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lunedì 1 settembre 2025

I dati “in via di sparizione” della Cina non possono nasconderne il rallentamento economico

L'articolo di oggi è importante per la sua analisi schietta e completa della situazione cinese, ma non dobbiamo scordarci cosa accade sotto la superficie per contestualizzare meglio i fatti che si dipanano sotto i nostri occhi. Le chiacchiere continue durante i passati anni secondo cui la Cina sarebbe stata destinata a superare gli USA erano tutte spacciate dalla stampa generalista guidata dagli interessi inglesi. Infatti la Cina sarebbe dovuta essere la “vittima” successiva della cricca di Davos dopo che gli USA sarebbero stati svuotati della loro ricchezza. Questa gente è paragonabile alle “locuste”: invadono un territorio con capitale a basso costo, lo fanno sviluppare in modo anormale senza seguire la costruzione di un mercato dei capitali capace di sostenerne l'allocazione corretta degli input (si veda il Capitolo 6 del mio libro “L'economia è un gioco da ragazzi”), avviano una razzia delle risorse naturali del Paese target, infine esportano altrove i capitali controllati e fanno sprofondare il Paese nella miseria. Poi si passa all'obiettivo successivo. Con il mercato degli eurodollari incontrollato era una “passeggiata nel parco” portare avanti questo schema; dal 2022, però, le cose sono cambiate. Xi, così come le persone che lo hanno messo lì, erano consapevoli di questo fenomeno... è per questo, infatti, che l'hanno eletto Presidente, allo stesso modo in cui Putin è stato messo lì per salvaguardare la Russia da questo esatto fato. L'uso della “golden power” da parte di quest'ultima per nazionalizzare le aziende occidentali rimaste sul suolo russo dopo il 2022 e l'approvazione di una legge simile al FARA statunitense per tenere sotto controllo la proliferazione incontrollata della ONG, veicolo per eccellenza di infiltrazione estera ostile in un Paese e innesco di rivoluzioni colorate, è stato in un certo senso ricalcato dalla Cina quando ha deciso di tenere chiusi i suoi mercati dei capitali. In sintesi, ha preso i soldi piovuti dall'estero e non li ha fatti più uscire. Non solo, ma da quando la FED ha iniziato il suo ciclo di rialzo dei tassi e sta prociugando il mondo dalla piaga del mercato degli eurodollari a briglie sciolte, la Cina ha iniziato a far collassare consapevolmente tutte quelle aziende che avevano legami con l'estero e che erano veicolo di instabilità economica/finanziaria intenzionale (ovvero strumenti di ricatto). Evergrande è una di queste. Cina, Russia e USA hanno quindi dato vita a un processo di pulizia dalle loro stanze dei bottoni di tutte quelle figure che erano agenti ostili, ridimensionando e, ove possibile, smantellando quella piovra che nel tempo i colonialisti europei hanno costruito per influenzare il mondo e farlo andare laddove ritenevano più opportuno per i loro interessi. Ora, però, il centro del mondo si sposterà sul Pacifico e sull'Artico, dove USA, Russia e Cina detteranno le regole per il mondo di domani. L'UE, nel frattempo, si trasformerà sempre di più nell'URSS, usando i risparmiatori europei come carne da cannone per operare una (futile) resistenza contro l'inevitabile declino del suo progetto socialista.

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di Ethan Yang

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/i-dati-in-via-di-sparizione-della)

Le informazioni sulla salute economica della Cina sono sempre più difficili da reperire. Sebbene Pechino sia sempre poco trasparente su qualsiasi cosa possa potenzialmente indicare instabilità o debolezza, questo comportamento sta raggiungendo un punto in cui i suoi tentativi di occultamento stanno trasmettendo un messaggio inequivocabile: l'economia cinese è in difficoltà.

Il 4 maggio il Wall Street Journal ha riferito che il Partito Comunista Cinese (PCC) sta “facendo sparire” enormi quantità di dati economici in seguito alle notizie di un crollo delle vendite di terreni, di una crescita stagnante del PIL, di una disoccupazione in aumento e persino di un calo della produzione di salsa di soia. 

“Pechino ha smesso di pubblicare centinaia di statistiche”, ha riportato il quotidiano, “la scomparsa dei dati ha reso più difficile per le persone sapere cosa sta succedendo in Cina in un momento cruciale, con la guerra commerciale tra Washington e Pechino che dovrebbe colpire duramente la Cina e indebolire la crescita globale”.

Il motivo per cui ciò sta accadendo è ovvio: il PCC, e in particolare Xi Jinping, sono preoccupati per le conseguenze che i dati economici negativi potrebbero avere sulla loro credibilità e sulla loro presa sul potere.

Non dovremmo affrettarci a concludere che siamo nel 1989, sul punto di assistere alla caduta del Muro di Berlino; né dovremmo concludere che si tratti semplicemente di una transizione strutturale prima che la Cina diventi una superpotenza tecnologica.

La realtà è probabilmente da qualche parte nel mezzo.

La Cina, come gli Stati Uniti, sta affrontando una miriade di difficoltà politico-economiche che non necessariamente faranno deragliare il Paese, ma preannunciano risultati mediocri in futuro. La differenza principale è che gli Stati Uniti dispongono di un sistema per rimuovere pacificamente i responsabili quando le loro idee falliscono.


La storia della crescita della Cina

La Repubblica Popolare Cinese, dopo una serie di riforme di mercato nel 1978 e l'adesione all'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) nel 2001, ha vissuto un miracolo economico, passando dall'essere uno dei Paesi più poveri del mondo alla seconda economia più grande. Le spiegazioni sono molteplici e ampiamente citate, tra queste l'enfasi sulla produzione manifatturiera e su una manodopera a basso costo ma sempre più produttiva, un solido livello di istruzione, una governance stabile e una generale apertura alle imprese, soprattutto nei confronti di un regime comunista. La Cina, inoltre, adotta una linea di politica industriale su larga scala, un grado relativamente basso di libertà economica e un sistema politico che reagisce violentemente a qualsiasi cosa possa minacciare il potere del PCC. Quest'ultimo punto è particolarmente rilevante dopo il 2012, quando Xi Jinping, l'attuale presidente, è salito al potere e ha deciso che il Paese aveva ceduto troppo al presunto caos del settore privato, provocando una drastica riduzione delle libertà politiche ed economiche.

Con il rallentamento della crescita economica, dovuto sia a ragioni naturali che politiche, il governo cinese ha iniziato a diffondere sempre meno informazioni. La Cina, che un tempo vantava tassi di crescita annui a due cifre, ora cresce a un tasso di circa il 3-4%, secondo alcuni esperti. Sebbene questo dato possa essere considerato significativo per un Paese sviluppato come gli Stati Uniti, il PIL pro capite della Cina è di gran lunga inferiore e rimane un margine di crescita sostanziale.


Impedimenti alla crescita 

Parte del motivo di questo rallentamento della crescita è naturale. Con il progredire di un'economia, devono verificarsi determinati cambiamenti strutturali prima che essa raggiunga la fase successiva. Questo fenomeno è noto come “trappola del reddito medio”, uno in cui i Paesi rurali sperimentano una rapida crescita economica man mano che si modernizzano e progrediscono verso un'economia basata meno sull'agricoltura e più sulla produzione e sugli investimenti. Tuttavia la crescita inizia a rallentare perché la fase successiva, oltre la produzione manifatturiera, che non richiede una formazione specializzata, richiede invece determinati livelli di istruzione e infrastrutture. È facile costruire fabbriche e riempirle di lavoratori; creare invece le condizioni per startup tecnologiche, finanza aziendale e un'economia guidata dai consumi richiede più che semplice manodopera e una ragionevole stabilità. La Cina sta affrontando questo problema in questo momento, mentre si confronta con enormi disparità di sviluppo tra le sue ricche città costiere e l'entroterra rurale.

Un altro motivo per cui la Cina sta attraversando un rallentamento economico deriva dalle linee di politica del suo governo centrale. La crescita del PIL sta rallentando per una serie di ragioni, ma alcuni settori dell'economia sono particolarmente ostacolati dall'intervento governativo. Ad esempio, a seguito di un improvviso e aggressivo attacco normativo alle proprie aziende nell'ambito di una campagna nota come “Prosperità Comune” nel 2021, il mercato azionario cinese ha subito un impatto sostanziale e continua a essere in difficoltà.

La Campagna per la Prosperità Comune è stata aggravata dalla continua repressione della società cinese durante l'epidemia di COVID-19 e dall'uso della Strategia Zero COVID. L'indice composito di Shanghai, che monitora tutti i titoli della Borsa di Shanghai, è rimasto relativamente stabile, mentre Alibaba, l'equivalente cinese di Amazon, è trattato a meno della metà del suo massimo di ottobre 2020. La Cina, che aveva iniziato a costruirsi la reputazione di futuro del business, è ora vista dagli investitori come ostile e imprevedibile. Anche la sua dipendenza dal commercio estero per alimentare la sua base manifatturiera è sempre più vista come un difetto, mentre gli Stati Uniti e altri Paesi riequilibrano le loro relazioni con essa per ragioni sia economiche che geopolitiche.

La realtà è che le linee di politica industriali cinesi stanno iniziando a ritorcersi contro di essa. Un importante motore di crescita è sempre stato il settore immobiliare e ora è sull'orlo del collasso a causa degli anni di denaro facile e di pianificazione governativa che hanno lasciato il segno, in particolare con il default del gigante finanziario Evergrande. Le linee di politica industriali volte a sostenere settori specifici (dai semiconduttori ai veicoli elettrici) allocano in modo errato il capitale, causano inefficienze e sconvolgimenti di massa. Nel 2023, ad esempio, i titoli dei giornali erano pieni di resoconti di cimiteri di auto elettriche, poiché le persone hanno ritenuto più conveniente abbandonare completamente le proprie auto piuttosto che cercare di venderle. Il principale fattore scatenante di questo problema sono stati i sussidi sconsiderati che hanno sostenuto le aziende in fallimento e hanno incoraggiato i consumatori ad acquistare auto indipendentemente dal fatto che le loro città disponessero delle infrastrutture adeguate per supportarle.


Cosa significa tutto questo per il futuro?

Il rallentamento della crescita economica della Cina dovrebbe certamente essere visto come un'accusa alle linee di politica di Xi, e più in generale alla linea di politica industriale, e all'incapacità del modello autoritario di Pechino di affrontare adeguatamente le difficoltà strutturali della crescita economica. Ciò non significa necessariamente che la Cina crollerà domani, o che non sarà un contendente geopolitico per gli Stati Uniti. Il settore high-tech cinese continua a crescere, alimentando la crescita di settori strategici come i droni, le terre rare e l'intelligenza artificiale. Sebbene resti da vedere se le linee di politica industriali di Pechino catapulteranno il Paese nella modernità, c'è ancora spazio per la crescita, a un ritmo molto più moderato di quanto desiderato ovviamente. Si può affermare con certezza che troppe cose devono andare per il verso giusto affinché la Cina possa vedere la rapida crescita economica che i fautori della linea di politica industriale ritengono dovrebbe arrivare.

La Cina sperimenterà una crescita economica molto più lenta del previsto, ma il futuro probabilmente non porterà al collasso, bensì alla mediocrità. La domanda da porsi, quindi, è: come affronterà questo dilemma un'entità sempre più paranoica e autoritaria come il PCC?

Il governo cinese adotterà misure radicali per promuovere la libera impresa e ripristinare le relazioni con l'Occidente? Altamente improbabile. Come affronterà Xi Jinping le proposte, benintenzionate, di moderare alcune delle sue linee di politica? Accoglierà silenziosamente le critiche, o ricorrerà a purghe politiche? Ha già fatto entrambe le cose in passato.

Il risultato è probabilmente una via di mezzo. Si tratta di un comportamento sempre più imprevedibile da parte del governo cinese, che cerca da un lato di placare il malcontento popolare e dall'altro di reprimerlo. Il risultato finale è una debole crescita economica nel prossimo futuro e un mandato di Xi Jinping sempre più ansioso e incerto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 4 aprile 2025

Il piano diabolico dell'UE andrà avanti a tutti i costi

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-piano-diabolico-dellue-andra-avanti)

Oggi vorrei aggiungere una parola al vocabolario e far fare un passo avanti a tutti coloro che cercano di comprendere le politiche pubbliche. Il cinismo mette in discussione le motivazioni degli altri; la mia nuova parola, “cinicetticismo”, l'unione di cinismo e scetticismo, è un modo per evitare di essere danneggiati da esse. Nella vita pubblica le persone affermano di migliorare il mondo. “Fai questo”, dicono alcuni; “fai quello”, dicono altri. Il cinicetticismo ci dice cosa sta realmente accadendo: qualunque cosa propongano non funzionerà e le persone che lo suggeriscono sono delle frodi. Un buon esempio è l'inflazione: quante promesse sono state fatte in merito al fatto di voler migliorare il benessere pubblico? Eppure apprendiamo che, in Italia, i salari reali sono in discesa e la povertà è aumentata.

La BCE ha promesso di rilanciare l'economia abbassando i tassi, ma li ha tenuti troppo bassi per troppo tempo. La crescita del PIL ha rallentato e ora non può rialzarli per “combattere” l'inflazione; c'è troppo debito. Tassi più alti farebbero crollare l'economia europea. L'UE, infatti, è il più fulgido esempio adesso delle conseguenze della linea di politica “Inflate or die”. L'unica scelta per la BCE è quella di stampare in modo da abbassare il valore reale del debito.

Cosa fare al riguardo? Il cinicetticismo può proteggervi, infatti se lo si sviluppa diviene particolarmente prezioso per valutare le politiche pubbliche e i loro effetti sulla vostra ricchezza. Come diceva Ronald Reagan, la frase più pericolosa che potevate sentire era: “Sono un agente dello stato e sono qui per aiutare”. Il cinicetticismo vi dice che qualsiasi cosa l'apparato pubblico stia promuovendo sarà una truffa e un fallimento. La maggior parte delle questioni non ha molta importanza, ma due di esse contano molto: la guerra e il denaro. “Ci dobbiamo riarmare per difenderci ed essere sicuri”, dicono in coro i burocrati dell'UE; “i tassi più bassi ci renderanno più ricchi”.

Il cinicetticismo suggerirebbe di non crederci.


LE BASI APODITTICHE DELL'INFLAZIONE

Ricordiamo cos'è l'inflazione: un fenomeno sempre e comunque monetario, tanto per citare Friedman e non essere accusato di partigianeria. La cinghia di trasmissione tra tutte le informazioni economiche nell'ambiente di mercato è fortemente influenzata da quella merce che fa da minimo comun denominatore tra le varie altre, anche se i beni di consumo, in un frangente di tempo “X”, non dovessero avere grosse fluttuazioni in termini monetari. Per l'articolo di oggi è superfluo sottolineare/spiegare l'imprescindibilità del denaro come cinghia di trasmissione delle informazioni all'interno dell'ambiente economico. Di conseguenza l'interventismo artificiale nella domanda/offerta di denaro causa scossoni che devono essere assorbiti dall'intera struttura economica e, in particolar modo, dagli attori di mercato (soprattutto coloro che ricevono per ultimi gli assestamenti dato che sono i più penalizzati). Questo fenomeno ingloba tutti gli asset: dai beni di consumo a quelli di capitale. Sì, ciò include anche materie prime, case e automobili. Il singolo atto di poter distorcere l'offerta di denaro rappresenta un vantaggio competitivo non indifferente che ha conseguenze impreviste lungo un lasso di tempo imprecisato. Di norma il riverbero dell'interventismo monetario ha un ritardo di 18 mesi prima che si manifesti completamente nell'economia più ampia, ma il suo perdurare si espande molto più a lungo dato che suddetto interventismo può accumulare tante variazioni nel breve periodo, ma nel lungo gli effetti sono proporzionalmente imprevedibili in base alla quantità di tali variazioni. Di conseguenza la reazione del sistema bancario centrale a un determinato fenomeno è SEMPRE in ritardo, dato che esse non controllano alcunché se non l'influenza del breve periodo ed ecco perché nel lungo i prezzi tendono a essere “appiccicosi”. Paradossalmente questa motivazione è stata sventolata dai keynesiani per richiedere maggiore interventismo. E ancora più paradossale dover citare lo stesso Keynes che ci spiegava il motivo di ciò: “Solo una persona su un milione capisce il fenomeno inflazione”.

La manipolazione dell'offerta di denaro è il motivo principale dell'inflazione dei prezzi conseguente, ma ce ne sono anche altri. Ad esempio, l'iper regolamentazione. La creazione di un'impalcatura burocratica che capillarmente vuole normare/regolare l'ambiente economico (perché la sua espansione inevitabile lavora con la Legge di Parkinson) crea una distorsione/deformazione del sistema prezzi a causa dell'arbitrarietà con cui vengono sfornate nuove leggi. L'obsolescenza per decreto di determinati output ricade nel famoso caso della “finestra rotta” di Bastiat, dove la distruzione di capitale viene trattata come trasformazione necessaria affinché la burocrazia possa avere voce in capitolo in questioni più grandi di essa. Come sappiamo già da “The Use of Knowledge in Society”, la conoscenza dispersa all'interno dell'ambiente di mercato richiede un certo grado di alertness che è caratteristico di quegli imprenditori di successo in grado di anticipare quanto più correttamente possibile la domanda dei clienti. Ciò richiede la capacità di saper raccogliere quegli input che davvero “hanno valore”, ma la scarsità di quella capacità di “unire i puntini” (o per meglio dire gli input) è ciò che rende unici solo una manciata di grandi imprenditori. Ciò a sua volta significa un'allocazione delle risorse economiche scarse quanto più in accordo con le esigenze degli attori di mercato, un processo in grado di essere concluso con efficienza tramite, ad esempio, il sistema profitti/perdite. O più in generale dal calcolo economico. La burocrazia è sganciata da questo calcolo, di conseguenza, nel momento in cui emette i suoi editti, si arroga prepotentemente il diritto di “avere ragione” a prescindere. Ciò significa a sua volta misallocation di risorse scarse che vengono deviate artificialmente dagli usi più urgenti percepiti dagli attori di mercato e di conseguenza subiscono un rialzo dei prezzi.

Poi abbiamo un terzo motivo: l'abbassamento della qualità/quantità, o altrimenti detto “shrinkinflation”. Questo segue logicamente i primi due ed è uno stratagemma messo in campo nel momento in cui un'attività cerca disperatamente di sopravvivere. In fin dei conti, le attività economiche sono attività “organiche” essendo un'estensione della creatività e dell'esperienza della persona trasformate in qualcosa di tangibile nel mondo fenomenico tramite l'azione umana. E l'istinto di sopravvivenza è innato in tutti gli esseri organici.

Queste motivazioni sono assolutamente vere perché dedotte logicamente dall'assioma dell'azione umana. Queste sono le cause del fenomeno, da non confondere con gli effetti: disonestà, comfort, logistica, miglioramenti/peggioramenti tecnologici, ecc. Non solo, ma sono il motivo cruciale per cui non c'è stata alcuna ripresa finora.

L'obiettivo più importante dei keynesiani è stato farvi pensare che le conseguenze dell'inflazione fossero le cause. Solo l'aumento dell'offerta di denaro, alimentato dalla crescente spesa pubblica, crea inflazione. Gli stati continueranno a spendere e ad aumentare deficit e debito, le banche centrali continueranno a stampare e daranno la colpa a tutt'altro. Il sordido furto dei risparmi tramite l'inflazione e la progressiva erosione degli stessi man mano che questo processo s'è incancrenito a causa del denaro fiat, è già adesso la rappresentazione di quella realtà fabbricata e riassunta dal motto “non avrai nulla”... e ovviamente “sarai infelice”, dato che ultimamente i sicofanti di regime che imbrattano le pagine dei giornali si chiedono sempre più come mai i giovani sono depressi. La risposta che accomuna tutte le cause: il denaro fiat, il quale crea una società fiat svuotata progressivamente da tutto. L'essenza fiat trascina e consuma tutto quello che s'è creato, è un buco nero per i valori sociali, la scuola, l'educazione, l'alimentazione, il benessere psicologico, l'intrattenimento, ecc.

Se davvero i sicofanti di regime volessero aiutare i giovani e alleviare le cause psicologiche dei loro disagi, dovrebbero iniziare opponendosi all'euro digitale e aumentare la consapevolezza riguardo le alternative decentralizzate.


GIOCHI A SOMMA (SOTTO)ZERO

La linea di politica della BCE, sin dalla sua nascita, è stata quella di “stimolare” l'economia con tassi d'interesse sempre più bassi. Ma dopo la più forte medicina “stimolante” mai somministrata, dal 2012 al 2022, il paziente si è ammalato di più: i tassi di crescita sono scesi e il debito è aumentato. Ma la BCE ha imparato dai suoi errori? No. Sta abbassando di nuovo i suoi tassi, e mentre alimenta prestiti a basso costo alle sue banche affiliate, l'economia reale è bloccata con tassi d'interesse reali più alti. I creditori temono una maggiore inflazione; vogliono tassi d'interesse più alti per proteggersi.

Di recente c'è stato un importante selloff sui mercati obbligazionari europei, per niente menzionato dalla stampa finanziaria generalista. Altrimenti, poi, come riuscirebbero a vendere ai gonzi le nuove obbligazioni SURE con cui finanziare il piano da €800 miliardi della Commissione europea?

Il nostro nuovo credo, il cinicetticismo, ci aiuta a spiegarlo. La politica e gli investimenti sono entrambi giochi a somma zero oggi. Si vince non perdendo, ovvero non diventando una vittima. Come? In politica il modo per evitare di essere delle vittime è votare per politici che ridurranno il peso della spesa pubblica. E negli investimenti, la cosa più importante è evitare la “Grande Perdita” e restare in gioco. Ad esempio, le persone che acquistano titoli di stato a lunga scadenza, contando sul fatto che la BCE le ripaghi in tempo utile con denaro che conserva il suo potere d'acquisto, sono le principali vittime.

Non ci credete? Comprate titoli di stato italiani a 10 anni e teneteli fino alla scadenza. Chi l'ha fatto nel 2020, ad esempio, sulla scia delle campagne pubblicitarie “patriottiche”, è più che sommerso.

Inoltre gli annunci delle ultime settimane, con l'euro digitale e la Savings and Investments Union, hanno praticamente reso chiaro anche alle teste di legno quale sia il piano dell'UE: c'è bisogno della guerra in Europa in modo da dare la colpa ai russi per lo stato pietoso in cui versano i mercati dei capitali, questo servirà da innesco per mandare in bancarotta (di proposito) il continente ed emettere nuovi titoli (es. perpetual bond) con cui ripartire daccapo poi. Affinché questo piano possa andare a buon fine, la classe dirigente europea ha bisogno di accedere a garanzie collaterali, in particolar modo energia (che non hanno), ed ecco perché ultimamente sono salite alla ribalta voci che vorrebbero il Canada unirsi con la UE. Con l'arrivo di Carney il Canada potrebbe trasformarsi in un avamposto della cricca di Davos, infatti già si stanno stilando piani affinché esso tenga quanto più liquido possibile il mercato degli eurodollari. Ma Trump e i NY Boys non sono degli idioti, quindi la retorica a proposito di una annessione statunitense di Canada e Groenlandia è indirizzata principalmente a rompere questa alleanza in formazione.

Per arrivare a queste deduzioni mi basta guardare ai mercati dei capitali e chiedermi non perché si muovano, bensì come si muovano. La forma principale di risparmio in Europa sono i bund tedeschi e i Btp italiani. Negli ultimi 3 anni la Yellen e la Lagarde hanno messo in piedi un processo di yield curve control per contrastare il rialzo dei tassi di Powell, in modo da disinnescare l'esplosione del mercato dei titoli sovrani europei (i rendimenti di questi ultimi rispetto alla controparte statunitense). Questa operazione ha tenuto aperti i rubinetti della liquidità internazionale affinché affluisse in Europa e tenesse in piedi l'illusione che i titoli sovrani europei avessero mercato nonostante le difficoltà delle relative economie (permettendo altresì ai fondi pensione europei di rimanere finanziati). Ora che quei rubinetti sono chiusi, grazie al taglio degli sprechi da parte del DOGE, l'unica cosa che rimane alla classe dirigente europea è la nazionalizzazione “coatta” dei risparmi dei contribuenti in modo da sostenere il mercato obbligazionario, mentre la BCE si occupa dell'euro. Questo a sua volta rende ragionevolmente attraenti i titoli sovrani europei tra gli investitori e permette ai relativi stati di non soffrire per costi di finanziamento esosi; inoltre l'apparenza è che non c'è crisi e che i rendimenti sono positivi al netto dell'inflazione.

I dazi di Trump hanno rotto l'incantesimo. La capacità beggar thy neighbour (rendimenti obbligazionari più bassi rispetto al livello dove dovrebbero trovarsi realmente e valuta più debole di quanto dovrebbe essere) viene smantellata. L'euro, e tutte le macchinazioni che finora l'hanno tenuto a galla, sono sopravvissute grazie all'ingegneria finanziaria, in particolare negli ultimi 15 anni, la quale è stata esclusivamente funzionale a mantenere vivi gli eurodollari e il conseguente spolpamento indiretto del bacino della ricchezza reale degli Stati Uniti. Oltre a questa verità ne sta uscendo fuori un'altra: la Francia è il burattinaio politico nell'UE.

Quando la classe dirigente europea piagnucola, significa che si sta andando nella giusta direzione. Quando questi cretini approvavano le armi di ricatto nei confronti degli USA (es. GDPR, DSA, DMA), la stampa se ne stava buona al suo posto parlando di “digitalizzazione” dell'economia. Anche quei giornalisti “liberali” che adesso fanno gli indignati di fronte ai “dazi americani”, e allo stesso tempo dicono di approvare l'amministrazione Trump, si sono ben guardati dal criticare/approfondire questi aspetti. Balle, quindi: erano dazi nei confronti degli USA e un modo di estorcere ricchezza da chi crea valore aggiunto. Le multe dell'UE, quindi, nei confronti dei “colossi” tecnologici americani, altro non sono che un pizzo mafioso richiesto da una banda di cretini che sta giocando col fuoco.

La stessa “agenda green” è un gigantesco ricatto normativo nei confronti degli USA. Ma questo aspetto sfugge ad analisti e giornalisti “furbi”, i quali non vedono un millimetro oltre il loro naso... o non vogliono vederlo. Il Paese a cui farebbe davvero male l'elettrificazione dei veicoli sarebbero gli USA. Pensateci: se guidate per 1000 km in Europa siete già in un'altra nazione; se lo fate negli USA siete ancora nello stesso stato, forse anche contea. La popolazione europea, i contribuenti europei, sono sempre stati la carne da cannone in questa scalata ostile di Bruxelles e Londra nei confronti degli USA; sono stati la base, il collaterale, attraverso cui piramidare e sottoporre a leva le imbecillità normative partorite sinora.

Se davvero Londra e Bruxelles avessero voluto mettersi al pari degli USA dal punto di vista economico e commerciale, allora avrebbero dovuto deregolamentare, abbattere le tasse, tagliare la spesa pubblica. Insomma l'influenza stessa della classe dirigente europea sarebbe dovuta indietreggiare. Per questa gente, che è colonialista nell'anima, non esiste niente del genere. Quindi la scelta è stata quella di infiltrarsi nelle stanze dei bottoni statunitensi e demolirli dall'interno.

I dazi sono un modo diretto da parte degli USA di dire “No” a questa distopia e alla rapina del valore aggiunto da loro creato. Ciò che rimane alla classe dirigente è piagnucolare e un manipolo di sicofanti sulla carta stampata e sui social che danno sfogo al loro isterismo.


FEBBRE GIALLA

L'oro sta facendo ciò che dovrebbe fare: anticipa l'inflazione e offre protezione a risparmiatori/investitori. Tuttavia, cari lettori, attenzione: anche i “tori” e gli amanti dell'oro possono diventare “irrazionalmente esuberanti”. Arriverà il momento in cui le persone saranno euforiche per l'oro: i tassisti vi racconteranno delle azioni minerarie che hanno appena acquistato; le persone si vanteranno di “quando sono entrati”; vi diranno che l'oro “sta andando sulla luna”. Il prezzo salirà così tanto che sarete in grado di acquistare l'intera lista di azioni Dow Jones per sole 5 once d'oro. Sarà allora che uno dovrebbe essere felice di scaricare il proprio oro e acquistare azioni.

Ma questo (probabilmente) avverrà tra qualche anno. Nel frattempo sia le azioni che l'oro hanno stabilito nuovi record, ciononostante il quadro fondamentale non è cambiato: il rapporto Dow/oro era a 20 tre anni fa; oggi è a 16; le azioni hanno perso il 20% del loro valore reale. Devono perdere un altro 70% (in termini di oro) prima di diventare veri affari. E su questo potete contare sulle banche centrali. La BCE non aveva motivo di tagliare i tassi il mese scorso... se non che sta cercando di causare inflazione, non di eliminarla. Negli ultimi tre anni l'inflazione dei prezzi è stata più di tre volte superiore a quanto la BCE (presumibilmente) volesse. Vale a dire, con un aumento annuo del 2%, i prezzi dovrebbero essere circa il 6% più alti di quanto non fossero nel 2021; invece sono, ufficialmente, più alti del 20%.

Ufficiosamente, i prezzi sono ancora più alti. Il Tempo, ad esempio, ci dice che il costo di alcune materie prime è letteralmente schizzato alle stelle. O basta guardare ai veicoli. La Fiat Panda, l'autovettura più popolare in Italia, costava in media circa €12.000 nel 2021. Con un'inflazione del 2%, il prezzo del modello di quest'anno dovrebbe essere di circa €13.000. Invece no: si parte da circa €16.000, un aumento del 35% e una erosone reale del potere d'acquisto degli stipendi (nonché del tempo).

E per quanto riguarda l'edilizia abitativa? I tassi ipotecari più bassi hanno convinto gli acquirenti di case a sottoscrivere mutui basati su prezzi gonfiati e basse rate mensili. Poi, nel 2008, i prezzi delle case sono crollati, gli istituti di credito sono andati in bancarotta e milioni di famiglie hanno perso le loro case. Le banche centrali abbassarono ulteriormente i tassi e li ancorarono sotto lo zero, in termini reali, per un lasso di tempo di 10 anni. Ciò, ovviamente, ha portato a una maggiore inflazione immobiliare e poi, all'assurda situazione in cui le persone avevano difficoltà sia ad acquistare che a vendere una casa. La parentesi del SuperBonus non ha fatto altro che aggiungere più distorsioni economiche a quelle esistenti. Nonostante tutti gli “stimoli” escogitati non c'è stata alcuna ripresa... anzi il bacino dei risparmi reali ha continuato a contrarsi. È questa la situazione che si viene a creare quando entrano in scena gli affari “lose-lose” (o vicendevolmente svantaggiosi): la Legge dei rendimenti decrescenti entra nella sua fase negativa, ovvero per ogni unità di debito creata ne viene (progressivamente) erosa una di PIL. Ecco perché, come scrivevo sopra, l'UE ha disperatamente bisogno di un default da cui ripartire in seguito. E senza ripresa la classe dirigente europea non ha alcun potere di leva sui suoi pari esteri.

Ma scrutiamo un po' più da vicino il settore immobiliare. Una casa media costava circa €1600 al  nel 1998. Con un'inflazione al 2% quella cifra oggi dovrebbe essere di circa €2500 al . Invece se prendiamo una città campione a caso, ad esempio Roma, siamo ben al di sopra; per non parlare di Milano. E ora la BCE ha iniziato un nuovo ciclo di allentamento e questo ha fatto gridare al miracolo gli analisti immobiliari, i quali affermano che ciò renderà più facile per le persone acquistare una nuova casa. Il risultato reale? Prevedendo una maggiore inflazione i creditori hanno aumentato i tassi dei mutui a lungo termine rendendo le case meno accessibili che mai!

In altre parole l'inflazione reale dei prezzi al consumo è ben oltre il 2% e per riportarla all'obiettivo di riferimento la BCE dovrebbe portare il tasso effettivo dell'inflazione dei prezzi al di sotto del 2% per diversi anni. In che modo farlo visto che una variazione mensile negativa della stessa inflazione dei prezzi scatenerebbe grida isteriche di “deflazione”?


CONCLUSIONE

Il nostro nuovo credo (il cinicetticismo) ci avverte che le cose non sono sempre come vorremmo che fossero e non sono nemmeno sotto il nostro completo controllo. Quando i risparmi e i fondi pensione sono per la maggiore allocati in titoli sovrani, e le pensioni sono il più grande schema Ponzi e la più grande spada di Damocle pendente sul collo dei conti pubblici, un haircut è l'unica cosa che ti risolve questi problemi... oltre ad avere una platea di investitori e risparmiatori che non hanno alternative. Questo significa che verrà ingegnerizzata una nuova crisi del debito sovrano attraverso la spesa folle in difesa e altre follie fiscali, molto probabilmente sulla scia di un'operazione false flag per incolpare la Russia e distrarre chi deve essere fregato; il tutto per resettare il mercato dei titoli sovrani europei. Nella cricca di Davos non ci sono stupidi e si sono preparati per entrambi gli scenari, ovvero quello ostile alla loro visione e quello favorevole. Quest'ultimo avrebbe significato che gli USA sarebbero scesi in guerra contro la Russia e il crollo dei mercati dei capitali sarebbe stato affibbiato al conflitto mondiale; nel primo caso, invece, avrebbe significato grandi stimoli fiscali “per la difesa”, per il “cambiamento climatico”, la messa in discussione della NATO e tutte le provocazioni di questo mondo affinché la Russia li attaccasse.

Secondo quest'ottica un tale reset porterebbe anche la tanto agognata ripresa affinché le persone tornino a badare ai propri affari, contente di quel poco che si ritrovano e lasciano “lavorare” la classe dirigente. Quest'ultima farà di tutto pur di rimanere in carica e non finire nella pattumiera della storia. Perché è questo che significa una sconfitta dell'Europa in Ucraina, per quanto quest'ultima sia già fallita e fatta a pezzi. La Russia, infatti, ha già combattuto contro la NATO e ha vinto. Ecco perché se la può prendere comoda e rimanere ferma nelle sue richieste; ecco perché “benedice” gli Stati Uniti nel momento in cui vogliono sbarcare in Groenlandia. Non dovrebbe essere una mianccia diretta? No. La visione di USA e Russia è quella di un ritorno agli “equilibri” della Guerra fredda ma senza le tensioni geopolitiche e commerciali, rendendo l'artico un punto di snodo per le nuove rotte mercantili. Di conseguenza gli europei possono essere sottoposti a dazi fino alla morte senza grandi contraccolpi oltreoceano, riducendo quel surplus commerciale che gli europei hanno ottenuto in modo fraudolento.

Chi è un lettore stagionato del mio blog sa che una delle critiche più feroci alle linee di politica fiscali e monetarie degli Stati Uniti è arrivata dal sottoscritto. Questo è stato vero fino al 2022, quando il cambio di passo è stato evidente e concreto. Tale inversione di tendenza mi ha spinto a rivedere il libro che poi avrei pubblicato due anni dopo, spiegando cosa stava succedendo. Così è nato “Il Grande Default”. Con il SOFR, infatti, gli USA possono bere il “frullato” del dollaro senza dare peso alle conseguenze come invece accadeva prima. Esiste ancora una narrativa che sottolinea le difficoltà economiche e finanziarie degli USA, ma gli manca la prospettiva più ampia. Chi ha letto il mio libro sa da dove si alzano queste voci e cosa vogliono raggiungere; coloro ignari, invece, fantasticano di un declino del dollaro a favore di un'ascesa dei BRICS e dello yuan.

Favole. Qual è la domanda che non si pongono? La seguente: E tutti gli altri? È vero, lo zio Sam ha un problema di debito pubblico, la Federal Reserve ha un problema di bilancio a causa di titoli comprati in precedenza ora sommersi e il resto del mondo non sta comprando titoli sovrani americani come faceva in passato. Ma... e tutti gli altri? Anch'essi hanno tutti questi problemi e anche di più. Il governo federale ha un debito pubblico di $36.000 miliardi, ma il resto del mondo, tutte le altre nazioni non solo hanno il loro debito pubblico (gigantesco) ma ANCHE debiti denominati in dollari da saldare. E questo è il mercato degli eurodollari; se non capite come funziona questo sistema, allora state guardando il singolo albero piuttosto che l'intera foresta. Il resto del mondo è in debito non solo nella propria divisa, ma anche in dollari, e non esclusivamente nei confronti degli Stati Uniti bensì tra di essi. Non potendo stampare dollari questo li rende molto più suscettibili al default rispetto al Paese che li può stampare.

Inoltre quando emergono difficoltà economiche ci si aggrappa a quella cosa di cui si ha più bisogno, non a quella cosa che si desidera. La reputazione degli USA è leggendaria da questo punto di vista: il luogo dove il capitale è trattato meglio. Non solo, ma le altre banche centrali del mondo, nonché quelle commerciali, hanno riserve in dollari e titoli denominati in dollari. Nel caso in cui ci dovesse essere un evento catastrofico a livello di Dipartimento del Tesoro USA o altro, i bilanci dei player esteri verrebbero fatti letteralmente a pezzi. La FED non possiede alcun titolo denominato in una divisa estera (così come sta facendo Tether), le altre banche centrali invece sì. Anche qualora si tirasse in ballo l'oro come copertura attiva gli USA sarebbero comunque avvantaggiati dall'alto delle loro 8000 tonnellate e dall'afflusso di oro da Londra.

Quindi, prima di lanciarsi in scenari futuri fantasiosi in cui i BRICS diventano magicamente il punto di riferimento del mondo oppure il dollaro e l'economia statunitense vanno in acuta sofferenza, meglio capire come funziona davvero il mondo. Fortunatamente ci sono testi che facilitano il compito.


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venerdì 1 novembre 2024

La ricchezza di una nazione

 

 

di Francesco Simoncelli

I mercati non necessariamente forniscono ciò che le persone vogliono, ma danno sempre loro ciò che meritano. Se lasciati in pace, i mercati forniscono prodotti, servizi, svaghi, droghe, alcol... qualsiasi cosa per cui le persone paghino volentieri. Quando i burocrati interferiscono (es. sovvenzionando, penalizzando, proibendo) le persone ottengono meno di ciò che vogliono e di più di ciò che vogliono i burocrati. Di solito ottengono anche molto di ciò che nessuno vuole. Gli interventi statali hanno quasi sempre conseguenze impreviste: non riescono a fornire i benefici promessi e quasi sempre comportano conseguenze indesiderate. Ad esempio, i tassi d'interesse ultra bassi hanno portato il Trend primario del 1980-2020 a livelli estremi. Una delle promesse frequenti dei politici è quella di ridurre la “disuguaglianza”. La sinistra italiana diceva che era la sua massima priorità, ma grazie alla politica dei tassi a zero, azioni e obbligazioni hanno entrambi raggiunto massimi da record e i ricchi sono diventati più ricchi che mai. Nel frattempo la crescita del PIL ha rallentato, l'inflazione è aumentata e ci ritroviamo con un rapporto debito pubblico/PIL che non può essere ripagato.

E ora, limitati dall'inflazione, i burocrati non possono resuscitare il boom del 1980-2021. Invece tutto è cambiato: azioni e obbligazioni rischiano di crollare e i burocrati rafforzano il nuovo Trend primario con tassi d'interesse più alti e deficit sproporzionati. E proprio come le loro linee di politica hanno portato a una ricchezza estrema (almeno per alcuni) durante l'ultimo boom, è probabile che le loro nuove linee di politica portino povertà estrema (forse per molti) mentre il nuovo Trend primario fa il suo corso.

I politici, a loro modo, dicono sempre la verità. Omettere pezzi non equivale a mentire. Di conseguenza ecco che l'economia italiana “cresce” se si fa il cherry picking di dati e si omette di spiegare come un'occupazione maggiore, ad esempio, non è sinonimo di crescita economica. Almeno in questo modo, seppur sulla carta, il verbo keynesiano viene soddisfatto: tassare durante i periodi di vacche grasse. Ma davvero sono grasse? Tralasciando la questione controversa del PIL, un dato sulla bocca di tutti i policymaker è l'occupazione, a detta loro da record. In realtà, è il sommerso che è diminuito, ma questi posti di lavoro già esistevano prima sono semplicemente venuti alla luce adesso; non è stato aggiunto niente. Poi, come da immagine qui sotto, la produzione industriale è in calo da 19 mesi consecutivi; difficile affermare che le cose stiano migliorando se si esclude questo parametro fondamentale.

In particolar modo, non si può affermare una crescita sostenuta in presenza di debito pubblico e deficit fuori controllo... a meno che, ovviamente, non vengano intesi come “anticipo” di una crescita futura, una ipoteca su quest'ultima attraverso uno stimolo fiscale. La questione tasse, infine, è un altro aspetto critico. È vero che non ne sono state create di nuove... sono state semplicemente aumentate le vecchie. Dalle rivalutazioni catastali, i limiti tolti alla web tax e la sua imposizione sul fatturato (cosa che colpisce particolarmente le PMI), la diminuzione delle detrazioni fiscali, ecc. abbiamo un'economia tutt'altro che frizzante ma con un nodo alla gola stretto sempre di più.

E come se non bastasse, a livello europeo è arrivato un nuovo giro di vite che va a penalizzare gli standard di vita delle persone. La teoria economica ci ricorda, in particolare attraverso la voce di Ricardo, che il vantaggio comparato è un supporto per quelle nazioni specializzate in altro. Ancora meglio, è un sollievo per quelle nazioni che devono rimettere in sesto il proprio comparto industriale chiave a causa di scelte imprenditoriali scellerate. Come già affermato all'inizio di questo pezzo, tale è il risultato quando si vogliono soddisfare i “desideri” dei burocrati piuttosto che quelli delle persone. Per essere più specifici, uno dei comparti industriali più in sofferenza è quello delle auto. Detto in modo diretto, nessuno le vuole. Ciononostante il chiaro messaggio che erutta dalle sale decisionali dell'Europa è quello di ridurre l'impronta di anidride carbonica, a qualunque costo. Di conseguenza, malgrado il flop delle auto elettriche, Stellantis decide di continuare a puntare su una scommessa perdente dato che dal prossimo anno i limiti alle emissioni di CO₂ diventeranno più stringenti. Non solo, a ciò bisogna aggiungere un mercato del lavoro ingessato, tassato e i cui costi sono decisamente alti; senza contare, poi, che l'Europa non gode di materie prime in grado di sostenere una produzione industriale automobilistica a basso costo. Questo a sua volta si traduce in un asset, quello dell'auto, che sta tornando a essere sempre di più un “bene di lusso” e data questa pesante barriera all'ingresso ciò inficia la capacità d'indipendenza delle persone.

Inutile dire che un simile assetto avvalora la tesi che ho presentato in maggiore dettaglio nel mio ultimo libro, Il Grande Default, in cui esploro la natura tirannica e totalitaria dell'UE come fine ultimo della sua “strategia” di risoluzione della crisi economica. Detto in parole povere, un “reset” attraverso un controllo capillare della società in modo da minimizzare eventuali proteste quando dovranno essere prese “decisioni drastiche”. E i venti di guerra che continuano a essere alimentati, prima in Georgia e adesso in Moldavia, sono funzionali a questo scopo. Questa tesi è ulteriormente supportata se incastriamo nel mosaico anche il tassello dei dazi alle auto elettriche cinesi. Piuttosto che sfruttare questo avanzamento tecnologico estero in grado di fornire sollievo alla classe media qualora l'obiettivo reale fosse davvero una decarbonizzazione genuina e dettata dalla volontà di migliorare le condizioni ambientali, si sceglie invece l'autarchia e la dannazione per la classe media.

Sarebbe come dire: “Ehi stranieri... avete un nuovo prodotto? Prezzi più bassi? Una tecnologia migliore? Beh... tenetevela per voi!”. Lo scopo “ufficiale” della Commissione europea è quello di proteggere il continente dalle “esportazioni sleali” derivanti dalla “sovraccapacità industriale della Cina”. Non ho idea di cosa sia una “esportazione sleale”, ma si spaccia l'idea velenosa che limitare il commercio renderebbe gli europei più ricchi. Dal punto di vista tecnologico la Cina ha fatto enormi passi in avanti, soprattutto quando si parla di rimpicciolimento dei chip. Certo, non sono ancora ai livelli di TSMC, ciononostante ha superato il continente europeo in quanto a ricerca & sviluppo. Quest'ultimo, infatti, langue con un ritardo di circa 18 mesi su tutti i fronti del settore tecnologico, interessata più a tassare che innovare. Di conseguenza quella dell'Europa, e dell'Occidente in generale, vuole essere una strategia di contenimento, più che di concorrenza e quindi miglioramento: impedire ai BRICS, in particolar modo Cina e Russia, di esprimere il loro potenziale.

Dal punto di vista industriale la Cina ha percorso la stessa strada percorsa dall'Inghilterra quando sorpassò gli olandesi in termini navali: copiare, arrivare allo stesso livello, superare. Dal punto di vista geopolitico il potenziale contenimento passa attraverso una escalation militare che non accenna ad arrestarsi. O per meglio dire, non si vuole arrestare. Se ricorderete, cari lettori, lo scorso giugno vi mettevo in guardia dal pericolo eruttante in Georgia a tal proposito, ora tale pericolo si sta espandendo anche alla Moldavia. La neutralità di tale nazione nei confronti della guerra tra Russia e Ucraina non collima più con il leitmotiv dell'Occidente: “O con noi, o contro di noi”. È esistenziale. Di conseguenza le ingerenze europee nella politica moldava e la costruzione della nuova base militare statunitense in Romania (tra il confine moldavo e il Mar Nero) sono due facce della stessa medaglia: risoluzione dei guai economici attraverso la guerra. O peggio ancora, guerra totale.

C'è un modello di ciclo di vita che dà un senso a tutto questo: quando una nazione è giovane e vigorosa, è desiderosa di competere; quando è vecchia e stanca, diventa timorosa.

Sin dai tempi di Adam Smith è stato ovvio che il commercio è la chiave del successo economico. Cosa succederebbe se l'Italia imponesse un dazio del 100% sulle auto importate dalla Germania? Cosa succederebbe se la concorrenza in chirurgia fosse vietata, cosicché invece di cercare il miglior chirurgo per la vostra operazione al cervello dovreste affidarvi al veterinario locale? Il progresso materiale deriva dalla tecnologia e dalla divisione del lavoro. Il muratore sa posare i mattoni meglio del fornaio; il fornaio sa come fare il pane. Scambiano la rispettiva produzione ed entrambi stanno meglio.

Nelle società primitive le persone devono fare tutto da sole: cacciano il loro cibo, costruiscono i loro rifugi e cuciono i loro vestiti. In una società ricca, si specializzano. La persona tipica oggi si siede davanti a un computer, chiama un fisioterapista per aiutarlo a raddrizzare la schiena e ordina cibo tramite il food delivery. Non semina, né caccia, ciononostante mangia. Usa un computer, ma non ha idea di come funzioni. Fa una doccia calda e guida un'auto: Dio non voglia che non funzionino. Il suo intero tenore di vita si basa su una vasta rete di conoscenze specializzate, provenienti da tutto il mondo. Qualsiasi cosa facciano i burocrati per interferire con questi scambi volontari renderà le persone più povere. Ma non è questo il punto? Adam Smith rese popolare l'idea che, badando a sé stesse, le persone in realtà migliorano le cose per gli altri. Era come se fossero guidate da una “mano invisibile”.

È possibile che anche i burocrati siano guidati da una “mano invisibile”? Nel tentativo di migliorare le cose per sé stessi, invariabilmente le peggiorano per tutti gli altri. E nel tentativo di forzare i mercati a fare la loro offerta, inevitabilmente esagerano le tendenze che stavano cercando di fermare.

 

“PICCO CINESE”?

Abbiamo visto come le linee di politica in ambito monetario e fiscale abbiano creato la bolla alla fine del Trend primario 1980-2021; abbiamo visto come le nuove linee di politica (tassi d'interesse più alti, deficit enormi) contribuiscano al nuovo Trend primario: prezzi più bassi (aggiustati all'inflazione) di azioni e obbligazioni insieme a livelli di inflazione dei prezzi più elevati. Abbiamo anche esaminato come le politiche commerciali amplificano tale trend, aumentando i prezzi al consumo per la popolazione generale e sprecando capitale prezioso nel tentativo di mettere un bastone tra le ruote ai nostri concorrenti. La questione morale è secondaria, per chiunque voglia tirarla in ballo: non sto parlando di giusto o ingiusto, buono o cattivo. Ci dobbiamo concentrare sull'effetto delle linee di politica sul mondo finanziario.

Il vero progresso economico è fatto da scambi volontari di beni e servizi. Si può avere potere politico, come diceva Mao, con la “canna di una pistola”, ma non potere economico. Prima che Deng Xiaoping permettesse agli imprenditori cinesi di scatenarsi, la Cina di Mao era un inferno: non produceva praticamente nulla che il mondo volesse acquistare; ora, invece, è il principale esportatore mondiale. Ma oggi i politici occidentali seguono l'esempio di Mao, non quello di Deng: cercano di intimidire, criticare, imporre dazi e sanzioni per raggiungere il successo. In realtà non faranno altro che esagerare il nuovo Trend primario: i prezzi degli asset scenderanno e la maggior parte delle persone diventerà più povera. E se ho ragione, vedremo questa tendenza riflessa nel rapporto Dow/oro: il prezzo dell'oro sale e quello del Dow scende (aggiustato all'inflazione).

C'è una nuova convinzione tra gli storici della macroeconomia secondo cui abbiamo già assistito al “Picco cinese”. La Cina ha trovato un punto debole nel commercio mondiale, dicono, mettendo centinaia di milioni di contadini a lavorare con salari da fame; poi l'America ha fatto un grosso errore aprendo i suoi mercati ai prodotti cinesi a basso costo. Ma quella fase si è esaurita, aggiungono, i salari in Cina non sono più bassi e gli Stati Uniti stanno chiudendo le porte. La Cina avrà un ruolo minore in futuro. Inoltre la Cina è gestita da comunisti che sono pianificatori centrali peggiori di quelli occidentali. È così? Sì, certo. Commettono gli stessi errori? Sì, certo. Non cadranno in guerre, depressioni e povertà autoimposta? Molto probabilmente sì. Lungi da me affermare di sapere come sarà il futuro, però il “Picco cinese” potrebbe non essere ancora arrivato. Leggiamo dal Financial Times:

I governi degli Stati Uniti e dell'Europa si sono concentrati molto sulla necessità di “ridurre i rischi” delle catene di approvvigionamento, allontanandosi dalla Cina dopo l'invasione russa dell'Ucraina e le chiusure delle frontiere durante la pandemia. Ma più la Cina continentale diventa competitiva, più è difficile per gli attori industriali internazionali andarsene.

Sia le vecchie che le nuove aziende industriali sottolineano la necessità di essere in Cina per scopi di ricerca e per accedere al suo vasto mercato. Windrose Technology, una start-up di camion elettrici, mira a quotarsi negli Stati Uniti, ma attualmente si affida a partner della Cina continentale, tra cui Anhui Jianghuai Automobile Group di proprietà statale, per la produzione. “Come produttore di veicoli elettrici, se non sei collegato alla Cina e fingi di essere il miglior produttore di camion al mondo nel settore dei veicoli elettrici, nessuno ti crederà”, ha affermato Wen Han, fondatore di Windrose.

Leggiamo poi da AsiaTimes:

Negli ultimi anni la Cina è passata dall'essere un produttore a basso costo di beni per la casa a un produttore avanzato di prodotti elettronici e tecnologie verdi. La manodopera a basso costo è stata sostituita da robot e intelligenza artificiale. Una nuova fabbrica per Xiaomi, originariamente un produttore di smartphone, produce una nuova auto elettrica ogni 76 secondi, o 40 all'ora, senza essere toccata da mani umane.

Infine leggiamo da NikkeiASIA:

XPeng, EHang e altre aziende cinesi metteranno in commercio auto volanti quest'anno, sfruttando i vantaggi del Paese nelle tecnologie delle auto elettriche per rivendicare una quota importante del mercato globale emergente.

XPeng AeroHT, una sussidiaria della startup di veicoli elettrici, mira a vendere un veicolo elettrico a decollo e atterraggio verticale (eVTOL) a doppia modalità, che si può guidare sulla terraferma come un'auto e staccare un modulo volante per il viaggio aereo.

Il prezzo sarà di circa 1 milione di yuan ($138.000). Qiu ha affermato che l'azienda spera di abbassare il prezzo a centinaia di migliaia di yuan.

“Se la produzione di massa su larga scala diventa possibile, possiamo ridurre drasticamente i costi” per materiali come la fibra di carbonio, ha affermato.

I leader cinesi commetteranno errori? Certo che sì. Ma saranno in grado di soffocare l'energia di milioni di imprenditori e uomini d'affari? Forse no.

Nel frattempo le società mature dell'Occidente (incluso il Giappone) sono alle prese con i problemi del passato: le sue burocrazie, le sue promesse e il suo debito. L'ordine post-seconda guerra mondiale, con l'Occidente al comando, appare stanco, vecchio e debole. Le nazioni emergenti rappresentano una minaccia: devono essere tenute al loro posto. Le nuove tecnologie devono essere regolamentate e controllate, il libero scambio deve essere sostituito da un commercio micro-gestito, la libertà di parola deve essere controllata dalle élite. E persino il clima della Terra non deve essere lasciato cambiare.

La cosa più importante: i sussidi per la vecchiaia devono essere protetti. Queste sono democrazie, i vecchi votano.

Al contrario, le società più dinamiche del “Sud del mondo” (Brasile, Indonesia, Sudafrica, Turchia, India, Russia e Cina) vogliono un Nuovo Ordine Mondiale. Pensano che sia giunto il momento per loro di uscire alla luce del sole e questo potrebbe significare cacciare via dalla spiaggia i pensionati flaccidi dell'Occidente.


STUPIDITÀ? NO, VANDALISMO

Siamo tutti umani, troppo umani, come diceva Nietzsche. Paura, avidità, gelosia, odio, brama di potere, complicità, generosità, patriottismo: gli elementi di base sono sempre presenti, ma le strutture di potere, come l'ordine mondiale del secondo dopoguerra, cambiano. Ovviamente le persone al vertice vorrebbero mantenere le loro posizioni di comando, con tutti i vantaggi che ne derivano, ma quando le proprie “soluzioni” vengono di volta in volta sconfessate da un peggioramento delle cose che dovrebbero essere migliorate e le promesse del passato vanno puntualmente in fumo, ecco che il cambiamento spinge sempre di più. In Europa, in particolar modo, questo fenomeno viene canalizzato in quei partiti definiti dal mainstream come “estremi”; in realtà di “estremo” c'è solo l'estrema ratio di elettori stufi che in qualche modo si rifugiano ancora nelle elezioni piuttosto che diventare “estremi” in altro modo.

Come abbiamo visto nelle sezioni precedenti il mondo è sommerso dal debito, soprattutto Europa e Inghilterra, e devono giustificarne il default. L'escalation dei vari fronti di guerra serve allo scopo. Nel frattempo bisogna resistere alla prova del tempo e degli imprevisti, facendo strame dello stato di diritto. In questo contesto, infatti, s'inserisce la proposta danese di tassare gli unrealized capital gain su Bitcoin. Questa è solo l'ultima proposta in ordine cronologico di una volontà europea ben precisa: saccheggiare il saccheggiabile dalla classe produttiva per rimanere a galla e riciclare il vecchio sistema in uno nuovo, ma con le stesse caratteristiche di base del precedente. Non sorprende vedere poi la stessa tipologia di tassa accarezzata dall'amministrazione Biden, alimentata in particolare dalla neo-canditata democratica Harris.

Una tassa simile serve sostanzialmente a distruggere ciò che resta di una formazione efficiente del capitale privato. Una transizione imprescindibile per il proverbiale capitalismo degli stakeholder. Questa è una guerra e in prima linea ci sono i risparmi degli individui. Anche questa è una guerra esistenziale, soprattutto per coloro che popolano il vertice della piramide sociale, ora che le fazioni che la compongono sono in guerra l'una contro l'altra. L'amministrazione Biden è l'infiltrato per eccellenza della cricca di Davos negli Stati Uniti, il cui scopo è impantanarli in guerre estere affinché il flusso di dollari continui a scorrere fuori dalla nazione (ora più che mai dato che i rubinetti degli eurodollari sono stati chiusi dalle decisioni di Powell). Infatti saprete che il prossimo presidente sarà Trump se l'escalation dei vari fronti di guerra si farà sempre più intensa. L'obiettivo è quello di lasciargli come minimo due guerre da cui gli USA non si potranno tirare indietro e quindi rendergli la vita impossibile nel mettere a posto il quadro fiscale della nazione. La battaglia sul lato monetario infatti è stata persa, nonostante gli scudi alzati dai democratici e la pressione da parte di alcuni di loro, capitanati da Elizabeth Warren, di far riassorbire la FED dal Tesoro americano.

La banca centrale americana, adesso, è la migliore carta che esiste per contrastare i piani distopici di un gruppo di comunisti europei. Powell, diversamente dalla Yellen e da Bernanke che sono accademici,  viene dal mondo di Wall Street e si trova in quel ruolo proprio per salvaguardare quest'ultimo e l'indipendenza della FED stessa. Ciò gli ha permesso di mettere un freno alla trasformazione sovietica degli Stati Uniti. Come spiego nel mio ultimo libro, Il Grande Default, è stato attraverso gli eurodollari che gli USA sono stati svuotati della loro capacità industriale e finanziaria; la riforma dei mercati pronti contro termine statunitensi nel 2019, l'aumento delle remunerazioni in tale mercato nel 2021, l'introduzione del SOFR e infine il ciclo di rialzo dei tassi sono state tutte mosse di “Private Equity” Powell di rimpatriare la politica monetaria e toglierla dalle mani estere (inglesi ed europee). In sintesi, la FED ha smesso di essere la banca centrale del mondo.

I conti della nazione rimangono tutt'altro che solidi, ecco perché è richiesta un'azione radicale a Capitol Hill ed ecco perché l'unico appiglio che rimane alla cricca di Davos è quello dal lato fiscale dell'equazione. La logica conclusione in base a quanto detto finora è riassunta dalla seguente citazione tratta da un recente pezzo di Peter Earle sulla unrealized capital gain tax:

[...] Potrebbe causare enormi distorsioni che si riversano nell'economia statunitense, distruggere le aziende, alterare radicalmente il modo in cui operano le aziende, spostare capitali all'estero, scoraggiare gli investimenti e rimodellare in modo incommensurabile il panorama aziendale americano. In sostanza, richiedere il pagamento di tasse su asset finanziari invenduti, quote di proprietà, investimenti fissi, proprietà intellettuale, oggetti da collezione e altre forme di ricchezza agirebbe come un terremoto economico, sconvolgendo i mercati dei capitali che sostengono l'innovazione. Una tale tassa comprometterebbe gravemente la crescita economica a lungo termine soffocandone i finanziamenti, causando danni duraturi e forse fatali sia alle imprese di lunga data che a quelle nascenti. [...] la nuova imposta sulle plusvalenze non realizzate rischia di innescare un'elusione fiscale diffusa e una fuga di capitali che diminuirebbero qualsiasi potenziale beneficio per il bilancio.


IL GIOCO DELLA COLPA

Nel mio pezzo di due settimane fa, Il piatto europeo non deve saltare, abbiamo visto che è possibile scendere dalla montagna del debito, più o meno in sicurezza. La Giamaica l'ha fatto, la Grecia sembra farlo e l'Argentina ha iniziato a farlo. Lo si fa, però, solo tagliando la spesa... bruscamente. Abbastanza per avere un surplus che utile per ridurre il debito. Come dice Javier Milei: un bilancio in pareggio è “non negoziabile”. A tal proposito sarebbe come minimo incoraggiante se gli Stati Uniti tagliassero dalla spesa pubblica i circa $1.000 miliardi di “aiuti esteri”.

Nell'ultimo disegno di legge americano sugli “aiuti esteri”, troviamo molte delle caratteristiche “negative” del carattere umano: furto, corruzione, illusione, arroganza. Per quanto riguarda il furto, la misura includeva una sezione che consentiva ai burocrati di rubare asset di proprietà russa. È come se, in risposta all'invasione statunitense dell'Iraq, la Francia avesse sequestrato i conti bancari degli americani a Parigi. La corruzione segue abbastanza presto. Poi c'è l'illusione che l'Ucraina sia una democrazia modello e che inviandole più soldi vincerà la guerra e il mondo sarà un posto migliore. Nemmeno gli ucraini ci credono. Nella seconda guerra mondiale gli americani facevano la fila negli uffici di reclutamento, desiderosi di “fare la loro parte”. Le cose stanno diversamente in Ucraina. Zelensky, poi, ha messo al bando undici partiti di opposizione, ha preso il controllo della copertura dei notiziari televisivi, ha annullato le elezioni, ha proibito di parlare russo e ha perseguitato i cristiani ortodossi. Che tipo di democrazia è questa? Ancora più importante, c'è qualche motivo per cui gli americani dovrebbero preoccuparsi di chi vincerà la battaglia per le province di lingua russa dell'Ucraina?

Gli Stati Uniti hanno speso dollari che non avevano per benefici che non otterranno mai. Un'analisi costi-benefici convenzionale rivela costi enormi e benefici improbabili, o imponderabili. Allora perché farlo? Più sicurezza? Improbabile. Più pace? Niente affatto. Più prosperità? Esattamente il contrario. Tutto ciò che si otterrà di sicuro sarà più debito. Ciò rende i dollari in “aiuti esteri” – a persone che non ne hanno bisogno (Israele), che non possono ottenere nulla con essi (Ucraina), o che non ne hanno un reale utilizzo (Taiwan) – ancora più fuori luogo. Gli americani saranno accusati per il massacro degli innocenti a Gaza; in Ucraina saranno accusati per non aver dato ai soldati abbastanza potenza di fuoco per vincere e per aver promosso una guerra persa con centinaia di migliaia di vittime; in Asia verranno tagliati fuori dal commercio amichevole con l'economia più innovativa e produttiva del pianeta. Invece di ottenere i benefici del commercio (win-win, o vicendevolmente vantaggiosi) con la Cina, gli Stati Uniti raccoglieranno i costi amari della rivalità (win-lose, o somma zero).

Gli schemi della megapolitica suggeriscono anche che questo tipo di spesa eccessiva e di ingerenza negli affari altrui favorirà il declino dell'impero statunitense. Come se fossero guidati da una mano invisibile, i burocrati fanno ciò che devono fare, quando devono farlo, distruggendo la posizione finanziaria dell'America, minando la sua posizione morale e, in ultima analisi, distruggendo la sua posizione di principale potenza mondiale.

L'indebitamento extra eserciterà una pressione al rialzo sui tassi d'interesse. Il denaro abbandonerà quindi il mercato azionario per trarre vantaggio dai tassi più alti sulle obbligazioni. Le azioni perderanno valore. I prezzi al consumo saliranno (spinti verso l'alto da deficit più grandi). Gli americani saranno più poveri e il Trend primario seguirà il suo corso.

Ma aspettate, c'è di più: arroganza. Perché rafforzare la potenza militare degli Stati Uniti per “contrastare” l'influenza cinese? Perché vietare TikTok o sovvenzionare l'industria statunitense dei chip? Perché fare della Cina un nemico? Perché cercare il “primato in Asia”? È perché lavorare con la Cina in modo pacifico e reciprocamente vantaggioso non dovrebbe giovare al sistema politico corrotto, all'industria della potenza di fuoco, ai suoi lobbisti e think tank, ai politici che prendono i suoi soldi e votano a suo favore? Una relazione win-win, o vicendevolmente vantaggiosa, con la Cina non farebbe aumentare i prezzi al consumo, né farebbe aumentare il debito degli Stati Uniti, né contribuirebbe a tassi d'interesse più alti e prezzi degli asset più bassi. Né darebbe ai guerrafondai qualcosa di cui blaterare in TV. Invece le “strane politiche” americane potrebbero aiutare i cinesi a raggiungere la gloria a cui aspirano.

Non ha senso... a meno che non si uniscano puntini aggiuntivi. Allora diventa chiaro come mai i neocon americani abbiano cambiato casacca e remino contro il benessere della nazione, portandola sull'orlo del fallimento e rendendola il bersaglio di tutte le critiche mondiali (fondate e infondate).


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martedì 16 aprile 2024

I mercati più disfunzionali di oggi: Cina ed Europa

 

 

di Alasdair Macleod

All’indomani dei lockdown nel 2020, il mondo ha fatto registrare una crescita economica molto forte, principalmente un effetto base. Possiamo vederlo nella domanda di materie prime. La domanda di petrolio, ad esempio, ha raggiunto i livelli del 2019 solo alla fine del 2023. Nel 2020 la domanda di petrolio, come quella di altre materie prime, è crollata a un ritmo senza precedenti a causa dei lockdown. Ci sono voluti tre anni di crescita estremamente forte per tornare ai massimi precedenti. Si è trattato di effetti una tantum e in futuro la crescita sarà più in linea con la normale espansione economica mondiale.

Pertanto, a nostro avviso, il 2024 sarà un anno molto diverso rispetto agli ultimi tre anni. La crescita del PIL mondiale ha già rallentato in modo significativo, attestandosi ad appena il 3% lo scorso anno. Per quest’anno gli economisti della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e delle banche d’investimento prevedono una crescita del PIL simile. Riteniamo che queste previsioni siano troppo ottimistiche. Diverse regioni come l’Europa e la Cina hanno iniziato a rallentare e non ci è chiaro il motivo per cui dovrebbero improvvisamente riaccelerare. Altre regioni, come gli Stati Uniti, hanno ancora un’economia straordinariamente forte. Gli alti tassi d'interesse cominciano a farsi sentire e le due principali regioni che destano preoccupazione restano la Cina e l’Europa.

Per gran parte del XXI secolo, quando il resto dell’economia mondiale era in difficoltà, la Cina è stata il “motore della crescita di ultima istanza”. Lo stato cinese è riuscito a mettere il piede sull'acceleratore e a stimolare la domanda interna quando il suo settore di esportazione soffriva della debole domanda dall’estero. Ciò, a sua volta, ha mitigato la recessione economica in Occidente e l'ha aiutato a riprendersi più rapidamente. Ora, però, l’economia cinese stessa è finita in crisi e gli strumenti utilizzati in passato per stimolare la crescita non funzionano più. Gli economisti sono stati condizionati ad aspettarsi che la Cina venga in soccorso piuttosto che aggravare le difficoltà economiche interne, pertanto le attuali previsioni di un atterraggio morbido e di una riaccelerazione nella seconda metà di quest'anno potrebbero rivelarsi troppo ottimistiche.

Dall’inizio del secolo ogni volta che il resto del mondo si trovava in difficoltà, la Cina è andata avanti. Attraverso misure di stimolo aggressive la Cina ha rafforzato la domanda interna per raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi di crescita. A sua volta ciò ha aiutato le economie occidentali in difficoltà, poiché la domanda cinese per i loro beni non ha rallentato. Infatti spesso ha accelerato. Ciò ha avuto un effetto mitigante sulle contrazioni economiche in Occidente e ha aiutato queste economie a riprendersi più rapidamente.

Per essere chiari, l’economia cinese non è stata certamente immune dagli effetti negativi della crescita esterna. Ad esempio, nei primi giorni della grande crisi finanziaria del 2008, la crescita del PIL cinese ha subito un brusco rallentamento, passando da numeri a due cifre a “appena” il 6%. Ma la Cina ha avuto la capacità di disaccoppiarsi completamente dalla recessione che si è verificata in Occidente e lo ha fatto in modo estremamente rapido. Alla fine del 2009 l’economia europea era ancora in contrazione su base annua e quella statunitense era stagnante, mentre la Cina stava già crescendo di nuovo al 12% (Grafico 1). Ciò ha aiutato le economie occidentali a riprendersi più rapidamente, poiché la Cina ha importato più prodotti.

Grafico 1: In passato l’economia cinese non è stata immune dagli shock esterni, ma è riuscita a dissociarsene rapidamente. Fonte: GoldMoney Research, Banca Mondiale

Il rapido ritorno della Cina a una crescita a due cifre non ha aiutato solo le economie occidentali. Quando i prezzi delle materie prime hanno sofferto durante la grande recessione, la Cina ha riempito le sue scorte di materie prime e ciò ha aiutato le nazioni produttrici. I petrostati hanno sofferto meno e, a loro volta, anche la domanda di beni occidentali provenienti da queste regioni ha retto meglio di quanto sarebbe accaduto altrimenti.

Questo effetto è dimostrato nel grafico qui sotto (Grafico 2): la crescita nelle economie sviluppate rispetto alla sovraperformance della Cina (crescita del PIL cinese – crescita dell’economia sviluppata). In poche parole, quando l’Occidente aveva bisogno di una spinta, la Cina gliel'ha data.

Grafico 2: Dall’inizio del secolo la Cina ha fornito una spinta all’economia mondiale quando le economie occidentali ne avevano più bisogno. Fonte: Goldmoney Research, Banca Mondiale

Questo non è più stato vero durante la crisi sanitaria. La Cina ha optato per una linea di politica più estrema rispetto al resto del mondo e, quindi, ci è voluto più tempo affinché l’economia cinese si riprendesse. Una volta che la Cina ha posto fine a tutte le misure anti-Covid, un anno e mezzo fa, gli economisti si aspettavano che l’economia cinese andasse avanti a pieno ritmo.

Queste aspettative non si sono concretizzate. Sebbene l’economia cinese sia riuscita a crescere con numeri a doppia cifra nel 2021, questo è stato semplicemente un effetto di base dei primi lockdown, come abbiamo visto ovunque. Da allora l’economia cinese ha continuato a languire. Sebbene i dati economici ufficiali cinesi vadano presi con le pinze, essi mostrano che l’economia cinese ha subito un significativo rallentamento. Prima del Covid l’economia cinese cresceva almeno del 6% annuo; dopo che il Paese si è fermato a causa dei lockdown e ha iniziato a svegliarsi solo l’anno scorso non è riuscito a tornare ai ritmi di crescita del passato. Nel 2023 il PIL cinese era in espansione solo del 5,2%. Sebbene sia riuscito ad accelerare al 6,3% nel secondo trimestre, è sceso ad appena il 5,2% nel quarto trimestre del 2023.

La questione più urgente riguarda il settore immobiliare. Lo scorso anno la Cina ha vissuto numerosi fallimenti di alto profilo nel settore dello sviluppo immobiliare. Ma non sono solo i promotori immobiliari a vedersela brutta, l'intero settore è allo sbando. Il China Real Estate Climate Index, un indice del sentiment pubblicato dal China National Bureau of Statistics, mostra quello che può essere descritto solo come un crollo del mercato immobiliare cinese (Grafico 3).

Grafico 3: Il sentiment nel mercato immobiliare cinese è al punto più basso sin dalla nascita dell'indice. Fonte: Ufficio nazionale cinese di statistica

Il settore immobiliare cinese si trova ad affrontare enormi problemi strutturali mentre guardiamo indietro a due decenni di cementificazione. Secondo i dati della Banca Mondiale, nei dieci anni fino al 2021 la Cina ha aggiunto ogni anno 1.250 milioni di metri quadrati di nuove proprietà residenziali. Ciò equivale a 125 milioni di nuovi appartamenti con una dimensione di 100 metri quadrati (secondo Bloomberg la casa media cinese è di circa 90 metri quadrati). Altre fonti come Statista suggeriscono che in questo arco di tempo sono stati aggiunti circa 75 milioni di appartamenti. Allo stesso tempo la popolazione cinese è cresciuta di soli 63 milioni. Ciò che rende tutto ciò ancora più problematico è che la popolazione cinese ha raggiunto il picco nel 2021 e da allora sta diminuendo (Grafico 4).

Grafico 4: la popolazione cinese ha raggiunto il picco nel 2021 ed è ora in netto declino. Fonte: Ufficio nazionale di statistica cinese

Per molto tempo ciò non ha avuto importanza per i prezzi degli immobili, poiché i cinesi acquistavano immobili a fini d'investimento piuttosto che come luogo in cui vivere. Pertanto le esigenze abitative effettive non hanno avuto molta importanza per la domanda di immobili di nuova costruzione e, di conseguenza, per i prezzi. Gran parte delle unità di nuova costruzione non sono mai state occupate.

Sembra, però, che la realtà abbia finalmente raggiunto il mercato immobiliare cinese. Da anni circolano segnalazioni di intere città fantasma, ma fino a poco tempo fa ciò non aveva un grande impatto sul ritmo delle nuove costruzioni; ora invece sembra che la bolla stia finalmente scoppiando. Secondo la Banca Mondiale (Grafico 5) ​​la costruzione di nuove costruzioni è in netto calo.

Grafico 5: I nuovi progetti edilizi in Cina sono nettamente inferiori. Fonte: Banca Mondiale, Goldmoney Research

Ciò crea gravi guai per Pechino. In passato, quando l’economia incontrava un intoppo, la Cina stimolava con successo l’economia tramite il settore edile, ma ora gli acquirenti potrebbero non essere più attirati.

Il malessere economico si riflette anche nei prezzi delle azioni cinesi. Il CSI 300, il principale indice blue-chip cinese, è in netto calo rispetto ai massimi (Grafico 6). Anche se i prezzi azionari non sono necessariamente indicativi dell'economia sottostante, il lento crollo del mercato azionario cinese è in netto contrasto con gli indici dei mercati azionari occidentali, molti dei quali hanno raggiunto nuovi massimi nelle ultime settimane.

Grafico 6: Il mercato azionario cinese è sceso nettamente dai suoi massimi. Fonte: Goldmoney Research

Ciò è particolarmente significativo perché il governo cinese ha adottato diverse misure negli ultimi mesi, non solo per stimolare l’economia, ma soprattutto per sostenere i prezzi degli asset finanziari. Il fatto che finora abbia fallito indica che i problemi economici sottostanti sono decisamente gravi.

Anche se quanto sopra descritto suggerisce che la Cina non verrà in soccorso qualora l’Occidente ne avesse bisogno, finora i problemi economici della Cina non si sono ancora riversati sui Paesi sviluppati. I problemi del mercato immobiliare sono principalmente legati alla crescita, poiché il settore rappresenta gran parte del PIL cinese e dà lavoro a molte persone, ma non abbiamo ancora assistito a importanti correzioni dei prezzi. Nel mese di febbraio i prezzi degli immobili sono scesi per l'ottavo mese consecutivo, ma sono in calo solo dell’1,4% su base annua. Se i prezzi scendessero ulteriormente, prevediamo che anche i consumi cinesi inizieranno a soffrirne.

La ragione risiede nell’importanza del settore immobiliare per la ricchezza delle famiglie cinesi. Secondo i dati economici di Bloomberg, il 70% del patrimonio familiare cinese è vincolato al settore immobiliare. Ogni calo del 5% dei prezzi immobiliari spazzerà via circa $2.700 miliardi di ricchezza delle famiglie. Dato che il settore immobiliare è una parte essenziale della ricchezza delle famiglie cinesi, sarà molto difficile cercare di far ripartire l’economia stimolando i consumi interni in un contesto del genere. Le persone che sentono di diventare più povere non vogliono spendere più soldi in beni non d'investimento, non importa quanto il proprio governo voglia stimolarli a farlo.

Finora non abbiamo visto grandi effetti di ricaduta del crollo immobiliare sulla domanda cinese di beni esteri. Tuttavia in alcuni settori si registrano segnali chiari: l’area più visibile che manca agli acquirenti cinesi è il settore dei beni di lusso. Essi costituiscono una quota significativa nel mercato mondiale degli articoli di lusso: ad esempio, secondo Statista la Cina rappresentava una quota maggiore del segmento totale degli orologi di lusso rispetto ai successivi 3 Paesi messi insieme (Grafico 7).

Grafico 7: La Cina ha la maggiore domanda di orologi di lusso a livello mondiale. Fonte: Statista, Goldmoney Research

Secondo vari indici di prezzo, i prezzi degli orologi di lusso sul mercato secondario sono diminuiti del 25-35% rispetto al picco del 2022. Prove aneddotiche suggeriscono che anche la bolla degli articoli di moda di lusso, come le borse firmate, di cui alcune sono state vendute a un prezzo di vendita superiore a quello ufficiale sul mercato secondario, si sta sgonfiando. Inoltre anche i prezzi per i segmenti più costosi dei vini francesi sono in netto calo rispetto al loro picco (Grafico 8).

Grafico 8: I prezzi dei vini di lusso francesi hanno registrato una tendenza al ribasso. Fonte: Live-ex

Sebbene il mercato mondiale degli articoli di lusso non sia sufficientemente ampio da creare problemi economici nei soli Paesi produttori (e, cosa ancora più importante, la domanda di nuovi articoli supera ancora l’offerta, consentendo a questi marchi di continuare ad aumentare i prezzi e vendere quanto scelgono di produrre), è indicativo che i cinesi non spendano più i loro soldi come facevano in passato. Se e quando ciò si estenderà ad altri settori è ancora da vedere.

Un settore che continuiamo a monitorare è quello automobilistico. Le case automobilistiche cinesi producono quasi 30 milioni di unità all’anno, circa un terzo della produzione automobilistica mondiale. Se gli acquirenti cinesi iniziassero a rifuggire dall’acquisto di nuove auto, i produttori in un primo momento spingerebbero queste auto sul mercato mondiale, intensificando la pressione competitiva per i produttori occidentali, ma alla fine avrebbero bisogno di ridurre la produzione abbassando così la quota delle importazioni di materie prime.

Febbraio ha visto un significativo calo delle vendite rispetto all’anno precedente. Sebbene non sia insolito osservare un calo anno su anno nelle statistiche sulle vendite di automobili cinesi per un mese (Grafico 9), ciò diventerebbe più preoccupante se lo vedessimo ripetersi per diversi mesi.

Grafico 9: A febbraio le vendite di automobili cinesi sono diminuite rispetto all'anno precedente. Fonte: Centro cinese di tecnologia e ricerca automobilistica, Associazione cinese dei produttori automobilistici, Goldmoney Research

A nostro avviso i problemi economici della Cina sono lungi dall’essere risolti. Il settore immobiliare dovrà attraversare una fase di consolidamento pluriennale e temiamo che il calo dei prezzi osservato finora sia solo l’inizio. Si tratta di un punto di svolta per il resto del mondo e riteniamo che la maggior parte degli economisti occidentali non ne abbia compreso appieno le implicazioni. In passato l’impegno della Cina nei confronti della crescita ha fatto sì che, durante i periodi di rallentamento economico o di recessione nel mondo occidentale, la Cina rilanciasse la propria economia interna dando un certo sollievo alle industrie di esportazione nel resto del mondo. Di ciò hanno beneficiato soprattutto i Paesi esportatori di materie prime, ma anche gli esportatori di beni industriali hanno visto una forte crescita dei loro prodotti mentre le esportazioni verso i Paesi vicini sono diminuite.

Se entrassimo ora in una recessione mondiale, questo sostegno cinese con ogni probabilità non esisterebbe. La Cina dovrebbe trovare nuovi modi per sostenere la propria economia, anche se il settore edile non è più trainante. Anche se riuscissero a stimolare nuovamente l’economia interna, ciò non avrebbe lo stesso effetto sul resto del mondo come avvenuto in passato. Nel peggiore dei casi i problemi economici della Cina si intensificheranno, proprio nel momento in cui gli alti tassi d'interesse iniziano a incidere pesantemente sull’Europa. E infatti l'altra regione in grande difficoltà è proprio l'Europa.

Il PIL delle economie europee ha registrato una forte tendenza al ribasso per gran parte dello scorso anno. La Germania è in una leggera recessione ormai da un anno e altri Paesi, come Francia e Italia, hanno resistito meglio, ma ora sono anch’essi vicini alla recessione. L’Eurozona nel suo insieme mostra ancora una crescita del PIL (appena) positiva, ma ora è al livello più basso dall’uscita dai lockdown (Grafico 10).

Grafico 10: Il PIL delle economie europee ha registrato un forte trend al ribasso. Fonte: Goldmoney Research

Anche gli indici PMI hanno fatto registrare una tendenza al ribasso ed essi indicano le tendenze economiche. Sono compilati intervistando i manager nei settori manifatturiero e topografico, e viene chiesto se le cose stanno migliorando o peggiorando. Un numero superiore a 50 significa espansione rispetto al mese precedente, un numero inferiore significa contrazione e 50 significa nessun cambiamento. Gli indici PMI compositi europei (manifatturiero e servizi) indicano una contrazione sin dalla metà dello scorso anno. Sebbene alcuni Paesi abbiano fatto registrare una leggera ripresa rispetto ai minimi degli ultimi mesi, si trovano ancora in territorio di contrazione, anche se a un ritmo più lento (Grafico 11).

Grafico 11: Gli indici PMI compositi europei indicano una contrazione. Fonte: Goldmoney Research

Gli indici PMI manifatturieri mostrano un quadro pessimo. Lo scorso anno hanno fatto registrare una forte contrazione e riteniamo che ciò sia dovuto principalmente allo shock energetico. Da allora i prezzi europei dell’energia sono scesi drasticamente e sono vicini ai livelli storici, ciononostante gli indici PMI manifatturieri europei indicano ancora una contrazione (Grafico 12).

Grafico 12: Gli indici PMI manifatturieri europei mostrano una forte contrazione. Fonte: Goldmoney Research

È interessante notare che questo contesto economico debole non ha ancora comportato un aumento della disoccupazione. Tra le maggiori economie europee solo la disoccupazione tedesca è aumentata, ma è ancora ben al di sotto dei livelli successivi ai lockdown, e molto al di sotto dei livelli post-crisi finanziaria (Grafico 13).

Grafico 13: Il debole contesto economico in Europa non ha ancora portato a un aumento della disoccupazione. Fonte: Eurostat, Goldmoney Research

Questo non è insolito per l’Europa. A differenza degli Stati Uniti l’occupazione è fortemente in ritardo rispetto alla contrazione economica e questo è probabilmente il risultato di leggi sul lavoro molto più rigorose.

È importante sottolineare che l’Europa non sta uscendo da una recessione, mentre invece essa è appena iniziata. I prezzi europei del gas e dell’elettricità sono scesi dell’80-90% rispetto a un anno fa e sono vicini al range storico e a prima vista ciò potrebbe suggerire che la carenza energetica che ha portato agli attuali problemi economici sia ormai alle nostre spalle. Ma il motivo per cui i prezzi dell’energia sono più bassi è perché la domanda si è contratta tanto. Sebbene il settore industriale abbia svolto un lavoro straordinario nell’attuazione di misure di efficienza energetica, gran parte di questa distruzione della domanda energetica industriale è dovuta alla chiusura permanente della capacità produttiva poiché la produzione ad alta intensità energetica si è spostata altrove. Questo significa che la normalizzazione dei prezzi energetici europei non significa che anche l’economia europea tornerà alla normalità. Se così fosse, tornerebbe a far capolino anche la carenza di energia. A nostro avviso è più probabile che in futuro l’effetto della perdita di capacità produttiva avrà effetti di ricaduta sul resto dell’economia. Ci aspettiamo che la disoccupazione aumenti in futuro e ci aspettiamo anche un rallentamento, o addirittura una contrazione, in altri settori oltre a quello manifatturiero.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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