lunedì 29 febbraio 2016

L'inutilità e l'incompatibilità del PIL con un'economia di mercato

Ricordo a tutti i lettori interessati che è in vendita la mia traduzione dell'ultimo libro di Gary North, L'economia cristiana in una lezione, acquistabile a questo indirizzo: http://bit.ly/1JUqFIt. Con questo manoscritto North, attraverso uno sforzo letterario pregevole, unisce ciò che è stato diviso per anni da un mondo accademico cieco e sordo alla centralità dell'individuo nell'analisi economica: etica ed economia. L'escamotage della chiave di lettura teologica è utilizzata per chiarire al lettore come una visione epistemologica chiara sia fondamentale per uscire dall'attuale pantano intellettuale in cui è finita la teoria economica moderna.
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di Keith Weiner


Al Cato Monetary Conference di questa settimana, Scott Sumner ha esposto la sua "proposta modesta": un mercato dei futures ad elevata liquidità con riferimento al Prodotto Interno Lordo Nominale (NGDP). Questa proposta ha attirato la mia attenzione, poiché il mercato dei futures è un tema a me caro.

Sumner è parecchio noto per uno dei suoi punti di vista: la FED dovrebbe considerare l'NGDP come base per la sua politica monetaria. Quindi un mercato a termine che riesce a prevederlo, sarebbe conveniente. Diamo un'occhiata alla sua idea più da vicino.

Di preciso cosa verrebbe tradato? Se compro un futures dell'NGDP, cosa verrà consegnato al termine del contratto? E' decisamente chiaro quello che ottengo quando compro un futures del frumento o del petrolio. Con i futures del PIL nominale, non c'è niente che si possa ricevere perché l'NGDP non è né una merce né un titolo.

Un contratto futures è un derivato, ma un futures dell'NGDP non lo sarebbe.

Quindi come dovrebbe essere saldato un contratto dell'NGDP? L'unica cosa che mi viene in mente (perché Sumner non lo dice) è che il contratto dell'NGDP pagherà in base alla cifra dell'NGDP riportata. Ad esempio, se l'NGDP sarà di $19,000 miliardi, il contratto potrebbe pagare $19,000 (a seconda di quante unità dell'NGDP sono rappresentate nel contratto).

I numeri del PIL sono rivisti un paio di volte dopo la loro pubblicazione. Il contratto dell'NGDP dovrebbe pagare quando esce il numero iniziale, anche se potrebbe essere sbagliato? O quello dell'NGDP sarà l'unico contratto in cui il capitale di entrambe le parti dovrà essere bloccato per mesi fino a quando il Bureau of Economic Analysis non pubblica il numero finale?

Passando al problema successivo, diamo un'occhiata ad un vero e proprio contratto a termine come quello del grano. Supponiamo che il prezzo d'acquisto di un contratto futures sul grano sia di $7.00 e il prezzo di vendita spot del grano sia di $6.50. Ci sono 50 centesimi di profitto per chi può comprare il grano nel mercato spot, venderlo nel mercato dei futures, e conservarlo per tutta la durata. Questo si chiama carrying, un atto di arbitraggio.

L'arbitraggio àncora il prezzo dei futures del grano al prezzo del grano sul mercato spot. Entrambi i prezzi possono muoversi su e giù in risposta ai cambiamenti dell'offerta (supponendo che la domanda del grano sia abbastanza stabile) o al presupposto che cambierà.

Al contrario, il mercato dell'NGDP sarebbe solo per gli speculatori. Non avrebbe alcun collegamento con un prezzo reale e niente arbitraggisti. Sono a favore della legalizzazione del gioco d'azzardo se la gente vuole scommettere sull'NGDP, il tempo, o la corsa dei cavalli. Ma questo non è il punto di Sumner. Egli ritiene che questo mercato prevederà l'NGDP con precisione sufficiente da gestire l'economia senza provocare recessioni e depressioni.

Sumner dichiara che questo mercato non solo sarà liquido, ma sarà addirittura altamente liquido.

Ogni mercato ha un diverso grado di liquidità. Quest'ultima deriva dal carattere della cosa che si vuole scambiare, non da un proclama dello stato. Ad esempio, il rame è più liquido del legname. L'argento è più liquido del rame e l'oro è più liquido dell'argento.

Un mercato liquido ha un prezzo d'acquisto e di vendita continui. Ciò non significa che qualcuno compra o vende sempre. Al contrario, significa che qualcuno è pronto a comprare o vendere in qualsiasi momento. Chi e perché?

Nel mio esempio del grano, ho citato il carrying dell'arbitraggio. Supponiamo che il costo del carrying — interesse e immagazzinamento — sia di 30 centesimi. Ogni trader deve decidere la sua soglia minima di profitto. Supponiamo che Joe sia disposto a farlo per 20 centesimi. Deve incassare almeno 50 centesimi. Può vendere a marzo per $7.00, ed è per questo motivo che fa un'offerta d'acquisto per $6.50 nel mercato spot. Joe non pagherà un centesimo di più, a meno che a marzo il prezzo del grano non salirà.

Joe e i suoi concorrenti sono il motivo per cui c'è sempre un prezzo d'acquisto (e uno di vendita) per il grano.

Ovviamente non ci sarebbe arbitraggio sul carrying con i futures dell'NGDP, e di conseguenza non sarà un mercato molto liquido.

Un mercato dell'NGDP può essere conveniente per i pianificatori monetari centrali, ma senza una ragione per esistere non funzionerà nel modo in cui Sumner spera.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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di Alasdair Macleod


"Posso dimostrare tutto con la statistica, eccetto la verità" — George Canning

L'aforisma di Canning è tanto valido oggi quanto lo era nel 1817, quando egli ricopriva il ruolo di primo ministro della Gran Bretagna. Purtroppo la sua saggezza è stata completamente ignorata dagli economisti mainstream. Questo errore è decisamente rilevante quando vogliamo definire l'attività economica, dove l'abuso della statistica è a livelli che avrebbero sorpreso anche Canning.

Oggi descriviamo l'economia facendo riferimento ad uno dei due suoi stati: crescita o recessione. Arriviamo ad un giudizio sulla sua condizione considerando la somma delle transazioni selezionate dagli statistici e poi sgonfiandola secondo un tasso d'inflazione ideato sempre da loro, il tutto sotto una direzione politica diretta o indiretta. Viene così creato il prodotto interno lordo nominale e quindi aggiustato e definito PIL reale.

Gli errori nel metodo favoriscono una tendenza verso un aumento generale del PIL, sottostimando il tasso d'inflazione dei prezzi. Da qui il passo è breve ad associare l'aumento dei prezzi ad un aumento dell'attività economica. Ne consegue anche, sulla base di questi presupposti, che bisogna evitare a tutti i costi il calo dei prezzi.

Ipotesi, supposizioni. E conducono ad una conclusione ridicola: il calo dei prezzi è la prova di un calo della domanda, di una recessione, o addirittura di una depressione. Un altro aforisma di Canning recita che non c'è nulla di così sublime della verità. Nel nostro caso non c'è sublimità. Perché altrimenti non avremmo visto il miglioramento del livello di vita di ognuno grazie al calo dei prezzi delle comunicazioni, all'accesso ai dati e alla tecnologia nelle nostre case e nella nostra vita quotidiana.

Beh, a quanto pare il calo dei prezzi dei prodotti delle più grandi aziende del settore privato, è la prova che sono popolari e sono buoni per gli affari. Inoltre i macroeconomisti credono fermamente che la condizione di inflazione/deflazione escluda logicamente l'impoverimento delle persone durante l'iperinflazione. Se l'aumento dei prezzi è un bene per l'economia, come mai tutti erano così infelici nella Repubblica di Weimar nel 1923, o in Zimbabwe quindici anni fa? Sicuramente all'aumentare dell'inflazione sarebbe dovuto aumentare anche il livello di felicità......

Neanche qui c'è sublimità.

Nel frattempo gli errori si accumulano. Allora in cosa consiste la crescita economica? Non nell'aumento del valore monetario delle transazioni definite statisticamente ammissibili. Non esiste alcun giudizio qualitativo: gli stati di solito pompano il PIL con burocrazia inutile e progetti che pochi consumatori sarebbero disposti a pagare con i loro soldi. Inoltre un aumento del PIL si verifica solo se vengono aumentati la quantità di moneta e il credito bancario, e poi riversati nella parte dell'economia vagliata dalle statistiche degli statistici.

Quanto segue è ciò che accade quando il nuovo denaro, o credito bancario, entra nell'economia. Le banche creano denaro dal nulla e lo prestano ad un cliente privilegiato. Quest'ultimo lo spende prima che i prezzi s'aggiustino, raccogliendo appieno i vantaggi di quei prezzi che ancora non tengono conto della creazione della nuova moneta. Solo dopo i prezzi dei beni acquistati con questo nuovo denaro rifletteranno la domanda supplementare che si concretizza apparentemente dal nulla, e poi questo effetto si diffonderà seguendo sempre i passi del nuovo denaro speso. La grande maggioranza dei consumatori scoprirà che i prezzi sono già saliti, senza alcun compenso nel loro reddito, o se sono in pensione, nel valore delle loro pensioni e risparmi. Così il risultato finale è un trasferimento di ricchezza dai più deboli della società ai primi destinatari del nuovo denaro.

Mentre il denaro creato ex-novo si diffonde gradualmente in una comunità, i prezzi tenderanno a salire. Se si potesse registrare l'effetto, si scoprirebbe che in termini reali l'attività economica scaturente dalla svalutazione della moneta si sgretola gradualmente con l'aumento dei prezzi. C'è un aumento a breve termine della domanda che poi s'inverte. In un mondo statistico perfetto, il PIL reale monitorerebbe fedelmente l'effetto. Purtroppo dobbiamo fare i conti con gli interessi degli statistici e dei loro finanziatori, e anche con l'inadeguatezza dell'applicazione del metodo statistico, più adatto alle scienze naturali come la fisica che ad una scienza sociale imprecisa simile alla psicologia.

Invece di prendere in considerazione questi effetti temporali sui prezzi da parte dell'inflazione monetaria, si presume che solo un aumento della quantità di moneta e del credito possa portare ad aumenti dei prezzi. Ceteris paribus sicuramente, ma tutto il resto non rimane mai uguale. Di gran lunga più importante è la preferenza relativa della popolazione tra il denaro e i beni. Il denaro conserva il suo ruolo solo perché la gente lo considera tale. Le valute fiat, che non hanno valore per altri scopi, corrono il rischio continuo di perderlo. La condizione necessaria affinché una moneta fiat conservi valore è rappresentata dalla sua domanda.

Supponendo che tale condizione sia soddisfatta, la cosa più importante per determinarne il potere d'acquisto è l'equilibrio marginale delle preferenze delle persone rispetto ai beni. Di solito è stabile, anche perché lo stato garantisce l'esistenza di un monopolio per la sua valuta fiat, e riesce a tollerare grandi variazioni della quantità di moneta e del credito in circolazione senza esserne alterato radicalmente.

Se questa preferenza marginale si sposta dai beni di consumo al denaro, i prezzi dei beni tendono a scendere. Ciò è accaduto durante la crisi finanziaria nel 2008/09. È vero l'opposto quando la preferenza marginale si sposta dal denaro ai beni. È questa condizione che porta all'iperinflazione, non la rapida espansione della quantità di moneta come si suppone comunemente, anche se l'espansione monetaria di solito è parte integrante di tale processo.

Ora dovrebbe essere chiaro che la pianificazione economica centrale attraverso la politica monetaria non potrà mai avere successo. Anche supponendo che i pianificatori centrali siano benedetti da doti di preveggenza, che in realtà non hanno e che nessun modello economico può dare loro, sembrano non sapere che i concetti di crescita e di recessione non coincidono con il progresso economico o la sua mancanza. Per misurarli si affidano all'unica cosa che, come osservò ironicamente Canning, può dire loro tutto tranne la verità.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


venerdì 26 febbraio 2016

Caos pianificato: l'inevitabile implosione del sistema monetario fiat — Parte 2





di Francesco Simoncelli 



SPASMI

Ma il fallimento delle politiche monetarie senza precedenti non è solo qualcosa che sta accadendo in Europa. Anche il resto del mondo se ne sta accorgendo. Soprattutto gli Stati Uniti, dove la recessione economica è alle porte. Dopo 84 mesi di ZIRP e un'espansione del bilancio della FED da $3,500 miliardi, l'unica cosa che i banchieri centrali hanno da mostrare è un'economia di Main Street stagnante e una di Wall Street in evidente astinenza da credito facile. Negli ultimi due anni l'S&P 500 non è andato da nessuna parte, tornando alle cifre del gennaio 2014. Questo significa che il casinò ha perso tutta quell'aria fritta accumulata grazie alla stampante monetaria dell'Eccles Building. Ciò vale anche per la capitalizzazione di mercato di società e banche quotate nei mercati. Ciononostante i robo-trader continuano a spacciare la favoletta "buy the dips", fiduciosi in un miracolo delle banche centrali. Con miracolo, ovviamente, s'intende ciò che anche Draghi ha promesso lo scorso 21 gennaio: più della stessa cosa... che finora ha fallito. Perché? Perché il canale della trasmissione della politica monetaria all'economia più ampia è rotto.

Main Street ha raggiunto il cosiddetto "picco del debito" ed ora sta ricorrendo alle proprie forze per sopravvivere. Ha smesso di credere nell'elisir dell'immortalità costituito dal credito facile. Ripagare i debiti è diventata la priorità, così come vivere del proprio reddito per gestire gli acquisti. I giorni in cui il bancomat degli americani era la propria casa sono finiti. Ma la ripercussione non è stata solo la bolla immobiliare, bensì anche la de-industrializzazione del paese. Infatti gli USA sono diventati sempre più una società fondata sui servizi, lasciando che le industrie delocalizzassero verso lidi più economici. La gigantesca espansione monetaria degli ultimi venti anni ha dapprima inondato i consumatori americani con credito facile, il quale è stato utilizzato per creare un'enorme domanda interna di prodotti esteri. Sulle spalle di questa domanda fasulla sono cresciuti pachidermi industriali come quello cinese e tutta la sua catena di paesi emergenti esportatori al seguito.

Una volta che i rubinetti monetari sono stati chiusi negli USA, la Cina ha dovuto guardare al proprio interno per trovare una domanda talmente grande da poter giustificare l'espansione industriale che aveva avuto luogo sul proprio suolo grazie alle sconsideratezze della FED. Di conseguenza la stampante monetaria della PBOC è stata ulteriormente arroventata, trasformando in trader presumibilmente esperti anche tassisti semi-analfabeti e fattorini ritardati.

La maggior parte dei giocatori d'azzardo nel casinò azionario s'era improvvisamente immedesimata in Dustin Hoffman nel film Rain Man. Inutile dire che, a seguito di questa strategia, la Cina ha gonfiato al suo interno una delle bolle immobiliari più incendiarie mai viste finora. Per non parlare del pattume cartolarizzato che circola nelle banche cinesi e la capacità industriale in eccesso pronta ad invadere l'intero globo. Un coacervo d'investimenti improduttivi ed eccesso d'investimenti sbagliati che s'è esteso lungo tutta la catena d'approviggionamento cinese, la quale include Brasile, Australia, Canada, India, Corea del Sud, Germania. Non sorprende quindi se nell'ultimo anno la Cina ha visto una fuga di capitali pari a circa $1,000 miliardi. Non solo, ma per pagare i suoi oneri saranno intaccate le riserve in valuta estera che finora ha accumulato infuocando il crescendo di vendite e fallimenti.

Questo significa, a sua volta, un ulteriore stop alla domanda di petrolio, il cui prezzo rimarrà nel range dei $25-$35 al barile per i prossimi due anni. Inutile sottolineare che questa rappresenterà una cattiva notizia anche per i petro-stati, i quali saranno costretti a scaricare sul mercato quegli asset nei loro fondi sovrani. E queste notizie cosa possono significare per i mercati azionari e obbligazionari se non "allarme rosso"?

Questo significa che le strategie non convenzionali, al pari di quelle convenzionali, sono state un fallimento, perché come abbiamo scoperto, Mises aveva ragione: la cosiddetta economia mista è destinata a scivolare lentamente verso un'economia di comando, il cui destino è la bancarotta. Infatti il bilancio collettivo delle principali banche centrali s'è espanso del 10X negli ultimi 20 anni, da $2,100 miliardi negli anni '90 ai $21,000 miliardi di oggi. E l'unica cosa che i banchieri centrali sono riusciti ad ottenere è stato solamente una dilazione del redde rationem. La prova di ciò è la narrativa mainstream e quella delle banche centrali inneggianti una ripresa economica, le quali sono in totale contrasto con la realtà dei fatti. È alle porte una recessione e sono gli stessi dati dei mulini statistici dello zio Sam a dirlo.

Gli ordini di beni di capitale sono ritornati al livello dell'aprile del 2000, giù del 25% rispetto al picco del 2014; il rapporto tra inventari e vendite sta cavalcando in alto; le vendite degli esercizi imprenditoriali sono diminuite del 4% rispetto al picco del 2014.





Ma il dato più sconcertante di tutti e che genererà un pandemonio una volta che la recessione non potrà essere negata neanche dai banchieri centrali, è la quantità d'individui all'interno della forza lavoro. Sin dal bust delle dot-com ha sperimentato un trend calante che ora ha raggiunto i livelli del 1978. E tutto ciò nonostante la Yellen abbia proclamato che la FED ha raggiunto il suo obiettivo di disoccupazione del 5%. Inutile ricordare come i vari report del BLS subiscono vari aggiustamenti nel tempo, smorzando la sensazionalità dei numeri appena sfornati. Questo per dire che l'aggregato statistico che misura la disoccupazione è un indicatore mal aggiustato e pressoché inutile per inquadrare la situazione lavorativa degli Stati Uniti. L'eruzione del part-time e dei benefici del welfare ha indotto molti individui facenti parte di Main Street ad arrangiarsi, impedendo la costruzione di una famiglia, l'acquisto della prima casa, ecc. Non sorprende quindi se molti figli più che maggiorenni non riescono a trovare un lavoro con cui mantenere una famiglia e a 30 anni sono ancora costretti a vivere nel seminterrato della casa dei genitori.




Infatti, sebbene il credito al consumo sia leggermente ripartito, ciò è dovuto principalmente a due fattori: prestiti agevolati per studenti e prestiti agevolati per automobili. Entrambi rappresentano un vicolo cieco. Le nuove generazioni, non trovando un lavoro decente, tornano a studiare affinché possano acquisire un pezzo di carta in più da sfoggiare durante i colloqui. Ciò trasforma le università in giganteschi parcheggi per disoccupati e per cattedre clientelari. Si crea occupazione fasulla in questo modo, spingendo gli studenti ingenui verso un indebitamento dal quale non riusciranno a liberarsi. E non possono nemmeno andare in default, perché essi stessi, insieme all'eventuale flusso di reddito che genereranno, rappresenteranno il rimborso dei prestiti. Ma in questo modo non si crea un ambiente di mercato in cui domanda e offerta stabiliscono genuinamente quali lavori sono sostenibili e quali no, bensì si concentrano risorse economiche in un settore presumibilmente proficuo senza averne riscontro attraverso le necessità e i desideri degli attori economici.

Non sorprende, quindi, se la maggior parte dei neo-laureati non trova un posto di lavoro nel settore nel quale s'è specializzata. Le spese statali aumentano, quindi, perché i prestiti faticano ad essere ripagati e lo stato deve mantenere pachidermi scolastici incapaci di generare utili da giustificarne l'esistenza. Senza contare coloro che richiedono le indennità di disoccupazione e altri programmi di welfare. Invece le vecchie generazioni rimangono intrappolate nei prestiti per automobili, perché al giorno d'oggi coloro i quali ricevono credito al consumo sono i pensionati o coloro che hanno uno stipendio consistente (o conti bancari consistenti). Il denaro contante è l'unica garanzia accettata. E i genitori sono, in un certo senso, costretti a finanziare i propri figli i quali non riescono a sbarcare il lunario, diventando di conseguenza la garanzia collaterale. Cosa hanno imparato gli americani dal crollo immobiliare del 2008? Sostanzialmente niente. Dopo aver creduto all'illusione dei mutui facili, adesso stanno credendo all'illusione dei prestiti al consumo facili per acquistare automobili, ad esempio.

Negli ultimi 12 mesi le vendite delle concessionarie sono salite di $65 miliardi, ma il totale dei prestiti per automobili è salito di $90 miliardi. Un record di tutti i tempi. Ma la storia vera non è rappresentata tanto dai default a catena che ne conseguiranno, bensì dalle cartolarizzazioni che un sistema bancario affamato di rendimenti ha sfornato per ottenere un segno positivo a fine anno sul proprio bilancio. Inutile sottolineare che questa non è altro che ingegneria finanziaria sotto steroidi che ha replicato non una, ma una miriade di bolle subprime la cui tossicità ora è sparsa in un tutto l'ambiente finanziario. Infatti gli ABS creati attraverso le cartolarizzazioni sono stati venduti come prodotti di "prima classe", ma soprattutto il loro valore si basa principalmente su un flusso costante di pagamenti. Nel caso dei prestiti per automobili, sul ripagamento del prestito acceso.

Ed è questo quello di cui sono fondamentalmente preoccupati i giocatori d'azzardo nel casinò. Con la stampante monetaria USA temporaneamente ferma, i trade all'interno delle bische clandestine quali sono diventati i mercati azionari hanno iniziato a soffrire per una mancanza di liquidità. Come mostrato nella Prima Parte, la pseudo-ripresa economica è avvenuta solamente nel sistema finanziario e ha investito tutte quelle grandi imprese che hanno goduto delle attenzioni dei giocatori d'azzardo. In questo modo hanno avuto a disposizione combustibile altamente incendiario con cui espandere le loro attività su una base apparentemente solida, ma in realtà argillosa. Infatti non hanno minimamente investito in settori come quello della R&S e di conseguenza i multipli di valutazione sfoggiati nei mercati finanziari non erano altro che aria fritta pompata nel casinò mediante l'ingegneria finanziaria.

Hanno offerto i loro bilanci come sacrificio sull'altare della ZIRP. Ora subiscono le conseguenza di una produzione superflua e inutilmente sovrabbondante, cosa che a sua volta deprimerà le spese in conto capitale e abbatterà i profitti. Ma nessuno dei presunti esperti sulla stampa mainstream e sui canali dei media finanziari è riuscito a prevedere tutto questo. Anzi, il loro consiglio ai lettori e telespettatori era quello di affondare con mani e piedi nella retorica "buy the dips". Non hanno una teoria economica sulla quale basare i loro giudizi. Non sanno dove guardare per tracciare l'origine degli attuali guai economici e finanziari. Sono gli stessi che nel 2014 proiettavano per l'anno successivo utili per azione riguardo l'S&P 500 a $137. Poi è arrivato il 2015 e in base alla contabilità GAAP dell'ultimo trimestre dell'anno gli utili per azione dell'S&P 500 si attestavano a $106 per azione. Nel periodo più recente, invece, tale numero è sceso ulteriormente a $90.66 per azione.

La cosa divertente è che questo è un film che abbiamo già visto nel 2007. Mentre gli imbonitori sell-side strombazzavano per il 2008 utili per azione a $120, la contabilità GAAP ha raccontato un'altra storia. Una discesa importante fino al fondo del giugno del 2009 a $7 per azione.




La lezione da apprendere in tutto questo caos pianificato è che in un mercato libero, questa follia non avrebbe avuto luogo. La mancanza di risparmi avrebbe reso impossibile l'espansione abnorme del settore azionario e obbligazionario, facendo subentrare tempo fa una correzione la quale non avrebbe lasciato scampo a tutte quelle entità che avevano commesso errori economici. Il loro posto sarebbe stato preso da entità concorrenti, le quali avrebbero anche acquisito gli asset di quelle entità andate in bancarotta. Ci sarebbe stata una crisi. Ma sarebbe stata proporzionale alla quantità d'errori commessi, ciò significa che molto probabilmente sarebbe durata poco data l'inesistenza d'istituzioni centrali in grado di mettere i bastoni tra le ruote alla crisi correttiva. Abbiamo visto questo "film" durante la depressione del 1920-1921.

Soprattutto, non ci sarebbe stato spazio per deformità economiche simili:




Se non fosse stato per la carovana delle stampanti monetarie mondiali, a quest'ora staremmo parlando di un'altra storia. Molto simile a quella degli anni '70. Infatti gli USA avrebbero sperimentato un'inflazione dei prezzi "vecchio stile" a seguito dell'incredibile quantità di credito sfornato dalla banca centrale, invece sono stati salvati dalla grande offerta d'acquisto alimentata dalla PBOC, la quale ha sequestrato nei suoi caveau pile e pile di IOUSA. Non si trattava di solidarietà, bensì della volontà dei suzerain cinesi di seguire alla lettera la teoria mercantilistica, ovvero, svalutare la propria valuta comprando pattume obbligazionario USA in modo da favorire il proprio settore dell'export.

Ovviamente tale stato di cose non sarebbe potuto andare avanti per sempre, perché l'espansione monetaria interna ha innescato una baldoria di credito che ha alimentato la più grande bolla immobiliare della storia e un gigantesco boom d'investimenti. L'afflusso di hot money dall'estero, in tal frangente, ha dato l'illusione che l'economia cinese fosse un miracolo economico. In realtà era una questione di tempo prima che il castello di carte cinese iniziasse a barcollare pericolosamente. E lo sgonfiamento delle riserve di valuta estera ne è la prova.




Una volta che la macchina del credito in Cina e nel resto dei paesi emergenti si fermerà del tutto, quelle riserve torneranno nei rispettivi paesi d'emissione andando a caccia di troppo pochi beni. Alla fine le banche centrali otterranno quello che finora hanno disperatamente cercato.



DISPERAZIONE

Nel frattempo continuano ad implementare "più della stessa cosa" che finora ha fallito. Come abbiamo visto nella Prima Parte di questo saggio, la BCE è scesa mani e piedi nella terra della NIRP. Ciononostante, gli individui stanno lentamente dirigendosi ai bordi del campo da gioco, preferendo il buon vecchio contante agli asset finanziari. Questa protezione è efficace in questo contesto, perché il denaro contante in possesso degli attori di mercato elimina l'effetto dei tassi negativi. È per questo che al giorno d'oggi la guerra al denaro contante da parte dello stato e del settore bancario si sta intensificando. Quando i vostri depositi sono sotto forma elettronica, non avete il controllo dei vostri possedimenti. Entità quali lo stato sopravvivono grazie alla sottrazione di risorse economiche dal resto della società. Al giorno d'oggi in tutto il mondo esistono circa $7,000 miliardi di bond statali tradati a rendimenti negativi. In un ambiente finanziario affamato di rendimenti decenti, dove le banche centrali possono prendere risorse per comprare e sovvenzionare simili follie?

Il settore bancario centrale insieme allo stato sta mettendo in atto pratiche al limite della disperazione. Infatti la costante digitalizzazione del mercato insieme ai tassi negativi non farebbe altro che rosicchiare lentamente i depositi degli attori di mercato. Ad esempio, se a gennaio il vostro conto è di €10,000, con i tassi negativi a febbraio arriverà a €9,900. Non solo i tassi negativi trasferiscono risparmi alle banche affinché possano mettere una toppa agli azzardi morali del passato, ma permettono loro di continuare a comprare debito statale. Inutile sottolineare come la scomparsa del contante significhi anche una diminuzione della privacy. Parafrasando Hayek, siamo sulla via verso una nuova schiavitù.

Ma questa è solo la metà della storia. L'altra metà, invece, ci racconta che nessuna di quelle persone con una certa familiarità con la storia e la logica, può credere per un solo nanosecondo che un tale sistema economico e finanziario sia sostenibile. Né è possibile credere che una gigantesca monetizzazione dei debiti mediante le stampanti monetarie, un ambiente economico pervaso da tassi negativi (reali e nominali) e il lento deragliamento verso un'economia di comando, possano avere un esito diverso da una catastrofe economica e finanziaria.

Voglio dire, basta guardare il Giappone. Questa è una colonia di pensionati la cui forza lavoro si restringe ogni mese che passa, i deficit statali superano il 40% delle spese e il debito pubblico è un macigno indistruttibile. Ciononostante il decennale giapponese rende ora 6 miseri punti base, e la recente campagna monetaria da "ritardati totali" infliggerà l'ennesimo colpo incapacitante ai risparmiatori giapponesi.




L'Abenomics, in realtà, altro non era che un piano per gettare nella pattumiera delle valute fallite lo yen, perché questo tipo di strategia politica serve solo a far guadagnare tempo ai pianificatori monetari centrali. Non è di certo la loro soluzione definitiva. Ma una volta che hanno scelto la china scivolosa dell'interventismo progressivo, hanno implicitamente acconsentito a finire in un'economia di comando. Cos'è, ad esempio, il "whatever it takes" di Draghi? Lo stesso discorso è valido per la scelta della NIRP da parte di Kuroda. Infatti questa scelta può fornire un po' di respiro all'economia giapponese, ma si tratta lo stesso di un palliativo. Voglio dire, come si può pensare che i giapponesi non si siano assicurati una Hiroshima finanziaria dopo che la BOJ ha iniziato a sequestrare nel proprio bilancio ogni asset che si muoveva nei mercati azionari e obbligazionari?

E nemmeno la scusa della deflazione era valida per giustificare l'assurda politica monetaria intrapresa dalla BOJ.




Come sottolineato nella Parte Prima di questo saggio, non esiste affatto una cifra numerica magica legata all'inflazione dei prezzi, grazie alla quale l'economia può crescere indisturbata. È retorica delle banche centrali per giustificare la loro intrusione nei mercati finanziari e adempiere al loro ruolo di cartello. E dopo i recenti bagni di sangue nell'indice Nikkei e in quelli dei PIIGS, anche i media maisntream stanno iniziando a porsi delle domande. Questo estratto dal WSJ va dritto al punto:

Le politiche non convenzionali in Giappone e in Europa sono la prova che le banche centrali non possono evocare una crescita economica, la quale ha bisogno di riforme strutturali affinché le risorse economiche possano trovare usi produttivi migliori. La vecchia analogia "push on a string" è tuttora valida. Se le compagnie non riescono a trovare investimenti promettenti, la creazione del credito rimarrà ferma, non importa quanto a buon mercato possa essere.

In poche parole, le banche centrali sono a corto di polvere da sparo. Due decenni di espansione monetaria senza controllo hanno condotto il Giappone e il resto del mondo in una condizione di picco del debito, mentre negli ultimi 8 anni hanno scatenato un mostro inflazionistico feroce nel settore finanziario. Esclusi i bilanci delle famiglie della classe media e quelli delle piccole/medie imprese già saturi di debiti, sono state le grandi aziende che hanno offerto i loro bilanci affinché venissero saturati di debiti. L'effetto ricchezza che ne è scaturito è stato temporaneo ed ora i nodi stanno venendo al pettine. Infatti i bilanci da saturare non ci sono più, e la trasmissione della politica monetaria è definitivamente interrotta.

Questo significa che la recessione deflazionistica incombente, che sgonfierà una bolla del credito da $225,000 miliardi, metterà a nudo l'impotenza delle banche centrali nel fomentare ancora una volta una crescita artificiale. Di conseguenza, con la caduta della presunta onniscienza delle banche centrali, cadranno a loro volta anche tutte quelle illusioni che hanno sostenuto i mercati fino ad oggi. In particolare, tutti quei multipli di valutazione nei mercati azionari. La correzione più pesante, però, avverrà nei mercati obbligazionari statali. Come possiamo vedere dal grafico qui sotto, circa $6,000 miliardi di bond statali sono tradati a rendimenti negativi.





PROTEZIONE

Quando alla fine il bluff viene scoperto, i giocatori fanno "call" e mettono alle strette il presunto giocatore furbo. Le forze di mercato hanno fatto "call" alle strategie delle banche centrali, le quali negli ultimi 8 anni si sono dimostrate fallimentari una dietro l'altra. Potreste pensare che io sia "di parte", ma ecco alcune prove dagli stessi banchieri centrali:
  1. Central banks go to new lengths to boost economies;
  2. Global central banks are running 'out of ammo'.

Dati gli attuali livelli di pazzia monetaria e fiscale, anche l'economia più ampia sta realizzando lentamente che le banche centrali si stanno spingendo troppo oltre con le loro politiche. Di conseguenza non sorprende se l'andamento dell'oro spot sia tornato a salire. Anche in considerazione dei recenti sviluppi all'interno del COMEX, dove il registered gold è ai minimi storici e ad oggi esistono 542 contratti cartacei ogni oncia d'oro. Ci sarà da divertirsi quando tutti coloro che ritengono l'eligible gold tanto affidabile quanto il registered, scopriranno che i caveau delle banche centrali e commerciali occidentali sono praticamente vuoti. Sin dal 2000 l'oro è andato da ovest a est, ovvero, dagli stati occidentali a quelli orientali (soprattutto Cina, Russia, India e Turchia). Faranno la figura degli sciocchi. Diventeranno degli zimbelli come Gordon Brown, il quale poco prima del rally dell'oro d'inizio secolo, vendette gran parte delle riserve della nazione. Coincidenza delle coincidenze, poi, ultimamente il Canada ha fatto la stessa cosa.






L'oro, quindi, non è altro che il proverbiale canarino nella miniera. C'era chi lo dava "per morto". Questa gente non capisce causa ed effetto in economia. Non ha una teoria per analizzare i mercati. Si basano sulle azioni di prezzo che appaiono sui monitor e procedono a formulare le loro conclusioni di conseguenza. Ignorano i trend sottostanti. Ignorano il trend dell'azione umana:
  1. Investors 'go bananas' for gold bars as global stock markets tumble;
  2. "Unprecedented Demand" - US Mint Sells Nearly As Much Gold On First Day Of 2016 As All Of January 2015.

Poi ci sono i pazzi, come Martin Wolf, che predicano l'avvento dell'elicottero carico di soldi da sganciare sulla popolazione. Potete immaginare come andrà a finire. Non fatevi trovare impreparati.



CONCLUSIONE

Quando Mises scrisse Planned Chaos negli anni '50, aveva in mente il destino che avrebbe atteso la cosiddetta "economia mista". Un lento scivolamento verso il caos pianificato culminante con un'economia di comando, la quale non sarebbe sopravvissuta alle prove del libero mercato. Non era chiromanzia o chiaroveggenza. Era l'inevitabilità di un sistema basato sul costante offuscamento di quei segnali che avrebbero garantito una prosperità economica in accordo con i desideri degli attori di mercato.

L'analisi presentata in questo saggio delle varie economie mondiali, vuole fornire la prova di tale deriva e permettere al lettore di comprendere laddove hanno avuto origine i guai economici e finanziari. Ora, ancora una volta, sapete come e perché. È tempo, quindi, di "pianificare" la mossa successiva. Esiste una raccolta di saggi di von Mises intitolata, Planning for Freedom. In essa vengono tracciate le linee guida per non cadere preda del caos pianificato e camminare lungo un sentiero affine alla libertà individuale.

È questo il nostro compito ora. Ovvero, il compito degli amanti della libertà è quello di rappresentare una guida per tutti coloro che, assistendo al lento sgretolamento del sistema economico interventista, cercheranno una spiegazione a tale dipartita. Il keynesismo, teoria economica dominante, finirà sul banco degli imputati. Stavolta non la passerà liscia. Il tempo dei free ride si sta esaurendo.

Io, nel mio piccolo, ho cercato di fornire suddette linee guida scrivendo dapprima un libro di facile accessibilità per chi non conoscesse la Scuola Austriaca, e poi traducendone un altro per approfondire le meccaniche alla base di tale scuola di pensiero economica. Il messaggio di fondo è chiaro: "Non rubare, altrimenti ci saranno sanzioni negative inevitabili." Le banche centrali hanno avuto la presunzione d'essere riuscite ad evitarle; keynesiani e monetaristi hanno appoggiato questa illusione. Ma tutte le distorsioni economiche che si sono accumulate sino ad ora, sono troppo ingombranti per essere ignorate. Stanno trascinando a fondo la presunta onniscienza delle banche centrali e il feticismo dei macroeconomisti per i modelli matematici. Crisi dopo crisi non avranno modo di spiegare cosa sta accadendo, e tutte le loro "ricette" non saranno altro che un buco nell'acqua.

Gli Austriaci sono stati chiari fin dall'inizio, poiché comprendono l'origine dei problemi: l'intromissione statale negli affari economici attraverso la banca centrale. Crisi dopo crisi avremo modo di ribadire questo concetto cruciale.


giovedì 25 febbraio 2016

Caos pianificato: l'inevitabile implosione del sistema monetario fiat — Parte 1





di Francesco Simoncelli


Nel 1920 Ludwig von Mises scrisse uno dei suoi migliori saggi nel campo della teoria economica. In esso descriveva come un'economia di comando fosse inevitabilmente destinata all'autodistruzione. Il calcolo economico, mezzo attraverso il quale gli attori di mercato allocano le risorse economiche, sarebbe divenuto un processo talmente distorto da causare lo sfacelo della società stessa. Gli investimenti improduttivi avrebbero fagocitato i risparmi reali della popolazione e condotto allo spreco vagonate di capitale. Non c'è da sorprendersi se la disperazione dei comunisti era tale da inviare scienziati in tutto l'occidente affinché studiassero i mercati azionari e trovassero il modo d'implementarne una qualche versione iper-pianificata in patria. Inutile dire che fallirono miseramente. Questo perché la libertà economica non è qualcosa che può essere concesso. Invece è qualcosa che esiste a prescindere dalla volontà pianificatrice di una qualche commissione statale.

Le crisi economiche ce lo ricordano. Ed è per questo che la maggior parte degli economisti di oggi non le vede arrivare. Oltre a non avere gli strumenti metodologici adatti, hanno la presunzione d'avere tutte le informazioni necessarie per dire con relativa certezza laddove si troverà l'economia in un determinato periodo del tempo. Nel corso del tempo è sembrato come se i banchieri centrali avessero il potere non solo di dire dove si sarebbe trovata l'economia, ma addirittura di poterla direzionare a piacimento lungo lidi più consoni al presunto benessere della società. All'improvviso era come se alcune persone fossero diventate più intelligenti delle altre, e fossero le uniche ad avere il potere di dire cosa fosse necessario per la società nel suo complesso. In poche parole, l'occidente s'è lentamente trasformato nella sua nemesi. Il crollo dell'URSS ha insegnato all'occidente la lezione sbagliata.

O forse i pianificatori centrali hanno visto la loro stessa fine? Questo non lo sappiamo. Però sappiamo che nel 1950 Ludwig von Mises scrisse un libricino quasi mai citato dagli Austriaci, Planned Chaos. In esso viene tracciata la via percorsa dalla cosiddetta economia mista verso l'autodistruzione. Il metodo era quello utilizzato nel suo saggio del 1920, Economic Calculation in the Socialist Commonwealth, l'unica differenza era che l'autodistruzione veniva paragonata ad un incidente al rallentatore. Ovvero, sebbene il calcolo economico avesse una certa libertà, sarebbe stato sempre più imbrigliato dalla pianificazione centrale al fine di sostenere i suoi progetti improduttivi e la sua esistenza parassitaria.



L'ORIGINE DEI MALI

Quello che non arrivano a capire i pianificatori centrali e i loro galoppini nel mondo dell'economia mainstream, è che, utilizzando le parole di Hayek, si tratta di un problema di conoscenza e d'informazioni. Gli attori di mercato non sono più liberi di scambiare le informazioni in loro possesso con gli altri poiché incapaci di effettuare un calcolo economico con i segnali economici che recepiscono. Detto in modo più semplice, equivale ad attraversare la strada con una benda sugli occhi e dei tappi alle orecchie. Possiamo affidarci solo agli altri sensi. Poco utili in questo caso, poiché incapaci di calcolare con accuratezza il passaggio di un'autovettura. Potreste provare, ma i risultati non sarebbero idilliaci. All'interno dell'ambiente di mercato la conoscenza dei singoli attori di mercato non riesce a carpire quelle informazioni necessarie attraverso le quali dare inizio a progetti sostenibili.

Detto in modo diverso, sebbene la conoscenza soggettiva dei vari attori di mercato permetta loro di avere ben chiaro quale possa essere un progetto d'investimento potenzialmente remunerativo, vengono sviati nella realizzazione di tale progetto e nella sua manutenzione da un ambiente economico che fornisce informazioni inaccurate e molto spesso errate. Di conseguenza la pianificazione centrale dell'economia che propaganda un ambiente economico quanto più vicino alla stabilità possibile, in realtà fomenta il caos e da quest'ultimo non c'è via d'uscita se non un reset totale. Perché? Perché un'inversione di tendenza richiederebbe una correzione degli errori che si sono accumulati nel tempo a causa di suddette distorsioni. Al giorno d'oggi non solo sarebbe finanziariamente suicida per la pianificazione centrale, ma anche politicamente suicida. Quindi va avanti.

Sebbene l'intorbidimento dei segnali di mercato sia iniziato ben prima, il 1971 ha rappresentato una data cruciale in cui s'è abbandonata ogni parvenza di un calcolo economico accurato. La disconnessione tra sostituto del denaro coperto e sostituto del denaro scoperto ha rappresentato l'origine dei nostri mali economici. Ovvero, la chiusura della finestra dell'oro nel 1971 da parte di Nixon, ha sganciato il dollaro fiat dalla sua copertura con l'oro. Dalla conferenza di Bretton Woods nel 1944 fino allo shock di Nixon nel 1971, l'economia mondiale è vissuta in un sistema monetario basato su una parvenza di gold standard. Ciononostante era alquanto efficace. Il dollaro era agganciato all'oro e rappresentava anche la valuta di riserva globale; indirettamente, quindi, anche le altre valute del mondo erano collegate all'oro (per la precisione ad un tasso di cambio di $35 l'oncia).

Il denaro onesto contribuiva a mantenere onesta la grande asta di mercato in cui tutti noi siamo immersi. In che modo? Permettendo agli attori di mercato di operare un calcolo economico quanto più accurato possibile grazie ad un'unità monetaria pressoché stabile. L'espansione del credito era razionata dal mercato, ovvero, quando i risparmi erano abbondanti e i mutuatari pochi, le dinamiche della domanda e dell'offerta fungevano da catalizzatore primario per il prezzo del credito. In questo caso, il tasso d'interesse era basso principalmente a causa delle preferenze temporali degli attori di mercato i quali erano disincentivati a risparmiare di più e i mutuatari erano, invece, incentivati ad accendere prestiti per avviare progetti impensabili da attuare in un ambiente con tassi d'interesse più alti. In questo contesto l'attività economica in generale tendeva ad espandersi, permettendo a salari, profitti e spese d'aumentare di conseguenza. Anche le banche centrali avrebbero "dato una spinta" a tale processo, ma la loro invasività non era preponderante.

Ovvero, lasciavano che il mercato si correggesse e si purgasse di gran parte degli errori economici. Man mano che gli attori di mercato concorrevano per risparmi disponibili sempre più esigui, i tassi d'interesse salivano in risposta a tale cambiamento, incentivando i risparmiatori a risparmiare di più e disincentivando i mutuatari ad accendere nuovi prestiti. Le correzioni erano considerate "eventi naturali" e venivano ostacolate solo marginalmente. Non rappresentavano l'anatema finale sul mondo intero, e venivano viste alla stregua d'opportunità piuttosto che di cataclismi. Questo punto di vista è mutato dal 1971 in poi, con i banchieri centrali che hanno iniziato ad aumentare la mole d'interventi per impedire alle correzioni del mercato di estendersi alle entità protette dal loro cartello: banche commerciali e stati. Per 8 anni la FED, ad esempio, ha combattuto il ciclo economico cercando d'aggirarne le sanzioni negative, fino a quando non è arrivato Volcker e ha restituito l'istituzione di cui divenne presidente al ruolo passivo per cui venne creata.

La correzione risultante costò la rielezione a Carter, ma Tall Paul permise alle forze di mercato di spazzare via parte degli errori che avevano caratterizzato i mandati di Arthur Burns e William Miller. In questo modo non solo permise agli Stati Uniti d'uscire da una delle crisi più dure sin dagli anni '30, ma consacrò l'era del dollar standard la quale avrebbe fatto dimenticare ben presto del gold standard. Infatti la demonetizzazione dell'oro venne completata quando Greenspan prese il posto di Volcker e nel 1987 diede il via all'era dell'intrusività pesante della pianificazione monetaria centrale nei processi decisionali individuali del mercato. L'ingegneria finanziaria sarebbe diventata il nuovo mezzo nelle mani dei giocatori d'azzardo dei mercati azionari per staccare profitti da favola, spingendo a più non posso sulla leva del debito.

La politica monetaria delle varie banche centrali, invece di arginare questi sviluppi, se n'è fatta promotrice, dichiarando al mondo la loro onnipotenza attraverso strumenti di politica come la Taylor rule, la curva di Phillips, il NAIRU, o la forward guidance. Inutile dire che questi strumenti altro non sono che giustificazioni per rendere magicamente risolutive le decisioni dei banchieri centrali. Questa china scivolosa li ha portati a decidere a tavolino quale fosse il tasso d'interesse al quale gli individui avrebbero dovuto accendere nuovi prestiti, li ha visti adottare una politica monetaria talmente sconsiderata che nessuno prima del 2008 aveva mai neanche immaginato, li ha visti implementare tassi d'interesse negativi, li ha visti dichiarare guerre tra valute una dietro l'altra, ecc.

L'incidente al rallentatore previsto da Mises in Planned Chaos lo stiamo vedendo proprio ora, con le banche centrali che implementano una politica distruttiva dietro l'altra. Pensano di poterla fare franca come accadde negli anni '80. Ma la Yellen non è Volcker; i mercati dei capitali non sono quelli di 30 anni fa; la quantità di debiti e distorsioni nell'economia in generale non è quella di 30 anni fa. Oggi il dollaro non è forte perché il dollar standard sta vivendo una "seconda età dell'oro", bensì perché tutte le altre principali valute del mondo continuano ad essere svalutate. Così come Bernanke, la Yellen non vuole essere ricordata come colei che ha frantumato il dollaro. Ma nemmeno come colei che ha penalizzato l'economia non ascoltando le grida di dolore lanciate dai pennivendoli sulla carta stampata. Questo significa che comprerà tempo. Questo significa che i cicli di boom/bust continueranno. Questo significa che ben presto invertirà la sua politica (presumibilmente dopo le elezioni negli USA).



IL LIMITE NON È PIÙ IL CIELO

Questa prospettiva è già stata pienamente abbracciata dalla BCE, infatti lo scorso 21 gennaio Mario Draghi ha affermato che non esistono limiti a quanto possa fare una banca centrale. Il mini-rally in azioni e petrolio è stato un evento quasi scontato, vista la promessa di maggiore credito a basso costo (ormai negativo). Ciò presuppone che il prossimo mese lo zio Mario amplifichi la portata del QE europeo, includendo nelle operazioni d'acquisto della BCE altri tipi di asset. Il sentiero pare proprio quello tracciato da Kuroda, dove la BOJ ha praticamente messo sul tavolo un programma di stimolo atto a sequestrare nel bilancio della banca centrale qualsiasi asset mobile o immobile all'interno dei mercati azionari e obbligazionari. Ma ecco il punto importante: Draghi ha incolpato i prezzi del petrolio e del cibo troppo bassi per il mancato raggiungimento dell'obiettivo d'inflazione.

Nonostante tutte le chiacchiere a sostegno della Taylor rule, essa non gode di prova alcuna che possa siglarne la veridicità. Perché diavolo i consumatori dovrebbero sentirsi più appagati nel comprare cose che costano di più? Ma soprattutto, perché un 2% d'inflazione dovrebbe essere salutare rispetto ad uno 0.1%, o 1%, o 3%? Nessuno lo dice. In realtà, l'obiettivo d'inflazione non rappresenta altro che una giustificazione alle continue intrusioni del settore bancario nell'economia. Una certa stabilità dei prezzi è stato qualcosa di concreto già negli ultimi 5 anni, eppure il fantasma della deflazione continua a terrorizzare banchieri centrali, commentatori nello zombie-box e pennivendoli assortiti.




Gente, questi loschi individui non ricercano lo stimolo dell'economia attraverso il quale distribuire ricchezza economica in tutta la società. Non sono capaci di farlo. Non hanno le conoscenze insite nella testa di ogni singolo attore di mercato. I prezzi di cui si preoccupano realmente sono quelli nei mercati obbligazionari e azionari facenti riferimento ai protetti dal loro cartello. Aiutare gli stati a diluire i propri carichi di debiti. Diminuire silenziosamente i salari dei lavoratori resi eccessivamente onerosi da leggi burocratiche. È in questo modo che la banca centrale "aiuta" l'economia. In un video su Bloomberg c'era Jim Grant che rispondeva ad un classico keynesiano secondo il quale la FED è stata "costretta" ad effettuare il quantitative easing per "curare" l'economia, la quale languiva in uno stato semi-depressivo. Secondo il suo ragionamento, inoltre, la crescita economica si baserebbe esclusivamente sul fatto che le persone corrano dei rischi investendo; in caso contrario, possono accomodarsi ai bordi del campo e venire tassati dalle banche centrali per questo loro atteggiamento "passivo". Il mandato della FED, ad esempio, le permette di fare ciò che è più giusto per l'economia nel suo complesso. Aggiustare i tassi e mandarli in territorio negativo farebbe parte di questa presunta visione onnisciente.

Il sangue sta già scorrendo lungo i mercati mondiali, ma è quello dei risparmiatori. Il presunto effetto ricchezza immaginato dai pianificatori monetari centrali non s'è riflesso nell'economia più ampia a causa del picco del debito.




Tutto il pattume finanziario pre-2008 ha costretto famiglie e piccole/medie imprese a vivere dei propri utili, mentre i loro fondi pensione, ricolmi di asset iper-comprati da parte delle banche centrali, hanno continuato a subire perdite. Non solo, ma quelle grandi aziende che hanno potuto accedere alle nuove linee di credito sfornate dalle banche commerciali, hanno alimentato prezzi più alti nei loro settori. Ciò include anche il settore immobiliare, ad esempio. La persona media non può permettersi questi prezzi, soprattutto ora che i lavori da capofamiglia sono mosche bianche.

Il gioco è truccato. Ma la maggior parte delle persone non lo sa o non ne comprende le meccaniche, e coloro che sono costretti ad entrare nel casinò azionario sono le classiche pecore che vanno al macello. La maggior parte delle volte si posizionano long e non hanno il minimo rudimento nel fare investimenti nei mercati finanziari (es. Banca Etruria e i polli spennati). Le banche commerciali, oltre a fare soldi attraverso i prestiti, fanno soldi impacchettando asset di dubbia qualità e vendendoli ad investitori ignari. La garanzia è sempre la stessa: banca centrale che stampa denaro, o soldi dei contribuenti. Poi quando i debitori al margine vanno in default, la catena di fallimenti inizia a fare vittime all'interno dei mercati e puntualmente si alzano i cori in favore di un maggiore interventismo da parte delle autorità centrali. Ed è proprio questo quello che Draghi pare intenzionato a fare. Il pattern è lo stesso di quello già messo in campo dalla FED sin dal primo quantitative easing: permettere alle entità protette dal cartello delle banche centrali, in particolar modo le banche commerciali, di scatenare un effetto ricchezza attraverso una gigantesca offerta d'acquisto per asset di qualsiasi tipo. Da cosa è costituita questa gigantesca offerta d'acquisto? Dalle riserve in eccesso.





La parvenza di solidità la si vuole dare incentivando le grandi aziende a gozzovigliare nel mercato azionario, affinché mostrino capitalizzazioni di mercato da capogiro e con il denaro che riescono a racimolare nel casinò far partire nuovi progetti d'investimento. Da cosa sono guidati questi progetti? Niente che possa essere basato sui fondamentali di mercato. Di conseguenza il denaro non viene investito in settori come la R&S, bensì in ingegneria finanziaria, prendendo in ostaggio i bilanci delle varie aziende e riempiendoli di debiti. È questo che è accaduto alla Caterpillar, alla Fiat, alle grandi aziende nel settore tecnologico, nel settore minerario/estrattivo, nel settore biotecnologico/farmacologico, ecc. L'insostenibilità dei loro progetti basati sul credito facile non solo metterà nei guai i lavoratori e l'azienda stessa, ma anche quegli istituti finanziari che hanno concesso loro prestiti.

È questo il motivo per cui il settore bancario commerciale in Europa è tuttora nell'occhio del ciclone nonostante il QE della BCE. Gli investimenti improduttivi intrapresi da queste società abbagliate dalle dolci promesse del credito facile, stanno saturando il mercato mondiale di elementi con nessuna o poca domanda. Ciò significa un calo dei profitti. Ciò significa bancarotta. La crisi nel mercato dell'olio di scisto è il caso emblematico. Sta di fatto che, a causa della politica monetaria degli ultimi venti anni, il settore bancario è diventato una pentola a pressione ricolma di asset non performanti. Soprattutto dopo la ZIRP, il calo dei rendimenti all'interno dei mercati obbligazionari e azionari ha costretto i giocatori d'azzardo ad affondare le mani sempre di più in asset rischiosi. La caccia a rendimenti decenti ha fatto ingurgitare e sfornare al settore bancario commerciale una caterva di asset alla cui base non c'era altro che tossicità.

La cartolarizzazione di qualsiasi cosa si muovesse all'interno e all'esterno dei mercati finanziari ha creato bombe ad orologeria che adesso vagano indisturbate nei bilanci di attori di mercato ignari. Quindi anche il fallimento di una minuscola banca potrebbe innescare un effetto domino pericoloso che potrebbe gettare nel panico l'intero mercato finanziario globale. È una storia che abbiamo già visto nel 1998 con LTCM. Più di recente, l'abbiamo rivista con il caso MPS e Nomura. Inutile dire che quando a gennaio è fluito il sangue nel comparto bancario europeo, il quale ha perso più di €400 miliardi in valore di mercato, la prima linea difensiva da parte degli investitori retail è stato il denaro contante. In realtà, lo è da un po' ed è per questo che ultimamente la propaganda a favore dell'abolizione del contante sta intensificando la sua voce. Sicurezza e privacy non sono temi all'ordine del giorno sul tavolo della pianificazione centrale. Il controllo lo è, ma l'era dell'instabilità e del caos pianificato sta incrinando la credibilità e l'affidabilità che ha accompagnato il settore bancario centrale sin dal 1971.





Voglio dire, prendiamo ad esempio il settore bancario italiano. Le misure messe in campo finora non hanno risolto nessuna delle preoccupazioni che sin dall'inizio della Grande Recessione hanno accompagnato i titoli dei giornali. Le bombe innescate, ma non ancora scoppiate, sono state semplicemente caricate d'ulteriore polvere da sparo. Avendo ostacolato il fallimento d'entità in disaccordo con i desideri e le necessità reali dell'ambiente di mercato, la loro tossicità è stata diffusa ulteriormente nelle sale del casinò azionario. Ora i pianificatori monetari centrali cercano di mettervi una pezza promulgando pseudo-soluzioni quali bad bank o bail-in. Palliativi. Perché? Perché fino ad ora tutte le soluzioni partorite da questa banda di truffatori non ha avuto l'effetto da loro desiderato.

Come spiegato sopra, è un problema di conoscenza. È un problema d'asimmetria informativa. La divergenza tra economia reale ed economia pianificata è talmente distante che ormai sta divenendo impossibile per i banchieri centrali intuire dove andrà la prima. Detto in altro modo, è la legge dei rendimenti decrescenti al lavoro. Di conseguenza il salvataggio di Novo Banco in Portogallo attraverso il bail-in non è altro che l'ennesima prova di un sistema bancario europeo "malato". Il salvataggio di Banca Etruria attraverso il bail-in non è altro che l'ennesima prova di un sistema bancario europeo "malato". Prima ancora, il salvataggio di Monte dei Paschi attraverso emissioni obbligazionarie garantite dallo stato era ancora l'ennesima prova di un sistema bancario europeo "malato". Tutti i presunti piani ben congeniati dei pianificatori centrali non fanno altro che sortire lo stesso effetto quando si raggiunge il punto dei rendimenti decrescenti: fallimento.

Non sorprende quindi se Novo Banco, la quale ha "ospitato" gli asset presumibilmente buoni di Banco Espirito Santo, s'è ritrovata un buco da €1.4 miliardi a seguito di tale operazione. Sì, perché gli asset definiti "buoni" vengono calcolati da commissioni e presunti esperti che, attraverso calcoli "complicati", applicano un presunto valore agli asset definiti "buoni". Coloro che sbandierano la presunta onestà e limpidezza di tale processo nei media mainstream e nei blog indipendenti, pavoneggiandosi davanti al proprio pubblico come narratori imparziali, non hanno compreso il funzionamento del sistema bancario commerciale/centrale. O peggio, ne ignorano le meccaniche. Di conseguenza c'assicurano che lo stato "non interverrà". Sciocchezze.

I debiti pubblici dei vari stati europei dipendono dal sistema bancario commerciale affinché esso compri il loro pattume obbligazionario e dal sistema bancario centrale affinché esso agevoli quanto più possibile tale processo. Pensate al Trattato di Maastricht. La BCE l'ha infranto. Pensate al tetto dei deficit. Gli stati europei l'hanno infranto. Pensate al limite del debito pubblico in percentuale del PIL imposto dalle regole europee. Anche questo infranto. L'apparato statale e il suo stuolo di burocrati infrangono sempre le promesse. Ciò vale anche per il recente accordo sulla bad bank italiana che dovrebbe avere una copertura minima da parte dello stato. Non fatevi ingannare. Guardiamo ad esempio lo stato in cui versano le banche europee e il relativo rischio.




Solo in Italia ci sono circa €200 miliardi di sofferenze bancarie, un aumento del 160% sin dal 2009. La gigantesca offerta d'acquisto scatenata dalla banca centrale per alleviare i problemi di debito dei vari stati europei, ha tirato artificialmente giù i rendimenti obbligazionari dei loro debiti. La ZIRP, di conseguenza, ha invaso i mercati finanziari con una fame di rendimenti senza precedenti, incanalando i vari player in zone del mercato molto rischiose. La mancanza di un price discovery onesto ha impedito loro di valutare correttamente il rischio, andando ad ingolfarsi di asset altamente rischiosi. Il settore bancario commerciale, quindi, nonostante agevolato dalla stampante monetaria s'è caricato d'ulteriori asset tossici. Inutile dire che la sua implosione scatenerebbe di nuovo il panico nei mercati, soprattutto in quello dei bond sovrani. Ciò significa rendimenti crescenti. Ciò significa lo spettro della bancarotta. E' per questo che lo zio Mario lo scorso 21 gennaio ha fatto sapere d'essere disposto a fare "di più" per stabilizzare l'UE. Non sorprenderebbe se iniziasse anche a comprare pattume delle bad bank.

Anche l'Italia, uno dei malati più gravi in Europa, ha raggiunto un accordo con l'UE riguardo la propria bad bank. Innanzitutto osserviamo i grafici seguenti.





Il primo rappresenta l'andamento azionario delle varie banche negli ultimi tre mesi; il secondo cattura l'ammontare dei prestiti non performanti all'interno dei loro bilanci. L'idea quindi è quella di creare un istituto in grado d'incamerare queste sofferenze ed alleviare i bilanci delle banche in questione. L'equivalente di spazzare marciume sotto il tappeto. Peggio, perché questo marciume sarà dapprima spazzato sotto il tappeto e poi confezionato di nuovo per essere venduto come se fosse un prodotto di prima classe!

Infatti l'idea è quella di cartolarizzare la spazzatura che finirà nella bad bank ed inondare i mercati finanziari con questo pattume come se niente fosse. E cosa accadrà in un ambiente in cui c'è una fame di rendimenti decenti? Esatto! Si comprerà. Perché qualcuno dovrebbe essere così folle da fare una cosa del genere? Ovvio, c'è la garanzia dello stato. In poche parole, qualora qualcosa dovesse andare storto, sarà chiamato in causa il bancomat dello stato: il contribuente. Infatti quando il costo della garanzia di suddette cartolarizzazioni inizierà a richiedere esborsi sempre maggiori, la via sarà duplice: nuove tasse o più deficit.

È esilarante vedere come banchieri centrali e stampa mainstream continuino ad affermare che per uscire da una buca bisogna scavare più in profondità.




mercoledì 24 febbraio 2016

Come l'Italia colerà a picco e trascinerà con sé l'intera Europa

Ricordo a tutti i lettori interessati che è in vendita la mia traduzione dell'ultimo libro di Gary North, L'economia cristiana in una lezione, acquistabile a questo indirizzo: http://bit.ly/1JUqFIt. Con questo manoscritto North, attraverso uno sforzo letterario pregevole, unisce ciò che è stato diviso per anni da un mondo accademico cieco e sordo alla centralità dell'individuo nell'analisi economica: etica ed economia. L'escamotage della chiave di lettura teologica è utilizzata per chiarire al lettore come una visione epistemologica chiara sia fondamentale per uscire dall'attuale pantano intellettuale in cui è finita la teoria economica moderna.
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da Zero Hedge


L'Italia è grande abbastanza da destare preoccupazioni (è l'ottava economia più grande del pianeta), ma poiché priva d'eventi di rilievo, la maggior parte delle persone non sta prestando attenzione a quello che sta succedendo in questo paese. Noi riteniamo che l'Italia, nel corso dei prossimi 12 o 24 mesi, finirà sul radar di tutti in quanto ha il potenziale per far deragliare il progetto europeo.

Grecia, Portogallo e Irlanda erano test di prova di quello che accadrà. La Spagna rappresentava una sfida ardua, ciononostante è stata riportata in carreggiata a stento. L'Italia farà colare a picco l'intera struttura europea se continuerà a seguire la sua traiettoria attuale, e non c'è nulla che faccia presagire un cambiamento di direzione.

Il problema principale dell'Italia è il suo livello di PIL nominale stagnante, una sorta di "giapponesizzazione" della sua economia. Di solito le persone pensano alla deflazione quando sentono parlare del Giappone, il che non è un'associazione del tutto corretta. È vero che il PIL nominale è rimasto piatto dopo la crisi degli anni '90, la quale ha fatto diminuire i redditi. Tuttavia, se davvero fosse stato un periodo di deflazione, anche le spese sarebbero dovute scendere poiché i prezzi dei servizi sarebbero scesi in concomitanza. Ciò non è avvenuto ed è più corretto dire che il Giappone è stato intrappolato in una deflazione del PIL nominale e delle entrate, da qui la presunta necessità dell'Abenomics, o in parole povere, la creazione di uno tsunami di valuta per aumentare il PIL nominale e le entrate e quindi ridurre la necessità d'emettere obbligazioni. Come mostra il primo grafico, finora è stato un modesto successo. Si prega di notare che l'Abenomics non ha nulla a che fare con la creazione di prosperità reale (nessuno può essere così ignorante), ma si prefigge di tenere sotto controllo il problema del debito aumentando la tassa dell'inflazione.




L'Italia è ora più o meno nella stessa situazione, con le entrate fiscali che a stento tengono il passo con le spese, id est i consumi pubblici. Gli investimenti latitano e, dal punto di vista nominale, hanno raggiunto lo stesso livello dei primi anni '80. Quando le entrate s'appiattiscono, a causa della mancanza d'investimenti, e le spese correnti continuano ad aumentare, il deficit viene compensato dall'emissione di debito. Il gap tra le prospettive future (una funzione delle decisioni sbagliate del passato) ed entrate piatte è difficile da sanare, in quanto richiede grandi sacrifici oggi senza alcun vantaggio per gli anni a venire.




Proprio come il Giappone, l'Italia è intrappolata con una stagnazione del PIL nominale e crescenti livelli di debito utilizzato per pagare le spese correnti. Come mostra il grafico qui sotto, c'è un senso d'ineluttabilità nella storia italiana. Sappiamo tutti che arriverà il giorno della resa dei conti, perché la traiettoria attuale è insostenibile. Lo stato italiano, proprio come quello giapponese, utilizza il risparmio delle famiglie per finanziare il suo consumo facendo finta d'investire tale denaro per il futuro. In altre parole, le famiglie italiane mettono i loro soldi in banca, o in fondi pensione pubblici, i quali vengono utilizzati per finanziare i pensionati attuali, ma suddette famiglie pensano che i fondi presumibilmente risparmiati saranno a loro disposizione una volta che andranno in pensione. La circolarità qui è evidente a chiunque abbia voglia di guardare. NON ci sono risparmi, ci sono solo dichiarazioni di bilancio, ma sono lontane anni luce da ciò che costituisce investimenti produttivi reali.




Mentre gli investimenti produttivi vengono smantellati da uno stato in continua espansione e dal suo incessante bisogno di finanziare le spese correnti, non c'è molto che le banche possano fare per stimolare gli investimenti e sostenere la crescita. Non è un caso se le linee riguardanti gli asset bancari siano piatte come quelle del PIL nominale. Entrambi sono strettamente interconnessi; e poiché le banche non trovano clienti disposti o in grado d'accendere prestiti e investire, esse si ridimensionano e si ferma così la crescita dell'offerta di moneta, sia attraverso un moltiplicatore monetario calante e/o attraverso una velocità del denaro calante. In entrambi i casi, il PIL nominale si ferma, mentre l'insaziabilità della spesa pubblica fa aumentare senza sosta il debito pubblico.




Si noti che ogni azione intrapresa dalle banche centrali, che si tratti di ZIRP, forward guidance, o QE, ha rappresentato un atto di manipolazione della domanda di credito, strategia che ha fallito miseramente a causa dei vincoli di bilancio sia nel settore privato sia in quello pubblico. Al fine d'alleviare questa situazione, sono stati progettati tassi d'interesse negativi (sulle riserve in eccesso presso la banca centrale, per esempio) per forzare le banche a prestare denaro alla popolazione più ampia. Inutile dire che questa è una politica da condannare, tanto per cominciare. Se non ci sono mutuatari degni di credito disposti a prendere in prestito denaro, allora costringere le banche a fornire credito è pura follia; ma il disperato bisogno di creare una crescita del PIL nominale ha spento ogni barlume di buon senso. A tal proposito è interessante notare che i settori in cui è cresciuta la domanda di prestiti, dopo che la BCE è andata all-in, sono esattamente quei settori improduttivi che dovrebbero ridurre l'indebitamento e liberare risorse nei confronti del settore produttivo. Purtroppo questo non è ciò che sta accadendo.




Non dovrebbe sorprenderci se gli investimenti italiani sono in ritirata rispetto a quelli dei suoi coetanei. Secondo l'Eurostat gli investimenti lordi italiani sono più bassi oggi di quanto non fossero a metà degli anni '90. Sapendo che una base di capitale si deprezza di circa il 20% ogni anno, non saremmo sorpresi d'apprendere che lo stock di capitale italiano è in declino poiché l'attuale struttura di produzione e i modelli di consumo italiani non possono essere sostenuti senza consumare lo stock di capitale stesso.




Una prova che sostiene la nostra tesi è il fatto che in Italia la produttività del lavoro è in calo. Se il capitale per lavoratore è in calo, come accade in una situazione in cui, attraverso l'ammortamento, il capitale si consuma, ci si dovrebbe aspettare una minore produzione per lavoratore. Questo è esattamente ciò che è accaduto negli ultimi 15 anni. Tal processo è accelerato mentre gli investimenti hanno raggiunto un picco e sono scesi dopo la Grande Recessione, proprio come ci aspettavamo.




Dal momento che i decisori delle politiche identificano il problema con la mancanza di credito, ignorando che il credito non può essere dato ad una persona poiché è qualcosa che essa ha già, le attenzioni si focalizzano principalmente sull'aumento del credito, dell'offerta di denaro e dell'inflazione/PIL nominale. L'attenzione si è quindi spostata da quelli che ormai potrebbero essere definiti strumenti convenzionali di politica monetaria, come il QE e le iniezioni di liquidità attraverso il TLTRO, ai tassi d'interesse negativi e alle sofferenze bancarie.

Le banche italiane sono ufficialmente sommerse in €200 miliardi di prestiti non performanti, mentre le stime non ufficiali parlano di €350 miliardi. Questi prestiti non performanti crescono ogni anno e costituiscono oltre il 12% del PIL nominale. Le sofferenze nelle società non finanziarie arrivano al 18% del loro portfolio.

Sebbene tutto ciò dovrà essere affrontato in qualche modo, si sta pensando a come ripulire i bilanci bancari da queste sofferenze in modo che le banche possano tornare a prestare di nuovo denaro, il che è solo un eufemismo che sta per creazione del credito, inflazione e "crescita".




A gennaio il governo italiano ha presentato un piano che ha lasciato indifferenti i mercati, poiché i regolamenti comunitari in materia d'aiuti di stato li hanno sostanzialmente costretti ad inventarsi qualcosa per sostenere le banche italiane (presumiamo per conto del contribuente italiano). Inoltre i bail-out sono stati rinominati in bail-in: le banche possono rivalersi sui titolari di debito e sui depositanti garantiti prima che venga consegnato loro un qualsiasi aiuto di stato.

Quindi come sarà affrontato il problema? Abbiamo intuito qualcosa durante la testimonianza di Draghi al Parlamento Europeo, quando ha detto che le sofferenze bancarie possono essere aggiunte ai titoli garantiti da asset i quali sarebbero poi acquistabili dalla BCE tramite il suo programma di QE. Si tratterebbe di una situazione "win-win" per i pianificatori monetari centrali poiché l'attuale programma di QE, a differenza degli interventi precedenti della BCE, elimina il rischio di credito nei bilanci delle banche. Inoltre più titoli ABS allevierebbero la carenza di titoli con cui la BCE è attualmente alle prese. Francoforte è quindi alla frenetica ricerca di ulteriori asset da acquistare al fine di evitare la trappola della BOJ. Ad oggi meno del 5% degli attivi bancari italiani sono cartolarizzati, mentre l'Asset-Backed Security Program della BCE è il meno riuscito con solo €18 miliardi di titoli acquistati finora, rispetto ai €155 miliardi del terzo Covered Bond Program e quasi €600 miliardi del Public-Sector Purchase Program.




Il problema fondamentale della solvibilità finanziaria non può essere risolto con questo gioco di prestigio, poiché il rischio di credito viene trasferito dal settore bancario privato al settore pubblico. E questo ci mostra ciò che probabilmente è lampante a tutti, compresi gli uomini e le donne in carica: l'unica cosa che può veramente portare ad un cambiamento positivo è una crisi. Solo così potremmo affrontare onestamente la realtà attraverso una liquidazione del debito, un ri-allineamento del consumo con la produzione e la fine del welfare state. L'elettorato, i politici e la maggior parte dei burocrati in Italia e in Europa opterà sempre per l'opzione "calciare il barattolo", almeno finché riusciranno a farlo; soprattutto perché sono stati proprio loro a creare questa gigantesca mole di problemi economici e finanziari. In altre parole, un cambiamento, un cambiamento reale, non arriverà fino a quando non risulterà assolutamente necessario, imposto dal game-over monetario.

Se è vero che la monetizzazione degli asset tossici può essere inizialmente percepita come la via d'uscita per l'Italia, in quanto le banche potranno ancora una volta espandere il loro stato patrimoniale e di conseguenza stimolare il PIL nominale e tenere sotto controllo il rapporto debito/PIL, i fatti sono più pericolosi – L'Italia è un incidente ferroviario visto al rallentatore. Il consumo italiano supera la produzione, e ciò è andato avanti per anni. La base di capitale viene erosa, la produttività del lavoro è in calo (e non abbiamo nemmeno parlato della sua situazione demografica disastrosa) e gli standard di vita sono stagnanti. L'unica cosa che mantiene ancora in vita l'Italia è la sua capacità di rinnovare ed emettere nuovo debito.

Nel 2012 è andata vicino ad essere lasciata per conto suo, e sin da allora nulla è cambiato. L'Italia ha ancora bisogno di rinnovare annualmente obbligazioni per un valore pari al 25% del PIL e il minimo intoppo manderebbe in bancarotta il paese in un nanosecondo. La chiave è, ovviamente, un sistema bancario "sano" disposto e in grado di continuare a comprare obbligazioni di nuova emissione, mentre quelle vecchie giungono a maturazione.




Con un rapporto debito/PIL ben oltre il 100%, la sensibilità dell'Italia ai tassi d'interesse cresce in modo esponenziale. Quando l'interesse medio pagato sul debito era salito di 40 punti base durante l'Euro Crisi nel 2012, gli interessi passivi in percentuale del PIL salirono di 80 punti base. Allora la BCE riuscì a liberare il Tesoro italiano dal rischio di mancati rinnovamenti delle obbligazioni. La prossima volta, quando la reputazione della Banca Centrale Europea passerà dalle stelle alle stalle, l'Italia non sarà così fortunata. Se immaginassimo che i tassi d'interesse italiani fossero come quelli del periodo 2000-2005 (una media del 4.8%), oggi il paese spenderebbe il 6.5% del PIL solo per pagare gli interessi.




Quando alla fine l'Italia soccomberà alla realtà, quest'anno o il prossimo, il progetto europeo dovrà affrontare ostacoli insormontabili e collasserà su se stesso.

A nostro avviso, la scomparsa del parassitismo di Bruxelles può solo portare cose buone. Forse gli inglesi ci salveranno dall'agonia e manderanno tutti a casa il 23 giugno. Possiamo solo sperarci.








[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/