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venerdì 12 settembre 2025

La grande battaglia del nostro tempo non è Oriente contro Occidente, bensì globalisti contro sovranisti

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato fuori controllo negli ultimi quattro anni in particolare. Questa una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-grande-battaglia-del-nostro-tempo)

Di recente mi è capitato di vedere questo video su uno dei bari più famosi in Italia. Niente di correlato con la mia attività divulgativa... almeno all'apparenza. Poi ho capito. Quando ho scritto i miei primi due libri, L'economia è un gioco da ragazzi e La fine delle fallacie economiche, ho esposto ai lettori le regole del gioco, quelle che tutti di base dovrebbero seguire. La metodologia Austriaca, da questo punto di vista, è ottima nella descrizione e nell'approccio. Ma rimane un mondo ideale, distaccato dalla realtà delle cose. Così come rimane distaccato dalla realtà il sito web del Mises Institute, poiché immagina che tutti seguano le regole del gioco e che queste ultime puniscano chi si discosta eccessivamente da esse. Infatti il problema è il tempo: quanto tempo passa prima di una correzione violenta e inarrestabile del sistema in questione? Non si sa... le stesse regole descritte con dovizia di particolari, logica e rigore si rivoltano contro chi le spiega dato che il tempo è un concetto fondamentale nell'analisi Austriaca.

E se barare fa parte dell'azione umana, bisogna prendere in considerazione questo aspetto nella propria metodologia d'indagine e analisi. Quindi ho innovato il modello iniziale e l'ho riproposto secondo la mia ottica, la mia evoluzione della teoria. L'ho condensato infine nell'ultimo libro pubblicato, Il Grande Default. L'ho applicato anche sul blog e su tutti gli spazi di divulgazione in cui opero, compreso questo, sin da quando, nel 2021, mi sono posto la domanda: “E se la FED stesse iniziando a proteggere il dollaro, adesso, piuttosto che distruggerlo?” Questa semplice domanda ha spiegato con coerenza tutti gli eventi successivi: il SOFR, il ciclo di rialzo dei tassi di Powell, i dazi, Tether, la liquidità dei titoli sovrani americani, l'inclusione di Bitcoin e oro a protezione del dollaro e dei Treasuries, ecc.

Il mio metodo, quindi, la mia lettura della realtà, la mia area di consulenza, non si pone come obiettivo l'arrogante e ridicola invettiva, con tanto di dito indice alzato e scosso nell'aria, di “far rispettare le regole”; invece rallenta la mano dei bari e cerca, quanto più accuratamente possibile, di suggerire a chi legge, e cerca consulenza, il modo per trarre un vantaggio competitivo rispetto a chi scioccamente agita il dito in aria pretendendo che l'intera umanità aderisca al suo mondo ideale. Un nobile obiettivo da perseguire, senza dubbio, ma nel frattempo... occhio al portafoglio perché è questo, invece, il mondo che abbiamo.


DAL DOGMA ALLA STRATEGIA

Se le basi della dottrina Austriaca sono radicate profondamente nell'azione umana, è altresì vero che il sistema bancario centrale di per sé è solo uno strumento. Ciò che conta sono gli esseri umani e ciò che ne fanno. Inutile dire che esso incentiva all'arbitrio sconsiderato, ma un conto è usare un coltello per attaccare solamente... un altro è usarlo per difendersi. Ripeto si tratta del mondo che abbiamo e in cui dobbiamo vivere, lavorare per renderlo un posto migliore per noi stessi è sacrosanto, nel frattempo è altrettanto sacrosanto cogliere quelle vittorie che ci portano un passo in più verso l'obiettivo finale: la sostituzione del sistema bancario centrale con qualcosa di più sostenibile. Perché se è vero che la bancarotta è un fenomeno che avviene dapprima lentamente e poi improvvisamente, allo stesso modo la solvibilità è qualcosa che si manifesta dapprima lentamente solo infine improvvisamente. Con il colpo di stato perpetrato dai globalisti durante la pandemia Covid, era evidente che ci fosse un cambio di linea di politica al vertice; qualcosa era cambiato e bisognava capire cosa. All'inizio non è stato facile mettere insieme i puntini, visto che il piano è stato svelato a mano a mano e soprattutto c'era la chiave di lettura da cambiare: dal mondo che vorrei/vorremmo al mondo che ho/abbiamo.

Nel momento in cui ho capito che tutta quella storia verteva sullo smantellamento del sistema bancario commerciale così come lo conosciamo e l'implementazione della sorveglianza finanziaria (es. CBDC) per impedire alla popolazione di protestare nel momento in cui il “vecchio” debito sarebbe stato sottoposto a pesante haircut per poterne emettere di nuovo tramite i perpetual bond, riciclando quindi il “vecchio” sistema in quello “nuovo”, mi è stato chiaro quale fosse la guerra globale che si stava combattendo. Applicando questa visione delle cose agli eventi che accadevano, mi ha colpito l'ovvietà con cui Powell ha iniziato a restringere l'offerta di denaro americana ben prima delle altre banche centrali mettendo fine a una linea di politica coordinata tra queste istituzioni durata per più di dieci anni. Non solo, ma anche il modo con cui ha lottato per essere riconfermato per il secondo mandato: una realtà che si sarebbe manifestata solo con l'appoggio di istituti bancari come JP Morgan, Goldman Sachs, ecc.

Una volta che si accetta questo background, ed è stato relativamente facile accettarlo visto che per anni ho denunciato l'UE su queste pagine come la seconda venuta dell'URSS, si capisce che la vera minaccia era la centralizzazione progressiva messa in campo da questa presunta unione di stati. Una volta che questo background si applica al resto del mondo, si nota che la conformità con la regolamentazione selvaggia messa in campo dall'UE altro non è che un gigantesco colpo di stato mondiale affinché tutti si conformino ai suoi dettami. Non mancano ovviamente infiltrati nelle stanze dei bottoni dei governi esteri per facilitare questa progressione, come ad esempio lo è stata l'amministrazione Obama, prima, e quella Biden, dopo. L'effetto centripeta dell'UE si è dimostrato, di fatto, un modello predittivo a sé stante, in grado da fungere da proverbiale “palla di vetro” per gli eventi futuri. Se infatti si ha un modello è facile scremare il grano (fenomeni che contano) dalla pula (titoli dei giornali).

È così, quindi, che il mondo deve essere visto: un adattamento alla realtà della serie di romanzi Il Trono di Spade. Questo ovviamente serve a catturare l'attenzione delle giovani leve, per così dire, dato che esiste un adattamento migliore a livello di letteratura ed è rappresentato dai romanzi di Dune, i quali sono un manuale eccellente per chi volesse capire l'emergere della geopolitica moderna negli anni '50 e '60 del secolo scorso. Oltre agli aspetti sociologici, è assolutamente affascinante notare come la religione sia il primum movens che motiva la gente comune a scendere in battaglia e viene costantemente tenuta sotto controllo attraverso di essa mentre le fazioni al vertice della piramide sociale si danno battaglia per il potere politico. E visto che siamo in tema di letteratura, come non citare il Ciclo delle Fondazioni sull'ascesa e la caduta degli imperi, e le opere di Philip K. Dick sul takeover della tecnologia rispetto all'umanità delle persone e l'ascesa della tecnocrazia. Oltre a fornire il modello attraverso cui leggere le informazioni che arrivano dall'esterno, e non adattare le conclusioni alle proprie idee, tutti questi manoscritti servono anche a essere un buon comunicatore piuttosto che ad “avere ragione su tutto”.

Infatti le informazione che arrivano dalla sfera geopolitica sono talmente fungibili che praticamente tutti, soprattutto coloro senza un modello, giocano al gioco delle probabilità e delle percezioni plausibili.A tal proposito diventa enigmatico per queste stesse persone farsi un'idea di cosa stiano combinando Trump e Powell, rimanendo sulla chiave di lettura superficiale in cui il primo vuole far fuori, politicamente, il secondo. Poi, però, ci sono fatti come il licenziamento di Lisa Cook e lo smantellamento di quella cupola di infiltrati alla FED che nel 2021 aveva cercato di sabotare la riconferma di Powell e mettere al suo posto un pupazzo della cricca di Davos. L'emarginazione dei fidati di Powell (Clarida, Rosengren e Kaplan) mirava a spiazzare la presa sulla banca centrale americana di quella parte del FOMC che voleva rialzare i tassi e iniziare a prosciugare il mercato degli eurodollari, avvantaggiando personaggi come la Cook che invece volevano che il dollaro continuasse a essere svuotato. Quello che Powell ha fatto sin dal 2021 è stato preparare la scena per quello che poi avrebbe fatto Trump una volta in carica, o per meglio dire, i NY Boys una volta che il loro rampollo avrebbe preso la carica appoggiato dall'elettorato americano.

Alla fine, tutto si riduce a porsi le giuste domande... un buon modello, tutto sommato, non credete? Chiaramente la parte ardua è arrivare alle suddette e su questo vi da una mano uno spazio divulgativo come questo che ha accumulato negli anni esperienza su esperienza. Sostenere questo lavoro vi permette di risparmiare tempo, oltre all'originalità delle tesi proposte. Perché è importante? Presto detto. Torniamo un attimo alla FED, quindi, e poniamoci la domanda: come fa Powell, a capo di un'istituzione il cui mandato è un obiettivo d'inflazione al 2%, prezzi stabili e piena occupazione, a tagliare i tassi nel momento in cui il compito di Trump è introdurre l'economia americana in un periodo di prosperità economica? Lo stesso Powell non è mai stato d'accordo con un obiettivo specifico d'inflazione, ma è una linea di politica sedimentata ormai; così come prezzi stabili e piena occupazione sono chimere keynesiane usate per giustificare un intervento costante nell'economia. Se l'economia americana sta andando bene, come si evince dalla tesi di Trump, allora il lavoro della FED è quello di continuare a rialzare i tassi... perché questo è esattamente il suo lavoro. A meno che, ovviamente, non si cambia il ruolo della FED. 

E qui ritorniamo al ruolo di questo blog nella lettura del mondo: la maggior parte degli investitori, dei broker e dei consulenti finanziari guarda agli indicatori principali (es. Phillips Curve, ecc.) e ritiene, per formazione professionale, che la FED deve “impostare” il “prezzo” del denaro affinché tutti questi altri rapporti vengano “coordinati” e “armonizzati”. Come fa quindi ad abbassare i tassi quando, per definizione stessa del sistema attuale, c'è praticamente piena occupazione, i mercati azionari sono vicini ai picchi assoluti e le commodity sono ancora a prezzi inferiori rispetto a quando Powell è stato riconfermato? Fino allo scorso luglio la situazione fiscale e geopolitica era ancora in subbuglio... come avrebbe potuto tagliare i tassi Powell? Come avrebbe potuto farlo se prima Trump non avesse mostrato qualcosa di concreto al pubblico americano? Il petrolio stava schizzando in alto durante la crisi tra Iran e Israele, e la percezione comune, data dalla stampa internazionale, era che a Trump stavano sfuggendo le cose di mano. Powell doveva essere la voce della stabilità, far capire che avesse le cose sotto controllo. Poi Trump ha iniziato a segnare alcune vittorie sul suo tabellone: l'approvazione della Big Beautiful Bill, la pacificazione di varie aree in Medio Oriente (dal fondo della penisola arabica fin alla pace tra azeri e armeni), ha disinnescato l'escalation tra Israele e Iran, sta dimostrando che i dazi non sono inflazionistici, ecc. In sintesi, è ora di abbattere i miti keynesiani (piantati accuratamente dagli inglesi) nella testa di tutti quegli investitori e consulenti prima di procedere con il cambiamento strutturale del ruolo della FED.

Non è tanto una questione di “poliziotto buono” e “poliziotto cattivo”, bensì di “poliziotto caotico” e “poliziotto stabile”. Ma una domanda che segue naturalmente quella che ci siamo posti prima è: se Trump vuole i tassi bassi perché si preoccupa dell'economia nazionale, perché tutti gli altri si stracciano le vesti affinché segua questo percorso? L'eco che il resto del mondo fa a Trump sul taglio dei tassi da parte della FED equivale a uscire allo scoperto riguardo le loro vere intenzioni: hanno bisogno come l'acqua di liquidità in dollari. E qui casca l'asino keynesiano: è sempre servito per scopi diversi da quelli spacciati ai gonzi che hanno studiato questo ciarpame sui libri di testo. È questo il famoso redde rationem di cui si è tanto parlato su queste pagine in passato. E tutto ciò, ironia della sorte, supporta la tesi di Trump sui dazi! “L'indebolimento” del dollaro sin da quando s'è insediata la nuova amministrazione non è stato altro che una ri-dollarizzazione dell'economia mondiale perché le nazioni del mondo hanno rimpatriato i fondi quando la FED ha iniziato il ciclo di rialzi e Trump ha avviato le nuove politiche commerciali della nazione. Un doppio dazio per tuttiun ribilanciamento veloce del commercio mondiale! Se Powell avesse tagliato in precedenza, l'euro, ad esempio, sarebbe finito a 1.1 col dollaro e il comparto industriale tedesco avrebbe ottenuto un sollievo per quanto riguarda il suo languire.

L'altro lato dei dazi sono i tassi di cambio: davvero credete che la BCE non si preoccupi del tasso di cambio dell'euro? Non piace affatto che sia a 1.17 al momento della stesura di questo saggio. Quindi gli USA stanno fortificando il mercato dei titoli sovrani, indebolendo (strategicamente) il dollaro nel breve termine, stanno tenendo i tassi di riferimento alti forzando una stretta nel mercato delle garanzie collaterali, mentre il resto del mondo si arrabatta per impedire alle proprie divise di salire (vendere dollari e comprare titoli sovrani americani).


UN ASSET IN RAPIDO DEPREZZAMENTO: LA FED

Il mondo in divenire così come si sta configurando in base alle nuove necessità degli Stati Uniti non ha più bisogno di una Federal Reserve onnipresente per tutto e per tutti. Ritengo che Powell sia il primo a sostenere che la FED così com'è nel contesto attuale non è affatto necessaria e la campagna di relazioni pubbliche di Trump, che ha messo al centro dell'attenzione pubblica lo stesso Powell, rappresenta un modo per spiegare alla vulgata il motivo per cui non è necessaria una FED che salva tutto e tutti. Piuttosto che una Coordinated central banks policy, come accaduto fino al 2021, adesso abbiamo una Coordinated central banks submission, dove viene usato il potere della banca centrale americana per emanciparla dalle influenze estere che erano felici di ingrassare a scapito della ricchezza reale americana. Il post-Powell sarà caratterizzato da un dollaro onshore e da uno offshore; massima liquidità in patria, minima liquidità all'estero. La querelle Trump-Powell è una sceneggiata per impostare il dibattito pubblico lungo questi binari e introdurre le necessità di questo assetto al grande pubblico, giustificando la contrazione del mercato dell'eurodollaro e la sostituzione dello stesso con Tether.

Infatti l'infrastruttura messa in campo per le stablecoin esistenti e stablecoin emesse dalle banche commerciali rappresenterà il mezzo attraverso il quale gli USA vogliono tornare a una forma di “denaro privato” e una forma di “sistema bancario comunitario”. È così che si struttura una transizione da un mondo finanziario in cui la FED è la banca centrale del mondo a uno in cui è la banca centrale degli Stati Uniti. Il segno distintivo è stata la transizione dal LIBOR che prezzava il dollaro a livello mondiale in termini di eurodollari, al SOFR, che prezza il dollaro in termini di mercato americano.

La traiettoria è quella in cui la FED imposterà il valore del dollaro all'estero, mentre servirà per sostenere i mercati interni. Un ritorno alla sua concezione originale, un'istituzione eretta per fornire liquidità d'emergenza al commercial paper market, non una rete di salvataggio per istituti finanziari/bancari sull'orlo del fallimento. Infatti se l'economia americana è in buona salute, non ha bisogno di alcuna liquidità aggiuntiva dato che è in grado di fornirla da sé tramite suddetto commercial paper market, un'esclusività dell'economia statunitense. Inutile dire che questo a sua volta significa una decentralizzazione dell'emissione dei dollari.

Per il dollaro, ormai, essere una valuta di riserva mondiale è un peso; non lo è, invece, essere la valuta di saldo internazionale. Per l'appunto, le leggi incentrate sulle stablecoin vanno a rafforzare esattamente questo effetto di rete. Tutte le chiacchiere relative a un'ascesa dei BRICS e di una loro eventuale valuta di riserva mondiale sono gossip, esattamente perché gli USA non cercano più di imporre la propria valuta come riserva. Quel modello era stato creato per innescare cicli di boom/bust più violenti e trasferire, a prezzi stracciati, la ricchezza reale verso coloro che davvero gestiscono il sistema bancario centrale: la cricca di Davos, o più precisamente la City di Londra (il vecchio conglomerato di colonialisti londinese/olandese). L'imposizione di un fiat standard si riduce esclusivamente a questo: non erano gli americani a farlo, bensì questa rete di vecchi interessi bancari che per sostenere le varie valute fiat hanno soppresso il potenziale di oro, prima, e Bitcoin, poi, in modo da mantenere vivo un apparato di sottrazione di risorse in grado di soddisfare la sempiterna massima “vivere al massimo col minimo sforzo”. In fin dei conti è quel che fanno i colonialisti, solo che a lungo andare questo assetto finisce sempre in un declino per tutti, come scrisse anche Chodorov in uno dei suoi migliori libri. Emergono inevitabilmente i cosiddetti accordi vicendevolmente svantaggiosi (“lose-lose”) e c'è un fuggi-fuggi per dirigersi anticipatamente verso le uscite con quanto rimane del “malloppo”. L'euro digitale, per l'appunto, è la strategia d'uscita della cricca di Davos, dove la “exit liquidity” sono i risparmiatori europei.

Per farvi capire meglio cari lettori, attualmente il DAX tedesco viaggia intorno ai 24.000 perché gli investitori europei stanno vendendo Bund e comprano azioni tedesche. È una scommessa su quanto la BCE stamperà in futuro e quanto di questo denaro finirà nei bilanci dell'industria della difesa. Il rapporto P/E del DAX è circa 18; l'ultima volta che era a 16 si trattava del 2008 quando l'intero sistema finanziario era sottoposto a massiccia leva finanziaria. Pensate, quindi, che il mercato azionario tedesco sia sostenibile? Certo, il Dow Jones è trattato a un rapporto P/E superiore ma gli USA hanno prospettive a loro favore, vedono capitali scorrere verso di essi. Nessuno vuole inaugurare una nuova fabbrica in Germania, mentre invece tutti vogliono farlo negli Stati Uniti (il miglior paradiso fiscale “in chiaro” al mondo).

Oltre alla posizione fiscale, c'è anche quella normativa le cui prospettive di snellimento non fanno che migliorare con il lavoro messo in atto dal DOGE. Se a questo ci aggiungiamo che i dazi terminano anche il rent seeking estero tramite l'arbitraggio sulle valute, l'invito a delocalizzare negli USA è decisamente forte. Quello che stiamo osservando è una riorganizzazione del modello di business degli Stati Uniti e un'espressione dei propri vantaggi competitivi attraverso un dollaro più efficiente, ecco perché i vari stati del mondo stanno staccando accordi commerciali secondo i termini proposti da Trump. Questo renderà più facile il compito della FED e Powell ha fatto il suo lavoro: evidenziare il problema e buttare giù quel sistema che ha deformato l'economia statunitense. Ciò che arriverà dopo richiederà tutta una serie di altre capacità. Questo perché non sempre chi distrugge, prima, è anche un buon costruttore, poi, come ci ricordano anche Herbert, Tolkien, ecc.


LA NUOVA MAPPA DEL MONDO

La maggior parte delle volte che viene presentata la mappa del mondo, l'Europa è sempre il punto di partenza. Ora invece di aprire la mappa del mondo in questo modo predefinito, fatelo sull'oceano Pacifico. Per quanto possa essere noiosa la visuale ci sono tre grandi Paesi che si interconnettono: Russia, Cina e Stati Uniti. Questo nuovo assetto emergente serve a porre fine al sistema di estrazione di ricchezza che faceva confluire tutto a Londra e in Europa. Dopo Azerbaijan e Armenia, anche India e Cina si sono riappacificati. Cosa ha a che fare questo con suddetto nuovo assetto? Tutta la parte dell'Asia centrale è fondamentale perché la politica estera inglese ha tenuto sotto scacco la zona per centinaia di anni affinché non si integrasse. I titoli dei giornali si concentrano sul fatto che l'India, a causa della nuova politica commerciale americana, viene spinta “tra le braccia” della Cina, non che essa viene allontanata dalla sfera d'influenza inglese ed europea. Anche qui, il piano degli USA è quello di spingere l'UE e la cricca di Davos a mettere in gioco i propri di capitali per ricostruire ciò che resterà della demolizione “controllata” del tessuto socio-economico che hanno avviato nel 2020 (sulla scia della decisione epocale degli Stati Uniti di ridimensionare il mercato degli eurodollari, per la precisione la leva finanziaria spropositata in esso).

Il gioco di estrarre ricchezza dal contribuente americano e ottenere “pasti finanziari gratis” con cui controllare capillarmente il mondo è finito: la Francia sta vedendo sbriciolarsi il suo impero in Africa centrale, la Germania è stata tagliata fuori dall'accesso a energia a basso costo per la sua industria, il Regno Unito sta perdendo il controllo sulle assicurazioni nel commercio navale e sui saldi nel mercato del Forex, ecc. Per la ricostruzione dell'Europa o la cricca di Davos mette sul tavolo i propri capitali stipati in banche offshore, oppure Russia-Cina-USA l'affamerà dal punto di vista dei finanziamenti tanto che non potrà far altro che ricorrere alla predazione dei risparmiatori europei... almeno inizialmente. Ecco perché sono importanti gli asset congelati russi per la stabilità dei bilanci europei. Finché la Lagarde rimarrà a capo della BCE sarà questo il piano: introdurre l'euro digitale e cambiare il modo in cui hanno sinora funzionato i mercati dei titoli sovrani europei per implementare l'integrazione fiscale e la nuova emissione degli stessi sotto il comando della Commissione europea.

I mercati, però, si stanno rivoltando contro l'idea di una Germania al centro dell'UE come evidenziano soprattutto i rendimenti dei titoli sovrani. Il differenziale di rendimento tra il decennale tedesco e quello italiano, ad esempio, adesso ammonta a 87. Questo significa che alla Meloni viene data la possibilità, se “ripulisce” Roma, di far diventare l'Italia il nuovo centro dell'Unione Europea; oppure di guidare il nuovo blocco del Mediterraneo che si staccherà dagli stati europei del Nord dividendo in due ciò che rimarrà dell'attuale UE.

La cricca di Davos, comunque, è composta da gente che non si da per vinta tanto facilmente. Ancora hanno operazioni sul suolo americano: Newsom è una di queste, Mamdani è un'altra. È una guerra che non finirà tanto presto, perché nel frattempo Trump sta usando la NATO come leva per stringere il cappio al collo di UE/UK. Adesso devono pagare se vogliono armi da inviare il quel buco nero chiamato Ucraina; così come Israele ha dovuto vedersela da solo quando ha attaccato l'Iran. Niente più pantani bellici per gli Stati Uniti in cui avrebbero speso enormi capitali solo per finanziare gli altri. E questa spero sia la miglior interpretazione di ciò che sta accadendo ora: Putin sta verificando se gli USA possono davvero tenere al guinzaglio l'UE, ricostruendo una fiducia andata persa a causa di tutte le macchinazioni nell'ombra ordite dallo Stato profondo americano.

Cina, Russia e Stati Uniti non saranno “grandi amiconi”, ma nemmeno nemici: saranno semplicemente quelle nazioni che rimodelleranno il mondo in quella che verrà ricordata come Yalta 2.0.


EFFETTI DI RETE E VALUTE

Nel campo monetario ognuno avrà il proprio sistema monetario e tale sistema sarà interoperabile. Non voglio essere qui colui che fa propaganda per altre crittovalute, ma non si può ignorare un fatto: Ripple sta emergendo come l'asset digitale da usare come mezzo di pagamento e mezzo per fornire liquidità. Ma quale sarà il collaterale? Titoli sovrani affidabili, oro, Bitcoin e altre commodity. Perché c'è questa frenesia intorno all'oro a livello di banche centrali? Perché oro e avanzo/disavanzo commerciale verranno tokenizzati a un certo punto, o attraverso una stablecoin ancorata al dollaro o attraverso Bitcoin. Per costruire un sistema del genere c'è bisogno di tempo. Perché Bitcoin ha vinto nel corso del tempo rispetto alla “concorrenza”? Effetto di rete. Perché il dollaro è la migliore valuta del mondo? Effetto di rete. Perché Tether è la stablecoin preferita per digitalizzare il dollaro a livello mondiale? Effetto di rete (400 milioni di utenti in tutto il mondo e in crescita). Qualunque sistema verrà scelto in Oriente (es. mBridge) e in Occidente essi saranno interoperabili.

Se i gold bug vogliono davvero che l'oro ritorni a essere centrale nell'attuale società, devono ficcarsi in testa che non si possono muovere centinaia di tonnellate d'oro. È per questo, tra gli altri motivi, per cui l'oro ha smesso di essere mezzo di pagamento ed è stato spostato, durante la Seconda guerra mondiale, dall'Europa agli Stati Uniti. Man mano che il mondo si sposta verso un sistema diverso, uno in cui le riserve saranno tokenizzate, la fiducia nei partner commerciali sarà determinata da cosa si deterrà in tali riserve. È, in sostanza, quello che stanno facendo adesso i cinesi: non stanno più riciclando i loro avanzi commerciali nei titoli sovrani americani, bensì in altre parti del mondo (es. comprano il nickel dall'Indonesia, ferro e carbone dall'Australia, ecc.). La Cina ha ancora una avanzo della bilancia commerciale nei confronti degli Stati Uniti, ma il suo peso nei titoli di stato americani detenuti all'estero è diminuito negli ultimi 3 anni. Dove stanno finendo quei soldi? Circolano nel resto del mondo, e più è interoperabile il sistema meno c'è bisogno di detenere riserve in valute locali... e una volta che la tokenizzazione degli asset farà il suo corso scompariranno anche le restanti frizioni che ancora si porta dietro il mondo analogico (spostare grandi capitali a livello digitale costa spiccioli).

Di nuovo, agli americani non interessa che il dollaro sia detenuto in riserva; interessa principalmente che il biglietto verde sia usato come mezzo di saldo principale nel commercio internazionale.

Bitcoin sarà collaterale, l'oro sarà collaterale, per il prestito locale e quello internazionale; entrambi saliranno di prezzo in relazione al valore nominale degli asset finanziari dove i flussi di denaro hanno imperversato per anni (es. mercato immobiliare, azionario, ecc.). Non credo che assisteremo a una deflazione dei prezzi di massa in questo sistema che si sta spostando verso una minore leva finanziaria come tutti si aspettano: gli hard asset saliranno in termini di prezzo nominale. Ora immaginate la loro inclusione nel circuito di Tether che sta integrando a più livelli gli asset del mondo reale: ciò farà lievitare anche i salari e quegli asset che da tempo immemore sono stati inseriti nelle scelte delle famiglie come “salvadanaio” (es. immobili). Infatti la possibilità di permettersi una casa è un guaio che le neonate famiglie si portano dietro da due decenni ed è qualcosa che si può risolvere o aumentando i salari, o aumentando il valore del collaterale a garanzia, o abbassando le tasse (Lutnick ha fatto sapere che uno degli obiettivi dell'attuale amministrazione è cancellare l'imposta sul reddito per coloro al di sotto dei $150.000 all'anno).


CONCLUSIONE

I mercati dei capitali rappresentano una sorta di pensiero orientato al futuro: a loro non importa del passato. Il meccanismo di prezzo dei mercati dei capitali è scontare il futuro. Quindi gli Stati Uniti mettono in ordine i loro bilanci fiscali e i soldi si muoveranno verso di essi. È una questione di domanda: chi ha gridato allo scandalo quando nella Big Beautiful Bill è stato alzato il tetto del debito non ha pensato al fatto che i $5.000 miliardi in più di titoli emessi verranno venduti e il deficit di bilancio sarà sempre più esiguo. Questa domanda arriverà sulla scia di un miglioramento delle condizioni fiscali, un rafforzamento dello Stato di diritto, un ridimensionamento dello Stato amministrativo, un abbassamento delle imposte sul reddito, uno snellimento delle normative burocratiche, un vantaggio competitivo per coloro che investiranno negli USA (detrazioni fiscali, niente dazi), ecc.

Siamo stati raggirati quando ci è stato fatto credere che quello che ci stiamo lasciando alle spalle è il migliore sistema economico di sempre. L'era del colonialismo tramite l'arbitraggio delle valute è al tramonto e sarà un mondo completamente diverso. I mercati dei metalli (oro, argento e rame principalmente) sono un indicatore potente a tal proposito, non solo il loro aumento di prezzo, ma anche la decentralizzazione delle borse valori di riferimento. Dopo il SOFR, che ha mandato in pensione i tassi d'interesse mondiali gestiti dalla City di Londra, il nuovo exchange di San Pietroburgo manderà in pensione la LBMA e la relativa manipolazione pluridecennale del mercato dell'oro fisico tramite quello sintetico. Il compito arduo che s'è sobbarcata l'amministrazione Trump è quello di smantellare la piovra della cricca di Davos mediante una determinazione dei prezzi genuina in ogni ambito economico.

È una cosa per cui rallegrarsi. Non il mondo perfetto, ma uno migliore in cui vivere e costruire.


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mercoledì 10 settembre 2025

L'UE è una zona di libero scambio?

Quello che più fa arrabbiare eurocrati e sodali/sicofanti al seguito, e causa travasi di bile senza senso sulle piattaforme pubbliche di ogni sorta, è il tappeto dei finanziamenti che è stato tolto da sotto i loro piedi. Con Biden era tutto impostato sul pilota automatico: la proliferazione della legislazione europea è stata accelerata spudoratamente in tale arco presidenziale, un “laissez-faire” in ottica predazione del potenziale industriale-tecnologico americano. Dopo Powell, che nel 2022 ha rappresentato uno spartiacque a livello finanziario, Trump lo ha rappresentato a livello fiscale/politico. E come quando lo “zio ricco” chiude i rubinetti dei soldi ai “nipoti nullafacenti”, questi ultimi si agitano sputando veleno nel piatto in cui mangiavano piuttosto che darsi da fare. Peggio, usano ogni mezzo a loro disposizione per tornare a godere di quel flusso di liquidità che faceva fare loro la “bella vita”. In questo contesto si inseriscono tutte le multe imposte alle Big Tech americane, l'uso a tutto campo del DSA/DMA, la retorica guerrafondaia dell'UE e, in ultima battuta, l'uso dello SWIFT come un'arma. Ecco quest'ultima è più subdola come ci ricorda “The Epoch Times”, visto che può rappresentare un terreno di disturbo alla pace che gli USA stanno perseguendo con sommo interesse da quando Trump ha preso la carica. Ma l'UE, nonostante la sua boria accumulata dopo 2+ decenni di vita seguendo la massima “vivere al massimo col minimo sforzo”, è obsoleta e sorpassata. Nel caso particolare lo SWIFT è sorpassato, soprattutto in ottica GUNIUS Act e Big Beaufitul Bill, leggi in sincronia che aprono le porte a innovazioni talmente “disrputive” a livello mondiale da passare (paradossalmente) inosservate. Oro, Tether, Bitcoin e, in minore battuta, Ripple (è un fatto che sia stata “benedetta” dall'attuale amministrazione americana) sono i cavalieri dell'apocalisse per i desideri di sopravvivenza della burocrazia europea. È un lento soffocare le prospettive di galleggiamento di una struttura farraginosa che non può far altro che affondare nel mare magnum della storia. D'altronde, lo “zio ricco” non è diventato tale per caso...

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di John Phelan

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lue-e-una-zona-di-libero-scambio)

Il 1° gennaio 1993 nacque il Mercato Unico Europeo. L'ottobre dell'anno precedente il Primo Ministro britannico, John Major, aveva auspicato “un mercato unico europeo di 330 milioni di persone [...]. Un mercato per i computer britannici, le automobili britanniche, le televisioni britanniche, i tessuti britannici, i servizi britannici, le competenze britanniche. La più grande area di libero scambio del mondo”.

Eliminando le barriere commerciali all'interno della Comunità Economica Europea, il Mercato Unico avrebbe stimolato il commercio, la crescita economica e, forse, l'integrazione politica. Queste speranze non si sono mai concretizzate.

Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale di ottobre dell'anno scorso ha rilevato che, mentre il commercio intra-UE di beni è aumentato dall'11% al 24% del Prodotto interno lordo dell'Unione Europea tra il 1993 e il 2023, rispetto all'8%-15% del commercio extra-UE, il commercio intra-UE di servizi – che rappresenta il 72% del PIL dell'UE – è cresciuto esattamente allo stesso ritmo del commercio extra-UE. Infatti il commercio tra i Paesi dell'UE è meno della metà di quello tra gli Stati Uniti.

Come si spiega tutto questo? Come osserva Luis Garicano, ex-membro del Parlamento europeo nell'articolo Il mito del mercato unico: “L'FMI stima il costo nascosto degli scambi di beni all'interno dell'UE in un dazio del 45%. Per i servizi la cifra sale al 110%, superiore ai dazi imposti da Trump sulle importazioni cinesi nel ‘giorno della Liberazione’”.

“Il mercato unico che tutti pensavamo di avere è in gran parte un mito”, conclude Garicano, il quale fornisce tre ragioni per questo fallimento.

In primo luogo il principio del “riconoscimento reciproco”, il quale “afferma che tutto ciò che può essere venduto legalmente in un Paese dell'UE può essere venduto in tutti gli altri”, però “fallisce nella pratica”. Il principio “non è mai stato assoluto” e prosegue:

I trattati dell'UE [...] consentono ai Paesi di bloccare prodotti per motivi legittimi come la salute pubblica, la sicurezza, o la tutela dell'ambiente. Ma queste eccezioni avrebbero dovuto essere solo questo: eccezioni, non la regola. Il problema è il costo dell'applicazione della regola quando un Paese rivendica un'eccezione.

Tra i vari esempi:

Ogni prodotto venduto ai consumatori francesi deve recare il logo nazionale di riciclaggio “Triman” e istruzioni dettagliate per la raccolta differenziata specifiche per la Francia. Le lattine di vernice di AkzoNobel soddisfano pienamente le normative UE in materia di sostanze chimiche e di contatto con gli alimenti, ma una singola lattina di vernice deve comunque recare il logo di riciclaggio Triman francese, il “Punto Verde” spagnolo e il codice alfanumerico del materiale italiano. Lo spazio su una lattina da 1 litro è così limitato che l'azienda ora detiene scorte separate per Francia, Spagna e Italia.

In secondo luogo “le direttive UE non armonizzano la legislazione UE”.

“Ci sono due problemi”, scrive Garicano:

[...] in primo luogo, anziché sostituire le normative nazionali, le norme dell'UE si sovrappongono a esse. In secondo luogo, gli stati membri spesso adottano il cosiddetto “gold plating”, ovvero aggiungono ulteriori requisiti nazionali nell'attuazione delle direttive UE.

Il risultato è che, anche quando l'UE crea norme comuni (direttive o regolamenti volti ad armonizzare), spesso il risultato non è un vero mercato unico. Le nuove norme dell'UE spesso non sostituiscono quelle nazionali, ma creano invece ulteriori livelli di regolamentazione.

A titolo di esempio, propone il Regolamento generale sulla protezione dei dati:

[...] il che (nonostante si tratti di un regolamento) significa che abbiamo ancora autorità di regolamentazione a livello UE, nazionale e regionale. Nel gennaio 2022 l'autorità austriaca per la protezione dei dati ha stabilito che l'utilizzo di Google Analytics da parte di NetDoktor violava il GDPR e ha ordinato al sito di disattivare lo strumento, pena sanzioni. Poche settimane dopo l'autorità francese per la protezione dei dati (CNIL) ha emesso decisioni parallele contro tre siti web francesi, dichiarando nuovamente Google Analytics illegale e intimando a ciascun operatore di passare a un'alternativa ospitata nell'UE. Nel giugno 2022 l'autorità italiana (Garante della privacy) ha imposto lo stesso divieto a Caffeina Media, minacciando di sospendere i suoi flussi di dati verso gli Stati Uniti a meno che non avesse riprogrammato il suo stack di analisi entro novanta giorni. Un editore che opera nell'UE deve ora mantenere configurazioni di analisi separate per Austria, Francia e Italia, mentre lo stesso strumento rimane legale altrove. Il rapporto Draghi rileva che ci sono circa 90 leggi incentrate sulla tecnologia e più di 270 autorità di regolamentazione attive nelle reti digitali in tutti i Paesi dell'UE. Tanti saluti al mercato unico!

Infine “la Commissione europea non sta facendo il suo lavoro nel far rispettare il mercato unico”. “[Esplicitamente] incaricata di garantire l’applicazione dei trattati”, scrive Garicano, “nei dodici mesi fino a dicembre 2024, la Commissione ha aperto solo 173 nuovi casi, ovvero solo un quarto del volume gestito un decennio fa”.

“C'è un'evoluzione paradossale nel ruolo della Commissione”, osserva, “man mano che ha assunto funzioni aggiuntive in settori come l'edilizia abitativa, la difesa e la geopolitica (la prima Commissione von der Leyen si definiva una “commissione geopolitica”), si è ritirata dal suo compito principale di controllo del mercato unico”.

Un ottimista potrebbe dedurre che il problema qui non sia l'eccesso di UE, ma la sua carenza: il Mercato Unico non ha mantenuto le sue promesse perché non è sufficientemente “unico”. Un pessimista potrebbe osservare che, se ciò non avviene da oltre trent'anni, è improbabile che inizi a breve. È improbabile che un altro rapporto o una revisione corposa possano far muovere la bilancia.

Questa è una cattiva notizia per il successore di John Major, Kier Starmer. Con il suo governo in difficoltà a meno di un anno dall'insediamento, ha cercato un nuovo accordo con l'UE per migliorare le condizioni di accesso della Gran Bretagna al Mercato Unico.

Ma i servizi rappresentano una quota relativamente alta per quanto riguarda il 54% delle esportazioni britanniche rispetto al 33% degli Stati Uniti e ad appena il 31% dell'UE, e questo è esattamente il settore in cui il Mercato Unico è una finzione. Questo probabilmente spiega l'ostinato rifiuto dell'economia britannica di crollare in seguito alla Brexit: qualsiasi piccolo vantaggio possa derivare dall'essere bloccati in un Mercato Unico con un gruppo di economie inerti si riduce ulteriormente quando ci sono elevate barriere alla vendita delle proprie esportazioni principali – barriere che non sembrano destinate a scomparire tanto presto.

Se Starmer spera che le sue nuove condizioni di accesso alla “più grande area di libero scambio del mondo” compenseranno il danno economico causato dalle disastrose politiche fiscali del suo governo, è probabile che si sbagli. È un mito.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 2 settembre 2025

La nuova economia di guerra europea: dal collasso verde al keynesismo militare

E come ogni economia di guerra che si rispetti, la censura è un'arma che viene impiegata per imporre conformismo e serrare i ranghi. Ormai è difficile che non venga notato ovunque, soprattutto perché i costi di questa campagna continuano a lievitare e senza una fonte di denaro facile con cui finanziarla l'UE crollerà sotto il peso delle sue contraddizioni. Il Digital Markets Act (DMA) è diventato il fulcro della disputa transatlantica. Donald Trump insiste per avere voce in capitolo nell'interpretazione delle norme che, come il DSA, colpiscono principalmente le piattaforme di comunicazione statunitensi dominanti (es. X e Meta). In sostanza, Bruxelles mira a far rispettare le sue linee di politica di censura proprio su quelle piattaforme che stanno diventando sempre più importanti per il dibattito pubblico. Mascherato nella formula “incitamento all'odio”, lo spazio della comunicazione digitale deve essere sottoposto al controllo della censura pubblica. Bruxelles ha notato che le contro-narrazioni che prendono di mira l'eco-autoritarismo si stanno formando principalmente su queste piattaforme e mettono sempre più a nudo il funzionamento e gli obiettivi dell'apparato di potere dell'UE. Per garantire la propria politica di censura, Ursula von der Leyen e il suo apparato burocratico a Bruxelles accettano di buon grado che, alla fine, siano le aziende e i consumatori europei a pagare il prezzo della mania di controllo dell'UE attraverso dazi più elevati. Gli Stati Uniti manterranno l'attuale regime tariffario fino a quando non verrà raggiunto un accordo sulla gestione della politica di censura europea. La posizione intransigente di Washington fa sperare che Bruxelles subirà un duro colpo nel suo tentativo di instaurare una dittatura digitale.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-nuova-economia-di-guerra-europea)

Mentre la pseudo-economia verde trascina l'economia in generale nel baratro, due terzi dei tedeschi si dichiarano soddisfatti delle energie rinnovabili o addirittura ne auspicano una più rapida espansione. Nel frattempo la costruzione di un'economia di guerra europea segna la fase successiva dell'attuale impoverimento dell'Europa.

La strategia economica più popolare e allo stesso tempo più distruttiva rimane l'interpretazione moderna del keynesismo. Con la sua visione semplicistica dell'attività economica, l'economista britannico John Maynard Keynes ha consegnato ai politici del dopoguerra una cassetta degli attrezzi che in seguito hanno distorto in una “soluzione” universale per ogni crisi economica. La versione condensata recita come segue: quasi ogni recessione deriva da un deficit di domanda da parte dei consumatori. Il compito dello stato, quindi, è quello di creare credito artificiale per colmare questo divario di domanda.


Ricetta per l'espansione burocratica

Tassi d'interesse più bassi, stampa di credito e, come dice la favoletta, l'economia decolla. In realtà ciò che rimane è una montagna di debito pubblico, una burocrazia in crescita, mercati finanziari distorti e una produttività in calo. Questi sono fatti economici, facilmente verificabili anche dai non economisti. La prosperità nasce da uno stock di capitale in crescita che soddisfa la domanda dei consumatori in modo efficiente e preciso con più beni e servizi.

La politica keynesiana si è rivelata disastrosa per l'Europa, perché offre ai politici una scusa permanente per espandere la propria influenza, costruire burocrazia e manipolare i mercati. Istituzioni politiche come la Commissione Europea, la maggior parte dei partiti europei e i governi degli stati membri operano quasi esclusivamente in questo modo.


Il Green Deal

È con questo spirito che è nato il Green Deal: una pseudo-economia mascherata da “trasformazione verde” e spacciata per un contributo alla salvezza del pianeta. In realtà si tratta di un congegno mostruoso, una risposta grottesca alla dipendenza energetica dell'Europa che ogni anno divora porzioni sempre più grandi dell'economia solo per mantenere in funzione la sua smisurata macchina dei sussidi.

Solo nel 2024 la Germania ha versato in questa macchina tra i €90 e i €100 miliardi. Il governo federale tedesco ha erogato €58 miliardi, mentre la Banca europea per gli investimenti ha aggiunto €8,6 miliardi in nuovi prestiti, il programma InvestEU €9,1 miliardi e i Fondi per l'innovazione e l'ambiente dell'UE circa €20 miliardi. Senza questo flusso costante di finanziamenti, l'economia zombie crollerebbe. A dimostrazione di ciò, il governo tedesco ha incanalato altri €100 miliardi di debito – mascherati da “fondo speciale” – nella macchina dei sussidi verdi, sempre più affamata.

Le pseudo-economie sopravvivono solo grazie a nuove iniezioni di capitale, andando continuamente contro la domanda del mercato. Le tensioni interne aumentano fino a rendere inevitabile il collasso. Il Green Deal ha intrappolato l'Europa proprio in questa spirale mortale.


Le ricadute

La Germania è ora al terzo anno di recessione e registra un numero record di fallimenti aziendali. Allo stesso tempo il governo ha creato mezzo milione di posti di lavoro nel settore pubblico in soli sei anni, mentre 1,2 milioni di posti di lavoro nel settore privato sono scomparsi. Combinato con l'immigrazione incontrollata, il risultato è una pressione estrema sul sistema di welfare tedesco.

La politica si è ritirata in una posizione puramente difensiva: lo Stato sociale funge da bacino di raccolta per centinaia di migliaia di persone che perdono i propri mezzi di sussistenza, mentre il settore privato crolla sotto il peso dei costi energetici e dei sussidi.

La diagnosi è chiara: il Green Deal è un vicolo cieco. Ogni euro speso esclude i mercati dei capitali privati, alloca male le risorse e incatena i lavoratori nei settori improduttivi. Il contrasto con l'Argentina è sorprendente: lì il presidente Milei ha tagliato la quota di PIL dello stato di sei punti percentuali e ha innescato un boom economico con una crescita del 7,7%.


La trasformazione richiede dolore

L'unica via d'uscita per l'Europa è accettare una dolorosa fase di trasformazione, ridimensionare lo stato e abbandonare le sue fantasie ecologiste. Una politica energetica razionale significa energia nucleare e reintegrazione delle forniture energetiche russe.

Eppure l'opinione pubblica racconta una storia diversa: il 64% dei tedeschi è soddisfatto delle energie rinnovabili, o ne vorrebbe di più. Anni di propaganda statale hanno cancellato il legame tra sussidi verdi e collasso economico. La narrazione del cambiamento climatico, moralizzata e trasformata in un'arma, si è radicata nella coscienza pubblica.

Le energie rinnovabili possono avere il loro posto, ma solo in mercati liberi, senza coercizioni o imposizioni. L'economia verde zombi non è mai riuscita a rilanciare la crescita dell'Europa. È tempo di affrontare la realtà e abbattere questa struttura prima che si possa costruire qualcosa di nuovo.


Il prossimo tentativo

Ma l'Europa non mostra segni di cambiamento di rotta. La burocrazia è diventata troppo grande per smantellarsi da sola. Da Berlino a Bruxelles, i leader trattano l'esodo industriale come una serie di sfortunati incidenti piuttosto che come il risultato diretto delle loro linee di politica. L'accogliente tavola rotonda “Made for Germany” tra Friedrich Merz e gli amministratori delegati del DAX ha confermato il sospetto di collusione tra aziende e statalismo.

Dopo aver fallito con il Green Deal, i politici europei stanno ora sperimentando una nuova pseudo-economia: un complesso militare-industriale alimentato dal debito. Secondo uno studio di Ernst & Young, le aziende tedesche del DAX hanno tagliato 30.000 posti di lavoro nella prima metà del 2025, ad eccezione delle aziende appaltatrici della difesa Rheinmetall e MTU Aero Engines, che hanno aumentato l'organico rispettivamente del 17% e del 7%.

Il piano dell'UE: entro il 2035, metà di tutti i beni di difesa europei – dall'artiglieria alla difesa informatica alle munizioni di precisione – saranno prodotti all'interno dell'Unione, creando fino a 660.000 posti di lavoro. Tutto ciò sarà finanziato non solo dall'aumento dei bilanci nazionali per la difesa, ma anche da programmi UE come ReARM Europe e SAFE, che genereranno centinaia di miliardi di nuovo debito.


Occhi ben chiusi

Bruxelles prevede di mobilitare ulteriori €800 miliardi in spese per la difesa entro il 2030. Eppure nessun settore è più lontano dalla domanda reale dei consumatori dell'industria bellica. Questa è la pseudo-economia keynesiana nella sua forma più estrema: guadagnare tempo con il debito, affamando al contempo i mercati dei capitali privati.

L'ascesa della lobby della difesa come nuova beniamina di Bruxelles alimenterà la corruzione, acuirà il divario tra le strutture parassitarie dell'UE e le forze produttive in contrazione, e consoliderà il clientelismo corporativo come sistema operativo dell'UE. Lo scandalo degli SMS con Pfizer della von der Leyen rimane il simbolo più calzante di questa macchina orrenda di Bruxelles.

In definitiva, l'economia europea non ha né le risorse né la tecnologia per realizzare il sogno di un'UE militarizzata. È una tragica replica del Green Deal: alimentata dalla propaganda, alimentata dal debito e destinata al collasso.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 1 settembre 2025

I dati “in via di sparizione” della Cina non possono nasconderne il rallentamento economico

L'articolo di oggi è importante per la sua analisi schietta e completa della situazione cinese, ma non dobbiamo scordarci cosa accade sotto la superficie per contestualizzare meglio i fatti che si dipanano sotto i nostri occhi. Le chiacchiere continue durante i passati anni secondo cui la Cina sarebbe stata destinata a superare gli USA erano tutte spacciate dalla stampa generalista guidata dagli interessi inglesi. Infatti la Cina sarebbe dovuta essere la “vittima” successiva della cricca di Davos dopo che gli USA sarebbero stati svuotati della loro ricchezza. Questa gente è paragonabile alle “locuste”: invadono un territorio con capitale a basso costo, lo fanno sviluppare in modo anormale senza seguire la costruzione di un mercato dei capitali capace di sostenerne l'allocazione corretta degli input (si veda il Capitolo 6 del mio libro “L'economia è un gioco da ragazzi”), avviano una razzia delle risorse naturali del Paese target, infine esportano altrove i capitali controllati e fanno sprofondare il Paese nella miseria. Poi si passa all'obiettivo successivo. Con il mercato degli eurodollari incontrollato era una “passeggiata nel parco” portare avanti questo schema; dal 2022, però, le cose sono cambiate. Xi, così come le persone che lo hanno messo lì, erano consapevoli di questo fenomeno... è per questo, infatti, che l'hanno eletto Presidente, allo stesso modo in cui Putin è stato messo lì per salvaguardare la Russia da questo esatto fato. L'uso della “golden power” da parte di quest'ultima per nazionalizzare le aziende occidentali rimaste sul suolo russo dopo il 2022 e l'approvazione di una legge simile al FARA statunitense per tenere sotto controllo la proliferazione incontrollata della ONG, veicolo per eccellenza di infiltrazione estera ostile in un Paese e innesco di rivoluzioni colorate, è stato in un certo senso ricalcato dalla Cina quando ha deciso di tenere chiusi i suoi mercati dei capitali. In sintesi, ha preso i soldi piovuti dall'estero e non li ha fatti più uscire. Non solo, ma da quando la FED ha iniziato il suo ciclo di rialzo dei tassi e sta prociugando il mondo dalla piaga del mercato degli eurodollari a briglie sciolte, la Cina ha iniziato a far collassare consapevolmente tutte quelle aziende che avevano legami con l'estero e che erano veicolo di instabilità economica/finanziaria intenzionale (ovvero strumenti di ricatto). Evergrande è una di queste. Cina, Russia e USA hanno quindi dato vita a un processo di pulizia dalle loro stanze dei bottoni di tutte quelle figure che erano agenti ostili, ridimensionando e, ove possibile, smantellando quella piovra che nel tempo i colonialisti europei hanno costruito per influenzare il mondo e farlo andare laddove ritenevano più opportuno per i loro interessi. Ora, però, il centro del mondo si sposterà sul Pacifico e sull'Artico, dove USA, Russia e Cina detteranno le regole per il mondo di domani. L'UE, nel frattempo, si trasformerà sempre di più nell'URSS, usando i risparmiatori europei come carne da cannone per operare una (futile) resistenza contro l'inevitabile declino del suo progetto socialista.

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di Ethan Yang

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/i-dati-in-via-di-sparizione-della)

Le informazioni sulla salute economica della Cina sono sempre più difficili da reperire. Sebbene Pechino sia sempre poco trasparente su qualsiasi cosa possa potenzialmente indicare instabilità o debolezza, questo comportamento sta raggiungendo un punto in cui i suoi tentativi di occultamento stanno trasmettendo un messaggio inequivocabile: l'economia cinese è in difficoltà.

Il 4 maggio il Wall Street Journal ha riferito che il Partito Comunista Cinese (PCC) sta “facendo sparire” enormi quantità di dati economici in seguito alle notizie di un crollo delle vendite di terreni, di una crescita stagnante del PIL, di una disoccupazione in aumento e persino di un calo della produzione di salsa di soia. 

“Pechino ha smesso di pubblicare centinaia di statistiche”, ha riportato il quotidiano, “la scomparsa dei dati ha reso più difficile per le persone sapere cosa sta succedendo in Cina in un momento cruciale, con la guerra commerciale tra Washington e Pechino che dovrebbe colpire duramente la Cina e indebolire la crescita globale”.

Il motivo per cui ciò sta accadendo è ovvio: il PCC, e in particolare Xi Jinping, sono preoccupati per le conseguenze che i dati economici negativi potrebbero avere sulla loro credibilità e sulla loro presa sul potere.

Non dovremmo affrettarci a concludere che siamo nel 1989, sul punto di assistere alla caduta del Muro di Berlino; né dovremmo concludere che si tratti semplicemente di una transizione strutturale prima che la Cina diventi una superpotenza tecnologica.

La realtà è probabilmente da qualche parte nel mezzo.

La Cina, come gli Stati Uniti, sta affrontando una miriade di difficoltà politico-economiche che non necessariamente faranno deragliare il Paese, ma preannunciano risultati mediocri in futuro. La differenza principale è che gli Stati Uniti dispongono di un sistema per rimuovere pacificamente i responsabili quando le loro idee falliscono.


La storia della crescita della Cina

La Repubblica Popolare Cinese, dopo una serie di riforme di mercato nel 1978 e l'adesione all'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) nel 2001, ha vissuto un miracolo economico, passando dall'essere uno dei Paesi più poveri del mondo alla seconda economia più grande. Le spiegazioni sono molteplici e ampiamente citate, tra queste l'enfasi sulla produzione manifatturiera e su una manodopera a basso costo ma sempre più produttiva, un solido livello di istruzione, una governance stabile e una generale apertura alle imprese, soprattutto nei confronti di un regime comunista. La Cina, inoltre, adotta una linea di politica industriale su larga scala, un grado relativamente basso di libertà economica e un sistema politico che reagisce violentemente a qualsiasi cosa possa minacciare il potere del PCC. Quest'ultimo punto è particolarmente rilevante dopo il 2012, quando Xi Jinping, l'attuale presidente, è salito al potere e ha deciso che il Paese aveva ceduto troppo al presunto caos del settore privato, provocando una drastica riduzione delle libertà politiche ed economiche.

Con il rallentamento della crescita economica, dovuto sia a ragioni naturali che politiche, il governo cinese ha iniziato a diffondere sempre meno informazioni. La Cina, che un tempo vantava tassi di crescita annui a due cifre, ora cresce a un tasso di circa il 3-4%, secondo alcuni esperti. Sebbene questo dato possa essere considerato significativo per un Paese sviluppato come gli Stati Uniti, il PIL pro capite della Cina è di gran lunga inferiore e rimane un margine di crescita sostanziale.


Impedimenti alla crescita 

Parte del motivo di questo rallentamento della crescita è naturale. Con il progredire di un'economia, devono verificarsi determinati cambiamenti strutturali prima che essa raggiunga la fase successiva. Questo fenomeno è noto come “trappola del reddito medio”, uno in cui i Paesi rurali sperimentano una rapida crescita economica man mano che si modernizzano e progrediscono verso un'economia basata meno sull'agricoltura e più sulla produzione e sugli investimenti. Tuttavia la crescita inizia a rallentare perché la fase successiva, oltre la produzione manifatturiera, che non richiede una formazione specializzata, richiede invece determinati livelli di istruzione e infrastrutture. È facile costruire fabbriche e riempirle di lavoratori; creare invece le condizioni per startup tecnologiche, finanza aziendale e un'economia guidata dai consumi richiede più che semplice manodopera e una ragionevole stabilità. La Cina sta affrontando questo problema in questo momento, mentre si confronta con enormi disparità di sviluppo tra le sue ricche città costiere e l'entroterra rurale.

Un altro motivo per cui la Cina sta attraversando un rallentamento economico deriva dalle linee di politica del suo governo centrale. La crescita del PIL sta rallentando per una serie di ragioni, ma alcuni settori dell'economia sono particolarmente ostacolati dall'intervento governativo. Ad esempio, a seguito di un improvviso e aggressivo attacco normativo alle proprie aziende nell'ambito di una campagna nota come “Prosperità Comune” nel 2021, il mercato azionario cinese ha subito un impatto sostanziale e continua a essere in difficoltà.

La Campagna per la Prosperità Comune è stata aggravata dalla continua repressione della società cinese durante l'epidemia di COVID-19 e dall'uso della Strategia Zero COVID. L'indice composito di Shanghai, che monitora tutti i titoli della Borsa di Shanghai, è rimasto relativamente stabile, mentre Alibaba, l'equivalente cinese di Amazon, è trattato a meno della metà del suo massimo di ottobre 2020. La Cina, che aveva iniziato a costruirsi la reputazione di futuro del business, è ora vista dagli investitori come ostile e imprevedibile. Anche la sua dipendenza dal commercio estero per alimentare la sua base manifatturiera è sempre più vista come un difetto, mentre gli Stati Uniti e altri Paesi riequilibrano le loro relazioni con essa per ragioni sia economiche che geopolitiche.

La realtà è che le linee di politica industriali cinesi stanno iniziando a ritorcersi contro di essa. Un importante motore di crescita è sempre stato il settore immobiliare e ora è sull'orlo del collasso a causa degli anni di denaro facile e di pianificazione governativa che hanno lasciato il segno, in particolare con il default del gigante finanziario Evergrande. Le linee di politica industriali volte a sostenere settori specifici (dai semiconduttori ai veicoli elettrici) allocano in modo errato il capitale, causano inefficienze e sconvolgimenti di massa. Nel 2023, ad esempio, i titoli dei giornali erano pieni di resoconti di cimiteri di auto elettriche, poiché le persone hanno ritenuto più conveniente abbandonare completamente le proprie auto piuttosto che cercare di venderle. Il principale fattore scatenante di questo problema sono stati i sussidi sconsiderati che hanno sostenuto le aziende in fallimento e hanno incoraggiato i consumatori ad acquistare auto indipendentemente dal fatto che le loro città disponessero delle infrastrutture adeguate per supportarle.


Cosa significa tutto questo per il futuro?

Il rallentamento della crescita economica della Cina dovrebbe certamente essere visto come un'accusa alle linee di politica di Xi, e più in generale alla linea di politica industriale, e all'incapacità del modello autoritario di Pechino di affrontare adeguatamente le difficoltà strutturali della crescita economica. Ciò non significa necessariamente che la Cina crollerà domani, o che non sarà un contendente geopolitico per gli Stati Uniti. Il settore high-tech cinese continua a crescere, alimentando la crescita di settori strategici come i droni, le terre rare e l'intelligenza artificiale. Sebbene resti da vedere se le linee di politica industriali di Pechino catapulteranno il Paese nella modernità, c'è ancora spazio per la crescita, a un ritmo molto più moderato di quanto desiderato ovviamente. Si può affermare con certezza che troppe cose devono andare per il verso giusto affinché la Cina possa vedere la rapida crescita economica che i fautori della linea di politica industriale ritengono dovrebbe arrivare.

La Cina sperimenterà una crescita economica molto più lenta del previsto, ma il futuro probabilmente non porterà al collasso, bensì alla mediocrità. La domanda da porsi, quindi, è: come affronterà questo dilemma un'entità sempre più paranoica e autoritaria come il PCC?

Il governo cinese adotterà misure radicali per promuovere la libera impresa e ripristinare le relazioni con l'Occidente? Altamente improbabile. Come affronterà Xi Jinping le proposte, benintenzionate, di moderare alcune delle sue linee di politica? Accoglierà silenziosamente le critiche, o ricorrerà a purghe politiche? Ha già fatto entrambe le cose in passato.

Il risultato è probabilmente una via di mezzo. Si tratta di un comportamento sempre più imprevedibile da parte del governo cinese, che cerca da un lato di placare il malcontento popolare e dall'altro di reprimerlo. Il risultato finale è una debole crescita economica nel prossimo futuro e un mandato di Xi Jinping sempre più ansioso e incerto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 25 agosto 2025

Perché i baby boomer francesi rimanderanno a tempo indeterminato la riduzione del deficit

Visto che mi ritrovo a dover commentare diversi “europeisti” a cui piace infilare la testa sotto la sabbia, mettiamo le cose in chiaro: cosa sta cercando di fare l'UE? Manipolare gli eventi attuali, oltre allo spazio politico ed economico, per permetterle di condensare un'integrazione politica, fiscale e militare a livello di continente sotto l'egida di una serie di istituzioni: la Commissione europea, la BCE, la Corte di Giustizia europea, l'euro digitale (con l'aiuto dell'ONU, tra l'altro). In questo modo, con l'unione fiscale soprattutto, verrebbero a crearsi gli “Stati Uniti d'Europa”... ma con la struttura politica dell'URSS. Per questo l'UE vorrebbe muovere il centro finanziario del mondo dagli USA all'Europa. Ma sapete una cosa? Si è trattato di un prestito, si è sempre trattato di un prestito sin dalla Seconda guerra mondiale. È così che la famigerata cricca di Davos, l'élite colonialista europea, ha conquistato i territori: inondare quei Paesi “interessanti” per loro con capitali, farli sviluppare finanziariamente senza una base di capitale costruita solidamente nel tempo, derubarli delle risorse a ogni livello, richiamare i capitali prestati. L'UE avrebbe voluto fare lo stesso sia con gli USA che con la Cina (in Russia non è riuscita a penetrare invece). Entrambe, però, hanno alzato il dito medio. Ora si sta mettendo davvero fine al colonialismo finanziario (versione “aggiornata” di quello territoriale).

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-i-baby-boomer-francesi-rimanderanno)

La Francia continua a non riuscire a risanare i conti pubblici. Dati recenti dell'Insee suggeriscono che la forte dipendenza dai trasferimenti diretti da parte di alcuni gruppi sociali, in particolare i pensionati, unita al loro crescente peso elettorale, potrebbe rappresentare un ostacolo fondamentale. Questi fattori rendono più difficile per il governo intraprendere significativi aggiustamenti di bilancio senza correre il rischio di instabilità politica.

Sulla base di questi risultati e data la vicinanza alle elezioni locali (1° trimestre 2026) e presidenziali (2° trimestre 2027), continuiamo a ritenere che vi siano buone probabilità che il pacchetto di risanamento di circa €44 miliardi recentemente annunciato sia destinato ai servizi pubblici piuttosto che ai trasferimenti diretti. Non possiamo escludere la possibilità che venga sostanzialmente annacquato.


Forze che ostacolano il consolidamento fiscale

La Francia, dal punto di vista storico, ha faticato a ridurre il proprio deficit fiscale. Una delle ragioni principali è che i tagli alla spesa tendono a colpire i gruppi con maggiore influenza elettorale. Ciò è stato illustrato alla fine del 2024, quando l'allora Primo ministro, Michel Barnier, propose di rinviare l'indicizzazione dei prezzi delle pensioni nel bilancio 2025. L'obiettivo era di risparmiare fino a €4 miliardi, ma il suo governo fu infine fatto cadere da una mozione di sfiducia sostenuta dalla maggioranza dei partiti che dichiaravano di difendere i pensionati.

In un working paper del 1989, gli autori (Alesina e Drazen) osservarono che i gruppi sociali possono posticipare strategicamente un risanamento fiscale necessario. Questi gruppi ritardano le misure nella speranza che i costi associati vengano infine sostenuti da un altro gruppo. In tali contesti gli aggiustamenti fiscali si basano su gruppi sociali meno attivi, o sono innescati da una crisi o da uno shock esterno, come la perdita di fiducia degli investitori.


Un aggiustamento fiscale davvero necessario

Il peggioramento dei conti pubblici e le prospettive di crescita stagnanti hanno reso la riduzione del deficit in Francia sempre più urgente. Il saldo primario necessario per stabilizzare il rapporto debito/PIL tra il 2026 e il 2030 è stimato a -0,7%. Tuttavia i risultati della Francia sono deboli: il saldo primario medio dal 2002 al 2019 ha raggiunto -1,9% e si prevede che raggiungerà in media -2,3% nel periodo 2026-2030.

Nel frattempo la popolazione rimane profondamente divisa su come ridurre la spesa, nonostante la crescente consapevolezza delle rischiose prospettive fiscali del Paese. Il debito pubblico è una delle cinque principali preoccupazioni nei sondaggi d'opinione.


Mappare i gruppi interessati

Per comprendere perché i risanamenti fiscali basati sulla spesa pubblica siano così difficili da realizzare, utilizziamo un recente set di dati fornito dall'Insee per stimare il potenziale costo dell'austerità per diversi gruppi sociali. Questo set di dati offre informazioni sul reddito totale delle famiglie, al lordo e al netto dei trasferimenti pubblici diretti e indiretti.

I trasferimenti diretti includono tutti i trasferimenti monetari come pensioni, indennità di disoccupazione e sussidi. I trasferimenti indiretti rilevano il valore imputato dei servizi pubblici ricevuti, tra cui assistenza sanitaria, istruzione o assistenza abitativa.

Sulla base di questi dati, costruiamo due metriche di esposizione:

  1. esposizione diretta, definita come il rapporto tra trasferimenti diretti e reddito totale;
  2. esposizione indiretta, definita analogamente per i trasferimenti indiretti.

Maggiore è l'esposizione di un gruppo, più costosi sarebbero per esso i tagli alla spesa.

Visualizziamo queste relazioni utilizzando un grafico a bolle (si veda il primo grafico), in cui la posizione di ciascun gruppo sociale riflette la sua esposizione e la dimensione di ciascuna bolla corrisponde alla sua quota nella popolazione totale. Questi gruppi sociali non si escludono a vicenda. Il grafico evidenzia quali gruppi dipendono maggiormente dalla redistribuzione pubblica e sono quindi più propensi a resistere o ritardare un aggiustamento fiscale.


Vulnerabilità agli shock esterni

In questo quadro i pensionati emergono come il gruppo sociale che sosterrebbe il costo diretto più elevato derivante da qualsiasi riduzione dei trasferimenti diretti, i quali rappresentano quasi il 60% del loro reddito totale. Seguono i diplomati della scuola secondaria di primo grado, per i quali i trasferimenti diretti, e in particolare le indennità di disoccupazione, rappresentano quasi il 40% del loro reddito.

Entrambi i gruppi presentano anche elevati livelli di esposizione indiretta, con trasferimenti indiretti che rappresentano circa il 40% del loro reddito iniziale (al lordo della ridistribuzione). Tuttavia, nella popolazione, il livello di esposizione indiretta è inferiore e distribuito in modo più uniforme.

Questi risultati confermano che il risanamento fiscale attraverso tagli ai servizi pubblici potrebbe incontrare una minore opposizione politica, poiché una quota minore della popolazione presenta un'elevata esposizione indiretta. D'altro canto è probabile che i trasferimenti diretti (come le pensioni) incontrino una forte resistenza, dato che i baby boomer sono tra i più colpiti e ora rappresentano oltre il 50% dell'elettorato.

Tutto ciò ostacola la capacità del governo di prevenire lo sbilanciamento fiscale e rende il Paese vulnerabile a shock esterni, come la perdita di fiducia degli investitori. Tuttavia sussiste un rischio elevato che le misure di risanamento del Primo ministro, François Bayrou, vengano vanificate da concessioni politiche durante i dibattiti parlamentari autunnali.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 20 agosto 2025

Lo tsunami di insolvenze in Germania: crollo strutturale in corso

La creazione e la proliferazione delle banche centrali nel corso dell'ultimo secolo hanno promesso una maggiore stabilità finanziaria. Tuttavia, come dimostrano continuamente la storia e gli eventi attuali, non hanno impedito le crisi finanziarie. La loro frequenza e gravità hanno oscillato, ma non sono diminuite da quando le banche centrali sono diventate il principale soggetto nella regolamentazione dei mercati finanziari e negli interventi monetari. Al contrario, hanno introdotto nuove fragilità e modificato la natura, ma non la ricorrenza, delle turbolenze finanziarie. L'evidenza empirica sfata il mito secondo cui le banche centrali abbiano posto fine all'era delle crisi finanziarie frequenti. Indipendentemente dalla loro supervisione, un boom del credito ha preceduto una crisi bancaria su tre. Chi lo ha creato? Le banche centrali attraverso la manipolazione dei tassi d'interesse. Secondo documenti di lavoro dell'FMI, ci son ostate 147 crisi bancarie solo tra il 1970 e il 2011, in un'epoca di predominio delle banche centrali. Le crisi finanziarie rimangono un fenomeno globale persistente, che si verifica in cicli che coincidono con episodi di espansione del credito. Le banche centrali hanno spesso prolungato periodi di espansione con tassi bassi e acquisti di asset, e hanno creato bruschi momenti di crisi dopo aver commesso errori in materia di inflazione e rischi di credito. Tuttavia, a ogni crisi successiva, la soluzione è sempre stata la stessa: programmi di acquisto di asset più ampi, e aggressivi, e tassi reali negativi. Ciò significa che le banche centrali sono gradualmente passate dall'essere prestatori di ultima istanza a prestatori di prima istanza, un ruolo che ha amplificato le vulnerabilità economiche. A causa della globalizzazione e delle innovazioni finanziarie, le crisi tendono ad avere dimensioni più ampie e complesse, colpendo la maggior parte delle nazioni. Il profondo coinvolgimento delle banche centrali nei mercati fa sì che le loro linee di politica, come la liquidità di emergenza o gli acquisti di asset, mascherino i rischi sistemici, portando a fallimenti ritardati ma più impattanti. In molte economie avanzate le recenti crisi sono state innescate dall'accumulo di debito e dalle distorsioni di mercato, spesso con il pretesto di mantenere la stabilità. La Banca Mondiale afferma che circa la metà degli episodi di accumulo di debito nei mercati emergenti sin dal 1970 ha coinvolto crisi finanziarie, e gli episodi associati a esse sono stati caratterizzati da una maggiore crescita del debito e un'economia stagnante. Le principali crisi degli ultimi decenni hanno evidenziato che le banche centrali non le prevengono, spesso i loro interventi hanno solo ritardato la resa dei conti, aggravando gli squilibri sottostanti, in particolare il debito pubblico. Le banche centrali usano il loro enorme potere per mascherarne l'insolvenza e aumentarne il prezzo, il che porta a un'eccessiva assunzione di rischi e a un'inflazione dei prezzi degli asset. L'espansione monetaria e la NIRP del 2020, perpetuate fino al 2022 nonostante l'impennata dell'inflazione, ne sono un chiaro esempio. Gli stati hanno beneficiato del periodo di espansione consentendo loro di far lievitare spesa pubblica e debito. Nel frattempo cittadini e piccole imprese hanno sofferto di un'inflazione elevata. Quando le banche centrali hanno infine riconosciuto il problema che avevano contribuito a creare, hanno mantenuto linee di politica accomodanti, dando priorità alla liquidità, alimentando una maggiore irresponsabilità da parte degli stati, e l'aumento dei tassi ha danneggiato le finanze delle famiglie e delle piccole imprese che in precedenza avevano subito l'esplosione dell'inflazione. Gli stati non si sono preoccupati degli aumenti dei tassi perché hanno aumentato le tasse. La Banca d'Inghilterra, ad esempio, così come la BCE, continua a tagliare i tassi e ad allentare la politica monetaria nonostante l'aumento dell'inflazione. La controtendenza degli USA non è un caso, invece, visto che mirano a riformare il sistema e stanno già mettendo in cantiere le basi di questa riforma.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lo-tsunami-di-insolvenze-in-germania)

La Germania è investita da un'ondata di insolvenze. Ora, nel terzo anno di una prolungata recessione, la situazione economica è più allarmante rispetto alla crisi finanziaria del 2009.

La spirale di morte delle imprese tedesche ha raggiunto proporzioni drammatiche. Secondo il Leibniz Institute for Economic Research di Halle (IWH), il secondo trimestre del 2025 ha fatto registrare il numero più alto di insolvenze tra società di persone e società di capitali degli ultimi 20 anni. Nonostante un leggero calo a giugno, la tendenza persiste: la sostanza economica della Germania si sta erodendo e, con essa, la nazione sta silenziosamente dicendo addio alla sua prosperità.


Estinzione di massa delle aziende tedesche

Solo a giugno gli economisti dell'IWH hanno contato 1.420 fallimenti aziendali, in calo del 4% rispetto a maggio, ma i confronti su base annua rivelano l'intera portata della crisi: un aumento del 23% rispetto a giugno 2024. Le cifre sono anche superiori, di oltre il 50%, rispetto alla media pre-lockdown. Particolarmente degno di nota: in stati economicamente forti come la Baviera e l'Assia, le insolvenze sono aumentate in modo sproporzionato, rispettivamente dell'80% e del 79%.

Nel complesso, nel secondo trimestre sono state registrate 4.524 insolvenze aziendali, con un aumento del 7% rispetto al primo trimestre del 2025.

Gli economisti citano non solo la recessione in corso, ma anche una correzione di mercato attesa da tempo, dopo anni di tassi di interesse bassissimi imposti dalla Banca Centrale Europea. Come afferma Steffen Müller, responsabile della ricerca sull'insolvenza presso l'IWH: “Per molti anni i tassi di interesse estremamente bassi hanno impedito i fallimenti e, durante la pandemia, gli aiuti di Stato hanno mantenuto in vita aziende già deboli”. Ora il mercato sta reclamando il suo potere di pulizia.


Evitare l'analisi della causa principale

Ma questa rottura strutturale si scontra con un vuoto nella politica economica.

Sebbene l'analisi dell'IWH eviti di affrontare le debolezze strutturali più profonde e i danni politici autoinflitti, questi rimangono i fattori decisivi alla base dell'isolamento economico della Germania. Gli elevati costi energetici, l'eccessiva regolamentazione e la pressione fiscale – per gli standard internazionali – stanno spingendo le aziende al fallimento o alla fuga all'estero. I lavoratori ne stanno ora risentendo sempre di più.

Secondo la società di consulenza Ernst & Young, nel 2025 saranno probabilmente tagliati oltre 100.000 posti di lavoro, soprattutto nel settore industriale, la principale vittima della crisi energetica e normativa. Dal periodo pre-COVID l'industria tedesca ha perso circa il 10% del suo volume di produzione. Considerato isolatamente, il settore è finito più in una depressione che in una recessione. Nelle condizioni attuali, un ritorno a un percorso di crescita sostenibile è improbabile.

Anche il settore edile, duramente colpito, sta soffrendo. Un tempo elemento stabilizzante nel 2020-21, l'attività edilizia è crollata sin dal 2022. La produzione edilizia reale è diminuita del 4% nel 2024, con un ulteriore calo previsto del 2,5-3% per il 2025. Nel complesso il volume reale delle costruzioni nel 2025 sarà inferiore del 10-12% rispetto ai livelli del 2019.


False speranze di salvataggio

Il governo tedesco prevede un piano di stimolo economico da €847 miliardi, finanziato tramite debito, nell'arco di quattro anni, destinato principalmente al potenziamento delle infrastrutture e dell'apparato militare. Tuttavia la maggior parte dei fondi sarà probabilmente destinata a colmare le lacune del sistema previdenziale tedesco, ormai in piena emorragia.

Solo nel 2025 si prevede un deficit previdenziale di almeno €140 miliardi. Il governo federale deve colmare questa lacuna per evitare un aumento vertiginoso dei costi secondari. In caso contrario gli ambiziosi piani di investimento dell'amministrazione Merz crolleranno.

La Germania è diventata un caso socioeconomico problematico e i suoi leader si aggrappano all'ormai sorpassato copione keynesiano. Si prevede che la spesa pubblica, finanziata attraverso il debito e sostenuta dalla soppressione dei tassi d'interesse da parte della BCE, darà una spinta all'economia.

Ma questo non accadrà. Solo il mercato può allocare in modo efficiente il capitale scarso verso usi produttivi che creino prosperità. Berlino ancora deve comprendere questa realtà.

Il recente accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea costerà alla Germania circa €6,5 miliardi in dazi solo nel primo anno, ma ben più dannoso sarà l'esodo delle aziende che trasferiscono le proprie attività negli Stati Uniti per evitare i dazi, a meno che il sistema tariffario tedesco non cambi.

L'ondata di debiti del governo Merz potrebbe ritardare brevemente l'ondata di insolvenze inondando i mercati di capitale artificiale, ma questo non farà che rinviare l'inevitabile resa dei conti: un'epurazione delle aziende zombi che prosperavano grazie al credito a basso costo o ai sussidi del Green Deal europeo.


Stato ipertrofico, ideologia verde

A poche settimane dall'insediamento di Friedrich Merz come cancelliere, una cosa è chiara: non si tornerà a una politica economica basata sul mercato. Merz si è rivelato un sostenitore del big government, dell'interventismo e dell'ortodossia della trasformazione verde.

La Germania detiene ancora il peso politico necessario per far fallire il programma di trasformazione di Bruxelles e forzare un ritorno alla razionalità economica. Tuttavia, finora, la rapida deindustrializzazione del Paese e la prolungata recessione non hanno innescato una rivalutazione critica del suo percorso politico.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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