venerdì 1 dicembre 2023

L'oro è pronto per il decollo?

 

 

di Alasdair Macleod

La posizione dell'oro dal punto di vista tecnico sembra molto positiva, ma tale analisi dovrebbe essere supportata dai fondamentali.

In larga misura sono negli occhi di chi guarda, le cui opinioni possono variare da positive a negative e tutto il resto. E nonostante tutti i possibili ottimismi, si stanno addensando nubi all’orizzonte che probabilmente continueranno a minare le prospettive economiche globali e tutti i valori degli asset finanziari. Le valute fiat sono una spanna sotto rispetto al denaro reale: l’oro.

L’opinione attuale è che l’inflazione sia in remissione e che l’impennata dei tassi d'interesse sia finita. In questo saggio andrò a sottolineare dove sbagliano le aspettative sull'inflazione e l’errore di credere che il controllo dei tassi d'interesse sia la soluzione.

Ne consegue quindi che le trappole del debito nei Paesi del G7 rappresentano un problema più serio di quanto generalmente si creda. Inoltre Cina e Russia sono consapevoli del probabile impatto degli eventi attuali sulle valute fiat ed è per questo che hanno accumulato riserve auree.

In breve, ci troviamo di fronte a una transizione tra le valute cartacee scoperte e valute cartacee coperte, il che potrebbe spiegare perché la posizione tecnica dell’oro appaia così positiva.

Se siete esperti di grafici, allora saprete che l’attuale posizione di mercato dell’oro è molto rialzista. Le medie mobili nel grafico qui sopra sono in sequenza rialzista. L’attuale calo del prezzo dell’oro dovrebbe trovare un forte supporto al livello attuale, compreso tra $1.910 e $1.923 e un seguace della Teoria delle onde di Elliot potrebbe dire che si sia verificato un consolidamento a tre gambe iniziato nell’agosto 2020 e completato nel novembre 2022, durato poco più di 13 mesi e che è un numero di Fibonacci. La mossa successiva sarà l’inizio di un nuovo mercato rialzista.

Nonostante la natura retrospettiva dell’analisi tecnica, l’argomentazione rialzista è convincente, in particolare nel contesto delle crescenti tensioni in Medio Oriente e dell’incombente recessione globale. Il fatto è che entrando in recessione vediamo le finanze pubbliche del G7 già impantanate nelle trappole del debito, cosa che porterà a una serie di crisi dei finanziamenti. Queste ultime faranno inevitabilmente salire i rendimenti obbligazionari e dirotteranno i capitali d'investimento dagli attori del settore privato al debito pubblico, peggiorando le prospettive economiche. E poiché le entrate pubbliche dipendono da un’attività economica redditizia, la stretta sui finanziamenti finirà per minare le finanze pubbliche stesse.

È una situazione che riecheggia quella degli anni ’70, quando l’instabilità monetaria portò l’oro a salire da $35 a $850 il 21 gennaio 1980. Allo stesso tempo, il tasso di riferimento statunitense salì da un minimo del 3,3% nel febbraio 1972 al massimo del 13,8% quando l’oro raggiunse il picco, per poi superare il 19% l’anno successivo. Oggi l’idea che sia l’oro che i tassi d'interesse possano salire in tandem è considerata utopica dall'establishment economico. Tuttavia dall’agosto 2020 il tasso di riferimento statunitense è salito dallo 0% al 5,33% e il prezzo dell’oro in dollari è rimasto pressoché invariato – difficilmente la correlazione negativa sostenuta dall’establishment.

A causa della forza relativa del dollaro, il prezzo dell’oro in altre valute è ora più alto rispetto a quando ha raggiunto il picco per la prima volta il 6 agosto 2020, come illustrato nel grafico seguente.

Nel caso dello yen giapponese, è più alto del 35%, in euro più alto del 4%, in sterline dell’1% mentre in dollari è più basso del 6%. Lo yen è stato particolarmente debole, a causa della politica monetaria della Banca del Giappone che ha mantenuto in territorio negativo il tasso sui depositi.

Poiché è ampiamente riconosciuto che l’economia globale si trova ad affrontare una recessione economica, esiste anche un’idea sbagliata riguardo alle conseguenze sui prezzi al consumo. Si presume che una recessione riduca la domanda portando ad un eccesso di beni e quindi ad una riduzione dei prezzi. Stando così le cose, si dice che con il loro miglioramento del potere d’acquisto ci si potrebbe aspettare che le valute si rafforzino rispetto all’oro. Questo malinteso risale ai primi anni ’30, quando i prezzi dei beni erano effettivamente espressi in oro perché il dollaro era legato ad esso a $20,67 l’oncia. Il fatto che il dollaro fosse stato svalutato del 40% dal presidente Roosevelt nel 1934 conferma che la forza monetaria era nell’oro, non nel dollaro. E negli anni ’70, quando il dollaro e tutte le altre valute vennero staccate dal metallo giallo, le recessioni furono accompagnate da un aumento dei prezzi al consumo.

Queste e altre questioni devono essere affrontate per capire perché il grafico dell’oro appare così positivo e cosa ciò implichi.


Perché i prezzi al consumo crollarono durante la Grande Depressione

Come accennato in precedenza, l’esperienza dei primi anni ’30 fu quella di un calo significativo dei prezzi al consumo. Si stima che tra il dicembre 1929 e il giugno 1932 l'indice dei prezzi al consumo di tutti gli articoli fosse diminuito dell'8,3%, con il settore alimentare più colpito in calo del 13%. Ciò fece eco al calo del livello generale dei prezzi durante la crisi del 1920-1922, quando l’indice dei prezzi al consumo diminuì del 9,7%.

Sulla base di questa esperienza, alla fine degli anni ’30 gli economisti conclusero che durante una recessione i prezzi sarebbero sempre scesi e che la Legge di Say, da sempre alla base dell’economia classica, era errata. Ci sono elementi che sembrano sfuggire alle restrizioni della Legge di Say, come i prezzi delle materie prime che subiscono un calo della domanda in un periodo di crisi, ma anche questo aspetto presuppone che la loro produzione non venga ridotta in risposta al calo della domanda, il che di solito non è il caso. In sostanza, i disallineamenti tra domanda e offerta sono solo una questione di tempistica.

Sia durante le depressioni dei primi anni ’20 che dei primi anni ’30, i prezzi dei prodotti alimentari furono ulteriormente indeboliti dalla rapida meccanizzazione dell’agricoltura che ne incrementò la produzione. Come nel caso della crisi del 1920-1922, le difficoltà economiche dei primi anni ’30 furono l’eliminazione del credito in eccesso generato nel precedente boom creditizio.

Il punto della Legge di Say: produciamo per consumare, pertanto non può esserci un crollo generale perché la produzione diminuirà con il consumo. Si può andare oltre e affermare che, a parte il destocking (che oggi con la gestione delle scorte just-in-time è stato ridotto al minimo), i dipendenti perderanno prima il lavoro e poi ridurranno i consumi.

Nel suo desiderio di promuovere l’intervento statalista, Keynes dovette respingere la Legge di Say, cosa che fece per motivi infondati:

Pertanto la Legge di Say, secondo cui il prezzo della domanda aggregata della produzione nel suo insieme è uguale al prezzo dell’offerta aggregata per tutti i volumi di produzione, è equivalente alla proposizione secondo cui non vi è alcun ostacolo alla piena occupazione. Se, tuttavia, questa non è la vera Legge che collega le funzioni della domanda e dell’offerta aggregata, c’è un capitolo di vitale importanza della teoria economica che resta da scrivere e senza il quale tutte le discussioni riguardanti il volume dell’occupazione aggregata sono inutili.

Si tratta di un travisamento intenzionale di una verità ovvia che non è mai stata intesa come qualcosa di più di una generalizzazione, e certamente non da giustificare in un’equazione matematica che fu effettivamente l’argomentazione di Keynes. Ma oggi la Teoria Generale di Keynes è il vademecum per gli economisti matematici e li fuorvia sulla relazione tra un crollo dell’attività economica e i prezzi.

Come abbiamo visto all’inizio degli anni ’30, i prezzi crollarono dell’8%; i prezzi delle materie prime per i prodotti agricoli calarono del 60% tra il 1929 e il febbraio del 1933, rispetto al calo dei prezzi alimentari del 13% nell'IPC, indicando che i costi di produzione alimentare in realtà salirono compensando gran parte del calo del valore dei prodotti per gli agricoltori. Le ragioni di questi cali sono spiegate più dettagliatamente di seguito.

Il Survey of Current Business del febbraio 1935 sui prezzi delle materie prime all'ingrosso rilevava anche quanto segue:

Un’altra classificazione del Bureau of Labor Statistics è fornita nel grafico 3 [riprodotto di seguito], che mostra i 10 gruppi di merci organizzati in base al grado di declino nei diversi gruppi. Come ivi mostrato, i prezzi di tre gruppi, metalli e prodotti in metallo, mobili per la casa, prodotti chimici e farmaci, scesero di poco meno del 25% dal 1929 ai minimi raggiunti nella prima parte del 1933, e i prezzi dei materiali da costruzione solo poco più del 25%.

Sì, si trattava di cali del livello generale dei prezzi, ma non così gravi come siamo portati a supporre oggi e possono essere facilmente spiegati senza negare la Legge di Say. Nel 1929-1932 ci fu il crollo del mercato azionario, una serie di crisi bancarie regionali nel 1931 e 1932, e nel marzo 1933 il sistema bancario commerciale crollò del tutto. I depositi a vista si contrassero del 35% tra il 1929 e il 1933 e, in totale, circa 9.000 banche fallirono e non esisteva alcuna assicurazione sui depositi.

A quel tempo il dollaro era scambiabile con l’oro, quindi la contrazione del credito nell’economia ebbe l’effetto sui prezzi di un’improvvisa e diffusa scarsità di oro. Chiaramente fu questa scarsità a far scendere i prezzi, inoltre, tenendo conto di una contrazione dei depositi pari al 35%, le materie prime non alimentari nel grafico sopra in media non scesero affatto (si veda l’ultima colonna – “Diversi dai prodotti agricoli e alimentari”).

La situazione oggi è completamente diversa. Le valute non sono più legate all’oro e vengono svalutate arbitrariamente dalle banche centrali quando ritenuto necessario. Il credito bancario si sta contraendo e, in caso di fallimento bancario, esistono garanzie sui depositi e possiamo essere certi che, invece di fallire, le banche saranno salvate dalle rispettive autorità.

In breve, non vi è alcuna certezza sul potere d’acquisto futuro delle valute fiat. Stiamo arrivando al nocciolo della questione del motivo per cui il livello generale dei prezzi aumenterà nell’imminente recessione: la futura espansione del credito da parte del sistema bancario centrale per compensare una recessione, potenziali fallimenti bancari importanti e l’inevitabile liquidazione degli investimenti improduttivi sono destinati a diluire il potere d’acquisto di tutte le valute del G7, fino al punto in cui svanirà la fiducia della popolazione in esse.

Questo ci porta al ruolo dei tassi d'interesse. Come abbiamo visto nel 1981, il tasso di riferimento statunitense superiore al 19% pose fine alla corsa rialzista dell’oro e portò a un lungo calo dei tassi d'interesse del dollaro. Funzionò perché gli stranieri videro un rendimento positivo a quei tassi dopo aver tenuto conto della perdita anticipata del potere d’acquisto futuro del dollaro. Oggi arriveranno alla stessa conclusione, solo che le loro partecipazioni in dollari e asset denominati in dollari, pari a $33.000 miliardi, sono addirittura superiori al PIL degli Stati Uniti. A ciò va aggiunto il credito offshore in dollari stimato dalla Banca dei Regolamenti Internazionali a ulteriori $85.000 miliardi e altri $10.000 miliardi in eurobond. La potenziale instabilità del potere d’acquisto del dollaro potrebbe facilmente portare a una liquidazione estera sfrenata di queste cifre.

La conclusione può essere solo una: nonostante l’attuale ottimismo nei mercati finanziari, i prezzi continueranno a salire ben al di sopra del tasso del 2% imposto dalle banche centrali e i tassi d'interesse saliranno con essi. E se gli anni ’70 dovessero rivelarsi un precedente per i giorni attuali, possiamo aspettarci tassi d'interesse molto più alti nei prossimi anni.


L’inutilità della gestione economica basata sui tassi d'interesse

Nel tentativo di allontanare l’inflazione, le banche centrali hanno rialzato i tassi d'interesse distruggendo tutti i modelli governativi, bancari e di business. I problemi causati sono evidenti a tutti, fino al capofamiglia di basso livello che deve far fronte a pagamenti più elevati del mutuo e al debito della carta di credito. Naturalmente c’è una reazione da parte dei monetaristi-meccanicisti e di altri che sostengono che le autorità si sono spinte troppo oltre. Nella loro ricerca della stabilità dei prezzi, gli economisti mainstream stanno ora cercando di determinare il tasso d'interesse naturale, che oggi chiamano r*. Non sorprenderà che la risposta che daranno sarà che dovrebbe essere più basso.

Il concetto nasce dall’analisi di Knut Wicksell, il quale nel 1898 spiegò che un tasso d'interesse naturale rappresentava il tasso d'interesse sui prestiti che si equilibra rispetto ai prezzi delle materie prime, senza che li aumentasse o abbassasse. Le sue conclusioni giunsero in un’epoca in cui il gold standard era onnipresente e si applicavano a sistemi monetari in cui il credito era considerato un sostituto credibile dell’oro.

Va notato che il concetto non si applica esclusivamente al potere d’acquisto di quest'ultimo, ma al credito rimborsabile in oro più gli interessi. Era il tasso d'interesse rimborsabile in oro determinato a livello nazionale a fare la differenza tra il valore del metallo giallo in un centro rispetto a un altro, l’arbitraggio assicurava che i prezzi non si discostassero significativamente dalla loro norma internazionale.

Come notato sopra, la proposta di Wicksell arrivò in un’epoca di standard aurei universali. Stava descrivendo il tasso d'interesse naturale necessario per allineare la relazione interna tra oro e materie prime al valore medio internazionale del potere d’acquisto dell’oro. La situazione con le valute fiat instabili, però, è completamente diversa, un fatto che viene ignorato dagli economisti che credono che i rapporti tra le valute fiat e le materie prime non siano diversi da quelli dell’oro.

Ma r* è del tutto teorico e non può essere definito. Per questo motivo anche i funzionari all'interno del sistema Federal Reserve non sono d’accordo, con la FED di New York che lo stima all’1,13% e la FED di Richmond al 2,2%. Ma tutto questo giocherellare con i numeri, come nel caso della Taylor Rule strettamente associata, è irrilevante e va contro l’evidenza empirica. Anche prima di Wicksell l’uso dei tassi d'interesse per stabilizzare la domanda di materie prime, cosa che si estende anche ad altri input produttivi, portava a enormi problemi. La manipolazione dei tassi d'interesse è sempre stata mirata all'obiettivo sbagliato ed è necessario illustrare questo punto importante.

Nel 1799 si verificò una crisi finanziaria ad Amburgo che portò il tasso di sconto al 15% (equivalente a un tasso d'interesse di oltre il 17,5%), attirando l'oro lontano dalla Banca d'Inghilterra: i commercianti potevano riscattare la sterlina in oro presso la BoE rinunciando a un rendimento da interesse di pochi punti percentuali e spedirla ad Amburgo dove avrebbe guadagnato un rendimento extra a causa dello sconto. Al netto di pericoli e costi della spedizione, un commerciante avrebbe ottenuto un profitto netto di oltre il dieci per cento, convertibile in oro.

All’epoca questo arbitraggio fu poco compreso dalle autorità che elaboravano le normative nel settore bancario e commisero lo stesso errore nel Bank Charter Act del 1844. Di conseguenza ci furono tre crisi nel 1847, 1857 e 1866, quando la Banca d'Inghilterra dovette sospendere i suoi obblighi di cambio dell'oro ai sensi del suo statuto. La radice di tutte queste crisi, inclusa la corsa alle riserve auree nel 1799, era che la BoE manipolava i tassi d'interesse tenendo conto dei fattori economici e non del livello delle riserve monetarie. Negli obiettivi conflittuali dell'impostazione dei tassi d'interesse tra la soddisfazione della valuta e la stabilità economica interna, venne sempre fatta la scelta sbagliata.

Oggi le riserve auree non sono più coinvolte, sostituite da un sistema monetario instabile. Ciò porta le autorità a un ulteriore dilemma: ciascuna banca centrale dovrebbe utilizzare i tassi d'interesse per stabilizzare le proprie valute rispetto al dollaro, o dovrebbe usarli per stabilizzare le proprie valute rispetto alle materie prime come richiede la teoria wickselliana? Chiaramente sono obbligate a seguire il dollaro e se quest'ultimo è il sostituto di quella reliquia barbarica, sicuramente l’obiettivo del tasso d'interesse per il dollaro dev'essere quello di equilibrarsi rispetto ai prezzi delle materie prime, senza né aumentarli né abbassarli.

Si potrebbe pensare che concentrarsi sui prezzi al consumo sia l’obiettivo della FED. Discutere sulle teorie wickselliane e r* presuppone che i dollari siano il nuovo oro e che mentre le altre valute dovrebbero gestire i propri tassi d'interesse in rapporto ai tassi di cambio rispetto al dollaro, l’obiettivo della FED è raggiungere quella stabilità wickselliana. Ciononostante rimane il problema che nessuno può concordare sulla quantificazione di r*, per non parlare di quanto dovrebbe essere in futuro. E nessuno nell’establishment monetario e creditizio sembra capire che la teoria di Wicksell era compresa tra una merce universalmente accettata come moneta fisica senza rischio di controparte in un contesto domestico e tutte le altre materie prime. Non è lo stesso del rapporto tra le materie prime in generale e il credito scoperto, che è ciò che rappresenta una valuta fiat, il cui valore futuro non è affatto legato alle materie prime ma alla fiducia del mercato nelle politiche monetarie e fiscali future.

In un gold standard e senza l’intervento della banca centrale, la teoria wickselliana ha senso. Ma anche in questo caso la situazione è dinamica, con eventi altrove che influenzano i risultati dei tassi d'interesse, come illustrato dall’esperienza del 1799 ad Amburgo. Il concetto di r* può essere determinato solo dai mercati e dagli eventi, e questo è ancora più vero nel caso delle valute fiat instabili, il cui valore rispetto all'oro e alle materie prime è del tutto soggettivo. Se si dovesse ipotizzare l’attuale r* per il dollaro, questo sarebbe superiore al 4,5% (il rendimento attuale sul benchmark del decennale statunitense), non all’1,13% stimato dalla FED di New York. Invece i banchieri centrali adottano le aspettative sui tassi d'interesse come base per determinare r*, parametri che essi stessi stabiliscono.

Di conseguenza possiamo vedere che gli errori nelle linee di politica creditizie sono al livello più basico della teoria odierna. Ancora oggi il rapporto tra oro e materie prime rimane stabile, come dimostra chiaramente il grafico qui sotto; la stessa cosa non si può dire per le valute fiat.

Ho creato grafici simili per altre materie prime e ho scoperto che esiste lo stesso rapporto. In combinazione con l’erosione del potere d’acquisto del dollaro da quando l’accordo di Bretton Woods è stato sospeso nel 1971, possiamo vedere che è l’oro a mantenere il suo ruolo internazionale come moneta.

L’approccio errato riguardo i tassi d'interesse da parte delle autorità monetarie, insieme a deficit fiscali crescenti, conferma la conclusione tecnica del grafico principale di questo articolo: il potere d’acquisto di tutte le valute fiat continuerà a scendere quando denominato in oro.


Finanziare i deficit di bilancio

Uno dei problemi incontrati negli anni ’70 fu la riluttanza degli stranieri a finanziare i deficit di bilancio pubblici a tassi d'interesse bassi. Ciò colpì duramente il Regno Unito in particolare, dove un governo di sinistra era impegnato a distruggere la ricchezza reale attraverso importanti deficit di bilancio.

A quel tempo gli Stati Uniti erano in una posizione di gran lunga migliore. Tra il 1971 e il 1980 la somma dei deficit di bilancio del governo statunitense era di $421.823 milioni, il 15% del PIL nel 1980. Al contrario, il deficit di bilancio totale negli ultimi dieci anni è stato pari a $12.918 miliardi, il 47% del PIL nel 2023. Inoltre nel 1970 il rapporto debito/PIL degli Stati Uniti era pari al 34%, mentre oggi è pari al 122%. Tra i Paesi del G7, però, le finanze pubbliche degli Stati Uniti sono quelle messe meglio. Il Giappone ha un rapporto debito/PIL superiore al 260%, seguito dall’Italia con il 144%. La posizione giapponese è particolarmente allarmante in un contesto globale: il deficit di bilancio, pari al 6,4% del PIL, è stimato a $37.250 miliardi e un aumento dell’1% negli oneri finanziari medi aggiungerebbe $15.000 miliardi al deficit. Non sorprende affatto che i giapponesi resistano fermamente all’aumento dei rendimenti obbligazionari, per non parlare dell’impatto sul bilancio della Banca del Giappone che possiede circa il 53% di tutti i titoli di stato.

La presunta crisi finanziaria del Giappone è importante per il resto del mondo, in parte perché le istituzioni giapponesi hanno investito in altri mercati al fine di aumentare i rendimenti, e in parte perché i tassi negativi a breve termine sono una fonte molto attraente di finanziamento a leva in altri mercati. Finché questa situazione persiste, non solo è possibile realizzare profitti con l’effetto leva tra i diversi mercati dei titoli di stato, ma c’è anche un sostanziale bonus derivante dal declino dello yen. Di conseguenza l’aumento dei tassi d'interesse dello yen – che ora è inevitabile – non solo farà precipitare il Giappone in crisi, ma porterà anche a una significativa contrazione dei flussi di credito mondiali.

Questi aspetti delle trappole del debito sono solo un lato dell’equazione. Non è solo l’aumento dei deficit a determinare il rapporto tra debito e PIL, ma anche le conseguenze sul PIL stesso. Quest'ultimo è sostenuto dai disavanzi pubblici e dai cambiamenti nel livello del credito delle banche commerciali. Questi fatti rendono il PIL un indicatore altamente fuorviante, consentendo alle agenzie governative di propagandare la crescita economica e nascondere le prove del declino dell’attività economica sottostante. Altre statistiche ufficiali, come le indagini sull'occupazione, sono notoriamente imprecise e si sospetta che vengano utilizzate per dire tutt'altro che la verità. Gli indicatori migliori riguardano la logistica e ci raccontano di numerosi fallimenti nel settore degli autotrasporti. Un ulteriore indicatore sono le entrate fiscali, le quali sono diminuite drasticamente dopo il picco nel secondo trimestre del 2022.

Non si possono negare le conseguenze di molti anni di costi dei finanziamenti ultra bassi seguiti adesso da un sostanziale aumento dei tassi d'interesse. Non solo hanno scaraventato l’intero sistema bancario in crisi, non solo hanno fatto scattare trappole del debito, non solo hanno minato la ricchezza personale e aziendale, ma hanno messo in luce massicci investimenti industriali sbagliati su scala globale. Negli anni a venire la mutata situazione dei tassi d'interesse continuerà a portare a bancarotte, molte delle quali richiederanno il sostegno statale per paura di un collasso totale del sistema creditizio mondiale.

La risoluzione di queste distorsioni è diventata inevitabile, portando a una contrazione del credito nel settore privato, aggravata dalle richieste degli stati per ulteriori finanziamenti. Questa ridistribuzione del credito dall’attività economica genuina alle finanze pubbliche peggiora la situazione, compromettendo ancora di più le entrate fiscali. Il calo di queste ultime contribuisce all’aumento dei deficit. Questo crescente spostamento di risorse economiche verso il finanziamento dei disavanzi pubblici è destinato ad andare a scapito del potere d'acquisto delle valute fiat e dei rendimenti obbligazionari.

A meno che non possa essere fermato, il risultato finale sarà un collasso totale del sistema creditizio denominato in valute fiat. L’unica soluzione è legare il credito all’oro, ma come possono raggiungere questo obiettivo i governi le cui riserve auree sono esaurite e quando circa un terzo di esse viene conteggiato due volte e quindi non esistono? Come possono i governi invertire un secolo d'interventismo progressista? Come può la classe politica smettere di farsi gli affari di tutti, quando viene eletta per fare proprio questo?

Indubbiamente è stata la comprensione precoce di questo punto che ha convinto i cinesi e poi i russi ad accumulare abbastanza oro da proteggere sé stessi e le loro popolazioni dalle follie delle valute fiat dei Paesi del G7.


Cina, Russia e BRICS+

Non fatevi ingannare dalle riserve auree ufficiali della Cina, essa ha accumulato oro da quando la Peoples Bank of China è stata istituita ai sensi dei Regolamenti cinesi sul controllo dell'oro e dell'argento, datati 1 luglio 1983. Per diciannove anni la Cina ha accumulato oro durante un prolungato mercato ribassista mentre le banche svizzere e altri player l'hanno considerato inutile e venduto i possedimenti dei propri clienti. Le banche centrali occidentali hanno ridotto le loro riserve e hanno affittato l’oro e non tornerà mai più. Solo quando la PBoC ne aveva accumulato abbastanza ha revocato definitivamente il divieto alla proprietà personale, aprendo lo Shanghai Gold Exchange nel 2002, e ha iniziato a incoraggiare le persone ad acquistarne. E in tutto quel tempo la Cina ha investito molto nella produzione mineraria e nelle capacità di raffinazione, importando enormi quantità di lingotti dall’Occidente e oro doré per la raffinazione. Da ormai quarant’anni la Cina è come un Hotel California per l’oro, da cui praticamente non escono più lingotti.

Perché questa ossessione? Tra le scorte nascoste e il settore privato, stimo che tra lo stato e il popolo la Cina ha potuto accumulare oltre 50.000 tonnellate, che rappresentano circa il 25% di tutto l’oro estratto nel corso della storia. Questa abitudine all’oro si è diffusa oltre la Cina fino ai partner asiatici dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai; anche la Russia ha iniziato a seguire lo stesso percorso della Cina in seguito alle sanzioni imposte dall’Occidente all’inizio del 2022.

La Russia ha cercato d'inserire una valuta basata sull’oro nell’agenda dei BRICS al vertice di Johannesburg dello scorso agosto. La Cina e l’India, però, non erano così entusiaste. Gli imperscrutabili cinesi hanno una visione lungimirante, lasciando presumibilmente che siano gli americani a commettere tutti gli errori di politica monetaria, dai quali alla fine si sono protetti accumulando un’enorme fetta delle riserve auree mondiali. La Cina non vuole essere accusata di destabilizzare il dollaro intraprendendo un passo così radicale, inoltre preferisce pagare le importazioni di materie prime nella propria valuta fiat piuttosto che in renminbi coperti dall’oro.

L’India rimane profondamente keynesiana nelle sue politiche monetarie e il suo aumento delle riserve auree è stato minore nel contesto sia della sua popolazione che dell’economia. Tra i nuovi membri dei BRICS figurano Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che certamente preferiscono i pagamenti legati all’oro per le loro esportazioni di petrolio e gas alle valute fiat. È interessante notare che quasi tutti i membri, gli associati e i partner del dialogo dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai hanno partecipato al vertice BRICS di Johannesburg, facendo intendere che molto probabilmente i BRICS e la SCO verranno fusi. Stando così le cose, possiamo aspettarci che l’Iran e altri esportatori di petrolio e gas aderiscano.

Non solo la Russia ha accumulato la quinta più grande riserva aurea ufficiale con 2.330 tonnellate, ma può mobilitare lingotti depositati in due fondi statali che si ritiene aggiungano al totale altre 10.000 tonnellate. Inoltre la lezione di come Amburgo prosciugò il suo oro dalla Banca d’Inghilterra nel 1799 aumentando i tassi d'interesse al 17,5% dà a noi (e ai russi con tassi d'interesse simili) un indizio su come rafforzerà le sue riserve, prosciugando i mercati dei capitali occidentali della loro liquidità fisica.

Conclusione: i fondamentali dell'oro sembrano supportare pienamente la tesi tecnica del grafico presentato all'inizio di questo saggio.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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giovedì 30 novembre 2023

Dal cyberspazio allo spazio: l'imperialismo del denaro fiat spingerà il mining fuori dal pianeta Terra?

 

 

da Bitcoin Magazine

Nel mining cresce la tensione. Con l’avvicinarsi del quarto halving e la coinbase ridotta a 3.125 bitcoin per blocco, i miner non solo devono adattarsi a una ricompensa significativamente ridotta, ma devono affrontare un futuro sempre più ostile al profitto che avrebbe sorpreso anche il preveggente Nakamoto. Infatti nonostante la speranza diffusa che gli stati arrivino ad accettare una coesistenza pacifica con Bitcoin – anch’io preferirei questo risultato – e nonostante alcuni modesti motivi di ottimismo, la storia ci ricorda che re e imperatori non rinunciano volontariamente al potere. Ciò non è meno vero per i moderni imperi, come spiega l’indagine di Lyn Alden sull’interventismo statunitense. La storia, unita all’osservazione continua delle azioni statali – in patria e all'estero – sarà sufficiente per calibrare le nostre aspettative e aiutarci a proteggerci da un’ingenuità comprensibile, ma ingannevole. Di conseguenza tra tutte le sfide imminenti che si troverà ad affrontare il mining, la più formidabile potrebbe essere la crescente opposizione statale. Le condizioni potrebbero deteriorarsi rapidamente in modo tale che il mining fuori dal pianeta Terra potrebbe meritare una seria considerazione.


IL DILEMMA TERRESTRE DEI MINER

Mentre gli halving avanzano inesorabilmente, l’equazione dei miner continua a cambiare. Ad esempio, in soli 14 anni il mining si è evoluto dai personal computer a strutture gigantesche che ospitano migliaia di Antminer S19 raffreddati ad acqua con chip da 5 nm che generano oltre 750 MW di elettricità.

Ogni fase dell’evoluzione del mining ha dovuto affrontare sfide uniche e quelle previste con il 4° halving di aprile includeranno, tra le tante altre: accesso sicuro a energia più economica, acquisizione di chip ASIC più efficienti nonostante la carenza globale e i ritardi nelle spedizioni (esacerbati dall’animosità USA-Cina-Taiwan), l'accesso a chip di mining da 3 nm, aumento dell'hashrate, declino dell'hashprice, impatto dell'intelligenza artificiale, attacchi da parte della propaganda ambientalista e proiezioni del valore di Bitcoin imperscrutabili rese non meno facili dall'avvento di grandi società d'investimento nell'ecosistema, il tutto in un contesto economico fragile e gonfio di debiti.

Se questi fossero gli unici problemi da risolvere sarebbero sufficientemente scoraggianti. Tuttavia un vettore di attacco più problematico, come ho scritto in precedenza, è la possibilità che le superpotenze dotate del potere del denaro fiat e il loro seguito di vassalli ostacolino le attività nell'ecosistema Bitcoin.

Logicamente il carattere e l’entità dell’attrito statale sarebbero correlati e proporzionati alla popolarità di Bitcoin: se il sistema monetario fiat, raccogliendo gli effetti negativi di decenni di manipolazioni, iniziasse a implodere mentre Bitcoin si rafforza, la risposta sarà forte. Sarà improbabile che si accetterà senza colpo ferire la contrazione del potere monetario fiat e si attaccherà l'alternativa emergente. Una volta che però ci si renderà conto che non si può uccidere Bitcoin, si cercherà innanzitutto di isolarlo dai suoi proprietari nel cyberspazio. Una linea di attacco complementare sarebbe quindi quella di neutralizzare l’attività di mining. Con Bitcoin isolato e il mining interrotto, a loro avviso, la fiducia delle persone in esso si dissolverebbe e la sua minaccia neutralizzata.

Gli elementi di un attacco al mining potrebbero essere due: in primo luogo, un'operazione di propaganda: nonostante i fatti, i miner verrebbero diffamati come nefandi approfittatori che aumentano irresponsabilmente le emissioni di CO₂ e consumano vaste riserve di energia limitata, facendo aumentare i prezzi e deviando l'energia da usi socialmente vantaggiosi. In secondo luogo, un’operazione burocratica: i miner si ritroverebbero ad affrontare uno tsunami di normative, dai requisiti di licenza e zonizzazione, restrizioni ambientali, quote di energia e CO₂, a irragionevoli requisiti di rendicontazione pieni d'intrusioni KYC senza precedenti e tassazione punitiva. In breve, le sfide economiche, normative e propagandistiche di un simile attacco sarebbero quasi insormontabili.

Negli ultimi anni, quando una giurisdizione è diventata inospitale – viene in mente il divieto cinese al mining ancora in vigore sin dalla metà del 2021 – la risposta convenzionale offriva solo due opzioni: tentare di continuare clandestinamente (rischioso), o trasferirsi in una giurisdizione più ospitale per Bitcoin (distruttivo e costoso).


LA RICERCA DI UN NUOVO SANTUARIO

Analizzando militarmente questo potenziale dilemma, potremmo rivolgerci a un concetto tratto dal campo della guerra controinsurrezionale: il santuario. La dottrina dell’esercito americano riconosce il principio storico secondo cui gli insorti necessitano di aree di rifugio all’interno delle quali riposarsi, riconsolidarsi e sostenere le operazioni:

Accesso all'esterno [...] i santuari [hanno] sempre influenzato l’efficacia delle insurrezioni [...] fornire agli insorti luoghi in cui ricostruire e riorganizzare senza timore d'interferenze da parte della controinsurrezione [...]. Tradizionalmente i santuari erano rifugi sicuri fisici, come le aree di base, e questa forma di rifugio sicuro esiste ancora [...]. Ma le moderne tecnologie di acquisizione degli obiettivi e di raccolta d'informazioni rendono gli insorti isolati, anche negli stati vicini, più vulnerabili.

Come potrebbe applicarsi tutto questo al mining di Bitcoin? Se ipotizziamo che lo stato lo consideri come un ribelle nel campo monetario contro il quale deve agire per preservare il suo potere, i miner si affretteranno a trovare santuari inviolabili per continuare le loro operazioni.

Attualmente i miner possiedono giurisdizioni adeguate all’interno delle quali effettuare le loro attività. Infatti la speranza vacilla ancora quando vediamo emergere alcune giurisdizioni favorevoli a Bitcoin, come l’Oman – di solito all’interno di quello che l’Occidente chiama il “Terzo mondo”, ma che potrebbe essere etichettato come il mondo neocoloniale distrutto dalla finanza fiat. Inoltre nonostante il divieto al mining del 2021, l’hashrate in Cina si è rapidamente ripreso e ha superato il tasso precedente. Questa situazione, tuttavia, può cambiare con una velocità sorprendente e le giurisdizioni accomodanti di oggi possono diventare rapidamente inospitali domani.

Visto in modo diverso: Bitcoin ha già un santuario esistenziale, ancorato saldamente alla sua blockchain ed è esistenzialmente privo di autorizzazioni e continuerà a esistere intoccabile nel cyberspazio. Si può dire che la sua esistenza sia inviolata. Tuttavia non dispone di un santuario riproduttivo, dato che l’attività di mining non avviene nel cyberspazio ma in quello geografico, all’interno di nazioni dove l’ospitalità del mercato, la regolamentazione e l’accesso all’energia sono imprevedibili. Inoltre l’attività di mining ora avviene in gran parte all’interno di strutture estese e immobili che non possono facilmente “andare sottoterra” o trasferirsi rapidamente.

Ma anche la semplificazione di cui sopra è imprecisa in quanto l’esistenza di Bitcoin non è completamente sicura nel cyberspazio senza il mining. Come spiega Andreas Antonopoulos:

Il mining protegge il sistema Bitcoin e consente l’emergere di un consenso a livello di rete senza un’autorità centrale [...]. Lo scopo del mining non è la creazione di nuovi bitcoin, questo è il sistema d'incentivi. Il mining è il meccanismo mediante il quale la sicurezza di Bitcoin è decentralizzata.

Pertanto il mining è necessario per proteggere l’ecosistema Bitcoin e per forgiare nuove monete. Se i santuari terrestri iniziassero a diminuire e alla luce del recente successo commerciale dello spazio, i miner farebbero bene a guardare verso le stelle, verso lo spazio. Quest'ultimo offre il santuario fisico definitivo, liberato dalle intrusioni ostili delle autorità terrestri. Potrebbe fornire il santuario fisico che integrerà elegantemente il santuario informatico di Bitcoin.


SOGNI EXTRA-TERRESTRI

Ispirandosi alle iniziative Space-X e Starlink di Elon Musk, che forniscono una prova di principio concettuale per considerare la fattibilità del mining solare fuori dal pianeta Terra, quale forma potrebbe assumere un simile sforzo?

Si potrebbero visualizzare piattaforme di mining annidate in satelliti modulari ed espandibili, o minesat, dotati di celle solari ultraleggere e specchi posizionati in orbite elevate e sole-sincrone (SSO) (~600-1000 km sopra la Terra) perennemente rivolte verso il sole per una raccolta di energia ininterrotta. Per inciso, anche un certo numero di nazioni, tra cui Stati Uniti, Cina, Giappone e Regno Unito, vedono un incredibile potenziale nell’energia solare fuori dal pianeta Terra e stanno già perseguendo la strada dell’energia solare spaziale da utilizzare sulla Terra stessa.

Pur essendo una sfida per i miner, la dissipazione del calore rimane un problema anche nello spazio poiché non può essere dissipato per conduzione o convezione. Invece i satelliti e altre strutture di solito fanno affidamento sulle radiazioni per scaricare il calore. Ad esempio, la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) utilizza un sistema chiamato Sistema di controllo termico attivo esterno (EATCS) che impiega radiatori di calore posizionati sul lato in ombra. I minesat probabilmente utilizzerebbero un sistema simile per il raffreddamento.

Ancora una volta, usando l'esempio di Starlink, questi minesat SSO nell'orbita più alta si collegherebbero a una costellazione di smallsat (satelliti più piccoli) nell'orbita inferiore che fornirebbero connettività Internet a banda larga, oppure si collegherebbero direttamente alla rete dei nodi di Bitcoin stesso.

Operando dalla frontiera dello spazio, senza essere governata dagli stati nazionali, l’attività di mining sarebbe libera da licenze e requisiti di zonizzazione, così come da campagne diffamatorie di propaganda sulla CO₂ e sull’energia.

Volendo far avanzare ulteriormente il nostro esperimento mentale, si potrebbe immaginare questa flotta di minesat rasportate nelle loro orbite da piattaforme di lancio in nazioni lungimiranti e che abbraccerebbero Bitcoin, come El Salvador e potenzialmente l’Argentina. Nel caso di El Salvador, potrebbe fornire non solo un rifugio fisico per aziende attaccate dal punto di vista politico, come Space-X, ma, situato a oltre mille miglia più vicino all’equatore rispetto a qualsiasi luogo di lancio negli Stati Uniti, fornirebbe una posizione planetaria geograficamente superiore consentendo ai veicoli spaziali di raggiungere la velocità di fuga in modo più efficiente. Si potrebbe persino postulare la migrazione della ricerca e della produzione di chip specifici per il mining di Bitcoin verso una nazione così visionaria, co-localizzando simbioticamente gli elementi essenziali e le attività di Bitcoin.

Non molto tempo fa l’idea di un’azienda privata che superasse la NASA impiegando veicoli spaziali riutilizzabili con atterraggio verticale e dispiegando una costellazione di satelliti che fornissero accesso globale a Internet sarebbe stata considerata donchisciottesca e ingenua. Altrettanto stravagante: che una nazione dichiarasse a corso legale Bitcoin. Forse l’idea di un mining extraterrestre via satellite, facilitato da un’azienda visionaria che sta ripetutamente impartendo lezioni alla NASA, e la collaborazione con una nazione del Sud del mondo che abbraccia Bitcoin, non è così azzardata. Infatti potrebbe benissimo diventare il percorso migliore da intraprendere.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 29 novembre 2023

Non fate affidamento sul PIL

L'articolo di oggi mette in evidenza gli aspetti teorici di come il PIL sia una statistica inutile e fuorviante per chiunque voglia "misurare" per davvero la crescita effettiva di un Paese. All'atto partico non esiste esempio migliore di quello cinese, dove le metriche ufficiali del PIL, sfoggianti ritmi di crescita fenomenali nel corso del tempo, vengono smentiti nel momento in cui si guarda più attentamente. Ironia della sorte sono i cinesi stessi a offrire il fianco quando hanno iniziato a usare il cosiddetto Li Keqiang Index, il quale include altri elementi fattoriali che scoperchiano il "window dressing" certosino operato dagli statistici cinesi. A ogni elemento ulteriore che si aggiunge, la narrativa ufficiale viene fatta a pezzi, come ha dimostrato uno studio dell'Università di Chiacgo quando ha incluso nelle metriche anche le luci notturne: ebbene, i numeri cinesi in particolar modo si sono dimostrati sballati ben oltre il 30%. Quattro economisti, poi, che hanno condotto un’indagine forense sul PIL cinese hanno scoperto che Pechino aveva falsificato i dati in media di 1,7 punti percentuali all’anno. Utilizzando il 2008 come anno base, hanno stabilito che, nel 2018, il PIL cinese era stato sopravvalutato di un 20% cumulativo. Per Pechino questa discrepanza è importante perché Xi Jinping si è posto l’obiettivo di superare il PIL nominale degli Stati Uniti entro il 2049. Il PIL ufficiale pro capite è di $12.556 all’anno, ovvero più di $1.000 al mese; considerati i numeri aggiustati secondo le nuove scoperte, il PIL pro capite della Cina non supererà quello degli Stati Uniti almeno fino al 2076... a parità di tutte le altre condizioni. Il Partito Comunista Cinese non è l'eccezione, però, bensì la regola: tutti coloro che sventolano il PIL come misura di riferimento stanno omettendo elementi che inficerebbero la loro narrativa propagandistica. Lo stato, infatti, ritiene di controllare l’economia, quando in realtà tutto ciò che controlla è la rendicontazione dell’economia. Può produrre risultati falsificati, ma non ha il potere di cambiare le realtà sottostanti o di rendere miracolosamente sostenibile l'insostenibile.

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di Alasdair Macleod

Un errore importante nell’analisi statistica è che gli economisti hanno perso di vista ciò che rappresentano le loro amate statistiche, soprattutto per quanto riguarda il PIL.

Esso rappresenta il quantitativo totale di valuta e credito che viene erroneamente considerato un riflesso del progresso economico: non esiste qualcosa come la crescita economica, ma solo la crescita del credito. Una volta compreso questo punto, il significato di questo errore di base diventa chiaro e il paradigma della valuta fiat si rivela per quello che è: un gioco delle tre carte che andrà terribilmente storto.

C’è solo una via d’uscita ed è possedere l’unica forma di denaro che non rappresenta il rischio di controparte di nessuno; l’unica forma di denaro che viene sempre in soccorso dell’umanità quando il denaro fiat fallisce.

L'oro. Viene trascurato quasi da tutti perché è l’anti-bolla. Più le persone credono negli asset denominati in valute fiat, meno credono nell’oro. Questo finché il gioco delle tre carte non implode, innescato dal forte aumento dei tassi d'interesse.


Introduzione

Cominciamo con un esperimento mentale. L'anno scorso una persona ha comprato un'auto; quest'anno il concessionario lo chiama e gli dice: "Posso offrirti un'auto di una marca diversa esattamente allo stesso prezzo che hai pagato per quella che ti ho venduto l'anno scorso, e ha un'elettronica migliore, più accelerazione e meno consumo di carburante" Lui compra la nuova auto e ridà indietro il modello precedente.

L’accordo rappresentava un progresso per la persona che acquista l’auto, ma qual è stato il contributo alla crescita del PIL? Ovviamente zero, perché l'avvenuto acquisto di un consumatore dipende da ciò che egli decide personalmente sia valore. Che il valore sia il prezzo, la qualità, o qualsiasi altro fattore, per il consumatore la decisione soggettiva di acquistare qualcosa è un progresso per la sua condizione.

Gli statistici non possono catturare l’idea di progresso di un individuo, né possono catturare concetti come il rapporto qualità-prezzo, i miglioramenti del prodotto che i consumatori desiderano, o qualsiasi altra cosa soggettiva per i singoli consumatori. Inseguire le statistiche come misura della condizione economica è quindi fondamentalmente sbagliato e rappresenta la giustificazione della politica monetaria come mezzo attraverso il quale un’economia possa essere gestita dallo stato, una bugia che dovrebbe essere smascherata.

Quelli di noi che hanno i capelli grigi dopo una vita spesa sui mercati finanziari possono, o dovrebbero, riconoscere che dopo cinquant’anni il gioco del denaro fiat sta finendo. Soprattutto da quando i lockdown hanno accelerato la stampa di denaro, ciò ha portato a un aumento dei prezzi oltre gli obiettivi fissati. Non si tratta, come sostengono gli economisti mainstream, di aumento dei prezzi: stiamo vivendo la conseguenza dell’espansione del credito, che era e rimane la definizione corretta di inflazione. Inoltre è impossibile isolare da un prezzo più alto ciò che rappresenta un miglioramento del valore del prodotto e ciò che rappresenta una diminuzione del valore del credito; e nel nostro sistema monetario fiat, l’espansione del credito non ha alcun valore.

Tuttavia l’aumento generale dei prezzi rispetto a quello specifico non è altro che una svalutazione della valuta e ciò porta a tassi d'interesse più alti, cosa che a sua volta porta a un calo del valore degli asset. Ma questo processo non tiene conto della psicologia delle folle, la quale porta gli investitori a ignorare i fatti e ad accettare senza riserve le statistiche ufficiali. La comprensione delle relazioni tra politica, economia e catallattica nei tempi attuali è più importante che mai. Guidate da statistiche imperfette e irrilevanti, le banche centrali ora si sforzano di eliminare le incertezze delle scelte personali e di controllare i tassi d'interesse con una severità degna di Stalin. Credendo nella propria propaganda, gli stessi banchieri centrali hanno perso la strada in questa crisi della moneta fiat.

La maggior parte degli istituti d'investimento abbraccia volentieri la finzione secondo cui l’inflazione è dovuta ai prezzi e non al denaro. Credendo pienamente nelle banche centrali, tutti si sono resi ciechi di fronte alle conseguenze della loro cattiva gestione e ci crogioliamo nell'idea che esse abbiano il controllo perché la propaganda ci ha portato a credere che abbiano avuto il controllo sui mercati per quasi tutta la nostra vita professionale.

Tutte le grandi banche centrali sono preda di simili illusioni, o meglio riguardo alle loro valute, e non hanno più il semplice obiettivo di controllarne il potere d'acquisto: la valuta e il credito sono diventati gli strumenti essenziali per finanziare la spesa pubblica. E anche se i leader occidentali subissero un’improvvisa illuminazione in merito al denaro sano/onesto, si troverebbero ad affrontare il compito di arginare l’ondata di passività finanziarie in rapida crescita per quanto riguarda pensioni e assistenza sanitaria.

No, l’establishment è completamente vincolato alla svalutazione della valuta come mezzo per finanziare il crescente bisogno di entrate fiscali. Ciò a sua volta richiede l’occultamento della vera situazione, motivo per cui i banchieri centrali sono incoraggiati a ignorare qualsiasi connessione tra l’espansione della valuta circolante, il credito bancario e i prezzi.

Inoltre quasi tutti gli investimenti sono affidati ai cosiddetti gestori esperti di fondi pensione, compagnie assicurative, banche, gestori di portafoglio e consulenti finanziari (la cui consulenza è di solito accettata insindacabilmente), in modo che la delega della responsabilità per i nostri investimenti spetti sempre a coloro che estrapolano il passato nel futuro. Si tratta di un approccio incapace e riluttante a considerare e valutare i veri fattori di cambiamento.

Implica un’illusione su tutti gli aspetti della politica economica a favore della sopravvivenza della redistribuzione socialista. Ma questo saggio si concentra su un aspetto centrale: l’errore di fare affidamento sulle statistiche e dove ciò potrebbe portarci, oltre a demolire un dato statistico centrale in tutta questa farsa, ovvero il concetto di crescita economica.


Il concetto di economia uniforme e circolare in Mises

L’economista Austriaco Ludwig von Mises ha sottolineato che esiste una differenza fondamentale tra un’economia e le statistiche utilizzate per rappresentarla. Nel mondo reale ci vuole tempo per fare le cose: anticipare, pianificare, realizzare, ecc. I desideri di domani si evolvono nel tempo, così come i mezzi per soddisfarli e in economia il tempo è il bene più prezioso dell’essere umano. Ma le statistiche non possono catturare il tempo, registrano solo ciò che è passato.

Non è possibile catturare il progresso umano o la sua mancanza attraverso le statistiche: esse non sono altro che un meccanismo contabile per quantificare le transazioni economiche dopo che si sono verificate e se tutti domani facessero esattamente quello che hanno fatto ieri, come robot privi di motivazioni e desideri, le statistiche di ieri sarebbero una rappresentazione ragionevole di ciò che accadrà domani. In altre parole, avremmo un’economia che, conformandosi alla matematica, ruota in modo uniforme.

Ovviamente è impossibile. Come scrisse concisamente von Mises:

L’azione è cambiamento e il cambiamento è nella sequenza temporale. Ma in un’economia che ruota in modo uniforme il cambiamento e la successione degli eventi vengono eliminati. Azione significa fare delle scelte e affrontare un futuro incerto, ma in un’economia che ruota in modo uniforme non è possibile scegliere e il futuro non è incerto poiché non differisce dallo stato attuale conosciuto. Un sistema così rigido non è popolato da esseri umani che fanno scelte e sono soggetti a errori. È un mondo di automi senz’anima. Non è la società umana, è un formicaio.

Con il senno di poi, gli statistici adattano i loro modelli dalle aspettative precedenti a ciò che è emerso quando devono districarsi nelle previsioni future. Tuttavia è vero che ciò che è accaduto ieri ci informerà su ciò che potrebbe accadere domani, perché siamo tutti condizionati dall'esperienza, ma niente di più. Il fatto che continuiamo a fare piani diversi per migliorare la nostra condizione è la prova inequivocabile che nessuna economia ruota in modo uniforme. È un concetto utile perché consente ai governi di stimare le entrate e alle aziende di utilizzare le stime dei mercati attuali per i loro piani di investimento e di produzione, ma a ciò si aggiungono informazioni non statistiche e sensazioni viscerali basate sull’esperienza.

Prendere il concetto di un’economia circolare e uniforme come base per la previsione economica è un errore commesso quasi da tutti al giorno d'oggi. Quasi tutti ormai parlano di crescita economica rappresentata dal prodotto interno lordo, ma descrivono inconsciamente un’economia che ruota in modo uniforme, presumendo quindi che possa crescere numericamente e confondendo la crescita con il progresso. L’abitudine di sostituire il PIL al progresso economico è così radicata che questo inganno inconscio è diventato fondamentale per mantenere in piedi la credibilità della politica monetaria.


Definire il PIL

Finora ho descritto cosa non è il PIL, sottolineando la differenza tra un modello economico statico e privo di tempo e la realtà dinamica di un’economia funzionante. Dovremmo ora considerare cosa rappresenta il PIL e perché cambia negli anni.

Il PIL può essere stimato utilizzando tre diversi approcci: reddito, spesa e produzione. In teoria dovrebbero produrre lo stesso risultato; in pratica sorgono differenze significative perché si basano su fonti amministrative e di dati dissimili che sono soggetti a errori e omissioni. E tutte le informazioni non sono disponibili contemporaneamente. Il risultato è quindi soggetto a revisioni e solitamente combina questi approcci per fornire una stima finale della spesa totale.

Indipendentemente dall’approccio, essenzialmente il PIL è la somma della spesa delle famiglie, degli investimenti nella produzione, della spesa pubblica e delle esportazioni nette. Molto viene escluso, come le transazioni finanziarie, le transazioni di seconda mano e l’economia monetaria. Inoltre le singole fasi della produzione, o l'output lordo, vengono ignorati.

Facendo seguito all’esperimento mentale all’inizio di questo articolo, dobbiamo capire perché il PIL aumenta. Supponiamo che in un’economia chiusa, dove non esistono flussi commerciali e di capitale attraverso i confini, il PIL del primo anno sia pari a $100 miliardi. Supponiamo ora che non vi sia alcun cambiamento nella quantità di valuta e credito nell’anno 2, e che neanche i saldi di liquidità degli individui cambino (sebbene essi abbiano un impatto materiale e reale sui prezzi). Il PIL dell’anno 2 dev'essere lo stesso dell’anno 1. In altre parole, l’attività economica ovviamente evolverà, così come i prezzi dei singoli beni e il numero di transazioni varieranno, ma questi cambiamenti saranno contenuti all’interno del PIL totale invariato, il quale rimarrà a $100 miliardi perché non sono coinvolti valuta aggiuntiva e credito bancario. Lo stesso deve valere per gli anni successivi alle stesse condizioni. L’impiego della valuta e del credito tra la spesa delle famiglie, gli investimenti nella produzione e la spesa pubblica sarà quasi certamente diverso, ma devono sempre ammontare a $100 miliardi.

Con il PIL invariato, non c’è nulla che impedisca all’economia di progredire, ma questa è una questione decisa tra consumatori e produttori. La spesa pubblica, finché sarà interamente finanziata dalle tasse, influenzerà la velocità della progressione economica ma non modificherà il PIL totale. Lo stesso vale per i cambiamenti nella ripartizione tra consumo e risparmio.

Un altro modo per esprimerlo è nei termini della Legge di Say, la quale definisce il ruolo della moneta nel contesto della divisione del lavoro. Nel corso di un anno realizziamo profitti o perdite e guadagniamo entrate; destiniamo i proventi alla spesa, al risparmio e alle tasse.

Se non vi è alcun aumento nella quantità di valuta e credito, allora potrebbe sembrare che coloro che migliorano i propri guadagni e profitti lo facciano a scapito di coloro che non lo fanno. Ma anche se ci saranno sempre dei perdenti, questo non è vero. Nel nostro esempio di un’economia chiusa senza variazioni nella quantità di credito, i surplus vengono sempre riciclati nella spesa o negli investimenti. Un progresso incommensurabile porta ad un maggiore potere d’acquisto del credito, così che anche se statisticamente l’economia non avanza, in realtà progredisce.

Nel complesso un miglioramento delle condizioni economiche generali deriva da un aumento del potere d’acquisto della valuta e beni/servizi che migliorano nel tempo. Anche coloro che sperimentano un leggero calo del reddito traggono beneficio dal miglioramento delle condizioni economiche, abbattendo la povertà più di quanto gli stati potranno mai ottenere aumentando la tassazione per finanziare lo stato sociale. Il timore della deflazione, che è il termine moderno per indicare il calo dei prezzi, è del tutto fuori luogo. A parità di altre condizioni, se il livello generale dei prezzi diminuisce nel tempo, ciò riflette un progresso economico e un vantaggio per i consumatori.

Il commercio transfrontaliero e i flussi di capitale sono stati esclusi dal nostro esempio per semplificare le cose e dovremmo commentarli separatamente. In un libero mercato uno squilibrio nel commercio fa sì che i flussi di capitale si muovano nella direzione opposta. Se gli importatori e gli esportatori smaltiscono le valute estere acquisite attraverso il commercio, il modello resta valido perché né la valuta né i depositi bancari vengono distrutti.

Senza interventi monetari e creditizi, anche un deficit commerciale non modificherà la quantità di valuta in circolazione, cambierà solo la sua proprietà. L'aggiustamento si rifletterà nel tasso di cambio e non nelle modifiche all'ammontare della valuta e del credito.

Se nell’anno 2 il PIL aumenta rispetto all’anno 1, diciamo, del 10% arrivando a $110 miliardi, può essere solo perché è aumentata la quantità di valuta e credito circolanti nell’economia, non necessariamente l’attività economica sottostante. Inoltre, nella pratica, il credito bancario oscilla ed è soggetto a cicli di espansione e contrazione; inoltre le banche centrali tentano di stimolare la domanda di valuta manipolando i tassi d'interesse e intervengono direttamente attraverso il quantitative easing, operazioni di mercato repo e reverse repo. Resta il fatto che l’aumento del PIL può solo riflettere un aumento della quantità di valuta e di credito. Il grafico seguente mostra la relazione tra le variazioni annuali dell’aggregato monetario più ampio (M4) e il PIL negli Stati Uniti.

Tra il 1960 e il 1990 i due sono aumentati insieme, confermando che il PIL non è altro che una misura della quantità di valuta e credito nell’economia. Da lì in poi le statistiche si sono discostate, ma non di molto fino alla crisi finanziaria del 2008, quando M4 è cresciuto a un ritmo molto più rapido del PIL. Ciò rifletteva l’incanalamento del credito verso gli asset finanziari, mentre si stava gonfiando una bolla sulla scia di tassi d'interesse artificialmente bassi. Rappresenta un eccesso di credito, che viene ora liquidato dalle banche commerciali che cercano di ridurre la propria esposizione al rischio e non fa nulla per smentire la relazione fondamentale tra PIL e credito.

Possiamo quindi concludere che ciò che viene comunemente descritto come crescita economica è solo un aumento della quantità di denaro e credito nell’economia e non riflette cambiamenti nella condizione economica sottostante.


Il deflatore del PIL è inappropriato

Dato che il PIL riflette solo la quantità di valuta e di credito, la pratica di aggiustare la sua espansione mediante un indice dei prezzi non ha alcuno scopo. E applicando un aggiustamento per le conseguenze sui prezzi della precedente espansione monetaria, l’uso del PIL come indicatore dello stato dell’economia viene falsamente legittimato. Inoltre il termine “PIL reale” per indicare il PIL così modificato contribuisce a fissarlo nella mente della popolazione come l’indicatore supremo dell’attività economica e il suo aumento come obiettivo lodevole per la politica monetaria.

Perseguendo l’indicizzazione come mezzo di compensazione pubblica per l’inflazione dei prezzi quarant’anni fa, gli economisti mainstream si resero conto del notevole impatto sulle finanze statali. L’indicizzazione di quantità crescenti di obbligazioni e di una serie di pagamenti assistenziali a seguito dell’inflazione degli anni ’70 si era rivelata troppo costosa e di conseguenza gli statistici hanno continuamente modificato i loro calcoli dell’inflazione dei prezzi per ridurne il peso sulle finanze pubbliche.

Il livello generale dei prezzi è solo un concetto che non può essere misurato. Ciò ha permesso alle statistiche sui prezzi aggregati e la loro costruzione di diventare una questione politica. Ciò permette a qualsiasi statistico di utilizzare sofisticati strumenti e metodi matematici per rivendicare quasi tutto ciò che dicono lui o il suo datore di lavoro. Nonostante la rapida accelerazione dell’inflazione della valuta e del credito, fino a soli diciotto mesi fa gli statistici erano riusciti a fissare gli aumenti annuali dei prezzi al consumo a circa il 2% e anche per un periodo considerevole.

L'analisi indipendente di Shadowstats.com ha evidenziato l'inganno statistico perpetrato dal metodo IPC producendo un indice rivale per gli Stati Uniti privo di tutte le modifiche statistiche introdotte sin dal 1980 per ridurne i numeri. Le sue cifre si riferiscono a maggio, l'ultima serie disponibile al pubblico senza abbonamento mostra un tasso non aggiustato di aumento dei prezzi annuo pari a circa il 12%, rispetto al tasso ufficiale del 4,9%. La divergenza tra la base di calcolo del 1980 e i ricalcoli ufficiali dell’IPC è chiaramente illustrata nel grafico riportato di seguito.

Pur sottolineando la natura autoreferenziale delle statistiche sui prezzi, non dobbiamo dimenticare che non incarnano uno scopo economico credibile. In ogni caso, un indice dei prezzi è una raccolta di prezzi storici con pochissimi collegamenti al futuro e usarlo come base per la politica monetaria significa commettere lo stesso errore di presumere che la crescita del PIL sia la prova del progresso economico. La catallattica è una scienza umana in evoluzione che non può essere definita dalla matematica come nelle scienze naturali.


Le conseguenze della politica monetaria sui prezzi

Ci sono due forze fondamentali nella relazione tra quantità di moneta e prezzi: la prima riguarda i cambiamenti nella quantità di valuta e credito, che se aumentati tenderanno a ridurne il potere d’acquisto; la seconda riguarda i cambiamenti nella percezione della relazione tra credito e beni da parte di chi usa la valuta, cosa che si riflette nei cambiamenti nella liquidità a disposizione. Supponendo per il momento che ciò non cambi, un aumento dell’offerta di denaro è destinato a far aumentare il PIL, essendo quest'ultimo la somma delle transazioni catturate all'interno della sua statistica. Indipendentemente dal fatto che l’attività economica aumenti o diminuisca, i prezzi in tali transazioni possono solo salire a riflesso dell’aumento del credito nell’economia.

Nella relazione tra offerta monetaria e PIL illustrata nel grafico sopra, le forze che spingono i prezzi verso l’alto a causa della svalutazione della valuta sono considerevolmente maggiori di quanto si pensi comunemente.

La prima forza nella relazione monetaria sopra descritta è conforme all'equazione dello scambio, l'espressione matematica del rapporto tra la quantità di denaro e i prezzi nel loro insieme. Se c’è un tema in questo saggio è quello di sottolineare l’errore nell’applicare le relazioni matematiche all’azione umana. La seconda delle due forze sopra menzionate sono i cambiamenti nella psicologia delle folle, i quali determineranno anche il valore di una valuta rispetto ai beni.

Ciò può essere illustrato prendendo in considerazione i cambiamenti nel livello medio di liquidità detenuta da chi la utilizza. A differenza delle allocazioni al risparmio, la valuta a disposizione rappresenta la produzione non spesa, tenuta di riserva per cambiamenti inaspettati nei bisogni e nei desideri di una persona.

Ma se nel complesso i detentori di liquidità sospettano che i prezzi dei beni e dei servizi, che potrebbero desiderare ma di cui non hanno immediatamente bisogno, inizieranno a salire più rapidamente, ridurranno la valuta in loro possesso per acquistarli. Questa è una descrizione corretta delle condizioni attuali: un’ampia gamma di prezzi al consumo sono ora in aumento, incoraggiando chiunque abbia liquidità in eccesso a disporne, esacerbando l’andamento dei prezzi. E possiamo vedere dall’eccessiva quantità di valuta e credito ancora da rilasciare nell’economia che questa tendenza probabilmente avrà un effetto aggiuntivo alla relazione matematica, possibilmente facendo scendere il potere d’acquisto del denaro più rapidamente rispetto agli aumenti dell'offerta monetaria più ampia.

La situazione nel Regno Unito rispecchia quella degli Stati Uniti, ma con M4 che supera il PIL con un margine allarmante. Ciò viene illustrato di seguito, partendo dal big bang finanziario avvenuto a metà degli anni ottanta quando la finanziarizzazione del settore bancario iniziò a incidere sul rapporto prestiti bancari/PIL.

La disconnessione tra il PIL, che misura beni e servizi escludendo gli asset finanziari, e M4 in più rapida crescita riflette lo sviluppo dei servizi finanziari a Londra dopo la metà degli anni ottanta. L’eccesso equivale a credito impiegato in attività non produttive, il che equivale a una bolla che sicuramente scoppierà.


Le conseguenze sui tassi d'interesse e sui mercati finanziari

L’esame delle relazioni tra valuta, credito ed economia suggerisce fortemente che uno shock sull’inflazione dei prezzi è ancora nelle sue fasi iniziali. Abbiamo capito finora che la crescita del PIL rappresenta poco più che la crescita dell'offerta di denaro più ampia e abbiamo spiegato le disparità nei loro ritmi di crescita. Oltre all’effetto matematico della teoria dello scambio, abbiamo capito che la tendenza dell’aumento dei prezzi acceleri poiché i consumatori riducono la loro liquidità acquistando beni prima che i prezzi aumentino ancora di più. È prevedibile che questi fattori portino a un calo generalmente inaspettato del potere d’acquisto delle valute fiat e dovremmo aggiungere che le principali banche centrali (tranne forse quella cinese) hanno perseguito politiche monetarie simili e che avranno conseguenze simili.

Per riflettere il calo del potere d’acquisto del credito in quasi tutte le valute, i tassi d'interesse devono aumentare e tale aumento deve essere sufficientemente sostanziale da stabilizzare queste valute se non si vuole che crollino completamente. Ma in questo frangente siamo meno interessati al futuro delle valute fiat che all’effetto sui valori degli asset finanziari.

I rendimenti delle obbligazioni a tasso fisso aumenteranno sostanzialmente, il che significa che i prezzi scenderanno. Lo stiamo già vedendo accadere: tassi d'interesse e rendimenti obbligazionari più elevati, a loro volta, mineranno i valori azionari, cosa che in generale deve ancora accadere. Nella misura in cui i valori degli asset finanziari sono in bolla, possiamo aspettarci un sostanziale calo.

La risposta monetaria delle banche centrali sarà tentare d'impedirlo e per tre ragioni: esse sono impegnate a finanziare i deficit pubblici e l’aumento dei rendimenti dei titoli di stato ostacola tale obiettivo; credono che mercati finanziari vivaci siano essenziali per mantenere la fiducia della popolazione nelle prospettive economiche; sono profondamente consapevoli che il calo dei prezzi degli asset potrebbe innescare un’accelerazione della liquidazione delle garanzie da parte delle banche, come teorizzato da Irving Fisher in seguito alla depressione degli anni ’30.


Oro

Il grafico seguente mostra la relazione tra il prezzo dell’oro in dollari e M3 negli Stati Uniti. La linea grigia mostra la differenza tra i due, con l’oro a sconto del 35% rispetto a dove si trovava al momento della crisi della Lehman.

È un errore presumere che il prezzo dell’oro dovrebbe aderire alla crescita dell’offerta monetaria più ampia, il che è confermato da periodi di valutazioni relative al di sopra e al di sotto. Ma in generale ci si può aspettare che un’accelerazione del tasso di espansione monetaria porti a un aumento dei prezzi dell’oro.

Mentre M3 è aumentato sostanzialmente prima d'iniziare a contrarsi, l’oro è rimasto indietro. In un certo senso, ciò non sorprende, perché l’eredità dei tassi d'interesse mantenuti a zero non è ancora passata definitivamente. In altre parole, quando c’è una bolla finanziaria l’oro può essere considerato un anti-bolla, quindi è destinato a passare di moda, ma ora le cose stanno cambiando.

Dopo la crisi della Lehman, il prezzo dell’oro è salito a $1.925 in un contesto di crescente preoccupazione per il sistema bancario mondiale. Rispetto a M3, all’epoca l’oro si attestava a un premio del 40%, il che oggi possiamo dire che l’inflazione monetaria scontata era troppo in anticipo, in assenza del materializzarsi di una crisi finanziaria ingestibile. Oggi, dopo essere sceso ad uno sconto del 54%, si attesta ad uno sconto del 35%, il che suggerisce che l’ottimismo nel sistema monetario fiat è ad un estremo simile ma opposto a quello del 2011.

Non c’è dubbio che la bolla degli asset finanziari stia scoppiando a causa dell’aumento dei tassi d'interesse e stando così le cose c’è una forte tesi a favore di lasciare il gioco del denaro fiat alla follia delle folle e delle istituzioni regolamentate. L’unico modo credibile per isolarsi completamente da essa è ritirarsi nell’unico asset per il quale non vi è alcun rischio di controparte: l’oro fisico, e forse un po’ di argento fisico.


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martedì 28 novembre 2023

La pianificazione centrale inefficiente e insostenibile della Cina

 

 

di Antonio Graceffo

Oltre cento anni fa Ludwig von Mises scrisse un libro sull’impossibilità di una pianificazione economica razionale e di successo in un ambiente socialista, eppure la Cina ci sta ancora provando, anche se la sua combinazione di mercati e socialismo si traduce in carenze ed eccedenze. Questo articolo esamina tre iniziative contemporanee approvate da Xi Jinping, ciascuna caratterizzata da un problema intrinseco: l’insicurezza alimentare, la crisi dell’invecchiamento e la bolla immobiliare. Ogni problema è stato creato dalla legislazione cinese stessa ed è stato aggravato da ulteriori leggi emanate per correggerlo.


Scarsità di cibo

La Cina è un importatore netto di cibo, capace di produrne solo il 66% di cui ha bisogno. Il Paese ha meno della metà dei terreni agricoli degli Stati Uniti e una popolazione quattro volte superiore. Per aumentare la sicurezza alimentare, forse in preparazione alla guerra, Xi Jinping ha ordinato di radere al suolo alcuni parchi pubblici e di riempirli di cibo. Nel frattempo ha anche definito un’agenda verde, incentivando i governi locali a piantare alberi. Per raggiungere le quote per entrambi gli obiettivi, alcuni governi locali stanno abbattendo le foreste per far posto ai terreni agricoli, distruggendo allo stesso tempo altre risorse per piantare alberi.

I terreni agricoli cinesi sono notevolmente meno produttivi di quelli statunitensi. La soia, ad esempio, un alimento base della dieta cinese, costa 1,3 volte di più per essere coltivata in Cina che negli Stati Uniti, e la resa è inferiore del 60%. Prima dell’espansione dei terreni agricoli imposta dallo stato, oltre il 24% della popolazione lavorava nel settore agricolo, rispetto a solo l’1,6% negli Stati Uniti. La Cina dovrebbe riassegnare i suoi agricoltori inefficienti a lavori nelle fabbriche e nei servizi, i quali contribuiscono maggiormente al PIL; ma coltivare questi nuovi campi richiederà invece lo spostamento dei lavoratori dal settore manifatturiero e dei servizi all’agricoltura, dove il loro contributo al PIL diminuirà.


Crisi dell'invecchiamento

Nel 1979 Pechino attuò una politica di pianificazione familiare che limitava la maggior parte delle coppie cinesi ad avere un solo figlio. Ciò aveva lo scopo di limitare le dimensioni della popolazione, garantire la prosperità economica e prevenire la fame. Il Paese si stava urbanizzando per editto e le famiglie più piccole erano più facili da ospitare nelle città, richiedendo appartamenti più piccoli e meno scuole e ospedali. Quella linea di politica mirava anche a ridurre l'indice di dipendenza del 68,1% per alleggerire il peso sul sistema sociale urbano.

Per convincere le persone a credere in questa idea, anche se non avevano scelta, il governo cinese inaugurò una campagna di propaganda con lo slogan “un figlio perfetto”, incoraggiando genitori e nonni a concentrare tutto il loro denaro e il loro amore su un unico figlio. Di conseguenza lezioni di canto, danza e musica, tutoraggio nel doposcuola e programmi di matematica e inglese diventarono attività standard per i bambini dai tre anni in su. I genitori potevano permettersi i prezzi elevati di queste lezioni extra perché utilizzavano la ricchezza combinata di sei adulti (la propria più quella dei loro genitori).

Nel 2010 il tasso di fertilità era sceso a 1,69 e l’indice di dipendenza aveva toccato il minimo storico di 37. Nel 2011 l’indice di dipendenza ha ripreso a salire a causa del crescente numero di persone anziane. Solo cinque anni dopo l’età media ha raggiunto i 35 anni, quindi il governo cinese ha iniziato a incoraggiare le persone ad avere più figli. Invece di rimuovere completamente il limite, il Partito Comunista Cinese (PCC) ha adottato la linea di politica dei due figli, ciononostante il tanto atteso baby boom non è mai arrivato: il costo per allevare un figlio era già così alto da richiedere ricchezza intergenerazionale e la maggior parte delle famiglie sentiva di non potersi permettere un secondo. Allo stesso tempo il prezzo nominale degli appartamenti nelle principali città ha iniziato a raggiungere i livelli statunitensi, mentre il reddito medio si aggirava intorno ai $10.000 all’anno. Molti giovani hanno dovuto ritardare il matrimonio, il che ha ridotto ulteriormente la probabilità di avere più figli.

La soluzione del PCC è stata quella di aumentare il limite a tre figli nel 2021. Ancora una volta, le coppie non hanno reagito alla legislazione e il numero delle nascite ha continuato a diminuire. Dal 2015 la forza lavoro è scesa di circa venti milioni di unità; l’anno scorso la popolazione è diminuita di 850.000 persone; l’età media è ora di trentanove anni e il governo cinese prevede che quest’anno nasceranno solo sette milioni di bambini su una popolazione di oltre 1,4 miliardi.

Quando il Giappone e i Paesi europei sono entrati nella fase d'invecchiamento, erano già nazioni ricche e sviluppate. Hanno sfruttato la tecnologia per sostenere elevati standard di vita impiegando meno lavoratori. Al contrario, la Cina è ancora in fase di sviluppo: il suo PIL pro capite è circa un terzo di quello dell’Italia, o del Giappone, e meno di un sesto di quello degli Stati Uniti. La Cina continua a fare molto affidamento sul settore manifatturiero di fascia bassa e ad alta intensità di manodopera, sebbene anche questi posti di lavoro stiano diminuendo con il rallentamento dell’economia. Lo scorso agosto la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 21,3%, spingendo Pechino a smettere di riportare tale statistica.


La bolla immobiliare

Durante il periodo di rigido comunismo cinese, prima della graduale apertura dell'economia negli anni '80, i cittadini avevano poco, se non nessun reddito discrezionale e poche opportunità d'investimento. Una volta che l’economia ha iniziato a essere liberalizzata, le persone sono diventate più ricche; l’unica opzione praticabile per gli investimenti, però, era quella immobiliare (i cittadini, tuttavia, non possono possedere terreni ma solo acquisire un contratto di locazione fino a 70 anni che può essere trasferito e scambiato). Quando nel 1990 venne aperta a Shanghai la prima borsa valori cinese, le persone avevano già dieci anni di esperienza nel settore immobiliare, ma non capivano il mercato azionario e non si fidavano del controllo opaco dello stato su di essa. La maggior parte degli investimenti ha quindi continuato a confluire nel settore immobiliare.

Per raggiungere una crescita del PIL a due cifre, il governo cinese ha liberalizzato il credito attraverso le banche statali, che a loro volta hanno alimentato il settore edile e incentivato i governi locali a emettere obbligazioni per finanziare progetti di costruzione. Oggi circa il 20-30% del PIL è investito in proprietà e infrastrutture, e il patrimonio immobiliare rappresenta i due terzi della ricchezza delle famiglie. Il numero di nuovi progetti, nel frattempo, è stato visto come una misura di buon governo e di progresso verso la prosperità, indipendentemente dal fatto che fossero necessari o addirittura completati. Ciò ha portato alla creazione di “città fantasma” e di enormi complessi di appartamenti in aree scarsamente popolate come nella regione di confine con la Siberia.

I prezzi degli appartamenti sono aumentati, acquistati da persone come investimento e senza mai avere intenzione di viverci o di affittarli. Quest’anno il governo cinese ha dichiarato ufficialmente che “le case servono per viverci, non per speculare”.

Il rapporto debito/PIL della Cina ha raggiunto quest’anno il 280%, con le banche statali che detengono $8.400 miliardi di debito nel settore immobiliare. Il settore immobiliare rappresenta il 90% del reddito dei governi locali fortemente indebitati e circa l’80% dei veicoli di finanziamento dei governi locali (LGFV) – entità istituite per raccogliere fondi per infrastrutture e progetti di sviluppo – non hanno abbastanza soldi per pagare gli interessi. Se le vendite immobiliari dovessero interrompersi, i governi locali non sarebbero in grado di mantenere il flusso di pagamento degli interessi e, se i prezzi dovessero scendere, suddetti LGFV andrebbero in default. Di conseguenza alcuni governi locali hanno addirittura imposto prezzi minimi per evitare che i loro investimenti perdessero valore.

Nel contesto del rallentamento economico durante e dopo i lockdown, Pechino è tornata alla sua strategia tradizionale di fare affidamento sul settore immobiliare per stimolare l’economia. Xi Jinping ha implementato nuove linee di politica per incrementare i prestiti, con il risultato di 50 milioni di unità abitative invendute. I prezzi sono ancora artificialmente alti, quindi il mercato non può eliminarli. Se il governo cinese dovesse cessare ogni intervento nel mercato immobiliare e lasciare che i prezzi scendessero per soddisfare la domanda, molti prestiti potrebbero andare in default e danneggiare l’intero sistema finanziario.


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