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venerdì 2 maggio 2025

“Fuga dal dollaro?”: un manuale per comprendere il flusso di dollari all'estero

 


di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/fuga-dal-dollaro-un-manuale-per-comprendere)

Così come accaduto col tema dei dazi, oggi prenderò un altro tema che viene tanto discusso a livello di commenti e analisi ma che, in realtà, non viene minimamente compreso. Oppure viene volutamente travisato. Sto parlando della presunta “fuga dal dollaro” da parte del mondo intero e parallelamente della favola secondo cui la Cina sarà in grado di mettere in piedi un “sistema di pagamento alternativo” che risucchierà la forza del dollaro. Negli ultimi 40 anni circa il mercato dei titoli sovrani ha visto un enorme boom sulla scia della finanziarizzazione delle economie del mondo, ovverosia i mercati finanziari hanno spiazzato sempre di più la ricchezza reale generata dai mercati industriali ed è servita per creare una base di leva scriteriata che è cresciuta a livelli estremi oggi. Soprattutto sulla scia della ZIRP degli ultimi 15 anni. La piattaforma attraverso cui tutto ciò è stato possibile si chiama eurodollaro ed è stato il tema che ho esposto nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Il gioco è stato quello di saturare tutti i bilanci possibili, arrivando infine al proverbiale Picco del debito. Questo, inutile dirlo, porta con se una pulizia inevitabile di tutti quegli errori accumulati e ciò significa a sua volta una crisi del debito sovrano. Per come è strutturata l'architettura finanziaria del mondo intero, questo significa che una crisi del genere fa schizzare in alto i tassi d'interesse e insieme a essi anche il dollaro; dato che il dollaro esiste anche nella sua versione offshore, ciò significa che le stesse dinamiche si riverberano sul mondo intero.

Infatti le economie del mondo al di fuori degli Stati Uniti, oltre ad avere attivi e passivi denominati nella valuta locale, ne hanno anche di denominati in dollari e questo non significa necessariamente debiti nei confronti degli USA, ma anche tra di essi. Avendo, quindi, dei debiti denominati in una valuta che (apparentemente) non controllano, i capitali finiscono per volare oltreoceano e sostenere i prezzi delle azioni statunitensi e dell'oro. A tal proposito non importa chi sia il giocatore che immette nuova liquidità sui mercati, ciò che conta è chi la risucchia. E il luogo dove i capitali vengono trattati meglio è solo uno: gli Stati Uniti. Infatti è importante ricordare una cosa: non è una questione che ci piaccia o meno quello che sta facendo l'amministrazione Trump, che la sua linea d'azione sia più o meno allineata alla corretta teoria economica, è una questione che non dobbiamo mettere i nostri desideri davanti a ciò che accade in modo da avere un quadro di riferimento oggettivo con cui ipotizzare dove andranno a parare i mercati dei capitali. E quello che Trump sta facendo è cambiare il modo in cui gli USA hanno fatto affari negli ultimi 60 anni. Perché? Perché sebbene a livello superficiale le cose andassero bene, sotto la superficie era tutto il contrario.

Se prendiamo in considerazione la traiettoria percorsa dagli USA, in particolar modo, i prezzi degli asset salivano e l'economia era in crescita, ma era tutto in funzione del mercato azionario, Main Street è stato lasciato indietro. Il tutto mentre entrambi i deficit, commerciale e pubblico, crescevano. Per quanto uno si possa impegnare a riflettere su quale possa essere il percorso “giusto” da intraprendere per risolvere i guai americani, non credo possa essercene uno migliore rispetto a quello che viene portato avanti adesso dall'amministrazione Trump. Non sarà perfetto, ma è il meglio che abbiamo; soprattutto se si tratta di mandare in bancarotta la cricca di Davos. Infatti è quest'ultimo obiettivo che ha consolidato tutte le visioni all'interno dei vari dipartimenti governativi ed è come se si muovessero tutti all'unisono. La proverbiale “bonifica della palude”, altro non era che l'elenco di tutti quei player all'interno degli USA, e soprattutto nello Stato profondo, per capire chi fosse interessato al “benessere nazionale” e chi invece faceva interessi esteri. Il primo mandato Trump è servito per farli venire allo scoperto; il secondo sta servendo a rastrellarli e fare loro un'offerta: “Siete con noi o contro di noi?” Il coordinamento tra grandi banche ed esercito sta facendo in modo che Trump abbia poca opposizione a livello interno.

Per quanto la stampa lo possa attaccare a livello internazionale, l'assenza di “franchi tiratori” permette alla sua amministrazione di distinguere tra “amici” e “nemici” all'estero a questo giro. Questo è evidente dal comunicato post-sospensione dei dazi, il quale va ben oltre la semplice imposizione di barriere doganali. Il messaggio è chiaro: adesso sono gli USA che determinano la loro politica monetaria e fiscale, non viene più forzata all'estero. Di conseguenza nuovi rapporti commerciali devono essere stabiliti bilateralmente, perché adesso l'unico modo che hanno i player esteri di accedere ai dollari è quello di chiederli direttamente alla FED (con l'avvento del SOFR). Infatti il calo più recente del dollaro non è un segno che punta verso la “de-dollarizzazione”, anzi è il contrario punta alla “ri-dollarizzazione”. Ogni nazione, oltre a essere indebitata nella propria divisa, ha anche debiti denominati in dollari non solo nei confronti degli USA ma anche di altre nazioni. Se non ha accesso ai dollari, finisce nei guai. E data la volatilità sui mercati, l'offerta in contrazione degli eurodollari e i guai economico/finanziario che ogni nazione del mondo oggi ha, vendere asset denominati in dollari e con i dollari risultati comprare la propria divisa è l'unico modo che hanno per stabilizzare la situazione. Questo, ad esempio, è quello che è successo di recente in Europa e Inghilterra con la vendita di T-bond americani e successivo acquisto di sterlina ed euro (non era la Cina o il Giappone, visto che yuan e yen a malapena si sono mossi).

I mercati statunitensi sono una gigantesca fonte di liquidità e quando l'incertezza inizia a montare vengono venduti asset americani per ripagare i propri debiti. È sempre successo durante tutti gli altri momenti di crisi. Nelle fasi iniziali gli asset americani e il dollaro scendono perché sono una fonte di liquidità, ma quando la crisi entra nel vivo ecco che tornano a salire. Anche qui, Trump e Bessent non vogliono una crisi sistemica; vogliono invece una quantità tale di turbolenza all'estero da forzare gli altri al tavolo delle trattative. Uno di questi è senza dubbio la Cina, ridimensionarne la capacità d'influenza a livello interno statunitense. Come si fa a negoziare qualcosa con qualcun altro se si è dipendente da quest'ultimo? Soprattutto a livello di forniture militari. Per quanto possa essere duro il braccio di ferro con la Cina, non è lei l'obiettivo finale degli USA: l'Europa lo è. O per meglio dire la classe dirigente europea e quella inglese. E il modo di affrontare un reset necessario delle valute fiat è quello di avere le carte migliori da giocare al tavolo delle trattative; inutile dire che ciò passa per forza di cose tramite la messa ordine dell'equazione fiscale e monetaria.

Siete rimasti sorpresi dal recente crash dei mercati azionari? Non dovreste. Bessent era da settimane che parlava di una correzione necessaria dei mercati, soprattutto in un ambiente finanziario in cui i rapporti P/E sono ancora fuori scala rispetto al passato. Affermare che l'amministrazione Trump sia stata “travolta” è ingenuo. L'unico parametro che conta è la base monetaria, le altre misure M sono solamente la leva cui è stata sottoposta (per non parlare poi dello stock del dollaro offshore). Ridimensionare questi parametri significa passare attraverso un processo di pulizia che per forza di cose richiederà dolore economico, ma che creerà spazio nei bilanci della nazione tramite la produzione reale e il puntellamento dell'economia di Main Street. È un percorso irto di ostacoli, ovviamente, nessuno dice qui che riescano pienamente a portare a termine questo compito; quando si entra in guerra significa prepararsi alla possibilità di venire colpiti, ma questo non significa una sconfitta... è chi rimane in piedi per ultimo che vince.

Per quanto la stampa voglia vendere la storia secondo cui gli Stati Uniti ci perdono di più dalla guerra commerciale, in realtà sono il miglior cliente per qualsiasi esportatore sulla Terra e sono in realtà gli esportatori che ci perdono di più. Un ottimo esempio a tal proposito è il mercato dei derivati del petrolio e della plastica. Così come i più recenti accordi con l'India andranno a scardinare l'asse del BRICS attraverso il quale la cricca di Davos cercava di espandersi a Est. Non solo, ma adesso possiedono il pieno controllo sul dollaro dopo lo smantellamento del LIBOR. Questo significa che, nel caso in cui la FED dovesse tornare a fare QE, non tutti avranno accesso alle linee di swap con cui alleviare le proprie economie. Sono convinto che verranno aperte solo a nazioni specifiche che hanno stipulato accordi bilaterali con gli USA, come già accaduto due anni fa con la Banca nazionale svizzera.


IL MONDO CHE VORREMMO & IL MONDO CHE ABBIAMO

Ha perfettamente senso che l'amministrazione Trump, e i NY Boys che stanno dietro di essa, si difendano da quello che viene partorito oltreoceano come “soluzione” all'enorme mole di debiti e valuta ombra creati nel tempo. Se l'Europa vuole un euro digitale, andare in default per il debito, fomentare crisi finanziarie ad hoc e spazzare via il sistema bancario commerciale (l'intermediario tra chi usa il denaro e la banca centrale), ha perfettamente senso che Jamie Dimon abbia qualcosa da dire contro questa linea d'azione. Non si tratta più del mondo che vorremmo, ma del mondo che abbiamo. Di conseguenza la teoria economica è utile per fare analisi, ma poi di fronte a una cricca di Davos che muove le leve sotterranee del mondo tramite le varie incrostazioni degli Stati profondi c'è poco che la teoria possa fare.

Alla fine della fiera tutto si riduce a una sola domanda: “Come si può togliere realmente dalle mani dell'Europa e dell'Inghilterra la possibilità d'impostare al margine il prezzo del dollaro all'estero?” L'eurodollaro è il mercato per eccellenza che imposta il prezzo del dollaro. Con il SOFR, e il pensionamento del LIBOR, abbiamo avuto la risposta e non è più possibile che player esterni agli USA possano impostare indisturbati il prezzo del dollaro. Ora se si vuole accedere a liquidità in dollari bisogna pagare quanto determinato dal tasso di riferimento della FED, mentre la City di Londra cerca modi alternativi per tenere in moto la macchina della leva finanziaria dell'offerta di dollari ombra. Come? Cercando di costringere la FED a tornare allo zero sui tassi di riferimento. L'ultimo “attacco” sui mercati, dove UK + UE, possedendo insieme alle loro succursali estere più di $3.400 miliardi in titoli sovrani americani, hanno venduto titoli sul back end della curva dei rendimenti e comprato titoli sul front end (inversione nel medio e grida di recessione sulla stampa), oltre a vendere dollari per comprare euro, sterlina, dollaro canadese e titoli sovrani tedeschi.

Nel mondo pre-SOFR ciò avrebbe forzato la FED a intervenire e impedire che il mercato obbligazionario americano divenisse bidless. Cos'è successo invece? Che le aste dei titoli di stato americani a 5 anni, 10 anni, 20 anni e 30 anni sono andate a ruba. Perché? Perché sin dal 2019 i titoli di stato americani sono l'unica garanzia collaterale accettata nel mercato dei pronti contro termine americano, i mercati dei finanziamenti a breve termine più liquidi e affidabili del mondo. Come ho documentato nel mio ultimo libro, Il Grande Default, con l'avvio del SOFR siamo entrati in un gioco completamente diverso.

Lo scopo, quindi, dell'amministrazione Trump è quello di sgonfiare progressivamente la quantità di leva finanziaria immessa nel sistema economico e finanziario senza trasformare la società in qualcosa uscito fuori dalle pellicole di George Miller su Mad Max. Da un punto di vista pragmatico ci sono quattro possibilità dinanzi a noi: tutte le nazioni finiscono nei guai simultaneamente e crollano insieme, tutte le nazioni ne escono indenni e crescono insieme, gli Stati Uniti schivano il famigerato “proiettile d'argento” e il resto del mondo affonda, gli Stati Uniti affondano e il resto del mondo schiva il famigerato “proiettile d'argento”. L'ipotesi 2 e 4 sono altamente inverosimili, e anche se la 4 dovesse verificarsi per una qualche remota possibilità la transizione verso il nuovo sistema sarebbe lo stesso devastante.

Il primo mandato Trump è stato un chiaro messaggio al resto del mondo che lo status quo non era più accettabile e non è un caso che i lavori per il SOFR sono iniziati nel 2017. Lui è stato molto furbo nel modo in cui ha criticato il resto del mondo, portando l'attenzione sulla leadership statunitense e le “infiltrazioni” che l'hanno corrotta. In questo modo ha costretto l'amministrazione Biden a seguire la stessa linea di politica per quanto riguarda la Cina, ad esempio. Al di là di ciò non riesco a immaginare il passaggio da un'economia in cui lo stato è preponderante dal punto di vista fiscale a una in cui lo è meno, da un'economia che importa gran parte di quello che ha bisogno a una in cui produce gran parte di quello che ha bisogno, diverso da come lo sta portando avanti l'amministrazione Trump. Forse c'è un altro modo, ma non riesco proprio a immaginarlo. Certo, ci saranno conseguenze impreviste, il percorso sarà dissestato, ma davvero non vedo altri modi dal punto di vista strettamente pratico. Credo che le probabilità siano alte di un successo di questo piano di “rinsavimento” economico; credo che le industrie estere verranno negli Stati Uniti per aprire impianti industriali; credo che la maggior parte del resto del mondo lascerà cadere i dazi imposti agli USA o vi continueranno a fare affari nonostante questi ultimi imporranno dazi. La ragione di base è semplice: gli USA sono il più grande mercato al consumo al mondo. Quelle stesse industrie potrebbero smettere di vendere agli USA e vendere a qualcun altro? Forse, ma non venderebbero allo stesso prezzo a cui vendono negli USA e tutto il denaro preso in prestito per finanziare la loro produzione verrebbe spazzato via nel momento in cui dovrebbero vendere a prezzi più bassi i loro inventari.

Questo la Cina lo sa, ad esempio, ed è per questo che Xi ha cercato di focalizzare la produzione sul consumo interno. Le cose non stanno andando bene, perché questa “riflessione” interna non è in grado di sostenere la complessità a cui è arrivata la società cinese. Ecco perché sono convinto che alla fine Cina e USA troveranno un modo per negoziare. Sicuramente ciò significherà cedere quote di mercato mondiali da parte americana, ma alla fine della fiera va bene perché se si riesce a rompere la mentalità colonialista europea e la sua profonda influenza sui mercati mondiali (es. intermediazione del Forex a Londra, ecc.), il ribilanciamentio globale sarà più liscio. E questo significherà anche un ridimensionamento del sistema bancario centrale così come lo conosciamo e una FED che tornerà a essere quello che era prima dell'era Roosevelt, senza che una sua eliminazione tout court vada a vantaggio di chi ha esarcebato le funzioni e l'intromissione nell'economia delle banche centrali.

Inoltre, con la benedizione a Tether e la volontà di rendere Bitcoin uno snodo nei mezzi di pagamento ufficiali, il ritorno degli asset al portatore rappresenta un salto tecnologico che va a soddisfare la domanda precedentemente insoddisfatta di coloro che chiedevano un'evoluzione dello strumento denaro. Infatti il gold standard è stato “superato” per la sua incapacità di stare al passo con la domanda tecnologica di denaro. Bitcoin, ad esempio, permette lo spostamento di ingenti somme di denaro a livello internazionale nell'arco di minuti e non di giorni come accade con le istituzioni di terze parti odierne. Questa evoluzione permette altresì di calmare shock di liquidità e fornire sollievo quasi immediato in caso di necessità. E in momenti di stress finanziario questo significa avere una maggiore possibilità rispetto ai concorrenti di sopravvivere, perché è qui che il mercato dell'eurodollaro mostra tutta la sua importanza: la quantità di credito che è stata estesa tra i Paesi al di fuori degli Stati Uniti, tra di essi senza che questi ultimi siano stati coinvolti, è più grande del debito pubblico americano. Quindi se questi Paesi vanno in default per il debito denominato in eurodollari, vanno in default tra di loro e non nei confronti degli Stati Uniti.

Le conseguenze saranno estreme. Ma questo non si riverbererà anche sugli Stati Uniti? Sì, come ho scritto prima nessuno si aspetta di entrare in guerra senza sapere che potrà essere colpito. Gli USA, però, potranno usare a questo giro il Dilemma di Triffin a loro vantaggio piuttosto che subirne gli effetti come in passato. Visto che il resto del mondo non è più in grado di entrare in possesso di finanziamenti a basso costo tramite il mercato del dollaro offshore senza grossi rischi per i suoi bilanci nazionali, questo significa che sulla graticola non c'è più il bacino della ricchezza reale degli USA ma quello delle varie nazioni. I pasti gratis sono finiti. Ciò che rischiano è un crollo della loro divisa. Il risultato ultimo di questo processo è un'impennata estrema del dollaro sulla scia di preoccupazioni lato offerta.


IL “FRULLATORE DEL DOLLARO” DIMINUISCE LA VELOCITÀ, MA NON SI FERMA

Per semplificare la comprensione dell'eurodollaro dovete immaginarlo come una stablecoin. È un dollaro digitale offshore parcheggiato in depositi esteri e che serve a rendere liquidi i mercati finanziari oltreoceano. In passato, quando ancora c'era il LIBOR, non c'era bisogno di garanzie a supporto: si potevano trattare obbligazioni denominate in dollari senza collaterale sottostante. Poi, un giorno, ci svegliamo e ci accorgiamo che quel mondo non esiste più e invece c'è una domanda senza precedenti per il collaterale. L'abbattimento di quel mondo, in precedenza impostato per risucchiare ricchezza reale agli USA e far credere che esistessero i pasti gratis, ha creato una corsa “agli sportelli” per le garanzie collaterali. La più liquida è rappresentata dai bond americani (non è un caso che le aste per i ventennali e trentennali di questa settimana sono andate alla grande). Pezzo dopo pezzo vengono smantellati quei trade che potevano sfoggiare una leva folle grazie a una frazione di collaterale posta come misera garanzia. Ecco perché la Yellen, nel suo ultimo anno al Dipartimento del Tesoro, ha supervisionato un QE fatto di titoli americani che sono stati incanalati nei bilanci dei Paesi che sarebbero stati più colpiti: Europa e Inghilterra. Ecco perché Tether, dopo l'approvazione a livello di strategia ufficiale da parte dei NY Boys, è un compratore marginale di titoli sovrani americani e sostituirà l'eurodollaro che avevamo conosciuto fino al 2022. Solo che adesso sarà pienamente collateralizzato e impostato da linee di politica decise a Washington, non a Bruxelles o a Londra.

La fine della “globalizzazione” significa principalmente la fine della finanziarizzazione dei sistemi economici, un ritorno alla ponderazione del rischio più in sintonia con l'economia reale (Main Street) e la recisione di quell'interconnessione dei bilanci mondiali che andava a far pesare sulle intere spalle statunitensi la socializzazione delle perdite durante le crisi.

A meno che l'attuale sistema non venga ridisegnato (esito a cui si dovrà infine arrivare), il dollaro tornerà a salire. Nonostante tutti i salvataggi e la stampa di denaro, l'indice DXY è salito del 30% negli ultimi 15 anni. Il modo in cui viene fornita liquidità a breve termine nel sistema è lo stesso processo che influenza la domanda a medio e lungo termine. E questo perché il sistema monetario attuale prevede l'iniezione di nuovi capitale tramite prestiti: in questo modo viene fornita liquidità a breve termine, la pressione sui mercati viene allentata, i prezzi degli asset salgono e il dollaro scende. Ma alla fine il risultato principale è l'aumento dei debiti e la saturazione dei bilanci, ed è questo che conta. E quando inizia a contare il dollaro torna a salire: il debito creato per fornire liquidità è la domanda futura per il dollaro. Finché l'architettura dell'attuale sistema economico/finanziario non verrà ridisegnata (facendo entrare in gioco anche oro e Bitcoin), assisteremo al ripetersi di questa storia.


CONCLUSIONE

Poiché il dollaro è la valuta di riserva globale viene ampiamente utilizzato per una varietà di scopi, tra cui:

Regolamento degli scambi commerciali (es. fatture, cambiali, ecc.);

Riserve monetarie delle banche centrali (es. una Banca del Giappone che utilizza i titoli di stato per sostenere lo yen);

Prestiti per debiti e prestiti internazionali (es. FMI, Banca Mondiale e altri istituti prestano denaro ai Paesi del mondo);

Mercato dei cambi, Forex (es. la maggior parte delle coppie di valute è quotata rispetto al dollaro, ad esempio, EUR/USD, USD/JPY, rendendolo centrale nei mercati monetari globali);

Dollarizzazione diretta (es. alcuni Paesi utilizzano il dollaro come valuta ufficiale, ad esempio Ecuador o El Salvador, oppure insieme alla valuta locale);

Rimesse e trasferimenti transfrontalieri (es. il dollaro è ampiamente utilizzato per inviare denaro oltre confine, in particolare nei Paesi in via di sviluppo);

Asset di rifugio (es. durante le crisi gli investitori acquistano dollari per sicurezza, causando flussi globali di capitali verso asset statunitensi come i titoli del Tesoro americani);

Mercato dell'eurodollaro, forse il più importante di tutti (es. i dollari dominano le transazioni SWIFT, le riserve bancarie internazionali e i sistemi bancari offshore, il sistema offshore è chiamato mercato dell'eurodollaro. I dollari vengono lentamente introdotti dalle banche straniere e utilizzati per finanziare il commercio globale. Ad esempio le banche in Pakistan prestano eurodollari alle raffinerie di petrolio in Iran per il commercio).

Tutto ciò crea una DOMANDA persistente e onnipresente per i dollari. La domanda deve essere soddisfatta dall'OFFERTA, altrimenti il ​​sistema monetario globale si inceppa: questo è ciò di cui l'economista belga, Robert Triffin, parlava 65 anni fa. Gli Stati Uniti hanno la scelta se soddisfare o meno suddetta domanda, e se non lo fanno la deflazione dell'offerta di denaro globale sarà una conseguenza assicurata. Molti attribuiscono l'esplosione del deficit commerciale americano alla manipolazione monetaria da parte dei Paesi del terzo mondo, a pratiche commerciali sleali, o a pratiche di sfruttamento del lavoro: tutti fattori veri e che contribuiscono sicuramente al deficit, ma non spiegano il quadro generale. Infatti man mano che il sistema monetario globale è stato sganciato sempre più dai principi fondamentali del denaro sano/onesto, ha fatto sempre più affidamento sulla liquidità, che in sostanza significa liquidità in dollari. Pertanto la delocalizzazione della base industriale statunitense (una perdita di produzione manifatturiera pari a quella di una guerra!) non è stata fatta solo per aumentare i profitti delle aziende coinvolte, ma è stata una conseguenza dell'esportazione di dollari nel mondo.

In breve, questo significa che se gli Stati Uniti vogliono mantenere in funzione il sistema monetario globale, devono mantenere uno squilibrio commerciale e aggravarlo nel tempo se il mondo continua a crescere più velocemente degli USA stessi. Questa tendenza è accelerata con l'adesione del terzo mondo (in particolare dell'Asia) al mercato dell'eurodollaro negli anni '90 e 2000.

Tutto ciò ha contribuito al proverbiale “frullato del dollaro”, processo che è uno dei motivi per cui i mercati azionari e obbligazionari statunitensi hanno registrato un andamento positivo negli ultimi 3-4 decenni. Questo costante afflusso di capitali crea una domanda costante di asset negli Stati Uniti. La sovraperformance dei mercati statunitensi è enorme: se uno avesse investito $1 nell'indice S&P 500 nel 1980, il suo valore sarebbe stato di circa $98,68 a fine 2023. Lo stesso dollaro investito nell'indice MSCI World, escludendo gli Stati Uniti, sarebbe valso circa $19,63 nello stesso periodo. Ancora una volta il fattore di differenziazione chiave, soprattutto in termini monetari, è che gli Stati Uniti sono l'UNICA valuta con una domanda esterna: NESSUN'ALTRA valuta fiat ce l'ha. L'ideatore di questa teoria, Brent Johnson, ci dice che il sistema finanziario mondiale può essere immaginato come un gigantesco frullatore composto da liquidità, debito e capitale. Gli Stati Uniti detengono la cannuccia più grande che consente loro di “bere” capitali dal resto del mondo. Mentre molti Paesi adottano politiche monetarie simili, come tassi d'interesse bassi e quantitative easing, gli Stati Uniti godono di una posizione unica, poiché emettono la valuta di riserva mondiale e dispongono dei mercati finanziari più liquidi e affidabili.

Certo, gli Stati Uniti potrebbero avere una miriade di problemi fiscali, ma li hanno anche tutti gli altri: questo li rende la “camicia sporca” più pulita nella cesta dei panni sporchi. Questo comportamento crea un flusso di capitali verso gli Stati Uniti che a sua volta rafforza il dollaro. Quando il dollaro si apprezza mette pressione sugli altri Paesi, in particolare su quelli emergenti che hanno contratto prestiti in dollari perché devono ripagare i propri debiti in una valuta che è diventata più costosa. Questa dinamica può creare un circolo vizioso, in cui le tensioni finanziarie all'estero portano a un dollaro più forte, cosa che a sua volta causa ulteriore stress per i debitori in dollari al di fuori degli Stati Uniti.

Se gli stranieri vendono titoli del Tesoro americani per intervenire sui loro mercati, questo peggiora la situazione. L'aumento del DXY è quindi un sintomo di problemi di liquidità sistemica, non un segno che gli investitori hanno necessariamente più fiducia nell'America. Gli acquisti di dollari da parte della Cina, o gli acquisti di asset denominati in dollari da parte dell'Argentina, riguardano più gli investitori che cercano di sfuggire alla propria valuta in difficoltà, che i fondamentali reali dell'economia americana. Sebbene questo possa avvantaggiare gli Stati Uniti nel breve termine, attraendo capitali e mantenendo forti i propri mercati, Brent ammette anche che la situazione non è sostenibile per sempre. A un certo punto il sistema potrebbe crollare sotto la pressione di un dollaro troppo forte e delle pressioni che esercita sulle economie globali.

Cosa sta succedendo adesso con il DXY? Ebbene, negli ultimi 3 mesi abbiamo assistito a un continuo indebolimento del dollaro dovuto alla reazione dei mercati dopo il “Giorno della Liberazione”. Il dollaro relativamente più basso di fatto rafforzerà il sopraccitato “frullato”. Il debito denominato in dollari viene spesso creato al di fuori degli Stati Uniti attraverso il cosiddetto sistema dell'eurodollaro, una vasta rete di attività bancarie offshore non regolamentata dalla Federal Reserve. In questo sistema le banche straniere concedono prestiti in dollari a mutuatari non statunitensi, come società minerarie in Cile, produttori di petrolio in Nigeria o case automobilistiche in Corea del Sud.

Queste aziende possono operare interamente nei loro Paesi e generare entrate nelle loro valute locali, ma i prestiti che contraggono sono quotati e devono essere rimborsati in dollari. Una volta che queste aziende contraggono debito in dollari, si trovano bloccate in una struttura finanziaria in cui le loro passività sono in dollari, ma i loro ricavi di solito no. Una società che estrae il rame in Perù potrebbe venderlo sul mercato ed essere pagata in soles, o in un'altra valuta diversa dal dollaro. Per far fronte ai propri oneri di debito in dollari (es. pagamento degli interessi o il rimborso completo del prestito), deve convertire in dollari i suoi ricavi in ​​valuta locale. Questo in genere comporta l'accesso ai mercati monetari per scambiare la sua valuta locale con dollari. Se quest'ultimo si apprezza rispetto alla valuta nazionale della società che estrae rame, il costo di tale scambio aumenta, rendendo più costoso e più arduo il rimborso del debito. L'azienda in questo modo non si limita a gestire la propria attività, ma specula anche sui tassi di cambio senza volerlo. Pertanto quando il DXY scende, ovvero quando il dollaro è relativamente più debole rispetto alle altre principali valute, diventa più facile per le aziende straniere onorare i propri debiti denominati in dollari.

Non solo possono estinguere più facilmente le passività in dollari esistenti, ma potrebbero anche sentirsi abbastanza sicure da contrarre ancora più debiti in dollari per finanziare l'espansione o la speculazione. È qui che inizia il circolo vizioso: man mano che un numero sempre maggiore di aziende in tutto il mondo contrae prestiti in dollari durante i periodi di debolezza di quest'ultimo, la dimensione complessiva del sistema del debito in dollari si espande. Questo non riguarda solo le aziende: anche gli stati ne subiscono gli effetti. Quando il dollaro è più debole, diventa anche più facile per gli stati esteri accumulare riserve in dollari, una parte cruciale dei loro meccanismi di difesa finanziaria. Poiché le loro valute sono più forti rispetto al dollaro in un contesto con un DXY più basso, possono scambiare meno unità della loro valuta locale per acquistare più dollari. Questo rende l'accumulo di riserve monetarie molto meno costoso.

Mentre i detrattori del dollaro indicano l'aumento del debito statunitense o la “de-dollarizzazione” come segnali del declino del biglietto verde, la realtà è che la fame globale di liquidità in dollari è viva e, per molti versi, sta crescendo, non diminuendo. Paradossalmente tutto ciò significa che la “fine dei giochi” (in mancanza di termini migliori) non si svolgerà come i detrattori pensano. Un crollo monetario globale significherà che l'indice del dollaro salirà, non scenderà. E se il DXY scende, come dice Brent, significa solo che il gioco continuerà con la “ri-dollarizzazione”. Il dollaro ha lo status di asset di riserva e valuta di riserva ed esse sono due funzioni distinte; sebbene interconnesse, in teoria il biglietto verde potrebbe perdere la prima senza perdere la seconda. Il “frullato del dollaro”, almeno nel medio termine, significa che non perderà lo status di valuta di riserva.


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giovedì 1 maggio 2025

Scatenare un Bitcoin standard

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da Bitcoin Magazine

(Versione aiudio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/scatenare-un-bitcoin-standard)

La transizione dagli standard fiat allo standard Bitcoin, sebbene altamente auspicabile, non è inevitabile né necessariamente imminente. I tempi e l'avvenimento di questi cambiamenti dipendono dalle scelte di adozione effettuate da individui, organizzazioni ed enti pubblici. Queste decisioni sono influenzate non solo da considerazioni razionali, ma anche da fattori emotivi e irrazionali (avidità e paura soprattutto). La volontà collettiva, formata dalle intenzioni di una massa critica dotata di capitale e capacità di azione sufficienti, gioca un ruolo cruciale nel soppiantare le banche centrali e le strutture di potere consolidate a favore di un nuovo sistema incentrato su Bitcoin. Nonostante l'evidente superiorità tecnica, economica ed etica di Bitcoin rispetto ad altre forme di denaro, questa lotta sarà senza dubbio ardua, con un esito tutt'altro che scontato.

Ciononostante è fondamentale riflettere sulle conseguenze che questa potenziale rivoluzione, se realizzata (come tutti auspichiamo), potrebbe avere su ogni aspetto dell'esistenza sociale. Queste implicazioni spaziano dalla natura degli stati e delle relazioni internazionali al funzionamento dei sistemi economici, ai sistemi di valori prevalenti e persino al mercato energetico e all'innovazione tecnologica. In questo articolo, senza la pretesa di essere esaustivi, intendiamo esplorare brevemente alcuni di questi aspetti e suggerire possibili traiettorie.


Bitcoin e sistema bancario a riserva frazionaria

Come correttamente previsto da Hal Finney, un ipotetico Bitcoin standard sarebbe incompatibile con le banche centrali, ma non necessariamente con un sistema bancario a riserva frazionaria. I limiti algoritmici al numero di transazioni per blocco impediranno certamente al Layer 1 di fungere da sistema di pagamento al dettaglio. Col tempo, verranno eseguite meno transazioni, e queste saranno di valore molto elevato (in pratica, solo le balene o le grandi istituzioni pubbliche e private, dati gli elevati costi, potranno permettersele).

Una qualche forma di free banking 2.0 su Layer 2 sarebbe quindi inevitabile nel medio-lungo termine per un sistema monetario basato su Bitcoin. In assenza di una banca centrale come prestatore di ultima istanza e con una verificabilità delle riserve molto più semplice rispetto all'oro, questo sistema di riserva frazionaria Layer 2/Layer 3 sarà molto più fragile dell'attuale sistema a riserva frazionaria, supportato da moneta a corso legale, banca centrale e da una sostanziale indistinguibilità tra base monetaria e offerta di moneta più ampia. Ciò non farà che rafforzare l'importanza del Layer 1 come solido fondamento del sistema monetario, analogamente al ruolo svolto dall'oro nei millenni passati.


Implicazioni macroeconomiche

Ceteris paribus, nel medio termine l'adozione di un ipotetico Bitcoin standard dovrebbe attenuare significativamente le fluttuazioni del ciclo economico, prevenendo un indebitamento eccessivo, investimenti improduttivi e bolle nel settore privato, le quali portano a crisi sistemiche. La repressione monetaria si tradurrebbe inoltre in tassi di crescita reale delle economie molto più lenti, ma costanti nel medio-lungo termine. In assenza del motore dell'espansione monetaria e creditizia, ovvero le politiche inflazionistiche delle banche centrali, la crescita nominale della produzione all'interno di un Bitcoin standard sarà modesta, ma la crescita reale rimarrà significativa. In altre parole, qualsiasi aumento della produttività multifattoriale si tradurrà in un calo dei prezzi al consumo misurati in satoshi piuttosto che in un aumento della produzione nominale. In questo contesto, anche nel breve termine, la crescita economica dipenderà da fattori demografici, ecologici ed economici piuttosto che da fattori monetari o creditizi.

A questo proposito, con il Bitcoin standard si assisterà a un graduale spostamento di ricchezza dal settore finanziario, oggi divenuto vorace, all'economia reale e produttiva. Ciò in conseguenza al significativo ridimensionamento dei mercati obbligazionari e monetari (riduzione del livello di indebitamento delle economie) e, successivamente, dei profitti dell'intero settore.

Tra le attività che subiranno il ridimensionamento maggiore ci sono i sistemi centralizzati di pagamento e compensazione, gli istituti di credito tradizionali, gli agenti fiduciari come i notai (sostituiti da smart contract su Layer 2 e 3 di Bitcoin) e coloro che si occupano di intermediazione finanziaria, immobiliare e assicurativa.

Al contrario, tutto ciò che sfrutterà il potenziale dei Layer di Bitcoin (per gli smart contract) e della DeFi vivrà un vero e proprio boom.


Implicazioni (geo)politiche

Per quanto riguarda l'immutabilità della base monetaria, essa costringerebbe gli stati a una rigorosa disciplina fiscale, poiché verrebbe meno l'opzione di monetizzare deficit o debito come forma di finanziamento della spesa pubblica. Ciò influenzerà profondamente la capacità degli stati di fornire assistenza sociale o di condurre guerre. In assenza di una stampante monetaria e, quindi, dell'insidiosa tassa chiamata inflazione, la pressione fiscale e l'allocazione della spesa pubblica diventeranno oggetto di serie negoziazioni e controversie politiche, poiché incideranno direttamente sulle tasche dei cittadini/sudditi/contribuenti.

Da un lato, ciò potrebbe incoraggiare forme di democrazia più dirette (facilitate dalla diffusione di blockchain e DAO) per dare ai cittadini maggiore voce in capitolo nelle decisioni fiscali e di spesa. Dall'altro, un mondo basato sul Bitcoin standard potrebbe portare a un panorama geopolitico molto più frammentato e apolare, data l'intrinseca insostenibilità del mantenimento di apparati statali ampi e inefficienti, più simili al feudalesimo medievale. Invece dell'aristocrazia spada/sangue/toga, le balene Bitcoin diventerebbero la classe sociale dominante, dove i no-coiner costituirebbero una sorta di nuova servitù della gleba. I primi, individui, famiglie e istituzioni con ingenti depositi in Bitcoin (creati nelle prime fasi di adozione di questa tecnologia, ovvero nei primi due decenni della sua esistenza), sarebbero in grado di fornire welfare, lavoro e protezione ai cittadini/sudditi in cambio di lealtà, servizi e obbedienza al loro dominio “feudale”. La stragrande maggioranza della popolazione i cui antenati sono arrivati ​​troppo tardi per adottare e convertire il proprio capitale fiat in Bitcoin (per varie ragioni ideologiche o pratiche, inclusi vincoli economici), si troverà alla base della piramide e sarebbe costretta a guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte o (più probabilmente, dati i progressi tecnologici) grazie alla generosità, più o meno interessata, di balene filantropiche. Questa dinamica si applicherebbe anche a livello internazionale: ci sarebbero regioni o nazioni pioniere che, avendo adottato Bitcoin per prime come moneta a corso legale, godrebbero di un significativo vantaggio in termini di ricchezza relativa che sarebbe difficile da eguagliare per i “ritardatari”.

Queste non sarebbero necessariamente le nazioni attualmente dominanti; infatti alcune potrebbero addirittura non esistere più in futuro. Il risultato finale sarebbe un sistema internazionale molto più frammentato di quello attuale, costituito da un mix di città-stato democratiche, socialiste o oligarchiche, feudi cripto-aristocratici incentrati su singole famiglie e vaste regioni anarchiche. Tutte queste entità sarebbero in competizione/cooperazione tra loro, formando un panorama geopolitico-ideologico completamente nuovo e in continua evoluzione. Le vecchie affiliazioni identitarie (nazionali, ideologiche e religiose) si sovrapporrebbero e si mescolerebbero con nuove identità basate sull'interpretazione della rivoluzione Bitcoin. Dati i presupposti tecnologici e i fondamenti ideologici della cultura Bitcoin, potrebbe emergere una religione “coiner”, legata ad alcuni aspetti rituali e di fede già intravisti tra i suoi convinti sostenitori (es. immacolata concezione, decentralizzazione, adorazione di Satoshi, infallibilità algoritmica). In ogni caso, il Bitcoin standard imporrebbe alle società che lo adottano alcune norme economiche che influenzano da vicino la moralità pubblica. Tra queste il senso del limite, l'etica del risparmio, la prudenza negli investimenti, la visione a lungo termine, l'onestà nelle transazioni commerciali, la responsabilità individuale, la disciplina fiscale e, naturalmente, l'indipendenza e l'incorruttibilità della moneta dai poteri statali.


Nodi, mining e geopolitica

I nodi sono il cuore della rete Bitcoin e, pertanto, riceverebbero un'attenzione significativa da parte dei poteri politici. Il controllo dei nodi completi (e quindi dei potenziali miner) all'interno di un territorio specifico da parte delle autorità pubbliche sarebbe estremamente importante per rivendicare la sovranità interna e influenzare la scena internazionale. Naturalmente, date altre variabili, le nazioni in grado di produrre energia a costi inferiori, o su scala maggiore, avrebbero un vantaggio nell'allocazione e quindi nel controllo di quote significative dell'hashrate globale di Bitcoin. Un'eterna lotta per il controllo dell'hashrate globale sarà il nuovo centro delle controversie geoeconomiche. Detto questo, non è affatto garantito che la maggior parte delle entità politiche territoriali sarà in grado di esercitare questo controllo, ed è incerto come lo faranno.

Sebbene la legittima coercizione fisica possa sembrare la scelta ovvia, data la natura specifica degli stati, potrebbe non essere necessariamente l'approccio più efficace in un panorama geopolitico più frammentato e competitivo di quello attuale. Grazie all'elevata mobilità di Bitcoin e ai vincoli fiscali imposti agli stati tradizionali da questo sistema monetario, miner e balene potrebbero facilmente scegliere di trasferirsi altrove se i loro diritti di proprietà e la loro libertà imprenditoriale finissero in pericolo, trovando rifugio in giurisdizioni più libertarie. D'altro canto uno scenario diverso potrebbe aprirsi per quelle nuove entità statali “neo-aristocratiche” costruite attorno a una o più balene; in questo caso il monopolio sull'attività di mining e sulle risorse energetiche necessarie potrebbe essere più pronunciato, dato l'immenso potere economico detenuto dai loro organi di governo.


Implicazioni sul mercato energetico

Bitcoin non è una valuta merce, ma una valuta energetica. Il potere che racchiude è l'energia consumata per crearlo e trasferirlo. In quanto linfa vitale del nuovo paradigma monetario, quindi, l'energia sarà ancora più al centro del sistema economico rispetto a oggi. Ciò influenzerà radicalmente il progresso nel settore energetico, generando una corsa all'innovazione tecnologica sia dal punto di vista dell'estrazione che del risparmio energetico. Un'intera gamma di fonti energetiche precedentemente trascurate perché antieconomiche potrebbero diventare convenienti e accessibili grazie al loro utilizzo per l'attività di mining. Si pensi al sole nei deserti africani e asiatici, ai giacimenti di metano e gas naturale in località remote, all'energia geotermica proveniente da vulcani e geyser, o persino ad alcuni sistemi basati sul moto ondoso e sulle differenze di temperatura nelle profondità degli oceani.

Con una domanda di energia in continua crescita, ci sarà un crescente incentivo a generare più energia e a farlo in modo più efficiente, in un circolo virtuoso che potrebbe portare a una grande rivoluzione energetica, avvicinando potenzialmente l'umanità a una civiltà di livello 2 sulla scala di Kardashev, contribuendo a elettrificare il pianeta anche nei luoghi più remoti. Un'altra probabile conseguenza di un Bitcoin standard sarà l'inversione dei ruoli tra produttori e consumatori di energia. I maggiori consumatori di energia (le mining farm) diventeranno col tempo i principali produttori di energia, in un'integrazione verticale di asset e infrastrutture energetiche che, partendo dal basso, assimilerà l'intero settore energetico. Resta da vedere se questo porterà a una maggiore o minore concentrazione rispetto alla decentralizzazione dei produttori di energia, ma dipenderà certamente dalle dinamiche commerciali del settore del mining.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 21 febbraio 2025

Ciò che l'eurodollaro ha dato, l'eurodollaro si sta riprendendo (Parte #2): La creatura di Threadneedle Street

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/cio-che-leurodollaro-ha-dato-leurodollaro-f30)

Si è parlato molto della cosiddetta “creatura di Jekyll Island”, come è intitolato l'omonimo libro di Edward Griffin, ma molto poco della sua controparte inglese. Eppure è stata quest'ultima a dare lo spunto per la creazione della prima, senza contare che con il suo grado d'influenza (molto probabilmente) l'ha anche controllata... almeno fino al 2022. Piuttosto che usare il termine “spunto”, sarebbe meglio dire “spinta”. Nel mio ultimo libro, Il Grande Default, ho permesso ai lettori di svelare il cosiddetto mistero dell'attività bancaria ombra, dando altresì uno sguardo a come le azioni della FED fossero eterodirette oltreoceano. Infatti nella Prima Parte di questo saggio abbiamo sondato la leva economica con cui la cricca di Davos, fino all'entrata in scena dell'SOFR, ha praticamente usato la banca centrale americana come banca di riserva mondiale. Studiando l'evoluzione di queste ultime è facile capire come sia nata la “National Reserve Association”, ovvero il progenitore della Federal Reserve. Paul Warburg, uno dei co-creatori della FED, era stato a lungo un consulente non ufficiale della National Monetary Commission e aveva pubblicato diversi articoli in cui parlava della necessità di un istituto bancario centralizzato. I principali quotidiani avevano pubblicato articoli a sostegno delle sue opinioni, tra cui il Washington Post del marzo 1913 intitolato “Warburg Wants Elastic Currency”.

Pressione sociale attraverso la stampa, in particolar modo quella finanziaria, un metodo mai caduto in disuso visto che ancora oggi è protagonista nel modellare l'opinione pubblica. E su questo lo zampino degli inglesi è sempre stato presente, dato che il loro livello d'infiltrazione nel tessuto americano era pervasivo. Piuttosto che governare come sovrani avrebbero governato come “alleati”. Infatti, a tal proposito, è propedeutico studiare una “creatura” di cui s'è sempre parlato poco, ma che non ottiene le stesse attenzioni della FED. Ormai lo slogan “End the FED” sta diventando mainstream, solo che la sua controparte inglese non è altrettanto colpita da tali esortazioni. Terminare la prima senza terminare la seconda, oppure la BCE, significherebbe (e avrebbe significato) spianare la strada alla cricca di Davos. I motivi di questa affermazione sono giustificati all'interno del mio libro, quindi non mi ripeterò qui. Infatti la risposta degli Stati Uniti sarà una regionalizzazione dei poteri della Federal Reserve, in modo che un qualsiasi attore malevolo in futuro non potrà trovare un honeypot a cui attingere com'è stato in passato. Sforzi, questi, coadiuvati da una narrativa favorevole a Bitcoin, destinato a diventare reserve money (ruolo la cui importanza è stata sottolienata nella Prima Parte di questo saggio).

La Banca d'Inghilterra, fondata nel 1694, è un'istituzione monumentale nella finanza globale. Spesso etichettata come la prima banca centrale del mondo moderno, è nata per necessità: verso la fine del XVII secolo la Gran Bretagna era coinvolta nella costosa Guerra dei 9 anni contro la Francia e il re Guglielmo III era alla disperata ricerca di fondi. La soluzione fu una nuova istituzione finanziaria che avrebbe prestato denaro al governo in cambio di una carta reale (un permesso speciale del re che dava alla Banca il potere di emettere denaro e gestire il debito del governo). Questo concetto, capeggiato dal finanziere scozzese William Paterson e da un gruppo di ricchi mercanti, fu il seme da cui sarebbe cresciuta la Banca d'Inghilterra. A differenza di qualsiasi cosa vista prima, consentiva al governo inglese di prendere in prestito ingenti somme di denaro e abilitava la Banca d'Inghilterra a emettere bancanote coperte dalle sue riserve.

È importante capire che la Banca d'Inghilterra non è stata la prima banca del suo genere: gli olandesi avevano già fondato la Banca di Amsterdam nel 1609. Tuttavia le due istituzioni erano fondamentalmente diverse. La Banca di Amsterdam era principalmente una banca di deposito, progettata per portare ordine nel caotico mondo monetario della Repubblica olandese. Non emetteva prestiti allo stato, né si occupò della gestione del debito sovrano come avrebbe fatto la Banca d'Inghilterra. Invece la Banca di Amsterdam era essenzialmente una stanza di compensazione per il commercio internazionale, offrendo ai mercanti un modo affidabile e stabile per conservare il loro denaro e regolare i conti. Il suo ruolo era la stabilizzazione dell'economia olandese e la sua influenza nel mondo della finanza pubblica fu limitata. La Banca d'Inghilterra, al contrario, nacque dall'esigenza di finanziare lo stato e fu progettata fino dal principio per essere un prestatore di ultima istanza. Inizialmente il suo ruolo era modesto, principalmente prestiti al governo inglese, ma con la crescita del potere economico e militare della Gran Bretagna, crebbe anche l'importanza della BoE. All'inizio del XVIII secolo la Banca d'Inghilterra aveva iniziato a emettere banconote che circolavano più di oro e argento nelle transazioni quotidiane; queste banconote erano un passo verso un sistema finanziario più fluido, consentendo un commercio più efficiente senza la necessità di metalli fisici.

Nel frattempo le banche commerciali in tutta l'Inghilterra iniziarono a proliferare: a metà del XVIII secolo c'erano circa 300 banche private in Inghilterra, le quali offrivano credito a imprese e privati. L'emissione di banconote, che pur non essendo universalmente accettate, facilitò il commercio e gli scambi locali. Creò anche un sistema monetario frammentato, in cui la fiducia nel valore di una banconota dipendeva fortemente dalla reputazione della banca che le stampava. A differenza di una valuta nazionale standardizzata, le banconote private erano spesso accettate solo localmente e potevano non essere riconosciute in altre regioni. Ad esempio, le banconote emesse da una piccola banca rurale in Devonshire difficilmente sarebbero state accettate a Londra, o persino nelle contee vicine. Questa mancanza di universalità complicò il commercio oltre i confini locali, aumentando i costi di transazione e rallentando l'efficienza economica. L'emissione eccessiva di banconote fu un altro problema: durante il panico finanziario del 1793, numerose banche private fallirono poiché avevano emesso molte più banconote di quante ne potessero riscattare in oro.

Inoltre il valore di queste banconote poteva fluttuare in base alla salute finanziaria della banca che le stampava, creando ulteriore incertezza. Se una banca falliva o le sue riserve erano inadeguate, le sue banconote potevano perdere valore, minando la fiducia nel sistema monetario. Questa vulnerabilità alle corse agli sportelli e ai crolli bancari rendeva il sistema intrinsecamente instabile. Il sistema bancario decentralizzato poneva anche delle sfide di coordinamento: senza un'autorità centrale che regolasse l'emissione, il rischio di sovraemissione (che portava all'inflazione) o di sottoemissione (che causava carenze di credito) era significativo. Le banche concorrenti a volte emettevano banconote con denominazioni o standard incompatibili, complicando ulteriormente il commercio e la contabilità. Le banche commerciali come Barings e Rothschild & Co. svolsero un ruolo fondamentale nel finanziamento delle rotte commerciali, dei grandi progetti infrastrutturali e dell'impero della Gran Bretagna.

Il XVIII secolo segnò un periodo di trasformazione per il sistema finanziario britannico, poiché istituzioni come la Banca d'Inghilterra divennero parte integrante delle ambizioni della nazione. La BoE svolse il ruolo di principale operatore del debito pubblico, raccogliendo £1,2 milioni nel suo anno di fondazione. Nel tempo, si ramificò in prestiti commerciali limitati, come lo sconto di cambiali per i mercanti (acquistando cambiali a breve termine dai detentori prima della scadenza), i quali avevano spesso bisogno di denaro rapido per finanziare le loro operazioni. Vendendo la cambiale a una banca a sconto, potevano accedere immediatamente alla liquidità e ampliare le proprie reti commerciali. Nel 1742 la Banca d'Inghilterra formalizzò queste operazioni per stabilizzare i mercati, consolidando il suo ruolo nella gestione della liquidità durante le crisi.

La rivalità della BoE con la South Sea Company all'inizio del XVIII secolo ne espanse l'influenza. Entrambe le istituzioni gareggiavano per gestire il debito pubblico della Gran Bretagna, comeptizione culminata con la South Sea Bubble del 1720. Al centro della sua presunta proposta di valore c'era l'asiento, un contratto che garantiva alla Gran Bretagna il diritto esclusivo di fornire schiavi africani alle colonie spagnole sotto l'illusione di opportunità illimitate in una regione mitizzata come El Dorado. Gli investitori si accalcarono, attratti dalle partnership della South Sea Company con istituzioni influenti come la Royal Navy e la Royal African Company. Nel 1719 gli intrecci finanziari della South Sea Company con il governo inglese si approfondirono man mano che si indebitava di più; il Parlamento autorizzò un prestito di £7 milioni come parte del piano della società di consolidare il debito pubblico. Membri della corte reale, parlamentari e persino il re Giorgio I erano azionisti, conferendole un'aria di legittimità intoccabile. Sotto le promesse dorate, però, si celava ben altro: la società non aveva la competenza per le sue iniziative, in particolare nel commercio degli schiavi, e si affidava a partnership fragili e a un'ambizione smisurata. Il mercato azionario in forte espansione stimolò le imitazioni, come le società che sostenevano di estrarre la luce del sole dai cetrioli. L'euforia si trasformò in frenesia e lo scoppio della bolla nel 1720 devastò gli investitori, dagli aristocratici ai piccoli speculatori. Anche Isaac Newton era tra gli investitori. Inizialmente vendette le sue azioni, assicurandosi un profitto di circa £20.000, però in seguito vi investì di nuovo a un prezzo più alto, finendo per subire perdite significative.

Lo scoppio della bolla South Sea ebbe profonde implicazioni per l'economia britannica, facendo sprofondare il sistema finanziario della nazione. La Banca d'Inghilterra intervenne acquistando debito pubblico da investitori in difficoltà e iniettando liquidità nel mercato. Questo intervento segnò una prima affermazione del suo ruolo come “stabilizzatore finanziario”. Il Parlamento, riconoscendo la fragilità del sistema finanziario, approvò una legge per limitare la formazione di iniziative speculative e rafforzare la supervisione delle società per azioni, tuttavia queste misure fecero poco per affrontare le vulnerabilità sottostanti nel quadro monetario della Gran Bretagna. Il sistema finanziario, pur essendo innovativo, era tutt'altro che perfetto. Questa espansione dei poteri e delle capacità della BoE continuò nei secoli successivi. Il XVIII secolo fu trasformativo, poiché le permise di emettere banconote. Le prime furono introdotte nel 1695 ed erano relativamente semplici nel design, costituite da tagli scritti a mano su carta recante il sigillo della Banca d'Inghilterra. Ogni banconota richiedeva la firma manuale da parte di uno dei cassieri della BoE, rendendo il processo laborioso e le banconote altamente vulnerabili alla contraffazione. Quest'ultima divenne un problema serio a metà del XVIII secolo, con banconote false che minavano la fiducia delle persone nella moneta cartacea. La Banca d'Inghilterra rispose adottando diverse misure di sicurezza innovative:

• Filigrane (1697): le prime banconote presentavano filigrane rudimentali come deterrente di base. Nel 1801 le filigrane divennero più sofisticate, incorporando modelli unici per rendere la falsificazione più difficile.

• Disegni intricati (1797): la BoE iniziò a stampare banconote con incisioni complesse e sottili. Questi disegni erano pensati per essere difficili da replicare con le limitate tecnologie di stampa dell'epoca.

• Tecniche di stampa standardizzate (1725): sebbene inizialmente scritte a mano, si passò gradualmente alle banconote parzialmente stampate, riducendo il rischio di errore umano e falsificazione. Verso la fine del XVIII secolo le banconote stampate divennero lo standard, consentendo una maggiore uniformità e sicurezza.

Durante le guerre napoleoniche la contraffazione divenne uno strumento di guerra economica. Si dice che il governo francese orchestrò falsificazioni su larga scala di banconote britanniche, con l'obiettivo di destabilizzarne l'economia. Queste banconote contraffatte, spesso contrabbandate in Gran Bretagna tramite simpatizzanti o navi catturate, crearono panico e sfiducia nella cartamoneta. La contraffazione, però, non era limitata agli attori stranieri: le pressioni economiche delle guerre, unite alla mancanza di occupazione, spinsero molti individui a falsificare banconote. All'inizio del XIX secolo si stimava che nella sola Inghilterra venissero perseguiti annualmente fino a 300 casi di contraffazione. Questa cifra probabilmente minimizzava la portata reale del problema, poiché molte falsificazioni non venivano rilevate o denunciate. Al culmine della crisi della contraffazione, si stimava che il 10% di tutte le banconote in circolazione della Banca d'Inghilterra fossero false. Ricorda vagamente qualcosa... come l'eurodollaro ad esempio.

Il governo inglese non prese bene tali contraffazioni e, tra il 1805 e il 1818, più di 500 persone furono giustiziate in Gran Bretagna. Sebbene il monopolio della Banca d'Inghilterra sull'emissione di banconote non sarebbe stato formalizzato ufficialmente fino al Bank Charter Act del 1844, la sua reputazione di istituzione più affidabile in un ambiente finanziario altrimenti instabile stava già diventando evidente. Entro la fine del XVIII secolo la Gran Bretagna sarebbe stata sulla buona strada per diventare una potenza globale e la Banca d'Inghilterra avrebbe consolidato la sua posizione di forza stabilizzatrice del sistema finanziario del Paese.

Un altro capitolo cruciale nella storia della Banca d'Inghilterra fu il finanziamento delle guerre, in particolare delle guerre rivoluzionarie e napoleoniche (1793-1815) che alla fine costrinsero la Gran Bretagna ad abbandonare il gold standard nel 1797. In quel periodo cominciò a essere chiamata “The Old Lady of Threadneedle Street”, soprannome derivante da una vignetta satirica del 1797 a firma di James Gillray. La raffigurazione satirica rifletteva la relazione tesa tra la BoE e il governo inglese durante le guerre contro la Francia: mentre l'amministrazione Pitt attingeva sempre più alle riserve auree della Banca d'Inghilterra per finanziare la guerra, la capacità della banca centrale inglese di sostenere i pagamenti in oro finì sotto una forte pressione. Nel 1797 la situazione raggiunse un punto di rottura, culminante con la sospensione dei pagamenti in oro. I conflitti richiesero finanziamenti immensi e la Banca d'Inghilterra divenne il principale finanziatore dello sforzo bellico britannico, espandendo il suo ruolo di gestore del debito sovrano. Alla fine delle guerre napoleoniche era diventata l'istituzione dominante nella finanza britannica, gestendo quasi tutto il debito sovrano a lungo termine e supervisionando la politica monetaria della nazione.

Mentre la Gran Bretagna avanzava nel XIX secolo, visse un periodo di rapida crescita economica ed egemonia globale noto come “Età dell'oro”: la Rivoluzione industriale stava trasformando il Paese e l'impero britannico si stava espandendo rapidamente. La sterlina divenne la valuta di riserva mondiale, uno status che rifletteva il predominio della Gran Bretagna nel commercio e nella finanza globali. Tuttavia il percorso non fu facile. Nel 1866 emerse un panico di massa che riaccese i timori sulle vulnerabilità del sistema bancario a riserva frazionaria. Fu innescato dal fallimento catastrofico di Overend Gurney & Co. e si trasformò rapidamente in una crisi a tutto campo. L'ascesa e la caduta di Overend Gurney & Co. è una delle storie finanziarie più drammatiche della Gran Bretagna vittoriana. Fondata nel 1800 dal banchiere quacchero Samuel Gurney, la società crebbe da piccola banca provinciale fino a diventare il principale broker di cambiali di Londra nel 1820. A metà del XIX secolo Overend Gurney era parte integrante dell'economia industriale britannica, elaborando transazioni per un valore fino a metà del debito nazionale del Regno Unito all'epoca. Tuttavia il successo dell'azienda generò compiacimento e comportamenti rischiosi: fece investimenti speculativi nelle ferrovie e nel commercio estero, mal gestiti e mal programmati, che ne prosciugarono le risorse. Nel 1865 si diceva che le perdite superassero le £500.000 all'anno. In un disperato tentativo di rimanere a galla, l'azienda divenne una società per azioni, raccogliendo £5 milioni dal capitale pubblico, sebbene gli investitori non fossero informati del pericolo finanziario dell'azienda. Nonostante ciò le sue iniziative speculative continuarono a sgretolarsi.

Il 10 maggio 1866 Overend Gurney sospese i pagamenti, scatenando il panico che sarebbe passato alla storia come “Black Friday”. Oltre 200 banche fallirono nella crisi che ne seguì. In risposta la Banca d'Inghilterra intervenne, agendo come prestatore di ultima istanza iniettando liquidità nel mercato, una mossa che avrebbe continuato a influenzare la linea di politica della banca centrale inglese. Per scongiurare un crollo completo del sistema bancario, adottò diverse misure straordinarie: iniettò liquidità nel mercato, stampando di fatto denaro per ripristinare la fiducia; iniziò anche a estendere prestiti di emergenza ad altre banche e istituzioni finanziarie, tra cui Barclays, Lloyds e Hoare's Bank. La reazione della popolazione fu un misto di paura, confusione, esaltazione e rabbia. Il Times, ad esempio, ne elogiò le azioni, nonostante fosse chiaro che la decisione di inondare il mercato di liquidità comportasse i suoi rischi. The Economist, invece, la accusò di aver permesso che la crisi si sviluppasse in primo luogo. Il fallimento della BoE nell'intervenire prima nella crisi fu visto come un passo falso catastrofico. Guarda caso, quest'ultima fu la stessa linea di politica seguita dalla stampa americana all'indomani della Grande depressione, giustificazione passata alla storia per aver formato il pensiero di Milton Friedman e il suo supporto a una “scusa accademica credibile” per spingere la Federal Reserve a intervenire attivamente sulla scia delle future crisi.

Quanto a Overend, Gurney & Co. il crollo fu visto come una manifestazione di avidità incontrollata e follia speculativa, un esempio dei pericoli in agguato nel sistema finanziario e, quindi, necessitanti azione da parte dei legislatori. Nel giro di poche settimane il peggio del panico era passato e la BoE era riuscita a stabilizzare i mercati. Stiamo parlando di tempi “semplici”, in cui i bilanci erano ancora lontani dall'essere saturati e, da questo punto di vista, c'era ancora spazio di manovra in patria. Tuttavia l'intervento della Banca d'Inghilterra, sebbene alla fine riuscito, sollevò interrogativi sull'azzardo morale derivante dal salvataggio di istituti finanziari falliti. I critici temevano che ciò avrebbe creato un precedente pericoloso, in cui le aziende avrebbero assunto rischi maggiori sapendo che c'era qualcuno alle loro spalle che sarebbe sempre intervenuto per prevenire la catastrofe. Inutile sottolineare che negli anni successivi alla crisi, si intensificarono le discussioni sulla necessità di una regolamentazione finanziaria più forte. Gli eventi del 1866 rappresentarono un terribile monito e un cambiamento di passo: l'approccio laissez-faire della Gran Bretagna aveva bisogno di “una riforma”.

L'influenza della BoE non si limitava solo alla ricerca di prosperità in tempo di pace. Durante la Prima guerra mondiale la Banca d'Inghilterra fu chiamata a finanziare gli sforzi bellici della nazione: nel 1914, con l'intensificarsi del conflitto, il governo britannico emise bond di guerra per finanziarsi. Per quanto la stampa dichiarò che fosse stata una campagna di raccolta fondi di successo, dietro le quinte la Banca d'Inghilterra aveva sudato le proverbiali sette camicie per trovare abbastanza investitori da coprire i prestiti necessari. Infatti il governo inglese si era rivolto alla sua banca centrale per avere più di £100 milioni in finanziamenti e compensare il deficit pubblico. Nel suo libro, Lords of Finance, John Maynard Keynes predisse che la Prima guerra mondiale non sarebbe durata più di un anno, perché i Paesi coinvolti non potevano permettersi di sostenerla: la tensione economica sarebbe stata troppo grande dato che tutte le parti coinvolte avrebbero rapidamente esaurito le loro risorse finanziarie. Le banche centrali furono l'escamotage per aggirare questa evidenza: esse, in particolar modo quella inglese e americana, dirottarono artificialmente le risorse di capitale e sostennero il pesante indebitamento dei rispettivi Paesi, il che alimentò la guerra molto più a lungo del previsto e preparò il terreno per la crisi economica che ne seguì.

Infatti, subito dopo la Prima guerra mondiale, la Gran Bretagna si trovò alle prese con profonde distorsioni economiche: la guerra aveva creato scompiglio nelle finanze della nazione, lasciandola con un macigno di debito pubblico e un mercato dell'export ridotto. Il governo inglese cercò di ripristinare l'ordine finanziario prebellico tornando al gold standard nel 1925. Winston Churchill, allora Cancelliere dello Scacchiere, sostenne questa mossa come simbolo di stabilità e della duratura leadership globale della Gran Bretagna. Solo che non fece i conti con le precedenti deformazioni economiche. Il gold standard legava il valore della sterlina a una quantità fissa di oro e il governo di Churchill fissò il tasso alla parità prebellica ($4,86 ​​a sterlina); questa sopravvalutazione rese le esportazioni britanniche non competitive, acuendo la disoccupazione e rallentando la ripresa industriale. Keynes criticò questa mossa nel suo saggio, The Economic Consequences of Mr. Churchill, sostenendo che avrebbe causato stagnazione economica, previsioni che poi si avverarono. La correzione si intensificò, schiacciando le industrie e riducendo la domanda interna, e la situazione non fece che peggiorare durante la Grande Depressione, quando la contrazione economica globale paralizzò il commercio e la finanza. La mancata svalutazione della sterlina in base alla stampa monetaria che richiese la guerra limitò la flessibilità monetaria, impedendo gli aggiustamenti necessari per affrontare la crisi. Gli Stati Uniti, invece, presero il proverbiale toro per le corna e rimisero in sesto la nazione in un solo anno.

L'ascendente della Banca d'Inghilterra, e la sua presa indiretta, sulla Federal Reserve spinsero quest'ultima ad accettare la richiesta della prima di aumentare la propria offerta di denaro per compensare il deflusso mortale di oro dalle sponde inglesi. In questo modo la FED gettò le basi della futura depressione, come scrisse anche Rothbard nel suo libro America's Great Depression. Alla luce di quanto sappiamo adesso, e di come tutte le micce finanziarie conducano a Londra, il filo diretto tra Londra e Washington non è mai stato staccato; sostituito da una facciata di “alleanze”, ma che invece aveva tutte le caratteristiche di un proxy. Essere un impero globale alla luce del sole richiede accountability, mentre invece una gestione dalle ombre permette un free ride nel momento in cui si commettono errori. Perché essere ritenuti responsabili quando si può avere lo stesso risultato e correggere il tiro senza doversi preoccupare anche dell'opinione pubblica? Si risparmiano energie e le si può indirizzare ai propri desideri più urgenti. Alla fine si tratta sempre di azione umana e incentivi. Questo vale anche per gli imperi, visto che sono costituiti da uomini. L'impero inglese ha quindi mutato forma, ma è sempre rimasto in carica... o perlomeno fino al 2022 come spiego nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Governi fantocci, ma con una facciata appetibile alla popolazione locale, sono sempre stati proxy scelti da Londra per gestire i propri affari all'estero. Come elaborato nella Prima parte di questo saggio, l'influenza esercitata tramite l'aristocrazia del luogo (o i legislatori) e la successiva inondazione di capitali, creano una impalcatura insostenibile dal punto di vista della costruzione di una base di capitale solida e resistente. Ciò sottopone la nazione-obiettivo al ricatto perpetuo della presenza di capitale a basso costo per andare avanti.... almeno fino a quando i tempi non sono maturi per il raccolto. Se state pensando all'USAID, avete capito il concetto. E quale miglior controllo di una nazione se non quello di esportare in essa il proprio modello di business come il sistema bancario centrale?

L'ascendente esercitato dalla BoE sulla FED durante i Ruggenti anni venti è un indizio potente in questa direzione. Anche perché, come abbiamo visto, all'epoca la Banca d'Inghilterra aveva raggiunto uno status eminente in quanto a istituzione rispettata e collegata a livello elitario. Fomentare una crisi per tirarsi fuori, apparentemente, da una colonia controllata direttemente era un escamotage già usato dagli inglesi. Un esempio a tal proposito è l'India. Un alto giudice di Calcutta, P.B. Chakrabarty, scrisse a Lord Clement Atlee (primo ministro britannico al tempo dell'indipendenza dell'India) domandandogli: “Siccome il movimento di Gandhi, Lasciate l'India, era attivo senza alcun successo da decadi e nel 1947 non successe niente di veramente nuovo che obbligasse gli inglesi ad andarsene, perché se ne sono andati?” Atlee citò diverse ragioni e la principale, secondo lui, fu il fatto che gli inglesi non si potevano più fidare dell'esercito e della marina indiane (e gli ammutinamenti, anche durante la guerra furono molti e tenuti nascosti) come risultato dell'attività militare di Netaj, ovvero Chandra Bose. Ciò che teneva l'India sotto il dominio inglese non era la Marina o l'Esercito Inglese, ma quelli Indiani: se questi non erano più affidabili l'unica opzione era quella di abbandonare l'India e cambiare un colonialismo diretto in uno finanziario e indiretto.

Inoltre i soldati indiani impiegati in tutto il mondo dagli inglesi si stavano rifiutando di obbedire agli ufficiali inglesi. Gli inglesi sapevano bene che per mantenere l'India avevano bisogno di un'esercito permanentemente stanziato sul posto, un esercito di dimensioni simili a quello che aveva combattuto nella Seconda guerra mondiale, un esercito che non potevano certamente permettersi, e che avrebbe portato solo ad una rivolta dei soldati inglesi ormai stanchi di combattere mentre a casa le famiglie facevano la fame. Conclusioni da “Non-violenza: storie e miti” del prof. Neumann dell'Universita' dell'Ontario:

Non ho né la posizione morale, né il minimo desiderio di vanificare gli sforzi di chi ha il coraggio di lottare con la non-violenza [...] ma non ha mai funzionato in nessun senso, né in maniera decisiva, in nessuna parte del mondo e non c'è nessun motivo per ritenere che funzionerà mai. Contando solo sulla sua forza, la non-violenza non ha mai ottenuto gli obiettivi politici di quelli che l'hanno utilizzata. Tre sono i principali esempi di successo della non-violenza: il Movimento di indipendenza di Gandhi, il Movimento dei Diritti Civili negli USA e la campagna contro l'apartheid in Sud Africa. Nessuno di questi ha fatto quel che hanno pubblicizzato. La nozione che la gente si può liberare letteralmente lasciando che i loro guardiani li calpestino è fanta-storia.
Il fatto è che Gandhi (come lo chiamava Ginna, rifiutandosi di chiamarlo Mahatma) era una manna dal cielo per gli inglesi e lui probabilmente, filo-britannico e razzista com'era, lo sapeva, e gli stava bene così perché perseguiva i suoi scopi, che non erano necessarimente quelli che la propaganda gli attribuisce. Quando in una intervista anni dopo fu chiesto ad Atlee quale importanza avesse avuto Gandhi nella decisione del governo britannico di lasciare l'India, Atlee fece un sorriso sarcastico e scandì: “M-I-N-I-M-A”. Il fattore finale, la goccia che fece traboccare il vaso e che convinse gli inglesi al ritiro furono sicuramente i combattimenti fra musulmani e indù a Calcutta. Di fronte a una situazione che minacciava di scoppiare, passarono la patata bollente a indiani e pakistani. Non che la non violenza non possa avere risultati (è stata utilizzata da almeno duecento anni in Europa), ma è una tattica circoscritta a specifiche circostanze e da usarsi nell'ambito di una strategia più ampia. In India non funzionò nemmeno in quel senso.

Alla luce di ciò è praticamente legittimo pensare che l'apparente stupidità di tornare a un gold standard pre-bellico fosse funzionale a far risplendere la luce della FED e degli Stati Uniti, come nuovo impero nascente, ma in realtà eterodiretto da Londra. Non c'è solo l'episodio legato ai Ruggenti anni venti, ma anche il London Gold Pool degli anni '60, il LIBOR e la coincidenza storica che poco meno di un anno dopo l'entrata sulla scena mondiale della FED scoppiò la Prima guerra mondiale. Prima di quest'ultimo evento il potere economico e la portata globale dell'Impero britannico avevano consolidato lo status della sterlina come valuta di riserva primaria al mondo, simbolo della vasta rete commerciale e dell'influenza finanziaria della Gran Bretagna. Poi, a cavallo delle due guerre mondiali, l'Inghilterra si dà la zappa sui piedi sprofondando volontariamente nei debiti e ritornando al gold standard ignorando il caos economico precedente. Come si può giustificare un azzardo morale talmente sfrenato? A meno che non si abbiano le spalle coperte...

Infatti il declino del predominio della sterlina britannica culminò con l'ascesa del dollaro statunitense come valuta di riserva globale alla Conferenza di Bretton Woods nel 1944. Gli Stati Uniti presero il centro della scena, diventando il fondamento del nuovo sistema finanziario globale. Ciò avrebbe dato vita a un nuovo cappio finanziario che si sarebbe esteso ai mercati globali: l'eurodollaro.

In conclusione, la storia della BoE è la storia della FED, replicata con sfumature diverse ma alla base sono la medesima cosa. Una conquista che avrebbe permesso all'Inghilterra di aumentare la portata delle sue operazioni sacrificando, nel processo, la ricchezza reale di una nazione prospera e ricca di risorse. Come in ogni schema Ponzi che si rispetti, bisogna sempre aumentare la platea di gente da spennare.


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venerdì 7 febbraio 2025

Ciò che l'eurodollaro ha dato, l'eurodollaro si sta riprendendo (Parte #1)

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/cio-che-leurodollaro-ha-dato-leurodollaro)

Il mondo si sta preparando per una crisi creditizia enorme. Le banche centrali e i governi saranno ancora in grado di finanziare le loro operazioni, e saranno ancora in grado di aumentare i prezzi (nominali) degli asset, ma non saranno in grado di proteggere il valore delle loro valute. Pensate, ad esempio, al recente exploit di DeepSeek: per quanto abbia fatto traballare Wall Street, non cancella affatto le criticità creditizie e finanziarie della Cina. Già adesso la vagonata di debiti accumulati sta portando a un'ondata senza precedenti di allentamento monetario per monetizzarli. Il problema è che questa azione, oltre a non funzionare più come in passato a causa della Legge dei rendimenti decrescenti, sta accartocciando lo yuan. Lo stesso discorso è possibile farlo per la rupia indiana o per l'euro. In sintesi, tutte le principali divise del mondo sono sulla graticola affinché le rispettive autorità che le supervisionano possano tenere in piedi il loro tessuto socioeconomico. Tutte tranne una: il dollaro.

Perché? È una situazione già vista nella storia economica del mondo, più precisamente negli anni '80 del secolo scorso. Allora l'incredibile forza del dollaro stava facendo a pezzi le altre valute, evento che condusse infine agli Accordi del Plaza e alla creazione del LIBOR, un tasso d'interesse mondiale (impostato a Londra) con cui venivano indicizzati i debiti a livello globale. La forza del dollaro venne smorzata e il resto del mondo entrò in un'epoca di (presunta) prosperità che l'avrebbe accompagnato fino al 2008. In questo senso il dollaro rappresenta come una sorta di buco nero che risucchia tutta la forza esistente dal resto delle altre divise: importa inflazione dei prezzi ed esporta disinflazione dei prezzi (o addirittura deflazione dei prezzi).

In realtà la terminologia usata è imprecisa, dato che non si tratta propriamente del dollaro che sta diffondendo ondate di incertezza e dubbio. Si tratta, invece, dell'eurodollaro che sta vedendo contrarsi la propria offerta, o per meglio dire la leva finanziaria cui è stato sottoposto nel corso del tempo. Le vette che aveva raggiunto erano spropositate e assurde, distorcendo a livelli inverosimili una valutazione corretta del rischio (nonché l'allocazione corretta del capitale). Il rialzo di oro e Bitcoin non fanno altro che segnalare questa proposizione: un ritorno lento a livelli sostenibili di rischio. Infatti la campagna di rialzo dei tassi della FED ha avuto come scopo quello di invertire la tendenza nel mercato dell'eurodollaro, aiutata anche dalla BoJ che ha proceduto anch'essa a uscire infine dal pantano dei tassi a zero e della yield curve control. Eurodollaro gonfiato attraverso la leva e carry trade sullo yen hanno rappresentato, soprattutto negli ultimi 16 anni, una fonte (presumibilmente) inesauribile di finanziamenti artificialmente a basso costo e azzardo morale senza freni.

Questa degenerazione, però, non è altro che l'ennesima deformazione finanziaria alimentata dall'attuale natura fiat del denaro. Ecco perché gli USA, sulla scia della vittoria di Trump e della fazione che rappresenta, ovvero i NY Boys, hanno iniziato a tessere le lodi di oro e Bitcoin. Se fino al 2022, anno in cui è stato defenestrato il LIBOR e sostituito dall'SOFR, lo status di valuta di riserva del dollaro era una condanna, adesso può trasformarsi in una benedizione: sganciati dal rischio sistemico esterno, gli USA possono gestire la propria politica monetaria in base alle necessità reali della nazione senza preoccuparsi più della possibilità di importare guai economici tramite indicizzazione esterna dei debiti. Questo per dire che se la stagnazione italiana costringerà a nuove misure di allentamento monetario (palesi) la BCE, ciò non si ripercuoterà direttamente sulla linea di politica della FED. Quest'ultima è stata la banca centrale del mondo fino al 2022; tutto il caos geopolitico ed economico a cui abbiamo assistito e assistiamo è solo un riflesso della sua effettiva indipendenza.

Ciò che l'eurodollaro ha dato, l'eurodollaro si sta riprendendo. La forza del dollaro strangolerà lentamente tutti coloro che nel tempo si sono approfittati di questo mercato ponendo come garanzia la sopravvivenza stessa degli Stati Uniti, economicamente e socialmente, fino a quando le varie altre fazioni mafiose di questa gigantesca cupola mafiosa non si presenteranno “spontaneamente” al tavolo delle trattative (in particolar modo la cricca di Davos). Attualmente stanno scegliendo di raddoppiare la posta in gioco e continuare a usare i risparmiatori come carne da cannone... non è rimasto loro nient'altro.

Per capire meglio come andrà a finire questa storia, e il meccanismo con cui il mondo si sta rimodellando, è necessario fare un passo indietro e capire per prima cosa cos'è l'eurodollaro.


L'ANTENATO DELL'EURODOLLARO: DENARO SCRITTURALE E RISERVE BANCARIE

Esiste un sistema finanziario “nascosto” al di fuori della giurisdizione del Tesoro americano o della Federal Reserve, ed è importante quanto o forse più importante di qualsiasi altro esistente. Questa economia sommersa opera nell'ombra, eseguendo transazioni e creando nuove forme di denaro mai viste prima. Fino al 2022 stava rappresentando la fine del dollaro. Benvenuti, quindi, nel sistema dell'eurodollaro.

Per comprendere appieno la struttura e la storia del sistema dell'eurodollaro, dobbiamo prima capire cos'è il denaro scritturale. Esiste da centinaia di anni e, nonostante ciò che molte persone pensano, la transizione dal gold standard avvenne molto tempo fa: il sistema con cui gli Stati Uniti e altre economie capitaliste hanno lavorato sin dal 1600 non era un vero standard basato sull'oro, ma piuttosto uno standard a riserva aurea. Le banche accettavano oro e argento ed emettevano banconote, che in origine erano certificati di deposito dell'oro, per dimostrare la proprietà dei metalli nel proprio conto. Queste banconote potevano quindi essere scambiate liberamente tra loro, ma in origine non esisteva alcun taglio standard. Con l'evoluzione del sistema bancario tra la fine del 1700 e l'inizio del 1800, divenne chiaro che il gold reserve standard, un rimedio ai “difetti” di un gold standard (si pensi a portare in giro borsellini pieni di oro e argento e dover chiedere/dare il resto esatto), era anch'esso imperfetto. Le banche dovevano detenere fisicamente le riserve auree presso le filiali e, poiché la crescita economica stimolava il commercio e gli affari, ciò significava che si verificavano sempre più scambi e le banconote emesse circolavano di più. I problemi iniziarono a emergere quando i viaggiatori, andando da una città all'altra, portavano banconote dalla loro città in quella nuova. Ad esempio, se un mercante viveva a New York, e doveva andare a Boston, avrebbe utilizzato le sue banconote per il commercio o per finanziare il viaggio. La maggior parte delle attività di Boston non accettava quelle banconote, poiché non ne conosceva l'affidabilità creditizia, quindi il mercante doveva recarsi in una banca locale, o in un mercato monetario, dove i trader valutavano il valore della banconota e la scambiavano con una locale, solitamente sotto il pari (ad esempio, acquistavano le banconote di New York a 90 centesimi sul dollaro).

Quindi le banconote di New York potevano accumularsi in una banca di Boston e, senza un sistema di riserva corrispondente, non c'era modo di regolare questi crediti se non ricevendo fisicamente le banconote e convertendole in oro o argento. Il problema è che, sapendo che molte delle banconote sarebbero state portate lontano e probabilmente non sarebbero state convertite in oro, molte banche locali avevano un incentivo a emetterne in quantità eccessive nella speranza che circolassero in luoghi lontani e non fossero mai riportate indietro per il rimborso in oro/argento fisico. Nonostante le sue imperfezioni, la struttura decentralizzata del sistema bancario pre-guerra civile concesse alle banche la libertà di esplorare autonomamente modi per migliorare il sistema. Non è ben noto che una di queste innovazioni fu una banca americana privata che portò organizzazione e praticità a numerose banconote emesse privatamente.

Presto nacquero le figure dei broker monetari, i quali acquistavano banconote a prezzo scontato dei viaggiatori e poi le trasportavano fisicamente nel luogo in cui erano state emesse per il rimborso in oro o argento. Questi broker erano odiati dai banchieri, ma svolgevano un ruolo essenziale in quanto contribuivano a limitare la crescita dell'offerta di denaro. Nel 1814 la New England Bank dichiarò il suo ingresso nel settore dei broker monetari; dieci anni più tardi erano diventate 6 le banche a livello nazionale che svolgevano tale compito. Il loro obiettivo, però, mutò col tempo: non tanto trarre profitto dal rimborso, ma piuttosto tenere a freno la quantità di banconote in circolazione. Credevano illusoriamente che così facendo, ci sarebbe stato un aumento nell'utilizzo delle loro banconote di qualità superiore, portando in ultima analisi a maggiori prestiti e profitti per esse. Tuttavia più ne acquistavano, più banconote di qualità ancora inferiore avrebbero preso il loro posto. Dato l'aumento del rischio associato, una di queste banche, la Suffolk Bank, propose ad altre sette banche locali l'istituzione di un fondo congiunto per acquistare e restituire le banconote alle banche emittenti. Questa coalizione, denominata Associated Banks, raccolse $300.000 per questo scopo. Col passare del tempo la Suffolk Bank avrebbe acquisito sufficiente forza per operare in modo indipendente. Inoltre aveva l'influenza necessaria per costringere le banche di altri stati a depositare oro e argento presso di essa, facilitando così il rimborso delle banconote. Nel 1838 quasi tutte le banche del New England rimborsavano le proprie banconote tramite la Suffolk Bank.

Essa forniva un servizio cruciale: accettava, alla pari, tutte le banconote depositate da altre banche del New England, accreditando i conti delle banche depositanti il ​​giorno successivo. Agendo come “stanza di compensazione”, la Suffolk Bank facilitò un sistema in cui qualsiasi banca del New England poteva ora accettare le banconote di qualsiasi altra banca, indipendentemente dalla distanza geografica, al loro valore nominale. Ciò ridusse significativamente il tempo e gli inconvenienti associati alla richiesta di rimborso in oro/argento da ciascuna banca. Inoltre si sviluppò un senso di certezza che le banconote delle banche associate al sistema Suffolk sarebbero state onorate alla pari. Questa garanzia inizialmente guadagnò terreno tra i colleghi banchieri e alla fine permeò la popolazione in generale. La fiducia è l'asset più potente di una banca e la più grande passività se viene persa. Lo strumento più potente della Suffolk per mantenere la stabilità era la sua autorità nel conferire l'adesione al sistema: ammetteva esclusivamente banche le cui banconote dimostravano una solida salute finanziaria. Sebbene non potesse impedire a una banca mal gestita di emettere banconote in eccesso, rifiutarne l'adesione garantiva che quelle banconote non avrebbero ottenuto un'ampia circolazione. Inoltre le banche associate che affrontavano una cattiva gestione potevano essere rimosse dall'elenco delle banche del New England approvate dalla Suffolk.

In sostanza, funzionava come una banca centrale che garantiva l'integrità delle altre banche. Così facendo, trasformò il New England in un baluardo di stabilità monetaria in un periodo in cui il resto dell'America era alle prese con turbolenze monetarie. Sebbene la banca alla fine fallì e fu liquidata, la Suffolk servì da prototipo di banca di riserva.

Le banche di riserva sarebbero esistite nelle principali città e avrebbero facilitato la negoziazione delle riserve bancarie. Il sistema bancario divenne così una struttura piramidale, in cui le banche di riserva più grandi erano custodi del denaro di centinaia di banche cittadine, le quali, a loro volta, erano custodi del denaro di migliaia di banche rurali. Quando fu creata la Federal Reserve, non fu un'idea nuova e innovativa: fu semplicemente un adattamento del sistema che esisteva prima. La novità era la stampa di denaro approvata legalmente, la capacità di una banca centrale di prestare quantità illimitate di riserve bancarie a banche in crisi e soddisfare le loro esigenze di gestione del capitale. Prima della FED, le banche di riserva erano limitate nella quantità di prestiti che potevano creare senza rischiare l'insolvenza. Queste misure di “check and balance” impedivano un azzardo morale diffuso e sottovalutato, e i padri fondatori questo lo sapevano, ecco perché la Costituzione americana sancisce che una creatura come la FED non poteva essere creata sul suolo americano. Ed è il motivo per cui si trova a Washington DC. Per quanto, a livello ufficiale, il suo ruolo sia quello di guardiano della “stabilità monetaria”, a livello ufficioso serviva a scongiurare la fine di interessi stabiliti come quelli della Suffolk: costringere le banche ben capitalizzate a salvare quelle meno capitalizzate.

Questo sistema, nonostante fosse ancora basato sul gold standard, ora eliminava la necessità di oro fisico, anzi persino dollari (per le banche), perché le riserve bancarie potevano essere scambiate tra istituzioni che cercavano di puntellare la loro solvibilità. Le riserve rappresentavano un diritto su oro fisico o denaro contante, ma raramente venivano rimborsate, quindi la creazione di credito poteva essere ampliata più che mai. La maggior parte del denaro in questo senso era ora “denaro fantasma”, un derivato di terz'ordine della moneta base, ovvero l'oro. Si trattava di registrazioni sui libri contabili interni della banca di riserva, non esistevano da nessun'altra parte.


COS'È L'EURODOLLARO?

Questa anamnesi storica è propedeutica per capire non solo l'evoluzione del sistema bancario ombra, ma soprattutto per avere uno schema in mente da poter replicare adesso su scala maggiore. Infatti è possibile traslare quanto descritto finora a livello internazionale. Ma andiamo con ordine. La creazione di denaro è sempre stata ad appannaggio del sistema bancario commerciale nel suo complesso, quello centrale invece rappresentava una sorta di “smorzatore” o “attenuatore” degli eccessi che potevano verificarsi sulla scena economica. Le nuove riserve create dal sistema bancario centrale, infatti, servivano semplicemente a puntellare eventuali eccessi e spalmarli sull'intera economia. Ovviamente non agiva in risposta a qualsiasi crisi, come ad esempio accadde nella prima parte della decade del 1930 quando furono lasciate fallire migliaia di piccole banche negli USA durante la Grande depressione. Per quanto incredibile possa sembrare, la FED non era la banca centrale degli Stati Uniti ma una succursale di quella inglese e questa affermazione venne inizialmente corroborata dell'interventismo attivo della banca centrale americana durante i Ruggenti anni venti per impedire che la BoE vedesse defluire tutto il suo oro dalla nazione.

La presunta obsolescenza dell'Impero inglese dopo la Prima guerra mondiale era un bluff, dato che i capitali che volavano verso ovest avevano il preciso scopo di costruire il famoso complesso militare-industriale di cui Eisenhower mise in guardia gli americani. L'élite europea, che oggi chiamiamo cricca di Davos, ha sempre agito in questo modo: inonda un posto di capitali a basso costo, si ingrazia l'aristocrazia del luogo, lo fa sviluppare e poi come uno sciame di locuste consuma tutto. È un modello che è stato replicato più volte nella storia ed è di design prettamente inglese. Ancora adesso possiamo vederlo all'opera. Tornando a noi, invece, se gli inglesi non erano riusciti ad ammansire la loro colonia con la forza nel XVIII secolo, ci riuscirono nel XX con l'istituzionalizzazione della Federal Reserve e l'illusione che fossero alleati degli americani. L'avversione storica da parte americana al sistema bancario centrale istituzionalizzato era una consapevolezza di come la nazione sarebbe potuta cadere sotto l'influenza straniera nel caso in cui una concentrazione di potere così densa avrebbe potuto rappresentare una preda facile per chi avesse avuto l'intenzione di catturarla. La decentralizzazione statale americana, l'indipendenza che ogni stato ha conservato sulla scia della Guerra d'indipendenza, erano stratagemmi dei Padri fondatori per impedire a un qualsiasi agente malevolo di infiltrarsi e distruggere la nazione dall'interno.

La nascita della Prima e della Seconda banca degli Stati Uniti nel XIX secolo erano i tentativi primi per creare un tale cavallo di Troia. Ma come la storia ci ha insegnato, tutto ciò non fu sufficiente ad arginare la creazione di una banca centrale... sul suolo extra statunitense. È alquanto buffo notare come la trasformazione della FED, da presunto “guardiano passivo” degli eventi economici a figura attiva, è coincisa con la giravolta di Keynes su temi economici (rispetto alle sue posizioni espresse in The Economic Consequences of Peace e A Tract on Monetary Reform) e la sua assunzione a figura di riferimento per quanto riguardava le linee di politica da seguire a livello mondiale. Non vi suona familiare? Le voci contrarie, quali quelle di Hayek, Robbins e altri, silenziate e relegate ai margini del dibattito pubblico (nonché minacciate di estromissione dalla vita accademica). Un unico piano e un'unica linea di politica socioeconomica cristallizzati nella General Theory. Se gli ultimi 5 anni ci hanno insegnato qualcosa, è che la storia si ripete... o per meglio dire, si spingono determinati eventi affinché si possa ripetere.

Attenzione, questo non per dire che gli Stati Uniti sono stati una nazione passiva e completamente conquistata dagli inglesi. L'influenza esercitata oltreoceano, però, ha mosso le leve giuste affinché i risultati andassero a vantaggio dell'Inghilterra. Nella seconda parte esploreremo meglio questo tema, adesso limitiamoci a far scorrere il tempo e osservare come l'evoluzione del sistema bancario e monetario abbia creato un elefante talmente grande nella stanza da oscurare persino la sua presenza. Infatti, come suggerito all'inizio di questa sezione del saggio, portiamo a un livello superiore quanto appreso in quella precedente: immaginiamo, adesso, che il cambio delle banconote non avvenga più a livello nazionale (tra città statunitensi) ma a livello internazionale (tra capitali mondiali). Il sistema introdotto a Bretton Woods rendeva il dollaro la valuta di riferimento a livello mondiale per quanto riguardava il saldo tra Paesi, l'unica rimasta ad aver un ancoraggio (per quanto lasco) all'oro. Di conseguenza i dollari che uscivano dagli USA dovevano essere poi convertiti in valute locali (come marco, lira, franco, sterlina, ecc.). E uno degli eventi storici che più ha alimentato questo meccanismo è stato il Piano Marshall; infatti secondo alcuni punti di vista si potrebbe dire che il sistema dell'eurodollaro nacque esattamente da suddetto Piano.

Un inciso qui è d'obbligo. Sebbene molti possano pensare che l'eurodollaro sia una sorta di valuta a parte, in realtà si sbagliano: detto in parole povere, sono dollari che circolano all'estero. Così come il sistema bancario ombra non è affatto costituito da società, aziende, o istituti di credito che agiscono al di fuori di regolamenti e regole. No, sono entità che esistono “alla luce del sole” ma che, per usare un termine improprio e allo stesso tempo esplicativo, hanno una doppia contabilità.

In realtà, così come ogni altra cosa sui mercati, è stata la consuetudine a far sviluppare il fenomeno e poi la sua sedimentazione nelle pratiche “comuni” ha potuto far affermare che fosse nato. Per quanto disfunzionale o prono all'azzardo morale, non si può non riconoscere la natura di mezzo di scambio dell'eurodollaro e la sua elevata liquidità. Sebbene il rovescio della medaglia fosse un'elevata probabilità di disseminare l'ambiente economico di errori da correggere in futuro, il progresso abilitato a livello mondiale è innegabile. Il problema col denaro fiat, da che mondo è mondo, è solo uno: è dannatamente facile farsi sfuggire le cose di mano e andare fuori controllo. Ed è esattamente così che sono andate le cose. Vi prego ancora una volta di tenere a mente l'esempio storico riportato nella sezione precedente, perché è esplicativo di come si siano svolti gli eventi a livello internazionale poi, quando sulla scia di Bretton Woods il dollaro è diventato a tutti gli effetti valuta di riserva mondiale. Per quanto Robert Triffin avesse capito il malessere, non aveva capito l'origine. Infatti le stesse dinamiche viste in precedenza a livello nazionale si ripresentarono anche a livello internazionale, con la necessità di un surrogato della Suffolk Bank che in qualche modo “frenasse” la crescita dell'offerta di denaro. Ma quale offerta di denaro stava crescendo? Ancora si era ignari del problema causato dalla circolazione dei dollari all'estero.

La creazione di entità sovranazionali, come la Banca Mondiale e l'FMI, non furono affatto d'aiuto. Anzi hanno acuito il malessere. Le criticità, gli errori economici, saltarono fuori dopo più di un decennio dopo il Piano Marshall a causa del fatto che la guerra aveva distrutto enorme capitale (finanziario e umano) sul suolo europeo, quindi la ricostruzione dello stesso e il raggiungimento del benessere (al pari di quello statunitense) mascherarono il tutto. All'epoca, comunque, c'era ancora un freno all'azzardo morale rappresentato dall'oro, il quale poteva essere rimborsato su richiesta cedendo dollari. La creazione ombra di quest'ultimi, man mano che i problemi economici spuntavano qua e là a livello internazionale e i bilanci arrivavano a saturazione, aveva altresì creato rivendicazioni fasulle sul metallo giallo. Quest'ultimo è finito a differenza dell'infinita quantità a cui può arrivare il denaro fiat, tracciato o meno. Il deflusso di oro allarmò non poco le autorità statunitensi che decisero di creare, insieme ai loro “partner” inglesi, il London Gold Pool: un nuovo strato burocratico da aggiungere a quelli esistenti per cercare di frenare un fenomeno che iniziava a creare grattacapi agli USA. Ma come per ogni cosa che riguarda la vita umana, se non si arrestano le cause di un qualcosa, gli effetti andranno avanti e si aggraveranno. E così è stato fino ad arrivare al famoso 15 agosto del 1971 quando gli USA uscirono unilateralmente dalla finestra dell'oro.

Le autorità statunitensi avevano intuito che ci fosse qualcosa di sbagliato nel sistema, ma non riuscivano a capire esattamente cosa fosse e per guadagnare tempo decisero di legare il dollaro a un'altra commodity: il petrolio. L'offerta più flessibile di quest'ultimo permetteva di avere una copertura, per quanto lasca, del dollaro e allo stesso tempo ottenere il tempo necessario per identificare il problema. La grande inflazione degli anni '70, così come le carenze di benzina sul suolo statunitense, furono figlie di una delle prime grandi crisi dell'eurodollaro e del cerotto messo dalla Federal Reserve tramite un'ingente stampa di denaro supervisionata allora da Arthur Burns. Inutile ricordare che non servì a niente, anzi l'allentamento monetario e l'abbassamento artificiale dei tassi d'interesse non fecero niente per promuovere una crescita reale. Così facendo, infatti, gli USA stavano solamente dando più corda al sistema eurodollaro con cui impiccarsi. Si stava ponendo sul piatto la prosperità americana affinché fosse spolpata all'estero e permettesse un ambiente economico internazionale in cui i pasti gratis potevano essere presumibilmente portati avanti all'infinito.

La cosiddetta “cura Volcker” mise un freno a tutto ciò quando avviò un ciclo feroce di rialzo dei tassi e frenò la crescita dell'offerta di denaro. In quel momento gli USA iniziarono a capire qualcosa, ma non durò molto. La recessione risultate in patria costò la rielezione a Carter, all'estero invece la forza del dollaro scaraventò nel caos economico le altre nazioni. Le cose sembravano essersi risolte. Non bisogna scordarsi, comunque, che all'epoca i bilanci pubblici e privati erano ancora perlopiù sgombri e il Picco del debito era un ectoplasma. Ciò diede un impulso non indifferente a quella che oggi conosciamo come “finanziarizzazione dell'economia”: detto in parole povere, venne allungata la catena degli intermediari finanziari. Uno dei temi più importanti che affronta il mio ultimo libro, Il Grande Default, è esattamente questo: porta alla luce il cosiddetto “mistero dell'attività bancaria ombra”, dove il falso senso di sicurezza rappresentato da una quantità smodata di intermediari finanziari tra l'asset acquistato dall'investitore e chi lo emette è sintomo di ponderazione errata del rischio piuttosto che di diversificazione dello stesso. La globalizzazione commerciale, ovvero l'allungamento delle supply chain, non era altro che un riflesso della globalizzazione finanziaria, ovvero l'allungamento delle catene degli intermediari finanziari. Gli Accordi del Plaza sancirono questa “rinascita” e strada verso l'inferno economico, per quanto inizialmente apparisse un paradiso. Inutile dire che, data la pulizia effettuata dalla FED con la “cura Volcker” e la presenza di bilanci sgombri da poter saturare, il senso di crescita infinito permeò i vari ambienti finanziari portando a quello scoppio di benessere durato circa 20 anni. O perlomeno fino allo scoppio della bolla dotcom.

Le cose lì iniziarono a incrinarsi di nuovo. Perché? Il primo motivo: i bilanci iniziavano a saturarsi. Il secondo motivo: l'indicizzazione dei debiti mondiali al LIBOR faceva in modo che i guai interni di altre nazioni si ripercuotessero indirettamente sugli Stati Uniti, costringendo la FED a intervenire anche quando internamente non c'erano problemi o la nazione poteva permettersi di sopportare tassi d'interesse più alti. Un esempio propedeutico a tal proposito è il contagio che mandò quasi in bancarotta LTCM. A riprova tra l'altro che l'overstretching delle catene degli intermediari stava raggiungendo il picco. Il 2001 non fu altro che il proverbiale canarino nella miniera, evidenziando una falla ormai strutturale prossima ad andare fuori controllo. E ciò accadde sette anni dopo, dove la crisi del 2008 non rappresentò altro che una corda che si spezza. Il mercato dell'eurodollaro era stato tirato troppo a livello di leva finanziaria e riserva frazionaria, seminando in lungo e in largo nei bilanci dei vari istituti finanziari fragilità sistemiche tali da rompere il giocattolo più importante: quello della fiducia. La saturazione dei bilanci, nazionali e privati, non aiutò affatto a rimettere a posto le cose; così come i vari giri di quantitative easing non fecero nulla. Per quanto la FED cercasse di puntellare il sistema attraverso la creazione e lo stoccaggio di riserve in eccesso, esse erano una parte infinitesimale della reale necessità per coprire in pieno la mole di asset ombra che circolava.

Che il sistema fosse “al di là della redenzione” era ormai chiaro a tutti e, come ho scritto più ampiamente nel mio ultimo libro, Il Grande Default, è accelerata la scalata ostile agli USA per far emergere l'Europa come unico “porto sicuro” per il capitale in fuga. In mancanza di alternative, sarebbe stato più facile forzare un haircut in gola agli obbligazionisti, mettere una toppa al debito pubblico, applicare controllo capillare tramite CBDC e far tornare a girare la ruota per criceti. Le grandi banche commerciali statunitensi hanno detto “Niet!”, soprattutto nel 2016 (Brexit, prima elezione di Trump) e nel 2017 (inizio lavori per l'SOFR). L'amministrazione Obama, avendo lavorato in modo più spavaldo delle altre per vandalizzare il tessuto socioeconomico degli Stati Uniti, ha permesso ai cosiddetti New York Boys di capire finalmente cosa dovevano fare per arginare le infiltrazioni esterne nel processo decisionale degli USA e riprendersi il controllo della politica monetaria della nazione: isolare l'America dal resto del mondo, accorciando la catena degli intermediari e togliendo loro il nutrimento. Come? Prosciungando il mercato degli eurodollari. La contrazione della globalizzazione e la regionalizzazione delle supply chain è stato un riflesso di tale decisione.

Arrivati a questo punto, però, mi rendo conto che i lettori potrebbero chiedersi ancora: ma cos'è l'eurodollaro? Facciamo un esempio più pratico, e di stampo odierno, per capire come questo strumento è stato usato in modo intenzionalmente scriteriato. Immaginiamo un istituto di credito X. Esso accende un prestito in yen dato che i tassi impostati dalla BoJ sono negativi a livello reale; vende poi la nuova liquidità per dollari e con essi si rivolge a un money market fund dove acquista un T-bill americano; ora mettiamo che la FED taglia i tassi, il titolo in possesso di X aumenta di valore e può essere venduto permettendogli di avere nuovamente dollari con cui ripagare il prestito originale e comprare nuovi titoli fruttiferi, oppure prestarli (a riserva frazionaria). I dollari creati in questo modo non solo sfuggono alle metriche ufficiali, visto che vengono posseduti al di fuori dei confini statunitensi, ma creano una pressione inflazionistica sulla FED affinché soddisfi una domanda di dollari che non può tenere a bada. Non solo, ma è possibile anche usare i titoli americani come collaterale per creare prodotti finanziari da vendere in tranche: la parte senior collateralizzata con i bond americani, quella mezzanina dalle riserve in dollari dell'istituto X e quella junior dal suo bilancio stesso. La vendita di questi titoli di dubbia qualità è esplosa in particolar modo durante il periodo della ZIRP, quando la fame per rendimenti decenti da parte dei vari istituti finanziari li ha costretti a ignorare il rischio e comprare titoli spazzatura di ogni genere (soprattutto i fondi pensione che sono vincolati a rendimenti annuali fissi a causa delle prestazioni che devono erogare).

Questo esempio semplicistico riguarda una parte infinitesimale delle dinamiche con cui vengono a crearsi dollari dal nulla e al di fuori del controllo della FED, ce ne sono molte altre. Anni fa la metrica monetaria M3 negli Stati Uniti teneva traccia di una piccola parte della profondità del mercato degli eurodollari, ma adesso anche tale tracciamento è stato abbandonato. Questo dà l'idea di quanto sia ingarbugliato e nascosto questo mercato, tanto che è impossibile dare cifre precise. Questi dollari “fantasma”, intermediati fino a poco tempo fa dal LIBOR e quindi dalla City di Londra, hanno incentivato a loro volta la proliferazione di intermediari che facilitassero la loro circolazione: hedge fund, money market fund, fondi di assicurazione, ecc. sono tutti saliti sul carro e hanno usato i loro bilanci per creare una “doppia contabilità”, dando vita a quel sistema noto comunemente come “sistema bancario ombra”. Mentre la politica ha ingessato quanto più possibile il sistema bancario commerciale, ritenendolo la causa unica dei malesseri economici, la “domanda di aggiramento” è cresciuta di ordini di grandezza senza pari alimentando, quindi, un sottobosco di intermediari finanziari che potessero aggirare suddetti regolamenti.

Senza contare che quanto presentato nell'esempio sopra è solo un minuscolo granello di sabbia rispetto alla mole reale di scambi che avvengono ogni ora; ovvero, moltiplicate il tutto per 1000, 10.000 o addirittura 100.000. Gli ordini di grandezza, in realtà, nessuno li sa per certo. Ecco perché la FED è focalizzata sulla contrazione della leva nel mercato degli eurodollari, in modo da recuperare il controllo sulla politica monetaria della nazione e ricostruire la fiducia in essa. Senza fiducia tra gli istituti finanziari e di credito, non c'è via d'uscita dalla stagnazione che ha catturato il mondo intero. E un tassello importante per ricostruirla passa dalla sottomissione dei principali sfruttatori del mercato degli eurodollari, i quali l'hanno usato a proprio vantaggio e a svantaggio degli USA causando gran parte delle deformazioni economiche di cui siamo tuttora testimoni: Bruxelles e Londra.

Nelle prossime parti vedremo come si inseriscono in questo disegno Londra e Tokyo, ma soprattutto analizzeremo il motivo per cui Bitcoin viene benedetto dagli USA. Con esso hanno a portata di mano una soluzione al dilemma di Triffin.


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