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lunedì 1 settembre 2025

I dati “in via di sparizione” della Cina non possono nasconderne il rallentamento economico

L'articolo di oggi è importante per la sua analisi schietta e completa della situazione cinese, ma non dobbiamo scordarci cosa accade sotto la superficie per contestualizzare meglio i fatti che si dipanano sotto i nostri occhi. Le chiacchiere continue durante i passati anni secondo cui la Cina sarebbe stata destinata a superare gli USA erano tutte spacciate dalla stampa generalista guidata dagli interessi inglesi. Infatti la Cina sarebbe dovuta essere la “vittima” successiva della cricca di Davos dopo che gli USA sarebbero stati svuotati della loro ricchezza. Questa gente è paragonabile alle “locuste”: invadono un territorio con capitale a basso costo, lo fanno sviluppare in modo anormale senza seguire la costruzione di un mercato dei capitali capace di sostenerne l'allocazione corretta degli input (si veda il Capitolo 6 del mio libro “L'economia è un gioco da ragazzi”), avviano una razzia delle risorse naturali del Paese target, infine esportano altrove i capitali controllati e fanno sprofondare il Paese nella miseria. Poi si passa all'obiettivo successivo. Con il mercato degli eurodollari incontrollato era una “passeggiata nel parco” portare avanti questo schema; dal 2022, però, le cose sono cambiate. Xi, così come le persone che lo hanno messo lì, erano consapevoli di questo fenomeno... è per questo, infatti, che l'hanno eletto Presidente, allo stesso modo in cui Putin è stato messo lì per salvaguardare la Russia da questo esatto fato. L'uso della “golden power” da parte di quest'ultima per nazionalizzare le aziende occidentali rimaste sul suolo russo dopo il 2022 e l'approvazione di una legge simile al FARA statunitense per tenere sotto controllo la proliferazione incontrollata della ONG, veicolo per eccellenza di infiltrazione estera ostile in un Paese e innesco di rivoluzioni colorate, è stato in un certo senso ricalcato dalla Cina quando ha deciso di tenere chiusi i suoi mercati dei capitali. In sintesi, ha preso i soldi piovuti dall'estero e non li ha fatti più uscire. Non solo, ma da quando la FED ha iniziato il suo ciclo di rialzo dei tassi e sta prociugando il mondo dalla piaga del mercato degli eurodollari a briglie sciolte, la Cina ha iniziato a far collassare consapevolmente tutte quelle aziende che avevano legami con l'estero e che erano veicolo di instabilità economica/finanziaria intenzionale (ovvero strumenti di ricatto). Evergrande è una di queste. Cina, Russia e USA hanno quindi dato vita a un processo di pulizia dalle loro stanze dei bottoni di tutte quelle figure che erano agenti ostili, ridimensionando e, ove possibile, smantellando quella piovra che nel tempo i colonialisti europei hanno costruito per influenzare il mondo e farlo andare laddove ritenevano più opportuno per i loro interessi. Ora, però, il centro del mondo si sposterà sul Pacifico e sull'Artico, dove USA, Russia e Cina detteranno le regole per il mondo di domani. L'UE, nel frattempo, si trasformerà sempre di più nell'URSS, usando i risparmiatori europei come carne da cannone per operare una (futile) resistenza contro l'inevitabile declino del suo progetto socialista.

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di Ethan Yang

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/i-dati-in-via-di-sparizione-della)

Le informazioni sulla salute economica della Cina sono sempre più difficili da reperire. Sebbene Pechino sia sempre poco trasparente su qualsiasi cosa possa potenzialmente indicare instabilità o debolezza, questo comportamento sta raggiungendo un punto in cui i suoi tentativi di occultamento stanno trasmettendo un messaggio inequivocabile: l'economia cinese è in difficoltà.

Il 4 maggio il Wall Street Journal ha riferito che il Partito Comunista Cinese (PCC) sta “facendo sparire” enormi quantità di dati economici in seguito alle notizie di un crollo delle vendite di terreni, di una crescita stagnante del PIL, di una disoccupazione in aumento e persino di un calo della produzione di salsa di soia. 

“Pechino ha smesso di pubblicare centinaia di statistiche”, ha riportato il quotidiano, “la scomparsa dei dati ha reso più difficile per le persone sapere cosa sta succedendo in Cina in un momento cruciale, con la guerra commerciale tra Washington e Pechino che dovrebbe colpire duramente la Cina e indebolire la crescita globale”.

Il motivo per cui ciò sta accadendo è ovvio: il PCC, e in particolare Xi Jinping, sono preoccupati per le conseguenze che i dati economici negativi potrebbero avere sulla loro credibilità e sulla loro presa sul potere.

Non dovremmo affrettarci a concludere che siamo nel 1989, sul punto di assistere alla caduta del Muro di Berlino; né dovremmo concludere che si tratti semplicemente di una transizione strutturale prima che la Cina diventi una superpotenza tecnologica.

La realtà è probabilmente da qualche parte nel mezzo.

La Cina, come gli Stati Uniti, sta affrontando una miriade di difficoltà politico-economiche che non necessariamente faranno deragliare il Paese, ma preannunciano risultati mediocri in futuro. La differenza principale è che gli Stati Uniti dispongono di un sistema per rimuovere pacificamente i responsabili quando le loro idee falliscono.


La storia della crescita della Cina

La Repubblica Popolare Cinese, dopo una serie di riforme di mercato nel 1978 e l'adesione all'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) nel 2001, ha vissuto un miracolo economico, passando dall'essere uno dei Paesi più poveri del mondo alla seconda economia più grande. Le spiegazioni sono molteplici e ampiamente citate, tra queste l'enfasi sulla produzione manifatturiera e su una manodopera a basso costo ma sempre più produttiva, un solido livello di istruzione, una governance stabile e una generale apertura alle imprese, soprattutto nei confronti di un regime comunista. La Cina, inoltre, adotta una linea di politica industriale su larga scala, un grado relativamente basso di libertà economica e un sistema politico che reagisce violentemente a qualsiasi cosa possa minacciare il potere del PCC. Quest'ultimo punto è particolarmente rilevante dopo il 2012, quando Xi Jinping, l'attuale presidente, è salito al potere e ha deciso che il Paese aveva ceduto troppo al presunto caos del settore privato, provocando una drastica riduzione delle libertà politiche ed economiche.

Con il rallentamento della crescita economica, dovuto sia a ragioni naturali che politiche, il governo cinese ha iniziato a diffondere sempre meno informazioni. La Cina, che un tempo vantava tassi di crescita annui a due cifre, ora cresce a un tasso di circa il 3-4%, secondo alcuni esperti. Sebbene questo dato possa essere considerato significativo per un Paese sviluppato come gli Stati Uniti, il PIL pro capite della Cina è di gran lunga inferiore e rimane un margine di crescita sostanziale.


Impedimenti alla crescita 

Parte del motivo di questo rallentamento della crescita è naturale. Con il progredire di un'economia, devono verificarsi determinati cambiamenti strutturali prima che essa raggiunga la fase successiva. Questo fenomeno è noto come “trappola del reddito medio”, uno in cui i Paesi rurali sperimentano una rapida crescita economica man mano che si modernizzano e progrediscono verso un'economia basata meno sull'agricoltura e più sulla produzione e sugli investimenti. Tuttavia la crescita inizia a rallentare perché la fase successiva, oltre la produzione manifatturiera, che non richiede una formazione specializzata, richiede invece determinati livelli di istruzione e infrastrutture. È facile costruire fabbriche e riempirle di lavoratori; creare invece le condizioni per startup tecnologiche, finanza aziendale e un'economia guidata dai consumi richiede più che semplice manodopera e una ragionevole stabilità. La Cina sta affrontando questo problema in questo momento, mentre si confronta con enormi disparità di sviluppo tra le sue ricche città costiere e l'entroterra rurale.

Un altro motivo per cui la Cina sta attraversando un rallentamento economico deriva dalle linee di politica del suo governo centrale. La crescita del PIL sta rallentando per una serie di ragioni, ma alcuni settori dell'economia sono particolarmente ostacolati dall'intervento governativo. Ad esempio, a seguito di un improvviso e aggressivo attacco normativo alle proprie aziende nell'ambito di una campagna nota come “Prosperità Comune” nel 2021, il mercato azionario cinese ha subito un impatto sostanziale e continua a essere in difficoltà.

La Campagna per la Prosperità Comune è stata aggravata dalla continua repressione della società cinese durante l'epidemia di COVID-19 e dall'uso della Strategia Zero COVID. L'indice composito di Shanghai, che monitora tutti i titoli della Borsa di Shanghai, è rimasto relativamente stabile, mentre Alibaba, l'equivalente cinese di Amazon, è trattato a meno della metà del suo massimo di ottobre 2020. La Cina, che aveva iniziato a costruirsi la reputazione di futuro del business, è ora vista dagli investitori come ostile e imprevedibile. Anche la sua dipendenza dal commercio estero per alimentare la sua base manifatturiera è sempre più vista come un difetto, mentre gli Stati Uniti e altri Paesi riequilibrano le loro relazioni con essa per ragioni sia economiche che geopolitiche.

La realtà è che le linee di politica industriali cinesi stanno iniziando a ritorcersi contro di essa. Un importante motore di crescita è sempre stato il settore immobiliare e ora è sull'orlo del collasso a causa degli anni di denaro facile e di pianificazione governativa che hanno lasciato il segno, in particolare con il default del gigante finanziario Evergrande. Le linee di politica industriali volte a sostenere settori specifici (dai semiconduttori ai veicoli elettrici) allocano in modo errato il capitale, causano inefficienze e sconvolgimenti di massa. Nel 2023, ad esempio, i titoli dei giornali erano pieni di resoconti di cimiteri di auto elettriche, poiché le persone hanno ritenuto più conveniente abbandonare completamente le proprie auto piuttosto che cercare di venderle. Il principale fattore scatenante di questo problema sono stati i sussidi sconsiderati che hanno sostenuto le aziende in fallimento e hanno incoraggiato i consumatori ad acquistare auto indipendentemente dal fatto che le loro città disponessero delle infrastrutture adeguate per supportarle.


Cosa significa tutto questo per il futuro?

Il rallentamento della crescita economica della Cina dovrebbe certamente essere visto come un'accusa alle linee di politica di Xi, e più in generale alla linea di politica industriale, e all'incapacità del modello autoritario di Pechino di affrontare adeguatamente le difficoltà strutturali della crescita economica. Ciò non significa necessariamente che la Cina crollerà domani, o che non sarà un contendente geopolitico per gli Stati Uniti. Il settore high-tech cinese continua a crescere, alimentando la crescita di settori strategici come i droni, le terre rare e l'intelligenza artificiale. Sebbene resti da vedere se le linee di politica industriali di Pechino catapulteranno il Paese nella modernità, c'è ancora spazio per la crescita, a un ritmo molto più moderato di quanto desiderato ovviamente. Si può affermare con certezza che troppe cose devono andare per il verso giusto affinché la Cina possa vedere la rapida crescita economica che i fautori della linea di politica industriale ritengono dovrebbe arrivare.

La Cina sperimenterà una crescita economica molto più lenta del previsto, ma il futuro probabilmente non porterà al collasso, bensì alla mediocrità. La domanda da porsi, quindi, è: come affronterà questo dilemma un'entità sempre più paranoica e autoritaria come il PCC?

Il governo cinese adotterà misure radicali per promuovere la libera impresa e ripristinare le relazioni con l'Occidente? Altamente improbabile. Come affronterà Xi Jinping le proposte, benintenzionate, di moderare alcune delle sue linee di politica? Accoglierà silenziosamente le critiche, o ricorrerà a purghe politiche? Ha già fatto entrambe le cose in passato.

Il risultato è probabilmente una via di mezzo. Si tratta di un comportamento sempre più imprevedibile da parte del governo cinese, che cerca da un lato di placare il malcontento popolare e dall'altro di reprimerlo. Il risultato finale è una debole crescita economica nel prossimo futuro e un mandato di Xi Jinping sempre più ansioso e incerto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 20 agosto 2025

Lo tsunami di insolvenze in Germania: crollo strutturale in corso

La creazione e la proliferazione delle banche centrali nel corso dell'ultimo secolo hanno promesso una maggiore stabilità finanziaria. Tuttavia, come dimostrano continuamente la storia e gli eventi attuali, non hanno impedito le crisi finanziarie. La loro frequenza e gravità hanno oscillato, ma non sono diminuite da quando le banche centrali sono diventate il principale soggetto nella regolamentazione dei mercati finanziari e negli interventi monetari. Al contrario, hanno introdotto nuove fragilità e modificato la natura, ma non la ricorrenza, delle turbolenze finanziarie. L'evidenza empirica sfata il mito secondo cui le banche centrali abbiano posto fine all'era delle crisi finanziarie frequenti. Indipendentemente dalla loro supervisione, un boom del credito ha preceduto una crisi bancaria su tre. Chi lo ha creato? Le banche centrali attraverso la manipolazione dei tassi d'interesse. Secondo documenti di lavoro dell'FMI, ci son ostate 147 crisi bancarie solo tra il 1970 e il 2011, in un'epoca di predominio delle banche centrali. Le crisi finanziarie rimangono un fenomeno globale persistente, che si verifica in cicli che coincidono con episodi di espansione del credito. Le banche centrali hanno spesso prolungato periodi di espansione con tassi bassi e acquisti di asset, e hanno creato bruschi momenti di crisi dopo aver commesso errori in materia di inflazione e rischi di credito. Tuttavia, a ogni crisi successiva, la soluzione è sempre stata la stessa: programmi di acquisto di asset più ampi, e aggressivi, e tassi reali negativi. Ciò significa che le banche centrali sono gradualmente passate dall'essere prestatori di ultima istanza a prestatori di prima istanza, un ruolo che ha amplificato le vulnerabilità economiche. A causa della globalizzazione e delle innovazioni finanziarie, le crisi tendono ad avere dimensioni più ampie e complesse, colpendo la maggior parte delle nazioni. Il profondo coinvolgimento delle banche centrali nei mercati fa sì che le loro linee di politica, come la liquidità di emergenza o gli acquisti di asset, mascherino i rischi sistemici, portando a fallimenti ritardati ma più impattanti. In molte economie avanzate le recenti crisi sono state innescate dall'accumulo di debito e dalle distorsioni di mercato, spesso con il pretesto di mantenere la stabilità. La Banca Mondiale afferma che circa la metà degli episodi di accumulo di debito nei mercati emergenti sin dal 1970 ha coinvolto crisi finanziarie, e gli episodi associati a esse sono stati caratterizzati da una maggiore crescita del debito e un'economia stagnante. Le principali crisi degli ultimi decenni hanno evidenziato che le banche centrali non le prevengono, spesso i loro interventi hanno solo ritardato la resa dei conti, aggravando gli squilibri sottostanti, in particolare il debito pubblico. Le banche centrali usano il loro enorme potere per mascherarne l'insolvenza e aumentarne il prezzo, il che porta a un'eccessiva assunzione di rischi e a un'inflazione dei prezzi degli asset. L'espansione monetaria e la NIRP del 2020, perpetuate fino al 2022 nonostante l'impennata dell'inflazione, ne sono un chiaro esempio. Gli stati hanno beneficiato del periodo di espansione consentendo loro di far lievitare spesa pubblica e debito. Nel frattempo cittadini e piccole imprese hanno sofferto di un'inflazione elevata. Quando le banche centrali hanno infine riconosciuto il problema che avevano contribuito a creare, hanno mantenuto linee di politica accomodanti, dando priorità alla liquidità, alimentando una maggiore irresponsabilità da parte degli stati, e l'aumento dei tassi ha danneggiato le finanze delle famiglie e delle piccole imprese che in precedenza avevano subito l'esplosione dell'inflazione. Gli stati non si sono preoccupati degli aumenti dei tassi perché hanno aumentato le tasse. La Banca d'Inghilterra, ad esempio, così come la BCE, continua a tagliare i tassi e ad allentare la politica monetaria nonostante l'aumento dell'inflazione. La controtendenza degli USA non è un caso, invece, visto che mirano a riformare il sistema e stanno già mettendo in cantiere le basi di questa riforma.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lo-tsunami-di-insolvenze-in-germania)

La Germania è investita da un'ondata di insolvenze. Ora, nel terzo anno di una prolungata recessione, la situazione economica è più allarmante rispetto alla crisi finanziaria del 2009.

La spirale di morte delle imprese tedesche ha raggiunto proporzioni drammatiche. Secondo il Leibniz Institute for Economic Research di Halle (IWH), il secondo trimestre del 2025 ha fatto registrare il numero più alto di insolvenze tra società di persone e società di capitali degli ultimi 20 anni. Nonostante un leggero calo a giugno, la tendenza persiste: la sostanza economica della Germania si sta erodendo e, con essa, la nazione sta silenziosamente dicendo addio alla sua prosperità.


Estinzione di massa delle aziende tedesche

Solo a giugno gli economisti dell'IWH hanno contato 1.420 fallimenti aziendali, in calo del 4% rispetto a maggio, ma i confronti su base annua rivelano l'intera portata della crisi: un aumento del 23% rispetto a giugno 2024. Le cifre sono anche superiori, di oltre il 50%, rispetto alla media pre-lockdown. Particolarmente degno di nota: in stati economicamente forti come la Baviera e l'Assia, le insolvenze sono aumentate in modo sproporzionato, rispettivamente dell'80% e del 79%.

Nel complesso, nel secondo trimestre sono state registrate 4.524 insolvenze aziendali, con un aumento del 7% rispetto al primo trimestre del 2025.

Gli economisti citano non solo la recessione in corso, ma anche una correzione di mercato attesa da tempo, dopo anni di tassi di interesse bassissimi imposti dalla Banca Centrale Europea. Come afferma Steffen Müller, responsabile della ricerca sull'insolvenza presso l'IWH: “Per molti anni i tassi di interesse estremamente bassi hanno impedito i fallimenti e, durante la pandemia, gli aiuti di Stato hanno mantenuto in vita aziende già deboli”. Ora il mercato sta reclamando il suo potere di pulizia.


Evitare l'analisi della causa principale

Ma questa rottura strutturale si scontra con un vuoto nella politica economica.

Sebbene l'analisi dell'IWH eviti di affrontare le debolezze strutturali più profonde e i danni politici autoinflitti, questi rimangono i fattori decisivi alla base dell'isolamento economico della Germania. Gli elevati costi energetici, l'eccessiva regolamentazione e la pressione fiscale – per gli standard internazionali – stanno spingendo le aziende al fallimento o alla fuga all'estero. I lavoratori ne stanno ora risentendo sempre di più.

Secondo la società di consulenza Ernst & Young, nel 2025 saranno probabilmente tagliati oltre 100.000 posti di lavoro, soprattutto nel settore industriale, la principale vittima della crisi energetica e normativa. Dal periodo pre-COVID l'industria tedesca ha perso circa il 10% del suo volume di produzione. Considerato isolatamente, il settore è finito più in una depressione che in una recessione. Nelle condizioni attuali, un ritorno a un percorso di crescita sostenibile è improbabile.

Anche il settore edile, duramente colpito, sta soffrendo. Un tempo elemento stabilizzante nel 2020-21, l'attività edilizia è crollata sin dal 2022. La produzione edilizia reale è diminuita del 4% nel 2024, con un ulteriore calo previsto del 2,5-3% per il 2025. Nel complesso il volume reale delle costruzioni nel 2025 sarà inferiore del 10-12% rispetto ai livelli del 2019.


False speranze di salvataggio

Il governo tedesco prevede un piano di stimolo economico da €847 miliardi, finanziato tramite debito, nell'arco di quattro anni, destinato principalmente al potenziamento delle infrastrutture e dell'apparato militare. Tuttavia la maggior parte dei fondi sarà probabilmente destinata a colmare le lacune del sistema previdenziale tedesco, ormai in piena emorragia.

Solo nel 2025 si prevede un deficit previdenziale di almeno €140 miliardi. Il governo federale deve colmare questa lacuna per evitare un aumento vertiginoso dei costi secondari. In caso contrario gli ambiziosi piani di investimento dell'amministrazione Merz crolleranno.

La Germania è diventata un caso socioeconomico problematico e i suoi leader si aggrappano all'ormai sorpassato copione keynesiano. Si prevede che la spesa pubblica, finanziata attraverso il debito e sostenuta dalla soppressione dei tassi d'interesse da parte della BCE, darà una spinta all'economia.

Ma questo non accadrà. Solo il mercato può allocare in modo efficiente il capitale scarso verso usi produttivi che creino prosperità. Berlino ancora deve comprendere questa realtà.

Il recente accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea costerà alla Germania circa €6,5 miliardi in dazi solo nel primo anno, ma ben più dannoso sarà l'esodo delle aziende che trasferiscono le proprie attività negli Stati Uniti per evitare i dazi, a meno che il sistema tariffario tedesco non cambi.

L'ondata di debiti del governo Merz potrebbe ritardare brevemente l'ondata di insolvenze inondando i mercati di capitale artificiale, ma questo non farà che rinviare l'inevitabile resa dei conti: un'epurazione delle aziende zombi che prosperavano grazie al credito a basso costo o ai sussidi del Green Deal europeo.


Stato ipertrofico, ideologia verde

A poche settimane dall'insediamento di Friedrich Merz come cancelliere, una cosa è chiara: non si tornerà a una politica economica basata sul mercato. Merz si è rivelato un sostenitore del big government, dell'interventismo e dell'ortodossia della trasformazione verde.

La Germania detiene ancora il peso politico necessario per far fallire il programma di trasformazione di Bruxelles e forzare un ritorno alla razionalità economica. Tuttavia, finora, la rapida deindustrializzazione del Paese e la prolungata recessione non hanno innescato una rivalutazione critica del suo percorso politico.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 25 luglio 2025

“Lose-lose”: quando il mercato costringe anche l'apparato statale a comportarsi bene

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lose-lose-quando-il-mercato-costringe)

In base alla mia esperienza alle persone non piace sentirsi dire che ciò che pensavano fosse vero è sbagliato. In particolare non amano sentirsi dire che potrebbero non guadagnare quanto pensavano; o che non sono davvero così ricche come credevano di essere. I movimenti dei prezzi nel mercato azionario sono episodici e ciclici. Non sono mai completamente indipendenti dall'economia reale e qui sta la parte più importante: sono sempre soggetti a una regressione alla media, cioè tornano sempre dove dovrebbero essere. I prezzi del mercato azionario riguardano il futuro e forse il futuro sarà molto migliore di quanto ci aspettiamo, ma i prezzi non possono essere indipendenti dal mondo reale. E in questo momento c'è un enorme divario tra la realtà e il valore di mercato delle azioni.

L'unico modo per colmare questo divario è l'argomento di questo saggio. È ciò che ho definito la “Grande Perdita”. Non c'è tempo per scrivere un libro su come evitarla, ma alla fine non ce n'è bisogno: ve lo mostrerò.

Gran parte di ciò che pensate sugli investimenti e sul mercato azionario è sbagliato. Sapevate che il 58% delle azioni non ha generato profitti per gli investitori negli ultimi 100 anni? Gli studi dimostrano che l'investitore medio ottiene risultati peggiori rispetto alle medie di mercato e anche se conservasse le sue azioni per 100 anni, difficilmente guadagnerebbe un centesimo in valore reale. I mercati seguono schemi ciclici, alcuni di questi possono durare fino a 73 anni, da un massimo all'altro. Non potete permettervi di trovarvi dalla parte sbagliata, né potete permettervi di subire grosse perdite, soprattutto non a fine carriera. Mentre nel breve periodo può succedere di tutto, nel lungo periodo gli eventi di mercato seguono degli schemi. Un uomo, a 90 anni, può occasionalmente diventare padre; può apparire giovane e vincere partite di tennis. Eppure, tra qualche anno, sarà morto. È uno schema contro cui sarebbe poco saggio scommettere.

L'andamento dei mercati ribassisti: strutturale e ciclico

Nei mercati e nelle economie, così come in politica, esistono anche degli andamenti. La tabella qui sopra mostra che ci sono stati oltre 25 mercati ribassisti nella storia del mercato azionario statunitense. Quelli ciclici si verificano più spesso e durano meno; quelli “strutturali”, come quello in cui ci troviamo ora, durano più a lungo e colpiscono più duramente. L'andamento più importante nei mercati è quello che chiamo il Trend Primario, la corrente profonda che muove gli eventi, indipendentemente da ciò che le persone sanno, vogliono o pensano. Purtroppo, in mezzo a tutto il rumore dei continui movimenti di mercato, e a un vento impetuoso di notizie e opinioni, può essere difficile distinguere il Trend Primario. Bisogna ascoltare attentamente, isolarsi il più possibile dal rumore di fondo e ascoltare attentamente.

Esistono andamenti prevedibili: un albero cresce molto in alto, poi marcisce. Un Impero – anche il più potente di tutti i tempi – si espande e poi si restringe. Su, giù, su, giù... in tondo – gli schemi ciclici del mondo naturale, ad esempio i cicli del sole o di un motore a quattro tempi, sono regolari e, in una certa misura, prevedibili. Ma gli schemi di mercato sono diversi: sono soggetti alla “riflessività”. È un circolo vizioso in cui i prezzi influenzano le percezioni... che a loro volta influenzano i prezzi... che a loro volta influenzano le percezioni. I mercati non sono sempre efficienti o razionali, a volte “impazziscono” un po': ovvero, reagiscono a ciò che sta accadendo, a ciò che è già accaduto e a ciò che la gente pensa stia accadendo. Questo crea molta incertezza e volatilità. Ma è comprensibile...

Se i picchi di mercato fossero prevedibili come le eclissi solari, ad esempio, non si verificherebbero mai. Gli investitori anticiperebbero il momento culminante e si precipiterebbero a vendere temendo che i prezzi scendano prima di uscire. Invece gli investitori ipotizzano sempre, sempre incerti e sempre soggetti a influenze. Le azioni passano da valori molto bassi a valori molto alti in trend di lungo termine. Durante tutto il XX secolo ci sono stati solo tre di questi cicli a lungo termine, come vi mostrerò tra poco. Ma prima, un breve commento sul denaro.

Oggi, quello cartaceo, perde valore rapidamente. Se ragioniamo in termini di oro, ad esempio, all'inizio del 1915 i 30 titoli del Dow Jones Industrial (un buon indicatore per i titoli di qualità) valevano 2,65 once d'oro. Quel rapporto salì a oltre 18 quando il primo picco del secolo fu raggiunto nell'agosto del 1929. Poi iniziò la fase discendente, che si concluse all'inizio del 1933 con il Dow che valeva solo 1,92 once. Quello fu il primo ciclo “dal basso verso l'alto e poi verso il basso”. Il successivo iniziò nel 1933 e proseguì fino a un altro massimo per le azioni del Dow Jones durante la prima settimana del 1966. Il Dow Jones raggiunse il picco a 28 once d'oro. In seguito i prezzi scesero di nuovo e si stabilizzarono 14 anni dopo (nel gennaio 1980) a 1,29 once d'oro per il Dow Jones. Fu il secondo ciclo. Il terzo iniziò nel 1982, con il Dow Jones che raggiunse la ragguardevole quota di 42 once entro la fine del secolo. E oggi, a un quarto di secolo di distanza, il rapporto tra prezzi reali (in oro) e valore reale (le aziende nel Dow Jones che producono beni e servizi utili) è più forte che mai.

Nel 1915 si potevano acquistare 2,65 once d'oro al prezzo di 30 azioni del Dow. Quel rapporto seguiva l'andamento altalenante di cui ho parlato in precedenza: da un minimo inferiore a 2 a un massimo superiore a 40. Ma quando le azioni erano molto convenienti in termini di oro, tendevano a diventare meno convenienti in futuro. Se erano costose, accadeva il contrario. Oggi, dopo oltre un secolo di oscillazioni, il rapporto è a 11 circa. Solo pochi mesi fa era intorno a 15, più o meno lo stesso del settembre del 1929. Da allora a oggi gli investitori nel Dow hanno guadagnato solo dividendi e non un centesimo di plusvalenza. Il valore delle migliori industrie americane, rispetto al valore del denaro reale, non è andato da nessuna parte. Durante il boom degli anni '60 il Dow Jones valeva circa 1,2 volte il PIL, ovvero il 120%. Per mettere la cosa in prospettiva, la “media” (la media a lungo termine) del rapporto azioni/PIL è di circa l'82%. Se fosse superiore, le azioni sarebbero sopravvalutate. Ancora più in alto, una bolla. Se sapeste che il mercato azionario sale e scende, in lunghi cicli della durata di un decennio o più, e sapeste che nel tempo non potete aspettarvi di realizzare plusvalenze dalle vostre azioni, e che l'unico modo per progredire è fare trading comprando quando sono a buon mercato e vendendo quando diventano costose, non cerchereste di mettere in pratica questa intuizione?

Le statistiche di mercato ci mostrano che essere nel posto giusto al momento giusto è la chiave per ottenere grandi guadagni. In altre parole, “l'allocazione” è molto più importante della selezione dei titoli – o, per usare il gergo di Wall Street, il beta è più importante dell'alfa. La vera domanda è quanta parte del vostro patrimonio allocare in azioni in un dato momento. A questo proposito c'è il cosiddetto Dow/oro: se aveste investito $100 nelle azioni Dow a partire dal 1° gennaio 1913, oggi avreste $51.338, ovvero $4.897.400 con i dividendi reinvestiti. Se aveste seguito la strategia di trading Dow/oro – con solo cinque operazioni nell'ultimo secolo, escluso l'investimento iniziale – oggi avreste un conto del valore di $56 milioni.


LA GRANDE PERDITA

L'obiettivo sorprendente del sistema di trading Dow/oro non è fare soldi, invece è evitare la Grande Perdita. In questo momento il rischio è molto elevato. Se venite investiti da un'auto, o dal mercato, il risultato è lo stesso: siete fuori dai giochi. Subire una Grande Perdita è la cosa peggiore che vi possa capitare, perché non potete più sperare in alcun guadagno. È importante rendersi conto che, così come è difficile identificare il Trend Primario, è ancora più difficile individuare gli investimenti che saranno i grandi vincitori. Anche se siete uno dei migliori investitori del Paese, a volte si vince, a volte si perde. In generale se siete in sintonia con il Trend Primario potete sperare in una crescita, ma solo se siete ancora in gioco, solo se avete evitato la Grande Perdita. Ecco perché evitarla deve essere la priorità numero uno. Tutta la mia strategia si basa sul rimanere in Modalità Massima Sicurezza per evitarla.

Perché?

Va bene perdere soldi quando si è giovani, fa parte del processo di apprendimento. Ma se lavorate tutta la vita per accumulare un gruzzolo, non potete permettervi di perdere tutto. A quel punto avrete 50 o 60 anni. Non avrete tempo di recuperare. Si evitano le Grandi Perdite rispettando la disciplina del trading Dow Jones/oro. Gli investimenti salgono e scendono. Quando salgono nessuno ha un'idea precisa di dove andranno in seguito, ma ora comportano il rischio di una grossa perdita. Più sono costosi, più possono perdere.

In breve, non cerco di prevedere la prossima mossa del mercato azionario, ma per l'investitore medio il suggerimento è quello di abbandonare gli investimenti quando il rischio di perdita è elevato. Poi, dopo la svendita delle azioni, il rischio si riduce e le si riacquista. Chiaramente si tratta di un percorso generico che per forza di cose non si può adattare a tutti gli investitori. Infatti esistono anche strategie “su misura” e, a tal proposito, l'allocazione degli asset – tra liquidità, azioni, obbligazioni, metalli preziosi e Bitcoin – può essere ripartita con una consulenza col sottoscritto prenotabile su Calendly.


LA REGOLA AUREA

Quando dico che le cose “valgono” di più significa che è possibile scambiarle con altre in quantità maggiore. Il denaro è un modo per tenere traccia delle transazioni e semplificarle. L'oro è diventato denaro perché funzionava sia come riserva di valore che come mezzo di scambio. Non ha altri scopi significativi (a parte l'ornamento). E nel tempo non cambia molto rispetto ad altri beni. Man mano che un'economia cresce, ci sono più beni disponibili per l'acquisto. Se l'offerta di moneta fosse fissa, i prezzi scenderebbero: ci sarebbe la stessa quantità di denaro, ma un grande volume di “roba” che si potrebbe acquistare.

Ma la quantità di oro tende a crescere alla stessa velocità dell'economia stessa. L'attività mineraria fa parte dell'economia, resa più facile dalla tecnologia, ma resa più difficile dall'esaurimento dei giacimenti facili e le nuove scoperte tendono a essere più lontane e più costose da sfruttare. Quindi l'equilibrio tra il denaro e le cose che acquista non cambia molto rapidamente. Ecco perché una riserva d'oro, risalente a centinaia di anni fa, ha ancora oggi, più o meno, lo stesso potere d'acquisto di quando è stata portata alla luce.

Anche il valore delle aziende produttive di una nazione (azioni) non cambia molto, non rispetto ai beni e ai servizi disponibili, o al denaro utilizzato per misurarli. Questo perché anche il loro valore deriva dall'economia reale. Le aziende valgono solo ciò che possono offrire agli azionisti in termini di profitto, ma nel complesso non possono generare più vendite e profitti di quanto l'economia consenta. L'economia potrebbe crescere a un tasso del tre percento. Il potere d'acquisto dei consumatori dovrebbe crescere con l'economia, né più né meno, il che significa che anche le vendite e i profitti a disposizione delle imprese nazionali crescono a quel ritmo, insieme alla quantità di oro (la massa monetaria).

L'importo totale del credito può essere aumentato facilmente, oro e Bitcoin ad esempio no. Il denaro “stampato” può far sembrare che le cose stiano “salendo”, può dare impulso alle vendite, al PIL e agli utili. Può distorcere l'intero quadro. I profitti sono particolarmente vulnerabili. In genere le imprese pagano i propri dipendenti, poi essi acquistano prodotti e servizi dalle aziende per cui lavorano. Quindi i profitti sono solitamente frenati dai costi del lavoro. Ma l'espansione del credito consente alle imprese di generare vendite senza costi del lavoro a compensarle. È come se il denaro arrivasse per magia, anziché dall'economia reale. E senza salari da pagare, i ricavi delle vendite diminuiscono in modo sproporzionato rispetto al risultato finale. Le azioni possono dare l'impressione che “stiano andando sulla luna”, ma solo in termini di denaro fasullo. In termini di denaro reale superano le 15 once d'oro/Dow solo periodicamente e temporaneamente. E poiché l'oro è sempre collegato all'economia reale e alla produzione reale, i legami tra oro, PIL e le aziende che lo producono possono essere allungati, ma mai infranti.

Ecco, quindi, le fondamenta di una qualsiasi strategia che voglia solo successivamente diversificare i propri obiettivi: quando i valori sono bassi, favorire le azioni; quando sono costosi (oltre 15 once d'oro/Dow) privilegiare l'oro. E cercare sempre da dove potrebbe derivare la Grande Perdita ed evitarla.


COSA ACCADRÀ ORA

Gli eccessi del passato devono essere corretti... o come minimo ri-assorbiti. E per farlo ci sarà bisogno di equity. Questo vale sia per i singoli individui che per il governo federale stesso. Infatti quando gli accordi di mercato diventano “lose-lose”, ovvero vicendevolmente svantaggiosi, tutti ci perdono. Alla fine della fiera il denaro fiat è un'arma a doppio taglio che intacca anche la ricchezza e il benessere di chi lo emette. È una corrosione che si diffonde dal basso verso l'alto, che danneggia più gli strati bassi della società per poi risalire la catena dei quintili di reddito, ma che infine non lascia superstiti. Il problema è che se ci si aspetta un cambiamento dall'alto, e si attende solo quello, allora bisognerà aspettare che i quintili di reddito più alti inizino a provare dolore economico. Negli Stati Uniti siamo esattamente in questa condizione adesso.

Circa $50.000 miliardi rischiano di svanire in uno schiocco di dita dalla presunta ricchezza delle famiglie americane. Le famiglie americane hanno aggiunto tale somma in “patrimonio netto” dopo i lockdown e la maggior parte di questa è in azioni e immobili. Tenete presente che non si è mai trattato di ricchezza “reale” in primo luogo: è stato il risultato del più “Grande Esperimento Finanziario della Storia”, ovvero una spesa pubblica sconsiderata e una stampa di denaro ancora più sconsiderata che hanno gonfiato bolle in azioni, vendite e utili aziendali, PIL, obbligazioni, immobili... quasi tutto.

Questa è una situazione che può essere solamente stabilizzata: una contrazione contenuta di tale ricchezza e un ampliamento dell'equity per attutire i contraccolpi. Ecco perché oro e Bitcoin stanno tornando alla ribalta sulla scena pubblica: rappresentano il volano attraverso il quale ampliare il lato degli attivi della nazione nel suo complesso. Perché se c'è un argomento che viene ripetutamente sorvolato è il lato degli attivi degli USA, con le tesi della “controinformazione” che si concentra solo ed esclusivamente sul lato dei passivi. In questo modo si finisce per essere utili idioti per chi diffonde in prima istanza questa consuetudine: la City di Londra.

Un giorno guarderemo indietro e commenteremo di come il GENIUS Act sarà stato l'anticamera dello smembramento del sistema bancario centrale così come lo conosciamo. Per quanto si possa essere d'accordo con lo slogan “End the FED”, non è così che questa storia può finire visto che i suoi (adesso) concorrenti, BCE e BOE, prenderebbero il sopravvento sull'economia statunitense. Ci vuole criterio in questa partita in modo da non diventare inconsapevolmente utili idioti al soldo della cricca di Davos. Ecco perché la chiarezza nella modalità d'ingaggio riguardo l'ecosistema crittovalute da parte delle imprese private e pubbliche negli Stati Uniti è fondamentale: si toglie quella cappa d'incertezza e rallentamento nell'adozione che ha caratterizzato l'amministrazione precedente. Ora ogni banca potrà emettere la propria stablecoin e così far tornare la FED a quello che era prima della riforma Roosevelt: un prestatore di ultima istanza per quelle banche, americane, in sofferenza. In un certo senso tornare addirittura al sistema di stanze di compensazione emerso prima del Federal Reserve Act. Il sistema monetario attuale a due livelli (banca commerciale e banca centrale) verrebbe contratto a un solo livello dove l'individuo si interfaccerebbe solo con la banca commerciale. Questa non dovrebbe più passare dalla banca centrale per la domanda di liquidità ed essa sarebbe coperta esclusivamente dai titoli del Tesoro americani, abolendo la SLR che serve solo per tenere a galla asset di nazioni bollite.

A ciò si aggiungerebbe che i titoli del Tesoro americani sarebbero coperti da hard asset come oro e Bitcoin. Questo significa che c'è una profonda trasformazione in atto nell'economia statunitense, dove il compito di persone come Bessent è quello di rimuovere quel fattore a doppio livello che ha fatto sprofondare nel tempo l'economia statunitense. Infatti esso era paragonabile a un individuo che mangiava ogni sera al ristorante pagando con la carta di credito... senza avere un reddito però. A tal proposito una notizia passata un po' troppo velocemente secondo me, perché rappresenta un cambiamento epocale nell'ecosistema Bitcoin, è la possibilità di inserirlo come collaterale quando si accendono mutui per le case. Sta maturando sempre di più la sua economia del credito ed è l'anello che gli mancava affinché possa fare il vero salto di qualità. Si tratta ancora di un processo rudimentale e rozzo, ciononostante è un segnale inequivocabile di come sia stato smentito anche chi dubitava che Bitcoin potesse avere successo dato che non aveva un mercato del credito. Certo, saranno gli ETF a essere posti come garanzia, ma la recente notizia che essi possano essere rimborsati “in kind” aggiunge ulteriore fascino al tutto.

In questo modo si stabilizzano i prezzi delle case e le si collateralizza con hard asset. Non solo, ma viene a crearsi un circolo virtuoso dove i vari asset degli USA vengono puntellati da asset credibili come oro. Bitcoin e titoli di stato americani. Il tutto intermediato da Tether. L'obiettivo di ampliare l'equity della nazione sta venendo soddisfatto in modo egregio dall'amministrazione Trump. Ecco come si ridimensiona, nel concreto, il potere del sistema bancario centrale e si impedisce alla nazione di essere attaccata da player esteri ostili. E su questa scia non solo abbiamo visto l'Australia seguire l'esempio, ma addirittura l'apertura del mercato dei pensionamenti all'uso di Bitcoin. E quale mercato più di quest'ultimo ha bisogno di copertura a causa delle passività non finanziate che si porta dietro?

Finora Powell non ha abbassato i tassi perché lo spazio fiscale non era sufficiente da permettere un nuovo allentamento delle condizioni creditizie. Se riavvolgiamo il nastro all'anno scorso, se avesse tagliato in estate avrebbe favorito i democratici nella corsa alla Casa Bianca, invece tagliando a ridosso delle elezioni ha permesso che i risultati della sua decisione si manifestassero dopo il voto favorendo in questo modo Trump. Poi chiaramente ha messo in pausa ulteriori tagli in attesa di motivazioni concrete lato bilancio federale. Se l'inflazione è scesa, così come registrato dai numeri ufficiali, è stato solo grazie alle sue azioni. Adesso che la legge di bilancio è passata e la Rescission Bill fa il suo corso, ci sarà spazio per tagliare i tassi. O perlomeno finché il prezzo del petrolio e i futures sulla benzina rimarranno in un certo range, e l'indice dei prezzi al consumo rimanga contenuto. Non scordiamoci la pressione sull'eurodollaro. Quest'ultima sta rallentando i piani di rilancio dell'economia americana di Trump e Bessent? Sì. Conta davvero in ottica di investimenti esteri che affluiscono negli Stati Uniti? No.

Il tempo dei tagli alla spesa discrezionale sarebbe arrivato ed eccoci qui prontamente a commentare quanto sta accadendo in termini di Rescission Bill. Inutile dire che si tratta di un primo pacchetto, dato che l'ammontare iniziale è ancora insufficiente per definirli “tagli alla spesa”. È pur sempre un buon inizio. Non solo, ma i tagli maggiori stanno avvenendo a livello di licenziamenti di dipendenti pubblici, come si vede dal grafico qui sotto.

Guarda caso tutto il polverone alzato per la Big Beautiful Bill adesso si è posato alla prova dei fatti, alla prova di dover votare davvero per i tagli nel processo politico adeguato. Non credo che Paul e Massie abbiano fatto tutto quel baccano solo per i “principi”... ci sono le rielezioni l'anno prossimo e avere famiglia è pur sempre un aggancio per eventuali ricatti... Al di là di ciò la “motosierra” sta calando anche sul lato spese federali, man mano che il DOGE scopre nuove aree da tagliare.

Ora che Trump ha visto l'approvazione del bilancio, nonostante fino a ottobre debba inghiottire la parte approvata dall'amministrazione Biden, può dimenticarsi del Congresso per le cose importanti fino alle midterm dell'anno prossimo. A meno che il Congresso, con la formazione attuale, non voglia essere annoverato come costola dell'amministrazione Biden (che ha aumentato il debito pubblico nell'ordine degli $8.000 miliardi), dovrà votare a favore di ogni codifica in legge dei tagli scoperti dal DOGE. Con le rielezioni che pendono sulle teste dei senatori l'anno prossimo, sarebbe politicamente suicida. Comunque il connubio tra tagli alla spesa, dazi, tassi d'interesse alti è sostanzialmente uno: ridurre il flusso di dollari all'estero. E come ci ha dimostrato il DXY, per quanto si sia fantasticato di “de-dollarizzazione” non c'era niente di concreto. Da qui la “necessità” di alzare l'asticella del tetto del debito americano, perché a fini pratici nel futuro a breve termine la domanda di strumenti in dollari e strumenti denominati in dollari (es. titoli di stato americani) salirà. In questo modo si soddisfa tale domanda e al contempo si impedisce che il DXY schizzi troppo in alto da richiedere davvero alternative. Infatti con la contrazione dell'offerta di dollari offshore c'è stato un cambiamento nel modo in cui la domanda di dollari e strumenti denominati in dollari si manifesta sui mercati: non più con l'inganno e nell'ombra, ma alla luce del sole adesso.

In base a questo nuovo assetto le stablecoin diventeranno un assorbitore di emergenza di titoli di stato americani, le banche commerciali emetteranno le proprie valute digitali coprendole con titoli di stato americani, l'abolizione della SLR e delle varie parti del Dodd-Frank Act aprirà spazio di manovra alle banche commerciali, domanda/offerta di titoli di stato americani verrà intermediata esclusivamente dal Dipartimento del Tesoro e non più dalla FED, domanda/offerta di denaro verrà intermediata dalle 12 FED regionali e dalle stablecoin, la FED fungerà da finestra di sconto per prestiti di emergenza in caso di difficoltà, ci saranno due dollari (uno per le transazioni interne e l'altro per quelle esterne) e il SOFR fungerà da tasso di mercato determinato solo negli USA per coordinare la relativa attività commerciale.

Non dimentichiamoci, però, un dettaglio importante che vale sia per i singoli investitori, come d'apertura di questo saggio, che per il governo federale: la rivalutazione dell'oro. Attualmente sui bilanci della FED l'oro in suo possesso, circa 8.000 tonnellate, è valutato a $42 l'oncia. Ai prezzi spot attuali, però, sarebbero equivalenti a circa $900 miliardi. Un passo in avanti, certo, ma non una soluzione ai problemi di debito degli Stati Uniti. Oh, ma se invece suddetta rivalutazione arriverebbe, ad esempio, fino a $10.000 l'oncia? Non è un'ipotesi personale, ma una che è stata scritta nero su bianco sulla relazione di maggio della Federal Reserve.

Non dimentichiamoci inoltre che, se l'oro venisse rivalutato in questo modo, la nazione con più oro avrebbe la maggiore leva finanziaria in questo nuovo sistema. Inutile dire che in tal modo sarebbe più facile puntellare e far riassorbire gli squilibri finanziari. Senza contare che l'oro rappresenta ancora solo una piccola frazione del sistema finanziario globale. Gli ETF sull'oro fisico rappresentano appena l'1% di tutti gli ETF e quelli legati alle industrie dell'estrazione di oro rappresentano una quota ancora inferiore. E con Bitcoin lo spazio di manovra si amplierebbe ulteriormente. In aggiunta a tutto ciò, il governo federale ha anche in programma di investire ingenti somme nelle infrastrutture energetiche. Infatti la capacità totale prevista della rete elettrica dovrebbe aumentare di oltre 400 GWh nel 2025, rispetto ai 160 GWh dell'anno scorso. Quindi nonostante l'attuale clima di difficoltà economiche, vale la pena di prendere in considerazione anche commodity critiche in tale settore.

Forse l'amministrazione Trump rimetterà davvero le cose a posto per gli USA, o almeno inizierà il processo in tal direzione. Sarebbe fantastico se tutto ciò accadesse. Ma la risalita dagli accordi “lose-lose”, ovvero vicendevolmente svantaggiosi, comporta il passaggio dagli accordi “win-lose”, ovvero a somma zero, prima di poter ritornare a quelli “win-win”, ovvero vicendevolmente vantaggiosi. Questo significa, quindi, che il vostro piano d'investimento NON PUÒ dipendere da forze politiche al di fuori del vostro controllo. Il vantaggio competitivo in tale fase di transizione si coglie, non si eredita: https://calendly.com/fsimoncelli


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martedì 20 maggio 2025

Il modello keynesiano cinese sta crollando, gli serve un accordo commerciale al più presto

I nodi della propaganda stanno vendendo al pettine ormai. La verità si vende da sola, non ha bisogno di essere puntellata sistematicamente; le menzogne, invece, quelle sì... quelle hanno bisogno di essere continuamente sostenute e coperte con menzogne più grandi e che richiedono più costi. Si può ovviamente tirare la corda quanto si vuole, giocarsi una carta ancora più alta, alla fine, però, se si sta bluffando e si stiracchia il bluff fino a una cosa enorme alla fine salta tutto. È accaduto con la “pandemia”, con la guerra in Europa orientale e sta accadendo di nuovo con la narrativa su Trump. Anche in quest'ultimo caso abbiamo assistito a una escalation di storie inventate sulla stampa dove, fallendo la prima, ne sono state tirate fuori di più inverosimili e grottesche successivamente. Ultima in ordine cronologico: gli USA sono dipendenti dalla Cina e i dazi avrebbero affossato DI PIÙ l'economia americana, costringendola a fare passi indietro e negoziare. In diversi tweet e negli ultimi due articoli a firma mia sul blog vi dimostravo come le cose non stavano così, ma adesso arriva anche la retromarcia da parte della stampa generalista. Ciononostante, per chi sa cosa osservare in linea con la metodologia della Scuola Austriaca, il pattern era già chiaro da un po' ed è arrivata la conferma quando le autorità monetarie cinesi hanno svalutato nuovamente lo yuan per raddoppiare gli sforzi in quella che è una scommessa perdente. In Cina mentire sull'economia è considerato un imperativo per la sicurezza nazionale. I dazi imposti dall'amministrazione Trump non sono l'inizio dei problemi del Paese, bensì la proverbiale ciliegina sulla torta di un processo di declino in corso da anni. Le spedizioni cinesi sono in stand-by e gli ordini sono congelati. La Cina sta attraversando una crisi deflazionistica dal 2023. L'aumento delle esportazioni durante la pandemia è stato compensato dai lockdown draconiani del PCC. Si è trattato, in sostanza, di un suicidio fiscale da parte del governo cinese e da allora il Paese è in difficoltà. Il mercato immobiliare è imploso, in parte a causa della sovracostruzione attraverso programmi infrastrutturali sovvenzionati dallo stato inondando il mercato di case ed edifici mal costruiti, poi lasciati a marcire. Le insolvenze aziendali sono dilaganti e hanno lasciato gli investitori senza un soldo. C'era un certo ottimismo sul fatto che le misure del governo cinese per porre fine alla crisi avessero funzionato per rinvigorire il mercato, ma il 31 marzo Vanke, collegata al governo cinese, ha fatto registrare una perdita annuale record di ¥49,5 miliardi per il 2024. Il principale organo decisionale cinese, guidato da Xi Jinping, ha affermato che le autorità avrebbero implementato piani specifici per supportare le aziende e gli individui colpiti dalla guerra commerciale. In altre parole, la PBOC continuerà a fare più o meno la stessa cosa fatta finora aspettandosi, però, un risultato diverso, sperando di tenere in vita un falso senso di stabilità. I tentativi della Cina di nascondere il decadimento al mondo esterno stanno diventando sempre meno efficaci.

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di Daniel Lacalle

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-modello-keynesiano-cinese-sta)

Nell'ultimo decennio l'economia cinese ha ampliato il suo modello neo-keynesiano centralizzato, il quale non può sopravvivere senza un accordo commerciale. Il settore manifatturiero cinese ha seguito una strategia di stallo continuo che non può sussistere senza l'enorme surplus commerciale con gli Stati Uniti.

La  sovraccapacità del settore manifatturiero cinese non è un'eccezione, è la regola. La Cina produce il 30% dei beni manifatturieri mondiali, ma ne consuma meno del 18%, secondo CKGSB. Inoltre il tasso di utilizzo della capacità industriale cinese è sceso al 74,1% nel primo trimestre del 2025.

Il modello keynesiano di pianificazione centralizzata cinese mira a massimizzare l'occupazione e a mantenere una forte crescita economica, nonostante i vincoli finanziari e l'eccessivo indebitamento; pertanto è necessario vendere la produzione in eccesso per evitare un enorme problema di capitale circolante. Persino il governo cinese ha riconosciuto il problema in modo indiretto, evidenziando che la concorrenza di tipo “involutivo” è un obiettivo fondamentale per la politica economica del 2025 e che si stanno adottando misure per ridurre gli investimenti non necessari e controllare la crescita in alcuni settori. Tuttavia la sovraccapacità produttiva in Cina non è un caso; è stata creata per disegno politico, con le autorità locali e nazionali che cercano di aumentare il PIL a qualsiasi costo.

Il modello mira a mantenere la piena occupazione e la crescita economica anche con rendimenti economici inferiori al costo del capitale, e funziona quasi del tutto se la capacità produttiva in eccesso può essere venduta a livello globale, ricevendo valuta di riserva e mantenendo bassi i costi trasferendo il costo del capitale circolante ai consumatori globali e mantenendo basse le spese di produzione con controlli monetari e tassi di cambio fissi. Tuttavia la combinazione di debito crescente, valuta in costante indebolimento e crescente numero di fallimenti e problemi di capitale circolante sta conducendo questo modello al collasso, anche in assenza di una recessione ufficiale.

La Cina ha imparato che non può sopportare una guerra commerciale e non può sostituire i consumatori statunitensi, il mercato più ricco e più grande del mondo, con consumatori europei o latinoamericani. Di conseguenza ha bisogno di un accordo commerciale rapido prima che la catena di fallimenti che affligge l'economia cinese dal 2021 si trasformi in una vera e propria crisi finanziaria.

Ad aprile la Cina è entrata ufficialmente in deflazione per il terzo mese consecutivo. Secondo Allianz, si prevede che le insolvenze aziendali aumenteranno del 7% nel 2025 e del 10% nel 2026, nonostante il governo cinese stia implementando ulteriori misure di stimolo fiscale.

Le piccole e medie imprese, in particolare quelle esportatrici, stanno affrontando un crescente numero di fallimenti a causa del calo del flusso di cassa e dell'eliminazione delle esenzioni tariffarie statunitensi. La perdita di posti di lavoro è in aumento nelle regioni dipendenti dalle esportazioni e il tasso di disoccupazione urbano dovrebbe attestarsi in media al 5,7% nel 2025, al di sopra dell'obiettivo ufficiale, secondo la CNBC.

L'indice PMI manifatturiero ufficiale dell'NBS è sceso bruscamente a 49,0 il mese scorso, il calo più netto da dicembre 2023, riflettendo una discesa della produzione, dei nuovi ordini e dell'occupazione, in particolare gli ordini esteri in calo al livello più basso degli ultimi undici mesi.

Il crollo del settore immobiliare, che un tempo rappresentava fino al 30% del PIL, ha indebolito le banche, ridotto i risparmi delle famiglie e portato a un effetto ricchezza negativo, deprimendo ulteriormente i consumi e la domanda di credito.

I punti di forza economici della Cina sono ben noti, ma le debolezze sono troppo importanti per essere ignorate. La situazione ci ricorda che la pianificazione centrale non funziona mai. Tutte le debolezze della Cina derivano da anni di politiche governative volte a stimolare la crescita economica costruendo beni nella speranza che prima o poi si sarebbero venduti. Inoltre l'aumento dei fallimenti, il crollo del mercato immobiliare e il crescente debito delle amministrazioni locali mettono a dura prova il sistema finanziario, proprio mentre i prestiti in sofferenza della Belt and Road Initiative (BRI) aumentano vertiginosamente. Diversi Paesi nella BRI sono inadempienti o hanno richiesto salvataggi da parte del FMI, tra cui Sri Lanka, Zambia, Ghana e Pakistan, mentre essa ha generato $385 miliardi di debiti non registrati.

Le linee di politica keynesiane portano sempre a un debito elevato e alla stagnazione. Tuttavia se combinate con un sistema di pianificazione centrale, un sistema finanziario chiuso e controlli sui capitali, esse creano un pericoloso mix di sovraccapacità produttiva, povertà e stagnazione economica. La Cina può iniziare ad affrontare il suo enorme problema di capitale circolante solo attraverso un accordo commerciale rapido e di successo con gli Stati Uniti. La Cina trarrà enormi benefici se aprirà la sua economia, eliminerà i controlli sui capitali e permetterà al settore privato di respirare. Un'implosione del problema della sovraccapacità produttiva nascosta ai media generalisti, compensata da una pianificazione centrale ancor più accentuata e da stimoli su stimoli, non farà altro che indebolire ulteriormente la Cina nel lungo periodo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 4 aprile 2025

Il piano diabolico dell'UE andrà avanti a tutti i costi

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-piano-diabolico-dellue-andra-avanti)

Oggi vorrei aggiungere una parola al vocabolario e far fare un passo avanti a tutti coloro che cercano di comprendere le politiche pubbliche. Il cinismo mette in discussione le motivazioni degli altri; la mia nuova parola, “cinicetticismo”, l'unione di cinismo e scetticismo, è un modo per evitare di essere danneggiati da esse. Nella vita pubblica le persone affermano di migliorare il mondo. “Fai questo”, dicono alcuni; “fai quello”, dicono altri. Il cinicetticismo ci dice cosa sta realmente accadendo: qualunque cosa propongano non funzionerà e le persone che lo suggeriscono sono delle frodi. Un buon esempio è l'inflazione: quante promesse sono state fatte in merito al fatto di voler migliorare il benessere pubblico? Eppure apprendiamo che, in Italia, i salari reali sono in discesa e la povertà è aumentata.

La BCE ha promesso di rilanciare l'economia abbassando i tassi, ma li ha tenuti troppo bassi per troppo tempo. La crescita del PIL ha rallentato e ora non può rialzarli per “combattere” l'inflazione; c'è troppo debito. Tassi più alti farebbero crollare l'economia europea. L'UE, infatti, è il più fulgido esempio adesso delle conseguenze della linea di politica “Inflate or die”. L'unica scelta per la BCE è quella di stampare in modo da abbassare il valore reale del debito.

Cosa fare al riguardo? Il cinicetticismo può proteggervi, infatti se lo si sviluppa diviene particolarmente prezioso per valutare le politiche pubbliche e i loro effetti sulla vostra ricchezza. Come diceva Ronald Reagan, la frase più pericolosa che potevate sentire era: “Sono un agente dello stato e sono qui per aiutare”. Il cinicetticismo vi dice che qualsiasi cosa l'apparato pubblico stia promuovendo sarà una truffa e un fallimento. La maggior parte delle questioni non ha molta importanza, ma due di esse contano molto: la guerra e il denaro. “Ci dobbiamo riarmare per difenderci ed essere sicuri”, dicono in coro i burocrati dell'UE; “i tassi più bassi ci renderanno più ricchi”.

Il cinicetticismo suggerirebbe di non crederci.


LE BASI APODITTICHE DELL'INFLAZIONE

Ricordiamo cos'è l'inflazione: un fenomeno sempre e comunque monetario, tanto per citare Friedman e non essere accusato di partigianeria. La cinghia di trasmissione tra tutte le informazioni economiche nell'ambiente di mercato è fortemente influenzata da quella merce che fa da minimo comun denominatore tra le varie altre, anche se i beni di consumo, in un frangente di tempo “X”, non dovessero avere grosse fluttuazioni in termini monetari. Per l'articolo di oggi è superfluo sottolineare/spiegare l'imprescindibilità del denaro come cinghia di trasmissione delle informazioni all'interno dell'ambiente economico. Di conseguenza l'interventismo artificiale nella domanda/offerta di denaro causa scossoni che devono essere assorbiti dall'intera struttura economica e, in particolar modo, dagli attori di mercato (soprattutto coloro che ricevono per ultimi gli assestamenti dato che sono i più penalizzati). Questo fenomeno ingloba tutti gli asset: dai beni di consumo a quelli di capitale. Sì, ciò include anche materie prime, case e automobili. Il singolo atto di poter distorcere l'offerta di denaro rappresenta un vantaggio competitivo non indifferente che ha conseguenze impreviste lungo un lasso di tempo imprecisato. Di norma il riverbero dell'interventismo monetario ha un ritardo di 18 mesi prima che si manifesti completamente nell'economia più ampia, ma il suo perdurare si espande molto più a lungo dato che suddetto interventismo può accumulare tante variazioni nel breve periodo, ma nel lungo gli effetti sono proporzionalmente imprevedibili in base alla quantità di tali variazioni. Di conseguenza la reazione del sistema bancario centrale a un determinato fenomeno è SEMPRE in ritardo, dato che esse non controllano alcunché se non l'influenza del breve periodo ed ecco perché nel lungo i prezzi tendono a essere “appiccicosi”. Paradossalmente questa motivazione è stata sventolata dai keynesiani per richiedere maggiore interventismo. E ancora più paradossale dover citare lo stesso Keynes che ci spiegava il motivo di ciò: “Solo una persona su un milione capisce il fenomeno inflazione”.

La manipolazione dell'offerta di denaro è il motivo principale dell'inflazione dei prezzi conseguente, ma ce ne sono anche altri. Ad esempio, l'iper regolamentazione. La creazione di un'impalcatura burocratica che capillarmente vuole normare/regolare l'ambiente economico (perché la sua espansione inevitabile lavora con la Legge di Parkinson) crea una distorsione/deformazione del sistema prezzi a causa dell'arbitrarietà con cui vengono sfornate nuove leggi. L'obsolescenza per decreto di determinati output ricade nel famoso caso della “finestra rotta” di Bastiat, dove la distruzione di capitale viene trattata come trasformazione necessaria affinché la burocrazia possa avere voce in capitolo in questioni più grandi di essa. Come sappiamo già da “The Use of Knowledge in Society”, la conoscenza dispersa all'interno dell'ambiente di mercato richiede un certo grado di alertness che è caratteristico di quegli imprenditori di successo in grado di anticipare quanto più correttamente possibile la domanda dei clienti. Ciò richiede la capacità di saper raccogliere quegli input che davvero “hanno valore”, ma la scarsità di quella capacità di “unire i puntini” (o per meglio dire gli input) è ciò che rende unici solo una manciata di grandi imprenditori. Ciò a sua volta significa un'allocazione delle risorse economiche scarse quanto più in accordo con le esigenze degli attori di mercato, un processo in grado di essere concluso con efficienza tramite, ad esempio, il sistema profitti/perdite. O più in generale dal calcolo economico. La burocrazia è sganciata da questo calcolo, di conseguenza, nel momento in cui emette i suoi editti, si arroga prepotentemente il diritto di “avere ragione” a prescindere. Ciò significa a sua volta misallocation di risorse scarse che vengono deviate artificialmente dagli usi più urgenti percepiti dagli attori di mercato e di conseguenza subiscono un rialzo dei prezzi.

Poi abbiamo un terzo motivo: l'abbassamento della qualità/quantità, o altrimenti detto “shrinkinflation”. Questo segue logicamente i primi due ed è uno stratagemma messo in campo nel momento in cui un'attività cerca disperatamente di sopravvivere. In fin dei conti, le attività economiche sono attività “organiche” essendo un'estensione della creatività e dell'esperienza della persona trasformate in qualcosa di tangibile nel mondo fenomenico tramite l'azione umana. E l'istinto di sopravvivenza è innato in tutti gli esseri organici.

Queste motivazioni sono assolutamente vere perché dedotte logicamente dall'assioma dell'azione umana. Queste sono le cause del fenomeno, da non confondere con gli effetti: disonestà, comfort, logistica, miglioramenti/peggioramenti tecnologici, ecc. Non solo, ma sono il motivo cruciale per cui non c'è stata alcuna ripresa finora.

L'obiettivo più importante dei keynesiani è stato farvi pensare che le conseguenze dell'inflazione fossero le cause. Solo l'aumento dell'offerta di denaro, alimentato dalla crescente spesa pubblica, crea inflazione. Gli stati continueranno a spendere e ad aumentare deficit e debito, le banche centrali continueranno a stampare e daranno la colpa a tutt'altro. Il sordido furto dei risparmi tramite l'inflazione e la progressiva erosione degli stessi man mano che questo processo s'è incancrenito a causa del denaro fiat, è già adesso la rappresentazione di quella realtà fabbricata e riassunta dal motto “non avrai nulla”... e ovviamente “sarai infelice”, dato che ultimamente i sicofanti di regime che imbrattano le pagine dei giornali si chiedono sempre più come mai i giovani sono depressi. La risposta che accomuna tutte le cause: il denaro fiat, il quale crea una società fiat svuotata progressivamente da tutto. L'essenza fiat trascina e consuma tutto quello che s'è creato, è un buco nero per i valori sociali, la scuola, l'educazione, l'alimentazione, il benessere psicologico, l'intrattenimento, ecc.

Se davvero i sicofanti di regime volessero aiutare i giovani e alleviare le cause psicologiche dei loro disagi, dovrebbero iniziare opponendosi all'euro digitale e aumentare la consapevolezza riguardo le alternative decentralizzate.


GIOCHI A SOMMA (SOTTO)ZERO

La linea di politica della BCE, sin dalla sua nascita, è stata quella di “stimolare” l'economia con tassi d'interesse sempre più bassi. Ma dopo la più forte medicina “stimolante” mai somministrata, dal 2012 al 2022, il paziente si è ammalato di più: i tassi di crescita sono scesi e il debito è aumentato. Ma la BCE ha imparato dai suoi errori? No. Sta abbassando di nuovo i suoi tassi, e mentre alimenta prestiti a basso costo alle sue banche affiliate, l'economia reale è bloccata con tassi d'interesse reali più alti. I creditori temono una maggiore inflazione; vogliono tassi d'interesse più alti per proteggersi.

Di recente c'è stato un importante selloff sui mercati obbligazionari europei, per niente menzionato dalla stampa finanziaria generalista. Altrimenti, poi, come riuscirebbero a vendere ai gonzi le nuove obbligazioni SURE con cui finanziare il piano da €800 miliardi della Commissione europea?

Il nostro nuovo credo, il cinicetticismo, ci aiuta a spiegarlo. La politica e gli investimenti sono entrambi giochi a somma zero oggi. Si vince non perdendo, ovvero non diventando una vittima. Come? In politica il modo per evitare di essere delle vittime è votare per politici che ridurranno il peso della spesa pubblica. E negli investimenti, la cosa più importante è evitare la “Grande Perdita” e restare in gioco. Ad esempio, le persone che acquistano titoli di stato a lunga scadenza, contando sul fatto che la BCE le ripaghi in tempo utile con denaro che conserva il suo potere d'acquisto, sono le principali vittime.

Non ci credete? Comprate titoli di stato italiani a 10 anni e teneteli fino alla scadenza. Chi l'ha fatto nel 2020, ad esempio, sulla scia delle campagne pubblicitarie “patriottiche”, è più che sommerso.

Inoltre gli annunci delle ultime settimane, con l'euro digitale e la Savings and Investments Union, hanno praticamente reso chiaro anche alle teste di legno quale sia il piano dell'UE: c'è bisogno della guerra in Europa in modo da dare la colpa ai russi per lo stato pietoso in cui versano i mercati dei capitali, questo servirà da innesco per mandare in bancarotta (di proposito) il continente ed emettere nuovi titoli (es. perpetual bond) con cui ripartire daccapo poi. Affinché questo piano possa andare a buon fine, la classe dirigente europea ha bisogno di accedere a garanzie collaterali, in particolar modo energia (che non hanno), ed ecco perché ultimamente sono salite alla ribalta voci che vorrebbero il Canada unirsi con la UE. Con l'arrivo di Carney il Canada potrebbe trasformarsi in un avamposto della cricca di Davos, infatti già si stanno stilando piani affinché esso tenga quanto più liquido possibile il mercato degli eurodollari. Ma Trump e i NY Boys non sono degli idioti, quindi la retorica a proposito di una annessione statunitense di Canada e Groenlandia è indirizzata principalmente a rompere questa alleanza in formazione.

Per arrivare a queste deduzioni mi basta guardare ai mercati dei capitali e chiedermi non perché si muovano, bensì come si muovano. La forma principale di risparmio in Europa sono i bund tedeschi e i Btp italiani. Negli ultimi 3 anni la Yellen e la Lagarde hanno messo in piedi un processo di yield curve control per contrastare il rialzo dei tassi di Powell, in modo da disinnescare l'esplosione del mercato dei titoli sovrani europei (i rendimenti di questi ultimi rispetto alla controparte statunitense). Questa operazione ha tenuto aperti i rubinetti della liquidità internazionale affinché affluisse in Europa e tenesse in piedi l'illusione che i titoli sovrani europei avessero mercato nonostante le difficoltà delle relative economie (permettendo altresì ai fondi pensione europei di rimanere finanziati). Ora che quei rubinetti sono chiusi, grazie al taglio degli sprechi da parte del DOGE, l'unica cosa che rimane alla classe dirigente europea è la nazionalizzazione “coatta” dei risparmi dei contribuenti in modo da sostenere il mercato obbligazionario, mentre la BCE si occupa dell'euro. Questo a sua volta rende ragionevolmente attraenti i titoli sovrani europei tra gli investitori e permette ai relativi stati di non soffrire per costi di finanziamento esosi; inoltre l'apparenza è che non c'è crisi e che i rendimenti sono positivi al netto dell'inflazione.

I dazi di Trump hanno rotto l'incantesimo. La capacità beggar thy neighbour (rendimenti obbligazionari più bassi rispetto al livello dove dovrebbero trovarsi realmente e valuta più debole di quanto dovrebbe essere) viene smantellata. L'euro, e tutte le macchinazioni che finora l'hanno tenuto a galla, sono sopravvissute grazie all'ingegneria finanziaria, in particolare negli ultimi 15 anni, la quale è stata esclusivamente funzionale a mantenere vivi gli eurodollari e il conseguente spolpamento indiretto del bacino della ricchezza reale degli Stati Uniti. Oltre a questa verità ne sta uscendo fuori un'altra: la Francia è il burattinaio politico nell'UE.

Quando la classe dirigente europea piagnucola, significa che si sta andando nella giusta direzione. Quando questi cretini approvavano le armi di ricatto nei confronti degli USA (es. GDPR, DSA, DMA), la stampa se ne stava buona al suo posto parlando di “digitalizzazione” dell'economia. Anche quei giornalisti “liberali” che adesso fanno gli indignati di fronte ai “dazi americani”, e allo stesso tempo dicono di approvare l'amministrazione Trump, si sono ben guardati dal criticare/approfondire questi aspetti. Balle, quindi: erano dazi nei confronti degli USA e un modo di estorcere ricchezza da chi crea valore aggiunto. Le multe dell'UE, quindi, nei confronti dei “colossi” tecnologici americani, altro non sono che un pizzo mafioso richiesto da una banda di cretini che sta giocando col fuoco.

La stessa “agenda green” è un gigantesco ricatto normativo nei confronti degli USA. Ma questo aspetto sfugge ad analisti e giornalisti “furbi”, i quali non vedono un millimetro oltre il loro naso... o non vogliono vederlo. Il Paese a cui farebbe davvero male l'elettrificazione dei veicoli sarebbero gli USA. Pensateci: se guidate per 1000 km in Europa siete già in un'altra nazione; se lo fate negli USA siete ancora nello stesso stato, forse anche contea. La popolazione europea, i contribuenti europei, sono sempre stati la carne da cannone in questa scalata ostile di Bruxelles e Londra nei confronti degli USA; sono stati la base, il collaterale, attraverso cui piramidare e sottoporre a leva le imbecillità normative partorite sinora.

Se davvero Londra e Bruxelles avessero voluto mettersi al pari degli USA dal punto di vista economico e commerciale, allora avrebbero dovuto deregolamentare, abbattere le tasse, tagliare la spesa pubblica. Insomma l'influenza stessa della classe dirigente europea sarebbe dovuta indietreggiare. Per questa gente, che è colonialista nell'anima, non esiste niente del genere. Quindi la scelta è stata quella di infiltrarsi nelle stanze dei bottoni statunitensi e demolirli dall'interno.

I dazi sono un modo diretto da parte degli USA di dire “No” a questa distopia e alla rapina del valore aggiunto da loro creato. Ciò che rimane alla classe dirigente è piagnucolare e un manipolo di sicofanti sulla carta stampata e sui social che danno sfogo al loro isterismo.


FEBBRE GIALLA

L'oro sta facendo ciò che dovrebbe fare: anticipa l'inflazione e offre protezione a risparmiatori/investitori. Tuttavia, cari lettori, attenzione: anche i “tori” e gli amanti dell'oro possono diventare “irrazionalmente esuberanti”. Arriverà il momento in cui le persone saranno euforiche per l'oro: i tassisti vi racconteranno delle azioni minerarie che hanno appena acquistato; le persone si vanteranno di “quando sono entrati”; vi diranno che l'oro “sta andando sulla luna”. Il prezzo salirà così tanto che sarete in grado di acquistare l'intera lista di azioni Dow Jones per sole 5 once d'oro. Sarà allora che uno dovrebbe essere felice di scaricare il proprio oro e acquistare azioni.

Ma questo (probabilmente) avverrà tra qualche anno. Nel frattempo sia le azioni che l'oro hanno stabilito nuovi record, ciononostante il quadro fondamentale non è cambiato: il rapporto Dow/oro era a 20 tre anni fa; oggi è a 16; le azioni hanno perso il 20% del loro valore reale. Devono perdere un altro 70% (in termini di oro) prima di diventare veri affari. E su questo potete contare sulle banche centrali. La BCE non aveva motivo di tagliare i tassi il mese scorso... se non che sta cercando di causare inflazione, non di eliminarla. Negli ultimi tre anni l'inflazione dei prezzi è stata più di tre volte superiore a quanto la BCE (presumibilmente) volesse. Vale a dire, con un aumento annuo del 2%, i prezzi dovrebbero essere circa il 6% più alti di quanto non fossero nel 2021; invece sono, ufficialmente, più alti del 20%.

Ufficiosamente, i prezzi sono ancora più alti. Il Tempo, ad esempio, ci dice che il costo di alcune materie prime è letteralmente schizzato alle stelle. O basta guardare ai veicoli. La Fiat Panda, l'autovettura più popolare in Italia, costava in media circa €12.000 nel 2021. Con un'inflazione del 2%, il prezzo del modello di quest'anno dovrebbe essere di circa €13.000. Invece no: si parte da circa €16.000, un aumento del 35% e una erosone reale del potere d'acquisto degli stipendi (nonché del tempo).

E per quanto riguarda l'edilizia abitativa? I tassi ipotecari più bassi hanno convinto gli acquirenti di case a sottoscrivere mutui basati su prezzi gonfiati e basse rate mensili. Poi, nel 2008, i prezzi delle case sono crollati, gli istituti di credito sono andati in bancarotta e milioni di famiglie hanno perso le loro case. Le banche centrali abbassarono ulteriormente i tassi e li ancorarono sotto lo zero, in termini reali, per un lasso di tempo di 10 anni. Ciò, ovviamente, ha portato a una maggiore inflazione immobiliare e poi, all'assurda situazione in cui le persone avevano difficoltà sia ad acquistare che a vendere una casa. La parentesi del SuperBonus non ha fatto altro che aggiungere più distorsioni economiche a quelle esistenti. Nonostante tutti gli “stimoli” escogitati non c'è stata alcuna ripresa... anzi il bacino dei risparmi reali ha continuato a contrarsi. È questa la situazione che si viene a creare quando entrano in scena gli affari “lose-lose” (o vicendevolmente svantaggiosi): la Legge dei rendimenti decrescenti entra nella sua fase negativa, ovvero per ogni unità di debito creata ne viene (progressivamente) erosa una di PIL. Ecco perché, come scrivevo sopra, l'UE ha disperatamente bisogno di un default da cui ripartire in seguito. E senza ripresa la classe dirigente europea non ha alcun potere di leva sui suoi pari esteri.

Ma scrutiamo un po' più da vicino il settore immobiliare. Una casa media costava circa €1600 al  nel 1998. Con un'inflazione al 2% quella cifra oggi dovrebbe essere di circa €2500 al . Invece se prendiamo una città campione a caso, ad esempio Roma, siamo ben al di sopra; per non parlare di Milano. E ora la BCE ha iniziato un nuovo ciclo di allentamento e questo ha fatto gridare al miracolo gli analisti immobiliari, i quali affermano che ciò renderà più facile per le persone acquistare una nuova casa. Il risultato reale? Prevedendo una maggiore inflazione i creditori hanno aumentato i tassi dei mutui a lungo termine rendendo le case meno accessibili che mai!

In altre parole l'inflazione reale dei prezzi al consumo è ben oltre il 2% e per riportarla all'obiettivo di riferimento la BCE dovrebbe portare il tasso effettivo dell'inflazione dei prezzi al di sotto del 2% per diversi anni. In che modo farlo visto che una variazione mensile negativa della stessa inflazione dei prezzi scatenerebbe grida isteriche di “deflazione”?


CONCLUSIONE

Il nostro nuovo credo (il cinicetticismo) ci avverte che le cose non sono sempre come vorremmo che fossero e non sono nemmeno sotto il nostro completo controllo. Quando i risparmi e i fondi pensione sono per la maggiore allocati in titoli sovrani, e le pensioni sono il più grande schema Ponzi e la più grande spada di Damocle pendente sul collo dei conti pubblici, un haircut è l'unica cosa che ti risolve questi problemi... oltre ad avere una platea di investitori e risparmiatori che non hanno alternative. Questo significa che verrà ingegnerizzata una nuova crisi del debito sovrano attraverso la spesa folle in difesa e altre follie fiscali, molto probabilmente sulla scia di un'operazione false flag per incolpare la Russia e distrarre chi deve essere fregato; il tutto per resettare il mercato dei titoli sovrani europei. Nella cricca di Davos non ci sono stupidi e si sono preparati per entrambi gli scenari, ovvero quello ostile alla loro visione e quello favorevole. Quest'ultimo avrebbe significato che gli USA sarebbero scesi in guerra contro la Russia e il crollo dei mercati dei capitali sarebbe stato affibbiato al conflitto mondiale; nel primo caso, invece, avrebbe significato grandi stimoli fiscali “per la difesa”, per il “cambiamento climatico”, la messa in discussione della NATO e tutte le provocazioni di questo mondo affinché la Russia li attaccasse.

Secondo quest'ottica un tale reset porterebbe anche la tanto agognata ripresa affinché le persone tornino a badare ai propri affari, contente di quel poco che si ritrovano e lasciano “lavorare” la classe dirigente. Quest'ultima farà di tutto pur di rimanere in carica e non finire nella pattumiera della storia. Perché è questo che significa una sconfitta dell'Europa in Ucraina, per quanto quest'ultima sia già fallita e fatta a pezzi. La Russia, infatti, ha già combattuto contro la NATO e ha vinto. Ecco perché se la può prendere comoda e rimanere ferma nelle sue richieste; ecco perché “benedice” gli Stati Uniti nel momento in cui vogliono sbarcare in Groenlandia. Non dovrebbe essere una mianccia diretta? No. La visione di USA e Russia è quella di un ritorno agli “equilibri” della Guerra fredda ma senza le tensioni geopolitiche e commerciali, rendendo l'artico un punto di snodo per le nuove rotte mercantili. Di conseguenza gli europei possono essere sottoposti a dazi fino alla morte senza grandi contraccolpi oltreoceano, riducendo quel surplus commerciale che gli europei hanno ottenuto in modo fraudolento.

Chi è un lettore stagionato del mio blog sa che una delle critiche più feroci alle linee di politica fiscali e monetarie degli Stati Uniti è arrivata dal sottoscritto. Questo è stato vero fino al 2022, quando il cambio di passo è stato evidente e concreto. Tale inversione di tendenza mi ha spinto a rivedere il libro che poi avrei pubblicato due anni dopo, spiegando cosa stava succedendo. Così è nato “Il Grande Default”. Con il SOFR, infatti, gli USA possono bere il “frullato” del dollaro senza dare peso alle conseguenze come invece accadeva prima. Esiste ancora una narrativa che sottolinea le difficoltà economiche e finanziarie degli USA, ma gli manca la prospettiva più ampia. Chi ha letto il mio libro sa da dove si alzano queste voci e cosa vogliono raggiungere; coloro ignari, invece, fantasticano di un declino del dollaro a favore di un'ascesa dei BRICS e dello yuan.

Favole. Qual è la domanda che non si pongono? La seguente: E tutti gli altri? È vero, lo zio Sam ha un problema di debito pubblico, la Federal Reserve ha un problema di bilancio a causa di titoli comprati in precedenza ora sommersi e il resto del mondo non sta comprando titoli sovrani americani come faceva in passato. Ma... e tutti gli altri? Anch'essi hanno tutti questi problemi e anche di più. Il governo federale ha un debito pubblico di $36.000 miliardi, ma il resto del mondo, tutte le altre nazioni non solo hanno il loro debito pubblico (gigantesco) ma ANCHE debiti denominati in dollari da saldare. E questo è il mercato degli eurodollari; se non capite come funziona questo sistema, allora state guardando il singolo albero piuttosto che l'intera foresta. Il resto del mondo è in debito non solo nella propria divisa, ma anche in dollari, e non esclusivamente nei confronti degli Stati Uniti bensì tra di essi. Non potendo stampare dollari questo li rende molto più suscettibili al default rispetto al Paese che li può stampare.

Inoltre quando emergono difficoltà economiche ci si aggrappa a quella cosa di cui si ha più bisogno, non a quella cosa che si desidera. La reputazione degli USA è leggendaria da questo punto di vista: il luogo dove il capitale è trattato meglio. Non solo, ma le altre banche centrali del mondo, nonché quelle commerciali, hanno riserve in dollari e titoli denominati in dollari. Nel caso in cui ci dovesse essere un evento catastrofico a livello di Dipartimento del Tesoro USA o altro, i bilanci dei player esteri verrebbero fatti letteralmente a pezzi. La FED non possiede alcun titolo denominato in una divisa estera (così come sta facendo Tether), le altre banche centrali invece sì. Anche qualora si tirasse in ballo l'oro come copertura attiva gli USA sarebbero comunque avvantaggiati dall'alto delle loro 8000 tonnellate e dall'afflusso di oro da Londra.

Quindi, prima di lanciarsi in scenari futuri fantasiosi in cui i BRICS diventano magicamente il punto di riferimento del mondo oppure il dollaro e l'economia statunitense vanno in acuta sofferenza, meglio capire come funziona davvero il mondo. Fortunatamente ci sono testi che facilitano il compito.


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