'arci-neoconservatore Charles Krauthammer ha definito "passivi e disinteressati" i commenti di Obama sull'aereo abbattuto della Malaysia Airlines. James Kirchick – il guerrafondaio di sinistra che trae grande piacere dalla potenza americana dispiegata all'estero – ha affermato perentoriamente come sia finalmente giunto il momento che "l'Occidente affronti a muso duro Putin", con gli Stati Uniti che dovrebbero appoggiare i militari ucraini.
Tutti questi critici suppongono che l'America sia in grado di premere un interruttore e riorganizzare gli affari del mondo per soddisfare i propri standard. Non riescono a comprendere come l'impero degli Stati Uniti si stia in realtà sfaldando. Gli anni '50 sono passati da un bel pezzo. Il massimale del bilancio di Washington si avvicina ogni giorno che passa. Il debito nazionale è di $17 bilioni; un numero insondabile che è impossibile da mantenere in perpetuo. L'economia domestica è ancora lenta e non si è mai ripresa dal crollo del mercato nel 2008. Il tempo del predominio americano potrebbe presto volgere al termine. E la verità deve ancora aprire gli occhi a quelle persone amanti degli imperi.
Le teste di legno che opinano nei talk show della domenica mattina, sono ancora bloccate ai tempi della guerra fredda. Si rifiutano di affrontare la verità sulla politica estera:
- ci sono troppe tonalità di grigio affinché il bene ed il male siano nettamente evidenti;
- la verità e la finzione spesso coincidono a seconda delle idee preconcette degli individui.
I cosiddetti esperti dimenticano il consiglio del realista Walter Lippmann che ha fatto notare come la politica estera razionale "consista nel portare in equilibrio gli impegni di una nazione e la sua potenza."
Ancora più importante, i media non sembrano rendersi conto che i conflitti di oggi non sono il risultato di fazioni in guerra. I dissapori in Iran, Ucraina, Israele, Palestina, Russia ed in ogni altro paese sotto l'influenza del potere occidentale, non hanno avuto origine dal nulla. L'incessante ingerenza degli stati, in particolare di Washington, ha fomentato gli scontri che vediamo oggi. Molti sono il risultato diretto, o indiretto, della pianificazione globale la quale ha scarsa conoscenza delle possibili conseguenze indesiderate. Qualora l'amministrazione Obama ascoltasse le lamentele degli interventisti, il risultato potrebbe essere più morte, più violenza, e meno pace.
Gli scontri attuali hanno il marchio dell'ingerenza del governo degli Stati Uniti. In Ucraina, il conflitto tra nazionalisti e separatisti è una conseguenza del rovesciamento del presidente Viktor Yanukovich. Il colpo di stato è stato sostenuto surrettiziamente da Washington e dal suo gruppo di marionette nelle organizzazioni non governative. L'annessione della Crimea e le violenze in corso in quell'area, si possono far risalire al pungolamento della Russia da parte dell'Occidente.
In Iraq ritroviamo la solita calamità. L'ex-dittatore Saddam Hussein non era un angelo, ma sotto il suo dominio gli elementi islamici radicali venivano tenuti a bada. Il suo rovesciamento da parte delle forze americane ha lasciato il "luogo di nascita della civiltà" tutt'altro che civile. Il paese, che è stato formato arbitrariamente dalle potenze coloniali europee a seguito della prima guerra mondiale, sta barcollando lentamente verso una triplice divisione lungo linee etniche e religiose. I terroristi la cui lealtà va allo Stato Islamico d'Iraq ed alla Siria, stanno scatenando il caos in tutto il paese; un effetto che ricade su nazioni assediate come la Libia. Quest'ultimo campo di battaglia è, ovviamente, il risultato di un intervento occidentale finanziato principalmente dal governo degli Stati Uniti.
L'esperimento in cui l'America riprendeva le manovre dove le aveva lasciate l'Impero Britannico, sembra che stia finalmente volgendo al termine. Non è mai stato progettato per funzionare sempiternamente. Le contraddizioni dell'interventismo non stanno portando tranquillità, o addirittura supremazia, ma hanno permesso all'arroganza di regnare sovrana. L'influenza sugli altri paesi si sta allentando a causa dello scompiglio che è stato creato. L'ironia di questa nuova realtà è che il risultato era facile da prevedere. L'arroganza di essere in possesso di un'intelligenza superiore è da sempre un fallimento umano. Non è mai stato possibile che una cricca di attori politici potesse guidare gli affari del mondo senza problemi. Come ha scritto Friedrich Hayek: "[Nessuna] mente umana può comprendere tutta la conoscenza che guida le azioni della società."
Se dovessi avanzare una congettura per spiegare ciò che spinge il desiderio di predominio in tutto il mondo, direi che è l'ideologia. Ognuno ha la sua, ma il fervore con cui gli interventisti opinano è la più deleteria di tutte le ideologie. Essi non bramano solo il controllo, ma cercano una completa trasformazione degli altri popoli e delle loro culture in modo che si venga a creare un comportamento uniforme tra la popolazione del mondo. Gran parte della loro propaganda si basa sul pretesto dei diritti umani. Con tutti che si inchinano scondinzolanti davanti alle stesse bugie della celebrazione democratica, la libertà viene sgretolata.
Da Alessandro Magno al dominio britannico, la storia, se è maestra di vita, ci insegna che nessun gruppo di uomini è in grado di conquistare il mondo. E' semplicemente troppo grande, troppo vasto e troppo complesso. L'umanità è troppo irrequieta per sedersi e prendere ordini da dittatori. Analogamente, l'esito dell'interventismo non è senza conseguenze. Spesso ha effetti che non possono essere conosciuti in anticipo, e si rivelano di vasta portata. Coloro che criticano il declino del potere americano sulla scena globale, devono ancora imparare queste lezioni importanti.
La mentalità che desidera vedere il proprio paese con una presa ferrea sugli affari del mondo, è terribilmente ingenua. Gli imperi non sono liberi. La carta di credito di Washington non può essere ricaricata all'infinito. La necessità di prudenza è sempre più necessaria di giorno in giorno. Per il bene degli americani medi, e dei cittadini pacifici in tutto il mondo, speriamo che arrivi più prima che poi.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
giovedì 3 luglio 2014
L'impossibilità dei tassi di interesse negativi
La paura irrazionale per la deflazione è uno di quei baubau sventolato davanti i nasi delle persone affinché cedano alle pretese dei pianificatori centrali. Lungo il corso della storia del XX secolo, ad esempio, questa strategia ha permesso di invadere segmenti crescenti della libertà individuale. Sebbene la realtà dica qualcosa di diverso, manipolare la semantica e torcere dati statistici rimane la strategia preferita degli spacciatori di fumo. Stranamente l'inflazione nei prezzi degli asset passa quasi sempre in sordina. Sin dal primo giro di quantitative easing dello zio Ben, il mercato azionario e quello obbligazionario hanno iniziato la loro ascesa verso record storici gonfiati artificialmente. Anche l'Europa ne ha risentito, e si è adeguata alla situazione assecondando lo zio Sam. Il carry trade che ne è emerso (prendere in prestito denaro a costo zero per riversarlo, principalmente, in obbligazioni e azioni) ha persmesso alle banche comemrciali di schivare il proiettile fatale. Arrivati a questo punto, dove la situazione richiede dosi crescenti di interventismo nell'economia per essere sostenuta, lo zio Mario pensa che pungolando le banche con tassi negativi sui loro depositi presso la BCE, egli le possa spronare a concedere più credito per spronare una nuova euforia farlocca. Andate a pagina 221 della relazione annuale della Banca d'Italia e osservate la tabella che vi troverete, in questo modo capirete perché questa è un'opzione non percorribile. La disconnessione delle informazioni veicolate dai prezzi in un ambiente monetario stabile, ha generato il caos economico di cui siamo testimoni e le banche centrali ne hanno grande colpa.
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di James E. Miller
I banchieri centrali devono essere davvero disperati. Dopo il vano tentativo di rilanciare l'economia globale attraverso la sincronizzazione en masse della stampa di denaro, stanno rilanciando per l'ennesima volta la stessa politica fallimentare. Ora non è più sufficiente creare un'offerta di moneta infinita. Il popolino deve essere punito per aver avuto il coraggio di risparmiare denaro nei propri conti bancari. I tassi di interesse possono anche trovarsi ad un punto straordinariamente basso, ma è il momento di portarli più in basso.
I maniaci europei della pianificazione stanno suonando la carica, con la Banca Centrale Europea che di recente ha annunciato una serie di misure per abbassare dallo 0% al -0.1% il tasso sui depositi delle banche. Proprio così; la BCE vuole far pagare le banche qualora decidano di stipare i loro soldi nel caveau della banca centrale. L'obiettivo è invogliare le banche a prestare denaro, piuttosto che lasciarlo parcheggiato all'interno di un deposito. Dopo tutto, la BCE sta comprando titoli di stato dagli stessi istituti finanziari. Sarebbe un peccato non spingere questi soldi nell'economia. In questo modo, verrà somministrata agli spiriti animali una dose di eccitanti ed inizieranno a consumare allo stesso ritmo pre-crisi. Questa è la teoria, comunque.
Come al solito, gli appassionati della stampante monetaria stanno celebrando la mossa. James Pethokoukis dell'American Enterprise Institute applaude alle "intenzioni" di questa strategia. Bill Gross di PIMCO ritiene che ci sia bisogno di un'azione aggressiva per aumentare l'inflazione dei prezzi. Le principali agenzie di stampa stanno descrivendo la manovra della BCE come una "politica di tassi di interesse negativi." La frase viene sballottata in giro e richiama qualcosa che potrebbe avere conseguenze interessanti.
E' raro i media possano vantare una solida conoscenza dei principi economici, quindi ci si dovrebbe chiedere: esiste davvero qualcosa come un tasso di interesse negativo? È davvero possibile modificare il costo del denaro in modo che sia essenzialmente gratuito?
Ripensateci. La regola economica secondo cui non esistono pasti gratis è ancora vera, anche in un ambiente con tassi di interesse "negativi". Non esiste denaro gratuito. Prenderlo in prestito non sarà mai a costo zero. Qualcuno deve sempre pagare.
Per decenni le banche centrali hanno distorto il pensiero su cosa sia realmente il tasso di interesse. Manipolare il costo del denaro è il modus operandi di una banca centrale. La missione è quella di influenzare il comportamento umano attraverso il monopolio sulla produzione di denaro, e non garantire una fluttuazione regolare tra chi vuole consumare subito e chi vuole rinviare per il futuro.
Come tutti i prezzi, i tassi di interesse servono come mezzo per allocare razionalmente i beni in base alle preferenze dei consumatori. Nel caso dell'interesse, tale preferenza si riflette nel desiderio di agire nel presente piuttosto che nel futuro. Ludwig von Mises definì questo concetto "preferenza temporale", la quale è un "requisito categorico dell'azione umana". Nessun sofisma può cambiare il fatto che la gente preferisce beni e servizi ora, piuttosto che in futuro. Come disse Mises: "l'atto di gratificare un desiderio implica che la sua soddisfazione nel presente sia preferibile ad una futura."
I tassi di interesse devono essere sempre positivi per riflettere lo sconto dei beni futuri rispetto agli stessi beni presenti. E' una verità fondamentale che non può essere confutata attraverso la creazione infinita di denaro. Ma, come sottolinea l'economista Pater Tenebrarum, i tassi di interesse di mercato possono includere elementi come "i premi di rischio, i premi dei prezzi ed i profitti." In senso nominale, talvolta i tassi di interesse possono riflettere una preferenza negativa. Ma ciò non smentisce questa legge inviolabile: i beni presenti sono preferibili a quelli futuri.
E' un po' un inganno definire la nuova politica della BCE "tassi di interesse negativi", poiché suggerisce che una regola fondamentale dell'economia può essere ribaltata se esiste abbastanza volontà politica da aggiustare l'economia. Sin dalla crisi finanziaria del 2008, gli economisti ed i sapientoni di tutti i tipi hanno sollecitato sforzi più aggressivi da parte delle banche centrali del mondo. La Federal Reserve e la Banca Centrale Europea erano i bersagli principali di tale incoraggiamento (fallendo nell'ampliare l'offerta di moneta ad un livello tale da mettere a tacere i loro critici). Certo, migliaia di miliardi di dollari e di euro sono stati creati dal nulla. E sì, le banche sono più che mai piene di liquidità. Ma la disoccupazione rimane incredibilmente alta e l'economia non ha ancora raggiunto un livello di crescita tale da soddisfare i pianificatori centrali.
Far pagare quelle banche che mantengono il denaro a bordo campo, è un disperato tentativo di scuotere le forze di mercato. Ma dal momento che gli effetti inflazionistici sono sempre effimeri, questo è più che altro un gioco psicologico. Lo scopo della banca centrale è quello di spremere le economie attraverso la creazione di un "effetto ricchezza". Se le persone si sentono più ricche, perché gli oneri finanziari sono in calo ed i prezzi degli asset sono in aumento – a causa di una iniezione di moneta che spinge i prezzi in su – allora è probabile che spenderanno di più. E' tutto un circolo virtuoso, fino a quando non crolla.
Non esiste qualcosa come un tasso di interesse negativo, in quanto è un'impossibilità logica. Siamo stati nutriti dalla propaganda: elicotteri che sganciano sacchi di soldi. Il punto di questa politica è far pagare una tassa alle banche in modo che le stesse la passino ai clienti. In questo modo, le persone sarebbero più riluttanti a mettere i loro soldi in conti di deposito o in conti di risparmio. Se debbono pagare un prezzo per il deposito, invece di ricevere un interesse, saranno più propense ad abbuffarsi presso il negozio locale. La filosofia alla base dei tassi di interesse "negativi" è quella di incoraggiare la spesa. E' una visione miope del mondo, e una perfettamente sintetizzata dal motto di Keynes: "Nel lungo periodo siamo tutti morti."
La creazione della prosperità economica non è l'unico ordine del giorno dei pianificatori centrali keynesiani. Il loro obiettivo primario è quello di piegare la realtà con le parole e le azioni. E' completamente utopico e non può essere fatto; ma questo non scoraggerà gli ingegneri sociali che spingono pulsanti presso la banca centrale. Diranno alla popolazione che la prosperità è a portata di mano, mentre inonderanno l'economia con cartastraccia. Solo alcuni traggono vantaggio da questa farsa, ma è abbastanza per placare le masse per un breve periodo. Nel frattempo, l'economia continua il suo giro sulle montagne russe della distorsione causata dagli ingegneri monetari che presumono di sapere di più di quanto sappiano realmente.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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di James E. Miller
I banchieri centrali devono essere davvero disperati. Dopo il vano tentativo di rilanciare l'economia globale attraverso la sincronizzazione en masse della stampa di denaro, stanno rilanciando per l'ennesima volta la stessa politica fallimentare. Ora non è più sufficiente creare un'offerta di moneta infinita. Il popolino deve essere punito per aver avuto il coraggio di risparmiare denaro nei propri conti bancari. I tassi di interesse possono anche trovarsi ad un punto straordinariamente basso, ma è il momento di portarli più in basso.
I maniaci europei della pianificazione stanno suonando la carica, con la Banca Centrale Europea che di recente ha annunciato una serie di misure per abbassare dallo 0% al -0.1% il tasso sui depositi delle banche. Proprio così; la BCE vuole far pagare le banche qualora decidano di stipare i loro soldi nel caveau della banca centrale. L'obiettivo è invogliare le banche a prestare denaro, piuttosto che lasciarlo parcheggiato all'interno di un deposito. Dopo tutto, la BCE sta comprando titoli di stato dagli stessi istituti finanziari. Sarebbe un peccato non spingere questi soldi nell'economia. In questo modo, verrà somministrata agli spiriti animali una dose di eccitanti ed inizieranno a consumare allo stesso ritmo pre-crisi. Questa è la teoria, comunque.
Come al solito, gli appassionati della stampante monetaria stanno celebrando la mossa. James Pethokoukis dell'American Enterprise Institute applaude alle "intenzioni" di questa strategia. Bill Gross di PIMCO ritiene che ci sia bisogno di un'azione aggressiva per aumentare l'inflazione dei prezzi. Le principali agenzie di stampa stanno descrivendo la manovra della BCE come una "politica di tassi di interesse negativi." La frase viene sballottata in giro e richiama qualcosa che potrebbe avere conseguenze interessanti.
E' raro i media possano vantare una solida conoscenza dei principi economici, quindi ci si dovrebbe chiedere: esiste davvero qualcosa come un tasso di interesse negativo? È davvero possibile modificare il costo del denaro in modo che sia essenzialmente gratuito?
Ripensateci. La regola economica secondo cui non esistono pasti gratis è ancora vera, anche in un ambiente con tassi di interesse "negativi". Non esiste denaro gratuito. Prenderlo in prestito non sarà mai a costo zero. Qualcuno deve sempre pagare.
Per decenni le banche centrali hanno distorto il pensiero su cosa sia realmente il tasso di interesse. Manipolare il costo del denaro è il modus operandi di una banca centrale. La missione è quella di influenzare il comportamento umano attraverso il monopolio sulla produzione di denaro, e non garantire una fluttuazione regolare tra chi vuole consumare subito e chi vuole rinviare per il futuro.
Come tutti i prezzi, i tassi di interesse servono come mezzo per allocare razionalmente i beni in base alle preferenze dei consumatori. Nel caso dell'interesse, tale preferenza si riflette nel desiderio di agire nel presente piuttosto che nel futuro. Ludwig von Mises definì questo concetto "preferenza temporale", la quale è un "requisito categorico dell'azione umana". Nessun sofisma può cambiare il fatto che la gente preferisce beni e servizi ora, piuttosto che in futuro. Come disse Mises: "l'atto di gratificare un desiderio implica che la sua soddisfazione nel presente sia preferibile ad una futura."
I tassi di interesse devono essere sempre positivi per riflettere lo sconto dei beni futuri rispetto agli stessi beni presenti. E' una verità fondamentale che non può essere confutata attraverso la creazione infinita di denaro. Ma, come sottolinea l'economista Pater Tenebrarum, i tassi di interesse di mercato possono includere elementi come "i premi di rischio, i premi dei prezzi ed i profitti." In senso nominale, talvolta i tassi di interesse possono riflettere una preferenza negativa. Ma ciò non smentisce questa legge inviolabile: i beni presenti sono preferibili a quelli futuri.
E' un po' un inganno definire la nuova politica della BCE "tassi di interesse negativi", poiché suggerisce che una regola fondamentale dell'economia può essere ribaltata se esiste abbastanza volontà politica da aggiustare l'economia. Sin dalla crisi finanziaria del 2008, gli economisti ed i sapientoni di tutti i tipi hanno sollecitato sforzi più aggressivi da parte delle banche centrali del mondo. La Federal Reserve e la Banca Centrale Europea erano i bersagli principali di tale incoraggiamento (fallendo nell'ampliare l'offerta di moneta ad un livello tale da mettere a tacere i loro critici). Certo, migliaia di miliardi di dollari e di euro sono stati creati dal nulla. E sì, le banche sono più che mai piene di liquidità. Ma la disoccupazione rimane incredibilmente alta e l'economia non ha ancora raggiunto un livello di crescita tale da soddisfare i pianificatori centrali.
Far pagare quelle banche che mantengono il denaro a bordo campo, è un disperato tentativo di scuotere le forze di mercato. Ma dal momento che gli effetti inflazionistici sono sempre effimeri, questo è più che altro un gioco psicologico. Lo scopo della banca centrale è quello di spremere le economie attraverso la creazione di un "effetto ricchezza". Se le persone si sentono più ricche, perché gli oneri finanziari sono in calo ed i prezzi degli asset sono in aumento – a causa di una iniezione di moneta che spinge i prezzi in su – allora è probabile che spenderanno di più. E' tutto un circolo virtuoso, fino a quando non crolla.
Non esiste qualcosa come un tasso di interesse negativo, in quanto è un'impossibilità logica. Siamo stati nutriti dalla propaganda: elicotteri che sganciano sacchi di soldi. Il punto di questa politica è far pagare una tassa alle banche in modo che le stesse la passino ai clienti. In questo modo, le persone sarebbero più riluttanti a mettere i loro soldi in conti di deposito o in conti di risparmio. Se debbono pagare un prezzo per il deposito, invece di ricevere un interesse, saranno più propense ad abbuffarsi presso il negozio locale. La filosofia alla base dei tassi di interesse "negativi" è quella di incoraggiare la spesa. E' una visione miope del mondo, e una perfettamente sintetizzata dal motto di Keynes: "Nel lungo periodo siamo tutti morti."
La creazione della prosperità economica non è l'unico ordine del giorno dei pianificatori centrali keynesiani. Il loro obiettivo primario è quello di piegare la realtà con le parole e le azioni. E' completamente utopico e non può essere fatto; ma questo non scoraggerà gli ingegneri sociali che spingono pulsanti presso la banca centrale. Diranno alla popolazione che la prosperità è a portata di mano, mentre inonderanno l'economia con cartastraccia. Solo alcuni traggono vantaggio da questa farsa, ma è abbastanza per placare le masse per un breve periodo. Nel frattempo, l'economia continua il suo giro sulle montagne russe della distorsione causata dagli ingegneri monetari che presumono di sapere di più di quanto sappiano realmente.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
giovedì 12 giugno 2014
Il problema con l'empirismo
«[...] Ossessione numeri -- Dietro alle verifiche ci sono enormi interessi economici: il dato del recupero dell’imposta serve a molti. Sia ai politici che ai finanzieri. Nella Guardia di Finanza il raggiungimento degli obiettivi legittima l’ottenimento dei premi incentivanti e gli stipendi stellari dei generali, che sono decine: uno per provincia, più uno per regione. [...]
Indietro non si torna -- A fine anno i generali chiedono il dato dell’imposta evasa constatata e lo confrontano con quello dell’anno prima. Il risultato non può essere inferiore a quello di 12 mesi prima. Se il dato scende bisogna dar conto al reparto centrale di Roma del perché si siano recuperati meno soldi e il comandante del reparto periferico rischia di vedersi bloccare la carriera. Per questo le nostre verifiche proseguono anche di fronte a evidenti illogicità. I nostri ufficiali parlano solo di numeri e quando hanno sentore di un risultato, magari per una previsione affrettata di un ispettore, corrono dai loro superiori anticipando che da quella verifica potrà venir fuori un certo risultato: a quel punto non si può più tornare indietro. Il verbale diventa subito una statistica, una voce acquisita e ufficiale di reddito non dichiarato. Quando si prospetta un ventaglio di possibilità per risolvere una contestazione si concentrano le energie sempre su quella che porta il risultato più alto. Che sarebbe poco grave se fosse la strada giusta. Ma spesso non lo è. Per la Finanza quello che conta è il dio numero. Il nostro unico problema è come tirarlo fuori.»
~ Confessioni di un finanziere: "Incasso tangenti per lo Stato", Libero, 27 aprile 2014.
___________________________________________________________________________________
di James E. Miller
L'aforisma di Mark Twain, "ci sono le bugie, le dannate bugie, e le statistiche", ha il privilegio di essere usato molto spesso e mai abbastanza. Tale detto viene sfoderato quando si ha a che fare con persone che sono troppo ottuse per capire cosa succede oltre il loro naso. Sono quelli che fingono scetticismo, ma accettano avidamente qualunque evidenza empirica a sostegno del loro dogma.
Questi criminali contro l'intelletto sono in larga parte statistici, vale a dire gli economisti. Passano le loro giornate in attesa di avventarsi sui loro detrattori, non appena entrano in possesso di qualche dato che giustifica il loro collettivismo. La disoccupazione si è spostata lentamente in su? C'è bisogno di maggiori stimoli statali! La disoccupazione scende leggermente? Grazie al cielo Washington sta spendendo così tanti soldi da dare un posto di lavoro alle persone!
Il punto è che ogni dato può essere preso ed infilato in un discorso in modo da soddisfare un particolare percorso politico. Le statistiche del governo spesso forniscono un pot-pourri di finzioni facilmente modellabili. E poiché i fatti e le cifre provengono direttamente dalla bocca dello stato, sono spesso considerati come vangelo. Chi la pensa diversamente – che i burocrati potrebbero avere i propri motivi per falsificare le informazioni – è considerato come uno sciocco che gira con la carta stagnola in testa.
L'eccezione si ha quando un qualche funzionario pubblico canaglia viene colto a falsificare le statistiche per scopi politici.
Il New York Post, un giornale non proprio noto per il suo orgoglio nel dare notizie accurate, ha riportato di recente la storia di come il Census Bureau sapesse della manipolazione del rapporto sull'occupazione avvenuta durante la corsa alle elezioni del 2012. Pochi mesi prima che l'America confermasse Obama allo Studio Ovale, il tasso di disoccupazione nazionale scese dall'8.1% al 7.8%. Non rappresentava una diminuzione significativa, ma i mezzobusti l'hanno fatta passare come tale. Il NyPo – che si basa su una "fonte affidabile" ma sconosciuta – sostiene che la cifra è stata intenzionalmente falsificata.
Inutile dire che affermazioni basate su un'origine anonima non sono le più credibili delle fonti. Anche l'uomo della strada si guarda bene dal credere a fonti anonime. Vuole delle prove a sostegno, e non solo il sentito dire.
Il report del NyPo potrebbe essere tutto fumo e niente arrosto, ma non è lontano dal regno delle possibilità. I lavoratori nel settore pubblico hanno tutto l'interesse a mantenere i loro posti di lavoro. Nel 2010 Julius Buckmon, dipendente del Census Department, è stato licenziato per aver falsificato alcuni risultati. Sostiene di averlo fatto perché arrivarono ordini dall'alto.
Inoltre, il metodo ufficiale che usa lo stato per misurare la disoccupazione è già abbastanza opaco. I lavoratori presso il Bureau of Labor Statistics chiamano le famiglie e si informano sulle condizioni di lavoro degli abitanti. Non attaccano gli intervistati ad una macchina della verità. Il tutto si basa sull'affidabilità dell'imbranato comune. E anche quando i dati vengono raccolti, i media utilizzano la misura meno rigorosa sulla disoccupazione, nota come U3, per i titoli dei loro articoli. Tale misura non tiene conto dei lavoratori scoraggiati, i quali sono gettati nello scaglione U6 insieme ai lavoratori part-time in cerca di un lavoro a tempo pieno. Così il biochimico che lava i piatti nel ristorante locale, mentre ogni mattina visiona gli annunci in cerca di una nuova posizione, viene lasciato fuori. Fin dall'inizio della depressione America cinque anni fa, il tasso di disoccupazione U6 non è riuscito a scendere sotto le due cifre. Ma evidenziando solo i numeri da "prima pagina", il presidente ed i suoi burocrati buttano una luce su un quadro altrimenti buio.
La manipolazione dei dati da parte del governo non è una novità. Per decenni Stalin trasse in inganno gli economisti occidentali con rapporti errati sulla crescita economica nel suo paradiso comunista. Nel 1989 Paul Samuelson, senza dubbio il più influente economista accademico della fine del XX secolo, scrisse nel suo famoso libro: "l'economia sovietica è la prova che, contrariamente a quanto molti scettici avevano creduto in precedenza, l'economia socialista può funzionare e persino prosperare". Due anni dopo, l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si è disintegrata. Non è mai stato pubblicato nessun mea culpa.
Nonostante le carenze filosofiche dell'empirismo, la società considera i dati come un feticcio. La ragione è semplice: i numeri e le statistiche non solo ci sollevano dal dover proporre argomentazioni coerenti, rendono più facile non pensare.
Questo è il problema con lo scientismo radicale e l'empirismo in generale: l'idea che la logica non sia necessaria per interpretare le informazioni e comprendere appieno il mondo circostante. Le statistiche e le cifre sono modellabili. Possono essere utilizzate per supportare il laissez faire, lo statalismo, l'interventismo, o qualsiasi altro "-ismo" che vi viene in mente.
I dati sono inutili senza una solida teoria per interpretarli. Altrimenti può anche trattarsi di un foglio con numeri a caso. Eppure i positivisti empirici sono pronti a respingere l'idea che le cose possono essere dimostrate senza prove osservabili. Come si chiese Murray Rothbard nel suo saggio “In Defense of Extreme Apriorism”:
Un approccio fatto solo di prove empiriche è destinato a morire sul manto della metodologia popolare. Qualunque cosa possono mostrare i dati, può essere facilmente spiegata con vuote pontificazioni ed ipotesi controfattuali. Gli aderenti allo scientismo vengono lasciati balbettanti nella loro logica incoerente. In sostanza, nessuna conferma fattuale convincerà i veri credenti nell'empirismo positivo. Parlano bene della verifica sensoriale, ma non hanno una scusa per il loro canone.
Non è paranoico affermare che i burocrati del governo distorcerebbero i numeri per assicurarsi che il loro cavaliere in armatura scintillante resti alla Casa Bianca. Nonostante quello che vorrebbero farci credere Nancy Pelosi, Paul Krugman e il consiglio editoriale del New York Times, i dipendenti pubblici non sono boy scout con distintivi di merito. Sono altrettanto egoisti e conniventi come i trader di Wall Street.
Questa è la lezione più importante da ricordare: i politici ed i loro scagnozzi pagati indebitamente mentono. Vi venderanno un macinino, non rispetteranno i patti, sguinzaglieranno le banche contro di voi e quindi richiederanno la vostra fedeltà eterna. Tutto quello che dicono deve essere preso con le pinze, compresi i rapporti mensili.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Indietro non si torna -- A fine anno i generali chiedono il dato dell’imposta evasa constatata e lo confrontano con quello dell’anno prima. Il risultato non può essere inferiore a quello di 12 mesi prima. Se il dato scende bisogna dar conto al reparto centrale di Roma del perché si siano recuperati meno soldi e il comandante del reparto periferico rischia di vedersi bloccare la carriera. Per questo le nostre verifiche proseguono anche di fronte a evidenti illogicità. I nostri ufficiali parlano solo di numeri e quando hanno sentore di un risultato, magari per una previsione affrettata di un ispettore, corrono dai loro superiori anticipando che da quella verifica potrà venir fuori un certo risultato: a quel punto non si può più tornare indietro. Il verbale diventa subito una statistica, una voce acquisita e ufficiale di reddito non dichiarato. Quando si prospetta un ventaglio di possibilità per risolvere una contestazione si concentrano le energie sempre su quella che porta il risultato più alto. Che sarebbe poco grave se fosse la strada giusta. Ma spesso non lo è. Per la Finanza quello che conta è il dio numero. Il nostro unico problema è come tirarlo fuori.»
~ Confessioni di un finanziere: "Incasso tangenti per lo Stato", Libero, 27 aprile 2014.
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di James E. Miller
L'aforisma di Mark Twain, "ci sono le bugie, le dannate bugie, e le statistiche", ha il privilegio di essere usato molto spesso e mai abbastanza. Tale detto viene sfoderato quando si ha a che fare con persone che sono troppo ottuse per capire cosa succede oltre il loro naso. Sono quelli che fingono scetticismo, ma accettano avidamente qualunque evidenza empirica a sostegno del loro dogma.
Questi criminali contro l'intelletto sono in larga parte statistici, vale a dire gli economisti. Passano le loro giornate in attesa di avventarsi sui loro detrattori, non appena entrano in possesso di qualche dato che giustifica il loro collettivismo. La disoccupazione si è spostata lentamente in su? C'è bisogno di maggiori stimoli statali! La disoccupazione scende leggermente? Grazie al cielo Washington sta spendendo così tanti soldi da dare un posto di lavoro alle persone!
Il punto è che ogni dato può essere preso ed infilato in un discorso in modo da soddisfare un particolare percorso politico. Le statistiche del governo spesso forniscono un pot-pourri di finzioni facilmente modellabili. E poiché i fatti e le cifre provengono direttamente dalla bocca dello stato, sono spesso considerati come vangelo. Chi la pensa diversamente – che i burocrati potrebbero avere i propri motivi per falsificare le informazioni – è considerato come uno sciocco che gira con la carta stagnola in testa.
L'eccezione si ha quando un qualche funzionario pubblico canaglia viene colto a falsificare le statistiche per scopi politici.
Il New York Post, un giornale non proprio noto per il suo orgoglio nel dare notizie accurate, ha riportato di recente la storia di come il Census Bureau sapesse della manipolazione del rapporto sull'occupazione avvenuta durante la corsa alle elezioni del 2012. Pochi mesi prima che l'America confermasse Obama allo Studio Ovale, il tasso di disoccupazione nazionale scese dall'8.1% al 7.8%. Non rappresentava una diminuzione significativa, ma i mezzobusti l'hanno fatta passare come tale. Il NyPo – che si basa su una "fonte affidabile" ma sconosciuta – sostiene che la cifra è stata intenzionalmente falsificata.
Inutile dire che affermazioni basate su un'origine anonima non sono le più credibili delle fonti. Anche l'uomo della strada si guarda bene dal credere a fonti anonime. Vuole delle prove a sostegno, e non solo il sentito dire.
Il report del NyPo potrebbe essere tutto fumo e niente arrosto, ma non è lontano dal regno delle possibilità. I lavoratori nel settore pubblico hanno tutto l'interesse a mantenere i loro posti di lavoro. Nel 2010 Julius Buckmon, dipendente del Census Department, è stato licenziato per aver falsificato alcuni risultati. Sostiene di averlo fatto perché arrivarono ordini dall'alto.
Inoltre, il metodo ufficiale che usa lo stato per misurare la disoccupazione è già abbastanza opaco. I lavoratori presso il Bureau of Labor Statistics chiamano le famiglie e si informano sulle condizioni di lavoro degli abitanti. Non attaccano gli intervistati ad una macchina della verità. Il tutto si basa sull'affidabilità dell'imbranato comune. E anche quando i dati vengono raccolti, i media utilizzano la misura meno rigorosa sulla disoccupazione, nota come U3, per i titoli dei loro articoli. Tale misura non tiene conto dei lavoratori scoraggiati, i quali sono gettati nello scaglione U6 insieme ai lavoratori part-time in cerca di un lavoro a tempo pieno. Così il biochimico che lava i piatti nel ristorante locale, mentre ogni mattina visiona gli annunci in cerca di una nuova posizione, viene lasciato fuori. Fin dall'inizio della depressione America cinque anni fa, il tasso di disoccupazione U6 non è riuscito a scendere sotto le due cifre. Ma evidenziando solo i numeri da "prima pagina", il presidente ed i suoi burocrati buttano una luce su un quadro altrimenti buio.
La manipolazione dei dati da parte del governo non è una novità. Per decenni Stalin trasse in inganno gli economisti occidentali con rapporti errati sulla crescita economica nel suo paradiso comunista. Nel 1989 Paul Samuelson, senza dubbio il più influente economista accademico della fine del XX secolo, scrisse nel suo famoso libro: "l'economia sovietica è la prova che, contrariamente a quanto molti scettici avevano creduto in precedenza, l'economia socialista può funzionare e persino prosperare". Due anni dopo, l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si è disintegrata. Non è mai stato pubblicato nessun mea culpa.
Nonostante le carenze filosofiche dell'empirismo, la società considera i dati come un feticcio. La ragione è semplice: i numeri e le statistiche non solo ci sollevano dal dover proporre argomentazioni coerenti, rendono più facile non pensare.
Questo è il problema con lo scientismo radicale e l'empirismo in generale: l'idea che la logica non sia necessaria per interpretare le informazioni e comprendere appieno il mondo circostante. Le statistiche e le cifre sono modellabili. Possono essere utilizzate per supportare il laissez faire, lo statalismo, l'interventismo, o qualsiasi altro "-ismo" che vi viene in mente.
I dati sono inutili senza una solida teoria per interpretarli. Altrimenti può anche trattarsi di un foglio con numeri a caso. Eppure i positivisti empirici sono pronti a respingere l'idea che le cose possono essere dimostrate senza prove osservabili. Come si chiese Murray Rothbard nel suo saggio “In Defense of Extreme Apriorism”:
Qual è stata finora la "prova" vantata degli empiristi, se non una proposizione oscura in bella vista?
Un approccio fatto solo di prove empiriche è destinato a morire sul manto della metodologia popolare. Qualunque cosa possono mostrare i dati, può essere facilmente spiegata con vuote pontificazioni ed ipotesi controfattuali. Gli aderenti allo scientismo vengono lasciati balbettanti nella loro logica incoerente. In sostanza, nessuna conferma fattuale convincerà i veri credenti nell'empirismo positivo. Parlano bene della verifica sensoriale, ma non hanno una scusa per il loro canone.
Non è paranoico affermare che i burocrati del governo distorcerebbero i numeri per assicurarsi che il loro cavaliere in armatura scintillante resti alla Casa Bianca. Nonostante quello che vorrebbero farci credere Nancy Pelosi, Paul Krugman e il consiglio editoriale del New York Times, i dipendenti pubblici non sono boy scout con distintivi di merito. Sono altrettanto egoisti e conniventi come i trader di Wall Street.
Questa è la lezione più importante da ricordare: i politici ed i loro scagnozzi pagati indebitamente mentono. Vi venderanno un macinino, non rispetteranno i patti, sguinzaglieranno le banche contro di voi e quindi richiederanno la vostra fedeltà eterna. Tutto quello che dicono deve essere preso con le pinze, compresi i rapporti mensili.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
giovedì 5 giugno 2014
Una barriera mentale per la libertà?
di James E. Miller
E' possibile convincere gli altri dei benefici della libertà? Può l'uomo-massa convincersi che lo stato impedisce la sua prosperità?
Ho i miei dubbi. Lo stato promette una fuga dalle fatiche della vita. Fornisce anche un mezzo affinché le persone si sentano parte di qualcosa di superiore rispetto a loro. E, naturalmente, c'è sempre l'incentivo monetario a sostenere un welfare state generoso.
Oltre a ciò, perché sembra così difficile convincere i nostri amici, vicini, colleghi e collaboratori della moralità insita nei diritti di proprietà? Walter Block sospetta che siamo biologicamente predisposti ad essere contrari alla libertà. Data la mia convinzione del diritto naturale di essere sub specie aeternitatis, non sono d'accordo col suo punto di vista. L'uomo è stato fatto per essere libero. Non tutti riescono a capirlo. I politici con un minuscolo QI lo dimostrano. Ma la verità è lì, affinché possiamo coglierla e seguirla.
Esiste quindi una spiegazione migliore sul perché il divario tra governanti e governati non mostra segni di diminuzione? In un recente post sul blog del New York Times, Ross Douthat esplora la dicotomia tra la visione laicista e creazionista. A parere di Douthat, la mente moderna, che è stata invasa da un eccesso di scientismo mescolato ad incredulità, non è costruita per gestire i miracoli. Cita l'esperienza del regista olandese Paul Verhoeven, che, dopo aver avuto un'esperienza mistica in una chiesa pentecostale, ha negato la percezione corporea di quello che aveva sentito. Verhoeven dice di "aver sentito fisicamente [...] la discesa dello Spirito Santo" e il suo cuore andare "a fuoco." Invece di abbracciare l'esperienza, l'ha evitata. Come direbbe Groucho Marx, ha optato per la sua nozione preconcetta di verità invece di credere ai suoi "occhi."
Prendendo spunto dal lavoro del filosofo britannico Charles Taylor, Douthat sostiene che l'esperienza di Verhoeven è stata respinta dalla sua stessa mentalità. Questa barriera auto-imposta agisce come una rete per catturare tutto ciò che potrebbe contraddire la propria visione del mondo. Anche se Verhoeven avesse subito un vero e proprio miracolo, non ci avrebbe creduto lo stesso. Non sarebbe stato disposto a viaggiare così in profondità lungo il percorso della considerazione. Nella sua mente, la laicità è troppo radicata. Tutta la sua percezione era governata da una forza troppo potente per essere superata. La fragilità di questo muro dipende da Verhoeven; e da tutti gli individui.
Nel suo libro A Secular Age, il sopra citato Taylor scrisse:
Affrontiamo grandi difficoltà quando le nostre menti si trovano a dover fronteggiare eventi simili, e ci sforziamo rapidamente di raggiungere spiegazioni intra-psichice, in termini di illusioni, proiezioni e simili. Ma una cosa che sembra chiara, è che l'io coinvolto nell'esperienza è sostanzialmente diverso in questi mondi e nel nostro.
L'antipatia, o anche la riluttanza, ad accettare ciò che è reale ha caratterizzato molte delle tragedie della storia. I dittatori che uccidono milioni di persone senza alcun pensiero; il burocrate statale che calpesta un imprenditore senza pensare al valore perduto; gli amoralisti che parlano eloquentemente di fare la cosa giusta; il soldato che sfonda la porta di una casa e rende orfani i bambini, mentre ripete a sé stesso che è tutto per la libertà – questi tipi di individui intraprendono una guerra nella loro testa contro la coscienza. L'erroneità delle loro azioni è evidente. Invece di farvi fronte, le razionalizzano con un senso perverso di giustizia ed erroneità.
I tipi di sinistra, in genere, hanno uno di questi due problemi: o perseguono sordidamente l'autorità o credono infantilmente nella bontà dei loro sforzi.
Per gli ingenui c'è ancora speranza di ravvedersi. Presumibilmente hanno solo le migliori intenzioni. Per loro lo stato è uno strumento per la prosperità, invece che un corpo contundente di oppressione. Da qui la loro approvazione per le iniziative statali. Ma se si dimostra loro che la regolamentazione statale ostacola la creazione di ricchezza reale, forse il fronte della libertà si ritroverebbe alcune nuove reclute.
Coloro che usano lo stato solo per il loro tornaconto, sono una causa persa. Sanno bene che quello che stanno facendo è sbagliato. Li preoccupa poco. Lo stato si muove sempre verso più potenza e più controllo. Coloro al comando raramente vogliono diminuire i loro poteri. Ogni incentivo dice loro "fai di più." Ogni volta che la moralità cerca di farsi strada nella loro coscienza, deve essere oscurata.
Rod Dreher scrive che se la mentalità secolare continua ad agire come baluardo contro ogni tipo di prova divina, presto potrebbe essere impossibile far rivivere una comprensione religiosa di massa. Come egli osserva: "Dopo aver perso la capacità di percepire la realtà spirituale, in circostanze normali non sarà più possibile riconquistarla [...]."
Quanto alla libertà le circostanze possono essere altrettanto terribili, almeno nei paesi occidentali, dove l'influenza dei liberali classici come John Locke e Thomas Jefferson è più forte. Oltre un secolo di indottrinamento progressivo ha trasformato le scuole da luoghi di apprendimento in fabbriche di robot. Lo stato fornisce più servizi rispetto al passato. Qualora uno qualsiasi di questi dovesse deficitare del controllo statale, molti non riuscirebbero ad immaginare come il settore privato potrebbe gestirli.
Se la libertà ha la possibilità di influenzare qualcuno, è quella persona che fa del suo meglio per evitare la politica. Le loro menti potrebbero non essere così sensibili alla propaganda filo-statale. Quel muro mentale può non essere così forte; potrebbe essere facile da sgretolare.
Il grande compito dei libertari, o dei fautori dell'economia sonante, non è necessariamente diffondere le idee. Questo è un passo necessario, naturalmente. Le teste dure sono il vero ostacolo da superare. Si può predicare il messaggio della legge, della proprietà e dei diritti per tutto il giorno e la notte; se qualcuno non è in grado di cogliere la sistematicità con cui le cose si incastrano per formare un insieme logico, allora stareste parlando al vento. Infrangere un pregiudizio epistemologico non è facile. Tuttavia, deve essere fatto. Se non ha successo, e l'intervento dello stato progressista rimane la norma, allora la libertà potrebbe benissimo estinguersi.
Questo è un pensiero terribile. Ma i pensieri terribili sono l'acqua fredda sulla calda compiacenza.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
mercoledì 19 marzo 2014
L'individualismo è la carta vincente
Parlando di individualismo, oggi, non si può non menzionare anche un altro concetto caro ai libertari: la proprietà di sé stessi. E' da questo principio apodittico che si generano a cascata gli altri diritti di proprietà, assioma enunciato dapprima da Locke nel Secondo Trattato sul Governo Civile: "Ogni persona è proprietaria di sé stessa." Da qui elaborò il concetto di homesteading, attraverso il quale gli individui acquisivano il diritto di possedere oggetti fisici. Il libero arbitrio ricopre un ruolo fondamentale nella filosofia libertaria ed è un punto fermo da cui ripartire per arrivare ad un'epistemologia chiara del mondo. Siamo, quindi, davvero proprietari di noi stessi? E' davvero auto-evidente tale concetto? Nonostante al giorno d'oggi possa essere "difficile" crederlo (dati i tempi che corrono), l'assioma enunciato da Locke è tuttora valido. Non c'è bisogno di presentare una "difesa" della schiavitù volontaria per dimostrare la veridicità della proprietà di sé stessi, basta invece rivolgersi a tre esempi della nostra esistenza che ci ricordano come la persona sia la fonte ultima delle sue volontà: la donazione degli organi, il suicidio ed il matrimonio (ebbene sì, proprio il matrimonio). Scevri da giudizi etici e morali, questi esempi rappresentano la concezione umana e la relativa comprensione del possesso di sé. Si è poi liberi di credere alle illusioni, ma questo è un altro discorso.
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di James E. Miller
In un recente pezzo su Dish intitolato “Can American Conservativism Be Saved?” Andrew Sullivan tenta di promulgare la sua visione politica per sopravvivere al collettivismo narcisistico. Riflettendo su un saggio scritto da Wilfred McClay, l'ex-direttore di New Republic descrive la geografia dell'America come una forza che all'inizio del secolo scorso ha contribuito, in parte, a "liberare gli spiriti animali del capitalismo." La "grandezza" delle montagne californiane, le ampie pianure del Midwest e la frontiera selvaggia furono gli elementi motore dell'individualismo nella Gilded Age.
La possibilità infinita dell'uomo di domare e conquistare la natura ha, secondo Sullivan, danneggiato l'idea di comunità in America. Come discepolo del filosofo conservatore Michael Oakeshott, si offende di fronte al profondo "individualismo" che considera come "una forma di disprezzo per la tradizione e la società." Ciò non solo indebolisce la società, ma Sullivan sostiene che interferisca anche con la possibilità di concepire un confine necessario tra il mondo materiale e l'esistenza consapevole di vivere in un determinato contesto storico.
La critica di Sullivan è identica a quella di altri scrittori conservatori della sfera classica. Quei pensatori influenzati dal grande Russell Kirk tendono a respingere qualsiasi teoria politica che considerano troppo rigida. L'ideologia, nelle parole di Kirk, "è una formula politica che promette all'umanità un paradiso terrestre; ma in realtà ha creato una serie di inferni terrestri." Accettare che non esista "alcuna deviazione dalla Verità Assoluta" è ciò che rende qualcuno un ideologo, e quindi incapace di scoprire una vera e propria soluzione ai mali della società.
D'altra parte, il conservatore si immagina come un pragmatico – una sorta di pensatore scientifico che considera tutte le opzioni prima di fare una scelta. Molte volte questo si riduce ad un giudizio puramente utilitaristico e privo di una vera considerazione sulla moralità. Esiste una sorta di avversione ad un cambiamento drastico; ma a volte ci si perde perché si vuole rimanere "rispettabili" in certi ambienti sociali. Dio ce ne scampi dal voler apparire come emarginati agli occhi di coloro con cui si è già in disaccordo.
Mentre il conservatorismo viene dipinto come una prospettiva del tutto ragionevole, l'individualismo è gettato in questo mare di dogmi dove rimane a nuotare accanto ai più illogici aneliti collettivisti. La caricatura dell'uomo burbero e rude viene spesso usata come fallacia dell'uomo di paglia per opinare sui limiti della libertà. Lavorare in un ambiente privo di interazioni sociali: la classica immagine che viene erroneamente affibiata ai sostenitori dell'individualismo che considerano l'individuo il punto chiave per comprendere il comportamento umano.
Sullivan è colpevole, e non comprende pienamente la verità inconfutabile che invece vuole a tutti i costi confutare. Afferma che coloro che vedono l'individuo come il punto focale di tutte le azioni e le finalità, posseggono in qualche modo un rancore contro la società, la tradizione, la cultura, la religione e la decenza comune. "Egoista," questa parola abusata, banale e fragile, è l'aggettivo preferito da progressisti e conservatori che vogliono denigrare i propri avversari mentre fanno appello ad un bene superiore. Sembra davvero romantico quando si dipinge se stessi come un martire disinteressato del bene più grande. Ma l'umiltà non ha bisogno di esasperazioni. Non più dell'uomo che si vanta del proprio inutile sacrificio.
L'individualismo non è un credo basato sul desiderio di essere lasciati in pace e vivere la vita in conformità con qualunque principio si voglia adottare. Non è solipsismo, né è rappresentato dalla descrizione emotiva di Sullivan: "un semplice filisteo." Non è il conquistatore eroico delle montagne. E non è l'avido capitalista crudele che fa lavorare i bambini fino allo sfinimento per profitti sempre più marginali.
L'individualismo non è una scusa per cogliere il frutto proibito – è al cuore di ciò che C.S. Lewis definì "l'Assoluto." E' in sintonia con il tessuto logico e morale dell'universo per un solo motivo: solo gli individui possono svolgere un'azione. I governi, gli stati, i gruppi, le associazioni, i sindacati, i villaggi, le città, i paesi e la società in generale, sono costituiti nient'altro che da singoli individui.
Quando si dice che una città "agisce" per abolire una pratica sgradevole, il vero significato è che una piccola minoranza di individui interviene per imporre un decreto. La frase "noi come società" ha lo stesso significato: alcuni hanno deciso per il resto degli altri. Spesso i diritti e le libertà dei dissidenti sono trattati come un ostacolo scomodo da eliminare in modo da forzare l'accettazione. Gli appelli alla risposta collettiva sono solo motivi nebulosi che difettano di una vera denotazione. Questo è il motivo per cui coloro con cervelli piccoli e bocche grandi si trovano spesso a richiedere l'azione del settore pubblico.
Proprio come la legge di Say sostiene che il consumo non può avvenire senza una produzione precedente, così la legge naturale dice che solo gli individui possono agire. L'individualismo non impedisce quello che Ta-Nehisi Coates definisce "The Blast" – "la comprensione che siete più di quello che qualcun altro vuole da voi, che siete più di quello che la socioeconomia vuole da voi" – ma è l'unica scappatoia epistemologica affinché avvenga. Qui è dove Sullivan inciampa ed è costretto ad adottare la visione di sinistra con cui non è d'accordo, o almeno non sulla carta.
Il giudizio prudenziale è senza dubbio buono, e non vi è alcun motivo per cui l'individualista non possa farlo suo. Le convinzioni personali possono variare, dall'edonismo al monatismo, ma rimane la razionalità intrinseca dell'individualismo. E' senza tempo e può benissimo risiedere nel Logos. Citando McClay, Sullivan sostiene che il razionalismo – che in genere è la giustificazione per l'individualismo – tende a "precludere" la nostra capacità di emanciparci "dall'intenzionalità" e dal "bisogno durevole di trascendenza." Questa affermazione si schianta davanti al muro impenetrabile della logica, poiché solo l'individuo può concepire il mondo spirituale e il fine del suo Creatore. Questo soggettivismo è inerente alla scelta umana, e non smentisce il "bene" oggettivo. Semmai si completano a vicenda nella spaccatura senza fine tra la scelta del male o del bene.
L'individualismo non è una filosofia per una discussione pragmatica, perché gli avversari devono necessariamente agire in conformità con ciò che negano. È simile all'analogia di Lewis: tentare di versare il vino nella "cavità alla base della stessa bottiglia." È un credo che rimane vero indipendentemente dall'argomento affrontato. Non ci può essere nessun altro modo, a meno che colui che lo nega non perda ogni comprensione cosciente.
Così, mentre i conservatori, i socialdemocratici, gli statalisti, i fascisti ed i socialisti si dilettano a scolpire la società perfetta, credono erroneamente che la popolazione si piegherà volontariamente alla loro volontà. Così come è impossibile che uno intuisca i desideri dei molti, non è possibile agire a nome di coloro che non hanno dato il loro assenso. Limiti e umiltà hanno un ruolo preciso nella società civile. La venerazione conservatrice della tradizione è anche un bene di per sé, ma non si avvicina necessariamente al livello logico che guarda al mondo come ad un posto abitato da esseri con libero arbitrio.
Se Sullivan avesse ragione, starebbe con gli individualisti e si opporrebbe ad ogni centralizzazione statalista. Più lo stato cresce, più la società civile si affievolisce. La sussidiarietà è priva di senso con un governo federale sempre più invadente. Non opporsi ai diktat incessanti che escono da Washington, significa sottomettersi all'idolatria ed alla forza materiale. In breve, Andrew Sullivan è confuso e non è una sorpresa considerando la sua incapacità nel seguire la logica della sua proposizione.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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di James E. Miller
In un recente pezzo su Dish intitolato “Can American Conservativism Be Saved?” Andrew Sullivan tenta di promulgare la sua visione politica per sopravvivere al collettivismo narcisistico. Riflettendo su un saggio scritto da Wilfred McClay, l'ex-direttore di New Republic descrive la geografia dell'America come una forza che all'inizio del secolo scorso ha contribuito, in parte, a "liberare gli spiriti animali del capitalismo." La "grandezza" delle montagne californiane, le ampie pianure del Midwest e la frontiera selvaggia furono gli elementi motore dell'individualismo nella Gilded Age.
La possibilità infinita dell'uomo di domare e conquistare la natura ha, secondo Sullivan, danneggiato l'idea di comunità in America. Come discepolo del filosofo conservatore Michael Oakeshott, si offende di fronte al profondo "individualismo" che considera come "una forma di disprezzo per la tradizione e la società." Ciò non solo indebolisce la società, ma Sullivan sostiene che interferisca anche con la possibilità di concepire un confine necessario tra il mondo materiale e l'esistenza consapevole di vivere in un determinato contesto storico.
La critica di Sullivan è identica a quella di altri scrittori conservatori della sfera classica. Quei pensatori influenzati dal grande Russell Kirk tendono a respingere qualsiasi teoria politica che considerano troppo rigida. L'ideologia, nelle parole di Kirk, "è una formula politica che promette all'umanità un paradiso terrestre; ma in realtà ha creato una serie di inferni terrestri." Accettare che non esista "alcuna deviazione dalla Verità Assoluta" è ciò che rende qualcuno un ideologo, e quindi incapace di scoprire una vera e propria soluzione ai mali della società.
D'altra parte, il conservatore si immagina come un pragmatico – una sorta di pensatore scientifico che considera tutte le opzioni prima di fare una scelta. Molte volte questo si riduce ad un giudizio puramente utilitaristico e privo di una vera considerazione sulla moralità. Esiste una sorta di avversione ad un cambiamento drastico; ma a volte ci si perde perché si vuole rimanere "rispettabili" in certi ambienti sociali. Dio ce ne scampi dal voler apparire come emarginati agli occhi di coloro con cui si è già in disaccordo.
Mentre il conservatorismo viene dipinto come una prospettiva del tutto ragionevole, l'individualismo è gettato in questo mare di dogmi dove rimane a nuotare accanto ai più illogici aneliti collettivisti. La caricatura dell'uomo burbero e rude viene spesso usata come fallacia dell'uomo di paglia per opinare sui limiti della libertà. Lavorare in un ambiente privo di interazioni sociali: la classica immagine che viene erroneamente affibiata ai sostenitori dell'individualismo che considerano l'individuo il punto chiave per comprendere il comportamento umano.
Sullivan è colpevole, e non comprende pienamente la verità inconfutabile che invece vuole a tutti i costi confutare. Afferma che coloro che vedono l'individuo come il punto focale di tutte le azioni e le finalità, posseggono in qualche modo un rancore contro la società, la tradizione, la cultura, la religione e la decenza comune. "Egoista," questa parola abusata, banale e fragile, è l'aggettivo preferito da progressisti e conservatori che vogliono denigrare i propri avversari mentre fanno appello ad un bene superiore. Sembra davvero romantico quando si dipinge se stessi come un martire disinteressato del bene più grande. Ma l'umiltà non ha bisogno di esasperazioni. Non più dell'uomo che si vanta del proprio inutile sacrificio.
L'individualismo non è un credo basato sul desiderio di essere lasciati in pace e vivere la vita in conformità con qualunque principio si voglia adottare. Non è solipsismo, né è rappresentato dalla descrizione emotiva di Sullivan: "un semplice filisteo." Non è il conquistatore eroico delle montagne. E non è l'avido capitalista crudele che fa lavorare i bambini fino allo sfinimento per profitti sempre più marginali.
L'individualismo non è una scusa per cogliere il frutto proibito – è al cuore di ciò che C.S. Lewis definì "l'Assoluto." E' in sintonia con il tessuto logico e morale dell'universo per un solo motivo: solo gli individui possono svolgere un'azione. I governi, gli stati, i gruppi, le associazioni, i sindacati, i villaggi, le città, i paesi e la società in generale, sono costituiti nient'altro che da singoli individui.
Quando si dice che una città "agisce" per abolire una pratica sgradevole, il vero significato è che una piccola minoranza di individui interviene per imporre un decreto. La frase "noi come società" ha lo stesso significato: alcuni hanno deciso per il resto degli altri. Spesso i diritti e le libertà dei dissidenti sono trattati come un ostacolo scomodo da eliminare in modo da forzare l'accettazione. Gli appelli alla risposta collettiva sono solo motivi nebulosi che difettano di una vera denotazione. Questo è il motivo per cui coloro con cervelli piccoli e bocche grandi si trovano spesso a richiedere l'azione del settore pubblico.
Proprio come la legge di Say sostiene che il consumo non può avvenire senza una produzione precedente, così la legge naturale dice che solo gli individui possono agire. L'individualismo non impedisce quello che Ta-Nehisi Coates definisce "The Blast" – "la comprensione che siete più di quello che qualcun altro vuole da voi, che siete più di quello che la socioeconomia vuole da voi" – ma è l'unica scappatoia epistemologica affinché avvenga. Qui è dove Sullivan inciampa ed è costretto ad adottare la visione di sinistra con cui non è d'accordo, o almeno non sulla carta.
Il giudizio prudenziale è senza dubbio buono, e non vi è alcun motivo per cui l'individualista non possa farlo suo. Le convinzioni personali possono variare, dall'edonismo al monatismo, ma rimane la razionalità intrinseca dell'individualismo. E' senza tempo e può benissimo risiedere nel Logos. Citando McClay, Sullivan sostiene che il razionalismo – che in genere è la giustificazione per l'individualismo – tende a "precludere" la nostra capacità di emanciparci "dall'intenzionalità" e dal "bisogno durevole di trascendenza." Questa affermazione si schianta davanti al muro impenetrabile della logica, poiché solo l'individuo può concepire il mondo spirituale e il fine del suo Creatore. Questo soggettivismo è inerente alla scelta umana, e non smentisce il "bene" oggettivo. Semmai si completano a vicenda nella spaccatura senza fine tra la scelta del male o del bene.
L'individualismo non è una filosofia per una discussione pragmatica, perché gli avversari devono necessariamente agire in conformità con ciò che negano. È simile all'analogia di Lewis: tentare di versare il vino nella "cavità alla base della stessa bottiglia." È un credo che rimane vero indipendentemente dall'argomento affrontato. Non ci può essere nessun altro modo, a meno che colui che lo nega non perda ogni comprensione cosciente.
Così, mentre i conservatori, i socialdemocratici, gli statalisti, i fascisti ed i socialisti si dilettano a scolpire la società perfetta, credono erroneamente che la popolazione si piegherà volontariamente alla loro volontà. Così come è impossibile che uno intuisca i desideri dei molti, non è possibile agire a nome di coloro che non hanno dato il loro assenso. Limiti e umiltà hanno un ruolo preciso nella società civile. La venerazione conservatrice della tradizione è anche un bene di per sé, ma non si avvicina necessariamente al livello logico che guarda al mondo come ad un posto abitato da esseri con libero arbitrio.
Se Sullivan avesse ragione, starebbe con gli individualisti e si opporrebbe ad ogni centralizzazione statalista. Più lo stato cresce, più la società civile si affievolisce. La sussidiarietà è priva di senso con un governo federale sempre più invadente. Non opporsi ai diktat incessanti che escono da Washington, significa sottomettersi all'idolatria ed alla forza materiale. In breve, Andrew Sullivan è confuso e non è una sorpresa considerando la sua incapacità nel seguire la logica della sua proposizione.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
martedì 4 marzo 2014
Valore soggettivo e solipsismo
di James E. Miller
Il valore è soggettivo. Questo è uno dei punti cardine dell'economia moderna. Quella che è nota come "rivoluzione marginale" del tardo XIX secolo, fu responsabile del passaggio dalla riflessione intellettuale al dogma ortodosso. Tre economisti – Leon Walras, Stanley Jevons e Carl Menger – arrivarono in modo autonomo a quella svolta conosciuta ufficialmente come la teoria dell'utilità marginale. In Principi di Economia Menger scrisse:
[Il valore] non è quindi qualcosa di intrinseco alle merci, non è una loro proprietà, ma semplicemente l'importanza che noi attribuiamo alla soddisfazione dei nostri bisogni, cioè, in relazione alla nostra vita ed al nostro benessere.
Mentre questi tre pensatori svilupparono un metodo sistematizzato di comprensione del valore individuale, rappresentava un'estensione del pensiero dello statista francese Anne Robert Jacques Turgot. Prima dell'affermazione di Turgot, economisti come Adam Smith e David Ricardo lottarono col concetto di utilità in relazione alle preferenze. Il paradosso del diamante e dell'acqua (i diamanti hanno un prezzo superiore a quello dell'acqua) venne elaborato attraverso la disparità del costo del lavoro. La preminenza della soggettività nella mente dell'acquirente risolse il dilemma, ponendo le basi per un quadro più metodologico nell'analisi delle economie di mercato.
Ludwig von Mises avrebbe preso le idee di Menger e ne avrebbe tratto una teoria dell'attività economica come sottoinsieme della più ampia scienza dell'azione umana, la prasseologia. Implicando che tutti gli uomini agiscono per raggiungere determinati fini, e che tali scopi sono necessariamente soggettivi, Mises era in prima linea per istituire un quadro che rappresentasse adeguatamente il motivo per cui esistevano i mercati così come sono. Questa nuova linea di pensiero basata sull'interazione umana propositiva, ignorava i giudizi normativi sulla funzionalità delle risorse.
Mises, in linea con gli insegnamenti del pensatore sociale Max Weber, pensò che tutta la scienza dovesse essere priva di valore. Come scrisse in Teoria e Storia, affermazioni "vere e false" non devono "essere confuse con i giudizi di valore." Questa era un'affermazione strana di per sé, poiché in realtà era riferita alla scienza. E' simile alla dottrina dello scientismo che postula solo l'uso del metodo empirico per determinare la verità, anche se il suo credo poggia sulla deduzione logica per provarla.
L'economia nella tradizione Austriaca postula che le deduzioni siano prive di giudizi di valore. La scienza deve essere descrittiva, piuttosto che prescrittiva. Nella sua invocazione per un libero mercato ed uno stato minimo, Mises era un seguace dell'utilitarismo – la politica migliore è quella che genera più ricchezza per la società. Respingeva fermamente ogni disputa sul diritto naturale, sostenendo che "è inutile sottolineare che la natura è l'arbitro ultimo di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato."
In una parola, si sbagliava. O perlomeno non sono d'accordo, insieme a tutta una serie di pensatori (in particolare Murray Rothbard) che considerano l'economia come priva di normative, però conferiscono oggettività all'etica. Ma se il valore è soggettivo, non significa anche che "buono" e "cattivo" sono sottoposti agli stessi capricci personali? Direi di no.
La realtà e l'umanità esistono, e certe leggi possono essere dedotte usando il ragionamento umano. Tutto ha una certa natura che definisce la propria esistenza. Come capì Aristotele: "[Le cose] hanno una natura che possiede un principio di questo tipo. Ognuna di esse è una sostanza; poiché è un soggetto, e la natura è sempre un soggetto." La natura è rilevabile in cose diverse, di cui alcuni aspetti sono evidenti. Poiché l'uomo è dotato della capacità di comprendere concetti come la proprietà di sé stesso e la capacità di concepire il possesso, ha diritto al suo corpo ed a quegli oggetti di cui può appropriarsi. Questo viene dedotto razionalmente attraverso un'indagine specifica sulla natura dell'umanità.
L'uomo ha anche la capacità cognitiva di distinguere tra ciò che è bene e male – non solo dal punto di vista materiale, ma anche morale. Ad esempio, il furto, che deve presupporre la proprietà dei beni affinché possa verificarsi, è una palese violazione del possesso altrui. Allo stesso modo, l'aggressione è un affronto all'Essere di un altro. Dal punto di vista logico ci si deve chiedere perché una persona, nel pieno delle sue capacità umane, è del tutto giustificata ad aggredirne fisicamente un'altra. Intuitivamente, potrebbe sembrare che un tale atto sia sbagliato. Eppure se la forza di reagire non fosse superiore e produttiva, l'umanità starebbe ancora sguazzando nelle caverne, vivendo di stenti. La razionalità non si limita a sancire che la "coercizione non difensiva" è sbagliata, ma che vìola il confine che separa l'umanità dal regno animale.
Immanuel Kant, in Groundwork of the Metaphysics of Morals, con un ragionamento deduttivo a priori concluse che gli uomini hanno libero arbitrio e devono agire in conformità con l'imperativo categorico: ogni azione, se resa legge, deve essere universale in natura. Usa l'esempio della bugia per dimostrare che se tolta dal suo contesto renderebbe inutile ogni verità ed impossibile ogni interazione sociale. Se gli uomini e le donne non possono essere onesti l'uno con l'altro, per le comunità diventa difficile prosperare. Questo non vuol dire che dovrebbe essere messa fuori legge la disonestà. Piuttosto, è la cosa sbagliata da fare quando la vostra umanità riconosce la spaccatura tra onestà ed inganno.
L'ordine sistematico del mondo può essere visto facilmente all'interno delle scienze fisiche, come la biologia. Scoprire i meccanismi naturali dell'umanità richiede un grande sforzo, tra cui un'attenta introspezione. Da questo esame di coscienza, può essere determinata una legge universale che si applica all'uomo in ogni momento. La teoria del diritto naturale fu meglio definita dal teologo cattolico George Weigel: "Esiste una logica morale integrata nel mondo e in noi: una logica che gli uomini e le donne ragionevoli possono cogliere mediante la riflessione disciplinata sulle dinamiche dell'azione umana."
Il fondamento dell'ordine deriva fortemente da un fatto evidente: gli individui agiscono con il libero arbitrio. Senza questa libertà di scelta, i diritti dell'uomo non riuscirebbero a stare in piedi. Dal punto di vista logico, quindi, comportarsi scorrettamente deve comportare un'alternativa meno malvagia.
Nel senso più spirituale, Dio scacciò l'uomo dal giardino dell'Eden a causa della scelta di Adamo. Il libero arbitrio concesso all'uomo è stato dato come un dono di Dio, ed è quello che permette all'umanità di agire autonomamente. Come scrive il filosofo Frank Van Dun: "L'espulsione non era tanto una punizione per la disobbedienza, piuttosto un prezzo necessario e giusto del raggiungimento della maggiore età e l'acquisizione del potere della discriminazione morale." Mangiare il frutto proibito dall'Albero della Conoscenza del Bene e del Male significava in definitiva una dimostrazione della scelta di tutti gli individui – o seguire la legge divina o rischiare la dannazione eterna.
Mentre è vero che il valore individuale è soggettivo, alla fine gli aderenti del diritto naturale non vedono "il bene" che fa affidamento sullo stesso tipo di predicazione. Il bene e il male esistono indipendentemente dalle scelte delle persone. Possono essere seguiti o ignorati. Per alcuni, raggiungere la virtù è preferibile alla sagacia. Per altri, il comportamento senza scrupoli è una via di gran lunga migliore. La stragrande maggioranza del genere umano, direi, si comporta generalmente bene per mantenere una certa stabilità nella propria vita, ma non riesce a mantenere la rotta in ogni momento. E, naturalmente, l'accettazione dello stato – il monopolio violento sostenuto dalla coercizione sociale – come istituzione legittima corrompe tutte le nozioni di proprietà.
Anche se i seguaci della Scuola Austriaca sono pronti a notare il miglioramento degli standard di vita in condizioni di capitalismo di libero mercato, questo non riflette un materialismo dilagante. C'è di più che essere i primi ad acquistare il più recente dei televisori ad alta definizione. Mentre cibo, riparo e salute rappresentano una necessità per vivere una vita piena, la sete di ricchezza rischia di finire nel solipsismo – che può essere più pericoloso alla prosperità di lungo termine rispetto alla minaccia della carestia.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
lunedì 24 febbraio 2014
Undici domande agli statalisti
di James E. Miller
Ultimamente il libertarismo viene sempre trattato a pesci in faccia nei media mainstream. Il leader degli aggressori sembra essere Michael Lind di Salon il quale non riesce a trattenersi dall'attaccare Ayn Rand, nonostante la storica animosità dell'autrice nei confronti dei libertari. Oltre agli sproloqui verbali, i nemici della libertà umana fraintendono costantemente ciò che professano di detestare. E' tutto nella norma considerando lo stato decrepito del moderno dibattito intellettuale. Ma l'incoerenza logica ha un modo tutto suo di scavare nella mente, irritando i mezzi stessi con cui formuliamo pensieri e idee. A volte è rischiesta solo una risposta tagliente.
Una delle recenti incursioni al libertarismo è arrivata dal sito AlterNet.org. Lo scrittore RJ Eskow è convinto di aver trovato il punto debole degli aderenti alla pace e alla libertà. In una diatriba composta da undici domande, il tizio tenta di stabilire un criterio per vagliare i sedicenti libertari. La rete di ipocrisie in cui vuole intrappolare i suoi avversari è pensata come un proiettile d'argento per abbattere la bestia del capitalismo sfrenato. Come accade quasi sempre, la trappola è logora e disseminata di caratterizzazioni disoneste.
Così, invece di confutare le dichiarazioni puerili (tale lavoro è già stato svolto egregiamente da Stefan Molyneaux) mi unirò al dibattito da un'angolazione diversa. Nello spirito della vecchia citazione di Casey Stengel, chiedo: "A questo gioco può giocare chiunque?" Se il lettore è abbastanza gentile, mi permetterà di criticare questo quiz. Proporrò undici domande agli statalisti per determinare se sono davvero ipocriti nella loro fede in una società democraticamente libera.
Primo: se le aziende sono così innamorate delle politiche libertarie, perché per oltre un secolo le grandi aziende sono state uno strumento della normativa economica? Nonostante tutti i loro piagnistei nei media, c'è quasi sempre la mano dei dirigenti delle grandi aziende nella stesura dei diktat normativi. I lobbisti non sono preoccupati di salvaguardare i capitali nazionali dalla concorrenza spietata – vogliono una via più facile per il profitto. Quando la depressione colpì l'America ed il duo Herbert Hoover e Franklin Roosevelt iniziò a reprimere la società, le aziende erano fin troppo ansiose di ingraziarsi Washington. Come scrisse il giornalista John T. Flynn nel 1934 riguardo la corrotta National Recovery Administration:
[...] Il piano NRA ha rappresentato quasi interamente l'influenza e l'ideale dei Grandi Uomini d'Affari. La Concentrazione di Cervelli nella sua paternità era microscopica; la quota della Camera di Commercio e di altri interessi commerciali era predominante.
L'insidioso detto "una mano lava l'altra" applicato ad imprese e stato è un tabù nei sermoni progressisti. Nonostante la loro visibile connivenza, l'inganno che circonda tale situazione è simile ad un incidente traumatico avvenuto durante l'infanzia; represso e ignorato. La falsa lotta tra Davide (es. il governo) e Golia (es. le grandi corporazioni) continua ad apparire nei libri di testo e nei giornali a danno della pubblica opinione.
Secondo: se Wall Street è piena di poveri cristi che desiderano solamente scrollarsi di dosso gli artigli del governo, perché Goldman Sachs – il campione dell'affarismo spietato – ha sostenuto così fermamente Barack Obama nelle elezioni del 2008? L'eroe della classe operaia alla Casa Bianca non è immune all'influenza corporativa, nonostante le promesse elettorali contrarie alla corruzione. In sostanza, non è diverso da qualsiasi altro candidato alla carica pubblica. E così l'acqua sotto i ponti continua a scorrere, almeno fino a quando i food stamp continuano ad essere distribuiti e la patina di sostenibilità dell'energia "pulita" sta in piedi.
Terzo: se la democrazia è la liberazione dalla sofferenza terrena, che cosa succede se la maggioranza degli elettori vota per terminare la vostra vita? Eskow parla amorevolmente della regola della maggioranza; sarebbe meraviglioso se affidasse sé stesso ad un voto informale da parte del volgo. Un difensore coerente della sacralità della massa metterebbe sicuramente la sua vita e la sua proprietà nelle mani del urne. Dopo tutto, stiamo parlando di persone di sinistra.
Domanda successiva: se le masse sono così in sintonia con le sfide eterne dell'umanità, perché devono eleggere dei governanti? Il punto di vista hobbesiano sulla natura giustifica lo stato, altrimenti gli uomini si ucciderebbero a vicenda fino all'estinzione. La soluzione alla sindrome "individuo fallibile" è quello di dotare gli stessi esseri imperfetti di un potere monopolistico nella speranza di salvare la società dalle tempeste della propria fragilità. Naturalmente non emerge alcuna dissonanza cognitiva da una tale affermazione fasulla.
Per quanto riguarda i banchieri malvagi: se il sistema bancario è un caos incontrollato di esuberanza animale, perché ogni istituzione di deposito e prestito è sotto la tutela della Federal Reserve? Di certo la tirannia capitalista che distrusse l'economia mondiale doveva essere un Wild West di indulgenza sfrenata. Ma il predominio della pianificazione centrale nel mondo della finanza è roba da tredicesimo piano.
Tollerate qualsiasi ideologia, o la vostra visione del mondo è superiore a tutte le altre? Il pragmatismo etico e fattuale è una filosofia inflessibile e rigida. Ancora più importante, è contraddittoria. Pensare che nessuna verità possa essere vincolante, equivale a riconoscere che come minimo esiste una verità. Il comportamento coerente per un vero relativista morale sarebbe quello di vivere ogni giorno in apatia e indifferenza rispetto alle forze naturali in gioco. Purtroppo, i progressisti irati fanno l'esatto contrario.
Comprate volontariamente cibo, vestiario, immobili, trasporto ed altri servizi vitali? Se sì, siete dei capitalisti e pertanto siete consumatori in cerca di profitto – un peccato indicibile per il liberal puro. L'atto stesso di approvare vari siti web e rigurgitare banalità sui "diritti dei lavoratori" è un'azione compiuta per puro auto-interesse. Come osano mostrare i loro piccoli visi avidi quei coraggiosi guerrieri di Facebook!
È sbagliato che un estraneo metta le mani nel vostro portafoglio? Se sì, cosa separa un esattore delle tasse dal ladro di tutti i giorni? Certamente non il superamento di un test indetto dall'amministrazione pubblica e svolto in una vecchia stanza ammuffita. E ovviamente non la dichiarazione "Vengo a nome del governo," come se chiunque potesse pronunciare una simile frase vuota. Ci dev'essere qualcos'altro sotto – come l'illusione della legittimità del potere statale.
E' sbagliato aggredire un innocente? Il vecchio detto "Il diritto del mio pugno finisce dove inizia il naso dell'altro uomo" non ha ancora perso aderenti. Nonostante tutto, astenersi dall'aggredire gli altri è ancora visto come un comportamento civile. Allora perché il governo ha carta bianca? Un silenzio con dei grilli al seguito è tutto quello che otterremo come risposta.
Perché gli enti di beneficenza, i sindacati comunali e le organizzazioni della società civile non sono considerate organizzazioni capitaliste? Questi gruppi di persone, uniti da una causa comune, ricercano un determinato fine così come qualsiasi imprenditore. Le risorse fornite dalla filantropia vengono guadagnate come qualsiasi altra cosa. Eppure i baroni briganti non vengono mai accusati di gestire mense dei poveri.
Infine, come si può dire di amare la pace quando l'istituzione che si adora è responsabile della morte di milioni di persone? Le terribili storie della Cina di Mao, della Russia di Stalin e della Cambogia di Pol Pot non sono cospirazioni. Molte vite sono state prese in nome di una società giusta, democratica, libera e uguale. Mettere i fiori nelle canne dei fucili è un bel gesto, ma è sovvertito dalla richiesta di sostegno da parte di un'altra banda di bruti.
Le domande di cui sopra sono per chi cerca di aggrovigliare una conoscenza progressista con una mente inrappolata da contraddizioni e ipocrisie. I libertari non sono immuni da lacune nella logica, ma la libertà richiede coerenza. La visione della Sinistra per quanto riguarda uguaglianza e relativismo è colta nel sacco davanti alla sua riverenza per la forza assoluta. Tra l'altro, l'onestà intellettuale non è mai stata un suo punto di forza. Stimolare il nucleo delle emozioni umane è un'arma di gran lunga più letale.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
martedì 8 ottobre 2013
Il Marxista Paul Krugman
di James E. Miller
Qualcuno una volta ha scritto che criticare l'economista ed opinionista del New York Times Paul Krugman è il passatempo preferito su Internet. Anche io mi sono dato a questo sport – senza riuscire a cambiare quello che Robert Higgs chiama il "volgare Keynesismo" che sporca le pagine editoriali del Grey Lady. A migliorare il mio orgoglio, pero', c'è il fatto che nessun altro ha avuto molta fortuna in questo ambito. Krugman continua a portare la fiaccola delle scuse per il Partito Democratico mentre ridicolizza il GOP bigotto, razzista, vecchio, bianco e ricco.
Inoltre, il professore di Princeton è rimasto fedele alla causa dell'azione del governo affinché potesse impedire che l'economia finisse impantanata. Grandi spese fiscali, stimolo monetario aggressivo, aumento dei privilegi legali per il lavoro organizzato ed aumento del grado di saccheggio dello stato – Krugman è la caricatura di un guardiano del tiranno che difenderà a tutti i costi la causa dello statalismo dilagante. E' stato accusato di essere un comunista, un socialista, un imbonitore Democratico e qualsiasi altro insulto di sinistra che potrebbe esistere. Molte di queste etichette gli sono state affibiate in uno stile ironico. Nonostante ciò l'accusa di fondo, secondo cui Krugman è un veemente statalista disposto a giustificare ogni azione del governo, rimane valida. In sostanza, non vi è attività che possa fare lo zio Sam senza che lui non la approvi.
Ma ora sembra che Krugman si sia spinto oltre con i suoi lamenti progressisti. In un recente articolo, si lamenta, ancora una volta, per il fatto che alcune persone fanno più soldi di altre. La balla della disuguaglianza di ricchezza – favorita da tutti i sinistroidi – è diventata una fandonia fastidiosa a questo punto. Penso che Krugman lo sappia, così procede a giustificare la sua indignazione portando alcuni nuovi elementi di prova. Ora le cose cominciano a farsi interessanti.
Intitolando il suo ultimo sermone "Profitti e Produzione," Krugman ci dice come l'economia del XXI secolo sia cambiata in "maniera fondamentale." I fattori che causano il malessere del mercato dovrebbero, come suggerisce il discepolo di Keynes, costringerci a porre meno enfasi sugli episodi storici e cambiare il nostro modo di pensare. In sintesi, Krugman sta dicendo che questa volta è davvero diverso e che le risposte politiche a cose come la Grande Depressione e l'infame Decennio Perduto del Giappone non sono molto utili.
E' buona regola munirsi di una sana dose di scetticismo quando un commentatore fa menzione di qualcosa che è "nuova" e quindi destinata a cambiare radicalmente i principi esistenti. In un primo momento, il ragionamento di Krugman è simile alla citazione di John Maynard Keynes: "Quando i fatti cambiano, io cambio idea." E ad un certo livello tale modo di pensare ha senso quando si tenta di dedurre le ragioni causali che stanno dietro ad ogni situazione. Ma Krugman non sembra usarlo in questo modo. Per il premio Nobel, l'abbondanza di rendite da monopolio – "profitti che non rappresentano ritorni sugli investimenti" – sta disegnando un cuneo distruttivo tra "profitti e produzione." Poi arriva il trabocchetto: i lavoratori non stanno più beneficiando del tipo di beni di consumo che si vendono nell'economia moderna. Utilizzando l'esempio della diabolica e capitalista Apple, Krugman dice che nonostante non impieghi una notevole forza lavoro come la General Motors a metà del ventesimo secolo, il gigante dei gadget fa soldi in abbondanza. Perché questo dovrebbe essere un male? Poiché la Apple siede su un grande mucchio di soldi mentre si rifiuta di investirli nella propria capacità produttiva. Così, il flusso di cassa rimane intatto senza essere riciclato nell'economia. Le altre aziende come la Apple si comportano come avvoltoi sulla ripresa economica, in quanto portano meno reddito nelle mani delle famiglie che lavorano.
Ci sono una miriade di errori in questo ragionamento che potevano essere portati alla luce e demoliti se ci si sforza di farlo. Per esempio, l'idea di rendite monopolistiche che permettono ai produttori di ricavare un profitto senza dover esercitare molto sforzo è una sciocchezza. Secondo tale condizione rimanere in un mercato libero richiede l'intervento dello stato: ad esempio, brevetti sulla proprietà intellettuale o contratti statali. In caso contrario i componenti del capitale che producono beni e servizi devono auto-pagarsi, altrimenti il proprietario corre il rischio di andare in bancarotta. Solo perché la Apple, secondo le parole di Krugman, "sembra vagamente legata al mondo materiale" non significa che il lavoro ed il capitale impiegati possiedano una sorta di potere infinito di generare soldi. Se Krugman etichetta questo modello di business come un "monopolio," allora ogni azienda è di fatto un monopolio dato che una persona non può lavorare fisicamente in due posti contemporaneamente.
Preferirei non impantanarmi nell'imbecillità economica che straborda dalle diatribe bisettimanali di Krugman. Vi è un errore più marcato in questa ultima teorizzazione. Quello che Krugman sta abbracciando nel suo ultimo attacco ha molto più a che fare con la propensione epistemologica dell'uomo e l'approccio nei confronti dell'economia. Sostenere la predominanza di capitalisti sfaticati cambia come ognuno dovrebbe pensare all'economia, accantonando così la relativa capacità di giudizio; è puro Marxismo. E no, questo non è un errore descrizionale.
L'idea di Marx della storia e dell'evoluzione deriva dalla proposizione che tutti i principi metafisici sono mutevoli e non assoluti – l'eccezione è la sua versione materiale della dialettica Hegeliana. Questa contraddizione non è mai stata affrontata né dal padre del comunismo o né dai suoi seguaci. E' stata accettata come vera, ponendo così le basi su cui costruire la rivoluzione intellettuale del proletariato. Marx sosteneva che sarebbe inevitabilmente arrivato il giorno in cui l'uomo si sarebbe liberato dalle sue catene borghesi ed avrebbe ripreso la sua produzione da chi l'aveva parassitariamente raccolta. Questa inesorabile e potente onda della storia non poteva essere arrestata in alcun modo. La vita sarebbe proseguita, come disse Murray Rothbard, "verso quella fase in cui avrebbe dato luogo inevitabilmente ad una fase successiva ed opposta." Questa persistenza di un cambiamento fluido significava che nulla – incluse le verità delle scienze sociali – era permanente. Come scrisse Friedrich Engels, finanziere e compagno intellettuale di Marx:
"Per la filosofia dialettica nulla è definitivo, assoluto, sacro. Essa rivela il carattere transitorio di tutte le cose; nulla può resistervi, tranne il processo ininterrotto del divenire e della scomparsa, dell'infinita ascesa dal basso verso l'alto."
Questa è la lente attraverso cui Marx vedeva il mondo, ed il processo di transizione mediante il quale il capitalismo dà vita al comunismo. I capitalisti avrebbero infine espropriato i guadagni dei lavoratori ad un punto in cui l'intero sistema sarebbe crollato. Per Marx e per la sua teoria del materialismo storico, la forza trainante del cambiamento era l'avanzamento nella capacità produttiva. L'estensione della divisione globale del lavoro avrebbe delineato la nascita di classi sociali tra la popolazione – vale a dire, i lavoratori contro i capitalisti. La coscienza del modo in cui l'uomo vedeva se stesso veniva spiegata, secondo le parole di Marx, "attraverso le contraddizioni della vita materiale." Quindi se i lavoratori avessero capito la terribile sorte che aspettava loro nel mercato, sarebbe scoppiata una rivolta per adempiere al corso della storia. Ricorda vagamente il concetto secondo cui la proliferazione delle rendite da monopolio nel XXI secolo abbia ribaltato tutte le conoscenze precedenti, e richiede una revisione completa del dilemma a portata di mano.
Non sono in grado di dire se Krugman creda davvero che un comunismo utopico finirà per inghiottire il pianeta, ma la base su cui fonda la sua ultima tesi affonda le radici nella filosofia di Karl Marx. Denunciare il successo della Apple e della sua presunta guerra contro i lavoratori della classe media è dimostrativo della logica del professore di Princeton: vede lo sfruttamento sotto forma di un modello di business efficiente, lasciando il posto ad un bisogno di interferenza dello stato. Le regole prasseologiche dell'economia non hanno voce in capitolo, sono solo finzioni.
La migliore confutazione della teoria del materialismo storico è il fatto che i guadagni capitalisti non hanno schiavizzato le masse, ma in realtà le hanno liberate dalla scarsità moribonda che ha caratterizzato molta della precoce esistenza del genere umano. Non riusciremo mai a raggiungere uno stato di sovrabbondanza come predetto dai seguaci di Marx. Ma l'ignoranza infinita che proviene dalle profondità della mente di Paul Krugman potrebbe effettivamente pensarla così – se si crede che lo stato possa fornire qualcosa in cambio di niente.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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