martedì 14 novembre 2023

L'evoluzione delle linee di guerra in Medio Oriente

Non ci può essere alcun dubbio che l'attuale discesa mondiale verso il conflitto ha visto un punto d'inizio estremamente chiaro: la campagna militare statunitense post-9/11. Finora sono stati spesi $8.000 miliardi, ma il terrorismo ancora rimane dov'è e, anzi, è più virulento che mai. Si potebbe sospettare che fosse esattamente questo l'obiettivo originale... Allo stesso modo la reazione della Russia lo scorso anno nasce esattamente dalle decisioni prese dagli USA e dalla NATO nel post-9/11. Infatti nel 2002 lo "stallo alla messicana" tra le potenze mondiali è stato cancellato quando gli Stati Uniti sono usciti unilateralmente dal trattato internazionale anti-missili balistici. Da quel momento in poi è stato un susseguirsi di provocazioni per giungere all'obiettivo reale del caos scatenato, fino a quando c'è stata la reazione ed era ampiamente attesa. Le chiacchiere idiote riguardo una "resurrezione dell'impero sovietico", "la difesa dei popoli russi" e giustificazioni bambinesche analoghe le lasciamo al popolino ignorante a cui si può dare in pasto solo spiegazioni semplici ed elementari. Nessun politico si sognerebbe mai di spiegare la complessità delle relazioni internazionali alla popolazione autoctona, dato che la considera imbecille e buona solo per essere spremuta attraverso le tasse. Le attuali tensioni con la Cina, poi, possono essere interpretate in modo simile utilizzando la geografia. Le montagne e i deserti che impediscono agli eserciti di marciare nel cuore della Cina rendono anche il commercio via terra particolarmente difficile. Ciò non ha impedito al governo cinese di provarci (la Belt and Road Initiative mira a costruire rotte commerciali alternative verso l’ovest della Cina), ma per ora la sua economia dipende ancora dal commercio marittimo. Oltre a ciò, le acque cinesi sono circondate da diverse nazioni insulari e quindi accedere agli oceani non è semplice; le navi cinesi devono navigare attraverso e intorno alle acque rivendicate da altri governi. E così le controversie territoriali al largo delle coste cinesi – soprattutto nel Mar Cinese Meridionale che collega la Cina a gran parte del mondo – sono fonte di tremenda ansia per il regime cinese e qualsiasi presenza navale al largo delle coste cinesi rappresenta una minaccia. Quando Washington ha deciso di mantenere una forte presenza navale nelle acque intorno alla Cina, oltre alle centinaia di basi statunitensi pesantemente armate nella regione e ai numerosi accordi sulle armi e accordi di difesa con le vicine nazioni insulari, le tensioni tra Washington e Pechino sono aumentate. Finché il controllo del Mar Cinese Meridionale rimarrà una priorità americana, dovremmo aspettarci che il governo cinese consideri gli Stati Uniti come un nemico. Infine c’è l’Iran. Le radici delle attuali tensioni tra Stati Uniti e Iran risalgono al 1953, quando Washington rovesciò segretamente il governo democraticamente eletto dell’Iran per proteggere l’accesso britannico al petrolio. La dittatura che gli Stati Uniti instaurarono al suo posto durò ventisei anni, prima di cadere nella rivoluzione del 1979 che portò al potere l’attuale teocrazia autoritaria. Poi, nel 2003, George W. Bush ordinò l’invasione dell’Iraq e rovesciò Saddam Hussein, il principale rivale del regime iraniano. Rendendosi conto che gli Stati Uniti avevano erroneamente concesso all’Iran molto più potere, le amministrazioni Bush e Obama hanno iniziato ad attaccare le fazioni e i regimi alleati di Teheran, alcuni dei quali erano stati alleati con l'America nella lotta contro il regime di Saddam Hussein. Il risultato: tensioni tra Stati Uniti e Iran.

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di Tom Luongo

L’ostacolo più grande all’analisi di ciò che sta accadendo tra Israele e il resto del Medio Oriente è l’abbandono dei nostri pregiudizi e della nostra ignoranza su quasi tutta la questione. Sarò il primo ad ammettere di avere una profonda ignoranza su gran parte della storia tra Israele e palestinesi.

Vorrei davvero che tutti gli altri che hanno opinioni in questo momento lo ammettessero almeno in anticipo invece di cercare di sembrare l'ennesima incarnazione dell'Esperto in materia solo perché ha letto un paio di articoli sul New York Times.

Ed è questa la cosa che credo stiamo combattendo più di ogni altra a questo punto: l'enorme quantità di propaganda e idiozie assortite che vengono lanciate su ogni evento di qualsiasi significato.

Tutto ciò che fa è creare confusione e dissonanza cognitiva, cose che a loro volta, tra l'altro, sono l’obiettivo della propaganda.

Detto questo, ciò che è assolutamente chiaro è che questo conflitto ha scatenato frustrazioni represse e rabbia latente da parte di tutti i principali attori, non solo di quelli ovvi come Hamas, gli estremisti israeliani guidati dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dalla sua camera di risonanza a K- Street, Capitol Hill e GCHQ.

Questi ultimi hanno chiaramente rispolverato il “Piano R”, lo hanno tirato fuori dallo scaffale e ora lo stanno attuando. Somiglia a quello che Dick Cheney e soci adottarono dopo l’11 settembre: spostare l'attenzione da coloro che hanno commesso l'atto a coloro con cui c'è bisogno di andare in guerra.

Quindi 19 sauditi hanno fatto schiantare gli aerei sul World Trade Center, ma noi siamo entrati in guerra con l’Iraq e l’Afghanistan.

Oggi “Hamas” massacra ebrei e il primo popolo minacciato è l'Iran.

Anche se ci sono abbastanza prove che "Hamas" non sia stato l'unico coinvolto in questo attacco, ha legami più stretti con le organizzazioni sunnite che con quelle sciite, e viene finanziato dal Qatar e dal Regno Unito.

Non sto dicendo che l’Iran non abbia alcun ruolo qui. Secondo Theirry Meyssan su Voltairenet (link sopra), è stato l’Iran, all’inizio di quest’anno, a riunire tutte le fazioni palestinesi per riconciliare le loro differenze.

Nel 2023 l'Iran ha ospitato colloqui tra le varie forze indipendentiste della regione: Hezbollah, Jihad islamica e Hamas. Si sono svolti a Beirut (Libano) sotto la presidenza del generale Ismaïl Qaani, comandante delle brigate al-Quds delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Il loro scopo era riconciliare questi attori che avevano combattuto una guerra feroce a Gaza, poi in Siria. Tali incontri sono stati resi pubblici nel maggio 2023. In quella occasione la stampa libanese ha parlato della preparazione dell’operazione unitaria che è stata poi effettuata il 7 ottobre. L’Iran è quindi responsabile della riconciliazione delle fazioni palestinesi.

Quindi lasciamo perdere la finzione secondo cui Bibi e soci a Tel Aviv non sapessero prima di questa operazione. La sua preparazione è stata resa pubblica lo scorso maggio.

Ma, nel linguaggio neoconservatore, questo incontro equivale ad aver architettato l’intero attacco. Non sono ingenuo: la semplice narrazione secondo cui “qualunque cosa sia negativa per Israele è positiva per l’Iran” regge, ma ciò non equivale a “è stato l’Iran!” come vogliono farvi credere le iene della Carolina del Sud Lindsay Graham e Nimrata Haley.

Trarre vantaggio da qualcosa non significa pianificarlo o finanziarlo.

Meyssan spiega anche che l'obiettivo dell'operazione era la presa di ostaggi per effettuare uno scambio di prigionieri con Israele. C'è qualcos'altro di nascosto, però? Probabilmente. Ma non più di quanto chiunque altro stia nascondendo ciò che Israele e gli Stati Uniti stanno facendo in risposta, usando ciò che è accaduto come un casus belli per avviare una campagna di sterminio mentre si chiede a tutti nel mondo di scegliere la parte "giusta" di questo conflitto e che tutti gli altri si schierino.

Ho ricordi vividi di come sono stato trattato essendo contro la guerra dopo l’11 settembre. La stessa operazione di propaganda post-evento è in pieno svolgimento da un mese a questa parte. Per fortuna questa volta è più una questione di discordia tra le potenze occidentali rispetto a ciò che seguì vent’anni fa.

Perfino io, all’inizio, mi sono lasciato convincere da questa semplificazione "Israele contro Iran", cercando poi d'individuare le mosse geopolitiche più ampie sulla scacchiera.

Non sono qui per discutere di come questa situazione possa andare storta; è già andata storta. Il mio obiettivo oggi è quello di esaminare alcuni degli attori apparentemente secondari in questo conflitto per cercare di avere un’idea di quali potrebbero essere le loro mosse ora che i soliti sospetti a Washington, Tel Aviv e Londra hanno deciso di alzare la posta in gioco.

Per la cronaca, nessuno dei potenziali risultati qui è positivo per gli Stati Uniti, a parte tutti coloro che stanno facendo retromarcia dall’orlo di una guerra totale. So che ci sono molte persone anti-impero statunitense che sperano in una brutta fine per gli Stati Uniti, ma come ho cercato di esporre ormai da qualche anno, i vincitori di questo scenario sono gli stessi colonialisti che hanno fomentato questa crisi in primo luogo.

Mark Wauck su Meaning in History ha scritto un ottimo post che affronta uno degli aspetti di cui parlerò più avanti, il ruolo britannico nel rovesciare l'Impero Ottomano dopo la prima guerra mondiale e nella creazione di Israele per proteggere il Canale di Suez.

Oggi la Turchia riemerge come uno degli attori cruciali che determineranno l’esito di questo conflitto.

Ma detto questo, voglio iniziare dall’Egitto perché quello che posso aggiungere alla storia dietro la violenza riguarda, come sempre, il denaro, il debito e le garanzie (o la loro mancanza) a sostegno.


La commedia dell'Egitto

Voglio sottolineare che non sono affatto scioccato dal fatto che la guerra scoppi in Israele dopo la confluenza degli eventi della scorsa estate: l'offensiva fallimentare in Ucraina e i BRICS che divorano le rotte commerciali della penisola arabica.

All'inizio di quest'anno ho scritto un pezzo sulla situazione del debito dell'Egitto e sulla pressione che Cina e Russia stavano esercitando sul Fondo monetario internazionale per negoziare una sorta di svalutazione.

Il problema fondamentale è che il modello di prestito dell'FMI è uno dei pilastri principali dell’Impero, non importa come lo si definisca. In quanto tale, l’esercito americano funge da spaccagambe al soldo del cartello degli strozzini occidentali.

Quando si parla di prestiti normali, quando il debito va in sofferenza e il debitore non può pagare, ci si può rivolgere alla protezione contro i fallimenti e trovare un accordo affinché il creditore possa ottenere qualcosa in cambio. Ma tutti, da entrambe le parti del tavolo, sanno che una parte di questo principio svanirà nell’etere.

Entrambe le parti subiranno perdite. Il creditore non può ottenere nulla se insiste sui termini originali, oppure può ottenere qualcosa se ristruttura.

Nella finanza internazionale attraverso il FMI/Banca Mondiale questo non è MAI il modello. Solo una parte deve affrontare la situazione mentre l'altra sta lì, con le braccia incrociate e dice: si possono avere condizioni migliori, ma il capitale verrà ripagato fino all'ultimo dollaro.

Questo è ciò che la Cina sta affrontando ed è in definitiva il motivo per cui non ci sarà alcun cedimento sul fronte di guerra su questo argomento. Infatti è qui che risiede la vera divisione tra neoconservatori e cricca di Davos.

Detto questo, e con la consapevolezza dell’attacco pianificato da parte di “Hamas” sin dallo scorso maggio, pensate all’adesione dell’Egitto e di altri cinque Paesi all’Alleanza BRICS lo scorso agosto, dove ho ipotizzato che quella riunione fosse incentrata sul controllo del flusso del commercio globale, non la dichiarazione d'indipendenza monetaria con qualche moneta BRICS coperta dall’oro.

Quest'ultima cosa era l'ennesima di un'altra serie di idiozie.

Infatti è difficile sostenere che i decisori a Londra, Bruxelles e Washington non sapessero cosa sarebbe realmente accaduto al vertice BRICS e abbiano redatto diagrammi di flusso di potenziali risposte per la fine dell'anno.

Quei diagrammi dovevano includere una risposta a un attacco di “Hamas” che sapevano fosse in corso.

Ecco perché credo che l'attacco di Hamas sia stato intenzionalmente lasciato accadere, affinché ci portasse a questo momento. Ho fatto del mio meglio per non cadere nella narrativa potenzialmente falsa del "false flag".

Sì, non si può negare che tutta questa storia potesse essere qualcosa di scaturito autonomamente, emersa dall'inconscio collettivo delle “fazioni oppresse” in Medio Oriente. È un modo razionale di vedere la questione, ma non si può negare nemmeno che la potenziale “mano del destino” abbia spinto le cose fino al punto di crisi, soprattutto sapendo mesi prima che un'operazione del genere era in preparazione.

E quella "mano del destino" si rivela gradualmente ad ogni mossa fatta. La pressione sull'FMI è stata un segnale di sostegno all’Egitto che stava per aderire all’alleanza BRICS in agosto.

L'FMI, ovviamente, ha detto no: solo ristrutturazione, nemmeno un dollaro di svalutazioni. Come ho detto prima, questa è la linea d'azione dell'FMI. Inoltre accettare qualsiasi svalutazione di qualsiasi debito significherebbe permettere un pericoloso precedente. Quindi il messaggio è questo: “Noi vi possediamo e voi siete in debito con noi”.

Non è una questione di soldi, ma di leva finanziaria: il denaro scorre attraverso di essa.

Ma l’Egitto è un vero e proprio bivio per la contrapposizione BRICS e cricca di Davos e questo bivio è apparso chiaramente la scorsa settimana quando Israele si è offerto di condonare il debito dell'Egitto all'FMI se avesse accolto ogni palestinese come rifugiato. Non sono sicuro di come Israele possa fare un'offerta del genere per conto dell'FMI, e non sono nemmeno sicuro del motivo per cui pensasse che offrire all’Egitto proprio quello che avrebbe fatto comunque (default con il sostegno di Russia e Cina) avrebbe funzionato.

Immagino che almeno dovesse provarci.

Quell’offerta era una tattica standard: creare una crisi, prendere qualcosa da qualcun altro e poi offrirlo in cambio di ciò che si desidera veramente. La cricca di Davos e i neoconservatori lo fanno continuamente.

È patetico.

L'Egitto, ovviamente, ha rifiutato, quindi ora è impegnato nella lotta, anche se solo metaforicamente. Ciò significa che qualsiasi piano per ricollocare tutti i 3 milioni di palestinesi a Gaza non passerà attraverso l’Egitto e ciò significa anche che la probabilità che diventi inadempiente nei confronti dell'FMI aumenteranno con la morte di civili a Gaza.


La grande mossa della Turchia

Il problema più grande è cosa sta succedendo con Erdogan in Turchia. Sta cercando di ricostruire l’Impero Ottomano, senza contare che una delle chiavi di lettura della Prima Guerra Mondiale è quella di operazione per distruggere l'Impero Ottomano.

Non sto sostenendo il suo ritorno, intendiamoci, sto solo esponendo le prospettive.

Quindi le reazioni di Erdogan alla campagna di Netanyahu a Gaza devono essere viste in questa prospettiva. Inoltre egli si considera il nuovo sultano, il leader del mondo sunnita.

La Turchia, tuttavia, è in una posizione molto difficile in quanto membro della NATO, il che mette Erdogan in una posizione difficile se vuole mantenere la sua influenza sia sulla NATO che sui BRICS grazie alla posizione geografica, economica, culturale e militare della Turchia.

Un punto sottolineato dal col. Doug MacGregor è che la Turchia è solo una parte del mondo turco e del mondo di lingua turca. Al decimo vertice dell'Organizzazione degli Stati Turchi (OTS) ad Astana, in Kazakistan, l'influenza di Erdogan si è fatta sentire nella dichiarazione congiunta:

Una dichiarazione congiunta, approvata al vertice, ha invitato tutte le parti del conflitto israelo-palestinese a dichiarare un “cessate il fuoco immediato per proteggere i civili e fornire aiuti umanitari immediati e senza ostacoli in tutta la Striscia di Gaza”. “Il conflitto può essere risolto solo con mezzi pacifici basati sulle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite e sulla soluzione a due stati”.

L'influenza di Erdogan sotto questo aspetto è enorme. E se prendesse la decisione di rompere definitivamente con l’Occidente, cosa che solo le circostanze lo costringerebbero a fare data la sua riluttanza, allora si porterebbe dietro l’intera regione.

Se Erdogan vuole guidare il mondo sunnita, allora deve adottare una linea dura e massimalista contro il bombardamento di Gaza da parte di Israele.

Ma il fatto che la Turchia sia membro della NATO è un segnale che la Russia è ancora debole, perché la Turchia non osa far arrabbiare per davvero gli Stati Uniti.

Tuttavia se la Turchia lasciasse la NATO a causa del comportamento di Israele, il segnale sarebbe l'opposto. La Turchia quindi tiene a mente la Russia e, di fatto, dichiara l’indipendenza sunnita da ciò che rimane del residuo coloniale europeo.

Quindi Erdogan ha davanti a sé un’opportunità davvero unica: arriva a definire l'eredità del mondo sunnita come massacratori di ebrei, o come arbitri della pace, e questo è il motivo per cui ha cercato di mediare accordi di pace e allo stesso tempo di compiere mosse territoriali molto aggressive nel Mediterraneo orientale, in Siria e nel Caucaso.

Per questo motivo ha un delicato ruolo di equilibrio nella circostanza attuale: deve impegnare il mondo sunnita nella lotta contro Israele e gli Stati Uniti, come ha fatto Hassan Nasrallah nel suo discorso per Hezbollah in rappresentanza degli sciiti. Ma, allo stesso tempo, la sua posizione economica è molto debole dopo anni di attacchi non solo contro di lui come presidente della Turchia, ma anche contro l'economia del Paese; gli squilibri finanziari del Paese hanno visto la lira iperinflazionarsi rispetto al dollaro da poco meno di 1,8 dieci anni fa ai 28 di recente.

Come ho già detto in precedenza, il tallone d’Achille della Turchia è la sua posizione debitoria n valuta estera, che in alcuni casi ha rappresentato oltre il 34% del PIL del Paese. Con il dollaro in un nuovo mercato rialzista, il peso di tal debito continua a salire.

Quindi, per Erdogan, l’obiettivo è portare Israele al tavolo delle trattative offrendo Ankara come il sito con il quale negoziare una grande pace che fissi la data di inizio di un nuovo impero ottomano.

Come farà a farlo dato che Netanyahu non è intenzionato a fare marcia indietro sui suoi piani di spazzare via i palestinesi e dato che presume il pieno sostegno dagli Stati Uniti?

Francamente, il modo in cui penso che Erdogan possa raggiungere questo obiettivo non è con i carri armati e la fanteria. Piuttosto riaprirà la ferita che giace al centro dell'economia turca e che costituisce la spina dorsale dell'impero: il debito. Analogamente a quanto mi aspetto dall’Egitto, Erdogan cancellerà unilateralmente tutto il debito turco denominato in dollari statunitensi ed euro, scambiandolo con debito in lire turche.

In sostanza, andare in default sul debito e ripagare gli obbligazionisti a pochi centesimi in dollari.

Lo farà dichiarando prima un tasso di cambio USD/TRY molto inferiore all’attuale prezzo di mercato di circa 28 a 1, diciamo 12:1 o anche 6:1, quindi dichiarerà, per cause di forza maggiore, la rivalutazione del debito a quel tasso in lire.

Questo sarebbe proprio un bel modo di farlo. Potrebbe semplicemente cancellare il debito ai tassi di cambio attuali e dichiararlo rimborsato a causa del massiccio attacco alle riserve monetarie della Turchia che ha comunque fatto crollare la lira.

Un giubileo del debito per le imprese nazionali turche.

I suoi discorsi della scorsa settimana ci dicono che si sta preparando per qualcosa di grande; ha smesso di subire colpi pesanti dagli Stati Uniti ora che ha superato la rielezione.

Se lo facesse per davvero, e sarebbe la sua mossa più forte su tutti i grandi vettori, e allo stesso tempo lasciasse la NATO, costringerebbe gli Stati Uniti a lasciare il suo Paese. Le proteste che abbiamo visto a Incirlik la scorsa settimana potrebbero intensificarsi, se non diventare una minaccia reale.

Sospetto/spero che le armi nucleari statunitensi stazionate lì in precedenza siano scomparse da tempo.

L’esercito turco potrebbe quindi diventare il garante fisico di qualsiasi processo di pace con Israele. Erdogan e Putin hanno questa carta da giocare. Gli Stati Uniti non lo faranno perché abbiamo perso ogni credibilità nella regione nei confronti di tutti, anche di Israele con Biden al timone.

La visita nella regione da parte del segretario di Stato, Antony Blinken, ne è la prova. La confusa politica estera dell’amministrazione Biden è al centro del conflitto tra la cricca di Davos e i neoconservatori che ci ha spinto non solo a questa guerra, ma anche a quella in Ucraina.


La scelta del mondo

Non presento questi scenari come previsioni, piuttosto come punti di discussione. Ciò che è ovvio è che il mondo sta raggiungendo un punto critico in cui abbiamo davanti a noi una scelta difficile: la guerra mondiale che scaturirà dal riaprire le vecchie ferite in Medio Oriente, o accettare i limiti delle linee di politica che ci hanno portato fino a questo punto.

Ciò che non voglio vedere è una sorta di trappola di Tucidide nella quale vengono trascinati gli Stati Uniti da manovre delle forze coloniali in Europa, vecchi rancori etnici di persone collocate in posizioni di potere (l’Asse Nuland/Kristol negli Stati Uniti e il clero sciita in Iran) e la buona vecchia avidità di coloro che trarrebbero profitto dal caos.

Ma una cosa è certa in questi tempi incerti: ogni angolo dev'essere esplorato quando si discute di queste questioni, non solo il nostro risultato preferito basato sulla nostra conoscenza limitata sia della storia recente che di quella precedente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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