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martedì 2 settembre 2025

La nuova economia di guerra europea: dal collasso verde al keynesismo militare

E come ogni economia di guerra che si rispetti, la censura è un'arma che viene impiegata per imporre conformismo e serrare i ranghi. Ormai è difficile che non venga notato ovunque, soprattutto perché i costi di questa campagna continuano a lievitare e senza una fonte di denaro facile con cui finanziarla l'UE crollerà sotto il peso delle sue contraddizioni. Il Digital Markets Act (DMA) è diventato il fulcro della disputa transatlantica. Donald Trump insiste per avere voce in capitolo nell'interpretazione delle norme che, come il DSA, colpiscono principalmente le piattaforme di comunicazione statunitensi dominanti (es. X e Meta). In sostanza, Bruxelles mira a far rispettare le sue linee di politica di censura proprio su quelle piattaforme che stanno diventando sempre più importanti per il dibattito pubblico. Mascherato nella formula “incitamento all'odio”, lo spazio della comunicazione digitale deve essere sottoposto al controllo della censura pubblica. Bruxelles ha notato che le contro-narrazioni che prendono di mira l'eco-autoritarismo si stanno formando principalmente su queste piattaforme e mettono sempre più a nudo il funzionamento e gli obiettivi dell'apparato di potere dell'UE. Per garantire la propria politica di censura, Ursula von der Leyen e il suo apparato burocratico a Bruxelles accettano di buon grado che, alla fine, siano le aziende e i consumatori europei a pagare il prezzo della mania di controllo dell'UE attraverso dazi più elevati. Gli Stati Uniti manterranno l'attuale regime tariffario fino a quando non verrà raggiunto un accordo sulla gestione della politica di censura europea. La posizione intransigente di Washington fa sperare che Bruxelles subirà un duro colpo nel suo tentativo di instaurare una dittatura digitale.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-nuova-economia-di-guerra-europea)

Mentre la pseudo-economia verde trascina l'economia in generale nel baratro, due terzi dei tedeschi si dichiarano soddisfatti delle energie rinnovabili o addirittura ne auspicano una più rapida espansione. Nel frattempo la costruzione di un'economia di guerra europea segna la fase successiva dell'attuale impoverimento dell'Europa.

La strategia economica più popolare e allo stesso tempo più distruttiva rimane l'interpretazione moderna del keynesismo. Con la sua visione semplicistica dell'attività economica, l'economista britannico John Maynard Keynes ha consegnato ai politici del dopoguerra una cassetta degli attrezzi che in seguito hanno distorto in una “soluzione” universale per ogni crisi economica. La versione condensata recita come segue: quasi ogni recessione deriva da un deficit di domanda da parte dei consumatori. Il compito dello stato, quindi, è quello di creare credito artificiale per colmare questo divario di domanda.


Ricetta per l'espansione burocratica

Tassi d'interesse più bassi, stampa di credito e, come dice la favoletta, l'economia decolla. In realtà ciò che rimane è una montagna di debito pubblico, una burocrazia in crescita, mercati finanziari distorti e una produttività in calo. Questi sono fatti economici, facilmente verificabili anche dai non economisti. La prosperità nasce da uno stock di capitale in crescita che soddisfa la domanda dei consumatori in modo efficiente e preciso con più beni e servizi.

La politica keynesiana si è rivelata disastrosa per l'Europa, perché offre ai politici una scusa permanente per espandere la propria influenza, costruire burocrazia e manipolare i mercati. Istituzioni politiche come la Commissione Europea, la maggior parte dei partiti europei e i governi degli stati membri operano quasi esclusivamente in questo modo.


Il Green Deal

È con questo spirito che è nato il Green Deal: una pseudo-economia mascherata da “trasformazione verde” e spacciata per un contributo alla salvezza del pianeta. In realtà si tratta di un congegno mostruoso, una risposta grottesca alla dipendenza energetica dell'Europa che ogni anno divora porzioni sempre più grandi dell'economia solo per mantenere in funzione la sua smisurata macchina dei sussidi.

Solo nel 2024 la Germania ha versato in questa macchina tra i €90 e i €100 miliardi. Il governo federale tedesco ha erogato €58 miliardi, mentre la Banca europea per gli investimenti ha aggiunto €8,6 miliardi in nuovi prestiti, il programma InvestEU €9,1 miliardi e i Fondi per l'innovazione e l'ambiente dell'UE circa €20 miliardi. Senza questo flusso costante di finanziamenti, l'economia zombie crollerebbe. A dimostrazione di ciò, il governo tedesco ha incanalato altri €100 miliardi di debito – mascherati da “fondo speciale” – nella macchina dei sussidi verdi, sempre più affamata.

Le pseudo-economie sopravvivono solo grazie a nuove iniezioni di capitale, andando continuamente contro la domanda del mercato. Le tensioni interne aumentano fino a rendere inevitabile il collasso. Il Green Deal ha intrappolato l'Europa proprio in questa spirale mortale.


Le ricadute

La Germania è ora al terzo anno di recessione e registra un numero record di fallimenti aziendali. Allo stesso tempo il governo ha creato mezzo milione di posti di lavoro nel settore pubblico in soli sei anni, mentre 1,2 milioni di posti di lavoro nel settore privato sono scomparsi. Combinato con l'immigrazione incontrollata, il risultato è una pressione estrema sul sistema di welfare tedesco.

La politica si è ritirata in una posizione puramente difensiva: lo Stato sociale funge da bacino di raccolta per centinaia di migliaia di persone che perdono i propri mezzi di sussistenza, mentre il settore privato crolla sotto il peso dei costi energetici e dei sussidi.

La diagnosi è chiara: il Green Deal è un vicolo cieco. Ogni euro speso esclude i mercati dei capitali privati, alloca male le risorse e incatena i lavoratori nei settori improduttivi. Il contrasto con l'Argentina è sorprendente: lì il presidente Milei ha tagliato la quota di PIL dello stato di sei punti percentuali e ha innescato un boom economico con una crescita del 7,7%.


La trasformazione richiede dolore

L'unica via d'uscita per l'Europa è accettare una dolorosa fase di trasformazione, ridimensionare lo stato e abbandonare le sue fantasie ecologiste. Una politica energetica razionale significa energia nucleare e reintegrazione delle forniture energetiche russe.

Eppure l'opinione pubblica racconta una storia diversa: il 64% dei tedeschi è soddisfatto delle energie rinnovabili, o ne vorrebbe di più. Anni di propaganda statale hanno cancellato il legame tra sussidi verdi e collasso economico. La narrazione del cambiamento climatico, moralizzata e trasformata in un'arma, si è radicata nella coscienza pubblica.

Le energie rinnovabili possono avere il loro posto, ma solo in mercati liberi, senza coercizioni o imposizioni. L'economia verde zombi non è mai riuscita a rilanciare la crescita dell'Europa. È tempo di affrontare la realtà e abbattere questa struttura prima che si possa costruire qualcosa di nuovo.


Il prossimo tentativo

Ma l'Europa non mostra segni di cambiamento di rotta. La burocrazia è diventata troppo grande per smantellarsi da sola. Da Berlino a Bruxelles, i leader trattano l'esodo industriale come una serie di sfortunati incidenti piuttosto che come il risultato diretto delle loro linee di politica. L'accogliente tavola rotonda “Made for Germany” tra Friedrich Merz e gli amministratori delegati del DAX ha confermato il sospetto di collusione tra aziende e statalismo.

Dopo aver fallito con il Green Deal, i politici europei stanno ora sperimentando una nuova pseudo-economia: un complesso militare-industriale alimentato dal debito. Secondo uno studio di Ernst & Young, le aziende tedesche del DAX hanno tagliato 30.000 posti di lavoro nella prima metà del 2025, ad eccezione delle aziende appaltatrici della difesa Rheinmetall e MTU Aero Engines, che hanno aumentato l'organico rispettivamente del 17% e del 7%.

Il piano dell'UE: entro il 2035, metà di tutti i beni di difesa europei – dall'artiglieria alla difesa informatica alle munizioni di precisione – saranno prodotti all'interno dell'Unione, creando fino a 660.000 posti di lavoro. Tutto ciò sarà finanziato non solo dall'aumento dei bilanci nazionali per la difesa, ma anche da programmi UE come ReARM Europe e SAFE, che genereranno centinaia di miliardi di nuovo debito.


Occhi ben chiusi

Bruxelles prevede di mobilitare ulteriori €800 miliardi in spese per la difesa entro il 2030. Eppure nessun settore è più lontano dalla domanda reale dei consumatori dell'industria bellica. Questa è la pseudo-economia keynesiana nella sua forma più estrema: guadagnare tempo con il debito, affamando al contempo i mercati dei capitali privati.

L'ascesa della lobby della difesa come nuova beniamina di Bruxelles alimenterà la corruzione, acuirà il divario tra le strutture parassitarie dell'UE e le forze produttive in contrazione, e consoliderà il clientelismo corporativo come sistema operativo dell'UE. Lo scandalo degli SMS con Pfizer della von der Leyen rimane il simbolo più calzante di questa macchina orrenda di Bruxelles.

In definitiva, l'economia europea non ha né le risorse né la tecnologia per realizzare il sogno di un'UE militarizzata. È una tragica replica del Green Deal: alimentata dalla propaganda, alimentata dal debito e destinata al collasso.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 13 agosto 2025

Gli europei lamentosi si lagnano per l'accordo commerciale

Il GENIUS Act così come la Big Beautiful Bill non sono leggi perfette, ma il loro scopo è quello di fermare il sanguinamento affinché poi si possa davvero intervenire con l'intervento chirurgico vero e proprio. Ecco perché in questo frangente storico ritengo che criticare sia appropriato, ma lo sia di più costruire. L'evoluzione di Tether a tal proposito è quanto di meglio ci si potesse auspicare per ottenere un cambiamento a livello di denaro e sistema bancario centrale: collateralizzazione delle proprie emissioni + decentralizzazione delle operazioni di mercato aperto. L'architettura che sta costruendo Tether è una in cui se si vuole accedere al mercato statunitense (consumo, investimenti, finanziamenti) bisognerà avere un “biglietto d'ingresso” (titoli di stato americani) e solo dopo si otterranno i dollari digitali al pari. Chi invece viene etichettato come “nemico” (a questo serve, sostanzialmente, la politica dei dazi), otterrà lo stesso i dollari di cui HA BISOGNO ma al di sopra della parità: pagherà una commissione (5%?) per avere il privilegio di usare il biglietto verde. Il ruolo della FED, in futuro, sarà di arbitro di chi dovrà pagare questa “commissione”, oltre a badare esclusivamente al commercial paper market americano e non più nel mercato dei titoli sovrani americani. Ruolo interno, non più esterno. Inoltre al primo sintomo di incertezza il decennale americano si dimostra nuovamente scelta privilegiata dagli investitori mondiali. Non quelli europei ovviamente. Il decennale tedesco, rispetto al mese scorso, è salito di 10 punti base, quello americano è sceso di 10 punti base. Questo a sua volta aiuta a spiegare come mai l'asticella del debito americano è stata alzata: oltre a dover tenere ancora in conto la legge di bilancio della precedente amministrazione, gli USA si stanno preparando ad accogliere grandi quantità di capitali. Non è una questione di spesa in deficit, è una questione di domanda estera che si appresta a essere rilasciata sul suolo americano e poi impiegata nell'industria americana. Una scommessa azzardata, vero, ma finora interpretata correttamente in base ai numeri del mercato obbligazionario americano. Quindi, sì, come con la teoria quantitativa della moneta, l'offerta conta, ma conta anche la domanda. Un conto sarebbe se la FED inondasse i mercati americani di liquidità che finirebbe per essere rigettata dai mercati stessi poiché foriera di distorsioni della struttura del capitale e di malinvestment; un altro è un ambiente in cui la FED prosciuga il mondo di dollari offshore man mano che strumenti denominati in dollari a livello internazionale raggiungono la data di scadenza e devono essere saldati. Il lato dell'equazione della domanda dei titoli di stato americani sta cambiando ed è qualcosa che gli USA non avevano mai sperimentato finora in questi termini.

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di Thomas Kolbe

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/gli-europei-lamentosi-si-lagnano)

Lo shock si trasforma in indignazione. Gli europei si sentono ingannati da Donald Trump, ma l'accordo commerciale non fa che mettere a nudo la crescente perdita di potere dell'UE.

Chiunque abbia familiarità con la politica tedesca sa da tempo che Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, non è un peso massimo della politica. Il suo curriculum come Ministro della Famiglia e della Difesa tedesco parla da solo: le mancano le capacità intellettuali e strategiche per orientarsi o riformare sistemi complessi.

Sì, è stata surclassata da Trump durante i negoziati commerciali, come previsto, ma questo non coglie il punto. Ciò che gli europei lamentano a gran voce non è solo un cattivo accordo, ma l'espressione della loro debolezza geopolitica. La Von der Leyen è andata in Scozia a mani vuote e non ha avuto altra scelta che andarsene a mani vuote.


L'ora della lamentela in Europa

È tempo di postumi da sbornia nel mondo fantasioso europeo. Accuse di sottomissione, negoziati disastrosi e catastrofe economica dominano i titoli dei giornali. L'ex-cancelliere tedesco Scholz mette in guardia dalle enormi sfide che attendono l'economia tedesca.

Guy Verhofstadt, ex-Primo Ministro belga e beniamino dei media generalisti, lo definisce un negoziato scandaloso e una catastrofe per l'Europa. Il Primo Ministro francese, François Bayrou, lo descrive come un giorno buio, un giorno in cui un'unione di popoli liberi ha scelto la sottomissione.

L'Europa è sbalordita dalle dure tattiche negoziali di Trump e dal modo spietato in cui gli Stati Uniti cercano di risolvere il deficit commerciale e il problema della deindustrializzazione.


Benvenuti nel mondo della realpolitik

In questo mondo non ci sono amici, solo interessi strategici. E nessuno continuerà a sottomettersi ai mandati climatici dell'Europa, ora che gli Stati Uniti, attraverso questo accordo commerciale, hanno di fatto dichiarato una seconda indipendenza da Bruxelles.

Ciò che è accaduto in Scozia è stato esattamente questo: l'emancipazione dell'America dal controllo eurocratico.

La drammatica reazione dell'UE rivela che finalmente la verità è chiara ed è giunto il momento di dissipare alcune illusioni di vecchia data sulle relazioni transatlantiche.


Due idee sbagliate

Primo: l'idea che l'America abbia a lungo dominato l'Europa attraverso politiche imperialiste. Al contrario, le amministrazioni statunitensi Biden e Obama hanno seguito un'agenda globalista in salsa europea.

Insieme ai loro alleati a Bruxelles, Londra e Davos, hanno attuato programmi climatici distruttivi, hanno perseguito una politica monetaria inflazionistica e hanno creato Stati sociali modellati sull'Europa.

Le radici di tutto questo risalgono a 100 anni fa, al New Deal di Roosevelt. L'America non è mai stata completamente libera dall'influenza europea.

Secondo: la convinzione che l'UE sia un progetto di libertà legato ai principi di mercato e alla proprietà privata. L'UE è stata fondata come baluardo contro l'impero sovietico, ma fin dall'inizio ha avuto una natura statalista, soprattutto sotto la guida franco-tedesca.

Le critiche alla sua traiettoria socialista sono ancora bollate come teorie del complotto, ma i fatti parlano chiaro: indici di spesa pubblica superiori al 50%, la guerra di Bruxelles alla libertà di parola, la nazionalizzazione del settore energetico, una regolamentazione soffocante; l'Europa sta correndo verso un nuovo socialismo.

Il motivo per cui questo fenomeno non è ampiamente riconosciuto? I media generalisti hanno fatto un lavoro magistrale nel nasconderlo.

Agiscono come sostenitori dell'agenda socialista-climatica verde, mascherando il collasso dell'Europa con pennellate idealistiche.


L'America prende una strada diversa

Eleggendo Donald Trump, gli Stati Uniti hanno scelto un'altra strada. Ciò è particolarmente evidente nella tanto discussa Big Beautiful Bill, un pacchetto di deregolamentazione e tagli fiscali.

I media europei si sono avventati come un branco di lupi ubriachi sulle critiche di Elon Musk secondo cui non avrebbe effettuato tagli significativi alla spesa.

Ma questo non coglie il punto. Il disegno di legge fa molto di più: dalla sicurezza delle frontiere alla deregolamentazione energetica, rimodella la politica statunitense per gli anni a venire.

I tagli al bilancio saranno visibili a partire da ottobre, con il nuovo anno fiscale. La spesa sociale sta già diminuendo in modo significativo.

Con una crescita economica del 3%, le entrate fiscali si stanno stabilizzando. Con grande costernazione dei funzionari dell'UE, la narrazione del collasso fiscale degli Stati Uniti non reggerà.

Gli Stati Uniti non sono in bancarotta. La domanda di titoli del Tesoro rimane forte. Bruxelles, Berlino e Londra avranno bisogno di una nuova scusa per le loro crisi del debito. Il default degli Stati Uniti non le salverà.


Un mercato dei capitali indipendente

Mentre la Germania sprofonda sempre più nel debito, gli Stati Uniti stanno creando un mercato di capitali sovrani.

Mentre l'Europa si aggrappa al suo euro digitale per arginare la fuga dei capitali, gli Stati Uniti vanno avanti con stablecoin private, un sistema di tassi rigoroso e un mercato interbancario collateralizzato (SOFR).

Il credito in dollari ha ora un prezzo definito dagli Stati Uniti. Il mercato dell'eurodollaro, un tempo utilizzato per abbassare artificialmente i costi del credito, è ormai tramontato.

Questo cambiamento darà i suoi frutti in caso di crisi. La FED detiene tutte le leve: fissa i prezzi delle linee di swap e usa il dollaro come arma geopolitica. Tassi di interesse pari a zero, QE e denaro a basso costo per capricci politici sono storia passata. Così come il Green Deal.


Il Green Deal è morto

Il direttore dell'EPA, Lee Zeldin, ha appena annunciato che la CO2 verrà rimossa dall'elenco degli inquinanti pericolosi, sfatando la narrativa del “cambiamento climatico provocato dall'essere umano” e aprendo spazio al dibattito.

Come prevedibile, i fanatici del clima in Europa hanno avuto un crollo, ma la mossa di Zeldin apre la strada a una massiccia deregolamentazione e a investimenti nel settore energetico, annullando i danni degli anni Obama-Biden.

Gli Stati Uniti, già il maggiore esportatore mondiale di petrolio, diventano una superpotenza energetica, spingendo l'Europa, che ne è dipendente, ancora più in difficoltà. L'uranio africano della Francia, i legami dell'Europa con il Medio Oriente: tutto questo sta svanendo.


Un colpo alla macchina mediatica

Poi è arrivata un'altra bomba: l'amministrazione Trump ha tagliato i finanziamenti pubblici alla USAID, lo sponsor globale dei media di sinistra e delle ONG.

Bruxelles sa cosa è in gioco: perdere il sostegno dei media statunitensi e perdere il controllo della narrazione.

L'America sta tornando al suo tradizionale ruolo di paladina della libertà di parola.

Questa è una buona notizia per i cittadini dell'UE che si oppongono alla macchina della censura di Bruxelles. Con il Digital Services Act e le misure repressive del Regno Unito, la libertà di espressione è sotto assedio. Ogni aiuto è benvenuto.


Crepe nell'edificio europeo

Il firewall multimediale è ancora in piedi, ma si stanno formando delle crepe.

L'Eurozona perde ogni anno €110 miliardi in investimenti diretti che invece volano negli Stati Uniti.

E mentre Francia, Germania e l'Europa meridionale si indebitano sempre di più, centinaia di migliaia di  giovani europei fuggono. La Germania, un tempo fulcro dei mercati dei capitali dell'UE, ora sta annegando nei debiti.

Si tratta di qualcosa di più di un fallimento interno: è una minaccia all'intera struttura di finanziamento del debito dell'UE.

Incolpare gli Stati Uniti per il declino dell'Europa è disonesto. È un diversivo e non dobbiamo lasciargliela passare liscia.

È tempo di una vera riforma.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 6 agosto 2025

Il ruolo della plastica nella lotta alla povertà

Un altro settore ricco di miti e povero di riscontri con la realtà è quello delle energie rinnovabili. Se si guarda all'Unione Europea, vi sembrerà che la produzione di elettricità sia un caso di attività di libero mercato, con i burocrati di Bruxelles che si limitano a stabilire le regole generali che consentono al tutto di funzionare. Purtroppo, nonostante la propaganda, le cose non stanno così. Sebbene esista un mercato europeo dell'elettricità, ha ben poco a che fare con ciò che di solito consideriamo scambi di libero mercato. I player nel mercato elettrico devono seguire un cosiddetto ordine di merito, o meccanismo di pagamento, in base al principio “pay-as-clear”. I fornitori presentano le loro offerte in base ai costi di produzione e i richiedenti devono acquistare prima dalle fonti più economiche, fino a quando la domanda non viene soddisfatta completamente. A tutti i fornitori viene quindi pagato il prezzo marginale. Sebbene questo ricordi il modo in cui funziona la determinazione dei prezzi nel libero mercato, è tutt'altro. I richiedenti sono costretti ad accettare le offerte dei fornitori più economici. Le energie rinnovabili sono le più economiche, poiché in senso stretto i loro costi di produzione sono pari a zero: non serve carburante per le pale eoliche. Di conseguenza i burocrati hanno costruito un sistema che porta a enormi guadagni per gli investitori nelle energie rinnovabili, quindi non è un mistero che la capacità di tal settore si sia espansa enormemente in Europa, poiché qualsiasi prezzo positivo (o qualsiasi prezzo che copra i costi di capitale e manutenzione) sarà redditizio per coloro che ci hanno investito. Dato che l'elettricità prodotta dalle energie rinnovabili ha un prezzo pari a zero, si potrebbe sostenere che l'operatore, agendo nell'interesse del consumatore finale, sceglierebbe comunque di acquistarne la maggior quantità possibile, quindi non importa che sia tecnicamente costretto a farlo. Tuttavia l'operatore è interessato non solo a operare ai minimi costi di input, ma anche a mantenere la propria rete nel modo più economico ed efficiente possibile, rendendola al contempo il più resiliente possibile. Purtroppo l'energia rinnovabile è incompatibile con questi obiettivi, data la sua imprevedibilità. La mancanza di resilienza è il problema più rilevante emerso durante il recente blackout spagnolo. Il mercato elettrico europeo è strutturato in modo tale che non ci sarà mai capacità libera da impianti eolici e solari. Poiché l'operatore è costretto a ricorrere alle energie rinnovabili, e poiché i fornitori traggono profitto praticamente da qualsiasi prezzo positivo, funzioneranno quasi sempre a piena capacità. In caso di crisi, quindi, non saranno disponibili come riserva e, poiché le centrali a carbone e nucleari non possono aumentare la produzione con sufficiente rapidità, rimane solo il gas. Quest'ultimo, tuttavia, è una delle fonti di energia elettrica più costose, non da ultimo dopo la “guerra di aggressione russa contro l'Ucraina”, come la chiamano come un mantra i burocrati e i politici dell'UE, e l'aumento della dipendenza europea dal GNL. Cosa succede alla produzione di gas quando per un periodo di tempo prevedibile le energie rinnovabili dominano il mercato, come è successo in Spagna fino al blackout? Poiché le energie rinnovabili hanno fatto scendere il prezzo dell'elettricità, le centrali a gas spagnole hanno smesso di fornire elettricità e, prevedendo che questa situazione si protraesse per un po', hanno chiuso i loro impianti. Quando si è verificato il disastro, e un'importante fonte di approvvigionamento è stata improvvisamente rimossa dal mercato, non c'era praticamente alcuna riserva disponibile. Diverse fonti del settore hanno dichiarato alla Reuters che la mancanza di fonti di energia stabili e sincrone era un problema chiave. L'interventismo statale rende l'elettricità non solo molto costosa in tutta Europa, ma rende anche le reti elettriche in tutta Europa molto fragili. Quello che è successo in Spagna potrebbe essere un caso estremo, ma non c'è motivo di non aspettarsi molti altri casi simili in futuro, finché le energie rinnovabili saranno forzate sul sistema in questo modo.

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di Vladimir Snurenco

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-ruolo-della-plastica-nella-lotta)

È raro sentire parlare della plastica in modo positivo. I titoli dei giornali traboccano di statistiche allarmanti sulla contaminazione da microplastiche e di immagini inquietanti dell'inquinamento degli oceani. Eppure la plastica ha silenziosamente svolto un ruolo essenziale nel ridurre la povertà, migliorare gli standard di vita globali e persino salvare vite umane. Come potrebbe la plastica, tossica e soffocante, combattere la povertà in tutto il mondo?

In recenti articoli intitolati “Elogio della plastica” e “La plastica è più verde di quanto sembri”, The Economist evidenzia come la plastica riduca il peso e i costi di trasporto. Ad esempio, una bottiglia di plastica da un litro pesa solo il cinque percento del suo equivalente in vetro, il che la rende 20 volte più leggera e molto più facile da trasportare! Mentre gli articoli originali si concentravano principalmente sull'efficienza, il mio punto è che un imballaggio più leggero non solo riduce i costi, ma aumenta drasticamente l'accesso dei poveri del mondo ai beni di prima necessità.

Gli alimenti confezionati in plastica durano molto più a lungo: una grande vittoria per il miliardo di persone più povere. I contenitori di plastica ermetici mantengono alimenti di base come farina di mais, riso e olio da cucina più freschi, più convenienti e più facili da conservare. Inoltre gli imballaggi in plastica consentono al cibo di percorrere distanze maggiori e di raggiungere più facilmente le aree remote. Questo è particolarmente importante nelle regioni povere, dove le infrastrutture stradali sono carenti e la refrigerazione è rara.

In ambito sanitario, siringhe di plastica e dispositivi di protezione come guanti e mascherine hanno fatto una grande differenza. I dispositivi monouso in plastica contribuiscono a ridurre i tassi di infezione e hanno svolto un ruolo fondamentale nella distribuzione dei vaccini. I dispositivi medici in plastica sono fondamentali per proteggere le persone più vulnerabili al mondo da malattie e morte.

Un esempio specifico, ma tristemente trascurato, è il ruolo che la plastica ha svolto nel dimezzare i decessi annuali per malaria a livello globale. Nel 2000 la malaria ha ucciso quasi un milione di persone in tutto il mondo, ma le siringhe di plastica monouso hanno garantito un trattamento sicuro contro di essa, prevenendo al contempo la trasmissione dovuta ad aghi contaminati. Le zanzariere, spesso realizzate in fibre di plastica, hanno fornito barriere fisiche contro le zanzare portatrici di malaria. Un altro brillante prodotto in plastica sono i teli di plastica trattati con insetticidi (ITPS), i quali vengono utilizzati nella costruzione di case e rifugi, e uccidono le zanzare al contatto. Negli ultimi 25 anni questi prodotti in plastica hanno ridotto significativamente i tassi di infezione da malaria in tutto il mondo, soprattutto in Africa, e hanno dimezzato i decessi annuali per malaria.

Ecco il quadro generale degli ultimi 25 anni: con l'aumento della produzione di plastica in tutto il mondo, i tassi di mortalità per malaria sono diminuiti e la povertà è diminuita drasticamente. Secondo The Economist, la produzione globale di plastica è raddoppiata tra il 2000 e il 2021, passando da 234 milioni di tonnellate a quasi 460 milioni. Nello stesso periodo la povertà estrema (definita come vivere con meno di $2,15 al giorno) è scesa da circa il 28% della popolazione mondiale ad appena l'8,5%, secondo i dati della Banca Mondiale. Il FMI prevede che i tassi di povertà scenderanno ulteriormente a circa il 7% entro la fine del 2025.

Il legame tra l'aumento dell'uso della plastica, la riduzione della povertà e il calo dei decessi per malaria è impressionante. La plastica potrebbe essere l'eroe sconosciuto ai più nella lotta contro la povertà e le malattie? E se lo è, dobbiamo anche affrontare una domanda difficile: l'inquinamento da plastica è un compromesso accettabile, o addirittura inevitabile, per ridurre la sofferenza umana?

Il modo di pensare economico richiede di riconoscere i compromessi. In un mondo fatto di scarsità, non ci sono soluzioni perfette. Risolvere un problema spesso ne crea, o ne aggrava, un altro. La contaminazione da plastica è senza dubbio allarmante. Mentre scrivo queste parole, non posso fare a meno di ragionare sul pensiero inquietante che frammenti microscopici di plastica potrebbero circolare nel mio cervello proprio in questo momento. Ma qual è l'alternativa? Se smettessimo di usare la plastica domani, le catene di approvvigionamento globali collasserebbero, il cibo non raggiungerebbe le persone che ne hanno bisogno nelle aree remote e milioni di persone perderebbero l'accesso a forniture mediche salvavita. Siamo disposti ad accettare questo aumento della sofferenza umana per vivere in un mondo senza plastica? Io no.

Il ruolo della plastica nella riduzione della povertà è immenso. La plastica permette ai poveri di migliorare la propria salute e di accedere più facilmente al cibo e ad altri beni. Per il miliardo più povero del pianeta, i benefici della plastica superano di gran lunga i suoi svantaggi ambientali.

Ovviamente dobbiamo cercare di gestire i rifiuti di plastica in modo responsabile. I nostri attuali tassi di riciclaggio si attestano intorno al nove percento, una percentuale ancora troppo bassa. Altre importanti priorità associate all'uso della plastica sono l'innovazione nelle tecnologie di riciclaggio, il miglioramento delle infrastrutture di raccolta dei rifiuti e una gestione più sicura delle discariche. Infine, ma non meno importante, dovremmo cercare di utilizzare meno plastica ogni volta che è superfluo.

La domanda globale di plastica continuerà ad aumentare, mentre i tassi di povertà mondiale continueranno a diminuire. Forse accettare entrambe le tendenze è il miglior compromesso che l'umanità possa realisticamente raggiungere in questo momento: il mondo di domani sarà un mondo con meno povertà e più plastica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 29 luglio 2025

Scontro sul bilancio dell'UE: solo una messa in scena?

Per quanto di facciata la Cina possa essere un avversario degli Stati Uniti, l'avversario più grande rimane l'Europa. E lo è stata sin dalla Battaglia di Yorktown, potremmo dire. A tal proposito i dazi, oltre a limitare il flusso di dollari che scorrono all'estero e smantellare quell'arbitraggio commerciale contro gli USA che rifiutava di chiudersi, rappresentano il tentativo consapevole di isolare le élite europee dal resto del mondo. Siglare nuovi accordi bilaterali coi singoli Paesi lasciando fuori l'Europa e annullare la sua vecchia rete di privilegi e connessioni. Questo a sua volta significa costringere la cricca di Davos a venire allo scoperto, con i suoi membri e connessioni, e successivamente fare in modo che metta sul tavolo le sue di risorse di capitale, dato che adesso non ha più accesso facile alla stampante americana tramite l'eurodollaro. A tal proposito la presunta “confusione” di Trump sui vari temi spacciata dalla stampa generalista rappresenta un suo modo di intorbidire le acque affinché la sua amministrazione possa portare avanti il piano sopraccitato. Infatti come ci ha ricordato di recente Dimon, bisogna guardare a quel che fa e non a quel che dice. Suddetta “confusione”, inoltre, è un modo per testare la lealtà dei membri nel suo partito, perché, come in tutti i Paesi del mondo, ci sono fazioni che ne governano il percorso politico ed economico. Infatti esistono, in seno agli USA, quelle fazioni che fanno gli interessi di Europa e Cina, ad esempio, e sono perlopiù radicate in California. Non scordatevi, cari lettori, che questa è una guerra e al momento viene combattuta con i generali che vediamo e col piano che viene spiegato continuamente su queste pagine. Non saranno perfetti, ma è quello che abbiamo e speriamo che saranno sufficienti a ridimensionare la cricca di Davos.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/scontro-sul-bilancio-dellue-solo)

Il giorno dopo la presentazione del nuovo bilancio pluriennale da parte della Commissione europea, il cancelliere tedesco Friedrich Merz si è autoproclamato il suo più accanito oppositore. Ciò a cui stiamo assistendo, tuttavia, non è altro che una lite orchestrata tra alleati.

Merz è stato il primo politico europeo di alto livello a respingere ufficialmente la proposta di mega-bilancio della Commissione europea. Ha definito le ambizioni di Bruxelles “inaccettabili” e ha concluso con il classico luogo comune politico secondo cui bisogna arrangiarsi con le risorse disponibili. La stessa persona, tuttavia, presiede un governo tedesco indebitato: quindi la massima si applica anche a lui?

La proposta della Commissione prevede una spesa di €1.816 miliardi tra il 2028 e il 2034, con un incremento di ben €750 miliardi.


Tattiche diversive e intenti strategici

Ciò a cui stiamo assistendo è una messa in scena, un rituale ben consunto, concepito per il consumo pubblico. L'obiettivo dichiarato delle élite europee è incoronare Bruxelles con la piena sovranità fiscale ed espandere l'organismo centrale dell'UE in un fulcro gravitazionale di potere geopolitico. Il risultato finale è un governo dei governi, una mega-struttura sovranazionale.

Ma per raggiungere questo obiettivo il consenso pubblico deve essere granitico. Non diciamo “manipolato”, diciamo: plasmato. Così le élite mandano in scena teatrini politici e distrazioni mediatiche. Il copione è semplice: Bruxelles pretende il massimo. Ne consegue un'indignazione prevedibile – come da parte di Merz – e alla fine entrambe le parti “scendono a compromessi” su una cifra che permetta a tutti di salvare la faccia e cantare vittoria.

Anche se Merz dovesse tagliare dal bilancio €100-200 miliardi, è probabile che ciò faccia ancora parte della strategia di pubbliche relazioni di Bruxelles.


Consolidamento fiscale: che ci piaccia o no

Gli stati membri dell'UE sovraindebitati, in particolare quelli del sud, stanno cercando di consolidare le proprie passività sotto l'egida protettiva della Commissione e hanno trovato nella Banca Centrale Europea il veicolo ideale. Con la BCE che sostiene il debito attraverso interventi continui e il controllo della curva dei rendimenti, l'illusione di solvibilità può essere mantenuta... a spese dei contribuenti europei.

Questo segnerebbe la fine di un mercato obbligazionario europeo frammentato. La piena integrazione eliminerebbe le ultime vestigia della concorrenza fiscale tra gli stati membri. Da quel momento sarà “fuoco a volontà”, tanto per citare lo stile del Segretario generale della SPD tedesca.

Se Bruxelles riuscisse a mettere in atto la sua innaturale trinità – consolidamento del debito, sovranità fiscale attraverso imposte sulle emissioni di CO₂ e sulle aziende, e introduzione di un euro digitale per arginare la fuga di capitali – allora ben poco potrebbe impedire alla visione di un'Europa totalitarista di materializzarsi.


Stati Uniti d'Europa

Bruxelles si crede vicina a raggiungere il suo obiettivo a lungo perseguito. Questo spiega la crescente ostilità verso i partiti nazional-conservatori, l'ultimo vero baluardo contro il sogno di un governo totale dei centralizzatori. Gli Stati Uniti d'Europa vengono costruiti su una volgare economia keynesiana, sostenuti dal controllo dei media e sulla più becera propaganda.

In fondo, è grottesco. Con leggi come il Digital Services Act e il Digital Markets Act i burocrati dell'UE confermano il loro timore: che il loro attacco frontale all'autonomia nazionale e alla libertà economica possa alla fine fallire. I segnali politici di Bruxelles sono difensivi e questa bozza di bilancio è un tentativo preventivo di consolidare la sua autorità in rovina.


Le braccia dello zombi

Una rapida occhiata al bilancio conferma la diagnosi: €131 miliardi sono destinati a progetti militari europei. Si tratta di un aumento di cinque volte, cosa che si aggiunge alle massicce espansioni militari nazionali. L'organismo centrale dell'UE, che si trova nelle prime fasi di una crisi fiscale, si sta ora ritirando nel militarismo.

Il panico mediatico nei confronti di Putin serve da giustificazione per attivare questo nuovo ramo dell'economia artificiale dell'euro.

L'altro ramo – il cosiddetto Green Deal – è mantenuto in vita da altri €700 miliardi in sussidi. Il 30% dell'intero bilancio dell'UE sarà ora destinato a far girare la macchina dei sussidi, iniettando denaro nelle fantasie verdi e nel rispetto della biodiversità degli anemici pianificatori dell'Eurozona.

È bizzarro. Mentre la Commissione cerca di infilare il Green Deal nelle narrazioni dei media generalisti, i gruppi ambientalisti attaccano di riflesso la bozza di bilancio, definendola incoerente. Com'era prevedibile, i sussidi non potranno mai soddisfare la crescente dipendenza della società dalla droga del denaro “gratis”. L'UE-Europa è diventata lo spacciatore, iniettando tale droga nel continente senza riguardo per le conseguenze sociali o economiche.

L'intero dibattito è slegato dalla realtà economica. È come se Bruxelles cercasse di affogare ogni critica nel denaro a buon mercato e di comprare il sostegno delle ONG con finanziamenti statali. Se gli oppositori dell'eurocentralismo non trovano finalmente il vento in poppa, altri anni persi ci attendono. Una cosa è particolarmente allarmante: la militarizzazione strisciante, sia nella retorica che nelle politiche.

Il fatto che la sinistra rimanga sostanzialmente in silenzio su questo argomento segna un cambiamento politico significativo. La competizione tra partiti è stata sostituita da un cartello di interessi.


Il militarismo come fine dei giochi

Dal punto di vista storico la militarizzazione è spesso sintomo di regimi che entrano nella loro fase terminale, un segno che hanno perso il controllo interno. L'offensiva di Bruxelles non è una dimostrazione di forza, ma una confessione di debolezza: l'edificio dell'UE si sta incrinando. La sua facciata di unità è tenuta insieme solo da fiumi di credito e da una crescente repressione del dissenso.

La spinta militarista non solo segnala una nuova corsa agli armamenti, ma inaugura anche un'UE post-sovietica. Gli interessi nazionali vengono sacrificati: in materia di energia, migrazione e sovranità fiscale. Il prezzo politico: un malcontento latente, un crescente sentimento anti-sistema e un crollo della fiducia nelle istituzioni.

Lo scontro di bilancio inscenato continua nella politica migratoria, dove voli di espulsione sfarzosi e controlli di frontiera simbolici offrono l'illusione di una risposta adeguata, ma nulla di più. Anche in questo caso, gli interessi di Bruxelles e la volontà della maggioranza europea divergono nettamente.

Diciamo la verità: Bruxelles, con l'aiuto dei suoi avamposti nazionali, sta portando avanti un programma globalista. Risolverne le conseguenze definirà il futuro politico e culturale del continente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 15 luglio 2025

L'uscita di scena di Klaus Schwab annuncia un nuovo ordine mondiale (spontaneo)

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Paul Mueller

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/luscita-di-scena-di-klaus-schwab)

Il pensionamento di Klaus Schwab e la sua successiva caduta in disgrazia simboleggiano i cambiamenti tettonici in atto nell'attuale ordine mondiale. L'obiettivo di tutta la vita di Schwab è stato costruire un ordine mondiale globalista governato dalle élite internazionali e dalle Nazioni Unite. Ha fondato e diretto il World Economic Forum (WEF) per decenni e ha promosso questa visione di governance globale per il bene dei popoli del mondo.

Schwab e i suoi compatrioti nutrivano grandi ambizioni: rimodellare l'ordine globale con un “Grande Reset”. La conferenza annuale del WEF a Davos è stata probabilmente l'incontro tra élite globali più prestigioso degli anni 2010. Da questo incontro sono scaturite decisioni politiche, priorità globali, cooperazione internazionale e numerose iniziative. L'incontro di Davos ha promosso i criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) in tutto il mondo, nell'ambito della visione di Schwab di promuovere il “capitalismo degli stakeholder”.

Durante la pandemia, il mondo ha visto per quello che era l'impulso totalitario dietro l'agenda globalista di Schwab. La reazione pubblica post-COVID è stata dura. Nel 2022 la conferenza di Davos ha iniziato a perdere slancio; nel 2023 e nel 2024 hanno iniziato a mostrarsi le prime crepe; nel 2025 era diventata in gran parte una barzelletta. Le persone in tutto il mondo hanno respinto il loro elitarismo globale verticistico.

Schwab ha visto il suo sogno di un capitalismo degli stakeholder quasi realizzato... quasi, perché poi l'ha visto crollare. Ma con lui fuori dai giochi e l'ordine globale da lui sostenuto in rovina, cosa succederà adesso? Il successo di Trump, emblematico di molti movimenti populisti di destra in tutto il mondo, è stato in parte guidato da rinnovate preoccupazioni per la sicurezza e l'innovazione.

Le élite globali sono praticamente addormentate al volante, o peggio, complici della stagnazione dell'Europa e dell'aggressiva espansione della Cina. Di fatto il movimento ESG, e più in generale il movimento ambientalista, hanno intrappolato i Paesi occidentali in costose formalità burocratiche, lasciando in gran parte indenne la Cina. La linea di politica “la propria nazione al primo posto” dà priorità allo sviluppo economico interno e alla rapida innovazione, ed entrambe queste cose migliorano la posizione strategica di un Paese a livello internazionale, aumentando al contempo gli standard di vita dei cittadini.

Molti nazionalisti populisti non vogliono alcun “ordine” internazionale, ma il principio “la propria nazione al primo posto” può davvero funzionare senza riferimento al resto del mondo? I populisti a volte sminuiscono il cosiddetto “ordine internazionale basato sulle regole” degli anni '90, definendolo una copertura per le élite affinché manipolino tutti gli altri. Questa caratterizzazione, sebbene in gran parte ingiusta, ha portato a richieste di “disaccoppiamento” dagli altri Paesi a favore di agende nazionaliste.

La strategia “prima la propria nazione” può essere valida, ma deve comprendere le regole del gioco. In politica estera un approccio più moderato e isolazionista può essere la scelta migliore, soprattutto quando si tratta di interessi nazionali a somma zero; ciononostante presumere che tutte le relazioni e le interazioni internazionali debbano essere a somma zero è un grave errore.

La maggior parte delle nostre interazioni con le persone, sia nel nostro Paese che a livello internazionale, si svolge nel contesto di uno scambio reciprocamente vantaggioso. Entrambe le parti traggono beneficio dalla possibilità di stipulare accordi volontari e commerciare tra loro. Ciò crea un ordine spontaneo e complesso, sia all'interno dei Paesi che tra i Paesi stessi. Mentre un rinnovato interesse per l'identità nazionale e per la prosperità rappresenta un gradito antidoto al cosmopolitismo omogeneizzante del dominio delle élite mondiali, dovremmo riflettere su come potrebbe presentarsi il panorama internazionale.

Un ordine globale può essere sia spontaneo che organico. Può essere al servizio degli individui attraverso accordi e associazioni volontari. Sebbene questo tipo di ordine non richieda pianificazione o direzione da parte dello stato, richiede ai governi di esercitare moderazione e limitare il loro interventismo. Burocrazia, tasse elevate, sussidi e ogni sorta di obblighi legali possono impedire la formazione di un sano ordine spontaneo.

Un importante esempio negativo di mancanza di moderazione è la gravosa regolamentazione delle catene di approvvigionamento e delle normative ambientali dell'Unione Europea. Queste norme distorcono, e in alcuni casi distruggono, l'ordine spontaneo. Sostituiscono processi decisionali e piani decentralizzati con i piani coercitivi delle élite globali; il risultato ha spaziato dalla stagnazione economica alle proteste, fino a una produzione energetica costosa e inaffidabile.

Nazionalisti e populisti dovrebbero impegnarsi a fondo per smantellare questi strumenti di controllo legali e normativi. E lo stanno facendo, ma non dovrebbero creare nuove barriere all'ordine spontaneo.

Quest'ultimo emerge dal basso verso l'alto, non dall'alto verso il basso. Si sviluppa attraverso lo scambio e l'associazione volontari piuttosto che attraverso la coercizione. Non è soggetto ai capricci, agli interessi, o all'ideologia di poche persone influenti come Klaus Schwab. L'azione volontaria dal basso verso l'alto significa che un ordine spontaneo sarà decentralizzato, adattabile, creativo e innovativo.

Creare questo ordine richiede regole chiare che si applichino equamente a tutti i livelli. Queste regole dovrebbero essere relativamente semplici e stabili. Non abbiamo bisogno di orde di burocrati o autorità di regolamentazione per “gestire” questo nuovo ordine mondiale. L'associazione volontaria significa anche libertà. L'ordine spontaneo che emergerà dal coordinamento decentralizzato sarà un sistema aperto, piuttosto che chiuso, in cui i nuovi entranti saranno i benvenuti.

In un ordine spontaneo, gli operatori storici hanno una capacità limitata di proteggersi dai nuovi concorrenti. I nuovi entranti, più piccoli e agili, imporranno ai player consolidati innovazione e miglioramento continui. Anziché avere fossati legali e normativi a protezione di gruppi di interesse consolidati, in un ordine spontaneo ognuno può perseguire le proprie iniziative nell'arena internazionale. Questa competizione libera e aperta libererà molta più creatività, innovazione e soluzioni organiche di quanto la precedente élite globale, Klaus Schwab e il WEF avrebbero mai potuto immaginare. 


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 14 luglio 2025

Il blackout spagnolo dimostra perché il sogno verde è insostenibile

I governi nazionali europei si sono impegnati a chiudere le centrali nucleari, rendendole insostenibili con una tassazione predatoria; a penalizzare gli investimenti nella distribuzione con normative assurde; a imporre un mix energetico volatile e intermittente; a gravare il settore energetico con tasse elevate e ritardi amministrativi. Cosa poteva andare storto? Tutto. E così è stato. Le energie rinnovabili, pur essendo essenziali in un mix energetico equilibrato, non possono garantire sicurezza e stabilità a causa della loro volatilità e della loro natura intermittente. Ecco perché è essenziale disporre di un sistema bilanciato con energia di base in funzione ininterrottamente, come l'energia idroelettrica, nucleare e il gas naturale come riserva. Distruggere l'accesso all'energia nucleare con chiusure inutili e una tassazione predatoria è stata una delle cause principali del blackout spagnolo ad aprile di quest'anno. Spagna e Portogallo producono elettricità con oltre il 60% di energia solare ed eolica. Le centrali idroelettriche, nucleari e a gas a ciclo combinato devono coprire le carenze. Non è possibile avere un sistema stabile e sicuro con un'alimentazione continua se la rete elettrica non è bilanciata per evitare blackout totali. Secondo Euronews, la Francia a volte produce troppa elettricità, costringendo il gestore di rete RTE a disconnettere i siti solari ed eolici. Il consumatore paga le tasse per coprire le perdite del gestore. Questa procedura impedisce un blackout generale della rete, ma rappresenta una doppia spesa che non esisterebbe se l'Europa non avesse un pregiudizio nei confronti del mining di Bitcoin. Un sistema privo di inerzia fisica, fornito da fonti energetiche di base in costante funzionamento – nucleare e idroelettrico – rende impossibile stabilizzare la rete in caso di interruzioni dell'approvvigionamento. Quando si è verificato il blackout la rete elettrica spagnola era composta per quasi l'80% da fonti rinnovabili, per l'11% da fonti nucleari e solo per il 3% da gas naturale. Non c'era praticamente alcuna generazione di base, o inerzia fisica, in grado di assorbire lo shock. I blackout, che avrebbero dovuto essere qualcosa di obsoleto e dimenticato, sono diventati la norma da quando i politici hanno ideologizzato l'energia. Altri Paesi hanno sofferto di problemi simili: Australia (2016), Germania (2017) e Regno Unito (2019) hanno subito blackout a causa di riserve energetiche o di misure di stabilità della rete insufficienti. E per quanto riguarda quest'ultima, in particolar modo, le cose non sono cambiate da allora e ciò metterà ulteriore pressione nel futuro prossimo sulla rete energetica francese. Tuttavia, nessuno di questi incidenti è stato così drammatico o scandaloso come quello in Spagna. Ciò che è accaduto in Spagna è un sintomo, non un incidente. I governi spagnoli hanno deciso che la chiusura di tutte le centrali nucleari sarà effettiva nel 2035. Nonostante tutti i tecnici ci ricordino che funzionano perfettamente e che la loro durata potrebbe essere prolungata di almeno dieci anni, questa azione aumenterà la dipendenza dalle energie rinnovabili e dal gas naturale russo. In altre parole, la politica miope della Spagna renderà il Paese ancora più dipendente da Cina e Russia per l'energia, costringendolo a continui blackout e tagli alle forniture per l'industria. La propaganda ci ha fatto credere che le energie rinnovabili avrebbero portato competitività e stabilità alla rete, ma la realtà dimostra che un'eccessiva dipendenza dalle fonti rinnovabili e una carenza di fonti energetiche di base indicano che la rete elettrica dipenderà sempre più dalle poche centrali nucleari e a gas naturale rimaste per mantenere la stabilità dell'approvvigionamento.

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di Joakim Book

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-blackout-spagnolo-dimostra-perche)

Quando la rete elettrica spagnola è crollata in un normale lunedì di fine aprile, sono morti con essa anche i sogni di energia rinnovabile e il team per la transizione verde.

Ryan McMaken si è affrettato a sottolineare che, secondo convinzioni politiche simili a quelle del Green Deal europeo, convenienza e affidabilità non sono virtù importanti della rete elettrica europea. Quando si mettono tutte le proprie risorse in un unico posto, una tale strategia è destinata a fallire... a maggior ragione, poi, se si tratta di rete elettrica.

Mentre le autorità spagnole hanno negato che le energie rinnovabili siano state la causa della perdita di frequenza che ha causato l'interruzione dell'elettricità per circa 60 milioni di persone in Spagna e Portogallo, diversi commentatori ed esperti si sono schierati pubblicamente e hanno confessato che la causa era l'eccessiva dipendenza dall'energia solare al momento del blackout.

La manipolazione da parte dei media generalisti, sempre più irrilevanti, è stata per lo più triste da guardare. Ironia della sorte l'autore dell'articolo di propaganda sulla Reuters ha cercato di allontanare la colpa dalle divinità verdi affermando che non erano loro da criticare bensì le “energie rinnovabili nella rete moderna”. Oh, ok.

Torniamo indietro. Avete sentito parlare di ESG (criteri ambientali, sociali e di governance) di recente? Neanch'io. Nel giro di pochi anni c'è stata una notevole inversione di tendenza nell'uso aziendale del termine “ESG”. Da concetto onnicomprensivo, pronunciato da ogni amministratore delegato e imposto a ogni dipendente da ogni ufficio risorse umane di ogni azienda sufficientemente grande, è semplicemente svanito.

Da un giorno all'altro, a nessuno importava più. Un recente sondaggio ha suggerito che solo il 7% di coloro che un paio d'anni fa erano stati assunti per lavorare sui criteri ESG a livello di aziende lo sono ancora oggi. Puff, spariti.

E tutto è avvenuto in silenzio. Matt Levine, famoso per “Money Stuff” su Bloomberg, ha ripetutamente ipotizzato che i criteri ESG – come tante altre cose – fossero un fenomeno legato ai tassi d'interesse bassi. Non appena tassi e inflazione hanno iniziato a farsi sentire, le persone hanno rapidamente abbandonato gli sforzi virtuosi per la giustizia ambientale e sociale.

Ecco una previsione alla luce del disastro spagnolo: la cosiddetta “onda verde” – o la minacciosa transizione energetica – che spinge pannelli solari su ogni tetto e ricopre il paesaggio di turbine eoliche, subirà un destino simile.

Perché? Oltre a rovinare le reti e a comparire nel dibattito politico e sociale, non sta facendo molto altro. La “transizione” verde non ha ottenuto praticamente nulla nei circa 30 anni in cui ha dominato le menti di intellettuali e politici. Non ci credete? Guardate un grafico del consumo globale di energia primaria per fonte e constatate voi stessi.

Nel 1991, l'anno in cui sono nato – per prendere un anno a caso dagli anni '90, quando il movimento per il cambiamento climatico si è davvero scatenato – il 77,5% del consumo energetico proveniva da petrolio, gas e carbone. Nel 2023, dopo migliaia di miliardi spesi per elettrificare le reti, costruire impianti solari e sovvenzionare questa o quella iniziativa ecologica, dopo folli sforzi sociali e politici per volare meno, mangiare in modo sostenibile e riciclare la plastica e così via, quella stessa percentuale si attesta al 76,55%. Tre decenni di energie, denaro e propaganda e l'ago della bilancia non si è minimamente spostato.

A quanto pare, le persone vogliono la loro energia, le loro auto, le loro cose, i loro viaggi e, in definitiva, sopravvivere. Qualsiasi cosa si faccia dall'alto per ostacolare tutto questo non ha altro che effetti marginali.

Ciò che è stato fatto è stato destabilizzare molte reti elettriche in tutto il mondo. Il solare e l'eolico hanno sostituito parte della biomassa e parte del nucleare con percentuali a una sola cifra, e le reti stanno già andando in pezzi – ad esempio, in Spagna. E non è che (“noi”) non lo sapessimo. Sepolte nei rapporti di ricerca e nei documenti informativi della Federal Energy Regulatory Commission all'Oxford Institute for Energy Studies, le conclusioni sono chiare: più inaffidabili, meno inerzia, più rischio di crolli di frequenza che innescano un blocco totale.

I grandi cambiamenti, storicamente parlando, che hanno portato alla sostituzione del biocarburante con il carbone e poi con il gas naturale erano già stati in gran parte completati alla fine degli anni '70. La lezione che possiamo trarre dalla storia dell'umanità e dal suo rapporto con il mondo naturale è che l'obiettivo è ottenere di più e meglio (più economico, più veloce, più sicuro, più stabile); non peggio, più costoso o meno affidabile. “Ogni transizione energetica che abbiamo avuto”, ho scritto l'anno scorso, “è stata additiva”. Come civiltà non “sostituiamo”, o “eliminiamo gradualmente”, le fonti energetiche; le facciamo evolvere con fonti migliori. E, come dimostra il disastro elettrico spagnolo, fonti inaffidabili come l'eolico e il solare non sono migliori.

Così come i criteri ESG stanno scomparendo silenziosamente dall'attenzione di quasi tutti, si spera che l'ossessione per tutto ciò che è green scomparirà da un momento all'altro.

La legge della politica climatica, alla quale Roger Pielke Jr. ha prestato il suo nome, afferma che “ogni volta che obiettivi ambientali ed economici vengono contrapposti, l'economia vince sempre”.

Questa è la lezione degli ultimi trent'anni di politiche e propaganda green, così come del più recente fenomeno ESG. Quando i fattori finanziari ed economici incidono, i sogni (in realtà gli incubi) di “crisi” climatiche e le relative urgenti proposte politiche svaniscono. Ora che la maggior parte delle reti elettriche occidentali è stata saturata da energia eolica e solare, con prezzi alle stelle e blackout sempre più frequenti, i sogni green sono destinati a finire.

Col tempo, l'intera portata della “transizione verde” diventerà oggetto di curiosità storica, di interesse esclusivo per sociologi e storici della politica. Che gran bella liberazione!


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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giovedì 12 giugno 2025

Bitcoin risucchia quell'energia in eccesso e bloccata

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di Joakim Book

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/bitcoin-risucchia-quellenergia-in)

L'elettricità ha la difficile caratteristica di dover essere consumata quando viene prodotta. In altre parole: poiché ci aspettiamo che le luci si accendano ogni volta che premiamo un interruttore, l'elettricità deve essere prodotta ogni volta che i consumatori lo desiderano.

Per gran parte dei suoi 150 anni di storia, le reti elettriche hanno avuto un buon controllo sulla propria fornitura – alzando i quadranti, bruciando più carburante, azionando più turbine – ma hanno dovuto prevedere la domanda, anticipando e gestendo in dettaglio anche le più piccole variazioni di utilizzo. Oggi abbiamo sempre più produttori di energia rinnovabile sulla rete, il che ha reso la fornitura stessa più inaffidabile, dipendente non tanto dalle decisioni umane quanto dai capricci del meteo. Se si riempie il paesaggio di torri eoliche e parchi fotovoltaici che producono troppa elettricità quando non ne abbiamo bisogno e quasi nulla quando ne abbiamo davvero bisogno, si ottiene la tragica ricetta per reti instabili.

Ci aspettiamo sempre che la rete fornisca energia, quindi i gestori devono assicurarsi che ci sia sufficiente capacità extra pronta a soddisfare la domanda di picco, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche. Ciò significa che alcune turbine funzionano senza carico e che molte altre sono pronte ad aumentarlo quando le previsioni del tempo indicano condizioni avverse.

Avere tutta questa capacità extra è costoso e dispendioso, intenzionalmente. Risultato? Funzionano in modo inefficiente, il termine tecnico è “sovradimensionato”, spesso di oltre il 50%, poiché ci aspettiamo che la rete copra non solo il consumo medio, ma anche i picchi estremi. Qualcuno deve sostenere il costo finanziario di tutta questa capacità e dello stoccaggio di combustibile, che, compresso dalle politiche energetiche locali, si riflette in tariffe che i consumatori pagano. È troppo tardi per iniziare a costruire parchi eolici, centrali a gas o progettare linee di trasmissione oggi se è previsto un picco di domanda di elettricità per il fine settimana.

Quando aggiungiamo grandi quantità di energia eolica e solare alla rete, inondandola occasionalmente con talmente tanta elettricità in abbondanza che i prezzi dell'energia diventano negativi, la somma totale diventa un'elettricità più costosa, non meno costosa, anche se i loro input ci vengono forniti gratuitamente dalla natura.

Ciò di cui abbiamo bisogno è un consumatore di elettricità, un consumatore di ultima istanza, in grado di recuperare l'elettricità in eccesso, disconnettersi all'istante e di ripristinare la produzione in caso di occasionali carenze o ondate di freddo. Un consumatore che possa co-localizzarsi con le centrali elettriche ed evitare così la presenza di ulteriori linee di trasmissione che si intersecano nel paesaggio per i suoi scopi di produzione su larga scala.

Bitcoin è una tecnologia monetaria straordinaria, che sta rivoluzionando il mondo del denaro, degli asset e del risparmio, un scettico alla volta. Sulla sua scia troviamo ogni sorta di effetti benefici di secondo ordine: il miglioramento della rete elettrica e il recupero dell'energia globale inutilizzata sono solo gli ultimi esempi. “I miner sono i consumatori di elettricità economicamente perfetti”, conclude Lee Bratcher su Bitcoin Magazine, “il loro consumo costante incentiva lo sviluppo di una generazione aggiuntiva”.

Durante la tempesta invernale Finn, più di un quarto dell'hashrate di Bitcoin è andato offline, poiché gran parte dell'hashpower globale risiede ora in Texas ed è coinvolto in vari programmi di riduzione del carico e di risposta alla domanda con l'operatore di rete ERCOT.

Prima di Bitcoin, i programmi di domanda-risposta erano piccole idee geniali che sembravano non funzionare mai. Come conclude Meredith Angwin nel suo libro, Shorting the Grid: “Si può offrire ai clienti di rinunciare all'elettricità nelle giornate molto fredde. Tuttavia pochissimi accetteranno la vostra offerta”. Il motivo per cui la rete è sotto sforzo durante un'ondata di freddo è lo stesso motivo per cui gli utenti di energia elettrica attribuiscono un valore molto elevato al loro consumo di elettricità. L'offerta viene compressa proprio nel momento in cui la domanda dei consumatori diventa anelastica al prezzo, con il riscaldamento e l'illuminazione delle case che diventano quasi infinitamente preziosi in situazioni difficili.

James McAvity di Cormint, un'azienda di mining basata sulle energie rinnovabili nel Texas occidentale, afferma: “Un carico di base che non contribuisce ai picchi è letteralmente il partecipante ideale al mercato di una rete elettrica. Questo è particolarmente vero per le reti con un'elevata penetrazione delle energie rinnovabili”.

L'hashing, il processo crittografico ad alto consumo di energia elettrica utilizzato dalle apparecchiature di mining per trovare e confermare nuovi blocchi Bitcoin, è un processo competitivo e casuale tra chi vuole indovinare il nonce. Ciò significa che l'accensione e lo spegnimento dei miner non danneggerà i loro progressi come farebbero tali spegnimenti improvvisi nei data center o in altri utenti su larga scala come la produzione manifatturiera ad alto consumo energetico. Una rete sovradimensionata con una generazione di elettricità di riserva può vendere l'eccesso ai miner di Bitcoin invece di ridurre la sovrapproduzione o lasciare gli impianti inattivi. I miner pagano gli impianti per l'elettricità che altrimenti andrebbe sprecata. In condizioni estreme, come un aumento del consumo di energia o ondate di freddo come quelle sperimentate in gran parte del sud degli Stati Uniti a gennaio, i miner possono facilmente spegnere e restituire alla rete la capacità di generazione di elettricità. Quando le condizioni si normalizzano, i miner possono riprendere l'hashing senza perdere nulla se non il tempo di manutenzione, per il quale i programmi di risposta alla domanda li rimborsano direttamente o si riflette nel prezzo negoziato tra miner e centrali elettriche.

I miner di Bitcoin ricavano i loro profitti dalle commissioni di transazione e dalle conferme dei blocchi su un mercato globale, completamente indipendente dalla domanda di elettricità locale a breve termine e dalle condizioni meteorologiche. Interrompere l'erogazione di energia – di fatto restituendola alla rete quando questa diventa temporaneamente più preziosa per altri usi altrove – è un processo semplice ed economicamente vantaggioso. Una situazione vincente per le reti, i consumatori, i miner e i sostenitori dell'energia verde.

Questi ricavi aggiuntivi potrebbero anche rendere la costruzione di centrali elettriche economicamente sostenibile, dove la sovraccapacità non rappresenta più una spesa pura e semplice dato che i miner, sparsi lungo tutta la rete, sono fortemente incentivati ​​a trovare la fonte di energia più economica e prontamente disponibile.

Con il mining di Bitcoin a supporto della rete elettrica, potremmo utilizzare meglio la capacità installata, sprecare meno risorse ed eliminare parte della necessità per i consumatori di sostenere spese in conto capitale costose, necessarie solo in caso di eventi estremi. Questo consumatore di ultima istanza potrebbe proteggere le reti elettriche e monetizzarne la resilienza.

Il mining di Bitcoin, lungi dall'essere un fattore superfluo nel cambiamento climatico, è il tassello mancante del puzzle che stabilizza l'energia verde volatile e rende le reti elettriche adatte al ventunesimo secolo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 13 maggio 2025

L'importanza pluridecennale della Groenlandia per gli Stati Uniti

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da The Epoch Times

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/limportanza-pluridecennale-della)

Durante tutta la mia vita la Groenlandia era fuori dai radar della maggior parte degli americani.

Se gli americani sapevano qualcosa della Groenlandia, era che si trattava della risposta alla domanda banale: “Qual è l'isola più grande del mondo?”

Negli ultimi decenni i fanatici del clima hanno ripetutamente lanciato allarmi su allarmi riguardo il fatto che i livelli globali del mare sarebbero aumentati pericolosamente a causa dello scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia e della vasta copertura del ghiaccio artico.

Purtroppo per gli allarmisti, il famoso ghiacciaio Petermann della Groenlandia ha continuato ad accumulare ghiaccio negli ultimi dodici anni, crescendo di quasi 16 chilometri in lunghezza dal 2012 al 2024. Infatti, negli ultimi dodici anni, la perdita di ghiaccio in Groenlandia si è ridotta complessivamente di due terzi, pari allo 0,0005% della copertura glaciale totale, una quantità non sufficiente a modificare la tendenza a lungo termine dell'innalzamento del livello globale del mare a un tasso di 3 centimetri ogni decennio.

Nel 2025 la Groenlandia diventa improvvisamente una notizia di grande attualità. Il presidente Donald Trump, citando la posizione strategica dell'isola come vitale per la sicurezza statunitense e internazionale, insieme alle ricchezze minerarie in gran parte inutilizzate, ha parlato apertamente dell'annessione dell'isola agli Stati Uniti, suggerendo persino la possibilità di ricorrere alla forza.

Anche se potremmo rabbrividire di fronte all'indelicata proposta di Trump di un'occupazione forzata di un protettorato danese con una popolazione di soli 57.000 abitanti, ha perfettamente ragione nel dire che la Groenlandia è strategicamente importante, e lo è da molto tempo. Lo so sin dalla metà degli anni '50.

Qui devo addentrarmi in un capitolo ampiamente dimenticato della storia della Guerra Fredda. Negli anni '50, con lo sviluppo dei missili balistici intercontinentali (ICBM) dotati di testata nucleare, gli Stati Uniti cercarono di escogitare modi per difendersi dalla minaccia sovietica. Le tattiche difensive spaziavano dalle esercitazioni nelle scuole elementari, che ci costringevano a ripiegarci in patetiche palline di carne nascoste sotto i banchi, alla costruzione della Linea di Allarme Precoce a Distanza (DEW), una serie di decine di installazioni radar all'estremità settentrionale del continente nordamericano che si estendeva verso est fino alla Groenlandia.

Sebbene potesse sembrare controintuitivo per chi pensasse che i sovietici ci avrebbero lanciato i loro missili balistici intercontinentali attraverso l'Atlantico, la realtà geografica del nostro globo è che la distanza più breve tra le rampe di lancio nucleari russe e gli obiettivi negli Stati Uniti era ed è ancora sopra la regione polare e l'Oceano Artico. I radar DEW dovevano darci tempo sufficiente per lanciare un contrattacco e (si sperava) intercettare almeno alcuni dei missili in arrivo.

Ho avuto modo di dare un'occhiata dall'interno alla Linea DEW. “Pop”, lo zio che ha dato una casa a me e a mia madre vedova, aveva eccellenti capacità ingegneristiche e costruttive. Lavorava per la Michigan Bell, parte del Bell System, il principale appaltatore che collaborava con il Dipartimento della Difesa per la costruzione della Linea DEW.

Per farla breve su “Pop”: nonostante avesse servito il suo Paese per tre anni nella Marina degli Stati Uniti a metà degli anni '20, rimanendo nella riserva da allora fino alla Seconda guerra mondiale e prestando servizio attivo per cinque anni in essa (quattro dei quali sulla portaerei Essex nel Pacifico), all'età di cinquant'anni non aveva ancora finito di servire il suo Paese. Si offrì volontario (cosa che fece davvero infuriare mia zia!) per servire nell'Artico e fu nominato sovrintendente assistente responsabile della costruzione dei radar. Il suo superiore diretto si occupò della contabilità in patria, mentre “Pop” visse nell'Artico per due anni (1955-1957) e supervisionò personalmente la costruzione di ognuna di quelle installazioni radar.

Lavorare alla Linea DEW non era per i deboli di cuore. “Pop” copriva spesso due turni da 10 ore nello stesso giorno. C'erano bagni con secchi a temperature di -30 gradi sotto zero; c'erano le lunghe ore di buio in inverno. In più di un'occasione le squadre spalarono la neve per una settimana per preparare una pista di fortuna per gli aerei in arrivo che trasportavano attrezzature e rifornimenti necessari, solo per vedere poi scatenarsi una tempesta di vento il giorno della consegna prevista, vanificando l'intera settimana di lavoro e vanificando così la consegna sperata. Ho ancora una scatola piena di diapositive fotografiche che mostrano oltre una dozzina di aerei gravemente danneggiati durante l'atterraggio sul ghiaccio irregolare, alcuni dei quali erano aerei su cui “Pop” era stato passeggero. Ricordo di aver sentito parlare di una vittima: un uomo caduto in un crepaccio. Costruire la Linea DEW, quindi, era tutt'altro che un compito facile, con il solo vantaggio principale di vedersi raddoppiare lo stipendio.

Come accennato in precedenza, la Groenlandia, come l'Alaska e il Canada, era un sito di installazioni della Linea DEW. Infatti, uno dei regali che “Pop” portò dall'Artico fu un gagliardetto dalla “Base Aerea di Narsarsuak” in Groenlandia. Sono sicuro di essere stato l'unico bambino della mia scuola ad aver mai sentito parlare di Narsarsuak (oggi si scrive “Narsarsuaq”). Curiosità: la pista di Narsarsuaq è in salita verso est, quindi invece di decollare controvento, gli aerei decollano tutti in discesa verso ovest.

La Linea DEW è stata chiusa nel 1993. I satelliti possono rilevare i lanci di missili molto prima dei radar terrestri, con linee di vista limitate dalla curvatura terrestre. Ciononostante la Groenlandia rimane strategicamente importante. Rappresenta un terreno fertile per le malefatte russe e cinesi. E, dato il potenziale economico dei giacimenti minerari sull'isola, è comprensibile che Trump la voglia avvicinare all'orbita statunitense. Spero solo che le sue dichiarazioni schiette non facciano naufragare un buon accordo con i groenlandesi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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