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martedì 24 dicembre 2013

Il principio di Santa Claus





di Ludwig von Mises


[Nota dell'editore: il messaggio del Presidente Obama sulla questione "Fiscal Cliff" può essere riassunto così: «O il Congresso mi peremtte di spennare i "ricchi," oppure voi sarete ad essere spennati quando un'impennata di tributi fiscali vi capiterà tra capo e collo il prossimo anno. O voi o loro.» La popolazione americana non dovrebbe cedere di fronte a questa demagogia criminale. Non solo spennare i ricchi porta al consumo di capitale e ad un impoverimento generale, ma contribuirebbe esiguamente a far scomparire il deficit federale. Senza un taglio della spesa del governo, il fardello di uno stato-leviatano ancor più ingombrante ricadrà inevitabilmente sulle spalle del settore produttivo. Mises spiega questi concetti in questo brillante estratto.]


[Azione Umana (1949). Un file mp3 di questo articolo, narrato da Jeff Riggenback, è disponibile per il download.]


L'esaurimento del fondo di riserva


L'idea che sottostà alle politiche interventiste è che i maggiori redditi e la ricchezza della parte più benestante della popolazione costituiscono un fondo che può essere liberamente usato per migliorare le condizioni dei meno abbienti. L'essenza della politica interventista è di togliere a un gruppo per dare a un altro. È confìsca e distribuzione. Ogni misura è in definitiva giustificata dichiarando che è equo opprimere il ricco a vantaggio del povero.

Nel campo della finanza pubblica la tassazione progressiva dei redditi e dei patrimoni è la manifestazione più caratteristica di questa dottrina. Tassare i ricchi e spendere il ricavato delle tasse per migliorare le condizioni dei poveri è il principio dei bilanci contemporanei. Nel campo delle relazioni industriali la riduzione delle ore di lavoro, l'aumento dei salari e mille altre misure sono raccomandate nella supposizione che favoriscano gli impiegati e gravino sul datore. Ogni problema economico di governo e della comunità è trattato esclusivamente dal punto di vista di questo principio.

Un esempio illustrativo è dato dai metodi applicati alla gestione delle imprese nazionalizzate e municipalizzate. Queste imprese spesso finiscono in un fallimento finanziario; i loro conti mostrano regolarmente perdite che gravano il Tesoro dello stato o della città. Non serve a nulla indagare se le perdite sono dovute all'inefficienza notoria della gestione pubblica delle imprese economiche o, almeno parzialmente, all'inadeguatezza dei prezzi a cui le merci e i servizi sono venduti ai clienti. Ciò che importa è che i contribuenti debbono coprire queste perdite. Gli interventisti approvano pienamente questo modo di agire. Essi rigettano appassionatamente le due altre soluzioni possibili: vendita delle imprese a imprenditori privati o aumenti dei prezzi praticati agli utenti a un livello che non determinino ulteriori perdite. La prima di queste proposte è per loro manifestamente reazionaria, perchè la tendenza inevitabile della storia è verso una sempre maggiore socializzazione. La seconda è ritenuta "antisociale," perchè graverebbe di più le masse consumatrici. È più giusto far sopportare l'onere ai contribuenti, cioè ai cittadini ricchi. La loro capacità contributiva è maggiore di quella della popolazione media che viaggia sulle ferrovie nazionalizzate, sui tram, sulle ferrovie sotterranee e sugli autobus. Domandare che tali pubblici servizi debbano essere autosufficienti è, dicono gli interventisti, un relitto delle vecchie idee della finanza ortodossa. Si potrebbe allora benissimo aspirare a rendere autonome le strade e le scuole pubbliche.

Non è necessario discutere coi sostenitori della politica del deficit. È ovvio che il ricorso al principio della capacità contributiva dipende dall'esistenza di redditi e fortune tali che possano ancora essere confiscate con le tasse. Non si può più ricorrervi una volta che questi fondi extra sono esauriti dalle tasse e da altre misure interventiste.

Questo è proprio il presente stato di cose della maggior parte dei paesi europei. Gli Stati Uniti non sono ancora andati così lontani. Ma se la tendenza attuale delle loro politiche economiche non viene alterata, quindi saranno nelle stesse condizioni fra pochi anni.

Per quanto ci riguarda, possiamo trascurare tutte le conseguenze prodotte dal completo trionfo del principio della capacità contributiva e concentrarci sui suoi aspetti finanziari.

L'interventista, sollecitando spese pubbliche addizionali, non è conscio del fatto che i fondi disponibili sono limitati. Egli non si rende conto che l'aumentata spesa in un settore impone restrizioni in altri settori. Secondo lui v'è abbondanza di moneta disponibile. Reddito e ricchezza del ricco possono essere liberamente assorbiti. Raccomandando una maggiore assegnazione per le scuole, egli semplicemente sottolinea il punto che sarebbe buona cosa spendere di più per l'istruzione. Non s'avventura però a provare che un aumento dell'assegnazione di bilancio per le scuole è più conveniente che aumentare quello di un altro settore (es. quello della sanità). Non gli capita mai che gravi argomenti possano essere sostenuti in favore della politica restrittiva della spesa e della riduzione degli imponibili fiscali. I sostenitori dei tagli di bilancio secondo lui difendono semplicemente gli interessi manifestamente ingiusti dei ricchi.

Al livello attuale delle imposte sul reddito e quelle di successione, questo fondo di riserva col quale gli interventisti cercano di coprire tutte le spese pubbliche va rapidamente esaurendosi. In molti paesi europei è praticamente scomparso del tutto. Negli Stati Uniti i recenti progressi dei tassi fiscali hanno prodotto soltanto risultati trascurabili sulle entrate, al di là di quanto si sarebbe ottenuto con una progressione che si fosse arrestata a tassi molto più bassi. Gli alti tassi di sovrimposizione per i ricchi sono molto popolari fra dilettanti demagoghi e interventisti, ma essi assicurano soltanto modeste aggiunte all'entrata.[1] Di giorno in giorno diventa sempre più ovvio che larghe aggiunte all'ammontare della spesa pubblica non possono essere finanziate "spremendo i ricchi," ma che gli oneri debbono essere sopportati dalle masse. La politica fiscale tradizionale dell'era interventista, i suoi magnificati strumenti della tassazione progressiva e della spesa generosa, sono stati spinti ad un punto in cui la loro assurdità non può più a lungo essere celata. Il noto principio che, mentre le spese private dipendono dalla dimensione del reddito disponibile, gli introiti pubblici si debbono regolare secondo le spese, si confuta da sè. Da qui in poi, i governi dovranno rendersi conto che un dollaro non può essere speso due volte e che le varie voci della spesa governativa stanno in mutuo conflitto. Ogni soldo addizionale di spesa governativa dovrà essere raccolto proprio da quella gente che sin qui si è preoccupata di trasferire gli oneri principali ad altri gruppi. Coloro che mirano a ottenere sussidi dovranno pagarseli da sè. Le perdite delle imprese gestite e possedute da enti pubblici verranno gravate sulla massa della popolazione.

La situazione del nesso datore-impiegato sarà analoga. La dottrina popolare sostiene che i salariati ottengono "guadagni sociali" a spese del reddito non guadagnato delle classi sfruttatrici. Gli scioperanti, si dice, non scioperano contro i consumatori ma contro "la direzione." Non vi è ragione di aumentare i prezzi dei prodotti quando i costi del lavoro sono aumentati; la differenza deve essere sopportata dai datori di lavoro. Ma quando la parte degli imprenditori e dei capitalisti viene sempre più assorbita da tasse, saggi salariali elevati e altri "guadagni sociali" degli impiegati e da prezzi di calmiere, nulla rimane per questa macchinosa funzione. Allora diventa evidente che ogni aumento salariale, con tutta la sua efficacia, deve influenzare i prezzi dei prodotti e che i guadagni sociali di ogni gruppo corrispondono esattamente alle perdite sociali degli altri gruppi. Ogni sciopero diventa, anche nel breve e non soltanto nel lungo andare, sciopero contro il resto della popolazione.

Un punto essenziale della filosofia interventista è l'esistenza di un fondo inesauribile che può essere spremuto senza fine. Tutta questa dottrina crolla quando questa fonte è prosciugata. Il principio di Santa Claus si elimina da sè.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Negli Stati Uniti il saggio di sovrimposta nella legge del 1942 era del 52% sul reddito imponibile tra $22,000-26,000. Se la sovrimposta si fosse arrestata a questo livello, la perdita d'entrata nel 1942 sarebbe stata di circa $249 milioni, ossia il 2.8% dell'imposta sul reddito totale individuale per sudetto anno. Nello stesso anno i redditi totali netti nelle classi di reddito da $10,000 e oltre erano di $8,912 milioni. La confisca completa di questi redditi non avrebbe prodotto un gettito di imposta come quello ottenuto in questo anno da tutti i redditi imponibili, cioè $9,046 milioni. Cfr. A Tax Program for a Solvent America, Committee on Postwar Tax Policy (New York, 1945), pagg. 116, 117 e 120.

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venerdì 18 ottobre 2013

I Problemi Essenziali dell'Esistenza Umana





di Ludwig von Mises


[Questo articolo è un estratto dal Capitolo 39 dell'Azione Umana ed è letto da Jeff Riggenbach. Un file MP3 di questo articolo, narrato da Jeff Riggenbach, è disponibile per il download.]


1. Scienza e vita

È normale trovare deficiente la scienza moderna perchè si astiene dall'esprimere giudizi di valore. L'uomo che vive e opera, si dice, non se ne fa nulla della Wertfreiheit; egli ha bisogno di sapere a che deve tendere. Se la scienza non risponde a questa questione, è sterile. Tuttavia l'obiezione è infondata. La scienza non valuta, ma fornisce all'uomo agente tutte le informazioni di cui abbisogna per le sue valutazioni. Essa tace soltanto sulla questione, se la vita stessa sia o meno degna di essere vissuta.

Anche questa questione, naturalmente, è stata sollevata e lo sarà sempre. Quale è il significato di tutti gli sforzi e le attività umane, se in definitiva nessuno può sfuggire alla morte e alla decomposizione? L'uomo vive nell'ombra della morte. Qualunque cosa possa realizzare nel corso del suo pellegrinaggio, egli deve un giorno morire e abbandonare tutto ciò che ha costruito. Ogni istante può essere l'ultimo. Vi è solo una cosa certa sul futuro dell'individuo — la morte. Dal punto di vista di questo risultato ultimo e ineluttabile tutto lo sforzo umano appare vano e futile.

Inoltre, l'azione umana deve essere detta inane se giudicata semplicemente riguardo ai suoi scopi immediati. Essa non può mai dare completa soddisfazione; porta semplicemente ad una rimozione parziale del disagio per un istante evanescente. Non appena un bisogno è soddisfatto, nuovi bisogni emergono e domandano soddisfazione. La civiltà, si dice, rende la gente più povera perchè moltiplica i suoi bisogni e non blandisce ma esaspera i suoi desideri. Tutto il daffare dei lavoratori, la loro fretta, il loro premere e tumultuare non hanno senso, perchè non dànno nè felicità nè quiete. La pace della mente e la serenità non si possono ottenere con l'azione e l'ambizione secolare, ma soltanto con la rinuncia e la rassegnazione. L'unico modo saggio di condotta è di rifugiarsi nell'inattività di una esistenza puramente contemplativa.

Ma tutti questi dubbi, esitazioni e scrupoli sono soggiogati dalla forza irresistibile dell'energia vitale. È vero che l'uomo non può sfuggire alla morte. Ma al presente egli è vivo; e la vita, non la morte, si impossessa di lui. Qualunque cosa gli possa riservare il futuro, non può sottrarsi alle necessità dell'ora presente. Fintanto che vive, non può fare a meno di ubbidire al suo impulso cardinale, l'élan vital. È natura innata che l'uomo cerchi di preservare e migliorare l'esistenza, che sia scontento e tenda a rimuovere il disagio, che sia alla ricerca di ciò che può essere detto felicità. In ogni essere vivente agisce un inesplicabile e non analizzabile Id. Questo Id è l'impulso di tutti gli impulsi, la forza che spinge l'uomo nella vita e nell'azione, l'originale e insopprimibile desiderio di un'esistenza più piena e più felice. Esso agisce fintanto che l'uomo vive e s'arresta solo con la morte.

La ragione umana serve questo impulso vitale. La funzione biologica della ragione è di preservare e migliorare la vita e di posporre la sua estinzione il più a lungo possibile. Pensiero e azione non sono contrari alla natura; sono, piuttosto, le principali caratteristiche della natura umana. La descrizione più appropriata dell'uomo che si differenzia dagli esseri non umani è: un essere che lotta deliberatamente contro le forze contrarie alla sua vita.

Quindi tutti i discorsi sulla preminenza degli elementi irrazionali sono vani. Entro un universo la cui esistenza la nostra ragione non può spiegare, analizzare o concepire, vi è un campo ristretto in cui l'uomo è capace di rimuovere in qualche misura il disagio. Questo è l'ambito della ragione e della razionalità, della scienza e dell'azione deliberata. E non sarà la sua meschinità, nè la scarsezza dei risultati che l'uomo può ottenervi, a suggerire l'idea di una rassegnazione e di un letargo radicale. Nessuna sottigliezza filosofica può mai trattenere un individuo sano dal ricorrere ad azioni, che — secondo lui — possono soddisfare i suoi bisogni. Può essere vero che nei profondi recessi dell'animo umano c'è il desiderio della pace indisturbata e dell'inattività, proprie ad un'esistenza meramente vegetativa. Ma nell'uomo vivente questi desideri, comunque siano, sono superati dallo stimolo all'azione e al miglioramento delle proprie condizioni. Una volta che le forze della rassegnazione prendono il sopravvento, l'uomo muore senza trasformarsi in pianta.

È vero che la prasseologia e l'economia non dicono se l'uomo debba preservare o abbandonare la vita. La vita stessa e le forze sconosciute che la originano e la tengono accesa sono un dato ultimo, e come tale al di là dal limite della scienza umana. Oggetto della prasseologia è semplicemente la manifestazione essenziale della vita umana, l'azione.



2. Economia e giudizi di valore

Mentre molti biasimano l'economia per la sua neutralità riguardo ai giudizi di valore, altri la biasimano per la sua indulgenza nei loro confronti. Taluni sostengono che l'economia deve necessariamente esprimere giudizi di valore e quindi non è realmente scientifica, poiché il criterio della scienza è la sua indifferenza apprezzativa. Altri sostengono che una buona economia dovrebbe e potrebbe essere imparziale, e che soltanto i cattivi economisti peccano contro questo postulato.

La confusione semantica nella discussione dei problemi relativi è dovuta all'uso inaccurato dei termini da parte di molti economisti. L'economista indaga se una misura A può produrre il risultato P per il cui ottenimento è raccomandata, e prova che A non produce P ma G, effetto che persino i sostenitori della misura a considerano indesiderato. Se questo economista enuncia il risultato della sua investigazione dicendo che A è una cattiva misura, non pronuncia un giudizio di valore. Dice semplicemente che dal punto di vista di coloro che tendono allo scopo P, la misura A è inappropriata. In questo senso gli economisti liberisti attaccavano la protezione. Dimostravano che la protezione non aumenta, come sostenevano i suoi campioni, ma, al contrario, diminuisce l'ammontare totale dei prodotti, ed è quindi cattiva dal punto di vista di coloro che preferiscono una provvista più larga ad una provvista limitata. In questo senso gli economisti avanzano critiche dal punto di vista dei fini perseguiti. Se un economista definisce cattiva la politica dei saggi salariali minimi, ciò che egli intende è che i suoi effetti sono contrari allo scopo di coloro che ne raccomandano l'applicazione.

Dallo stesso punto di vista la prasseologia e l'economia considerano il principio fondamentale dell'azione umana e dell'evoluzione, cioè che la cooperazione nella divisione sociale del lavoro è un modo più efficiente d'azione che l'isolamento autarchico degli individui. Prasseologia ed economia non dicono che gli uomini dovrebbero cooperare pacificamente nell'ambito dei vincoli sociali; dicono semplicemente che gli uomini debbono agire in questo modo, e non diversamente, se vogliamo rendere più efficiente la loro azione. La sottomissione alle regole morali che l'istituzione, la preservazione e l'intensificazione della cooperazione sociale richiedono non è considerata come un sacrifìcio fatto a un'entità mitica ; ma come ricorso a metodi d'azione più efficienti, prezzo sostenuto per l'ottenimento di risultati maggiormente apprezzati.

È contro questa sostituzione di un'etica autonoma, razionalista e volontarista alle dottrine eteronome tanto dell'intuizionismo che dei comandamenti rivelati, che le forze unite di tutte le scuole antiliberali e dogmatiche dirigono i loro più furiosi attacchi. Essi biasimano la filosofia utilitarista per la spietata austerità della sua descrizione e analisi della natura umana e dei moventi ultimi dell'azione. Non è necessario aggiungere alla refutazione di questo criticismo più di quanto è contenuto in ogni pagina di questo libro. Solo un punto dovrebbe essere ancora ricordato, perchè da un lato è l'acme della dottrina di tutti i vari pifferi e d'altro lato offre all'intellettuale medio una scusa opportuna per scansare la rigorosa disciplina degli studi economici.

L'economia, si dice, nei suoi preconcetti razionalistici assume che gli uomini mirino soltanto o soprattutto al benessere materiale. Ma in realtà gli uomini preferiscono gli obiettivi irrazionali ai razionali. Essi sono guidati più dall'impulso a realizzare miti e ideali che da quello di godere un più alto tenore di vita.

Ciò che l'economia ha da rispondere è questo:

  1. L'economia non assume o postula che gli uomini tendono soltanto o soprattutto a ciò ch'è detto benessere materiale. Come branca di una più generale teoria dell'azione umana, essa tratta di tutta l'azione umana, cioè della tendenza deliberata dell'uomo al conseguimento dei fini scelti, qualunque essi siano. Applicare il concetto di razionale o irrazionale ai fini ultimi non ha senso. Possiamo dire irrazionale il dato ultimo, cioè quelle cose che secondo noi non possono essere analizzate nè ridotte ad altri dati ultimi. Allora ogni fine ultimo è irrazionale. Non è nè più nè meno razionale aspirare alla ricchezza, come Creso, che alla povertà, come un monaco buddista.

  2. Ciò che questi critici hanno in mente usando il termine fini razionali, è il desiderio di benessere materiale e di un più alto tenore di vita. È questione di fatto se sia vera o meno la loro affermazione che gli uomini in generale e i contemporanei in particolare sono sollecitati più dal desiderio di realizzare miti e sogni che dal desiderio di migliorare il loro benessere materiale. Sebbene nessun essere intelligente possa mancare di dare una risposta corretta, possiamo trascurare questo caso. Perchè l'economia non dice nulla nè a favore nè contro i miti. Essa è perfettamente neutrale riguardo alla dottrina sindacale, dell'espansione del credito e a tutte le dottrine fintanto che si presentano come miti e sono sostenute come tali dai loro partigiani. S'occupa di queste soltanto in quanto considerate dottrine sui mezzi idonei al conseguimento di fini definiti. L'economia non dice che il sindacalismo operaio è un cattivo mito. Semplicemente dice che è un mezzo inappropriato all'aumento dei saggi salariali per tutti coloro che cercano salario. Poi lascia ad ognuno di decidere se la realizzazione del mito sindacale sia più importante che ovviare alle conseguenze inevitabili delle sue politiche.

In questo senso possiamo dire che l'economia è apolitica o non politica, sebbene sia il fondamento della politica e di ogni specie di azione politica. Possiamo dire inoltre che essa è perfettamente neutrale riguardo a tutti i giudizi di valore e che si riferisce sempre ai mezzi e mai alla scelta dei fini ultimi.



3. Conoscenza economica e azione umana

La libertà di scelta e d'azione è limitata in triplice modo. Vi sono anzitutto le leggi fisiche alla cui insensibile assolutezza l'uomo deve adattare la sua condotta se vuole vivere. Vi sono poi le caratteristiche costituzionali e le disposizioni innate dell'individuo, oltre all'azione dei fattori ambientali ; sappiamo che questi influenzano tanto la scelta dei mezzi che dei fini, sebbene la conoscenza del loro modo di agire sia piuttosto vaga. Vi è infine la regolarità dei fenomeni riguardo alla interconnessione dei mezzi e dei fini, cioè la legge prasseologica distinta dalla legge fìsica e da quella psicologica.

L'elucidazione e l'esame categorico e formale della terza classe delle leggi dell'universo è oggetto della prasseologia e della sua branca sinora meglio sviluppata, l'economia. Il corpo della conoscenza economica è un elemento essenziale nella struttura della civiltà umana; è il fondamento su cui è edificato l'industrialismo moderno insieme a tutte le conquiste morali, intellettuali, tecnologiche e terapeutiche degli ultimi secoli. Sta agli uomini, se sapranno usare propriamente del ricco tesoro che questa conoscenza mette loro a disposizione o se lo trascureranno. Ma se mancheranno di trarre da essa il migliore vantaggio e trascureranno i suoi principii e i suoi moniti, non elimineranno l'economia, ma la società e la razza umana.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


sabato 5 gennaio 2013

Il Mito del Fallimento del Capitalismo





di Ludwig von Mises


[Questo saggio venne originalmente pubblicato come "Die Legende von Versagen des Kapitalismus" in Der Internationale Kapitalismus und die Krise, Festschrift für Julius Wolf (1932)[1]]


L'opinione quasi universale espressa in questi giorni è che la crisi economica degli ultimi anni abbia segnato la fine del capitalismo. Il capitalismo ha fallito, si è dimostrato incapace di risolvere i problemi economici e così l'uomo non ha altra alternativa, se vuole sopravvivere, che optare per un'economia pianificata.

Questa non è certo un'idea nuova. I socialisti hanno sempre sostenuto che le crisi economiche sono il risultato inevitabile del metodo di produzione capitalistico, e che non vi è altro mezzo per eliminare le crisi economiche se non con una transizione verso il socialismo. Se queste affermazioni sono espresse con più forza in questi giorni e suscitano una maggiore risposta della popolazione, non è perché la crisi attuale è più lunga o più profonda rispetto a quelle precedenti, ma perché l'opinione pubblica di oggi è molto più influenzata dalle idee socialiste di quanto non lo fosse nei decenni passati.



I

Quando non esisteva la teoria economica, la convinzione era che chi avesse il potere ed era determinato ad usarlo poteva fare qualsiasi cosa. I governanti, ai fini del loro benessere spirituale e con uno sguardo verso la loro ricompensa in cielo, venivano ammoniti dai loro sacerdoti affinché moderassero l'uso del potere. Inoltre, non si trattava di una questione di ciò che limita le condizioni della vita umana e della natura di questo potere, ma piuttosto che fossero considerati senza limiti ed onnipotenti nella sfera degli affari sociali.

La fondazione delle scienze sociali, il lavoro di un gran numero di grandi intelletti, fra cui David Hume ed Adam Smith tra i più eccezionali, ha distrutto questa concezione. Uno scoprì che il potere sociale era di tipo spirituale e non (come si credeva) materiale, nel senso stretto della parola. Ed esisteva la comprensione di una coerenza necessaria nei fenomeni di mercato, cosa che il potere non è in grado di distruggere. Emerse anche una presa di coscienza sull'esistenza di qualcosa di operativo nel settore sociale, che i potenti non potevano influenzare ed a cui dovevano arrendersi, proprio come dovevano adeguarsi alle leggi della natura. Nella storia del pensiero umano e della scienza non esiste altra scoperta più grande.

Se si procede da questo riconoscimento delle leggi del mercato, la teoria economica dimostra che tipo di situazione emerge dall'interferenza della forza e del potere nei processi di mercato. L'intervento isolato non può raggiungere il fine per cui lottano le autorità e deve portare a conseguenze che sono indesiderabili dal loro punto di vista. Anche dal punto di vista delle autorità stesse l'intervento è inutile e dannoso. Procedendo da questa percezione, se si vuole organizzare l'attività di mercato in base alle conclusioni del pensiero scientifico — e riflettiamo su tali questioni non solo perché siamo alla ricerca di conoscenza, ma anche perché vogliamo organizzare le nostre azioni in modo tale da poter raggiungere gli obiettivi a cui aspiriamo — allora si arriva inevitabilmente al rifiuto di tali interventi marchiandoli come superflui, inutili e dannosi, una nozione che caratterizza l'insegnamento liberale. Il liberalismo non vuole portare standard di valore nella scienza; vuole prendere dalla scienza una bussola per le azioni di mercato. Il liberalismo utilizza i risultati della ricerca scientifica per costruire una società in grado di realizzare più efficacemente possibile gli scopi che intende realizzare. I partiti politico-economici non si differenziano in base al risultato finale per il quale lottano, ma in base ai mezzi che devono utilizzare per raggiungere il loro obiettivo comune. I liberali sono del parere che la proprietà privata dei mezzi di produzione sia l'unico modo per creare ricchezza per tutti, perché considerano il socialismo impraticabile e perché credono che il sistema di interventismo (che secondo il parere dei suoi sostenitori è una via di mezzo tra capitalismo e socialismo) non possa raggiungere gli obiettivi dei suoi proponenti.

La visione liberale ha trovato una dura opposizione. Ma gli avversari del liberalismo non sono riusciti ad indebolire la sua teoria di base, né l'applicazione pratica di questa teoria. Non hanno cercato di difendersi dalle critiche schiaccianti che i liberali hanno mosso contro i loro piani; le hanno semplicemente evase. I socialisti si consideravano avulsi da questa critica, perché il Marxismo aveva dichiarato eretica l'efficacia di un commonwealth socialista ed aveva evocato un certo distacco dall'establishment; hanno continuato ad amare lo stato socialista come il paradiso in terra, ma hanno rifiutato di impegnarsi in una discussione sui dettagli del loro piano. Gli interventisti hanno scelto un'altra strada. Su basi insufficienti, hanno contestato la validità universale della teoria economica. Non essendo in grado di contestare con la logica la teoria economica, non potevano far riferimento ad altro se non ad un po' di "pathos morale," di cui hanno parlato alla riunione della Vereins für Sozialpolitik [Associazione per la Politica Sociale] a Eisenach. Al posto della logica hanno inserito il moralismo, al posto della teoria emotiva i pregiudizi, al posto del ragionamento il riferimento alla volontà dello stato.

La teoria economica ha predetto gli effetti dell'interventismo e del socialismo statale e municipale. Tutti gli avvertimenti sono stati ignorati. Per 50 o 60 anni la politica dei paesi Europei è stata anticapitalista ed antiliberale. Più di 40 anni fa Sidney Webb (Lord Passfield) ha scritto,

ora si può ragionevolmente sostenere che la filosofia socialista di oggi non è che l'affermazione cosciente ed esplicita dei principi di organizzazione sociale che sono già stati in gran parte adottati inconsciamente. La storia economica di questo secolo è un record quasi continuo dei progressi del Socialismo.[2]

L'inizio di tale processo lo troviamo in Inghilterra, dove il liberalismo è stato in grado di tenere a bada per lungo tempo le politiche economiche anticapitaliste. Da allora le politiche interventiste hanno fatto passi da gigante. In generale, l'opinione di oggi è che viviamo in un'epoca in cui regna "un'economia ostacolata" — precursore della coscienza socialista collettiva del futuro.

Ora, poiché è accaduto ciò che la teoria economica ha predetto, poiché sono venuti alla luce i frutti delle politiche economiche anticapitaliste, si leva un grido da tutte le parti: questo è il declino del capitalismo, il sistema capitalistico ha fallito!

Il liberalismo non può essere ritenuto responsabile per l'atteggiamento che le istituzioni perseguono con le politiche economiche di oggi. (il liberalismo) Era contrario alla nazionalizzazione e alla messa sotto il controllo comunale di quei progetti che ora si dimostrano catastrofici per il settore pubblico ed una fonte di sporca corruzione; era contrario alla negazione di protezione per coloro che erano disposti a lavorare e contrario al potere dello stato messo a disposizione dei sindacati, contrario all'indennità di disoccupazione che ha reso la disoccupazione un fenomeno permanente ed universale, contrario alla previdenza sociale che ha reso gli assicurati dei brontoloni, dei finti malati e dei nevrastenici, contrario ai dazi (ed implicitamente contrario ai cartelli), contrario alla limitazione della libertà di vivere, di viaggiare, di studiare, contrario alla tassazione eccessiva e contrario all'inflazione, contrario agli armamenti, contrario alle acquisizioni coloniali, contrario all'oppressione delle minoranze, contrario all'imperialismo e contrario alla guerra. Ha innalzato una resistenza ostinata contro la politica del consumo del capitale. E il liberalismo non ha creato il partito delle truppe armate che aspetta solo la possibilità conveniente di iniziare una guerra civile.



II

La linea di ragionamento che porta ad incolpare il capitalismo, almeno per alcune di queste cose, si basa sulla nozione che gli imprenditori ed i capitalisti non sono più liberali, ma interventisti e statalisti. Ciò è corretto, ma le conclusioni che la genete ne trae sono sbagliate. Queste deduzioni derivano dal punto di vista Marxista del tutto insostenibile secondo cui imprenditori e capitalisti proteggono i loro interessi di classe attraverso il liberalismo quando il capitalismo prospera ma ora, alla fine del periodo capitalista e al suo declino, li proteggono attraverso l'interventismo. Questa dovrebbe essere la prova che "l'economia ostacolata" dell'interventismo è l'economia storicamente necessaria nella fase del capitalismo in cui ci troviamo oggi. Ma il concetto di economia classica e di liberalismo come ideologia (nel senso Marxista del termine) della borghesia è una delle molte tecniche distorte del Marxismo. Se imprenditori e capitalisti erano pensatori liberali intorno al 1800 in Inghilterra e pensatori interventisti, statalisti e socialisti intorno al 1930 in Germania, il motivo è che gli imprenditori ed i capitalisti sono anche affascinati dalle idee prevalenti dei tempi. Nel 1800, come anche nel 1930, gli imprenditori avevano interessi particolari che sono stati protetti dall'interventismo e danneggiati dal liberalismo.

Oggi i grandi imprenditori sono spesso citati come "leader economici." La società capitalistica non conosce alcun "leader economico." Questa è la differenza tra le economie socialiste da un lato e le economie capitalistiche dall'altro: in quest'ultime, gli imprenditori ed i proprietari dei mezzi di produzione non seguono alcuna leadership salvo quella del mercato. L'usanza di citare iniziatori di grandi imprese come leader economici già ci fa capire come in questi giorni uno non raggiunga queste posizioni attraverso il successo economico, ma piuttosto con altri mezzi.

Nello stato interventista non è più di importanza cruciale, per il successo di un'impresa, che le operazioni siano eseguite in modo tale che le esigenze del consumatore vengano soddisfatte nel modo migliore e meno costoso possibile; è molto più importante che uno abbia " buoni rapporti" con le fazioni politiche al comando, che gli interventi vadano a vantaggio e non a svantaggio dell'impresa. Alcuni ritengono che la produzione dell'impresa sia degna di protezione tariffaria, altri (in misura inferiore) ritengono che la protezione tariffaria degli input possa aiutare di più l'impresa rispetto alla prudenza nello svolgere le operazioni. Un'impresa può essere ben gestita, ma fallirà se non sa come proteggere i propri interessi mediante le tariffe, i negoziati salariali davanti ai collegi arbitrali, ed i cartelli. E' molto più importante avere "connessioni" piuttosto che produrre bene ed a buon mercato. Di conseguenza, gli uomini che raggiungono la vetta di tali imprese non sono quelli che sanno come organizzare le operazioni di produzione e direzionarle secondo la richiesta del mercato, ma piuttosto gli uomini che sanno come andare d'accordo con la stampa e con tutti i partiti politici, in particolare con i radicali, in modo tale che i loro rapporti non causino offesa. Si tratta di quella classe di direttori generali che si occupa di più dei dignitari federali e dei dirigenti di partito piuttosto che di coloro da cui acquistano o a cui vendono.

Poiché molte imprese dipendono da favori politici, coloro che intraprendono tali imprese devono rimborsare i politici con altri favori. Non c'è stata alcuna grande impresa negli ultimi anni che non abbia dovuto spendere somme considerevoli per operazioni che fin dall'inizio erano chiaramente non redditizie, ma che, nonostante le perdite attese, dovevano essere concluse per motivi politici. Per non parlare dei contributi a questioni non imprenditoriali — fondi elettorali, istituzioni sociali/pubbliche e simili.

La strada verso l'indipendenza degli amministratori delle grandi banche, delle imprese industriali e delle società di capitali si sta affermando con più forza. Questa "tendenza delle grandi imprese a socializzarsi," cioè, a lasciare che altri interessi tranne "il più alto rendimento possibile per gli azionisti" determinino la gestione delle imprese, è stata accolta dagli scrittori statalisti come un segno che abbiamo già sorpassato il capitalismo.[3] Nel corso della riforma dei diritti azionari Tedeschi, sono stati addirittura utilizzati sforzi legali per mettere l'interesse e il benessere dell'imprenditore, vale a dire "la sua autostima economica, giuridica, e sociale e la sua indipendenza rispetto alla maggioranza degli azionisti che cambiano,"[4] al di sopra di quelli dei soci.

Con l'influenza dello stato dietro di loro e supportati da un'opinione pubblica interventista, i leader delle grandi imprese si sentono così forti in relazione agli azionisti che credono di non dover necessariamente tener conto dei loro interessi. Nella loro gestione delle imprese in quei paesi in cui lo statalismo ha un governo più forte, — per esempio nei nuovi stati del vecchio impero Austro-Ungarico — sono tanto incuranti della redditività quanto i gestori delle utenze pubbliche. Il risultato è la rovina. La teoria che è stata avanzata sostiene che queste imprese sono troppo importanti per essere gestite con un punto di vista rivolto al profitto. Questo concetto è straordinariamente opportuno ogni volta che la conduzione degli affari, in rinuncia della redditività, sfocia nel fallimento dell'impresa. E' opportuno perché in questa circostanza la suddetta teoria richiede l'intervento dello stato affinché sostenga le imprese che sono dichiarate troppo grandi per fallire.



III

E' vero che socialismo ed interventismo non sono ancora riusciti ad eliminare completamente il capitalismo. Se lo avessero fatto, noi Europei, dopo secoli di prosperità, avremmo riscoperto il senso della fame su vasta scala. Il capitalismo è ancora abbastanza prominente poiché stanno nascendo nuove industrie, e quelle già esistenti stanno migliorando e ampliando le loro attrezzature ed operazioni. Tutti i progressi economici che sono stati raggiunti e saranno raggiunti derivano dal residuo persistente del capitalismo nella nostra società. Ma il capitalismo è sempre vessato dall'intervento del governo e deve pagare fiscalmente, con una parte considerevole dei suoi profitti, la produttività inferiore delle imprese pubbliche.

La crisi in cui il mondo è attualmente immerso è la crisi dell'interventismo e del socialismo statale e comunale; in breve, la crisi delle politiche anticapitaliste. La società capitalista è guidata dal meccanismo del mercato. Su tale questione non vi è alcuna differenza di opinione. I prezzi di mercato adeguano l'offerta e la domanda, e determinano la direzione e la portata della produzione. E' dal mercato che l'economia capitalista riceve il suo senso. Se la funzione del mercato come regolatore della produzione viene sempre ostacolata da politiche economiche atte a determinare prezzi, salari e tassi di interesse, invece di lasciarlo fare al mercato, allora è sicuro che ne scaturirà una crisi.

Non ha fallito Bastiat, ma Marx e Schmoller.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Questo saggio è stato tradotto dal Tedesco da Jane E. Sanders, che desidera riconoscere con gratitudine i commenti ed i suggerimenti del Professor John T. Sanders, Rochester Institute of Technology, e del Professor David R. Henderson, University of Rochester, nella preparazione della traduzione.

[2] Cf. Webb, Fabian Essays in Socialism. […] Ed. by G. Bernard Shaw. (American ed., edited by H.G. Wilshire. New York: The Humboldt Publishing Co., 1891) p. 4.

[3] Cf. Keynes, "The End of Laisser-Faire," 1926, consultare, Essays in Persuasion (New York: W.W. Norton & Co., Inc., 1932) pp. 314–315.

[4] Cf. Passow, Der Strukturwandel der Aktiengesellcschaft im Lichte der Wirtschaftsenquente, (Jena 1939), S.4.

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martedì 30 ottobre 2012

Prasseologia, Liberalismo ed Applicazioni nella Realtà


La pubblicazione di oggi è molto ricca di contenuti, quindi prendetevi tutto il tempo necessario per dedicarvi la vostra attenzione. Infatti, la traduzione odierna è una sorta di introduzione più che consona alla seguente conferenza/dibattito del professor Valerio Filoso, docente di Economia Monetaria e dei Mercati Finanziari presso la Seconda Università di Napoli. Il pezzo è chiamato "Miti del fallimento di mercato" ed è stato registrato l'otto Marzo 2007 da Radio Radicale.

Durante l'esposizione della sua conferenza il professor Filoso parla ampiamente della Scuola Austriaca e dei suoi principi cardine all'interno della nostra società. I temi toccati sono vari e vi consiglio di ascoltarla pienamente poiché fa una sintesi tanto accurata quanto completa delle diverse "perplessità" che i neofiti del liberalismo si trovano ad affrontare quando impattano con suddetta materia.

Quindi, leggete prima questo breve passaggio tratto dall'Azione Umana di Mises e poi cliccate sul pulsante play.

Durata 1h 41' 34'' (Grazie a Rocco Nuzzo per la segnalazione).






di Ludwig von Mises


Il liberalismo è una dottrina politica. Non è una teoria, ma l'applicazione delle teorie sviluppate dalla prasseologia e specialmente dall'economia per definire i problemi dell'azione umana entro la società.

Come dottrina politica, il liberalismo non è neutrale rispetto ai valori e agli scopi ultimi cercati dall'azione. Esso afferma che tutti gli uomini o almeno la maggioranza della gente tenda all'ottenimento di certi fini, e li informa sui mezzi adatti alla realizzazione dei loro piani. I sostenitori delle dottrine liberali sono assolutamente consci del fatto che i loro principi sono validi soltanto per la gente che accetta questi principi valutativi.

Mentre la prasseologia, e quindi anche l'economia, usa il termine "felicità" ed "eliminazione del disagio" in un senso puramente formale, il liberalismo attribuisce ad esso un significato concreto. Esso presuppone che la gente preferisca la vita alla morte, la salute alla malattia, il nutrimento all'inedia, l'abbondanza alla povertà, e insegna all'uomo come agire in base a queste valutazioni.

È diventata abitudine chiamare queste esigenze materialistiche accusando il liberalismo di crudo materialismo e di trascurare gli scopi "più alti" e "più nobili" dell'umanità. L'uomo non vive di solo pane, dicono i critici, e disprezzano le meschinità e le spregevoli bassezze della filosofìa utilitaria. Tuttavia queste appassionate diatribe sono errate, perché deformano gravemente i principi del liberalismo.

Primo: I liberali non sostengono che gli uomini dovrebbero tendere agli scopi menzionati sopra. Ciò che essi sostengono è che l'immensa maggioranza preferisce una vita di salute e di abbondanza alla miseria, all'inedia ed alla morte. La correttezza di questa enunciazione non può essere contestata. Essa è provata dal fatto che tutte le dottrine anti-liberali — i dogmi teocratici delle varie religioni, i partiti statalisti, nazionalisti e socialisti — adottano la stessa attitudine riguardo a queste istanze. Tutte promettono ai loro seguaci una vita di abbondanza, e mai si sono avventurate a dire alla gente che la realizzazione dei loro programmi pregiudicherà il suo benessere materiale. Insistono  al contrario — che mentre la realizzazione dei piani dei partiti rivali porterà all'indigenza la maggioranza, esse vogliono dare ai loro sostenitori l'abbondanza. I partiti Cristiani non sono meno solleciti dei nazionalisti e dei socialisti nel promettere alle masse un più alto livello di vita. Le chiese d'oggigiorno parlano più spesso d'aumento dei saggi salariali e dei redditi agricoli che dei dogmi della dottrina cristiana.

Secondo: I liberali non disdegnano le aspirazioni spirituali e intellettuali dell'uomo. Al contrario. Essi sono mossi da un ardore appassionato per la perfezione morale ed intellettuale, per la saggezza e l'eccellenza estetica. Ma il loro modo di considerare queste cose alte e nobili è differente dalla cruda rappresentazione dei loro avversari. Essi non condividono l'ingenua opinione che ogni sistema di organizzazione sociale possa riuscire direttamente a incoraggiare il pensiero scientifico o filosofico, a produrre capolavori d'arte e di letteratura e a illuminare le masse.

Si rendono conto che tutto quello che la società può raggiungere in questo campo è di fornire un ambiente che non ponga ostacoli insormontabili sulla via del genio e che liberi abbastanza l'uomo comune dai bisogni materiali, così da renderlo interessato a cose diverse dal puro guadagnarsi il pane. Nella loro opinione il mezzo sociale preminente per rendere l'uomo più umano è quello di combattere la povertà. La sapienza, la scienza e l'arte fioriscono meglio in un mondo di abbondanza che tra gente indigente.

È un'alterazione intenzionale dei fatti biasimare come materialista l'era del liberalismo. Il XIX secolo non fu soltanto un secolo di miglioramenti senza precedenti nei metodi tecnici di produzione e nel benessere materiale delle masse. Esso fece molto di più che estendere la durata media della vita umana. Le sue realizzazioni scientifiche ed artistiche sono imperiture.

Fu un'età di musicisti, scrittori, poeti, pittori e scultori immortali; rivoluzionò la filosofìa, l'economia, la matematica, la fìsica, la chimica e la biologia. E, per la prima volta nella storia, rese i grandi capolavori e i grandi pensieri accessibili all'uomo comune.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


sabato 23 giugno 2012

L'Economia e la Politica del Mio Lavoro

«Il giardino dell'Eden è una cosa lontana nel passato tuttavia qualcuno (sì, persino qualche economista) occasionalmente pensa e agisce come se i beni economici potessero arrivare senza costo allegato. Milton Friedman è un economista che ha avvertito ripetutamente, tuttavia, che “non esiste una cosa come un pasto gratis!” Ogni programma “qualcosa in cambio di niente” e la maggior parte dei piani “diventa ricco velocemente” possiedono qualche elemento di questa fallacia. Non si ammettono errori su questo: se l'economia è implicata, qualcuno paga!
Qui una nota importante riguarda la spesa pubblica. Il buon economista capisce che il governo, per natura, non può dare altro di ciò che prima ha preso. Un parco “gratis” per Midland nel Michigan è in realtà un parco pagato da milioni di contribuenti americani (Midlandesi compresi). Un mio amico una volta mi ha detto che tutto ciò che c'è da sapere sull'economia è “quanto costerà e chi lo pagherà?” Queste poche parole contengono un prezioso consiglio per l'economista: non essere superficiale nel tuo pensiero!» -- Lawrence W. Reed
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di Ludwig von Mises


[Originalmente pubblicato in The Freeman, Maggio 1958, questo articolo è incluso in Free Market Economics: A Basic Reader, redatto da Bettina Bien Greaves.]


Ne consegue che un datore di lavoro non può pagare di più un dipendente rispetto all'equivalente del valore del lavoro che quest'ultimo, secondo il giudizio del consumatore, aggiunge alla merce. (Questo è il motivo per cui la star del cinema guadagna molto di più della serva.) Se lo pagasse di più, non recupererebbe le sue spese dagli acquirenti; avrebbe delle perdite ed infine andrebbe in bancarotta. Nel pagamento dei salari, il datore di lavoro funge come un mandante dei consumatori, per così dire. E' sui consumatori che cade l'incidenza dei pagamenti salariali. Dato che la stragrande maggioranza dei beni prodotti viene acquistata e consumata da persone che stanno ricevondo salari e stipendi, è ovvio che nello spendere i loro guadagni i salariati ed i lavoratori stessi sono i primi a determinare l'altezza del compenso che riceveranno.



Che Cosa Fa Aumentare i Salari?

Gli acquirenti non pagano per la fatica e le difficoltà del lavoratore, né per la lunghezza del tempo trascorso a lavorare. Essi pagano per i prodotti. Migliori sono gli strumenti che il lavoratore utilizza nel suo lavoro, più lavoro può compiere in un'ora, più alta sarà, di conseguenza, la sua retribuzione. Ciò che fa salire i salari e rende le condizioni materiali dei salariati più soddisfacenti è il miglioramento della dotazione tecnologica.

I salari Americani sono più alti rispetto ai salari di altri paesi, perché il capitale investito pro-capite è maggiore e le industrie sono così in grado di utilizzare strumenti e macchine più efficaci. Ciò che viene chiamato il modo di vita Americano è il risultato del fatto che gli Stati Uniti hanno posto meno ostacoli nel risparmio e nell'accumulo di capitali rispetto ad altre nazioni.

L'arretratezza economica dei paesi come l'India consiste proprio nel fatto che le loro politiche ostacolano sia l'accumulo di capitale sia l'investimento da parte di capitali stranieri. Poiché il capitale necessario è carente, alle imprese Indiane viene impedito di impiegare una quantità sufficiente di apparecchiature moderne, producendo quindi molto meno per uomo all'ora, e può solo permettersi di pagare tassi salariali che, rispetto ai salari Americani, appaiono come scandalosamente bassi.

C'è solo una via che conduce ad un miglioramento dello standard di vita delle masse dei salariati — l'aumento della quantità di capitale investito. Tutti gli altri metodi, per quanto famosi possano essere, non solo sono inutili, ma in realtà sono dannosi per il benessere di coloro che presumibilmente vogliono beneficiarne.

La domanda fondamentale è: E' possibile aumentare i saggi salariali per tutti coloro desiderosi di trovare un lavoro al di sopra dell'altezza che avrebbero raggiunto in un mercato del lavoro senza ostacoli?

L'opinione pubblica ritiene che il miglioramento delle condizioni dei salariati sia una conquista dei sindacati e di varie misure legislative. Dà al sindacalismo ed alla legislazione il credito per l'aumento dei salari, la riduzione delle ore di lavoro, la scomparsa del lavoro minorile, e molte altre modifiche. La prevalenza di questa credenza ha reso il sindacalismo popolare ed è responsabile per l'evoluzione delle legislazioni del lavoro degli ultimi decenni. Dato che la gente pensa che deve al sindacalismo il suo elevato standard di vita, perdona la violenza, la coercizione e l'intimidazione da parte dei lavoratori sindacalizzati ed è indifferente alla limitazione della libertà personale insita nelle clausole del sindacato. Finché questi errori prevalgono nelle menti degli elettori, è inutile aspettarsi una dipartita decisa dalle politiche erroneamente chiamate progressive.



Quali Sono le Cause della Disoccupazione?

Ma questa dottrina popolare stravolge ogni aspetto della realtà economica. L'altezza dei salari a cui tutti coloro desiderosi di ottenere posti di lavoro possono essere impiegati dipende dalla produttività marginale del lavoro, o, in altre parole, dal contributo dei lavoratori nell'utilità del prodotto.

Più capitale — a parità di condizioni — viene investito, più i salari salgono in un mercato del lavoro libero, vale a dire, in un mercato del lavoro non manipolato dal governo e dai sindacati. A questi saggi salariali del mercato, tutti coloro desiderosi di impiegare lavoratori possono assumerne quanti ne vogliono. A questi saggi salariali del mercato, tutti coloro che vogliono essere impiegati possono ottenere un lavoro. In un mercato del lavoro libero prevale una tendenza verso la piena occupazione. In realtà, la politica di lasciare che il libero mercato determini l'altezza dei salari è l'unica politica di piena occupazione ragionevole e di successo. Se i saggi salariali vengono aumentati, o dalla pressione sindacale oppure dalla costrizione o per decreto governativo, al di sopra di questa altezza, si svilupperà una disoccupazione di una parte della potenziale forza lavoro.

Queste opinioni sono appassionatamente respinte dai dirigenti sindacali e dai loro seguaci tra i politici ed i sedicenti intellettuali. La panacea che consigliano per combattere la disoccupazione è l'espansione del credito e l'inflazione, eufemisticamente chiamata "una politica di denaro facile."

Come è stato sottolineato in precedenza, un'aggiunta allo stock disponibile di capitali accumulati in precedenza costituisce un ulteriore miglioramento delle dotazioni tecnologiche delle industrie, in tal modo aumenta la produttività marginale del lavoro e di conseguenza anche i saggi salariali. Ma l'espansione del credito, che si effettui mediante l'emissione di ulteriori banconote o mediante la concessione di crediti addizionali sui conti bancari, non aggiunge nulla alla ricchezza della nazione in fatto di beni capitali. Crea solo l'illusione di un aumento della quantità di fondi disponibili per l'espansione della produzione. Poiché possono ottenere credito più a buon mercato, le persone credono erroneamente che la ricchezza del paese sia stata aumentata e che quindi alcuni progetti che non potevano essere eseguiti prima sono ora realizzabili. L'inaugurazione di questi progetti aumenta la domanda di lavoro e di materie prime e fa salire i saggi salariali ed i prezzi delle materie prime. Si scatena un boom artificiale.



Inflazione e Disoccupazione

Nelle condizioni di questo boom, i tassi dei salari nominali che prima dell'espansione del credito erano troppo elevati per lo stato del mercato e quindi creavano disoccupazione di una parte della forza lavoro potenziale, non sono più troppo elevati e il disoccupato può ottenere posti di lavoro di nuovo. Tuttavia, questo accade solo perché in base alle mutate condizioni monetarie e del credito sono in aumento i prezzi o, dicendo la stessa cosa espressa in altre parole, il potere d'acquisto dell'unità monetaria cala. Poi lo stesso ammontare di salari nominali — salari espressi in termini di denaro — significa meno in termini di salari reali — in termini di merci che possono essere acquistate dall'unità monetaria. L'inflazione può curare la disoccupazione solo tagliando i salari reali del salariato. Ma poi i sindacati chiedono un nuovo aumento dei salari, al fine di tenere il passo con l'aumento del costo della vita e siamo tornati a dove eravamo prima, in una situazione in cui la disoccupazione su larga scala può essere impedita da un'ulteriore espansione del credito.

Questo è quello che è successo in questo paese così come in molti altri paesi negli ultimi anni. I sindacati, sostenuti dal governo, hanno costretto le imprese ad accettare saggi salariali che andavano al di là dei tassi potenziali del mercato, cioè, i tassi a cui il pubblico era pronto a rimborsare i datori di lavoro con l'acquisto dei loro prodotti. Ciò avrebbe inevitabilmente comportato cifre della disoccupazione in salita. Ma le politiche del governo hanno cercato di prevenire l'insorgere di una grave disoccupazione con l'espansione del credito — l'inflazione. Il risultato è stato l'aumento dei prezzi, richieste rinnovate per un aumento dei salari ed espansione del credito reiterata; in breve, inflazione prolungata.



L'Inflazione Non Può Andare Avanti all'Infinito

Ma alla fine le autorità si sono spaventate. Sanno che l'inflazione non può andare avanti all'infinito. Se uno non ferma in tempo la politica perniciosa di aumentare la quantità di denaro e dei mezzi fiduciari, il sistema valutario della nazione crolla del tutto. Il potere d'acquisto dell'unità monetaria affonda fino ad un punto che ai fini pratici non è meglio di zero. Questo è accaduto più e più volte, in questo paese con la Valuta Continental nel 1781, in Francia nel 1796, in Germania nel 1923. Non è mai troppo presto affinché una nazione si renda conto che l'inflazione non può essere considerata come un modo di vita e che è indispensabile il ripristino di solide politiche monetarie.



Quali sono le cause della Depressione?

Non è compito di questo articolo affrontare tutte le conseguenze che comporta la cessazione delle misure inflazionistiche. Dobbiamo solo stabilire il fatto che il ritorno alla stabilità monetaria non genera una crisi. Porta solo alla luce i cattivi investimenti ed altri errori che sono stati compiuti sotto l'allucinazione del benessere illusorio creato dal denaro facile. Le persone diventano consapevoli delle colpe implicate e, non più accecate dal fantasma del credito a basso costo, cominciano a regolare le loro attività secondo lo stato reale dell'offerta dei fattori materiali di produzione. E' questo — certamente doloroso, ma inevitabile — riaggiustamento che costituisce la depressione.

Una delle caratteristiche più spiacevoli di questo processo di abbandono delle chimere e ritorno ad una stima sobria della realtà riguarda l'altezza dei salari. Sotto l'impatto della politica inflazionistica progressiva la burocrazia sindacale ha acquisito l'abitudine di chiedere a intervalli regolari un aumento dei salari, e le imprese, dopo una qualche resistenza, glieli hanno concessi. Di conseguenza queste percentuali erano al momento troppo alte per lo stato del mercato ed avrebbero causato una quantità cospicua di disoccupazione. Ma l'inflazione sarebbe incessantemente progredita fino a raggiungerli molto presto. Poi di nuovo i sindacati avrebbero invocato nuovi aumenti e così via.



Il Potere d'Acquisto

Non importa che tipo di giustificazione i sindacati ed i loro scagnozzi avanzano a favore delle loro pretese. Gli effetti inevitabili di costringere i datori di lavoro a retribuire il lavoro a tassi più elevati rispetto a quelli che i consumatori sono disposti a restituire loro con l'acquisto dei prodotti sono sempre gli stessi: disoccupazione in aumento.

Allo stato attuale i sindacati cercano di resuscitare la vecchia favola del potere d'acquisto confutata centinaia volte. Essi dichiarano che mettere più soldi nelle mani dei salariati — aumentando i salari, aumentando i benefici per i disoccupati, ed imbarcandosi in nuove opere pubbliche — consentirebbe ai lavoratori di spendere di più e quindi stimolare gli affari e portare l'economia fuori dalla recessione verso la prosperità. Questa è la falsa tesi pro-inflazione per rendere tutte le persone felici tramite la stampa di banconote.

Naturalmente, se la quantità dei mezzi circolanti è aumentatata, coloro nelle cui tasche arriva la nuova ricchezza fittizia — siano essi lavoratori o contadini o qualsiasi altro tipo di persone — aumenteranno la spesa. Ma è proprio questo aumento della spesa che causa inevitabilmente una tendenza generale di tutti i prezzi a salire. Così l'aiuto che un'azione inflazionistica potrebbe dare ai salariati è solo di breve durata. Per perpetuarla, si dovrebbe ricorrere di nuovo e di nuovo a nuove misure inflazionistiche. È chiaro che questo porta al disastro.

Ci sono un sacco di sciocchezze dette su queste cose. Alcune persone sostengono che gli aumenti salariali sono "inflazionistici." Ma non sono inflazionistici di per sé. Nulla è inflazionistico, tranne l'inflazione, cioè un aumento della quantità di moneta in circolazione e del credito (denaro del libretto degli assegni). E nelle condizioni attuali nessuno tranne il governo può porre in essere l'inflazione. Ciò che i sindacati possono generare forzando i datori di lavoro ad accettare salari più alti rispetto ai tassi potenziali di mercato non è l'inflazione e nemmeno prezzi delle materie prime più elevati, ma la disoccupazione di una parte delle persone ansiose di ottenere un lavoro. L'inflazione è una politica alla quale il governo fa ricorso al fine di prevenire la disoccupazione su larga scala che altrimenti avrebbe causato l'innalzamento dei salari da parte dei sindacati.



Il Dilemma delle Attuali Politiche

Il dilemma che questo paese e molti altri devono affrontare è molto serio. Il metodo estremamente popolare di aumentare i salari al di sopra dell'altezza che il mercato del lavoro senza ostacoli avrebbe stabilito produrrà una disoccupazione di massa catastrofica se l'espansione inflazionistica del credito non arrivasse a salvarla. Ma l'inflazione non ha solo effetti sociali molto perniciosi. Non può andare avanti all'infinito senza che ciò comporti la rottura completa di tutto il sistema monetario.

L'opinione pubblica, interamente sotto l'influenza delle dottrine sindacali fallaci, simpatizza più o meno con la domanda dei dirigenti sindacali per un considerevole aumento dei saggi salariali. Con le condizioni di oggi, i sindacati hanno il potere di far sottomettere i datori di lavoro ai loro dettami. Possono invocare scioperi e, senza essere trattenuti dalle autorità, fanno ricorso impunemente alla violenza contro coloro che sono disposti a lavorare. Sono consapevoli del fatto che il miglioramento dei salari aumenta il numero dei disoccupati. L'unico rimedio che suggeriscono è costituito da fondi più ampi per le indennità di disoccupazione ed una maggiore offerta di credito, cioè, inflazione. Il governo, cedendo docilmente ad un'opinione pubblica fuorviata e preoccupato per l'esito della campagna elettorale imminente, purtroppo ha già iniziato ad invertire i suoi tentativi di tornare ad una sana politica monetaria. Così siamo di nuovo impegnati con i metodi perniciosi di immischiarsi con l'offerta di moneta. Stiamo andando avanti con l'inflazione che con una velocità accelerata riduce il potere d'acquisto del dollaro. Dove si andrà a finire? Questa è la domanda che il signor Reuther ed i suoi pari non avanzano mai.



La Posta in Gioco per il Salariato

Solo un'ignoranza stupenda può definire le politiche adottate dai sedicenti progressisti "pro-lavoro." Il salariato come ogni altro cittadino è saldamente interessato alla conservazione del potere d'acquisto del dollaro. Se, grazie al suo sindacato, i suoi guadagni settimanali vengono aumentati al di sopra del tasso di mercato, ben presto scoprirà che il movimento al rialzo dei prezzi non solo lo priverà dei vantaggi che si aspettava, ma inoltre farà diminuire il valore dei suoi risparmi, della sua polizza assicurativa, e dei suoi diritti pensionistici. E, peggio ancora, potrebbe perdere il suo lavoro e non trovarne un altro.

Tutti i partiti politici ed i gruppi di pressione protestano che sono contrari all'inflazione. Ma quello che realmente intendono è che a loro non piacciono le conseguenze inevitabili dell'inflazione, cioè l'aumento del costo della vita. In realtà favoriscono tutte le politiche che comportano necessariamente un aumento della quantità dei mezzi circolanti. Non chiedono solo una politica di denaro facile per rendere possibile l'infinita stimolazione dei salari da parte dei sindacati, ma anche l'aumento della spesa pubblica e — allo stesso tempo — l'abbattimento fiscale attraverso l'innalzamento delle esenzioni.

Ingannati dal concetto Marxista dei falsi conflitti inconciliabili tra gli interessi delle classi sociali, la gente pensa che solo gli interessi delle classi possidenti si oppongono alla richiesta dei sindacati di salari più elevati. In realtà, i salariati non sono meno interessati rispetto ad altri gruppi o classi ad un ritorno al denaro sonante. Molto è stato detto negli ultimi mesi circa i danni che i poliziotti hanno inflitto ai membri dei sindacati. Ma lo scempio fatto ai lavoratori dalla stimolazione eccessiva dei salari avanzata dai sindacati è molto più dannosa.

Sarebbe esagerato sostenere che la tattica dei sindacati è la sola minaccia alla stabilità monetaria e ad una politica economica ragionevole. I salariati organizzati non sono l'unico gruppo di pressione le cui rivendicazioni oggi minacciano la stabilità del nostro sistema monetario. Ma sono i più potenti ed i più influenti tra questi gruppi e la responsabilità primaria spetta a loro.



Il Capitalismo e l'Uomo Comune

Il capitalismo ha migliorato il tenore di vita dei salariati in una misura senza precedenti. La famiglia media Americana gode di servizi oggi che, solo un centinaio di anni fa, nemmeno i più ricchi nababbi si sognavano. Tutto questo benessere è condizionato dall'aumento del risparmio e dei capitali accumulati; senza questi fondi che consentono alle imprese di fare un uso pratico del progresso scientifico e tecnologico il lavoratore Americano non avrebbe prodotto le cose migliori e in maggior numero per ore di lavoro rispetto agli Asiatici, non avrebbe guadagnato di più, e sarebbe, come loro, vissuto miseramente sull'orlo della fame. Tutte le misure che — come il nostro sistema fiscale sul reddito e sulle corporazioni — mirano ad impedire l'ulteriore accumulo di capitale o anche il decunulo di capitale sono quindi praticamente anti-lvaoro ed anti-sociali.

Un'ulteriore osservazione deve ancora essere fatta su questa questione del risparmio e della formazione del capitale. Il miglioramento del benessere portato dal capitalismo ha reso possibile per l'uomo comune risparmiare e quindi diventare egli stesso un capitalista in modo modesto. Una parte considerevole del capitale circolante nel mondo degli affari Americano è la controparte dei risparmi delle masse. Milioni di lavoratori dipendenti possiedono depositi a risparmio, obbligazioni e polizze assicurative. Tutte queste rivendicazioni sono pagabili in dollari e il loro valore dipende dalla solidità del denaro della nazione. Conservare il potere d'acquisto del dollaro è anche da questo punto di vista di vitale interesse per le masse. Per raggiungere questo scopo, non è sufficiente stampare sulle banconote la nobile massima, In God We Trust. Si deve adottare una politica adeguata.

Ho sognato che avevo un milione di dollari e non avevo più bisogno di lavorare.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


domenica 27 maggio 2012

La Liberazione dei Demoni


"Approva lo spionaggio. Ogni membro della società vigila l'altro ed è obbligato alla delazione. Ognuno appartiene a tutti e tutti appartengono a ognuno. Tutto sono schiavi e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c'è la calunnia e l'omicidio, ma l'essenziale è l'uguaglianza. Come prima cosa si abbassa il livello delle scienze e degli ingegni. Si può raggiungere un alto livello delle scienze e degli ingegni solo con doti superiori, e non ci devono essere doti superiori! Gli uomini di doti superiori si sono sempre impadroniti del potere e sono stati dei despoti. Gli uomini di doti superiori non possono non essere despoti e hanno sempre fatto più male che bene, perciò vengono scacciati e giustiziati. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si cavano gli occhi, Shakespeare viene lapidato, ecco lo šigalëvismo!

Gli schiavi devono essere uguali: senza dispotismo non c'è ancora stata né libertà né uguaglianza, ma nel gregge deve esserci uguaglianza, questo è lo šigalëvismo! Ah, ah, ah, vi sembra strano? Io sono per lo šigalëvismo!"

-- Fëdor Dostoevskij, I Demoni
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di Ludwig Von Mises


[Planned Chaos (1947)]


La storia dell'umanità è la storia delle idee. Perché sono le idee, le teorie e le dottrine che guidano l'azione umana, determinano i fini ultimi a cui mirano gli uomini, e la scelta dei mezzi impiegati per il conseguimento di questi fini. Gli eventi sensazionali che stimolano le emozioni e catturano l'interesse degli osservatori superficiali sono solo la consumazione dei cambiamenti ideologici. Non ci sono cose come brusche trasformazioni radicali delle vicende umane. Quello che si chiama, in termini piuttosto ingannevoli, un "punto di svolta nella storia" è l'entrata sulla scena di forze che erano già da tempo al lavoro dietro le quinte. Le nuove ideologie, che avevano già da tempo sostituito quelle vecchie, si spogliano dell'ultimo velo ed anche le persone più dure di comprendonio diventano consapevoli dei cambiamenti che non avevano notato prima.

In questo senso la presa del potere di Lenin nell'Ottobre del 1917 fu certamente un punto di svolta. Ma il suo significato è molto diverso da quello che i comunisti attribuiscono ad esso.

La vittoria Sovietica svolse solo un ruolo secondario nell'evoluzione verso il socialismo. Le politiche pro-socialiste dei paesi industriali dell'Europa Centrale ed Occidentale ebbero maggiori conseguenze a questo riguardo. Il programma di previdenza sociale di Bismarck fu un elemento pionieristico più importante sulla strada verso il socialismo di quanto non lo fosse l'espropriazione della fabbriche Russe arretrate. La Prussian National Railways aveva fornito il solo esempio di un'attività gestita dal governo che, per qualche tempo almeno, aveva evitato un fallimento finanziario manifesto. Gli Inglesi avevano già adottato prima del 1914 le parti essenziali del sistema previdenziale Tedesco. In tutti i paesi industrializzati, i governi si impegnarono in politiche interventiste che erano in ultima analisi destinate a sfociare nel socialismo. Durante la guerra la maggior parte di loro intraprese quello che veniva chiamato il socialismo guerra. Il Programma Tedesco di Hindenburg che, naturalmente, non potè essere eseguito completamente a causa della sconfitta della Germania, non era meno radicale dei tanto chiacchierati Piani Quinquennali Russi, ma progettato molto meglio.

Per i socialisti nei paesi prevalentemente industriali dell'Occidente, i metodi Russi non potevano essere di alcuna utilità. Per questi paesi, la produzione manifatturiera per l'esportazione era indispensabile. Non potevano adottare il sistema Russo di autarchia economica. La Russia non aveva mai esportato prodotti manifatturieri in quantità degne di nota. Sotto il sistema Sovietico si ritirò quasi interamente dal mercato mondiale dei cereali e delle materie prime. Anche i socialisti fanatici non potevano far altro che ammettere che l'Occidente non poteva imparare nulla dalla Russia. E' ovvio che i risultati tecnologici di cui il Bolscevico si gloriava erano solo goffe imitazioni delle cose compiute in Occidente. Lenin definì il comunismo come, "il potere dei Soviet più l'elettrificazione." Ora, l'elettrificazione non era certamente di origine Russa, e le nazioni Occidentali superano la Russia nel campo dell'elettrificazione come in ogni altro ramo dell'industria.

Il vero significato della rivoluzione di Lenin deve essere visto nel fatto che da allora in poi si propagò il principio della violenza senza restrizioni e dell'oppressione. Fu la negazione di tutti gli ideali politici che guidarono per 3,000 anni l'evoluzione della civiltà Occidentale.

Lo stato ed il governo sono l'apparato sociale di coercizione violenta e di repressione. Tale apparato, il potere della polizia, è indispensabile al fine di evitare che le persone antisociali e le bande distruggano la cooperazione sociale. La prevenzione e la repressione violenta delle attività antisociali vanno a beneficio di tutta la società ed a ciascuno dei suoi membri. Ma la violenza e l'oppressione ne sono i mali minori e corrompono i responsabili della loro applicazione. E' necessario limitare la potenza di quelli in carica perché non diventino despoti assoluti. La società non può esistere senza un apparato di coercizione violenta. Ma né può esistere se i titolari di cariche sono tiranni irresponsabili liberi di infliggere un danno a coloro che disprezzano.

E' la funzione sociale delle leggi frenare l'arbitrarietà della polizia. Lo stato di diritto limita l'arbitrarietà degli agenti per quanto possibile. Limita rigorosamente la loro discrezione, ed assegna così ai cittadini una sfera in cui sono liberi di agire senza essere frustrati dall'interferenza del governo.

Libertà significa sempre libertà dalle interferenze della polizia. In natura non esistono cose come vari tipi di libertà. C'è solo la rigidità inflessibile delle leggi della natura a cui l'uomo deve incondizionatamente adeguarsi se vuole raggiungere un qualunque fine. Né esisteva la libertà nelle condizioni paradisiache immaginarie che, secondo le chiacchiere fantastiche di molti scrittori, hanno preceduto la creazione dei legami sociali. Dove non c'è governo, tutti sono alla mercee del proprio vicino più forte. La libertà può essere raggiunta solo all'interno di uno stato pronto ad impedire ad un gangster di uccidere e derubare i suoi cittadini più deboli. Ma è lo stato di diritto che ostacola i potenti dal trasformarsi nei peggiori gangster.

Le leggi stabiliscono norme di azione legittima. Fissano le procedure necessarie per l'abrogazione o la modifica delle leggi esistenti e per la promulgazione di nuove leggi. Fissano altresì le procedure necessarie per l'applicazione delle leggi in casi definiti. Stabiliscono le corti ed i tribunali. Con lo scopo di evitare una situazione in cui gli individui rimangono in balia dei governanti.

I mortali sono passibili di errore, ed i legislatori ed i giudici sono uomini mortali. Può accadere ancora e ancora che le leggi vigenti o la loro interpretazione da parte dei giudici impediscano agli organi esecutivi di ricorrere ad alcune misure che potrebbero essere di beneficio. Nessun danno grave, tuttavia, ne può risultare. Se i legislatori riconoscono la carenza delle leggi vigenti, possono modificarle. E' certamente un male che un criminale a volte possa sfuggire dalla punizione perché c'è una scappatoia lasciata nella legge, o perché il pubblico ministero ha trascurato alcune formalità. Ma è un male minore se confrontato con le conseguenze di un potere discrezionale illimitato da parte del despota "benevolo".

E' proprio questo punto che gli individui antisociali non riescono a vedere. Queste persone condannano il formalismo del processo previsto dalla legge. Perché le leggi dovrebbero impedire al governo di ricorrere a misure utili? Non è feticismo rendere supreme le leggi, e non la convenienza? Essi sostengono che il welfare state (Wohlfahrtsstaat) sostituisca lo stato governato dallo stato di diritto (Rechtsstaat). Nello stato sociale, il governo paterno dovrebbe essere libero di compiere tutte le cose che ritiene utili per il bene comune. Non ci sono "pezzi di carta" che dovrebbero frenare un sovrano illuminato nei suoi sforzi di promuovere il benessere generale. Tutti gli avversari devono essere schiacciati senza pietà per non vanificare l'azione benefica del governo. Nessuna formalità vuota deve proteggerli contro la loro meritata punizione.

Si è soliti chiamare il punto di vista dei sostenitori dello stato sociale il punto di vista "sociale", come distinto dal punto di vista "individualista" ed "egoista" dei campioni dello stato di diritto. In realtà, però, i sostenitori dello stato sociale sono dei fanatici del tutto antisociali ed intolleranti. Poiché la loro ideologia implica tacitamente che il governo effettuerà esattamente ciò che essi stessi ritengono giusto e benefico. Scartano del tutto la possibilità che potrebbero sorgere disaccordi per quanto riguarda la questione di cosa è giusto e opportuno e cosa no. Sostengono il dispotismo illuminato, ma sono convinti che il despota illuminato sarà conforme in ogni dettaglio alla loro opinione sulle misure da adottare. Favoriscono la pianificazione, ma quello che hanno in mente è esclusivamente un piano personale, non quello di altre persone. Vogliono sterminare tutti gli avversari, cioè, tutti coloro che sono in disaccordo con loro. Sono assolutamente intolleranti e non sono disposti ad acconsentire a qualsiasi discussione. Ogni sostenitore dello stato sociale e della pianificazione è un potenziale dittatore. Quello che ha in mente è di privare tutti gli altri uomini di tutti i loro diritti, e di stabilire un'onnipotenza senza restrizioni sua e dei suoi amici. Si rifiuta di convincere i suoi concittadini. Preferisce "liquidarli". Disprezza la società "borghese", la quale adora la legge e la procedura legale. Lui stesso adora la violenza e lo spargimento di sangue.

Il conflitto inconciliabile di questi due dottrine, stato di diritto contro stato sociale, era in discussione in tutte le lotte che gli uomini hanno combattuto per la libertà. E' stata una lunga e difficile evoluzione. Ancora ed ancora i campioni dell'assolutismo trionfarono. Ma alla fine lo stato di diritto prevalse nel regno della civiltà Occidentale. Lo stato di diritto, o di governo limitato, garantito dalle costituzioni e dalla carta dei diritti, è il segno caratteristico di questa civiltà. Fu lo stato di diritto che generò i risultati meravigliosi del capitalismo moderno e della sua — come direbbero i coerenti Marxisti — "sovrastruttura", la democrazia. Assicurò un benessere crescente ad una popolazione in continuo aumento. Le masse dei paesi capitalisti godono oggi di un tenore di vita molto superiore a quella dei ricchi delle epoche precedenti.

Tutti questi risultati non hanno trattenuto i sostenitori del dispotismo e della pianificazione. Tuttavia, sarebbe stato assurdo per i campioni del totalitarismo rivelare apertamente le inestricabili conseguenze dittatoriali dei loro sforzi. Nel XIX secolo le idee di libertà e dello stato di diritto ottennero un tale prestigio che francamente sembrava una pazzia attaccarle. L'opinione pubblica era fermamente convinta che il dispotismo era morto, senza possibilità di essere ripristinato. E' vero che lo Zar della barbara Russia fu costretto ad abolire la servitù della gleba, per stabilire un processo con giuria, e concedere una limitata libertà di stampa ed il rispetto delle leggi?

Così i socialisti ricorsero ad un trucco. Continuarono a discutere della venuta della dittatura del proletariato, cioè, la dittatura delle idee di ogni autore socialista, nei loro circoli esoterici. Ma al grande pubblico parlavano in un modo diverso. Il socialismo, affermavano, porterà la libertà vera e piena e la democrazia. Rimuoverà tutti i tipi di costrizione e coercizione. Lo stato "appassirà". Nella repubblica socialista del futuro non vi saranno né giudici e poliziotti, né prigioni e patiboli.

Ma i Bolscevichi si tolsero la maschera. Erano pienamente convinti che era sorto il giorno della loro vittoria finale ed incrollabile. Ulteriori dissimulazioni non erano né possibili né necessarie. Il vangelo dello spargimento di sangue poteva essere predicato apertamente. Trovò terreno fertile tra tutti i degenerati letterati e gli intellettuali da salotto che per molti anni avevano già parlato degli scritti di Nietzsche e di Sorel. I frutti del "tradimento degli intellettuali" si addolcirono alla maturazione. I giovani che erano stati nutriti con le idee di Carlyle e di Ruskin erano pronti a prendere le redini.

Lenin non fu il primo usurpatore. Molti tiranni lo avevano preceduto. Ma i suoi predecessori erano in conflitto con le idee possedute dai loro contemporanei più eminenti. L'opinione pubblica vi si opponeva perché i loro principi di governo erano in contrasto con i principi accettati del diritto e della legalità. Erano disprezzati e detestati come usurpatori. Ma l'usurpazione di Lenin venne vista in una luce diversa. Era il brutale superuomo la cui venuta era stata desiderata da dei pseudo-filosofi. Era il falso salvatore eletto dalla storia per portare la salvezza attraverso lo spargimento di sangue. Non era forse l'adepto più ortodosso del socialismo "scientifico" Marxista? Non era l'uomo destinato a realizzare i piani socialisti per la cui esecuzione gli statalisti deboli delle democrazie in decomposizione erano troppo timidi? Tutte le persone ben intenzionate tifavano per il socialismo; la scienza, attraverso le bocche dei professori infallibili, lo raccomandò; le chiese predicavano il socialismo Cristiano; i lavoratori desideravano l'abolizione del sistema salariale. Ecco l'uomo che avrebbe soddisfatto tutti questi desideri. Era abbastanza giudizioso per sapere che non si poteva fare una frittata senza rompere le uova.

Mezzo secolo prima, tutte le persone civili censurarono Bismarck quando dichiarò che i grandi problemi della storia devono essere risolti dal sangue e dal ferro. Ora la maggior parte degli uomini quasi-civilizzati si inchinava al dittatore che era disposto a versare più sangue di quanto avesse mai fatto Bismarck.

Questo era il vero significato della rivoluzione di Lenin. Tutte le idee tradizionali di giustizia e di legalità vennero rovesciate. La regola della violenza sfrenata e dell'usurpazione prese il posto dello stato di diritto. "L'orizzonte ristretto della legalità borghese", come lo aveva soprannominato Marx, venne abbandonato. D'ora in avanti nessuna legge poteva più limitare il potere degli eletti. Erano liberi di uccidere ad libitum. Venne dato sfogo agli impulsi innati dell'uomo verso lo sterminio violento di tutti coloro che non erano graditi, repressi da un'evoluzione lunga e faticosa. I demoni erano liberi. Nacque una nuova era, l'età degli usurpatori. I malviventi vennero chiamati ad agire, e loro ascoltarono la Voce.

Naturalmente, Lenin non voleva dire questo. Non voleva concedere ad altre persone le prerogative che si arrogava per sé. Non voleva assegnare ad altri uomini il privilegio di liquidare i propri avversari. Lui era il solo eletto dalla storia e con in mano il potere dittatoriale. Era l'unico dittatore "legittimo" perché — una voce interiore gli aveva detto così. Lenin non fu abbastanza intelligente da prevedere che altre persone, imbevute di altre confessioni, avrebbero potuto avere il coraggio di fingere che anche loro erano state chiamate da una voce interiore. Eppure, in pochi anni, uomini come Mussolini e Hitler divennero abbastanza visibili.

E' importante rendersi conto che il Fascismo ed il Nazismo erano dittature socialiste. I comunisti, sia i membri iscritti ai partiti comunisti sia i compagni di viaggio, stigmatizzano il Fascismo ed il Nazismo come la fase più alta ed ultima e la più depravata del capitalismo. Questo è in perfetto accordo con la loro abitudine di chiamare tutti i partiti che non si arrendono incondizionatamente ai dettami di Mosca — anche i Socialdemocratici Tedeschi, il partito classico del Marxismo — mercenari del capitalismo.

Ha un impatto molto più significativo che i comunisti siano riusciti a cambiare la connotazione semantica del termine Fascismo. Il Fascismo, come si vedrà in seguito, era una variante del socialismo Italiano. Venne adattato alle particolari condizioni delle masse in un'Italia sovrappopolata. Non fu un prodotto della mente di Mussolini e sopravviverà alla caduta di Mussolini. La politica estera del Fascismo e del Nazismo, sin dai loro inizi, erano piuttosto opposte l'una all'altra. Il fatto che i Nazisti ed i Fascisti collaborarono strettamente dopo la guerra d'Etiopia, e furono alleati nella Seconda Guerra Mondiale, non eliminò le differenze tra questi due principi non più di quanto l'alleanza tra la Russia e gli Stati Uniti eliminò le differenze tra il Sovietismo ed il sistema economico Americano. Il Fascismo ed il Nazismo erano entrambi fedeli al principio Sovietico della dittatura e dell'oppressione violenta dei dissidenti. Se si vuole includere il Fascismo e il Nazismo nella stessa classe di sistemi politici, si deve chiamare questa classe regime dittatoriale e non si deve trascurare di includere i Sovietici nella stessa classe.

Negli ultimi anni le innovazioni semantiche dei comunisti sono andate ancora oltre. Essi chiamano tutti quelli che non amano, ogni sostenitore del sistema della libera impresa, un Fascista. Il Bolscevismo, dicono, è l'unico sistema realmente democratico. Tutti i paesi non-comunisti ed i partiti sono essenzialmente anti-democratici e Fascisti.

E' vero che a volte anche i non-socialisti — le ultime vestigia della vecchia aristocrazia — hanno accarezzato l'idea di una rivoluzione aristocratica modellata secondo il modello della dittatura Sovietica. Lenin aveva aperto i loro occhi. Che allocchi, gemevano, siamo stati! Ci siamo fatti ingannare dal falso motto della borghesia liberale. Credevamo che non fosse consentito deviare dallo stato di diritto e schiacciare senza pietà chi osava sfidare i nostri diritti. Che sciocchi erano questi Romanov nel concedere ai loro nemici mortali i benefici di un processo equo! Se qualcuno suscita il sospetto di Lenin, è finita per lui. Lenin non esita a sterminare, senza alcun processo, non solo ogni sospettato, ma tutti i suoi parenti ed amici. Ma gli zar erano superstiziosamente impauriti nel violare le regole stabilite da quei pezzi di carta chiamate leggi. Quando Alexander Ulyanov cospirò contro la vita dello Zar, solo lui venne giustiziato; suo fratello Vladimir venne risparmiato. Così lo stesso Alessandro III salvò la vita di Ulyanov-Lenin, l'uomo che sterminò senza pietà suo figlio, sua nuora ed i suoi figli e con essi tutti gli altri membri della famiglia che avrebbe potuto catturare. Questa non era la politica più stupida e suicida?

Tuttavia, nessuna azione sarebbe risultata dai sogni ad occhi aperti di questi vecchi Tory. Erano un piccolo gruppo di brontoloni impotenti. Non erano supportati da alcuna forza ideologica e non avevano seguaci.

L'idea di una tale rivoluzione aristocratica motivò gli Stahlhelm Tedeschi ed i Cagoulard Francesi. I Stahlhelm vennero semplicemente scacciati per ordine di Hitler. Il Governo Francese imprigionò facilmente i Cagoulard prima che avessero alcuna possibilità di fare del male.

L'approccio più vicino ad una dittatura aristocratica era il regime di Franco. Ma Franco era solo un fantoccio di Mussolini e di Hitler, che voleva ottenere aiuti per la guerra imminente contro la Francia, o almeno la neutralità "amichevole". Con la scomparsa dei suoi protettori, o doveva adottare metodi di governo Occidentali o andarsene.

La dittatura e l'oppressione violenta di tutti i dissidenti sono oggi istituzioni esclusivamente socialiste. Ciò diventa chiaro nel momento in cui diamo uno sguardo più da vicino al Fascismo ed al Nazismo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


domenica 25 marzo 2012

Il Concetto di un Sistema di Governo Perfetto

«L'origine del governo è la comprensione comune ed il comune accordo della società; [...] [il governo] mette in pratica il comune desiderio della società, primo, per la libertà, e secondo, per la sicurezza. Oltre di ciò non va; non contempla alcun intervento concreto sull'individuo, ma solo un intervento passivo. [...] Il codice del governo sarebbe dovuto essere quello del leggendario re Pausole, che prescrisse solo due leggi per i suoi sudditi, la prima, Non fare del male a nessun uomo, e la seconda, Poi fa come vuoi; e [...] l'unico interesse del governo dovrebbe essere quello puramente passivo di vedere questo codice messo in atto. [...] Al contrario, lo Stato non si originò dalla comune comprensione ed dall'accordo nella società; si originò dalla conquista e dalla confisca. La sua intenzione, lontana dal contemplare la "libertà e la sicurezza", non contemplava niente del genere. Contemplava principalmente lo sfruttamento economico continuo di una classe su un'altra e si preoccupava della libertà e della sicurezza in coerenza con questa intenzione principale; ovvero molto poco. La sua funzione primaria o esercizio non era mediante [...] interventi puramente passivi sull'individuo, ma mediante innumerevoli e molto onerosi interventi concreti, tutti allo scopo di mantenere la stratificazione della società in una classe sfruttatrice e proprietaria ed un'altra dipendente e senza proprietà. L'ordine di interesse che è riflesso non è sociale, ma puramente antisociale; e coloro che lo amministrano, giudicati dal comune senso dell'etica o perfino dal comune senso della legge applicata alle persone, sono indistinguibili da una classe professionista di criminali.» -- Albert Jay Nock
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di Ludwig von Mises


[The Ultimate Foundation of Economic Science (1962)]


"L'ingegnere sociale" è il riformatore che è pronto a "liquidare" tutti coloro che non rientrano nel suo piano di organizzazione degli affari umani. Eppure gli storici, e talvolta anche le vittime che egli manda a morte, non sono contrari alla ricerca di alcune attenuanti ai suoi massacri ed alle stragi pianificate, sottolineando che è stato in ultima analisi motivato da una nobile ambizione: voleva stabilire lo stato perfetto del genere umano. Gli assegnano un posto nella lunga fila dei progettisti di schemi utopistici.

Ora, è certamente una follia giustificare in questo modo gli omicidi di massa di gangster sadici come Stalin e Hitler. Ma non c'è dubbio che molti dei più sanguinosi "liquidatori" erano guidati da idee che prendevano ispirazione dai longevi tentativi dei filosofi di meditare su una costituzione perfetta. Dopo aver progettato il disegno di un tale ordine ideale, l'autore è alla ricerca di colui che lo possa stabilire sopprimendo l'opposizione di tutti coloro che sono in disaccordo. In tale ottica, Platone era ansioso di trovare un tiranno che avrebbe usato il suo potere per realizzare lo stato ideale Platonico. La questione se gli altri avessero voluto o no ciò che egli stesso aveva in serbo per loro, non è mai saltata in mente a Platone. Egli comprendeva molto bene che il re trasformato in filosofo o il filosofo divenuto re era il solo ad avere il diritto di agire e che tutte le altre persone dovevano, senza una volontà propria, sottostare ai suoi ordini. Dal punto di vista del filosofo, che è fermamente convinto della propria infallibilità, tutti i dissidenti rappresentano solo dei ribelli ostinati che resistono a quello che andrà a loro beneficio.

L'esperienza fornita dalla storia, soprattutto quella degli ultimi 200 anni, non ha scosso questa convinzione della salvezza attraverso la tirannia e la liquidazione dei dissidenti. Molti dei nostri contemporanei sono fermamente convinti che ciò che è necessario per rendere tutti gli affari umani perfettamente soddisfacenti è la repressione brutale di tutte le persone "cattive", cioè, coloro i quali non sono d'accordo. Sognano un sistema di governo perfetto che — come pensano — si sarebbe già realizzato se queste persone "cattive", guidate dalla stupidità e dall'egoismo, non avessero ostacolato la sua creazione.

Una scuola moderna, e presumibilmente scientifica, di riformatori rifiuta queste misure violente ed incolpa il presunto fallimento di quella che viene chiamata "scienza politica" per tutto quello che manca alle condizioni umane. Le scienze naturali, dicono, sono progredite considerevolmente negli ultimi secoli, e la tecnologia ci rifornisce quasi ogni mese di nuovi strumenti che rendono più gradevole la vita. Ma il "progresso politico è stato pari a zero." La ragione è che "la scienza politica si è inceppata".[1] La scienza politica dovrebbe adottare i metodi delle scienze naturali; non dovrebbe più sprecare il suo tempo nelle semplici speculazioni, ma dovrebbe studiare i "fatti". Infatti, come nelle scienze naturali, i "fatti sono necessarie prima ancora della teoria".[2]

Difficilmente si può fraintendere più dolorosamente ogni aspetto della condizione umana. Se limitiamo la nostra critica ai problemi epistemologici coinvolti, dobbiamo dire: Quella che oggi viene chiamata "scienza politica" è quel ramo della storia che si occupa della storia delle istituzioni politiche e della storia del pensiero politico che si manifesta negli scritti di autori che dissertarono sulle istituzioni politiche ed abbozzarono piani per la loro alterazione. E' la storia in quanto tale, come è stato sottolineato in precedenza, a non fornire mai i "fatti" nel senso in cui questo termine viene utilizzato nelle scienze sperimentali naturali. Non c'è bisogno di esortare gli scienziati politici affinché assemblino tutti i fatti del passato remoto e dalla storia recente, falsamente etichettata come "esperienza presente."[3] In realtà fanno tutto quello che possono fare in questo senso. E non ha senso dire loro che le conclusioni derivanti da questo materiale dovrebbero "essere testate da esperimenti".[4] E' ad abundantiam ripetere che le scienze dell'azione umana non possono fornire alcun esperimento.

Sarebbe assurdo affermare apoditticamente che la scienza non riuscirà mai a sviluppare una dottrina prasseologica aprioristica di organizzazione politica che posizionerebbe la scienza teorica dal lato della disciplina puramente storica della scienza politica. Tutto ciò che possiamo dire oggi è che nessuno sa come una tale scienza potrebbe essere costruita. Ma anche se tale nuova branca della prasseologia dovesse emergere un giorno, non sarebbe di alcuna utilità per il trattamento dei problemi che i filosofi e gli statisti erano e sono ansiosi di risolvere.

Che ogni azione umana deve essere giudicata e viene giudicata dai suoi frutti o risultati è una verità vecchia. Si tratta di un principio con il quale i Vangeli concordano con gli insegnamenti spesso fraintesi della filosofia utilitaristica. Ma il punto cruciale è che le persone differiscono considerevolmente l'una dall'altra nella loro valutazione dei risultati. Ciò che alcuni considerano come buono o migliore, è spesso appassionatamente respinto da altri come completamente malvagio. Gli utopisti non si sono preoccupati di dirci quale organizzazione di stato soddisferebbe al meglio i propri cittadini. Si sono limitati ad esporre quali condizioni del resto del genere umano sarebbero più soddisfacenti per loro. Né a loro né ai loro adepti, che hanno provato a realizzare i loro programmi, è mai venuto in mente che c'è una differenza fondamentale tra queste due cose. I dittatori Sovietici ed il loro seguito pensano che va tutto bene in Russia fino a quando essi stessi sono soddisfatti.

Ma anche se per amor di discussione mettiamo da parte questo problema, dobbiamo sottolineare che il concetto di sistema di governo perfetto è fallace ed auto-contraddittorio.

Ciò che eleva l'uomo al di sopra di tutti gli altri animali è la cognizione che la cooperazione pacifica, in base al principio della divisione del lavoro, è un metodo migliore per preservare la vita e per rimuovere il disagio percepito rispetto alla spietata concorrenza biologica per una porzione di mezzi di sussistenza scarsi forniti da natura. Guidato da questa intuizione, l'uomo solo tra tutti gli esseri viventi mira consapevolmente a sostituire la cooperazione sociale con quello che i filosofi hanno chiamato lo stato di natura o helium omnium contra omnes o la legge della giungla. Tuttavia, al fine di preservare la pace, è indispensabile, come esseri umani, essere pronti a respingere con la violenza ogni aggressione, sia da parte di malviventi interni sia da parte di nemici esterni. Così, la cooperazione umana pacifica, il presupposto della prosperità e della civiltà, non può esistere senza un apparato sociale di coercizione e costrizione, vale a dire, senza un governo. I mali della violenza, della rapina e dell'omicidio possono essere impediti solo da un'istituzione che di per sé, in caso di necessità, ricorre agli stessi metodi che si presuppone debba combattere. Emerge una distinzione tra impiego illegale della violenza e ricorso legittimo ad essa. In luce di questo fatto alcune persone hanno chiamato il governo un male, pur ammettendo che si tratta di un male necessario. Tuttavia, ciò che è necessario per conseguire un fine ricercato e considerato benefico non è un male nella connotazione morale di questo termine, ma un mezzo, che ha un prezzo da pagare. Eppure resta il fatto che le azioni che sono ritenute altamente discutibili e penali commesse da individui "non autorizzati", sono approvate se commesse dalle "autorità".

Il governo in quanto tale non solo non è un male, ma l'istituzione più necessaria e utile, in quanto senza di essa nessuna cooperazione sociale duratura e nessuna civiltà potrebbero svilupparsi ed essere preservate. E' un mezzo per far fronte ad una imperfezione intrinseca di molti, forse della maggioranza di tutte le persone. Se tutti gli uomini fossero in grado di rendersi conto che l'alternativa alla cooperazione sociale pacifica è la rinuncia di tutto quello che distingue l'Homo Sapiens dalle bestie da preda, e se tutti avessero la forza morale di agire sempre di conseguenza, non ci sarebbe alcuna necessità di istituire un apparato sociale di coercizione e di oppressione. Lo stato non è un male, lo sono le carenze della mente umana e degli atteggiamenti che richiedono imperativamente l'uso di un potere di polizia. Il governo e lo stato non potranno mai essere perfetti, perché essi devono la loro raison d'être all'imperfezione dell'uomo e possono raggiungere il loro scopo, l'eliminazione dell'impulso innato dell'uomo alla violenza, solo ricorrendo alla violenza, la cosa che sono chiamati a prevenire .

Affidarsi ad un individuo o ad un gruppo di persone con facoltà di ricorrere alla violenza è un'arma a doppio taglio. La seduzione implicita è troppo allettante per un essere umano. Gli uomini che dovrebbero proteggere la comunità contro l'aggressione violenta, si trasformano facilmente in aggressori più pericolosi. Violano il loro mandato. Abusano del loro potere per opprimere coloro che avrebbero dovuto difendere dall'oppressione. Il principale problema politico è come evitare che il potere di polizia diventi tirannico. Questo è il significato di tutte le lotte per la libertà. La caratteristica essenziale della civiltà Occidentale, che la distingue dalle civiltà bloccata e pietrificata dell'Oriente, era ed è la sua preoccupazione per la libertà dallo stato. La storia dell'Occidente, a partire dall'età della πολις Greca fino alla resistenza al socialismo dei giorni nostri, è essenzialmente una storia della lotta per la libertà contro gli abusi dei funzionari pubblici.

Una scuola di filosofi sociali con una mentalità poco profonda, gli anarchici, hanno scelto di ignorare la questione suggerendo un'organizzazione del genere umano senza stato. Sono semplicemente passati sopra il fatto che gli uomini non sono angeli. Erano troppo ottusi per rendersi conto che nel breve periodo un individuo o un gruppo di individui possono certamente favorire i propri interessi a scapito degli interessi di lungo termine propri e quelli di tutta la popolazione. Una società che non è disposta a contrastare gli attacchi di tali aggressori asociali e miopi, è impotente ed alla mercee dei suoi membri meno intelligenti e più brutali. Mentre Platone fondò la sua Utopia sulla speranza che un piccolo gruppo di filosofi perfettamente saggi e moralmente impeccabili si sarebbe occupato degli affari umani, gli anarchici suggerivano che tutti gli uomini senza alcuna eccezione erano dotati di perfetta saggezza ed impeccabilità morale. Non riuscirono a concepire che nessun sistema di cooperazione sociale può rimuovere il dilemma tra gli interessi di un uomo o di un gruppo nel breve termine e quelli nel lungo termine.

La propensione atavica dell'uomo a sottomettere tutte le altre persone si manifesta chiaramente nella popolarità di cui gode il regime socialista. Il socialismo è totalitario. Solo l'autocrate o il consiglio degli autocrati è chiamato ad agire. Tutti gli altri uomini saranno privati di ogni potere discrezionale di scegliere e di puntare a fini prescelti; gli avversari saranno liquidati. Nell'approvare questo piano, ogni socialista implica tacitamente che i dittatori, i soggetti incaricati alla gestione della produzione e di tutte le funzioni di governo, si conformeranno per l'appunto alle proprie idee su ciò che è desiderabile e ciò che è indesiderabile. Nel definire lo stato — se si tratta di un Marxista ortodosso, lo chiama società — gli assegna un potere illimitato, inoltre egli divinizza sé stesso e mira alla soppressione violenta di tutti coloro con cui è in disaccordo. Il socialista non vede alcun problema nella conduzione degli affari politici perché egli ha cura solo della propria soddisfazione e non tiene conto della possibilità che un governo socialista possa procedere in un modo che non gli piaccia.

Gli "scienziati politici" sono liberi dalle illusioni e dagli auto-inganni che guastano il giudizio degli anarchici e dei socialisti. Ma impegnati nello studio dell'immenso materiale storico, si preoccupano dei dettagli, delle innumerevoli istanze di meschina gelosia, dell'invidia, dell'ambizione personale, e della cupidigia mostrati dagli attori sulla scena politica. Essi attribuiscono il fallimento di tutti i sistemi politici finora provati alla debolezza morale ed intellettuale dell'uomo. Per come la vedono, questi sistemi non sono riusciti perché il loro funzionamento soddisfacente avrebbe richiesto uomini di qualità morali ed intellettuali presenti nella realtà solo in casi eccezionali. A partire da questa dottrina, hanno provato ad elaborare piani per un ordine politico che avrebbe potuto funzionare automaticamente, per così dire, e non sarebbe stato invaso dall'inettitudine e dai vizi degli uomini. La costituzione ideale avrebbe dovuto garantire una condotta senza macchia degli affari pubblici, nonostante la corruzione e l'inefficienza dei governanti e del popolo. Quelli alla ricerca di un tale sistema legale non indulgevano nelle illusioni utopiche degli autori che affermavano che tutti gli uomini, o almeno una minoranza degli uomini superiori, sono senza colpa ed efficienti. Si gloriavano nel loro approccio realistico al problema. Ma non sollevarono mai la questione di come gli uomini viziati da tutte le carenze inerenti al carattere umano, avrebbero potuto essere persuasi a sottomettersi volontariamente ad un ordine che avrebbe impedito loro di dare sfogo ai loro capricci e fantasie.

Tuttavia, questa non è la sola carenza principale di questo approccio presumibilmente realistico al problema. Bisogna considerare anche l'illusione che il governo, un'istituzione la cui funzione essenziale è l'impiego della violenza, potrebbe essere gestito secondo i principi della morale che condannano perentoriamente il ricorso alla violenza. Il governo punta alla sottomissione, all'imprigionamento e all'assasinio. Le persone possono essere inclini a dimenticare perché il cittadino rispettoso della legge si sottopone docilmente agli ordini delle autorità in modo da evitare la punizione. Ma i giuristi sono più realistici e definiscono imperfetta una legge a cui non viene fissata alcuna sanzione per le sue imperfezioni. L'autorità della legge fatta dall'uomo è dovuta interamente alle armi dei poliziotti che obbligano il rispetto e l'obbedienza delle sue disposizioni. Nulla di ciò che si può dire sulla necessità di un'azione governativa e dei benefici che ne derivano può rimuovere o attenuare la sofferenza di coloro che stanno languendo in prigione. Nessuna riforma può rendere perfettamente soddisfacente il funzionamento di un ente la cui attività essenziale consiste nell'infliggere dolore.

La responsabilità per la mancata scoperta di un sistema di governo perfetto non si fonda sulla presunta arretratezza della cosiddetta scienza politica. Se gli uomini fossero perfetti, non ci sarebbe alcun bisogno di governo. Con gli uomini imperfetti nessun sistema di governo può funzionare in modo soddisfacente.

Il primato dell'uomo consiste nella sua facoltà di scegliere i fini e di ricorrere a determinati mezzi per il conseguimento dei fini scelti; le attività del governo mirano a limitare questa discrezionalità degli individui. Ogni uomo mira ad evitare quello che gli causa dolore; le attività del governo in ultima analisi consistono nell'inflizione di dolore. Tutte le grandi conquiste dell'umanità sono state il prodotto di un impegno spontaneo da parte degli individui; il governo sostituisce la coercizione all'azione volontaria. E' vero, il governo è indispensabile perché gli uomini non sono impeccabili. Ma se progettato per affrontare alcuni aspetti dell'imperfezione umana, non potrà mai essere perfetto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] N.C. Parkinson, The Evolution of Political Thought (Boston, 1958), p. 306.

[2] Ibid., p. 309.

[3] Ibid., p. 314.

[4] Ibid., p. 314.

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