venerdì 31 maggio 2019

La logica degli avvertimenti Austriaci riguardo le bolle





di Francesco Simoncelli


Oggi parleremo di un argomento che molto spesso mi sono ritrovato ad affrontare, soprattutto quando i detrattori hanno utilizzato questo feticcio per attaccare il lavoro che quotidianamente porto avanti attraverso i miei canali d'informazione. Suddetto argomento è stato usato per denigrare e spesso deridere i miei post e le idee ad esse annessi, portandomi ad essere definito "Cassandra", "permabear", o addirittura "catastrofista", senza alcuna cognizione di causa da parte degli accusatori o di approfondimento delle teorie che volevano ridicolmente confutare. Sebbene abbia già affrontato questo tema tempo addietro nel seguente post, oggi vorrei riproporlo e aggiungere qualche altro concetto al tutto in modo da spiegare ulteriormente (e forse in modo più chiaro ancora) il mio punto di vista e in generale quello della Scuola Austriaca.

Andiamo quindi al punto: nella mia esperienza di blogger che avverte dello sviluppo di pericolose bolle economiche, sono stato criticato diverse volte mentre il mercato azionario saliva anno dopo anno e l'economia nel suo complesso sembrava migliorare. Le critiche in genere arrivano sotto forma di frasi tipo "per anni hai parlato di bolle, sei solo un orologio rotto!", "sei un permabear!", "ti sei perso un sacco di profitti!", ecc. Ormai ho una collezione poco invidiabile di accuse sulla stessa falsariga e sono completamente impassibile, perché sono basate su incomprensioni del mio approccio e soprattutto sono in netto contrasto con principi sempre veri. Questo quindi le rende delle critiche false e basate su assunti contraddittori, nonché irreali..

L'errore numero uno che commettono i miei critici è supporre che voglia indurli a prendere una posizione di sell nei confronti dei mercati e andare immediatamente short nello momento in cui parlo della presenza di una bolla. Questo è falso, perché il mio obiettivo è di individuare le bolle il prima possibile allo scopo di avvertire coloro che stanno percorrendo la strada sbagliata. Ritengo inoltre che sia un dovere morale aiutare ad individuare tali bolle, nel tentativo di prevenire una crisi in stile 2008. Sebbene uno dei miei obiettivi sia quello di segnalare il prima possibile le bolle, ciò non equivale ad agire nel trading e negli investimenti in conformità con tali avvertimenti. Nel corso del tempo, a tutti coloro che hanno chiesto consigli, ho sempre ripetuto di ponderare in una certa maniera la ripartizione degli investimenti. Sta di fatto comunque, che la persona media si avvicina ad un mercato nel momento peggiore: una volta che sta sviluppando la fase parabolica, o finale del suo trend. Questo è il momento dei polli, giustificando l'accezione che negli ultimi tempi il mercato azionario ha acquisito: gli sciocchi vengono separati dal loro denaro. Gli smart money hanno una strategia, i dumb money si lasciano guidare dall'istinto. Per impedire che si facciano del male con le proprie mani, quindi, il consiglio è quello di rimanere ai margini del campo e aspettare il prossimo treno.

Sono, quindi, in grado di separare le bolle anti-economiche dal trading tattico e dagli investimenti. Sono pienamente consapevole del fatto che shortare una bolla troppo presto (come quando avverto della presenza della stessa) manderebbe in bancarotta qualsiasi trader che sia abbastanza sciocco da farlo.

Sono nove anni ormai che stiamo vivendo dentro un'enorme bolla e sono orgoglioso delle mie analisi fatte finora. La mia convinzione è che la cosiddetta ripresa economica sia in realtà una pseudo-ripresa basata sulla crescita di nuove bolle e un'altra abbuffata di ulteriori debiti. Queste bolle si stanno diffondendo in tutto il mondo e ciò che le ha gonfiate è stata l'estrema aggressività delle politiche monetarie delle banche centrali dopo la crisi finanziaria globale (tassi d'interesse a zero e quantitative easing). Mentre la maggior parte dei troll e dei critici ritiene che io abbia detto di shortare il mercato per quasi un decennio in base ai miei avvertimenti sulle bolle, si sono persi la parte in cui dettagliavo che questa cosiddetta "ripresa" è artificiale e alla fine porterà ad un tremendo crollo una volta che il ciclo economico si sarà completamente esaurito.

La realtà è che, per quanto possa sembrare all'apparenza irrazionale, avvertire di una bolla per nove anni può essere invece del tutto razionale, a patto che sia fatto per scopi di cronistoria piuttosto che commettere il disastroso errore di shortare troppo presto. Lo scopo di questo spazio non è quello di fare consulenza finanziaria, ma di permettere alla maggior parte delle persone di farsi una cultura finanziaria e poi poter decidere con la propria testa quegli investimenti che più fanno al proprio caso. Ci sono stati suggerimenti, consigli e idee, ma non ci sono mai stati inviti diretti all'investimento. L'idea fondamentale che si vuole veicolare attraverso il mio blog è la seguente: non perdere denaro significa guadagnare. Il mondo odierno è l'equivalente di un mattatoio, dove gli agnelli sacrificali vengono massacrati per far ingrassare i "soliti noti". Questo perché entrano al picco ed escono al bottom. Questo perché non c'è cultura economica prima della cultura finanziaria. Come è andata a finire con quelle persone che hanno investito in bond delle banche italiane? Fregati. Esempi simili servono a far capire che c'è bisogno di studio dei fondamentali teorici, non basta che ci sia un esperto che dica cosa fare. Infatti cosa hanno consigliato i sedicenti esperti alla maggior parte delle persone? Investimenti che li hanno spennati. Cos'hanno consigliato sedicenti esperti e giornalisti nel corso del tempo riguardo Bitcoin? Di starne alla larga.

Su questo blog conoscete l'argomento sin dal 2011. Non solo, ma con la pagina dedicata all'analisi tecnica cerco di fornire un canale alternativo per coloro invece che hanno già sviluppato una critica teorica e vogliono cimentarsi in un altro tipo di azione. Non è per tutti, è per chi vuole avere un metro di paragone con i propri giudizi. Stesso discorso vale per l'oro: se consultate la seguente analisi tecnica, noterete che è stato "predetto" con largo anticipo l'arrivo del metallo giallo nell'area di prezzo segnalata. Il punto è il seguente: ogni piattaforma ha il proprio messaggio e ogni piattaforma ha un messaggio diverso per persone diverse, di conseguenza non fare confusione. In sostanza, il blog offre un messaggio di lungo termine, mentre le altre piattaforme su cui scrivo offrono un messaggio di breve/medio termine. Questo significa una strategia diversa e una ripartizione diversa delle proprie scelte in base al messaggio che meglio si confà alle proprie esigenze. Il mio comunque non è un esempio isolato.

È chiaro che Kurt Richebächer ha visto gonfiarsi sin da subito la bolla immobiliare e ne ha parlato in modo dettagliato. Se la FED, Wall Street e i media finanziari lo avessero ascoltato, avremmo potuto evitare la crisi del 2008 e tutti i danni che ha arrecato all'economia e alla società. Inoltre gli effetti della crisi del 2008 sono ancora qui: ad esempio, l'economia USA è ancora così debole che la FED non può nemmeno far salire il Fed Funds Rate più del 2,25% senza causare panico nel mercato. Dire a qualcuno "ti sbagliavi!" quando da sette anni stava avvertendo della bolla immobiliare francamente è da imbecilli. Sono fermamente convinto che i miei avvertimenti sin dal 2010 sulla cosiddetta "Everything Bubble" siano identici agli avvertimenti di Kurt Richebächer all'inizio degli anni 2000.

Il motivo per cui il pubblico generale e la comunità economica tradizionale fraintendono gli avvertimenti sulle bolle da parte degli economisti della Scuola Austriaca, come Kurt Richebächer e il sottoscritto, è direttamente radicato nelle credenze diverse che abbiamo su come e perché si gonfiano le bolle. Per dirla in modo semplice, gli economisti della Scuola Austriaca credono che lo sviluppo delle bolle sia un processo che si verifica per un periodo di tempo potenzialmente lungo (ad esempio, un decennio), mentre la comunità economica tradizionale crede che una bolla diventi solo una "bolla" quando si avvicina al picco, poco prima che scoppi. Gli economisti Austriaci credono che i boom siano bolle il giorno stesso in cui vedono la luce fino al giorno in cui scoppiano (dato il ruolo del settore bancario centrale nell'attuale sistema economico); la comunità economica mainstream ritiene invece che i boom siano legittimi e sostenibili e possano essere considerati una "bolla" solo quando il sentimento del mercato diventa "troppo" euforico (e anche così la maggior parte di loro ammetterà che c'è stata una bolla solo dopo che sarà scoppiata... troppo tardi).

Per illustrare il mio punto, vorrei presentare i seguenti grafici: il primo riporta i prezzi degli immobili negli Stati Uniti e il secondo il totale dei debiti ipotecari durante la bolla immobiliare. Il primo grafico ci mostra che i prezzi delle case negli Stati Uniti hanno iniziato a salire verso la fine degli anni '90; sebbene la bolla sia scoppiata nel 2007, ha raggiunto quei livelli gonfiandosi negli anni precedenti. Le bolle sono un processo, non un momento specifico nel tempo.



Il secondo grafico ci mostra che gli americani hanno cominciato a gozzovigliare col debito ipotecario alla fine degli anni '90 e lo hanno utilizzato per acquistare case sempre più costose, il che è ciò che ha spinto i loro prezzi sempre più in alto. Gente come Kurt Richebächer ha visto gonfiarsi questa bolla sin dall'inizio, anche se c'è voluto un intero decennio prima che scoppiasse. Invece gli economisti mainstream hanno considerato la salita dei prezzi degli immobili negli Stati Uniti (dal 1998 fino a circa il 2005) come un boom che ha contribuito a far riprendere l'economia statunitense dopo la crisi dot-com. Nella loro mente la bolla immobiliare degli Stati Uniti è diventata una "bolla" solo alla fine del boom, nel 2007 (anche se hanno ammesso che fosse una bolla solo dopo che era scoppiata). Inutile sottolineare come abbiano considerato allo stesso modo i mutui statunitensi (dal 1998 fino a circa il 2005): un boom che ha contribuito a creare posti di lavoro per broker, banchieri, ecc., e che sia diventato una "bolla" solo nel 2007.

Il modo in cui gli economisti mainstream considerano lo sviluppo delle bolle è sbagliato e pericoloso... fine della storia. È assurdo pensare che la speculazione, la salita dei prezzi e l'attività creditizia che alla fine portano ad una crisi economica siano fenomeni che accadono solo alla fine di una bolla. La verità è che la pericolosità del rischio e gli investimenti improduttivi si generano proprio all'inizio delle bolle e secondo questa logica la bolla immobiliare degli Stati Uniti era già una "bolla" nel 2001. Lo stesso discorso vale per la "Everything Bubble" di oggi, nata in realtà nel 2009 sulla scia del primo quantitative easing della FED. Nonostante le numerose bolle in tutto il mondo a causa di politiche monetarie simili da parte delle banche centrali, userò il grafico del mercato azionario statunitense come esempio generale. In parole povere, il rialzo del 300% dell'indice azionario S&P 500 dal suo minimo del 2009 è una bolla: non è guidato da una crescita economica organica, ma dal credito a basso costo e dall'intromissione delle banche centrali.


E sebbene le bolle abbiano aumentato la ricchezza nominale delle famiglie statunitensi (soprattutto azioni e obbligazioni), la ricchezza reale è invece precipitata. Come ho detto prima, la ragione per cui gli Stati Uniti e l'economia globale hanno continuato a "crescere" dopo la Grande Recessione è riconducibile ad una maggiore assunzione di debiti e alla presenza di ulteriori bolle; siamo fondamentalmente sulla stessa strada su cui eravamo prima del 2008. Il debito totale ha ripreso a crescere nei primi mesi del 2010, quindi preoccuparsi per un'altra crisi economica è del tutto giustificato, anche se non si è verificata nell'immediato una crisi. Le persone con un alto orientamento temporale si preoccupano delle tendenze che potrebbero causare problemi in futuro; quelli con un basso orientamento temporale non pensano alle implicazioni a lungo termine delle tendenze.


Il debito globale è salito di quasi $150.000 miliardi negli ultimi 15 anni e di $70.000 miliardi sin dal 2008. Di conseguenza aver lanciato ogni anno un monito riguardo questo pericoloso accumulo di debiti, è stato del tutto giustificato. Tutto avrà più senso un giorno, quando tutti i nodi verranno al pettine.


Riassumendo, avvertire della presenza di bolle non equivale automaticamente a "far perdere denaro". Noi Austriaci siamo un gruppo molto più sofisticato di quello che viene fatto credere dagli ignoranti. Come dimostrato in questo articolo, è possibile prevedere boom economici con largo anticipo grazie alla comprensione di come si formano nelle economie a moneta fiat, dominate dalle banche centrali. Anche se sono consapevole del fatto che posizionarsi short troppo presto sia rischioso e che si possano staccare profitti attraverso l'uso del trend following, continuo a scegliere di avvisare della presenza di bolle anni prima che scoppino. Tenete a mente questi concetti la prossima volta che siete tentati di schernire gli avvertimenti dati su questo blog o la teoria Austriaca in generale.

E per inciso, la bolla immobiliare USA del 2008 è stata rigonfiata, facendole raggiungere una dimensione maggiore di quella precedente. Inutile dire come sarà la correzione...


giovedì 30 maggio 2019

George Selgin fraintende la posizione di Rothbard sulla riserva frazionaria





di Robert P. Murphy


George Selgin ha pubblicato una serie in 3 parti (I, II e III) su Alt-M in cui fa una ramanzina a coloro che pensano che il sistema bancario a riserva frazionaria sia di per sé la causa del ciclo boom/bust come descritto da Mises/Hayek. George mette da parte la natura fraudolenta della riserva frazionaria e si concentra solo sull'economia. (Pensa che le persone che la ritengono una frode siano simili ai "terrapiattisti" e al di là di ogni speranza di salvezza.)

Permettetemi di dire che inizialmente ero frustrato dai post di George, almeno fino alla seconda metà del terzo post, perché non sembrava nemmeno comprendere la nostra prospettiva, ma a quel punto era troppo tardi.

Inoltre ha pubblicato un estratto di Fritz Machlup che è molto pertinente al dibattito; dovrò prendere il libro di Machlup (che non ho letto) e studiarlo. Quindi, dopo aver letto la Parte III, e soprattutto dopo aver visto il suo post su Machlup, sono sollevato dal fatto che non stiamo parlando due lingue diverse.

Comunque ho appena riletto la Parte I della sua serie e sono rimasto deluso.

In primo luogo George fraintende totalmente la posizione di Murray Rothbard:
Per asserire che la riserva frazionaria sia una causa importante dei cicli boom/bust, come descritto dalla Teoria Austriaca del ciclo economico, dobbiamo, prima di tutto, riconoscere almeno due versioni popolari all'interno della teoria stessa che ci forniscono le basi per suddetta affermazione. Entrambe le versioni attribuiscono la causa dei cicli ad un'espansione monetaria eccessiva, ma ciascuno definisce l'espansione monetaria "eccessiva" in modo diverso. Secondo una versione, un flusso di denaro costante da solo è in grado di evitare i cicli. Come spiega Murray Rothbard, riassumendo la teoria monetaria Austriaca [...]

George poi cita Rothbard dicendo che qualsiasi quantità di denaro è sufficiente per fornire servizi monetari alla comunità.

Quindi George continua col discutere l'altra (presunta) versione:
L'altra versione della Teoria sostiene invece che i cicli siano causati non dalla crescita del capitale monetario di per sé, ma dall'aumento dell'offerta di moneta bancaria senza copertura ("fiduciaria"). Secondo Frank Shostak, uno dei numerosi aderenti a questa visione, ciò che mette in moto questi cicli non è la fluttuazione nel tasso di crescita dell'offerta di moneta in quanto tale, ma le fluttuazioni nel tasso di crescita dell'offerta di moneta generate "dal nulla". Per moneta "dal nulla" intendiamo denaro creato dalla banca centrale e amplificato dal prestito a riserva frazionaria da parte delle banche commerciali.

[...] Secondo questa versione alternativa della Teoria, ciò che importa è se il nuovo denaro sia sostenuto da qualche merce, come l'oro, o meno. In un sistema gold standard, la crescita dello stock d'oro, non importa quanto rapida, non può mai innescare un ciclo; al contrario, qualsiasi diminuzione del rapporto tra riserve auree e passività bancarie riscattabili può determinare l'innesco di un ciclo. Nel caso di un sistema monetario fiat, le due versioni della Teoria Austriaca del ciclo economico coincidono, poiché in questo caso non esiste alcuna questione di una crescita guidata dalla "merce-moneta" nella quantità totale di denaro, sia che la crescita sia dovuta all'espansione delle banche centrali o alla riduzione dei coefficienti di riserva delle banche commerciali.

Quindi, per ripetere, George ha frainteso la posizione di Rothbard perché quest'ultimo sarebbe d'accordo con la posizione attribuita a Shostak, vale a dire, che un aumento della quantità d'oro nell'economia non farà scoppiare il ciclo boom/bust. Ecco Rothbard cosa dice in Man, Economy and State:
Il processo di emissione di ricevute di pseudo-deposito o, più esattamente, il processo di emissione di denaro oltre l'aumento dello stock di metallo, può essere chiamato inflazione. (p.106)

E poi se seguite la nota a piè di pagina di questa frase trovate:
L'inflazione è esplicitamente definita per escludere aumenti delle scorte di metallo. Mentre questi aumenti hanno effetti tanto simili quanto l'aumento dei prezzi dei beni, differiscono nettamente anche per altri effetti: (a) gli aumenti semplici del metallo non costituiscono un intervento nel libero mercato, a penalizzare un gruppo ed a sovvenzionarne un altro; e (b) non conducono ai processi del ciclo economico.

Quindi, sì, Rothbard non pensa che la comunità abbia "bisogno" di un aumento dello stock d'oro affinché esso possa adempiere alle sue funzioni come denaro, ma se lo stock d'oro aumenta, non causerà il ciclo economico (secondo Rothbard). L'unica cosa che alimenta un'espansione del credito è l'emissione di ricevute scoperte sul denaro metallico.

(Ironia della sorte, un economista che ammette la possibilità di un ciclo boom/bust in caso di nuova estrazione d'oro, è nientemeno che Mises. Se leggete le sue sezioni sul ciclo economico in Human Action, vedrete che le inserisce nella sezione che tratta l'economia di mercato, perché in linea di principio pensa che se l'oro estratto raggiunge il mercato dei prestiti relativamente presto, il tasso d'interesse dei prestiti sul mercato potrebbe scendere al di sotto del tasso originario corretto, ma in pratica Mises ritiene che questo sia trascurabile per ragioni empiriche, e la vera causa dei cicli economici nel nostro mondo provenga dal sistema bancario).



Tasso di crescita del denaro

Il punto principale del primo post di Selgin è quello di sostenere che il tasso di crescita del denaro e il coefficiente di riserva siano ampiamente indipendenti l'uno dall'altro. Ad esempio, supponiamo di avere un sistema monetario in dollari fiat, in cui le banche praticano una riserva al 100%. Se la FED crea base monetaria al tasso del 5% annuo, allora la quantità complessiva di denaro crescerà del 5% ogni anno. (Questo è ovvio.)

Tuttavia, supponiamo che le banche commerciali mantengano solo un coefficiente di riserva del 10%. Ciò significa che quando le banche concedono prestiti, lo stock dei saldi dei conti correnti può essere pari a 10 volte l'ammontare delle riserve. Quindi sembra proprio che ci sarà un sacco di inflazione extra in questo scenario, come dicono Rothbard e Shostak.

Non è così, dice Selgin. Anche in questo caso, l'ammontare totale dei saldi dei conti correnti crescerà solo del 5%, supponendo che la FED faccia crescere la base monetaria a tale ritmo. Infatti è solo quando un sistema bancario abbassa il coefficiente di riserva - nel nostro esempio, passando dal 100% al 10% - che otteniamo un aumento dello stock degli aggregati monetari più ampi. Una volta arrivati al nuovo equilibrio, il tasso d'inflazione monetaria sarà uguale alla crescita delle riserve, indipendentemente dal rapporto di riserva.

Tutto ciò è corretto, apparentemente, ma non si basa sulle affermazioni di quegli Austriaci che pensano che la riserva frazionaria sia intrinsecamente problematica. Prima di dire perché, passiamo ad un'analogia: supponiamo che io prenda il 50% della busta paga di George ogni mese. In altre parole, se il suo datore di lavoro lo paga $10,000, io intasco $5,000 e George trattiene solo $5,000.

Ora George si arrabbia e dice che lo sto spennando ogni mese. Guadagna meno, mese dopo mese, di quello che produce.

Correggo George, tuttavia, sottolineando che il tasso di crescita nella retribuzione è lo stesso che sarebbe stato se non avessi iniziato a prendere metà della sua paga. Ad esempio, se George normalmente godesse di un aumento annuale del 3%, allora è proprio questo l'ammontare di cui godrebbe in questo nuovo scenario. Infatti l'unico momento in cui avrei potuto vederlo arrabbiato, sarebbe stato durante la fase di transizione iniziale, quando il rapporto tra lo stipendio scende dal 100% al 50%.

Ha senso? Ovviamente no. Per lo stesso motivo per cui gli Austriaci, e non solo Rothbard e Shostak ma anche Mises (e probabilmente anche Hayek, anche se non ho molta familiarità con i suoi lavori), dicono che c'è una discrepanza tra il livello di risparmio reale e i fondi messi a disposizione per gli investimenti. Quindi se la banca centrale crea $1000 in nuova base monetaria, e da ciò la comunità risparmia volontariamente $5 depositandoli nelle banche commerciali, allora se le banche concedono prestiti per $50 ci sarà un disallineamento tra il risparmio aggregato e il prestito. È la creazione di nuovo denaro scoperto che causa il problema (se c'è un problema, cosa che per George potrebbe non essere vera in determinate circostanze). Se le banche commerciali emetteranno, diciamo, $1 miliardo in nuovi mezzi fiduciari nel 2018, ciò causerà uno scordinamento nella struttura del capitale. Punto. Non è necessario informarsi se le banche hanno iniettato $100 milioni, $110 milioni, $120 milioni... $990 milioni negli anni precedenti, per determinare se l'iniezione di $1 miliardo di quest'anno sarà benigna o maligna.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 29 maggio 2019

Cyber guerre e cose simili





di Alasdair Macleod


Dietro la storia di Huawei, non dobbiamo dimenticarlo, c'è una guerra finanziaria più ampia condotta dall'America contro la Cina e la Russia. Le storie sulle banche cinesi a corto di dollari non sono corrette: la scarsità è negli afflussi di capitali per sostenere il deficit di bilancio del governo degli Stati Uniti. Visto che questi flussi sono invece attratti dalla Belt and Road Initiative cinese, tale iniziativa minaccia le finanze del governo statunitense quindi prevedo che si intensificheranno la guerra finanziaria e la disinformazione associata. Hong Kong finirà probabilmente sulla linea di fuoco, a causa del suo ruolo nel fornire alla Cina l'accesso alle finanze internazionali.

Huawei sta finendo spesso sui titoli dei giornali. Dall'arresto del suo Chief Financial Officer a Vancouver, lo scorso dicembre, agli ultimi sforzi per dissuadere i suoi alleati nell'adottare la tecnologia mobile 5G di Huawei, abbiamo assistito ad una classica operazione di propaganda del Deep State americano. Certo, i cinesi hanno lasciato scoperto il fianco introducendo nel 2016/17 una legge confusa sulla cybersecurity che, secondo i circoli della difesa occidentale, sembra richiedere a tutte le società tecnologiche cinesi di cooperare con i servizi di intelligence cinesi.

Di conseguenza nessuno ora sa se fidarsi di Huawei, che ha alcune delle tecnologie di punta per il 5G. Il problema è a chi credere. I servizi d'intelligence sono abili nello smembramento, cosa che fanno attraverso burattini politici. Chi può dimenticare le armi di distruzione di massa? Più di recente c'è stato il mistero dell'avvelenamento di Skripal: i russi sarebbero stati colti sul fatto se non fosse stato per i legami di Skripal (attraverso Pablo Miller) con Christopher Steele.

La cosa più sicura da fare in questi casi è quella di non credere mai a qualcosa che proviene da un'agenzia di sicurezza governativa. L'attacco a Huawei è motivato dal desiderio di impedire il progresso tecnologico della Cina, che sta già eclissando quello americano, e l'America sta usando la sua leadership per imporre la sua volontà geostrategica ai suoi alleati. In Gran Bretagna siamo passati da una crisi di sicurezza a livello di governo su questo argomento, alle minacce americane a livello d'intelligence se le società del Regno Unito venissero autorizzate ad ordinare attrezzature Huawei 5G, al licenziamento del Ministro della Difesa.

La minaccia di non condividere informazioni a livello d'intelligence, se messa in atto, serve solo ad isolare gli americani. Inoltre la controversia di Huawei è parte di un conflitto più ampio, con l'America determinata a fermare i cinesi dal cambiare la struttura di potere del mondo, sottraendola dal controllo dell'America. Quando la Cina era solo un centro di produzione a basso costo per beni a bassa tecnologia, quella era una cosa; ma quando la Cina ha iniziato a sviluppare tecnologie avanzate e ha cominciato a dominare il commercio globale, allora le carte in tavola sono cambiate. La Cina deve essere contenuta.

Finora tutti i tentativi sembrano aver fallito. Il controllo dell'Afghanistan, considerato un'importante fonte di minerali pronti per essere sfruttati dalla Cina, è stato un costoso fallimento per l'Occidente. Anche i tentativi di strappare il controllo della Siria dalla sfera d'influenza della Russia hanno fallito. La Russia è l'alleato economico e militare della Cina e l'America non è riuscita a mettere la Russia in ginocchio, quindi ora l'attenzione è diretta a distruggere, o almeno a contenere, la Cina. La Cina ha già superato l'America in Africa e Centro e Sud America, acquistando influenza laddove gli americani ne godevano a profusione. I tentativi di neutralizzare la Corea del Nord si stanno dimostrando sterili.

In verità c'è una guerra non dichiarata tra Cina e Russia da un lato e l'America e i suoi alleati, spesso riluttanti, dall'altro. Ora ci sarà un'escalation, soprattutto perché l'America ha sempre più bisogno di afflussi di capitali globali per coprire i suoi deficit.



La strategia della guerra finanziaria americana

Dietro la guerra informatica, c'è una guerra finanziaria. Nella guerra finanziaria l'America ha il vantaggio della sua egemonia monetaria, che esercita pienamente. Ha permesso agli americani di vivere oltre i loro mezzi importando più beni di quanti ne esportassero e al governo federale di spendere più di quello che ricavasse in tasse. Per ottenere questi benefici, sono necessari flussi di capitali per finanziarli; e ad oggi, in termini di valore corrente, stiamo parlando di circa $25.000 miliardi, cifra che rappresenta la proprietà estera totale di asset e depositi in dollari.

La politica americana di vivere al di là dei propri mezzi non solo richiede più flussi di scambio ormai, ma anche flussi di portafoglio verso l'interno. I portafogli globali, costituiti da saldi di cassa commerciali e denaro da investimento, aumentano periodicamente la loro esposizione ad altre regioni, lasciando potenzialmente l'America a bocca asciutta. Il problema viene "risolto" destabilizzando la regione che ha beneficiato degli investimenti di capitale, affinché quel denaro venga incoraggiato a tornare in dollari e quindi nei mercati interni americani. Ora che la Cina vuole intensificare le spese infrastrutturali sia in patria che lungo la nuova via della seta, è il turno della Cina.

Questa è l'opinione di Qiao Liang, generale maggiore nel PLA e uno dei suoi strateghi principali. È stata la sua spiegazione per la crisi del 1997 nel sud-est asiatico, quando il baht thailandese andò in crisi e la stessa si diffuse in tutti i Paesi vicini. Nel decennio precedente, la regione aveva visto notevoli afflussi di capitali, tanto che Paesi come la Malesia, le Filippine e l'Indonesia facevano registrare deficit significativi nella loro bilancia dei pagamenti. Ciò era in conflitto con la bilancia commerciale degli Stati Uniti, che stava iniziando a deteriorarsi. La soluzione è stata il crollo degli investimenti nel Sud-est asiatico, cosa che ha stimolato la riallocazione delle risorse d'investimento a favore del dollaro e dell'America.

Qiao Liang cita altri esempi, dalla crisi latino-americana dei primi anni ottanta all'Ucraina, la cui rivoluzione gialla ha invertito i flussi di investimenti verso l'Europa centrale. Quest'ultimo piano però non è andato a buon fine, perché oltre mille miliardi di dollari di investimenti sono usciti dall'Europa ed è stata reindirizzata in gran parte all'economia cinese, la destinazione più attraente in quel momento. Attraverso il nuovo Shanghai-Shenzhen-Hong Kong Stock Connect, nell'aprile 2014 la Cina ha facilitato gli investimenti interni e la capacità degli investitori stranieri di realizzare profitti senza passare attraverso i controlli sui cambi.

Essendo la porta per gli investitori stranieri, la nostra storia ora si sposta a Hong Kong. Secondo fonti dell'intelligence cinese e russa, tra settembre e dicembre 2014 l'America ha cercato di destabilizzarlo con il supporto segreto del movimento Occupy Hong Kong. La FED ha terminato il suo QE ad ottobre ed erano necessari capitali internazionali negli Stati Uniti. Non solo, gli americani avevano anche intensificato le loro pressioni sulle isole Spratly e Scarborough Shoal all'inizio di quell'anno, evento che aveva portato all'interruzione dei negoziati di libero scambio tra Cina, Giappone, Corea del Sud, Macao, Taiwan e Hong Kong. I cinesi speravano che questa potenziale area di libero scambio potesse essere ampliata per includere l'ASEAN FTA, area più grande al mondo per PIL e nella quale avrebbero potuto sviluppare il renminbi come valuta di riserva.

Questi piani sono andati male, ma la Cina non si è lasciata provocare da parte di queste azioni. Invece ha iniziato a ridurre i suoi possedimenti di bond del Tesoro USA, da $1.270 miliardi a $1.060 miliardi nel 2016; non un grande calo, ma voleva dimostrare che non stava riciclando le sue eccedenze commerciali nei dollari.

Tutto ciò è accaduto in un momento in cui l'economia americana e mondiale si stavano espandendo (anche se flebilmente). Il protezionismo commerciale di Trump ha cambiato tutto questo e le prime indicazioni sono che l'economia statunitense è ormai in stallo. Le entrate fiscali stanno diminuendo, mentre la spesa pubblica sta aumentando. L'America ora ha urgente bisogno di maggiori afflussi di capitali per finanziare il crescente deficit di bilancio.

Se Qiao Liang dovesse commentare, senza dubbio la sua conclusione sarebbe che l'America intensificherà il suo attacco contro la Cina per far aumentare il disinvestimento e la successiva riallocazione nel dollaro. E così, gli attacchi sono iniziati; prima cercando di destabilizzare Huawei, mentre ora i media generalisti stanno sostenendo che Cina e Hong Kong si trovino in difficoltà.

Di recente il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo in cui si afferma che le banche cinesi siano a corto di dollari. Chiaramente questo non è vero. Le banche cinesi possono acquisire dollari ogni volta che lo desiderano, vendendo altre valute estere sul mercato o vendendo il renminbi alla PBOC. La loro posizione nei confronti del dollaro è tale perché scelgono di averla e inoltre tutte le banche commerciali usano i derivati, che in pratica rappresentano un'esposizione fuori bilancio. Inoltre, con gli Stati Uniti che gestiscono un sostanziale deficit commerciale con la Cina, i dollari entrano in ogni momento.

Seguendo l'articolo del WSJ, vari altri commentatori hanno inventato storie simili. Ma guarda un po' tu com'è conveniente per il governo degli Stati Uniti vedere queste storie negative sulla Cina nel momento in cui ha più bisogno di aumentare i flussi di capitali verso l'interno e finanziare il suo deficit di bilancio.

C'è comunque un'antipatia generale tra gli investitori americani nei confronti della Cina, quindi non dovremmo essere sorpresi se vediamo spuntare personaggi con posizioni ribassiste riguardo la Cina. Uno dei principali, almeno per la sua reputazione di furbizia negli investimenti, è Kyle Bass di Hayman Capital Management. Secondo Zero Hedge ha scritto la sua prima lettera di investimento in tre anni, parlando di Hong Kong: "Oggi i nuovi rischi economici e politici minacciano i decenni di stabilità di Hong Kong. Questi rischi sono così grandi che meritano un'attenzione immediata su entrambi i fronti."

Se solo fosse così semplice... È tempo di presentare la tesi alternativa. Hong Kong è importante, perché la Cina usa Hong Kong e Londra per evitare di dipendere dal sistema bancario statunitense per le finanze internazionali. Ed è per questo che il Deep State degli Stati Uniti vuole far fuori Hong Kong.



Analisi asimmetrica

Bass ha ragione nell'indicare che il mercato immobiliare di Hong Kong sia decisamente surriscaldato e che i prezzi degli immobili siano saliti rispetto ai minimi del 2003. In larga misura è stata l'inevitabile conseguenza del legame tra il comitato valutario e il dollaro USA, che sostanzialmente trasferisce la politica monetaria inflazionistica della FED all'economia più dinamica di Hong Kong. La descrizione di Bass della relazione tra le banche, il modo in cui si finanziano e la proprietà collaterale, ci ricorda i fattori che hanno portato alla crisi bancaria nel Regno Unito verso la fine del 1973. Le prove empiriche sembrano essere saldamente a favore di Bass.

Tranne per una differenza significativa tra eventi come la crisi bancaria del Regno Unito e praticamente ogni altra crisi immobiliare. Hong Kong è un centro internazionale e il ruolo delle banche nelle transazioni immobiliari è quello di "facilitatori" col denaro piuttosto che come creditori. Nel 2017 Hong Kong è stata la terza più grande beneficiaria di investimenti esteri (sostanzialmente proprietà) dopo Stati Uniti e Cina. Gli afflussi di investimenti esteri sono saliti di £104 miliardi per un totale di quasi $2.000 miliardi. I maggiori investitori sono stati la Cina, seguita dalle società che incanalano denaro attraverso i centri offshore.

Quindi, sì, le banche di Hong Kong resteranno danneggiate da una crisi immobiliare, ma non tanto quanto crede Bass. Sono le banche straniere e cinesi che hanno gran parte della proprietà come garanzia. Non sono le banche di Hong Kong ad aver alimentato il boom immobiliare con il credito interno, ma il denaro estero.

Bass non dice che è improbabile che un crollo dei prezzi delle proprietà e del sistema bancario sia limitato a Hong Kong. Le banche centrali hanno fatto progressi affinché tutti i sistemi bancari siano legati nello stesso ciclo del credito. Senza volerlo, hanno garantito che la prossima crisi del credito colpirà tutti e nello stesso momento. Non sarà solo Hong Kong, ma l'UE, il Giappone, la Gran Bretagna e l'America. Tutti finiranno nei guai, in misura maggiore o minore.

È interessante notare che la crisi della Lehman, verificatasi dopo che i prezzi degli immobili di Hong Kong erano già raddoppiati, ha causato forti afflussi e portando il dollaro di Hong Kong al picco del suo peg. La situazione sembra essere simile oggi, con investimenti esteri degli Stati Uniti a livelli bassi, ma livelli quasi record di proprietà straniera di asset denominati in dollari. Nonostante gli investimenti esteri a Hong Kong siano pari a $2.000 miliardi, non dovrebbe essere ignorata la prospettiva di un rimpatrio di capitali verso Hong Kong.

Probabilmente la parte più importante nel discorso di Bass riguarda il futuro del sistema monetario gestito dalla Hong Kong Monetary Authority (HKMA). Afferma che il "saldo aggregato", una voce singola nel bilancio di HKMA, è l'equivalente delle riserve in eccesso della FED degli Stati Uniti e che "una volta esaurito, la pressione sul comitato valutario diventerà insostenibile e il peg verrà rotto."

Il saldo aggregato sul bilancio di HKMA è diminuito significativamente nell'ultimo anno, da HK$180 miliardi a HK$54,4 miliardi. La decisione sulle variazioni dei saldi aggregati proviene dalle banche stesse e per questo motivo vengono comunemente prese per riflettere i flussi di capitale in entrata e in uscita. Questo è diverso dai bilanci aggregati che riflettono le pressioni effettive sul peg, come suggerito da Bass.

L'HKMA mantiene una copertura in dollari USA tra il 105% ed il 112,5% della base monetaria (attualmente circa il 110%) e ha ulteriori riserve in dollari non allocate, se necessario. Il peg viene mantenuto dalla HKMA variando la sua base monetaria, non solo gestendo un tasso di prestito base con uno spread sul Fed Funds Rate, non solo influenzando i saldi aggregati delle banche commerciali, ma attraverso le altre tre componenti che compongono la base monetaria: certificati di indebitamento, banconote e monete in circolazione ed Exchange Funds Bills and Notes (EFBN). In pratica sono gli EFBN in congiunzione con i saldi aggregati che vengono utilizzati per aggiustare la base monetaria e mantenere la valuta garantita nella zona di convertibilità tra 7,75 e 7,85 rispetto al dollaro statunitense.

Nel mantenere il peg, l'HKMA lo privilegia rispetto alla manipolazione dell'offerta di denaro. Non c'è dubbio che questo vada contro le credenze degli economisti occidentali tradizionali che credono che l'inflazione sia buona e la deflazione cattiva. Nell'ultimo anno la base monetaria di Hong Kong è diminuita da HK$1.695 miliardi a HK$1.635 miliardi. Questo preoccupa l'HKMA? Affatto.

Come i cinesi agiranno nelle circostanze di una nuova crisi del credito globale è tutto da vedere, ma dovremmo tenere a mente che sono probabilmente meno keynesiani nel loro approccio all'economia e alla finanza rispetto agli occidentali. Certo, hanno utilizzato l'espansione del credito per finanziare lo sviluppo economico, ma il loro è un approccio mercantilista e differisce significativamente dal nostro. Noi impoveriamo i nostri fattori di produzione attraverso il trasferimento di ricchezza attraverso l'inflazione monetaria e riteniamo che ciò possa essere compensato alimentando la speculazione finanziaria e l'inflazione dei prezzi degli asset. La Cina migliora la sua produzione e innovazione generando risparmi personali; la ricchezza è creata e collegata più direttamente alla produzione.

Gli obiettivi e gli effetti dell'inflazione monetaria e creditizia tra la Cina e l'Occidente sono dissimili, ed è un errore comune ignorare queste differenze. La minaccia alla capacità della Cina di gestire i propri affari in una crisi del credito è significativamente inferiore alla minaccia per le nazioni occidentali dipendenti dal welfare, i cui governi sono fortemente indebitati mentre la Cina non lo è.

La Cina è sicura di vedere stabilità finanziaria e monetaria ad Hong Kong e renderla vitale per i suoi interessi. A parte la filiale della Banca di Cina ad Hong Kong che è il secondo più grande emittente di banconote, la stessa PBOC mantiene saldi di riserva in dollari di Hong Kong, che nelle circostanze che Kyle Bass ritiene probabili, possono aumentare per supportare la gestione del peg da parte della HKMA.



Conclusioni

È un errore pensare che il mercato immobiliare di Hong Kong sia un pericolo sistemico come lo era la volta precedente. Le aspettative di una svalutazione del peg sembrano essere un pio desiderio dei ribassisti.

Molto più importanti sono le conseguenze della guerra informatica e finanziaria perseguita contro la Cina e la Russia dal Deep State americano. Sotto la presidenza Trump è stata intensificata mediante i dazi, che sono fondamentalmente un attacco all'economia cinese. La Cina sarà un osso duro da spezzare e l'effetto del protezionismo americano è stato quello di innescare una diminuzione del commercio internazionale, che ora sta diventando evidente. Gli effetti negativi sull'economia americana sono sottostimati.

Il tentativo di distruggere le ambizioni globali di Huawei è la parte più visibile di una cyber guerra non dichiarata. Il protezionismo era solo un passo avanti. La guerra finanziaria è ora in escalation, mentre l'economia globale sta affrontando una recessione significativa. I cinesi sono da lungo tempo sul terreno della guerra finanziaria, come dimostra l'analisi di Qiao Liang su come l'America abbia bisogno di afflussi di portafoglio e di cosa siano disposti a fare per attirarli. Il pensiero occidentale secondo cui i cinesi e i loro alleati russi sono vulnerabili all'egemonia americana è stato smentito più e più volte. Gli analisti finanziari non riescono a capire che i cinesi non sono scemi.

La Cina non si lascerà provocare e proteggerà Hong Kong, dirottando i flussi d'investimento da un'economia statunitense in fallimento alla sua iniziativa Belt and Road. Ciò scatenerà una crisi finanziaria sugli americani. Almeno è sempre stato questo il punto di vista della Cina e non vede alcun bisogno di cambiare la sua strategia passiva di guerra finanziaria.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 28 maggio 2019

Bolle, bolle e ancora bolle





di David Stockman


Donald è stato di nuovo nel Wisconsin questo fine settimana, ribadendo che l'economia americana sta esplodendo come mai prima d'ora. "Ora siamo l'economia numero uno in tutto il mondo", ha detto sabato sera a una manifestazione a Green Bay, nel Wisconsin.

Inutile dire che siamo contrari a questa affermazione. L'economia statunitense indebitata e piena di bolle ha esaurito il gas dopo un lungo ciclo artificiale di tiepida espansione; e finora le decisioni di Trump in materia di commercio internazionale e l'abbuffata di indebitamento fiscale hanno solo aggiunto un ulteriore bagaglio debilitante sull'economia profondamente compromessa dell'America.
Infatti Donald sta tradendo l'entroterra americano, perché il suo irragionevole attacco alla FED garantisce una ripetizione del crash del mercato azionario del 2008 e della conseguente recessione sostenuta dai piani alti delle grandi aziende.

Cioè, bloccando sostanzialmente la (tardiva) campagna di normalizzazione della FED e costringendola a far fare la figura del pusillanime a Powell, è stata rimossa l'ultima debole barriera contro un crash dei mercati.

Sono stati scatenati i robo-trader e gli incalliti trader "buy-the-dip" affinché continuassero a spingere gli indici azionari più in alto fino a quando l'ultimo lemming non raggiunge la strada sopra le scogliere. Ma una volta che ci sarà la deflagrazione finanziaria di Wall Street versione 2019, non ci sarà modo di fermarla perché non ci sono altro che venti contrari davanti a noi, tutti ignorati in questi ultimi momenti di mania della FED.

Infatti è difficile immaginare come i nostri banchieri centrali incapaci potrebbero fare qualcosa di più visto che hanno già frantumato quegli ingredienti che mantengono i mercati finanziari disciplinati, equilibrati e sostenibili (es. premi di rischio, costi alti per i carry trade, scetticismo nei confronti dei venditori, ecc.)

A dire il vero, crediamo che la FED fosse già in ritardo nel suo tentativo tardivo di rialzare i tassi d'interesse e di ridurre il suo bilancio verso qualcosa che potrebbe essere vagamente descritto come normalizzato. Ma dopo aver capitolato sulla scia dei tweet arrabbiati di Donald e degli attacchi d'isterismo di Wall Street alla fine del 2018, proprio quando la disciplina finanziaria era imperativa, la FED ha preso la decisione peggiore possibile al 118° mese di un ciclo economico che sta letteralmente urlando "correzione in vista".

Sin dalla vigilia di Natale il Dow è salito del 22%, l'indice S&P 500 è più alto del 25% e il NASDAQ-100 del 33%. Ancora più importante, una quota enorme di quei guadagni negli indici generali è attribuibile a soli sei titoli, i cosiddetti FAANG+M.

Cioè, Facebook è salito del 56%, Apple del 39%, Amazon del 69%, Netflix del 59%, Google del 25% e Microsoft del 38%. In totale, questi sei titoli hanno messo su $1.250 miliardi di capitalizzazione di mercato che non erano presenti alla vigilia di Natale, passando da un valore combinato di $3.210 miliardi a $4.400 miliardi in un battito di ciglia.

Così facendo la capitolazione della FED ha portato il momentum sul mercato nel modo più distruttivo possibile: cioè accendendo un'ultima insensata corsa agli ultimi sei titoli in piedi, ha provocato un'improvvisa eruzione degli indici complessivi, trascinando così anche gli ETF, i fondi indicizzati, i fondi comuni e la falange sopravvissuta di Jim Cramer.

Questa dinamica è evidente nelle seguenti cifre: l'aumento di $1.250 miliardi dei FAANG+M dalla vigilia di Natale ha rappresentato un guadagno del 39%. Al contrario, gli altri 494 titoli dell'indice S&P 500 sono stati valutati a $16.500 miliardi al minimo intermedio del 24 dicembre e da allora sono saliti di circa la metà dei FAANG+M, o del 22,5% a $20.200 miliardi.

A sua volta questa levitazione ha ridotto in frantumi ogni residua razionalità rimasta nel casinò. Infatti la capitalizzazione di mercato dei FAANG+M dopo la vigilia di Natale ammontava a $5.000 miliardi, mettendo a tacere ogni dissenso sulla bolla.

Ciò significa che anche quei giocatori d'azzardo che a fine 2018 hanno realizzato che era ora di dirigersi verso le uscite, ora sono ritornati sui loro passi. Tutta la parvenza di un mercato a doppio senso è stata essenzialmente cancellata, una condizione che storicamente ha proceduto l'arrivo del proverbiale Cigno Nero.

Infatti tra le varie follie del sistema bancario centrale negli ultimi decenni, praticamente nulla è paragonabile alla stupidità delle scelte di Powell. Questo perché i geni nell'Eccles Building hanno supportato il casinò ed i suoi speculatori più spericolati.

Non c'è nessuna condizione più pesante di questa. In un mercato azionario da $25.000 miliardi, dove il 25% del capitale azionario è detenuto da ETF e da indici, un evento Cigno Nero si trasformerà rapidamente in un tracollo contagioso, perché i freni naturali (i venditori allo scoperto che comprano per proteggersi e staccare profitti) sono del tutto assenti.

Ed è qui che entra in gioco il giusto castigo che si merita Donald. Basata sulla storia dei moderni crolli alimentati dalla FED, possiamo prevedere con assoluta certezza che un crash del mercato causerà un nuovo round di ristrutturazioni e licenziamenti da parte dei piani alti delle grandi aziende, poiché cercheranno disperatamente di placare gli dei del trading a Wall Street e di recuperare il valore immutabile delle loro stock option.

Durante i 9 mesi successivi al fallimento della Lehman, infatti, sono stati eliminati 6 milioni di posti di lavoro e le scorte sono state ridotte di oltre $150 miliardi o del 10%. In totale ci sono stati ammortamenti per circa $500 miliardi, azioni che hanno comportato la chiusura di negozi, impianti e depositi inutilizzati; così come ordini annullati a fornitori e venditori e a cascata un drastico rallentamento nel ritmo del business globale.

Detto in modo diverso, ciò che abbiamo oggi sono recessioni nate dalla liquidità della FED, la quale è stata utilizzata dai piani alti delle grandi aziende nella loro ossessione per le stock option. Ecco perché nessuno nel mondo mainstream vede arrivare una recessione.

Le recessioni ai tempi dei vostri nonni erano causate da una stretta creditizia per Main Street, ma tale epoca è ormai svanita. È stata soppiantata dallo scoppio delle bolle finanziarie, shock che costringe i dirigenti aziendali a gettare il bambino con l'acqua sporca, mentre si impoveriscono di minuto in minuto.


Una FED già screditata e confusa sarà in grado di confortare il casinò e salvare la faccia di Donald? La risposta è No. Infatti per la prima volta in 30 anni i trader a Wall Street se la dovranno vedere da soli, mentre la FED verrà inghiottita in un gorgo di disperata autoconservazione a tutti i costi e perdita di controllo.

Questo perché l'economia americana è in realtà piuttosto fragile. Ricordiamo che il 2,1% dell'aumento totale del 3,2% del PIL reale registrato nel primo trimestre, è dovuto a fluttuazioni temporanee di scorte di magazzino, spesa pubblica e recupero degli investimenti dell'anno scorso inteso a sfruttare i dazi al 25% di Donald.

A parte questi movimenti sfalsati nei conti del PIL, le componenti principali (spesa al consumo delle famiglie, spese in conto capitale ed edilizia residenziale) erano piuttosto flosce, mostrando un aumento sottile dell'1,1%.

In questo contesto, ecco il profilo del tanto decantato consumatore americano. Il piccolo tasso di aumento annuo dell'1,19% nel primo trimestre è stato il secondo più debole dalla fine del 2013, in calo dal 3,8% nel secondo trimestre 2018, dal 3,5% nel terzo trimestre e dal 2,5% nel quarto trimestre.

Inoltre, nonostante la vanità di Donald, è difficile identificare una qualsiasi accelerazione nella tendenza dal gennaio 2017.

Al contrario, la spesa personale al consumo mostra l'ennesima respinta lungo la resistenza coincidente col picco nel secondo trimestre dello scorso anno e da allora ha marcato una decisa discesa, nonostante il taglio delle imposte targato Trump.

Spesso ci riferiamo ai cosiddetti consulenti economici di Donald come a delle cheerleader e questo grafico sottolinea esattamente il motivo. Nessun economista competente potrebbe guardare al trend sottostante e affermare che l'economia americana è in piena espansione o che il rischio di scivolare in recessione è inesistente.


Ulteriori dati pubblicati di recente su reddito, spesa e risparmio non fanno che rafforzare le implicazioni negative di fondamentali flosci contenuti nel rapporto sul PIL del primo trimestre.

Sin dall'inizio della pseudo-ripresa, il tasso dei risparmi delle famiglie è riuscito ad arrivare ad un misero 7,5% e da allora non ha fatto altro che calare. Questo perché, quando tutto il resto va male, le famiglie sfruttano i loro fondi messi da parte per pagare le bollette.

Ciò è stato evidente nuovamente a marzo, quando il tasso di risparmio è sceso ad un minimo del 6,5%. Ciò significa che la debole tendenza al rialzo della spesa personale al consumo registrata nel secondo trimestre dello scorso anno, è stata alimentata dal drenaggio dei conti di risparmio.


Ciò che seguirà sarà il deterioramento delle tendenze nei mercati del credito al consumo e questo è esattamente ciò che sta accadendo adesso. Il tasso di default riguardo le carte di credito nel primo trimestre ha toccato il 3,82%, il livello più alto sin dal secondo trimestre del 2012.

Inoltre l'andamento dei prestiti è stato ancora più allarmante tra alcuni dei principali player nel mercato delle carte di credito. Nel caso di Capital One, il tasso di default nel primo trimestre è stato del 5,04%, facendo sì che il CEO avvertisse nella sua teleconferenza che la società stava affrontando un periodo di notevole "degrado" del credito.

E questo con la disoccupazione al 3,9%. Nessuno nel casinò osa chiedersi cosa succederà quando arriverà la recessione?


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 27 maggio 2019

La minaccia dietro la politica sui tassi d'interesse sotto lo zero

La follia totale in Europa: stagnazione economica accoppiata col record storico di titoli a rendimento negativo. Ricordate che sono i fondi pensione che pagano maggiormente dazio in questa situazione, dovendo innanzitutto diversificare in asset di rischio maggiori e in secondo luogo non ottenendo il ritorno aspettato annuale di cui hanno disperatamente bisogno.
Quindi dopo che abbiamo appreso che dal prossimo anno il divario "ufficiale" tra entrate e uscite nella previdenza sociale USA si allargherà nettamente, adesso sappiamo anche empiricamente che la stessa cosa accadrà alla controparte europea.
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di Brendan Brown


La politica dei tassi d'interesse sotto zero, praticata per molti danni da Europa e Giappone, va a minacciare la prosperità economica globale; eppure il Congresso e la Casa Bianca sono stranamente silenziosi sulla questione.

Due episodi monetari, uno storico e controfattuale e l'altro contemporaneo e reale, evidenziano la natura del pericolo.

In primo luogo, quello storico: durante tutto il periodo del gold standard dalla metà del 1860 al 1914, era raro che a Londra i tassi del mercato monetario a breve termine scendessero sotto l'1-2% annuo. In genere questi tassi erano altamente volatili giorno per giorno, ma pochi se ne preoccupavano.

I tassi a medio e lungo termine erano molto più costanti, il loro livello rifletteva una grande quantità di informazioni decentrate sul mercato, derivanti dalle decisioni individuali di voler accendere o no nuovi prestiti. Le percezioni riguardo al tasso medio di breve termine stabilivano un minimo al tasso di lungo termine (dato che gli speculatori potevano accendere prestiti a lungo termine e ridurre i prestiti a breve termine).

Walter Bagehot disse che "John Bull può sopportare molte cose, ma non può sopportare tassi d'interesse al 2%" (il che significava che tassi più bassi lo avrebbero fatto impazzire, nel senso odierno di esuberanza irrazionale o di ricerca disperata di rendimenti decenti). Il gold standard funzionava in un modo che rispettava questa saggezza popolare.

Se i tassi a breve termine fossero scesi a zero, ci sarebbe stata una "fuga verso l'oro", dal momento che la popolazione avrebbe convertito i depositi e le banconote in metallo giallo; una crescente penuria di riserve auree (nel sistema bancario) avrebbe costretto a restringere le condizioni monetarie. Questo meccanismo dipendeva dalla naturale scarsità dell'oro e dalle sue caratteristiche uniche. Il denaro in sistemi monetari fiat non ha mai goduto di queste proprietà.

Il livello implicito dei tassi d'interesse nominali non rappresentava un ostacolo alla proverbiale mano invisibile che avrebbe stimolato una ripresa economica dopo una recessione. Ciò avveniva nel contesto di prezzi stabili nel lungo periodo, non con l'inflazione permanente come predicato dagli architetti dell'attuale inflation targeting al 2%. I prezzi delle merci cruciali sarebbero scesi ad un livello inferiore alla media durante la fase debole del ciclo economico e ci si aspettava che tutto sarebbe tornato alla normalità nella successiva fase di espansione.

Cosa pensano oggi i banchieri centrali della saggezza di Bagehot su John Bull?

Negano che esista inflazione nei prezzi degli asset. Se c'avessero creduto veramente, non avrebbero chiesto ai loro dipartimenti di ricerca, pieni di economisti neo-keynesiani, di condurre la seguente analisi controfattuale.

Se nell'ultimo decennio le banche centrali avessero rispettato il minimo dell'1-2% sui tassi d'interesse, come sarebbe stata la ripresa economica e quale sarebbe stata la natura dell'espansione?

Draghi non ha mai affrontato il tema dell'inflazione nei prezzi degli asset. Non ha mai dovuto rispondere ad una domanda seria sull'argomento nelle sue noiose conferenze stampa o audizioni dinanzi al Parlamento Europeo. Anche così non è stato in grado di eludere completamente una discussione pubblica che rivela indirettamente alcuni dei pericoli dei tassi a zero e negativi in ​​questo ciclo attuale. I suoi colleghi l'hanno commentata invece.

Il tema: la differenza fondamentale tra il modo in cui la BCE da un lato e la Banca del Giappone (BoJ) più la Banca Nazionale Svizzera (BNS) dall'altro, hanno amministrato la politica dei tassi d'interesse negativi in questo ciclo.

La potente lobby bancaria in Germania si è chiesta perché la BCE non abbia copiato la BNS e la BoJ nel caricare i tassi negativi solo su una piccola fetta dei depositi bancari presso di essa piuttosto che su tutti.

Draghi non ha fornito una risposta diretta o schietta, ma ammette che la questione è "in corso di revisione". La sua reticenza suggerisce moventi inquietanti dietro le politiche dei tassi negativi.

Per capire perché la BCE stia gestendo in maniera così aspra la politica dei tassi negativi nei confronti delle banche, iniziamo identificando quale scopo comune potrebbe raggiungere con la BoJ e la BNS se adottasse un tocco più leggero (imponendo tassi negativi solo su una piccola fetta dei depositi bancari collocati presso di essa).

Tale obiettivo comune è la manipolazione monetaria.

Il denaro nazionale (o nel nostro caso l'euro) si svaluta quando c'è una fuga di capitali al di fuori degli asset a tasso negativo. Le banche cercano di proteggere i loro clienti regolari dai tassi negativi e spostano i costi sui depositanti esteri, tenendo anche conto dei tassi di rendimento ridotti ottenibili da altri asset, compresi i prestiti e le obbligazioni statali a breve scadenza.

Infatti i tassi negativi funzionano in parte come un sistema di restrizione monetaria, il quale impone sanzioni agli afflussi esteri nel mercato monetario interno.

Le banche tedesche sono più stressate nel proteggere i loro correntisti dai tassi negativi rispetto alle loro controparti svizzere e giapponesi, dato il trattamento duro da parte della BCE. Di conseguenza il rifugio che offrono è meno ampio e gli azionisti pagano attraverso profitti inferiori.

Perché Draghi non si arrende? Perché ciò significherebbe meno sussidi alle banche italiane! La BCE si avvale della politica dei tassi negativi che addebita sui depositi (e le banche tedesche sono il principale creditore netto dell'euro-sistema a riflesso dell'enorme eccedenza di risparmio tedesco) per rendere agevolati i prestiti soprattutto alle banche italiane. Se Draghi avesse seguito semplicemente la via della manipolazione monetaria, allora sì che avrebbe potuto compiacere la lobby delle banche tedesche (e la Bundesbank che la supplicava).

In definitiva, questo trasferimento all'interno dell'Europa (principalmente dalla Germania all'Italia) non rappresenta una minaccia per nessun altro, compresa l'amministrazione Trump. Gli elettori tedeschi dovrebbero dire la loro. L'aspetto di preoccupazione per gli Stati Uniti è la manipolazione monetaria.

Il rimedio più diretto sarebbe che il Tesoro degli Stati Uniti aggiungesse la politica dei tassi negativi alla sua lista di test qualora un governo estero seguisse la via della manipolazione monetaria. Inoltre gli Stati Uniti potrebbero usare la loro considerevole influenza presso il FMI, nonostante il suo amministratore delegato francese, per fare della politica dei tassi negativi (o a zero) un'attività sospetta, avversa all'obiettivo di eliminare la politica "beggar thy neighbor".

Non c'è assolutamente alcuna probabilità che l'amministrazione Trump prenda entrambe le misure. Vietare i tassi negativi in ​​Giappone e in Europa potrebbe accelerare il passaggio dell'inflazione nella sua fase finale di crisi prima delle elezioni del 2020. È molto meglio concentrarsi sull'azione diretta per ridurre gli effetti negativi della manipolazione monetaria sul commercio USA.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


venerdì 24 maggio 2019

La crisi del debito del governo USA





di Alasdair Macleod


Questo articolo spiega perché il governo americano è intrappolato in una trappola del debito dalla quale non c'è via di scampo. Le sue finanze stanno andando a ramengo. Nel contesto di un'economia globale in rapido rallentamento, il deficit di bilancio può essere finanziato solo dal QE e dall'espansione del credito bancario. Non trarrà conforto dal protezionismo commerciale: non impedirà che il deficit commerciale aumenti a scapito della produzione nazionale, a meno che non ci sarà un'improbabile ripresa dei tassi di risparmio personale. Ora possiamo cominciare a vedere come si evolverà la crisi del debito, la quale porterà alla distruzione del dollaro.

Al momento in cui viene scritto questo pezzo, i rendimenti obbligazionari stanno calando, l'euro è sceso rispetto al dollaro e le azioni stanno raggiungendo nuovi massimi. Ovviamente le azioni stanno prendendo la loro spinta dalle obbligazioni, ma i rendimenti obbligazionari stanno scendendo perché l'economia globale sta inviando segnali molto preoccupanti. Gli investitori in azioni sperano che l'allentamento monetario (che ora si aspettano pienamente) calmerà ancora una volta le acque e le economie continueranno a riprendersi. Stanno ignorando alcuni fatti economici di base...

I lettori abituali dei miei articoli saranno consapevoli che la fase espansiva del ciclo del credito è ormai finita e che corriamo il grave rischio di cadere a capofitto in una crisi globale e sistemica. Gli attori economici e i loro banchieri stanno cominciando a rendersi conto che le ipotesi alla base dei prestiti all'inizio del ciclo del credito erano errate.

Ecco perché è un ciclo del credito: è guidato da una precedente espansione del credito che spinge tutti i produttori ad agire allo stesso modo. Viene a cessare l'attività casuale, condizione di una vera economia laissez-faire. Invece gli imprenditori giudicano la disponibilità di credito agevolato un'opportunità lucrativa e lo stesso non si può dire degli stati (poiché essi cercano entrate, non profitti).

Se uno stato agisce in modo responsabile, non dovrebbe mai prendere in prestito, tranne forse in caso di emergenza. L'evoluzione del denaro fiat scoperto ha cambiato tutto ciò, consentendo agli stati di finanziarsi attraverso la stampa di denaro.

C'è solo un modo in cui uno stato possa finanziare l'eccesso di spesa senza che sia inflazionistico, e cioè prendendo in prestito denaro dai risparmiatori. C'è un lato negativo: lo stato incamera i risparmi esistenti, compresi quelli detenuti nei fondi pensione e assicurativi, deviandoli da altri mutuatari. Negli anni '80 questo fenomeno è stato descritto come "crowding out" e ha avuto l'effetto di far salire i tassi d'interesse fino al punto in cui questi altri mutuatari hanno smesso di accendere prestiti. Negli anni del dopoguerra, questa è stata la conseguenza del socialismo spendaccione.

Le altre due fonti di finanziamento per la spesa pubblica sono inflazionistiche. Il credito bancario è ampliato per finanziare i buoni del Tesoro. Prima del 2008 una combinazione di risparmio e espansione del credito bancario è stata utilizzata per coprire i requisiti di finanziamento dello stato. Ma dopo la grande crisi finanziaria la stampa del denaro da parte delle banche centrali, attraverso il quantitative easing, ha aperto una nuova strada. E probabilmente in futuro gli storici attribuiranno a quest'ultimo meccanismo di finanziamento l'inizio della fine delle valute fiat.

A livello teorico, il quantitative easing è promosso come una politica monetaria per stimolare l'economia iniettando grandi quantità di denaro in un sistema bancario in fallimento e consentendo a quest'ultimo di rimpinguare le proprie riserve. Ma l'effetto più importante è quello di permettere ad uno stato di spendere ben oltre le sue entrate fiscali.

La teoria keynesiana, almeno nella sua forma originale, raccomandava un eccesso di spesa pubblica per stimolare l'economia all'inizio di quello che Keynes definiva il ciclo economico. L'ipotesi era che un'economia più forte risultante dalla precedente espansione del credito avrebbe migliorato le finanze pubbliche aumentando il gettito fiscale e conseguendo così un avanzo di bilancio più avanti nel ciclo. Di tanto in tanto gli stati in passato prestavano attenzione al concetto di bilanciamento del budget, ma oggi non così tanto.

Come politica fiscale, il bilanciamento del budget durante il ciclo non è più rilevante; né il modo in cui i deficit sono finanziati. Il carattere delle economie odierne è cambiato, con la maggioranza dei consumatori che non risparmia più, tranne i fondi pensione e quelli assicurativi. Negli ultimi decenni questi risparmi istituzionalizzati hanno ridotto la loro esposizione alle obbligazioni, mentre aumentavano i loro investimenti in azioni. Hanno cercato di accumulare rendimenti attraverso i guadagni in conto capitale anziché mediante gli interessi di capitalizzazione. La politica monetaria ha favorito la soppressione dei tassi d'interesse e dei rendimenti obbligazionari, incoraggiando questa tendenza. Il risparmio personale come strumento per finanziare il debito pubblico è praticamente scomparso e ha perso importanza in tutti i settori tranne nei fondi obbligazionari specializzati.

Pertanto il desiderio keynesiano di massimizzare il consumo presente punendo i risparmiatori è quasi soddisfatto. Il modo in cui gli stati spendaccioni si finanziano è cambiato radicalmente rispetto a quando gli individui investivano i loro risparmi in titoli di stato. Invece adesso gli stati sono diventati sempre più dipendenti dal finanziamento dei deficit con mezzi inflazionistici.



Il finanziamento del governo degli Stati Uniti è fuori controllo

C'è un numero di stati occidentali il cui debito è diventato così grande rispetto alle loro economie che le loro finanze sono fuori controllo. Ai fini di questa analisi, limiteremo la nostra attenzione a quella del governo degli Stati Uniti, perché è quello che emette la valuta di riserva mondiale.

Nonostante la soppressione dei tassi d'interesse da parte della FED, il costo dei prestiti del governo federale è aumentato sensibilmente, come dimostra chiaramente il seguente grafico.


Il mio collega, James Turk, ha calcolato che il tasso di insolvenza del governo degli Stati Uniti (il costo degli interessi in percentuale delle entrate statali) sia del 17,2% per i primi sei mesi dell'anno fiscale 2019. In altre parole, per ogni $100 raccolti in tasse, $17,20 servono per pagare gli interessi. Inutile dire che le finanze del governo federale sono già in crisi.

Le previsioni obsolete del Congressional Budget Office per il deficit 2019 si attestano a $897 miliardi. Le stime più recenti dell'Office of Management and Budget ci mostrano un deficit di $1,092 miliardi finora. In altre parole, il problema del debito e degli interessi ha visto un'accelerazione significativa negli ultimi sei mesi. Turk conclude che la FED non ha altra scelta che abbassare i tassi d'interesse per salvare le finanze del governo degli Stati Uniti.

Il problema può essere visto da un'altra angolazione: la crescita del PIL nominale è stata insufficiente a produrre le tasse per finanziare il debito. In assenza di crescita del PIL, l'unico modo per affrontare la minaccia di un'escalation del debito è eliminare il deficit federale. Secondo le attuali politiche, ciò non sta accadendo e, secondo il CBO, i deficit di bilancio dovrebbero aumentare almeno fino al 2028.

Per l'anno fiscale 2019, il CBO aveva ipotizzato un aumento del PIL del 5,02% e del 4,08% per il 2020. Alla luce del forte rallentamento economico che sta diventando ormai più che evidente, queste stime sono errate. In altre parole, non solo il tasso d'insolvenza del governo USA sta crescendo a dismisura, non solo il deficit di bilancio è fuori controllo, ma le ipotesi sulla crescita del PIL sono troppo ottimistiche.

Sin dalla crisi della Lehman nel 2008/09, il governo degli Stati Uniti ha utilizzato una via di fuga negativa per il problema del PIL, addolcendo un po' i numeri dell'inflazione. Per apprezzare tutte le ramificazioni, dobbiamo capire cosa rappresenta il PIL: esso rappresenta semplicemente un totale delle transazioni registrate nell'economia durante un periodo predefinito, normalmente annuale. La crescita delle cifre del PIL non sono altro che il percorso dell'inflazione monetaria applicato a tali transazioni. In altre parole, la soluzione alla mancanza d'inflazione nelle cifre del PIL è semplicemente gonfiarlo. Ciò avviene attraverso un accelerazione quantitativa e il governo federale aumenta la spesa nell'economia interna.

Ne beneficiano temporaneamente le finanze pubbliche, ma è la cosa peggiore che un governo possa fare, perché attraverso il trasferimento della ricchezza impoverisce e distrugge l'economia in generale sulla quale lo stato conta per le sue entrate fiscali future. Sebbene per un governo spendaccione sia onnipresente la tentazione del denaro facile, e senza dubbio sarà raccomandata da economisti e commentatori mainstream, è la strada per accelerare l'inflazione dei prezzi e l'eventuale crollo della valuta.

Ad oggi l'effetto dell'inflazione monetaria sull'economia è stato deliberatamente nascosto. Se così non fosse, il vero stato delle finanze pubbliche sarebbe stato ovvio per il grande pubblico anni fa. Con il metodo statistico gli aggiustamenti obbligatori legati all'indice dell'inflazione dei prezzi hanno ridotto quest'ultima ad una frazione di ciò che deve essere per riflettere il vero costo della vita. I benefici di questa soppressione sono evidenti per le finanze pubbliche. Il problema più insidioso è che i costi in accelerazione sono una caratteristica della spesa pubblica, riflettendo gli effetti reali dell'inflazione monetaria sui prezzi.

È un problema sempre più serio. Secondo l'Indice Chapwood, negli ultimi cinque anni l'inflazione dei prezzi dei beni e dei servizi che gli americani acquistano tipicamente è in media quasi del 10% in 50 grandi città. Al contrario, gli analisti finanziari accettano ostinatamente le statistiche del CPI, le quali dichiarano che l'inflazione dei prezzi è in media solo dell'1,52% rispetto alla stessa scala temporale. L'Indice Chapwood stima che a metà del 2018 i prezzi aumentassero annualmente del 12,6% a New York, del 12,1% a Los Angeles e dell'11,9% a Chicago. Se accettiamo le stime del Chapwood e le applichiamo come un deflatore al PIL, dobbiamo concludere che in termini reali l'economia americana è stata in continuo calo sin dalla crisi finanziaria e che c'è un enorme divario tra i tassi d'interesse ufficiali e quelli richiesti dai risparmiatori.

Uno dei più vecchi cliché in politica è che si possono prendere in giro le persone fino ad un certo punto, poi arriverà un momento in cui si sveglieranno e capiranno la frode statistica sponsorizzata dallo stato. Con l'inflazione dei prezzi che sembra accelerare, l'apatia pubblica sull'inflazione dei prezzi sarà sostituita da un sostanziale e forse improvviso adeguamento delle preferenze individuali a favore delle merci.

È probabile che i tempi di un risveglio economico siano collegati al ciclo del credito, quando il sostegno pubblico si evolverà dalla compiacenza all'improvvisa preoccupazione. Una cosa è tollerare l'intervento dello stato quando le cose sembrano andare abbastanza bene, o c'è una prospettiva di successo, ma quando l'economia finisce nei guai prevale un umore diverso. Se il recente rallentamento economico peggiorerà, la psicologia pubblica farà tale cambiamento.

Protezionismo commerciale e la fine della fase espansiva del ciclo del credito sono una combinazione economica letale. Le prove empiriche dell'episodio 1929-32 non potrebbero essere più chiare. All'epoca lo Smoot-Hawley Tariff Act coincideva con il picco del ciclo del credito degli anni '20. Attraverso la sua politica commerciale oggi il governo degli Stati Uniti sta imponendo le stesse condizioni che hanno portato alla Grande Depressione negli anni '30. Questa volta la stessa combinazione viene applicata con il dollaro come valuta di riserva mondiale, sostenuta solo da quella che diventerà una fiducia in sbiadimento. E poi affronteremo la prospettiva di un'ulteriore accelerazione della stampa di denaro sotto forma di QE.

Supponendo che le condizioni del crash di Wall Street nel 1929-32 si ripresentino anche solo parzialmente, i requisiti di finanziamento del governo statunitense schizzeranno alle stelle. Con il pretesto di salvare un'economia in deterioramento, è chiaro che il governo degli Stati Uniti non taglierà la sua spesa.



La componente estera sta cambiando le cose in peggio

Il meccanismo di finanziamento più inflazionistico è il seguente: un dipartimento del governo (la tesoreria) emette obbligazioni al pubblico e alle banche, poi un altro dipartimento governativo (la banca centrale) le compra dal pubblico e dalle banche emettendo valuta ex novo. Al fine di non sollevare sospetti inflazionistici, questo meccanismo viene chiamato quantitative easing.

Finora il QE ha coperto solo una parte dei requisiti di finanziamento del governo degli Stati Uniti dopo la crisi della Lehman. La ripartizione completa è riportata nella tabella seguente, che incorpora sia il debito a lungo termine che quello a breve termine.


Va notato che gli stranieri hanno acquistato circa $3.611 miliardi di debito del Tesoro USA, molto più delle banche USA, dei fondi USA e di altri investitori del settore privato statunitense. A metà del 2018, gli investimenti esteri totali in titoli del Tesoro USA ammontavano a $6.200 miliardi, quindi le loro partecipazioni sono più che raddoppiate sin dalla crisi della Lehman. Il finanziamento estero del debito americano è la conseguenza dei deficit commerciali, perché i dollari finiscono in mani straniere. È solo una parte della storia del reinvestimento del deficit commerciale, ma questo è ciò che ci interessa qui.

Gli stranieri investono nel Tesoro degli Stati Uniti e in altri asset denominati in dollari perché hanno bisogno di una riserva di dollari per facilitarsi la vita nel commercio internazionale. Inoltre, con poche eccezioni, rappresentano la componente più importante delle riserve monetarie gestite dai governi esteri, dalle loro banche centrali e dai fondi sovrani.

Pertanto il livello di proprietà estera di dollari è determinato principalmente dalle prospettive a lungo termine per le condizioni commerciali. Se il commercio è in generale in espansione, gli stranieri tenderanno ad aumentare le loro disponibilità in dollari e, se il commercio è in contrazione, è probabile che le ridurranno. Alcuni detentori speculeranno trattenendo più o meno di quanto farebbero normalmente, ma la relazione di fondo tra il volume degli scambi e le disponibilità in dollari è il fattore più importante.

Negli ultimi anni alcune banche centrali e fondi sovrani hanno ridotto la loro esposizione ai dollari: tra il 2015 e il 2018 i governi esteri e i relativi fondi sovrani hanno venduto $893 miliardi di titoli del Tesoro statunitensi, la maggior parte dei quali è stata compensata da acquisti da parte del settore privato estero. È probabile che le partecipazioni del settore privato siano maggiormente influenzate dalle prospettive commerciali rispetto alle partecipazioni pubbliche, che sono di natura più strategica.

Dato il deterioramento delle prospettive per il commercio internazionale, sembra probabile che le società estere ora ridurranno le loro esposizioni ai dollari, ricoprendo il ruolo di venditori al pari dei governi esteri. Stando così le cose, nello stesso momento in cui il fabbisogno di finanziamenti del governo degli Stati Uniti inizierà ad aumentare al di sopra delle previsioni, gli stranieri liquideranno i loro bond USA e venderanno dollari. Pertanto il QE è destinato a diventare il principale meccanismo di finanziamento per il debito del governo degli Stati Uniti.

Coloro che ritenevano che il Dilemma di Triffin avrebbe garantito una domanda infinita per il dollaro, nonostante la gestione finanziaria scadente del governo degli Stati Uniti, dovranno ricredersi. L'effetto a lungo termine sul rendimento sia del dollaro sia delle obbligazioni è evidente e non dovrebbe essere sottovalutato.



Come un crescente deficit di bilancio intensifica il crollo

Gli economisti neo-keynesiani sostengono che un deficit di bilancio immetta domanda nell'economia, cosa che altrimenti non sarebbe presente. Insieme a tutti gli altri rimarranno sorpresi dalla velocità con cui il deficit di bilancio si aggraverà durante un crollo, ma sono sicuro che per ridurlo finiranno per peggiorare le cose.

Supponendo che non vi sia alcun cambiamento nel rapporto di risparmio, il fenomeno del doppio deficit suggerisce che ad un deficit di bilancio crescente corrisponderà un deficit commerciale crescente. La fonte di confusione keynesiana su ciò che è una semplice identità contabile è la negazione della Legge di Say, erroneamente descritta da Keynes stesso nella sua Teoria Generale. L'interpretazione corretta della Legge di Say è che gli esseri umani si specializzano nella loro produzione per acquisire quei beni e servizi che non producono, ma di cui hanno bisogno e desiderano. Il denaro non è altro che il meccanismo di trasmissione che trasforma la produzione in beni di consumo. Il denaro risparmiato trasforma la produzione in beni futuri. È per questo che la divisione del lavoro serve per migliorare i nostri standard di vita in modo più efficace di qualsiasi altra forma di cooperazione sociale.

Il punto chiave è il ruolo del denaro. Attraverso il controllo della valuta, gli stati e le loro banche centrali ne aumentano la quantità. Più denaro in circolazione significa uno scambio distruttivo: qualcosa in cambio di niente. Inevitabilmente, poi, i prezzi tendono ad aumentare mentre il denaro viene assorbito nel quadro esistente di produzione e consumo. E quando i prezzi aumentano, la domanda passa alle importazioni.

Se le persone risparmiassero il denaro inflazionato, non andrebbe ad alimentare il consumo e quindi non si verificherebbe un deficit commerciale. Ma i keynesiani scoraggiano il risparmio e, come notato in precedenza in questo articolo, le loro politiche hanno praticamente distrutto i risparmi personali, ad eccezione dei fondi pensione pubblici e dei fondi assicurativi. Tenendo conto del debito dei consumatori, non ci sono risparmi in America. Il disavanzo di bilancio è quindi finanziato quasi interamente con mezzi inflazionistici, quindi quando arriverà una crisi economica e farà salire il deficit di bilancio, aumenterà anche il deficit commerciale.

Lungi dal sostenere i livelli della domanda, un aumento del deficit di bilancio, portando ad un aumento del deficit commerciale, ha un effetto catastrofico sulla produzione interna. Questo perché in condizioni di crisi, un deficit commerciale crescente sostituirà la produzione interna. E falliranno anche i tentativi di alterare l'equilibrio a favore della produzione interna aumentando i dazi sulle merci importate, sempre a causa del problema del doppio deficit.

Pertanto la disoccupazione aumenterà e la valuta scenderà. Senza dubbio i keynesiani diranno che una valuta deprezzata renderà competitivo il costo del lavoro, un errore che non hanno ancora compreso come tale. Quello che a loro manca è l'importanza di un'economia basata sui risparmi, la quale tende ad avere surplus commerciali per le stesse ragioni per cui un Paese senza risparmi come l'America ha invece un deficit, utilizza i risparmi dei consumatori per investire nella riduzione dei costi di produzione unitari e nel miglioramento dei prodotti. Ciò è dimostrato dalle prove empiriche di Germania e Giappone negli anni del dopoguerra, quando le loro valute in apprezzamento non riuscirono ad eliminare le loro eccedenze nell'export.

Tutto ciò che accadrà è che gli stranieri finiranno per avere più dollari da vendere. La valuta si indebolirà sulle borse estere, mentre diminuirà il suo potere d'acquisto nell'economia nazionale. Il Tesoro degli Stati Uniti finanzierà il crescente deficit di bilancio e ucciderà la produzione interna.



Perché i rendimenti dei titoli di stato saliranno e il dollaro crollerà

Durante la grande depressione il dollaro era convertibile in oro fisico a $20,67 l'oncia e poi a $35 dal gennaio 1934 in poi. Ciò significava che il costo degli interessi per il Tesoro degli Stati Uniti rifletteva quello del prestito dell'oro più un premio per il rischio. Oggi non esiste una copertura con l'oro e gli istituti di credito sono consapevoli di dover prendere in considerazione il rischio valutario.

Finché i creditori credono che le finanze pubbliche siano ragionevolmente stabili e che le statistiche "ufficiali" siano credibili, una banca centrale potrà ridurre i costi di finanziamento attraverso una politica monetaria espansiva. Questa è la posizione corrente; ma quando le cose cambieranno, una banca centrale si troverà ad affrontare un compito impossibile.

Se la mia tesi che una combinazione di protezionismo commerciale e picco del ciclo del credito stia portando l'economia globale verso una recessione economica è corretta, le conseguenze danneggeranno severamente le finanze del governo USA per le ragioni illustrate in questo articolo. Deficit di bilancio e commerciale aumenteranno; il primo non può che portare alla distribuzione della forma più inflazionistica di finanziamento e quest'ultima deprimerà la produzione interna. E nell'ora del maggior bisogno, gli stranieri venderanno i loro portafogli in dollari.

Presto diventerà ovvio che il governo degli Stati Uniti, insieme a tutti gli altri stati spendaccioni, è intrappolato in una trappola del debito. Sarà completamente esposta la follia delle politiche economiche e monetarie post-keynesiane progettate per giustificare l'esistenza economica degli stati. E mentre i rendimenti delle obbligazioni e il dollaro si dirigeranno verso un esito in stile Argentina, i giorni del dollaro e del debito denominato in dollari sono contati.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/