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venerdì 11 luglio 2025

La radice di tutte le tensioni in Medio Oriente: gli inglesi

 


di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-radice-di-tutte-le-tensioni-in)

Mettiamo un po' di cose in prospettiva per non perdere la bussola. L'amministrazione Trump sta cercando di rimuovere incrostazioni burocratiche negli Stati Uniti che vanno indietro di centinaia di anni. Più del Congresso, il suo compito è quello di convincere l'elettorato (come sta facendo Alberta in Canada affinché non vengano etichettati “separatisti”, o peggio dalla stampa). Portarlo dalla sua, che abbia fiducia è cruciale affinché non si debba improvvisare. La maggior parte delle affermazioni fatte sulla stampa sono fuorvianti, perché fino a ora i nemici lungo la strada non hanno fatto che moltiplicarsi... tutti quelli che nel precedente sistema dell'eurodollaro avevano privilegi. La stampa è uno di questi nemici e Trump piuttosto che dire apertamente le sue reali intenzioni deve sparare tutta una serie di bizzarrie prima di arrivare davvero al punto. Questo, a sua volta, significa dover accettare un certo livello di ambiguità e incertezza in questo momento storico di transizione. Transizione degli Stati Uniti da cosa? Dal sistema di “libero scambio” inglese al sistema americano di politica economica. La ricostruzione della credibilità passa anche da qui.

E questo ci porta altresì al motivo per cui ci sono tanti venti contrari contro la Big Beautiful Bill e perché ci sono tante menzogne a riguardo. Nell'alveo della Reconciliation Bill solo le spese non discrezionali possono essere toccate. Si può discutere del lato entrate e tasse, ma i tagli del DOGE alla spesa non possono essere approvati subito perché gran parte di essi riguardano la spesa discrezionale e vengono approvati nella Rescission Bill. La legge, quindi, è stata tenuta ostaggio dal Senato dai “soliti noti” affinché gli aiuti all'Ucraina, e quindi i dollari all'estero, continuassero a scorrere. Rand Paul e Massie, opponendosi, dato che non hanno mai affrontato una Reconciliation Bill, hanno fatto il gioco di neocon come Murkowski, Collins, Graham, ecc. (senza contare che molti senatori affrontano le elezioni l'anno prossimo, quindi è “comprensibile” un'opposizione da falchi sul lato fiscale dell'equazione). La cricca di Davos, quindi, non sta facendo altro che mettere pressione sui suoi infiltrati al Congresso affinché rallentino questo processo e si possa vendere la narrativa “l'amministrazione Trump non sta facendo niente” oppure “la legge aumenta il deficit”. Davvero? Ci siamo scordati della USAID? Senza contare che le proiezioni del CBO considerano erroneamente i tagli delle tasse come un aumento automatico delle spese.

Non solo, ma il momento era diventato più impellente perché a fine giugno terminavano gli ultimi aiuti all'Ucraina approvati dall'amministrazione Biden. Non solo, ma questa settimana scattano i dazi contro l'UE. Una crisi, quindi, di qualunque natura è necessaria per spostare questi eventi ancora più avanti nel tempo e farli coincidere inoltre con il rollover del debito ($7.000 miliardi) previsto per questa estate. Occasione che non mancherà di essere sfruttata dalla stampa e dagli utili idioti al seguito per far passare l'idea, erronea, che nessuno voglia i titoli di stato americani (ignorando comodamente il gioco portato avanti dalla cricca di Davos di vendere il back-end della curva dei rendimenti e comprare il front-end in modo da dare l'idea di un'inversione della stessa).

Infatti il front-end della curva dei rendimenti americana continua a mostrare un'inversione sempre più pronunciata, questo significa che i possessori esteri stanno vendendo per tenere liquidi i loro mercati e saldare i debiti denominati in dollari. Secondo gli ultimi dati TIC il Canada è stato il venditore più accanito di recente, questo soprattutto grazie al carry trade che è stato impostato da Carney tra la curva dei rendimenti canadese e quella americana tramite l'emissione a marzo di una tranche di bond denominati in dollari americani. Ecco perché Powell, tra l'altro, s'è ostinato a tenere alti i tassi e a tenere il DXY in una banda di prezzo definita facendo in modo che non cadesse al di sotto dei 90 punti: ha semplificato la vita agli esportatori, ha continuato a contrarre l'offerta di dollari ombra e, al contempo, ha reso la vita difficile a chi voleva ancora sfruttare il mercato dell'eurodollaro.

Tra gli altri venditori importanti è risultato Hong Kong che di recente ha visto una severa svalutazione del dollaro honkonghense rispetto a quello americano perdendo il “peg”. Due delle valute più importanti al mondo per il loro “peg” col dollaro americano sono il dollaro di Hong Kong e il riyal saudita. Quest'ultimo non sta mostrando nessun segno di stress, invece. Anche Singapore s'è mostrato un venditore di titoli di stato ad aprile e questo mi fa pensare che c'è canalizzazione di biglietti verdi, da queste “succursali”, laddove servono di più: a Londra. Se mettiamo le due cose insieme, ovvero fame di dollari a livello internazionale e i guai emergenti a Hong Kong, la scena potrebbe essere pronta per una nuova crisi sovrana con epicentro la città cinese e riverberarsi subito a Londra e Bruxelles. Per quanto anche gli USA possano essere travolti da una crisi del genere, la loro condizione economica è nettamente superiore rispetto a quella del resto del mondo. Infatti la maggior parte della salita dell'indice S&P500 è stata dovuta alle Mag 7 negli ultimi dieci anni o giù di lì. Una rotazione della liquidità da queste, e quindi una correzione degli indici azionari principali, all'economia generale significherebbe un buon periodo di consolidamento. Nel frattempo la fuga di capitali dall'Europa attenuerebbe la correzione delle azioni americane facendole tornare, meno traumaticamente, a una media storica sostenibile. Nel secondo trimestre l'Eurostoxx è già inferiore in quanto a performance rispetto al Dow Jones. Una crisi del debito sovrano seguirà a ruota, così come una monetaria. Ricordate, se l'euro e la sterlina sono riuscite a rimbalzare dal fosso in cui stavano finendo è perché hanno venduto (e continuano a vendere) asset denominati in dollari e dollari per ripagare i propri debiti in una valuta la cui offerta è in contrazione.

Per quanto Trump possa voler un dollaro relativamente “basso”, il DXY non può scendere oltre una certa soglia altrimenti ciò significherebbe importare inflazione in eccesso. Questo significa che il DXY tornerà a salire, rimanendo nel range dei 100-105. Più in alto significa che il mondo sta implodendo. Infatti i livelli attuali nei mercati dei cambi da parte di sterlina ed euro sono artificialmente gonfiati, considerando come Ripple sia destinato a disintermediare Londra dal Forex e dallo Swift (Bitcoin è un'altra cosa invece, più collaterale e asset al portatore digitale che fornitore di liquidità).

Nel momento in cui il dollaro risalirà, seguito dal Dow Jones e dal back-end dei titoli di stato americani, insieme a una moderazione dell'inflazione, una crescita solida in generale e una riorganizzazione industriale degli USA, quello sarà anche il momento in cui la FED taglierà i tassi. Molto probabilmente già da questo mese e altre 3 volte durante gli ultimi 6 mesi di quest'anno. L'eccezione a questo percorso è un prezzo del petrolio sui $90 al barile, dato che un'inflazione spinta dalle materie prime più virulenta impedirà a Powell di tagliare i tassi. Se invece ci sarà moderazione nelle vicende geopolitiche, l'oro lateralizzerà e il dollaro salirà insieme al mercato azionario e quello obbligazionario americano, allora avrà le giustificazioni politiche per tagliare i tassi (al di là delle richieste di Trump). 

Il duplice mandato della FED, adesso, al di là dell'Humprey-Hawkins Act, è quello di stabilizzare i prezzi interni dopo la più grande botta d'inflazione mai vista dagli USA sulla scia del Build Back Better di Biden; l'altro punto è prosciugare l'offerta di dollari ombra all'estero. Il lavoro di Powell, da questo punto di vista, è stato tanto arduo quanto egregio... e continuerà a esserlo fintato che riduce il bilancio della FED, toglie il conservatorship da Fannie/Freddie e stabilizza i prezzi immobiliari e ci si sbarazza del SLR permettendo alle banche americane di usare il loro bilancio per rendere più efficiente il mercato dei mutui coprendolo coi titoli di stato statunitensi. I prezzi del 2010 non torneranno, troppe distorsioni monetarie sono accadute sin da allora; l'unica cosa che si può fare è stabilizzare l'economia. E un ulteriore modo di farlo è il processo di snellimento fiscale e taglio delle tasse.

Parecchi fronti sono aperti adesso ma quello fiscale è decisamente più importante. Più verrà ritardata la sua risoluzione, per qualunque motivo, più la cricca di Davos avrà leva nel sabotare gli USA. Non scordatevi le recenti parole di Dimon.

Poi c'è la politica estera. Infatti ho aperto questo pezzo parlando della Big Beautiful Bill perché parte tutto da essa. Inutile dire che nella maggioranza erpubblicana al Congresso ci sono franchi tiratori, come hanno dimostrato ad esempio Pompeo e Graham volati a Kiev per mandare un messaggio; oppure Massie e Paul che avrebbero voluto spacchettare la legge e farla approvare a pezzi... ma questo avrebbe significato una maggioranza di 60, non di 51, al Senato. Quindi piuttosto che continuare ad attenzionare un luogo su cui Trump ha, molto probabilmente, un dialogo con Putin, meglio dirottare il focus altrove e, in questo modo, accontentare i falchi neocon. I fronti aperti sono tanti e il tempo passa, e questa è una situazione che va a vantaggio della cricca di Davos.

Il Medio Oriente è uno di questi fronti, visto che il governo di Israele è facile da agitare. Anche qui, gli inglesi c'hanno messo lo zampino visto che “consigliano” entrambe le fazioni (Hamas in Qatar) e il loro gioco, come hanno sempre fatto, è tradire una di esse per creare una faida. Ed è quello che ha fatto l'MI6 il famoso 7 ottobre scatenando il vespaio a Gaza che vediamo ancora oggi. Gli Stati Uniti, con Trump, hanno lavorato per gettare le basi di una pacificazione nell'area, ecco perché gli arabi in Oman, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Siria, Turchia, Kuwait sono rimasti, all'atto pratico, in silenzio quando l'aviazione americana ha effettuato la sua operazione in Iran. Così come sono rimasti in silenzio Russia e Cina.

Francia e Inghilterra vedono cosa accade e gonfiano l'isterismo di Israele, perché vogliono continuare ad avere influenza nella regione e fare in modo che continui a essere instabile: va a loro vantaggio e tiene impantanati gli USA, con potenziale di intervento diretto e quindi spesa di dollari all'estero. Inutile dire che francesi e inglesi cercheranno altresì di approfittare della confusione nel governo iraniano per insinuarsi. È un gioco pericoloso e più si andrà avanti diventerà ancor più pericoloso, visto che c'è la sopravvivenza della cricca di Davos in gioco. L'azzardo americano è stato quello di lasciar scatenare Israele il giorno dopo la scadenza dei 60 giorni per un accordo sul nucleare: in questo modo si manda un messaggio che le deadline devono essere rispettate (power politics) e il mancato rispetto porta conseguenze per la parte attenzionata... che sono progressivamente più severe in proporzione alla sua reticenza a trattare (si veda la pronta capitolazione dell'UE sui dazi al 10%).

Come si inserisce in questo contesto l'attacco americano sul suolo iraniano? Ha spostato l'attenzione in Medio Oriente dalla Russia e accontentato i neocon (tutti in festa) affinché votassero per la Big Beautiful Bill; ha indispettito l'Iran al punto da voler chiudere lo Stretto di Hormuz (cosa che farà male solo all'UE in termini energetici); è stato un indispettimento mirato visto che gli USA hanno avvertito l'Iran per tempo prima di attaccare (e chissà se prima della deadline una bozza d'accordo sottobanco non sia stata raggiunta); ha accontentato Israele nella sua richiesta di intervento americano; quest'ultima è stata una soddisfazione, però, che ha fatto continuare lo scontro tra Iran e Israele, i due agitatori più pronunciati in quella zona. Con il ridimensionamento dell'Iran andranno a morire tutti quei gruppi terroristici che hanno messo a ferro e fuoco il Medio Oriente (Houthi, Hezbollah, Hamas); con il ridimensionamento di Israele potrebbe cadere l'attuale governo in carica di cui l'amministrazione Trump non si fida.

Il “vero” tradimento del MAGA sarebbe stato se il 30 giugno, alla scadenza degli aiuti in Ucraina, essi fossero stati rinnovati; il tradimento assoluto del MAGA sarebbe se venisse salvata la City di Londra. Fino ad allora si tratta solo di muovere la prossima tessera sul tavolo del GO.

Circa due settimane fa parlavo di come in Iran ci fossero fazioni così come in tutti gli altri Paesi del mondo. La fonte di destabilizzazione nell'aerea è sempre stata la sua possibilità di avere armi nucleari, cosa che ha dato a Israele la motivazione per essere costantemente agitato e opporsi a questa eventualità. Non è necessario che fosse reale adesso o in passato, il solo fatto che pendesse questa spada di Damocle nella regione era sufficiente per creare tensioni. E Israele aveva tutte le ragioni per opporsi; la power politics funziona così, bisogna farsene una ragione.

Torniamo un attimo indietro nel tempo. L'accordo JCPOA stretto da Obama con l'Iran serviva a far arrivare gas e petrolio in Europa a prezzi più convenienti. Di contro l'Iran ci guadagnava la possibilità di accedere a fonti di uranio per scopi civili. Gli USA non ci guadagnavano niente e servivano solo da garanti dell'accordo. Anzi, ci avrebbero rimesso solamente in caso di guai, ma sappiamo che l'amministrazione Obama non lavorava nell'interesse della nazione. C'è da aggiungere, anche, che gli inglesi sono i responsabili dietro le quinte per le tensioni nella regione dato che il loro obiettivo, oltre che controllare indirettamente l'Iran tramite un governo fantoccio, è quello di impedire alla Russia di collegarsi con l'Oceano indiano bypassando così il Mar Nero. Iran e Russia sono due vecchi pallini inglesi. Questi ultimi si sono garantiti che una ferrovia da San Pietroburgo fino a Chabahar non venisse mai costruita (così come si sono assicurati che non fosse costruita dall'Alaska alla Russia). Anche il fermento in Georgia si inserisce in questo contesto.

Comunque, sin dall'accordo Sykes-Picot e dalla Dichiarazione di Balfour (anche perché la Prima guerra mondiale è stata scatenata per smantellare definitivamente l'impero ottomano), gli inglesi hanno continuato a manovrare nell'ombra in Medio Oriente per estendere e conservare la loro impronta colonialista. Questo significa tramite Israele e anche attraverso il proxy Stati Uniti. Quando questi ultimi, però, hanno iniziato a emanciparsi dall'influenza della City di Londra, principalmente con l'abbandono del LIBOR, ciò ha sparigliato le carte anche a livello geopolitico. Il caos è stata una conseguenza, soprattutto a livello bellico col moltiplicarsi dei conflitti a livello mondiale sulla scia di un riassestamento delle alleanze a immagine e somiglianza di suddetta indipendenza americana. Uno di questi conflitti è stato ovviamente quello tra Israele e Palestina, dove entrambi i popoli sono stati traditi dagli inglesi per accendere la miccia e far continuare poi ad ardere il fuoco della guerra. Ecco perché è saltata fuori adesso la storia che Israele ha finanziato per anni Hamas. Ecco perché, da due anni a questa parte, è diventato legittimo criticare aspramente gli israeliani. Il 7 ottobre è stata un'operazione palesemente portata avanti dai servizi segreti inglesi dell'MI6, i quali hanno ha usato il proxy di Hamas in Qatar per attivare la falange in Palestina e quindi “tradire” Israele.

Ecco perché Netanyahu è stato messo da parte durante i negoziati di Trump in Medio Oriente con gli altri stati arabi ed è stato pronto ad attaccare l'Iran senza esitazione per conto degli USA. Questi ultimi avevano bisogno di una dimostrazione di forza per pacificare l'Iran, mandare un segnale agli altri player mondiali che l'amministrazione Trump fa sul serio quando imposta delle deadline (messaggio rivolto a Bruxelles e Ottawa) e accontentare i neocon al Senato affinché togliessero il “veto” alla Big Beautiful Bill. In questo contesto Netanyahu rimane uno strumento di persuasione, come ha potuto constatare lui stesso avendo dovuto combattere da solo contro l'Iran. Ritengo che il suo ascendente sul resto del mondo fosse dovuto all'affiliazione con gli inglesi, ma adesso quei tempi sono andati e, ciononostante, rimane comunque inaffidabile visto che s'è fatto terra bruciata intornio a lui a livello politico. Altresì, per quanto l'AIPAC abbia finanziato la campagna di Trump, non ha la stessa influenza che aveva durante il suo primo mandato.

E questo ci porta al momento attuale, dove le fazioni all'interno dell'Iran si stanno dando battaglia per determinare chi emergerà come classe dirigente. Sono dell'idea che gli inglesi non si lasceranno scappare l'opportunità creata dagli USA per intrufolarsi finalmente nel Paese, come leggiamo dalla seguente notizia. È un modus operandi già conosciuto ai lettori del mio blog. Credo altresì che l'amministrazione Trump abbia staccato il proprio accordo una delle fazioni in Iran affinché emerga come vincitrice in quella che adesso è una guerra civile sotterranea nel Paese mediorientale. Ecco perché ha dichiarato la scorsa settimana che “otterremo ciò che vogliamo in Iran”. Questa partita ancora non è finita e gli inglesi, per quanto ridimensionati a ogni livello (sociale, finanziario, geopolitico), non sono sconfitti. La loro rete d'influenza va indietro di centinaia di anni e non sarà affatto facile incrinarla. Sta di fatto, però, che Russia e Cina sono rimasti a bordo campo, e questo mi fa pensare che sottobanco Putin e Xi siano d'accordo con la riorganizzazione della regione mediorientale portata avanti da Trump. Così come gli altri stati arabi che hanno stretto accordi commerciali con l'amministrazione Trump.

È un gioco ricco di azzardi e qualunque cosa potrebbe andare storta da adesso in poi. Ad esempio, tra Israele e Iran c'è la Siria ed essa è un punto di pressione nell'area. Inutile dire che gli inglesi sono molto presenti anche lì, attraverso di essa sarebbe relativamente facile far deragliare la pace di Trump. In aggiunta a ciò ci sono anche i Balcani, dove ci sono i serbi che sono cristiani ortodossi, i croati che sono cattolici e i musulmani. Di conseguenza è relativamente facile che “qualcosa vada storto” da quelle parti, ma non perché quelle persone si odino a vicenda bensì attraverso il solito modo di fomentare attriti attraverso eventi terroristici che attizzano un odio artificiale tra i vari gruppi religosi/etnici. Ho già descritto il meccanismo in un altro pezzo e ciò avviene tramite ONG, lavoratori dell'ONU, organizzazioni filantropiche, media generalisti, organizzazioni di relazioni pubbliche, ecc. Poi uno si ricorda dei legami rafforzati a livello di intelligence tra Bosnia e Inghilterra e il quadro diventa più chiaro. A tutti questi punti di pressione dobbiamo aggiungere anche l'area del Baltico, dove anche qui gli inglesi stanno avendo influenza in particolar modo sull'Estonia. Insomma il minimo comun denominatore è che le aree menzionate sono state riempite di dinamite e il “divide et impera” per gli inglesi è una passeggiata nel parco; sono maestri nell'agitare, scuotere e destabilizzare.

Purtroppo non sarà un percorso in linea retta e sarà irto di ostacoli. Ma badate bene sempre a un fattore per capire chi vuole cosa: fate caso a coloro che parlano di accordi e coloro che invece vogliono alimentare il conflitto per il proprio tornaconto. 


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lunedì 30 giugno 2025

La tassa canadese sul digitale smaschera il piano globalista di Bruxelles

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-tassa-canadese-sul-digitale-smaschera)

Ora le carte sono sul tavolo. Nel mezzo della fase accesa dei negoziati commerciali con gli Stati Uniti, il Canada sta introducendo una tassa digitale che graverà sulle spalle dei giganti tecnologici americani con miliardi di dollari di costi. In risposta il presidente Trump ha interrotto i colloqui con Ottawa e ha annunciato nuovi dazi.

Tra i giocatori di poker, c'è il giocatore che è freddamente calcolatore: calcola le probabilità, soppesa i rischi e gioca le sue carte con sobria precisione. Accanto a lui c'è il giocatore d'azzardo: impulsivo ma non sconsiderato; agisce in modo spettacolare, ma all'interno di una struttura strategica che padroneggia con virtuosismo. Ora immaginate un'eccezione patologica accanto a questi archetipi: un giocatore che rivela le sue carte prima ancora che il round inizi, per poi andare all-in subito dopo. Il Primo Ministro canadese Mark Carney rientra in questa categoria.


Il governatore di Bruxelles in Nord America

L'ex-governatore della Banca d'Inghilterra, convinto globalista e crociato per il clima, e in seguito al clamoroso fallimento di Justin Trudeau nuovo garante dell'agenda europea in Nord America, si è trovato invischiato in un gioco geopolitico più grande di lui con l'annuncio di una tassa digitale sulle aziende tecnologiche straniere.

L'imposta entrerà in vigore il 1° luglio, con effetto retroattivo al 1° gennaio 2022, e colpirà le aziende tecnologiche straniere con un fatturato superiore a $20 milioni con un'aliquota del 3%. Ottawa ne chiede il pagamento, puntando la sua freccia al cuore della potenza economica americana, la Silicon Valley. Giganti statunitensi come Apple, Meta e X dovranno pagare sanzioni per oltre due miliardi di dollari.

Un affronto nel peggior momento possibile (o l'escalation era pianificata?), messo in atto da un primo ministro che giocava una mano debole da una posizione di debolezza. Proprio come in Germania, la produttività e il reddito pro-capite sono diminuiti dopo i lockdown: il programma di regolamentazione climatica, il caos migratorio e uno stato socialista di redistribuzione, ispirato dall'UE, sta aprendo una nuova strada alla paralisi economica nella società.

Carney si dimostra il candidato ideale per quell'élite globalista che sta guidando il Canada, ricco di risorse, verso la prossima fase del suo declino. Nei negoziati con Donald Trump, agisce in piena conformità con la scuola negoziale di Bruxelles: avanza richieste sconclusionate, rifiuta qualsiasi forma di compromesso e dà pubblicamente priorità ai principi ideologici rispetto a un percorso negoziale razionale.


Non aver capito il punto di svolta

Ma questa volta il copione sembra prevedere una svolta: la risposta di Washington è stata rapida e decisamente brusca. Trump ha definito la leadership politica canadese una “copia dell'UE” in risposta alla tassa digitale di Carney, avvertendo che presto seguiranno nuovi dazi statunitensi.

Infatti Ottawa sta seguendo fedelmente la linea di Bruxelles: leggi sulla censura, regolamentazione delle piattaforme mediatiche, pressioni fiscali sulle aziende statunitensi, il tutto volto a spezzare il dominio americano nel mondo digitale e, come beneficio collaterale, ad alleviare un po' il bilancio statale già in difficoltà. Cosa spinga un primo ministro, in questa fase dei negoziati commerciali, ad andare al massimo diventa chiaro se si segue la linea suggerita da Trump e si considera il Canada come un satellite dell'UE (che diversamente da quest'ultima è ricco di risorse invece). Carney ha familiarità solo con la strategia della terra bruciata.

Pertanto la risposta intransigente di Trump invia un segnale inequivocabile a Bruxelles: l'era della diplomazia è finita. Bisogna muoversi.


Trump smaschera la macchina delle bugie di Bruxelles

In quanto europei che rivendicano la libera autodeterminazione e la sovranità individuale, dovremmo essere grati a Donald Trump. Come all'inizio della controversia commerciale con l'UE, egli punta un'enfasi sfacciata sul protezionismo di Ottawa nel caso del Canada. L'opinione pubblica ha bisogno di maggiori prove di questo protezionismo, spesso abilmente mascherato, di Bruxelles e della sua filiale canadese. Trump ha menzionato esplicitamente nella sua risposta a Carney la barriera tariffaria fino al 400% imposta dal Canada all'agricoltura americana ben prima che iniziasse questa partita.

Menzogne, manipolazione moralizzatrice dell'opinione pubblica e protezionismo a sangue freddo: ecco come si può descrivere in modo più chiaro la linea di Bruxelles.

Nel discorso pubblico l'Unione Europea si presenta sempre come la paladina del libero scambio, come una potenza liberale e aperta agli occhi dell'ordine pubblico. Dietro le quinte travolge i concorrenti extraeuropei con una rete di obblighi di armonizzazione, normative climatiche e codici di condotta che uccidono la concorrenza leale fin dalla nascita. Un libero scambio con barriere all'ingresso integrate e un campo minato per scoraggiare i nuovi arrivati: tecnicamente ben confezionato, moralmente giustificato, economicamente devastante.

La linea dura di Trump nei confronti di Bruxelles e del Canada mette in luce la realtà geopolitica. È prevedibile che nella disputa commerciale con Bruxelles incontreremo altri strumenti, finora non rivelati, del protezionismo europeo. Come già detto: le carte sono ora sul tavolo.


Segnale di avvertimento ai “Five Eyes”

Il goffo tentativo di escalation del primo ministro canadese ha messo in luce una faglia geopolitica: da un lato gli Stati Uniti e i suoi partner, fedeli ai valori della libertà (si pensi al presidente argentino Javier Milei); dall'altro si sta formando un cartello globalista, guidato da Bruxelles, l'Unione Europea e dai suoi satelliti come Ottawa. Grazie alla svolta politica interna dell'amministrazione Trump, questa differenza è ormai lampante. Mentre in Europa la politica, i sindacati, le chiese e il “cordone sanitario” dell'agenda verde-socialista – composto da una miriade di ONG e media statali – difendono ciecamente l'agenda woke sul clima e sulla ridistribuzione, negli Stati Uniti il ​​vento è già cambiato.

I violenti scontri nelle roccaforti della California, fortemente influenzate dagli europei, sottolineano la crescente pressione esercitata dalla nuova amministrazione statunitense su questi contesti. Lo stesso vale per la politica migratoria. Qui il divario tra Stati Uniti e Unione Europea è così ampio che persino l'occhio allenato, che guarda attraverso le lenti della propaganda europea, non può più ignorare la realtà: gli Stati Uniti stanno finalmente gestendo come si deve la crisi migratoria e stanno tornando alla serietà politica interna.

Trump invia un segnale chiaro al mondo occidentale: chiunque tenti di appropriarsi della forza innovativa americana, o di bloccarla attraverso la regolamentazione, verrà dichiarato un paria senza esitazione. Diffuso tramite la piattaforma social di Trump, Truth Social, questo messaggio di ieri è rivolto all'UE, al Canada, all'Australia, al Regno Unito e all'industria tecnologica della Silicon Valley, che ora può contare sul sostegno della Casa Bianca.

“Faremo sapere al Canada quali dazi dovrà pagare per fare affari con gli Stati Uniti d'America”, ha dichiarato Trump. Il presidente degli Stati Uniti non sta solo imponendo una sanzione economica: sta mettendo in luce i veri rapporti di forza, visibili ormai a tutti. Chiunque voglia fare affari col più grande mercato unico del mondo dovrà accettare le regole del Paese ospitante. Questo è il nuovo sistema a cui la gente dovrà abituarsi, e in fretta.


Il nuovo ruolo dell'America

Proprio come nella politica monetaria, dove gli Stati Uniti sono riusciti ad abbandonare la City di Londra e il meccanismo LIBOR controllato dalle banche europee introducendo il sistema SOFR, un nuovo corso americano sta emergendo geopoliticamente. Anche il viaggio di Trump in Medio Oriente a maggio ha segnato un nuovo tono: gli affari sono diventati centrali e stanno emergendo i primi tentativi di un nuovo ordine mercantile nella regione. Che si tratti di Arabia Saudita, Qatar o Emirati Arabi Uniti, Trump li ha convinti tutti a investire centinaia di miliardi di dollari nella reindustrializzazione degli Stati Uniti.

Nessuna moralizzazione europea, nessuna politica divisiva volta a consolidare il potere a livello locale: Trump osa riorganizzare il Medio Oriente.


Settimane frenetiche in arrivo

E l'Europa? Proprio come nel caso dell'eliminazione del programma nucleare iraniano da parte dell'esercito statunitense, o dell'accordo sulle terre rare che coinvolge l'Ucraina, la politica europea non svolge più nemmeno un ruolo di supporto. È diventata irrilevante. Ci sono battaglie di ritirata e distrazioni, come la tassa digitale del Canada, che rivelano la debolezza geopolitica del Vecchio Continente. L'Europa è bloccata sulla difensiva, dipendente dai flussi energetici di terze parti, invischiata nel conflitto ucraino e impotente nella gestione del commercio globale.

Trasferendo questa perdita di rilevanza geopolitica degli europei ai prossimi negoziati commerciali con gli Stati Uniti, possiamo aspettarci spettacolari capovolgimenti di fronte a Bruxelles, battibecchi mediatici e la consueta diffamazione del presidente degli Stati Uniti da parte dei media generalisti. L'Eurocartello e i suoi alleati devono ancora compiere il balzo in avanti, intellettualmente o politicamente.

Proprio come Bruxelles presume erroneamente di averla fatta franca con Trump, che accetta l'obiettivo NATO del 2% come sufficiente per ora, sperando di ricadere in schemi comportamentali e tattiche di perdita di tempo ormai familiari, un'amara verità incombe su questa disputa commerciale: gli Stati Uniti fanno sul serio e risolveranno i loro problemi interni tornando ai valori americani di economia di libero mercato, stato minimo e responsabilità personale. E questi valori saranno difesi all'estero con la massima severità.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 19 maggio 2025

Il gorgo della giustizia strumentalizzata

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Ramesh Thakur

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-gorgo-della-giustizia-strumentalizzata)

Come in una brutta barzelletta del tipo “Quando un pollo entra in un pub”, quando i querelanti entrano in un'aula di tribunale e incontrano giudici favorevoli alle ingiunzioni, il risultato è un gorgo di giustizia strumentalizzata. Nel discutere dell'attuale scompiglio giurisdizionale tra l'esecutivo e la magistratura statunitense, trovo impossibile ignorare il totale fallimento dei tribunali nel proteggere i diritti, la dignità e la libertà delle persone sotto l'attacco totale dello stato amministrativo durante gli anni della “pandemia”.

Negli ultimi anni è diventato tristemente evidente che la minaccia più grave alla teoria e alla pratica della democrazia non è l'ascesa del populismo, con aspiranti fascisti e neonazisti come tribuni seducenti, ma élite tecnocratiche che nutrono un disprezzo a malapena celato per le convinzioni politiche e il comportamento elettorale dei “deplorevoli”. Inoltre, mentre le barriere di resistenza all'avanzata populista crollano una a una sotto l'assalto degli elettori infuriati, l'ultima frontiera della resistenza delle élite sono i tribunali. Il clero giurisprudenziale – avvocati, professori di diritto e giudici – fa parte dell'élite al potere e rappresenta l'ultima linea di difesa per salvaguardare le vittorie già ottenute dai sostenitori della giustizia sociale nella loro lunga marcia per conquistare le istituzioni.


Fallibilità dei giudici

A differenza di ogni altra professione, la magistratura è infallibile? Chiaramente no, altrimenti non sarebbe stata complice della più grande violazione delle libertà delle persone durante gli anni della “pandemia”. Ogni Paese con uno stato di diritto credibile, di tanto in tanto, ribalta condanne ingiuste del passato. Tra gli esempi australiani più noti ci sono quelli di Lindy Chamberlain e del cardinale George Pell.

Di conseguenza i giudici sono individualmente infallibili e liberi da qualsiasi influenza di pregiudizi, convinzioni ed esperienze di vita personali? Anche in questo caso, chiaramente no. Se lo fossero, in ogni singolo verdetto emesso da un collegio di giudici, essi sarebbero unanimi e potremmo risparmiare tempo e denaro eliminando i vari gradi di appello. Dall'Australia si consideri ancora una volta il caso del cardinale Pell. Condannato da una giuria, la condanna è stata confermata con 2 voti a 1 dalla Corte d'appello statale, ma ribaltata all'unanimità dall'Alta corte d'Australia (la nostra Corte suprema). Stesse leggi, stesse prove, sentenze diverse.

Ogni giudice è un esempio di integrità e competenza giudiziaria? No. Alcuni sono corrotti o colpevoli di altri atti illeciti. Molti altri, sospetto, sono incompetenti piuttosto che disonesti o corrotti. I meccanismi per riconoscere l'incompetenza sono meno e meno invocati rispetto a quelli per individuare e punire la corruzione e gli illeciti. Eppure, anche su questi ultimi non si può sempre fare affidamento.

La notte del 14 marzo, in India, la residenza ufficiale di un giudice dell'Alta corte di Delhi, il giudice Yashwant Varma, è andata a fuoco. Vigili del fuoco e agenti di polizia, accorsi per domare l'incendio, hanno scoperto sacchi di iuta pieni di denaro bruciato. Il Commissario di polizia ha contattato il Presidente della Corte suprema di Delhi, il 15, per informarlo degli sviluppi, il quale a sua volta ha trasmesso le informazioni alla Corte suprema dell'India. Il Presidente di quest'ultima ha istituito un collegio di tre giudici per indagare sulla questione e la sua relazione, pubblicata online (con alcune modifiche) nell'interesse della trasparenza, dato l'intenso interesse pubblico, ha dimostrato che c'erano i presupposti per un'indagine completa e adeguata. Nel frattempo il giudice Varma è stato trasferito a un'altra Corte suprema (nonostante la protesta dell'ordine degli avvocati di quella Corte) in attesa di ulteriori indagini e provvedimenti.

L'accenno di corruzione sarebbe molto probabilmente passato inosservato se non fosse stato per il fortuito incendio scoppiato nell'abitazione del giudice. Questo di per sé è un atto di accusa all'inadeguatezza dei meccanismi di controllo per i giudici.

Un'ultima domanda preliminare: a differenza di tutti gli altri rami del governo, la magistratura e i giudici devono essere immuni dallo scrutinio degli stessi tribunali ed essere, quindi, rimessi al loro posto? Suppongo che una distribuzione così perfetta di autodisciplina tra i rami del governo sia possibile ma, essendo un vecchio cinico, perdonate il mio scetticismo. Non tutti i giudici hanno la consapevolezza di sé e la forza di carattere necessarie per resistere alla tentazione di abusare dei propri poteri e della propria autorità. Al contrario, i giudici hanno un interesse collettivo ad ampliare la portata della propria autorità su tutti gli altri settori e, di conseguenza, a proteggersi dalle pressioni altrui.

Un quesito successivo è: come si può conciliare il lento e deliberato processo decisionale giudiziario con la necessità di un'azione talvolta urgente da parte dell'esecutivo? La magistratura è abituata alla propria sequenza e al proprio ritmo di azione, pertanto, per i giudici, l'assoluzione definitiva del cardinale Pell da parte dell'Alta corte d'Australia è stata un trionfo delle istituzioni e del processo giudiziario. Per i comuni mortali il processo è stato una punizione in sé e la pena di 405 giorni trascorsi dietro le sbarre è stata un grave errore giudiziario.

In altre parole, dalla data dell'atto d'accusa nel giugno 2017, passando per due processi con giuria, un primo appello fallito, l'ultimo appello con esito positivo, il rilascio dal carcere nell'aprile 2020 e la morte nel gennaio 2023, ancora incapace di purificare completamente la macchia di pedofilia, più della metà del tempo che gli è rimasta da vivere sulla Terra il cardinale Pell l'ha passata tra processi e una punizione dolosa da parte di una schiera di attivisti anticattolici assetati di sangue. La nazione esigeva un capro espiatorio per gli abusi sessuali sui minori da parte del clero cattolico. Scrivo questo non solo da non cristiano, ma da ateo.


La strumentalizzazione della giustizia e la presa ideologica dei giuristi

Negli Stati Uniti, nei primi due mesi di Trump, sono state presentate più di 125 cause legali per contestare le sue linee di politica, principalmente contro i tentativi di ridimensionare dipartimenti e agenzie governative. Di recente, in un solo giorno, i giudici distrettuali hanno ordinato la sospensione degli ordini esecutivi di Trump nei confronti dello smantellamento della USAID, il ripristino dei finanziamenti DEI da parte del Dipartimento dell'Istruzione, la sospensione dei voli di espulsione di presunti membri di gang venezuelane e la sospensione del divieto di ingresso nell'esercito per i membri transgender. Trump ha forse sbagliato o esagerato nell'affermare che “questi giudici vogliono assumere i poteri della Presidenza”, che quest'ultima a volte deve “agire rapidamente e con decisione” e che gli Stati Uniti “sono in guai seri” se la Corte Suprema si rifiuta di “risolvere questa situazione tossica e senza precedenti” con urgenza?

Un articolo pubblicato sul Journal of Legal Studies nel gennaio 2018 osservava che, sulla base delle donazioni ai partiti, nel 2012 una minoranza del 35% degli avvocati americani e appena il 15% degli oltre 10.000 professori di diritto erano conservatori. I tre autori dello studio hanno osservato che all'epoca i conservatori controllavano tutti e tre i rami del governo federale e oltre due terzi dei governatorati e delle assemblee legislative statali, mentre gli elettori che si identificavano come conservatori superavano numericamente i progressisti con un rapporto di 35 a 24.

La patologia dell'uniformità ideologica e del disallineamento con l'opinione pubblica è peggiorata considerevolmente da allora. Derek Muller, professore di diritto alla Notre Dame University, dal 2017 all'inizio del 2023 ha esaminato le donazioni politiche dei professori di diritto per partito politico (queste informazioni sono di dominio pubblico negli Stati Uniti). Con sorpresa di nessuno, la loro inclinazione era preponderante verso i Democratici. Dei 3.284 donatori della facoltà di giurisprudenza in quel periodo di oltre cinque anni, il 95,9% ha donato denaro solo ai Democratici, il 2,7% ai Repubblicani e l'1,5% a entrambi i partiti. Scomponendo le donazioni in dollari, il 92,3% è andato ai Democratici e il 7,7% ai Repubblicani. Delle oltre 100 istituzioni esaminate da Muller, ognuna aveva più Democratici registrati che Repubblicani nella facoltà di giurisprudenza, per lo più con ampi margini.

Qualcuno crede seriamente che questo non porti a una discrepanza ideologica tra il clero giurisprudenziale nelle aule di tribunale e tra i giudici e il popolo americano?

Il giudice distrettuale James Boasberg ha ordinato la sospensione dell'espulsione di oltre 250 venezuelani illegali con legami con la gang Tren de Aragua, un'organizzazione terroristica straniera designata come tale a livello federale. Il giudice Boasberg fa parte della bolla di Washington. Questa città ha votato per la candidata democratica Kamala Harris contro Trump con un margine schiacciante del 93,6% contro il 5,5% (con lo 0,9% di voti per posta). Ai voli già in corso è stato intimato di rientrare. L'ordinanza del giudice non ha avuto luogo perché, secondo il governo, gli aerei si trovavano già nello spazio aereo internazionale e quindi la direttiva di non “trasferirli” dagli Stati Uniti era diventata vana.

Un consigliere senior di Trump, Stephen Miller, ha affermato che un tribunale distrettuale “non ha la capacità di limitare in alcun modo l'autorità del Presidente ai sensi dell'Alien Enemies Act”. A prescindere dalle opinioni degli esperti di diritto, la maggior parte degli elettori probabilmente si schiererà con l'amministrazione, sostenendo che l'entità dell'immigrazione attraverso il confine meridionale durante gli anni di Biden ha raggiunto la soglia di “invasione o incursione predatoria” ai sensi della legge, giustificandone l'arresto e la rimozione come “nemici stranieri”. Trump ha definito Boasberg un giudice di Obama “agitatore e provocatore” e che “dovrebbe essere messo sotto accusa!!!”.

I critici hanno messo in guardia contro un “attacco all'intero ordine costituzionale americano”. In una rara replica pubblica, il Presidente della Corte suprema, John Roberts (che è rimasto in silenzio quando un appello dei Democratici ha chiesto l'impeachment dei giudici), ha affermato: “Per oltre due secoli è stato stabilito che l'impeachment non è una risposta appropriata al disaccordo” sulle decisioni giudiziarie. Al contrario “il normale processo di revisione d'appello” fornisce il rimedio appropriato. Il 26 marzo la Corte d'appello degli Stati Uniti per il circuito di Washington ha confermato la sospensione temporanea delle espulsioni con una decisione a maggioranza di 2 a 1.

Roberts ignora una causa fondamentale dell'imminente crisi costituzionale: l'assenza di meccanismi che garantiscano che la magistratura rimanga al suo posto, pur esortando l'esecutivo a farlo. La separazione dei poteri impone limiti all'indipendenza di tutti e tre i rami. La magistratura non può essere l'unico arbitro della propria portata e dei propri limiti, così come di quelli del Congresso e del Presidente. Chi, allora, può identificare questi limiti? Le ingiunzioni nazionali incoraggiano gli attivisti a presentare un ricorso in una giurisdizione e con un giudice che probabilmente si mostrerà comprensivo. Inoltre “tendono a costringere i giudici a prendere decisioni affrettate, ad alto rischio e con scarse informazioni”, ha osservato il giudice Neil Gorsuch in una sentenza della Corte suprema del 2020.

L'assunto secondo cui nessun giudice agisce mai in modo ideologicamente partigiano è palesemente falso. Gli eventi nel mondo reale si muovono molto più velocemente del ritmo glaciale dei procedimenti giudiziari. Ciò significa che anche la Corte suprema deve agire più rapidamente e con decisione per frenare i giudici fuori controllo. Un'interpretazione alternativa all'allarmistica “crisi costituzionale” è quindi che le azioni di Trump possano contribuire a ripristinare l'integrità costituzionale e la responsabilità democratica, sottraendo potere e risorse allo Stato amministrativo e restituendoli al Congresso e all'esecutivo.

Le ingiunzioni nazionali da parte dei tribunali distrettuali sono rare quando Trump non è coinvolto. Secondo un articolo dell'Harvard Law Review dello scorso anno, ce ne sono state in totale 127 dal 1963 all'inizio del 2020. Più della metà (64) erano contro la prima amministrazione Trump. Nel periodo che comprende le presidenze di Bush senior e Obama, più i primi tre anni di Biden, ce ne sono state 32. Solo a febbraio di quest'anno ce ne sono state 15 contro Trump, secondo un documento depositato dal Dipartimento di giustizia presso la Corte suprema.

Il giudice Boasberg aveva precedentemente rilasciato una carta “esci gratis di progione” all'avvocato dell'FBI Kevin Clinesmith, il quale aveva modificato un'email per ottenere un mandato di cattura dal tribunale del Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA) e sorvegliare il consigliere della campagna elettorale di Trump, Carter Page. Questo fu il preludio alla bufala sulla collusione con la Russia che ha gravemente danneggiato la prima amministrazione Trump. Boasberg ha condannato Clinesmith alla libertà vigilata anziché al carcere. Ha inoltre inflitto condanne controverse ai manifestanti del 6 gennaio 2020 e ha ordinato a Mike Pence di testimoniare davanti alla giuria che indagava sul ruolo di Trump in quelle rivolte.

Data la composizione del Senato, qualsiasi tentativo di mettere sotto accusa il giudice Boasberg non è fattibile come proposta politica. Questo è diverso dal valutare la legalità dell'azione. L'impeachment può essere abusato quando viene usato come arma o come barriera contro gli abusi giudiziari. Una singola decisione errata può essere gestita tramite il normale processo di revisione d'appello. Una serie di sentenze che dia adito al timore di parzialità può costituire un reato passibile di impeachment. Inoltre la crisi si è intensificata fino a questo punto a causa della timidezza istituzionale e della codardia della Corte suprema.

Roberts aveva precedentemente espresso preoccupazione per la “legittimità istituzionale” della magistratura federale. Una conseguenza prevedibile del suo implicito rimprovero a Trump è stata quella di incoraggiare giudici attivisti e ONG a ritardare e ostacolare il presidente nell'attuazione del suo programma politico approvato dagli elettori. Contrariamente a quanto afferma, il processo d'appello non ha funzionato in modo efficiente. La Corte suprema deve intervenire rapidamente per frenare l'eccesso di potere giudiziario dei giudici distrettuali e adottare sistemi ordinati di decisione in materia di urgenza.

Il senatore dello Utah, Mike Lee (R-UT), ha proposto una legge che impone a un collegio di tre giudici provenienti da diversi distretti – due giudici distrettuali e un giudice della Corte d'appello – di pronunciarsi sulle contestazioni ai provvedimenti presidenziali, con la possibilità di presentare ricorso direttamente alla Corte suprema. Questa potrebbe non essere la formula migliore, ma sembra un miglioramento rispetto all'attuale sistema imperfetto.


La patologia non è limitata agli Stati Uniti

Nel febbraio 2020 l'Alta corte australiana ha stabilito, con una controversa sentenza a maggioranza di 4 a 3 nel caso Love contro Commonwealth, che un aborigeno australiano che non sia effettivamente cittadino australiano non può essere considerato uno “straniero” ai sensi della Costituzione. A differenza dei non aborigeni residenti che non sono cittadini, gli aborigeni australiani non possono essere espulsi nemmeno se condannati per un reato. A quanto pare mantengono un legame mistico e inalienabile con la terra e il Paese.

Possiamo comprendere come e perché questa strana interpretazione della Costituzione sia potuta nascere analizzando una controversia che coinvolge una facoltà di giurisprudenza australiana. Nelle ultime due settimane l'Australian ha pubblicato una serie di articoli sull'indottrinamento razziale e di genere da parte dei corsi di giurisprudenza della Macquarie University, pena la bocciatura per errori di valutazione.

Alcuni di questi articoli sono stati scritti da studenti di quella facoltà che hanno scelto l'anonimato per evitare ritorsioni. Molte delle descrizioni per il dottorato di ricerca in giurisprudenza sono incoerenti e grammaticalmente discutibili. Spesso i moduli non hanno nulla a che fare con la materia principale del corso a cui si sono iscritti. Alcuni dei giudici di domani saranno laureati in queste scuole. Ci si può aspettare che applichino il diritto senza indottrinamenti e pregiudizi radicati?

Per chiudere il cerchio, uno studente anonimo ha scritto che gli studenti sono tenuti a:

scrivere un saggio che rifletta su come una o più di queste teorie critiche degli studi giuridici siano rilevanti per il nostro argomento di dottorato. E mi è stato chiarito che ci si aspettava che includesse qualcosa di simile anche la propria tesi, indipendentemente dall'argomento.

James Allan della Queensland University, uno dei pochissimi professori di diritto conservatori in Australia, sottolinea che quando il Primo ministro Boris Johnson prorogò il Parlamento del Regno Unito per far approvare la Brexit, “tutti i giudici della Corte suprema del Regno Unito, favorevoli al Remain, hanno ribaltato tre secoli di precedenti e hanno dichiarato” incostituzionale la sua azione, nonostante il Paese non abbia una costituzione scritta. Malgrado questo precedente da parte della madre della democrazia parlamentare, la Corte suprema canadese ha confermato il potere del Primo ministro Justin Trudeau di prorogare il Parlamento, esercitato affinché il suo governo potesse evitare una mozione di sfiducia prima che il suo partito avesse il tempo di scegliere un nuovo leader sotto il quale affrontare le elezioni successive.

Il fatto che Mark Carney, che non si è mai nemmeno candidato, né tantomeno vinto un'elezione, possa essere insediato come Primo ministro è di per sé una triste accusa dello stato in cui versa la democrazia canadese. Il cambio di leadership ha completamente trasformato le dinamiche elettorali. Non si tratta forse di un'interferenza giudiziaria nelle elezioni canadesi?

Mentre molte democrazie occidentali raggiungono un punto di svolta sull'immigrazione di massa, i tribunali sono diventati il ​​luogo in cui le democrazie vanno a morire. Il Primo ministro britannico, Keir Starmer, forse il più convinto sostenitore dello stato di diritto tra i leader mondiali e lui stesso avvocato per i diritti umani, il 13 marzo si è lamentato di “una sorta di industria di controllori e bloccatori che usa i soldi pubblici per impedire al governo di rispettare le priorità dei contribuenti”.


Il disprezzo dell'élite per il popolo

È difficile non concludere che i giudici riflettano sempre più un disprezzo dell'élite per il popolo, che si estende alle scelte politiche fatte dai cittadini. Perché Trump fa inorridire così tanto il resto del mondo democratico occidentale? Beh, stiamo iniziando a capirlo. Dice quello che pensa, fa quello che dice e vuole realizzare ciò che ha promesso di fare. L'approccio britannico ed europeo all'esercizio del potere non potrebbe essere più diverso. I principali partiti trattano i cittadini come dei perfetti imbecilli, fanno campagna elettorale in versi per promettere agli elettori tutto ciò che vogliono, poi, una volta al potere, governano in prosa per fare tutto ciò che “noi, l'élite” vogliamo. Le elezioni diventano un esercizio futile.

La prova regina di questa strategia di trattare gli elettori come idioti (tenendoli all'oscuro e nutrendoli di letame) è il Primo ministro Starmer con la sua vittoria schiacciante nel Regno Unito. La prova successiva è il Cancelliere Friedrich Merz in Germania. La prova successiva ancora è il Primo ministro Anthony Albanese in Australia. Come in Germania e nel Regno Unito, la prova più lampante della realtà dell'Unipartito in Australia è come il Primo ministro, Scott Morrison, dopo aver vinto un'elezione opponendosi alla follia del cambiamento climatico, abbia abbracciato la follia di una scadenza per l'azzeramento delle emissioni di anidride carbonica al vertice ambientalista di Glasgow nell'ottobre 2021 e che violava le pari opportunità per tutti gli elettori. E il leader dell'opposizione, Peter Dutton, si rifiuta di abbandonare questa strada nonostante il resto del mondo abbia voltato pagina, soprattutto da quando Trump ha tirato fuori gli Stati Uniti dalla truffa dell'energia verde.

In Australia e nel Regno Unito gli elettori hanno ottenuto un aumento di tassazione e spesa pubblica, uno stato in espansione, immigrazione di massa e fanatismo ambientalista, a prescindere dal partito scelto alle elezioni e le loro promesse elettorali. I partiti di centro-destra nel nuovo Bundestag tedesco hanno ottenuto il 49% dei voti, contro il 28% dei Verdi e della SPD. Eppure sono proprio questi ultimi a essere tenuti da conto da Merz, utilizzando un emendamento costituzionale approvato dal Bundestag uscente, pieno di parlamentari che hanno già esaurito la carica. E tutto in nome della salvaguardia della democrazia! Chissà cosa ne pensa il vicepresidente Vance al riguardo... Nella vicina Romania la tutela della democrazia significa escludere il candidato principale dalle elezioni presidenziali, avvalorando ancora una volta le critiche di Vance alla corruzione della democrazia in tutta Europa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 18 aprile 2025

Pandemonio sui dazi... facciamo chiarezza su cosa conta davvero

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/pandemonio-sui-dazi-facciamo-chiarezza)

Molto è stato detto nelle ultime settimane riguardo i dazi, ma senza un quadro generale coerente di quello che sta succedendo si perde il motivo per cui stanno accadendo determinate cose. Non si tratta di irrazionalità, perché secondo alcuni analisti tutto quello che conta sarebbe la teoria. No, non è un mondo prefetto questo, così come non è possibile seguire alla lettera un qualsiasi manuale teorico. Che sia di libero mercato o meno. Questa è la natura dell'essere umano in fin dei conti, dell'imprevedibilità dell'azione umana. Ci avvicineremo sempre alla teoria, quanto più possibile, ma non avremo mai un percorso “da manuale”. Sottolineo, a scanso di equivoci, che la teoria deve essere un punto di partenza per tutti, allo stesso modo. L'efficienza del libero mercato non si discute, il relativo meccanismo di allocazione delle risorse economiche scarse può avvenire con efficienza e precisione in un ecosistema in cui gli imprenditori hanno accesso libero e non fuorviato alle informazioni economiche necessarie. Nessuno mette in discussione la distorsione dei prezzi come fattore scatenante degli errori economici e, di conseguenza, di una misallocation di capitale. Qual è il problema con questo impianto teorico? Perché sulla carta è vero, ma non è riflesso completamente nella realtà? Nel momento in cui si ha una nazione che mette sul piatto, volente o nolente, il proprio bacino della ricchezza reale e permette agli altri attori economici di sfruttarlo a proprio vantaggio, è possibile emendare a suddette regole. Sia chiaro: per quanto apodittiche le leggi dell'economia non possono essere violate, questo a sua volta significa che l'aggiramento di suddette leggi è temporaneo e strettamente correlato all'erosione del sopraccitato bacino.

Finché va avanti sembra che ci sia un'eccezione alle regole e che possa andare avanti per sempre; poi arriva un momento critico che ricorda di come il nostro mondo è finito e non esiste alcun albero di Cuccagna a cui attingere sempre. Questa verità è stata chiara agli USA nel momento in cui hanno compreso le profonde implicazioni del sistema del dollaro offshore. Perché pensate che la Cina fosse uno dei maggiori detentori di titoli sovrani americani altrimenti? Uno dei centri famoso per l'intermediazione degli eurodollari è Hong Kong. E di quale colonia ha fatto parte (e fa ancora parte)? Regno Unito. Tutte le strade portano a Londra, soprattutto quella degli eurodollari. Di conseguenza non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e guardare ai mercati come la massima espressione di un consenso libero delle azioni coordinate degli individui: c'è sempre stato un recinto all'interno del quale si è agito, o che è stato accuratamente manipolato. L'ambiente di mercato può essere più o meno libero, ma non esiste un estremo.... in entrambe le direzioni. In fin dei conti, è la natura umana; l'essenza dell'azione stessa degli individui. Se non fosse così, tutte le nazioni avrebbero condizioni di partenza identiche e non ci sarebbero mercati del lavoro in cui la manodopera è pagata una miseria mentre il prodotto finito, passando per le varie filiere industriali, subisce ricarichi sproporzionati.

Mi rendo conto che quest'ultimo punto porta con sé un certo grado di etica al suo interno, quindi rivolgiamoci direttamente ai rapporti di potere tra nazioni: esistono le banche centrali e l'evoluzione economica ci ha portati a vivere in un mondo manipolato ad hoc in cui addirittura i Paesi cercano di sfruttare un vantaggio competitivo per “fregare il vicino” (beggar thy neighbour). I carry trade sono essenzialmente questo. La Cina e il Sud-est asiatico l'ha fatto tramite il mercato del lavoro; i grandi centri finanziari, come la City di Londra, l'hanno fatto tramite l'ingegneria finanziaria e l'eurodollaro. Non è affatto un caso che il picco della cosiddetta globalizzazione sia coinciso con l'inizio dei lavori del SOFR americano. Il colonialismo non è mai finito e i colonizzatori, Europa e Inghilterra, non hanno mai smesso di esercitare la loro influenza sulle proprie colonie storiche. Per quanto possano essersi ritirati a livello di facciata, sono diventati “partner commerciali”, “alleati strategici”, ecc. La Cina è stata lasciata “sorgere” per fungere da strumento, di ricatto anche talvolta. I salari sono bassi in Europa perché essa si arricchisce principalmente con l’export e quindi non si interessa al mercato interno e di conseguenza della capacità di spesa dei lavoratori. In Italia i salari sono al palo per un basso tasso di capitalizzazione delle imprese e la maggior parte della ricchezza prodotta la divora lo stato, quindi le imprese hanno poche risorse da investire in innovazione e attrezzature. I salari sono bassi anche per la concorrenza asiatica che costringe i lavoratori a condizioni poco umane.

Gli Stati Uniti hanno detto “Basta!”. I fattori “correttivi” implementati dall'amministrazione Trump nei confronti del resto mondo sono una manovra per emanciparsi dal giogo finanziario che rendeva gli USA i “salvatori” del mondo. Così come rendeva la FED il prestotre di ultima istanza del mondo. I colonialisti, così facendo, si sono garantiti un lasso di tempo in cui hanno governato senza patemi d'animo tenendo ben pasciuta e senza pensieri la popolazione sottostante. C'è dell'ironia qui: la mano invisibile del mercato di “smithiana” memoria, agendo tramite gli USA che fanno i loro affari e pensano principalmente al benessere della nazione, “aiuteranno” anche le altre di nazioni a migliorare le proprie condizioni smantellando tutte quelle architetture che erano considerate assodate nel mondo globalizzato di ieri. Il passo finale spetterà a loro, ovviamente, perché anche la “non azione” è una scelta.

È sacrosanto mirare ad avere un interventismo minore sui mercati, o addirittura nullo... ciò non vuole dire ignorare le meccaniche di sudditanza coloniale che ancora operano nel mondo. Se la Cina non ha preso ancora Taiwan è perché non gli è stato dato il permesso di farlo; sviluppare la propria industria dei chip è stato un modo per ovviare a questo “inconveniente” e crearsi una alternativa per tempi peggiori. Nessuno vuole essere una vittima sacrificale. A differenza di altri, loro l'hanno letto (e capito) Sun Tzu e sanno che, oltre a sfruttare la debolezza del nemico, ciò significa non sfoggiare le proprie attraverso la retorica magniloquente sui successi.

Ma, anche così, non è la Cina l'obiettivo finale dei dazi. Il piano generale degli USA è quello di isolarsi finanziariamente da un sistema che per decenni ha sfruttato la sua di forza per “regalarla” al resto del mondo. L'ordine monetario e finanziario uscito fuori dalla Seconda guerra monidale ha reso ipertrofico il mercato dei dollari offshore e sin dal 2008 non si è più ripreso. O per meglio dire, la Legge dei rendimenti decrescenti ha fatto il suo corso. Come accaduto nel 1985 con gli Accordi del Plaza, c'è bisogno di un nuovo reset solo che stavolta è necessario eliminare la fonte di azzardo morale alla radice: la FED si riprende in casa la sua politica monetaria e sfrutta per davvero adesso il “privilegio esorbitante” del dollaro. Un cambiamento epocale che non si pensava fosse possibile si sta dipanando sotto i nostri occhi.

Oggi vi permetterò di avere le idee chiare, quindi.


L'OBIETTIVO OLTREOCEANO

L'obiettivo oltreoceano è quello di continuare ad avere quante più fonti aperte da cui fluiscono gli eurodollari affinché la City di Londra possa sottoporli a leva e controllare di conseguenza il flusso di dollari al margine che circolano all'estero. Il sistema finanziario estero, che ha piramidato la sua esistenza su questo meccanismo per decenni, ne ha bisogno disperatamente soprattutto ora che l'amministrazione Trump ha iniziato a mettere ordine nei conti fiscali della nazione (mentre la FED ha iniziato a farlo nel 2022 nella componente monetaria). Non importa lo stock di dollari, quello che davvero è importante è il flusso di dollari al margine. E questo lo sappiamo dalla classica ABC dell'economia ed è stata una verità sin dalla rivoluzione marginalista di Menger: il prezzo di ogni cosa è impostato al margine. Di conseguenza se questo flusso viene prosciugato, è necessario, per chi ne trae la propria sopravvivenza economica/finanziaria, trovare nuovi modi affinché continui a scorrere. L'essenza dei vari surplus commerciali, Cina in primis, nei confronti degli USA non sono stati altro che un modo per far continuare a scorrere il flusso di dollari all'estero. È attraverso di essi che possono essere pagate le cedole di titoli denominati in dollari emessi all'estero.

Guardate adesso alla curva dei rendimenti statunitense. C'è un pesante avvallamento tra i titoli a brevissimo e a medio termine, mentre il back-end è schizzato in alto. La seguente ipotesi non sarà verificata fino a quando non usciranno i prossimi dati del TIC, però di fronte a un'amministrazione Trump che prosciuga la fonte principale dei tuoi finanziamenti “gratis” vendi titoli sovrani americani, specialmente quelli a più lunga scadenza (trentennali), e compri quelli sul front-end. In questo modo la stampa ha magicamente un parametro per gridare “recessione!”. Chi, sin da quando Powell ha iniziato il suo ciclo di rialzo dei tassi, ha comprato più titoli sovrani americani? Secondo gli ultimi dati disponibili, dal 2021 al dicembre 2024 le banche che si possono associare a Europa e Inghilterra hanno comprato ogni anno $1.100 miliardi netti in titoli di stato americani. Perché l'hanno fatto? In modo da tenere un tetto ai rendimenti obbligazionari oltreoceano. La percezione di stabilità viene data dal tenere tali rendimenti in certe fasce di prezzo e al di fuori di esse i derivati sui tassi d'interesse iniziano a segnalare “pericolo” con tutti i relativi rischi di vendite al margine che ne conseguono. Queste “linee di demarcazione” si possono vedere negli 83 centesimi “difesi” nel cambio EUR/GBP, per tre anni è stato “difeso” il rendimento del 2,5% sul decennale tedesco, il 3% sul decennale francese, ecc.

Per tutto il tempo che la Yellen è stata in carica del Dipartimento del Tesoro ha condotto una yield curve control in concomitanza con la Lagarde, ma adesso che la prima non è più lì ecco che le cose sono diventate preoccupanti oltreoceano: la seconda deve impedire che i rendimenti sovrani europei schizzino in alto, o accelerare il crollo del mercato obbligazionario europeo tramite spesa pubblica incontrollata ed euro digitale. Se torniamo per un momento all'agosto dell'anno scorso, quando il Ministro delle finanze giapponese ha venduto dollari per comprare yen portando l'indice di quest'ultimo da 161 a 140 e causando una serie di default, sin da allora è stato abbattuto il cartry trade sullo yen e gli europei si sono ritrovati una nuova gatta da pelare nel difendere il livello 155 nel cambio EUR/YEN (e non andasse più in basso).

E questo spiega anche come mai il cambio EUR/USD sia salito oltre 1.10 più recente. Se hai già un cambio basso, come fai poi a permetterti di stampare vagonate di soldi, svalutare la divisa e portare amenità con il “piano di riarmo”?

Sin da quando Powell ha iniziato una sorta di restringimento della politica monetaria “sotto traccia” nel giugno 2021, ho iniziato a riflettere su quale potesse essere il motivo e le relative implicazioni di una mossa del genere in opposizione a quanto accadesse nel resto del mondo. Allora le politiche monetarie delle varie banche centrali erano ancora coordinate e una rottura di quel cartello era a dir poco inverosimile. La separazione tra i mercati europei e quelli americani avrebbe significato una determinazione del prezzo del dollaro negli Stati Uniti, non più in Europa o a Londra. Washington non è mai stato in grado di fare una cosa del genere in tutto il suo passato. La mia conclusione: è questa la “seconda” dichiarazione d'indipendenza americana? Tutti gli indizi raccolti finora puntano in tale direzione. Questo a sua volta significa che mettere in ordine i conti della nazione vuol dire anche mandare in bancarotta la cricca di Davos. Come? Mettendo sotto pressione i globablisti che governano il Canada, mettendo sotto pressione Starmer, mettendo sotto pressione la NATO, mettendo sotto pressione i Five Eyes, ecc.

Tutto si riduce al flusso di dollari all'estero e i dazi sono uno strumento a tal proposito.


L'OCCASIONALITÀ DEI CRASH DEI MERCATI

Ovviamente sarebbe miope affermare che tutto questo sia stato messo in piedi dall'amministrazione Trump o da lui stesso. Dietro c'è un consorzio di grandi banche della East coast che fin dal 2019 hanno lavorato per arrivare a questi risultati. Dopo il 2008 era chiaro a tutti che fosse necessario un reset del sistema post-Seconda guerra mondiale... il problema era: sotto l'egida di chi sarebbe stato governato il mondo? Se le CBDC erano un segnale, questo avrebbe significato che il comparto bancario commerciale statunitense sarebbe stato spazzato via. La spinta principale degli USA a mettersi di traverso alla cricca di Davos è stato sostanzialmente questo, perché significava altresì che non avrebbero più fatto parte della classe dirigente. Lo slogan “bonificare la palude” significava rimuovere le incrostazioni dello Stato profondo e sopratutto tutti quegli agenti “infiltrati” che non facevano il “bene” della nazione.

L'innesco fu acceso da JP Morgan quando a settembre del 2019 alimentò la crisi dei pronti contro termine rifiutandosi di accettare come garanzia collaterale titoli europei. Jamie Dimon diede il via al distaccamento tra il sistema bancario europeo e quello americano in attesa che il SOFR sarebbe entrato a pieno regime successivamente. Allarmata da quell'evento monumentale la cricca di Davos ha scatenato letteralmente l'inferno, sia a livello economico che sociale, e la guerra contro gli USA venne scatenata allora. L'attesa della riconferma di Powell durata più di 6 mesi e i piani di stimolo fiscale furono tentativi per forzare la mano alla FED e rompere il consorzio di suddette banche. Fortunatamente per queste ultime la loro capillarità a livello territoriale ha resistito e sono riuscite a reggere il colpo fino al 2022. Se Powell ha agito come ha fatto era perché sapeva di “avere le spalle coperte”.

Il crash del 2019 poteva sembrare l'ennesima Bear Stearns, così come quello del 2023 con le banche di San Francisco, invece faceva parte di un disegno molto più grande che per forza di cose richiedeva dolore economico. Così come nel 1934 vennero lasciate fallire migliaia di piccole banche per avere la giustificazione e istituire la FDIC. Lo stesso vale per il crash più recente sui mercati azionari. Un'intera generazione di trader è stata cresciuta secondo il credo fasullo che i mercati sarebbero sempre saliti, che ogni correzione sarebbe stata assorbita dalla stampante monetaria della banca centrale. La storia del DOGE ci sta insegnando che il pompaggio monetario principale scaturiva dal Dipartimento del Tesoro che a sua volta costringeva la FED a intervenire e di conseguenza tenere liquido il flusso di dollari che scorreva all'estero, alimentando di conseguenza livelli di leva finanziaria esorbitanti. Una volta che questo flusso è stato interrotto, o per meglio dire, viene gestito dal tasso deciso dalla Federal Reserve e non più dal tasso deciso al di fuori di essa, il panico risultate è tutto all'estero. La prova? Tutte le altre banche centrali hanno tagliato i tassi più rapidamente rispetto alla FED. Infatti finché il mercato obbligazionario statunitense non diventerà bidless, la FED resterà a bordo campo. Per quanto la stampa voglia farlo credere invece, in realtà le cose stanno all'opposto soprattutto se si guarda l'ultima asta dei trentennali.

Inoltre se si vuole avere un proxy per capire quando la FED abbasserà i tassi, il seguente grafico è tutto ciò di cui avete bisogno.

Il range di riferimento sarà tra 3-3,5%. Non tornerà più allo 0%. I tassi reali inoltre saranno influenzati dalla retorica ottimista negli USA (“andremo su Marte!” ad esempio), cosa che li sta pian piano abbassando. Un termometro di ciò è la popolarità di Trump negli USA.

Guardate a quello che fanno, non quello che dicono. E con ciò mi riferisco al fatto che per quanto possa sembrare che ci sia maretta tra l'amministrazione Trump e la FED, in realtà non c'è. C'è coordinamento (anche perché sappiamo che dietro Trump c'è il consorzio delle banche della East coast). Questo significa che molto probabilmente a giugno la FED taglierà nuovamente i tassi. La cosa davvero unica di questo periodo, comunque, sarà la scissione tra il dollaro che circolerà internamente e quello che circolerà esternamente, a livello internazionale. Di questo a Trump non importa niente ed è quello la cui offerta si sta restringendo e per cui Bruxelles e la City si stanno stracciando le vesti.

La pianificazione centrale è fallimentare, ovvio. Ma qui la domanda è una: gli americani credono davvero che la linea di politica di Trump sia fallimentare?

E dopo Argentina e Vietnam, le prime nazioni a presentarsi alle porte dell'amministrazione Trump, è arrivata la Francia. E l'elenco si è subito allungato. Questa storia mi ha ricordato il primo episodio della prima stagione di Black Mirror: prima nessuno avrebbe voluto cedere le armi (commerciali) agli USA... una volta che l'orologio ha iniziato a correre e si vedeva che Trump faceva sul serio ci si è adeguati. Avevate dubbi? Stesso copione già visto con Powell nel 2022 quando ha iniziato il ciclo di rialzo dei tassi. Allora ci mise diversi mesi a “convincere” i mercati che faceva sul serio, adesso hanno imparato la lezione. Ricordate, Power policy.


LA PRIORITÀ

Seguendo tale linea di politica, le turbolenze vengono affrontate a testa alta. Infatti Bessent è stato chiaro nella sua ultima intgervista da Carlson: parafrasando le sue parole, ciò che conta per l'amministrazione Trump è il mercato obbligazionario e la gestibilità dell'enorme debito pubblico. Sia la FED che l'attuale classe politica non si faranno spaventare da correzioni nei mercati azionari. A tal proposito i rapporti P/E sono ancora fuori scala, quindi aspettarsi un altro bel crash nel comparto azionario non solo è necessario ma anche fisiologico. Senza farsi spaventare neanche da nuove buzzword come col “basis trade”. Prima di tutto uno dovrebbe domandarsi dove gli hedge fund hanno preso gli asset necessari per poi sottoporre a una leva più alta di quella media i propri bilanci in un momento storico incerto come quello di oggi (la risposta è che i loro bilanci fanno parte del cosiddetto “sistema bancario ombra” nutrito ad hoc da leggi come la Dodd-Frank... approvata, guarda “il caso”, dall'amministrazione Obama). Inoltre, come ho scritto sopra, l'avvallamento nella curva dei rendimenti che ci presenta un'inversione (artificiale) tra il front-end e il medio termine (biennale) non è motivo di panico perché i tassi nei mercati dei pronti contro termine non sono stressati.

Lo ripeto, sono stati venduti titoli sul back-end della curva, preso dollari e, per non far salire quest'ultimo rispetto all'euro, sono stati comprati i titoli sovrani a breve-medio termine. In un anno in cui giungono a maturazione $7.000 miliardi in obbligazioni da rinovare, eventualmente, trovarsi per le mani la percezione di recessione tra il pubblico (come se non ce ne fosse stata una sin dal 2008 e che solo adesso ne vengono affrontate le conseguenze) è un ostacolo non indifferente da superare. La cricca di Davos, sebbene abbia come obiettivo finale il flusso di dollari all'estero, deve adesso screditare l'attuale amministrazione Trump dato che le sue azioni sono risultate la giusta medicina per il ritorno al benessere interno e di conseguenza una sobrietà finanziaria all'estero. È questo che rappresenta la fine della “globalizzazione”: la fine dell'interconnessione finanziaria dove gli Stati Uniti rappresentano il prestatore/creditore di ultima istanza del mondo intero... senza conseguenze derivanti da una corretta ponderazione del rischio.

Paradossalmente, quindi, essa è la prima a volere tassi di riferimento alti negli USA: è consapevole che ora esistono barriere al flusso di dollari che scorrono all'estero, quindi deve fare affidamento sulle banche centrali che controlla, come la BCE e la BoE. Facedo apparire queste ultime proattive e “responsabili”, si conferisce la percezione (errata ovviamente) che la FED, rialzando o tenendo i tassi dove sono ora, sia invece irresponsabile e inaffidabile. Visto che ci troviamo in un ambiente economico in cui l'inflazione è commodity driven (vi basta guardare la correlazione tra l'IPC e i futures sulla benzina), e non credit driven (almeno non attualmente), Powell sarà in grado di tagliare di 25 punti base.

Il copione è quello già visto durante la presidenza Reagan, dove anch'egli agì velocemente nei primi mesi della sua carica per sistemare l'equazione fiscale e portare dalla sua la Federal Reserve di Volcker. Le azioni del DOGE, gli sprechi scoperti da quest'ultimo, vanno nella stessa direzione per avere successivamente carte da giocare durante le elezioni del prossimo anno. Uno degli aspetti su cui l'amministrazione Trump ha avuto maggiore successo è stato quello di smascherare i veri nemici dell'America: la classe dirigente canadese, la classe dirigente europea e la classe dirigente inglese. Uno degli aspetti su cui ha avuto minore successo è stato il mancato arresto eclatante di qualche pezzo grosso all'interno dello Stato profondo americano.

Questa è una guerra e non tutte le battaglie possono essere vinte; a volte bisogna anche tirarsi un attimo indietro e far fare la mossa successiva all'avversario. La guerra verrà vinta una volta che la cricca di Davos sarà mandata in bancarotta e verrà fortemente ridimensionato il potere che dispone, e quest'ultimo dipende da come può utilizzare a suo vantaggio l'arbitraggio tra valute. Non è un caso che il Forex sia il mercato più grande di tutti, data la leva presente, e che sia intermediato in gran parte a Londra. L'amministrazione Trump, finora, non ha fatto altro che smascherare il modo in cui la cricca di Davos acquista consensi nel sottobosco degli stati, nelle incrostazioni burocratiche che alimenta, ed è così che può agire liberamente. Ecco perché in politica circolano le stesse facce da anni e la gente si chiede chi mai li possa votare. Una volta, però, che si ferma il flusso di denaro che può essere sequestrato da agenti malevoli e si prosciugano quei bacini attraverso i quali si indirizzavano artificialmente le linee di politica di una nazione, Stati Uniti in particolare, il risultato è quanto di più auspicabile ci si possa aspettare.

Se questa gente non verrà fermata, qui e ora, saranno guai per tutti. E i mercati dei capitali sono la chiave.

 

CONCLUSIONE

Non esiste il mondo perfetto. La teoria è un'indicazione della giusta direzione, ma poi c'è l'azione umana. Questo passaggio pare sfuggire a molti. Questo per dire che ultimamente leggo molti analisti e commentatori che rimangono fermi sulla teoria senza voler affrontare la realtà pratica delle cose. Allora facciamo così, andiamo fino in fondo alla teoria.

I dazi, nessuno può negarlo, sono tasse e deviano artificialmente il corso dei mercati. Ora, torniamo all'epoca degli economisti che per primi hanno messo giù le tesi riguardo questo argomento (Smith, Ricardo). In un gold standard se l'oro è trattato $40 più in alto a Pechino rispetto a Londra, gli arbitraggisti si muoveranno per comprare oro in quest'ultima città e spedirlo in Cina. In questo modo l'ampiezza dell'arbitraggio che s'è venuto a creare man mano si riduce fino a scomparire. Se suddetti analisti credono nei mercati e nel loro dinamismo non possono negare questo fenomeno. Il libero mercato fa una cosa meglio di tutti gli altri sistemi: permette di trarre vantaggio dagli arbitraggi. Volete un esempio più recente: l'evoluzione di Bitcoin. Quando iniziarono a spuntare fuori i primi exchange, si vennero a creare anche grandi possibilità di arbitraggio tra di essi data la differenza di prezzo che proponevano. È la chiusura degli arbitraggi tra di essi, attraverso gli “speculatori”, che ha aiutato a stabilizzarne il prezzo nel tempo.

Quando esiste un arbitraggio che “si rifiuta” di chiudersi, e che dovrebbe chiudersi, c'è qualcosa che impedisce che accada. Inutile dire che bisogna liberarsene di quel qualcosa. Il surplus commerciale subito dagli USA a vantaggio delle grandi economie del primo mondo (Cina, Europa, Inghilterra) s'è rivelato un arbitraggio che “s'è rifiutato” di chiudersi. Cosa gli impediva di chiudersi: normative, multe mascherate da dazi, costo del lavoro, costo degli input, ecc. Come si cerca di risolvere tutte queste cose in un colpo solo? Imponendo reciprocità nei trattamenti commerciali. È il miglior modo per affrontare la cose? Non lo so. Ma questa è la “Power policy” e bisogna farsene una ragione perché il mondo è mutato sin dal 2022.

Infatti la cosa meno compresa di tutte, e che fino al 2022 ho faticato anche io a comprendere, è il sistema degli eurodollari: il principale ostacolo alla chiusura del sopraccitato arbitraggio. Ecco perché il mio ultimo libro, Il Grande Default, verte su questo tema e grazie a questo esercizio diventa più facile mettere insieme tutti i puntini. Avendolo scritto io questo libro, è ovvio che cerchi di pubblicizzarlo quanto più possibile. Ma al di là di ciò rappresenta un manuale che permette di diradare quella nebbia di inconsapevolezza che ancora aleggia tra i commentatori comuni. Lasciamo stare la stampa. Per quanto si possa “attaccare” l'amministrazione Trump per certe linee di politica, qui non si tratta di “ciò che si vede”. Già dal mio secondo manoscritto pubblicato, La fine delle fallacie economiche, vi ho insegnato a vedere “ciò che non si vede”. Infatti si tratta del consorzio delle banche della East coast che infine hanno individuato la causa principale del continuo sprofondare degli USA in crisi. Uno dei punti cardine che leggerete nel libro è la differenza tra LIBOR (tasso a cui veniva determinato il prezzo del dollaro offshore secondo il “giudizio” della City di Londra) e il SOFR (tasso a cui viene determinato il prezzo del dollaro in base a fattori interni). È un caso secondo voi che i dazi sono entrati in vigore all'inizio di aprile e l'ultimo contratto intermediato dal LIBOR è scaduto il 30 marzo? La portata della guerra commerciale è più ampia di quanto leggete sulla stampa.

Riuscire a manipolare la domanda di dollari all'estero rappresentava uno strumento di potere non indifferente per la City. Ora invece ciò che accade negli USA rimane negli USA: non sono più le banche europee e inglesi a impostare il prezzo del dollaro all'estero, ma quelle statunitensi e la FED. Inutile dire che la City e Bruxelles sono i perdenti forti, dato che non possono più accedere, come prima, a un dollaro più economico. Questo a sua volta significa che, internamente, il dollaro potrà essere indebolito, mentre all'estero potrà essere lasciato salire per fungere da meccanismo di “persuasione” (e a tal proposito entrano in gioco i dazi). Sobrietà finanziaria, ponderazione reale del rischio e correzioni violente se necessario... ma soprattutto non più gli USA a salvaguardare tutte le operazioni finanziarie del mondo e pagarne il prezzo (in termini di ricchezza reale risucchiata all'estero) in caso di fallimento.

È questo il cambiamento gigantesco nella “globalizzazione” che sta avvenendo nel sottobosco e non notato; è questo “mondo” che gli USA stanno abbandonando e riformando. L'interconnessione finanziaria degli anni pre-2022 era una certezza di importare le debolezze economiche altrui e “pagare di tasca propria” per risolverle. Sono queste connessioni che vengono tagliate, come sta accadendo nel mercato dell'oro ad esempio: il metallo giallo estratto negli USA rimane lì e non viene più spedito in Svizzera o a Londra attraverso il COMEX.

Dopo la contrazione dell'offerta di eurodollari da parte della FED con l'avvio del SOFR, per tutte quelle nazioni che usavano tale mercato come volano attraverso il quale accedere a dollari facili e nascondere sotto il tappeto (degli USA però) i loro problemi, era fondamentale mantenere un avanzo commerciale nei confronti degli USA. Questo permetteva ai dollari di fluire all'estero attraverso di esso, impedendo agli arbitraggisti di chiudere questo divario (es. imposizioni commerciali non reciproche europee, armonizzazione fiscale col resto del mondo, ecc.). Era vero per l'Europa ed è ancor più vero per il Canada.

A livello teorico non c'è niente di male nell'emettere titoli denominati in dollari (all'estero), dopo tutto il biglietto verde è l'asset più affidabile e liquido rispetto a tutti gli altri della sua categoria. Il problema è quando si “strumentalizza” un asset e l'eurodollaro è uno di quelli più strumentalizzati. Affinché questo pasto gratis possa continuare a fluire nella City di Londra e a Bruxelles è vitale che gli USA continuino ad avere un deficit commerciale col resto del mondo, in modo che quest'ultimo possa essere usato per avere il flusso necessario di dollari con cui pagare le cedole dei titoli denominati in dollari. Il Canada diventa un proxy attraverso il quale si instaura un carry trade tra il dollaro canadese e quello statunitense (si prende in prestito nel primo a tassi inferiori e si investe nel secondo che ha rendimenti superiori).

Il Canada in questo frangente sta diventando esso stesso un “sistema bancario ombra” offrendo i propri bilanci tramite i quali la cricca di Davos possa continuare a ricevere finanziamenti a basso costo.

Il rally recente dell'euro e la vendita di T-bond americani da parte degli europei (in modo da creare un avvallamento tra il front-end della curva e il back-end e permettere alla stampa di gridare “recessione negli USA!”) è uno step in questo percorso, in questa guerra. La pistola fumante nell'attesa dei dati TIC? I tassi europei sono scesi, l'euro è salito e lo yuan è sceso. L'Eurozona (esclusa la Svizzera) + Regno Unito controllano $3.400 miliardi in titoli sovrani americani; la Cina circa $750 miliardi. L'obiettivo dei dazi è fondamentalmente uno: ridurre l'avanzo commerciale PERENNE da parte degli altri Paesi, Europa in particolar modo (ecco perché il 20% sui beni europei). Chi è davvero nei guai è l'UE. Perché? Perché in questa guerra c'è bisogno di collaterale e non ce l'ha. I capitali finanziari scorrono a ovest, negli USA; non c'è accesso a una fonte d'energia a basso costo. Senza questi elementi l'UE non può procedere alla liquidazione. L'unica cosa che può fare è appoggiarsi all'intermediazione dei cambi, uno dei più grandi mercati al mondo (e più sottoposto a leva), per cambiare la percezione di investitori e risparmiatori.

In questo contesto la Cina cercherà di scendere a patti con gli USA, Xi non è in una posizione politica confortevole. Non credo ci sarà un avvicinamento con l'UE, per quanto la classe dirigente europea possa volerlo. Se ciò fosse possibile i cinesi avrebbero aperto e aprirebbero il proprio mercato dei capitali. Ricordate, i mercati dei capitali sono un buon “predittore” dei movimenti politici.


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