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lunedì 3 marzo 2025

Il primo anno di Milei: libertà, meno burocrazia, bassa inflazione

Vi ricordate, poco più di un anno fa, quando Milei è stato eletto, una congrega di 108 economisti aveva firmato una lettera in cui si dicevano preoccupati per le sorti dell'Argentina sulla scia delle potenziali riforme in canna al nuovo presidente? Dopo poco più di un anno l'Argentina è praticamente risorta dalle ceneri in cui l'avevano bruciata i peronisti. I lavori pubblici sono stati tagliati, i programmi di welfare sono stati tagliati e i sussidi eliminati. Le aziende statali sono state privatizzate e centinaia di regolamenti sono stati tagliati. Il codice fiscale è stato semplificato e le imposte sulle esportazioni ridotte. Le leggi sul lavoro sono state allentate, il numero di ministeri governativi ridotto ed è stato implementato un blocco per i posti di lavoro pubblici. Dal punto di vista monetario, il peso è stato svalutato e alla banca centrale ordinato di mettere in pausa la stampante monetaria. Queste azioni non sono state indolori, infatti, lo stesso Milei le aveva descritte come una sorta di “terapia d'urto” necessaria per la guarigione economica. L'Argentina stava combattendo contro un'inflazione a tre cifre, la sclerosi economica e la povertà di massa. “In soli 12 mesi abbiamo polverizzato l'inflazione”, ha scritto su X il Ministero dell'Economia; nel frattempo l'economia argentina è uscita ufficialmente dalla recessione. Pensate quello che volete della persona, ma i risultati sono evidenti. Questo perché, come ricordo spesso, l'Argentina di Milei è un “laboratorio statunitense”, un ambiente controllato in cui sperimentare inizialmente suddetta “terapia d'urto”, e adesso il DOGE non sta facendo altro che replicarla negli Stati Uniti (senza contare che anche pubblicamente non si nasconde questa partnership). Inutile dire che non esiste e non esisterà mai il mondo perfetto, ciononostante si può lavorare per ottenere il massimo dai propri principi. Austriaci e libertari, con Trump alla Casa Bianca e Milei alla Casa Rosada, stanno vincendo, quindi va bene essere “cani da guardia” del potere, criticare i passi falsi, ma non buttare nel cestino tutto il loro operato visto che attualmente si stanno opponendo a uno dei progetti più distopici mai concepiti: il Grande Reset. Altrimenti si potrebbe pensare che Austriaci e libertari, abituati a perdere, c'abbiano preso gusto e siano capaci di fare solo questo: ovvero criticare a tutti i costi perché a loro piace il ruolo dei perdenti. La cricca di Davos e i neocon inglesi sono bestie feroci all'angolo e faranno un caos incredibile pur di sopravvivere alla loro sconfitta. Tempi eccezionali richiedono alleati eccezionali, come la FED, il governo statunitense e il governo argentino, se lavorano nella “giusta” direzione... e con l'importanza data a Bitcoin, Tether e l'oro direi che la direzione è quella giusta. Prima pensiamo a sventare il piano diabolico della cricca di Davos, poi penseremo a come migliorare ulteriormente la società.

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di Michael Munger

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-primo-anno-di-milei-liberta-meno)

C'è qualcosa che sta succedendo e quel qualcosa non è esattamente chiaro.

In tutto il mondo c'è una crescente impazienza verso le ortodossie e la condiscendenza della sinistra progressista. Negli ultimi due anni i partiti di destra hanno superato le aspettative elettorali in Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Ungheria, Polonia e Stati Uniti.

Ma il Paese con più eventi e meno chiarezza è quasi certamente l'Argentina. Poco più di un anno fa Javier Milei è stato eletto presidente in quella che potrebbe essere l'elezione più “improbabile” di sempre. È allettante mettere insieme il successo di Milei con l'inclinazione elettorale generale a destra, ma non è corretto; Milei è diverso. Come ha affermato un podcast prodotto dal The Economist: “Milei è soprattutto un fervente sostenitore dell'economia di libero mercato. Questa è la sua assoluta comprensione guida”.

Questo zelo è sempre stato ai margini dell'ortodossia economica, con i dissidenti accademici etichettati come “econochantas”, un neologismo che combina “economista” con “ciarlatano” o millantatore di frodi. E ha agito in base alle sue convinzioni, non a quelle dell'establishment, in modi insoliti per i funzionari eletti. Quando era membro della Camera dei rappresentanti argentina, annunciò che poiché il suo stipendio mensile era stato sottratto ai contribuenti e quindi “rubato”, lo avrebbe messo a sorte.

Gli obiettivi principali della campagna di Milei e le sue azioni effettive nel suo primo anno in carica includono due cose che nessuno degli altri leader ha mai detto, e tanto meno fatto. La prima è tagliare la spesa; la seconda è ridurre l'ingerenza dello stato nella determinazione dei prezzi.

Prendete in considerazione cosa ha fatto Milei nel suo primo anno:

Riduzione del numero dei dipartimenti del governo da 18 a 8

Sospensione di quei lavori pubblici diversi da quelli assolutamente essenziali

Taglio degli stipendi per i restanti posti di lavoro pubblici

• Mantenimento del tasso di aumento delle pensioni, inferiore al tasso d'inflazione, taglio delle pensioni governative in termini reali

• Surplus di bilancio, mese dopo mese, e ha chiuso il 2024 con un surplus fiscale per la prima volta in più di un decennio

Forte calo dell’inflazione

Aumento delle riserve nazionali di valuta estera, compresi i dollari

Riduzione sostanziale delle normative e dei requisiti per i permessi di viaggio, gli affitti di appartamenti e le nuove costruzioni

Riduzione della spesa pubblica di oltre il 30%

Il simbolo della campagna elettorale di Milei era una “motosierra” (motosega) e la sua minaccia costante ai programmi governativi era “afuera!” ovvero “fuori dai piedi!” Spesso gridava “se viene la motosierra profunda”, annunciando l’arrivo di tagli “profondi” alla spesa.

Il consenso dei media era che i suoi tagli pesanti avrebbero creato una recessione catastrofica, seguita da una tempesta di disordini politici. Ma le cose sono andate così male in Argentina negli ultimi dieci anni che persino alcuni dei suoi detrattori ora ammetterebbero che era necessario un cambiamento.

La popolarità di Milei è rimbalzata dopo alcuni scossoni iniziali. Negli ultimi due mesi è aumentata, mettendo fine all'idea che gli argentini non siano disposti a soffrire a breve termine per una prosperità a lungo termine. Mentre c'è stata una recessione per gran parte del 2024, il quarto trimestre ha visto una crescita e si prevede che l'economia crescerà del 5% o più nel 2025, proprio il tipo di prosperità che era stata promessa. E ci sono buone possibilità di investimenti esteri, come si evince dalla reazione dell'“indice di rischio Paese” di JP Morgan, che è sceso da 2000 (“statene alla larga!”) a 750 (“benvenuti!”).

Ma ci sono altri due aspetti del programma di Milei e del suo successo che non sono stati notati, o almeno che non sono stati commentati molto. Il primo è stato il ripristino dell'ordine e della protezione dei diritti di proprietà da parte della polizia e dell'esercito.

Prima della sua elezione molte parti del Paese, compresi i punti caldi del “narcotraffico” come Rosario, erano enclave senza legge, di violenza delle gang e criminalità di strada. E le città venivano spesso chiuse, per ore o persino giorni, dai “picquetes”, una parola tipicamente argentina per “picchetti”, o file di manifestanti che chiedevano una sorta di prebenda governativa o beneficio speciale. I narcotrafficanti e i picqueteros avevano di fatto distrutto il commercio e i diritti di proprietà in tutto il Paese.

Milei vi ha posto fine. I tassi di criminalità e il numero di omicidi sono diminuiti di oltre il 50%, con i maggiori aumenti nelle aree a cui la precedente amministrazione aveva ampiamente rinunciato. Patricia Bullrich, un'ex-rivale di Milei, è stata nominata alla carica di Direttore del Ministero della Sicurezza. Ha immediatamente annunciato: “Porteremo ordine nel Paese in modo che la gente possa vivere in pace. Le strade non saranno lasciate a loro stesse. Fate sapere loro [ai picqueteros] che se le strade saranno ancora preda delle loro scorribande, ci saranno conseguenze”.

L'altro aspetto del programma di Milei è stato quello di porre fine alla sregolatezza che aveva caratterizzato la politica economica e industriale argentina. Il libro The Road to Serfdom di F. A. Hayek sosteneva che il problema della pianificazione centralizzata e dei controlli sui prezzi, che è ciò che Hayek intendeva con il termine generico “socialismo”, porta a una cascata di regolamentazioni che correggono le distorsioni causate dal precedente ciclo di regolamentazioni che a loro volta correggevano le distorsioni delle linee di politica originali. Cercare di raggiungere obiettivi sociali gestendo i prezzi blocca la funzione informativa di un sistema di mercato che si adatta dinamicamente e porta a gravi inefficienze e carenze.

Milei ha un sostantivo meravigliosamente descrittivo per le sue linee di politica in quest'area: “Sinceramiento los precios relativos”, ovvero “rendere i prezzi precisi (sinceri)”. Definire i prezzi “sinceri” è una mossa geniale, perché dà un volto umano all'azione altrimenti impersonale dei mercati nel segnalare la scarsità. Questa innovazione ha permesso a Milei di affermare (giustamente) che il prezzo delle case e di alcuni alimenti era stato artificialmente basso sotto i governi precedenti e che consentire ai prezzi di trovare il loro livello di mercato avrebbe risolto le carenze croniche di cui le persone avevano sofferto. Sebbene ci siano state obiezioni e tentativi di proteste (sventati dalla repressione dei picqeteros) su questo aumento dell'“inflazione”, Milei è stato in grado di difendere le sue linee di politica come cambiamenti necessari nei prezzi relativi (precios relativos) piuttosto che come una vera e propria inflazione monetaria.

Non sorprende che la promessa di prezzi sinceri abbia stimolato un boom immobiliare, con la costruzione di nuove unità e un gran numero di unità in affitto che erano state bloccate sotto il controllo dei prezzi e che sono tornate sul mercato. La conclusione è che, a un anno dalla sua presidenza, Milei ha superato ogni ragionevole aspettativa, tranne forse la sua. Vale la pena di vederlo in azione e dire la sua frase distintiva, “Viva la libertad, carajo!” Se dovessi tradurla per mia madre, direi che significa “Lunga vita alla libertà, accidenti!” Nessun altro leader mondiale lo dice e Milei lo pensa davvero.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 3 febbraio 2025

Volete il progresso? Lasciate stare i lavori coi cucchiai

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Michael Munger

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/volete-il-progresso-lasciate-stare)

I politici vogliono creare posti di lavoro, “posti di lavoro sindacalizzati e ben pagati”, nelle industrie esistenti. Ma non è questo che fanno i mercati: la parte “distruttiva” nel processo di distruzione creativa elimina posti di lavoro nelle industrie esistenti. In un'economia dinamica, le innovazioni nella divisione del lavoro possono creare posti di lavoro ben pagati in nuove industrie, ma queste ultime richiedono imprenditori, non politici.

Frederic Bastiat scrisse due saggi su come le linee di politica concepite per “creare posti di lavoro” in realtà causano disastri economici. Il primo era la “Petizione dei fabbricanti di candele”, il quale chiedeva allo stato di imporre ai cittadini l'uso di tende pesanti e finestre oscurate in modo da creare posti di lavoro per chi fabbricasse candele. Il secondo era “Ciò che si vede e ciò che non si vede”, dove rompere le finestre avrebbe creato posti di lavoro per vetrai e falegnami.

In entrambi i casi, il problema deriva dall'ignorare “ciò che non si vede”: le persone che producono candele o riparano finestre rotte farebbero qualcos'altro in assenza di una linea di politica sbagliata. E le risorse spese per candele non necessarie e vetri sprecati sarebbero state spese per qualcos'altro. Vediamo i posti di lavoro, ma non vediamo i costi delle alternative perse per “creare” tali posti di lavoro.

Di recente stavo pensando a un'altra famosa storia riguardo la “creazione di posti di lavoro”, una che viene spesso raccontata quando si parla dell'economista di Chicago e premio Nobel Milton Friedman. Stephen Moore ha raccontato una versione di questa storia sul Wall Street Journal:

Durante una delle nostre cene, Milton ricordò di aver viaggiato in un Paese asiatico negli anni '60 e di aver visitato un cantiere dove si stava costruendo un nuovo canale. Rimase scioccato nel vedere che, invece di trattori e pale gommate moderne, gli operai erano attrezzati di semplici pale. Chiese perché ci fossero così pochi macchinari. Il burocrate gli rispose: “Non capisce. Questo è un programma per creare lavoro”. Al che Milton ribattè: "Oh, pensavo che steste cercando di costruire un canale. Se sono i lavori che volete, allora dovreste dare a questi operai cucchiai, non pale”.

Se scaviamo un po' (ahah!) scopriamo che la stessa battuta viene detta anche da altre persone famose, e la presunta posizione dell'accaduto spazia dalla Cina e dall'India al Canada o al Regno Unito. Ma si scopre che nessuna di queste è la vera origine del racconto, pubblicato per la prima volta a Philadelphia nel 1901:

Un accadimento che in quel momento mi era sembrato piuttosto divertente è avvenuto non molto tempo fa in North Broad Street. Una pala a vapore aveva attirato un gran numero di spettatori, tra cui due irlandesi che, a giudicare dal loro aspetto, erano lavoratori temporaneamente disoccupati.

Mentre la grande pala in un colpo solo sollevava un intero carro di terra e lo scaricava su una gondola, uno degli irlandesi commenta: “Che peccato pensare che possano scavare la terra in quel modo!” “Cosa ne pensi?” chiede il suo compagno. “Beh”, dice l'altro, “questa macchina sta togliendo il pane dalla bocca di un centinaio di lavoratori che potrebbero fare lo stesso lavoro con i loro picconi e le loro pale”. “Hai ragione, Barney”, dice l'altro.

Proprio in quel momento un uomo che stava osservando e che aveva sentito la conversazione commenta: “Ragazzi, se quello scavo darebbe lavoro a cento uomini con pale e picconi, perché non prendere un migliaio di uomini e dare loro cucchiaini con cui scavare la terra?”

Gli irlandesi, a loro merito, avevano capito la forza dell'osservazione e l'umorismo della situazione e si sarebbero uniti calorosamente alla risata chesarebbe seguita, e uno di loro aggiunge: “Immagino che abbia ragione, Capitano. Dopotutto, ciò che conta è scavare”.

— Philadelphia Public Ledger

L'esempio è divertente, e il fatto che i lavoratori disoccupati abbiano compreso “la forza dell'osservazione” è una bella chiusura del cerchio. Ma non hanno ragione? E non è forse questa ragione particolarmente forte quando si tratta di competere con altri Paesi che usano “manodopera a basso costo”, e non pale a vapore, per rubare “i nostri” posti di lavoro?

Questo è certamente l'argomento che molti politici hanno utilizzato per giustificare dazi, quote e altri tipi di barriere commerciali: dobbiamo proteggere i posti di lavoro americani! Basta con i posti di lavoro trasferiti all'estero!

Per capire perché questa logica non sia migliore di quella del “date loro i cucchiai!”, bisogna prendere in considerazione la natura del commercio internazionale di beni manifatturieri.


L'unico modo per guadagnare posti di lavoro è perderli

Un buon modo per affrontare il problema della “perdita del lavoro” è porsi una domanda semplice: Quale Paese al mondo ha perso il maggior numero di posti di lavoro nel settore manifatturiero tra il 1990 e il 2010?

La risposta (e non è così scontata) è la Cina.

Nel 1990 la “produzione” cinese consisteva, in molti casi, in un grande capannone, pieno di tavoli e contenente centinaia, forse migliaia, di uomini o donne che lavoravano con aghi e filo, telai, o un martello e alcuni pezzi di cuoio, o una piccola pressa metallica azionata a mano.

La portata dell'occupazione era enorme, forse 100 milioni o più, ma la produttività di questi lavoratori, nel 1990, era terribile. Una persona che lavorava il più duramente possibile, con un martello, una forma per scarpe e qualche pezzo di cuoio tagliato, non riusciva a produrre più di 2 o 3 paia di scarpe al giorno. Mille lavoratori, che lavoravano duramente (e non lo facevano sempre, perché queste erano fabbriche gestite dallo stato, dove dominavano le quote piuttosto che gli incentivi) potevano produrre 5.000 paia di scarpe al giorno, e la qualità era decisamente inferiore.

A metà e fine anni Novanta, la Cina ha iniziato a fare due cose: in primo luogo ha tagliato le fabbriche statali, milioni di lavoratori hanno perso il lavoro, intere città sono rimaste senza lavoro; in secondo luogo il settore privato cinese ha iniziato a sfruttare la divisione del lavoro sviluppando fabbriche altamente specializzate che producevano giocattoli, vestiti e dispositivi elettronici semplici. Queste fabbriche, poiché erano sostanzialmente automatizzate, erano molto più produttive del vecchio sistema di sfruttamento della manodopera a basso costo. La Cina ha iniziato a sfruttare la produttività. Passare da centinaia di uomini con le pale a una manciata di essi che guidano bulldozer e camion aumenta effettivamente la quantità di lavoro svolto, con meno manodopera. Tutti quei lavori che producono e pagano poco vengono spazzati via da lavori che producono e pagano di più.

A essere onesti, questo è successo anche negli Stati Uniti. La nostra produzione totale è aumentata in modo esponenziale, senza sosta, durante tutto quel periodo. Ma il numero di posti di lavoro nel settore manifatturiero in molti settori è diminuito, poiché i lavoratori sono diventati più produttivi. Tuttavia, nel complesso, c'è stata una forte ripresa nella produzione statunitense, poiché molte aziende hanno intrapreso il cosiddetto “on-shoring”.

In breve, gli USA non hanno “spedito i propri posti di lavoro” in Cina; in realtà la Cina ha perso più posti di lavoro nel settore manifatturiero di noi. Il mondo intero ha perso posti di lavoro a causa dell’aumento della produttività. Di conseguenza i prezzi di molti prodotti sono scesi, in alcuni casi in modo sostanziale, se ci atteniamo all’inflazione.

Perché? La Cina ha iniziato a usare un sistema di mercato per premiare gli investimenti in una maggiore produttività. Quando una fabbrica è passata da mille persone con macchine da cucire a venti persone che gestivano una linea di produzione automatizzata, le 980 persone che avevano “perso” il lavoro ne hanno trovato un altro altrove, e con uno stipendio più alto, perché anche quelle industrie si stavano automatizzando. In molti casi questo è risultato vero anche negli Stati Uniti, nonostante ci siano alcune industrie in cui la transizione verso nuovi lavori è stata più lenta.

Ma avere un adattamento più lento negli Stati Uniti non sorprende, perché la Cina ha iniziato con un livello di ricchezza e prosperità molto più basso. Il PIL pro capite della Cina è di quasi $13.000; negli Stati Uniti è di quasi $70.000. Gli Stati Uniti non hanno più la possibilità di distribuire cucchiai, o se non altro pale, per “creare” posti di lavoro, perché nessuno è disposto a lavorare al salario che pagano i lavori con i cucchiai. La maggior parte dei lavoratori americani trascorre il proprio tempo usando una qualche versione di un bulldozer, che si tratti di scrivere codice o di usare macchine fisiche che aumentano la produttività.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 16 maggio 2023

Perché gli economisti Austriaci non sono impiegati come consulenti politici

Dal punto di vista pragmatico, l'autore dell'articolo di oggi ha ragione. Ma quanto è utile questo pragmatismo quando tutt'intorno continua a dissestarsi, a marcire e a impoverirsi? Sappiamo che la marcescenza economica montante rappresenterà l'epitaffio dell'apparato statale e del feticismo riguardo l'autorità/ufficialità di cui si circonda per giustificare la sua presenza. Ecco che quindi la soluzione pragmatica prevede di entrare a farvi parte per cercare di "cambiare qualcosa". La realtà e il buon senso ci dicono, invece, che niente cambia proprio perché è la natura stessa dell'apparato statale e della pianificazione centrale ad avere i semi della propria distruzione e di tutto ciò che toccano. Prendiamo ad esempio la questione dei bail-out e delle crisi economiche "infinite". Il problema è quello che in economia si chiama "azzardo morale": se si permette a qualcuno di cavarsela senza conseguenze, probabilmente lo farà di nuovo. Se c'è una cosa che il capitalismo di libero mercato fa bene è premiare il successo e punire il fallimento. Se un'azienda fallisce a causa di decisioni sbagliate, la lezione per gli investitori è di smettere di finanziarla. L'economista Joseph Schumpeter definì questa "distruzione creativa": non bisogna sprecare capitale per sostenere i fallimenti; bisogna invece investire in aziende di successo, cosa che andrà a beneficio di tutti. I bail-out incoraggiano comportamenti rischiosi: banche, società finanziarie e grandi aziende ora sanno che in caso di crisi verranno salvate dallo stato. Ciò significa che verranno pompate enormi quantità di denaro fiat nell'economia in modo da salvare le aziende in fallimento nella speranza di sostenere un determinato status quo (insostenibile nella realtà). A causa di queste turbolenze finanziarie, sono emerse due cose che dovrebbero farci riflettere: 1) l'azzardo morale è diventato la regola piuttosto che l'eccezione; 2) l'infrastruttura finanziaria sta diventando sempre più fragile. La liquidità, la capacità del capitale di andare dove serve, è scarsa, sintomo dell'instabilità dei mercati dei capitali. Dal momento che il capitale sostiene la nostra economia, la ponderazione del l rischio e la remunerazione del rischio sono stati annientati. In conclusione, il feticismo per l'ufficialità è solo un costrutto mentale sapientemente inculcato nelle giovani leve sin dalla tenere età scolastica. Quindi la vera domanda non è tanto perché gli Austriaci non siano ascoltati, ma perché le persone sono sorde al buon senso; o per meglio dire, perché sono rese sorde di fronte al buon senso. La risposta è la scuola.

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di Michael Munger

Nell'edizione del 1955 del suo testo più venduto, Economics, Paul Samuelson affermava che gli economisti avevano finalmente determinato come funzionavano le economie:

Negli ultimi anni il 90% degli economisti americani ha smesso di essere "keynesiana" o "anti-keynesiana". Invece hanno lavorato verso una sintesi di tutto ciò che è prezioso nell'economia più antica e nelle moderne teorie sulla determinazione del reddito. Il risultato potremmo definirla sintesi neoclassica ed è accettata nelle sue linee generali da tutti tranne circa il 5% degli scrittori di estrema sinistra e di destra.

Attraverso un adeguato rafforzamento delle politiche monetarie e fiscali, il nostro sistema d'imprese miste può evitare gli eccessi del ciclo boom/bust e può guardare avanti verso una sana crescita progressiva. Compresi questi fondamentali, i paradossi che hanno privato i principi classici più antichi che si occupavano di "microeconomia" di gran parte della loro rilevanza e validità, ebbene questi paradossi ora perderanno il loro mordente. [...] Forse per la prima volta, l'economista è giustificato quando afferma che la spaccatura tra microeconomia e macroeconomia è stata sanata.

Il periodo 1955-1972 potrebbe essere etichettato come il periodo “sappiamo tutto” della macroeconomia. C'era un modello autorevole, che tutto vedeva e tutto spiegava. Facendo roteare le giuste manopole fiscali e tirando le giuste leve monetarie, il sacerdozio dei pianificatori centrali avrebbe potuto mettere a punto un'economia mondiale precedentemente imprevedibile.

Ma i modelli erano, nella migliore delle ipotesi, approssimazioni retrospettive, rapidamente rese obsolete dai tentativi di sfruttare l'interventismo politico. Ad esempio, il tentativo di sfruttare il trade-off della "Curva di Phillips" tra disoccupazione e inflazione ha finito per produrre più disoccupazione e più inflazione, perché i mercati riguardano le persone, non le palle da biliardo. Sebbene lo stato non possa migliorare le cose, un intervento statale aggressivo può certamente peggiorarle.

Questo è il cuore della risposta dell'economia Austriaca all'idea di modelli fissi, basati sull'equilibrio. Il problema secondo l'ottica Austriaca è la necessità di un modello per rappresentare l'economia aggregata e catturare gli effetti degli interventi politici. Gli Austriaci ritengono incoerente l'idea stessa di sintesi del “macro modello”. Per prima cosa, il livello di aggregazione richiesto per definire le variabili — PIL, occupazione, livello dei prezzi — esclude qualsiasi vettore identificabile di causa ed effetto, perché produzione, capitale e posti di lavoro non sono cose omogenee. L'aggregazione dello “stock di capitale”, in particolare, è un problema.

Supponiamo che io abbia fatto un accurato inventario delle "attrezzature" di un ospedale. Sul mio libro mastro posso segnalare che l'ospedale ha 31.718 "pezzi di equipaggiamento"; è abbastanza? Come ho discusso nel mio racconto sull'esperienza di assistere a operazioni mediche altamente specializzate e ad alta intensità di capitale, avere "attrezzature" non è sufficiente. È la struttura del capitale, organizzata in un modo particolare e in un particolare momento nel tempo, e che si estende in un futuro incerto, che rende il capitale prezioso o inutile. Affermare che una padella, un cardiofrequenzimetro e un set di strumenti chirurgici sono "tre apparecchiature" è scrivere sciocchezze e fingere di sapere qualcosa.

Ma anche se gli aggregati avessero un significato, le relazioni empiriche tra queste variabili non sono mai "in equilibrio". Le relazioni causali non sono nemmeno stabili a nessun livello, ma cambiano in modi complessi, come in un caleidoscopio. Un'istantanea dei dati, o l'aggregazione dei dati nell'arco di un mese per scrivere un modello, è già irrimediabilmente obsoleta nel momento in cui viene utilizzata per analizzare uno "shock" simulato, perché i cambiamenti nell'economia e le relazioni sono per definizione imprevedibili. Questo è un problema generale nelle scienze sociali, ma il problema della stabilità dei parametri anche a breve termine è severamente acuto nei modelli macro.

Perché la prospettiva Austriaca è così poco ascoltata, e di fatto quasi ignorata, nelle sale del potere? Bryan Caplan ha sostenuto che l'insistenza sulla differenza dell'approccio Austriaco è stata controproducente e penso che abbia ragione su alcuni punti. Ma penso anche che ci sia una spiegazione più semplice, basata sulle esigenze del discorso politico. La difficoltà incontrata dalla critica Austriaca è il requisito spesso citato secondo cui ci vuole un modello per battere un modello.

Questo punto di vista non è limitato ai keynesiani; ecco due economisti neoclassici favorevoli al mercato che sostengono la stessa opinione:

«La risposta è che ci vuole una teoria per battere una teoria; se c'è una teoria che è giusta il 51% delle volte, dovrebbe essere usata finché non ne arriva una migliore. (Le teorie che sono giuste solo il 50% delle volte possono essere meno economiche del lancio di una moneta.)» — George Stigler, 1987; enfasi aggiunta.

«Gioco secondo la regola che ci vuole un modello per battere un modello.» —Thomas Sargent, 2011; enfasi aggiunta.

Dire che l'economia è una competizione tra modelli è di per sé un errore. La critica Austriaca della pianificazione centralizzata si basa sull'affermazione che i funzionari statali, anche se motivati ​​dai migliori scopi e obiettivi, non possono ottenere informazioni locali accurate, tempestive. Questa è un'affermazione empirica sul mondo, nel senso che è un'affermazione (falsificabile, in linea di principio) secondo cui è impossibile — non difficile, impossibile — "calcolare" i valori delle risorse e dei risultati necessari per "gestire" un'economia.

Ai sostenitori della pianificazione questo suona come un rifiuto dei modelli, perché le loro misurazioni "non sono ancora abbastanza buone". Infatti fu proprio questa la risposta di Oskar Lange, il quale giunse al punto di congratularsi (sarcasticamente) con i contributi di Ludwig von Mises nell'evidenziare il problema del calcolo economico:

«I socialisti hanno certamente buone ragioni per essere grati al professor Mises, il grande advocatus diabol della loro causa. Fu la sua sfida che costrinse i socialisti a riconoscere l'importanza di un adeguato sistema di contabilità economica per guidare l'allocazione delle risorse in un'economia socialista. Ancora di più, fu principalmente grazie alla sfida del professor Mises che molti socialisti si resero conto dell'esistenza stessa di un tale problema. E sebbene il professor Mises non sia stato il primo a sollevarlo, e sebbene non tutti i socialisti fossero completamente all'oscuro del problema come spesso si sostiene, è vero, tuttavia, che, in particolare nel continente europeo (fuori dall'Italia), il merito di aver portato i socialisti ad affrontare sistematicamente questo problema è tutto del professor Mises. Sia come espressione di riconoscimento per il grande servizio da lui reso sia come ricordo della primaria importanza di una sana contabilità economica, una statua del professor Mises dovrebbe occupare un posto d'onore nella grande sala del Ministero della Socializzazione o del Consiglio della Pianificazione Centrale di uno stato socialista.» — Lange, 1936.

Ovviamente i pianificatori centrali pensano che il problema del calcolo economico possa essere risolto con lo stesso tipo di apprendimento per tentativi ed errori invocato dai sostenitori dei processi di mercato. I commercianti in un particolare mercato — diciamo, per lo stagno — comprano e vendono per arbitrare le differenze di prezzo, e "il prezzo" riflette quindi il costo di opportunità della risorsa in quel momento, senza che nessuno comprenda appieno le fonti o gli usi di quello stagno. Come disse Hayek nel 1945, è molto importante che nessuno abbia bisogno di sapere perché il prezzo è a un certo livello; tutto ciò che chiunque deve sapere è il valore del prezzo in questo momento per poter decidere se acquistare, detenere, o vendere stagno.

Sembra che i pianificatori centrali la pensino allo stesso modo, ma l'analogia è fuorviante. Invece di utilizzare l'apprendimento per tentativi ed errori in un mercato, i pianificatori centrali vogliono estenderlo a tutti i mercati contemporaneamente... uno centralizzato ovviamente. C'è un'enorme differenza tra cercare a tentoni il prezzo e indovinare "il livello dei prezzi" nel complesso.

Ci ritroviamo quindi con due imperativi nettamente contraddittori, entrambi veri.

• In primo luogo, i tentativi di sfruttare le statistiche osservate e misurate su dati aggregati in passato sono nella migliore delle ipotesi non correlati, nella peggiore dannosi riguardo la capacità di gestire l'attività economica aggregata, l'occupazione, l'inflazione, o qualsiasi altra cosa che ci interessa.

• In secondo luogo, una raccomandazione a fare qualcosa e l'affermazione "abbiamo un piano" sarà sempre un vantaggio competitivo in politica e durante le elezioni; l'affermazione "non sappiamo nulla" e "l'intervento dello stato potrebbe fare più male che bene" è semplicemente insostenibile come raccomandazione politica.

In definitiva, alcune raccomandazioni politiche sono migliori di altre e gli imperativi politici di "fare qualcosa" sono semplicemente irresistibili. Nella misura in cui la prospettiva Austriaca si mette in panchina rifiutandosi di giocare, il campo di gioco viene occupato da squadre di economisti che peggiorano di molto le cose. I cattivi modelli, caratterizzati da punti di vista dogmatici, sono molto peggio di nessun modello.

Tuttavia ciò suggerisce una difesa dell'economia che spesso dimentichiamo. La maggior parte degli economisti, se si ha una conversazione sobria con loro in privato, ammette che i modelli sono nella migliore delle ipotesi approssimazioni temporanee e possono essere fuorvianti. Ma chiunque voglia lavorare per il governo, o essere ascoltato da importanti funzionari pubblici, deve fingere di credere che i modelli siano specificamente informativi e, in particolare, che siano i migliori. In breve, il problema non è tanto la nostra dipendenza dall'economia quanto la nostra dipendenza dalla politica. La politica insiste sul fatto che dobbiamo fingere di credere nell'illusione del direzionamento centrale dei mercati come linea di politica efficace.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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