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martedì 16 agosto 2022

Come il Giappone ha creato denaro “non inflazionistico” mentre rovinava l'economia giapponese

 

 

di Taiki Murai & Gunther Schnabl

Milton Friedman (1963) ha affermato che "l'inflazione è sempre e comunque un fenomeno monetario, nel senso che è e può essere prodotta solo da un aumento più rapido della quantità di denaro rispetto alla produzione". Tuttavia, negli ultimi decenni, la forte crescita dell'offerta di denaro in molti Paesi industriali non è stata accompagnata da un rispettivo aumento dei livelli dei prezzi misurati ufficialmente.

Dal 1990 al 2021, ad esempio, M3 in Giappone (vale a dire, valuta in circolazione e depositi presso le banche) è aumentato del 98%, mentre il prodotto interno lordo reale è aumentato solo del 5% e il livello dei prezzi solo dell'11%. Ciò lascia un divario inspiegabile di 82 punti percentuali. In che modo il Giappone è riuscito a creare "denaro non inflazionistico"?

Il canale tradizionale di creazione di denaro è il credito bancario. Se, ad esempio, una banca commerciale concede un prestito alla signora Jones, la banca crea un deposito corrispondente sul suo conto bancario. Lo stock di denaro, che è definito come valuta in circolazione più depositi bancari, cresce; allo stesso modo lo stock di denaro diminuisce se il signor Smith rimborsa il suo credito bancario. Lo stock di denaro aumenta se le banche commerciali concedono più prestiti di quanti i clienti possano rimborsare.

In un sistema bancario a due livelli, la crescita del credito, del denaro e dell'inflazione è in definitiva controllata dalla banca centrale, la quale imposta il tasso d'interesse chiave per l'economia. Se la banca centrale taglia il tasso d'interesse, il credito bancario e i depositi bancari aumenteranno, poiché le imprese e le famiglie espandono la loro domanda di credito. Ad esempio, nella seconda metà degli anni '80, la Banca del Giappone abbassò il tasso d'interesse per contrastare l'apprezzamento dello yen dopo l'Accordo del Plaza nel 1985. Dal 1984 al 1990, i prestiti bancari salirono da ¥373.000 miliardi a ¥716.000 miliardi, o del 92%; i depositi bancari (in termini di M3) aumentarono da ¥443.000 miliardi a ¥774.000 miliardi, o del 75% (si veda il grafico sotto). La maggior parte del denaro confluì nel mercato immobiliare e azionario, dove il credito immobiliare rappresenta un fattore principale nella creazione di denaro.[1] L'inflazione dei prezzi salì dallo 0,1% nel 1987 al 3,1% nel 1990.

Dopo lo scoppio della bolla economica nel 1990, con il crollo dei prezzi degli immobili e delle azioni, le banche commerciali giapponesi esitarono a espandere i prestiti bancari, perché una grande quantità concessi durante la bolla si rivelò non performante. Inoltre la persistente politica dei tassi d'interesse bassi e a zero della BOJ andò a deprimere i margini di profitto delle banche giapponesi (Murai e Schnabl, 2021). I prestiti totali diminuirono e vennero solo leggermente rianimati dal 2013 in poi con la cosiddetta Abenomics.

Invece sono stati creati sempre più soldi a discrezione del governo giapponese, il quale ha varato una lunga serie di programmi di spesa fiscale per superare la prolungata recessione post-bolla.[2] Lo stock di denaro in un'economia aumenta se lo stato ha un deficit fiscale e vende i suoi titoli di nuova emissione alle banche commerciali, le quali creano depositi corrispondenti per acquistare titoli di stato.[3] Le banche commerciali giapponesi hanno acquisito una grande quantità di titoli di stato, proprio perché i segnali della Banca del Giappone le hanno incoraggiate a farlo (quantitative easing).[4]

Fonte: Banca del Giappone. M3 è composto da valuta in circolazione e depositi presso istituti di deposito (depositi vincolati, risparmi fissi, risparmi rateali, depositi in valuta estera e certificati di deposito). Contrariamente all'M3 dell'area Euro, i fondi del mercato monetario (MMF) e le obbligazioni bancarie non sono inclusi nell'M3 del Giappone.

La spesa pubblica del governo giapponese ha aumentato i depositi bancari di famiglie e imprese. M3 è salito insieme all'aumento del debito pubblico (anche se in misura minore) come mostrato nel grafico qui sopra. Dal 1990 il debito pubblico è salito di ¥810.000 miliardi, mentre i depositi bancari di famiglie e imprese sono aumentati rispettivamente di ¥575.000 miliardi e ¥153.000 miliardi.

A differenza del Giappone degli anni '80 e dell'attuale situazione negli Stati Uniti, questo aumento non è stato inflazionistico per due ragioni. In primo luogo, il denaro creato dalla politica fiscale finanziata dal debito è stato solo parzialmente riciclato nell'economia domestica: le famiglie non hanno aumentato i consumi e le imprese non hanno aumentato gli investimenti, poiché le cupe aspettative di entrambi le hanno frenate significativamente. Abbiamo affermato in precedenza che una parte sostanziale della spesa pubblica aggiuntiva è stata utilizzata per sovvenzionare le imprese e quindi per mantenere bassa l'inflazione. Il persistente contesto di bassa inflazione ha reso attraente la detenzione di denaro per famiglie e imprese, riducendo così la pressione inflazionistica.

In secondo luogo, la Banca del Giappone ha mantenuto il tasso d'interesse costantemente al di sotto dei tassi d'interesse negli Stati Uniti. Ciò ha stimolato i deflussi denaro giapponese e scoraggiato gli afflussi di denaro straniero. Lo stock di denaro diminuisce ogni volta che le famiglie e le imprese domestiche acquistano asset esteri tramite una banca commerciale nazionale; lo stock di denaro aumenta quando agenti stranieri acquistano asset nell'economia domestica tramite banche commerciali. Poiché i giapponesi hanno acquistato più asset esteri di quanti ne abbiano gli stranieri, le attività nette sull'estero del Giappone sono gradualmente aumentate da ¥44.000 miliardi nel 1990 a ¥357.000 miliardi nel 2020. Come mostrato nel grafico sopra, i prestiti bancari più il debito pubblico meno gli asset esteri netti sono i migliori proxy per M3 in Giappone.

Il conseguente finanziamento dei consumi e degli investimenti all'estero ha ridotto la pressione inflazionistica sui beni e sui prezzi delle attività giapponesi (e ha aumentato la pressione inflazionistica all'estero). Inoltre l'accumulo di asset esteri ha creato persistenti aspettative di apprezzamento dello yen giapponese, poiché gli asset denominati in valuta estera possono essere riconvertite in yen in qualsiasi momento (McKinnon e Schnabl, 2006).[5]

Dato l'elevato grado d'incertezza del tasso di cambio dovuto alla fluttuazione dello yen, gli investitori giapponesi hanno ottenuto rendimenti esteri più elevati solo se acquistavano obbligazioni estere senza alcuna copertura. Per gli investitori è diventato però difficile sopportare il rischio monetario sotto forma di potenziale apprezzamento dello yen, cosa che avrebbe potuto innescare improvvisi ritorni di fiamma sullo yen. La conseguente e persistente pressione all'apprezzamento dello yen ha contribuito a contenere i prezzi (attraverso gli effetti di sostituzione delle merci importate) e i salari (attraverso gli effetti negativi del ciclo economico) in Giappone, con un impatto negativo sulle aspettative d'inflazione.

Ciò implica che il Giappone ha trovato un modo per creare denaro "non inflazionistico". Non si può affermare, tuttavia, che l'inflazione relativamente bassa in Giappone abbia contribuito a sostenere i livelli di reddito reale: la crescente eccedenza monetaria è stata accompagnata da una persistente crisi economica e da un livello dei salari reali in calo sin dalla fine degli anni '90. La creazione di denaro "non inflazionistico" non è quindi una panacea per il problema dell'aumento degli obblighi di spesa pubblica finanziati dalla banca centrale.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Riferimenti

Friedman, Milton. 1963. Inflation: Causes and Consequences. Seoul: Asia Publishing House.

McKinnon, Ronald, and Gunther Schnabl. 2006. "China's Exchange Rate and International Adjustment in Wages, Prices and Interest Rates.:Japan Déjà Vu?" CESifo Economic Studies 52, no. 2 (June): 276–303.

Murai, Taiki, and Gunther Schnabl. 2021. "The Japanese Banks in the Lasting Low-, Zero- and Negative-Interest Rate Environment." Credit and Capital Markets 54 (1): 1–16.

McLeay, Michael, Amar Radia, and Ryland Thomas. 2014. "Money Creation in the Modern Economy." Bank of England Quarterly Bulletin 2014 (Q1): 14–27.


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Note

[1] Un boom del mercato azionario tende solo a trasferire il denaro dagli acquirenti di azioni ai venditori. I depositi bancari vengono scambiati con azioni a prezzi più elevati senza creare nuovo denaro.

[2] Il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato dal 63% del PIL nel 1990 al 263% nel 2021.

[3] Lo stock di denaro non aumenta se il settore non bancario acquista titoli di stato perché, in primo luogo, l'aumento dei depositi del governo è compensato dalla diminuzione dei depositi detenuti dal settore non bancario. Sulla creazione di denaro tramite il debito pubblico si veda McLeay et al. (2014).

[4] Il quantitative easing è stato condotto dal 2001 al 2006 e dal 2010 a oggi.

[5] Le aspettative di apprezzamento sono anche in linea con la parità dei tassi d'interesse non coperta, la quale associa un livello dei tassi d'interesse inferiore a quello estero con l'apprezzamento della valuta nazionale rispetto a quella estera.

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mercoledì 4 maggio 2022

Quali sono state le cause di un'inflazione eccezionalmente bassa in Svizzera e Giappone?

 

 

di Gunther Schnabl & Taiki Murai

Di recente molti Paesi industrializzati, come gli Stati Uniti e l'area Euro, hanno registrato un'inflazione elevata ed in ulteriore aumento, mentre in Giappone e Svizzera l'inflazione è rimasta bassa. L'inflazione ha raggiunto il 5,9% nella zona Euro ed il 7,9% negli Stati Uniti a febbraio 2022, invece in Giappone e Svizzera ha fatto registrare rispettivamente l'1,0% ed il 2,2%. Dall'inizio del millennio, l'inflazione media anno/anno è stata dello 0,1% in Giappone e dello 0,4% in Svizzera, rispetto all'1,7% nell'Eurozona ed al 2,2% negli Stati Uniti. Quali sono le cause dei tassi d'inflazione eccezionalmente bassi in queste due nazioni a bassa inflazione? Ci sono tre ragioni.

In primo luogo, poiché i tassi d'interesse statunitensi sono gradualmente diminuiti dall'inizio degli anni '80, il Giappone e la Svizzera hanno mantenuto i loro tassi d'interesse al di sotto di quelli statunitensi. Dal 1980 il rendimento medio dei titoli di stato giapponesi a dieci anni è stato di circa 2,8 punti percentuali inferiore a quello dei titoli di stato statunitensi a dieci anni (cfr. Grafico 1, riquadro di sinistra). La situazione è simile in Svizzera (si veda il Grafico 1, riquadro di destra), ampiamente considerata un porto sicuro per i capitali internazionali. Le politiche monetarie sempre più espansive in entrambi i Paesi prevedevano un'elevata inflazione; tuttavia, non è successo, poiché la drastica espansione dell'offerta di denaro interna è stata solo parzialmente assorbita dall'economia interna.

Grafico 1: Rendimenti dei titoli di stato a dieci anni, Giappone e Svizzera, rispetto agli Stati Uniti

Fonte: Refinitiv

Il basso livello dei tassi d'interesse in Giappone e Svizzera ha frenato gli afflussi di capitali esteri e favorito i deflussi di capitali. Dal 1980 i deflussi netti di capitali dal Giappone sono stati in media del 2,5% annuo rispetto al prodotto interno lordo (PIL), mentre quelli della Svizzera hanno raggiunto l'8,4% del PIL. Rispetto alla Banca del Giappone, la Banca nazionale svizzera ha assunto un ruolo più attivo e diretto nelle esportazioni di capitali resistendo all'apprezzamento del franco attraverso l'acquisto di euro (e la vendita di franchi). Il persistente deflusso di capitali ha smorzato il potere d'acquisto in entrambi i Paesi, riducendo così le pressioni interne sui prezzi. Ciò vale sia per i prezzi delle merci che degli immobili, che in ogni Paese sono aumentati ad un ritmo più lento rispetto agli Stati Uniti.

In secondo luogo, in linea con la cosiddetta open interest rate parity, i bassi tassi d'interesse in Giappone e Svizzera sono stati accompagnati da un apprezzamento dello yen giapponese e del franco svizzero (Latsos e Schnabl, 2018) rispetto al dollaro USA, in media dell'1,4% (yen) e 1,0% (franco svizzero) all'anno sin dal 1980. Le aspettative di apprezzamento per entrambe le valute sono emerse perché i persistenti deflussi netti di capitali hanno gradualmente aumentato gli asset all'estero di Giappone e Svizzera (cfr. Grafico 2, nonché McKinnon e Schnabl, 2006, su Giappone). Alla fine del 2020, gli asset all'estero del Giappone erano di $3.441 miliardi (circa il 68% del PIL) e quelli della Svizzera erano di $867 miliardi (circa il 115% del PIL). Se questi asset venissero rimpatriati, lo yen ed il franco svizzero sarebbero soggetti a forti pressioni verso l'apprezzamento.

Grafico 2: Esportazioni nette di capitali giapponesi e svizzeri ed asset esteri netti

Fonte: Fondo monetario internazionale

In terzo luogo, è emersa una spirale al ribasso salari-prezzo perché la pressione all'apprezzamento ha ridotto la crescita e le pressioni sui prezzi. Le rivalutazioni monetarie hanno abbassato i prezzi delle merci importate e reso costose le merci esportate all'estero. Ciò ha costretto le società orientate al mercato nazionale ed estero, in Giappone e Svizzera, a mantenere i prezzi bassi. Con la necessità di tenere sotto controllo i costi, la crescita salariale è stata tenuta sotto controllo. Il fatto che i livelli salariali in Giappone e Svizzera siano relativamente elevati rispetto agli standard internazionali potrebbe aver facilitato la moderazione salariale rispetto ad altri Paesi.

Tuttavia le politiche salariali e dei prezzi in Giappone e Svizzera rispetto ad altri Paesi hanno deprezzato il tasso di cambio reale, ovvero il tasso di cambio nominale aggiustato alle variazioni relative dei salari (e prezzi). La svalutazione reale dello yen giapponese e del franco svizzero rispetto al dollaro è stata in media dell'1,4% e dello 0,7% all'anno sin dal 1980 in termini di aggiustamento salariale relativo (0,7% e 0,4% all'anno, invece, in termini di aggiustamento dei prezzi relativi), deprimendo le importazioni e favorendo le esportazioni. Il Giappone e la Svizzera hanno quindi più che compensato l'apprezzamento del tasso di cambio nominale con una bassa crescita dei salari e dei prezzi rispetto alle loro controparti estere (cfr. Grafico 3). Ciò ha frenato la domanda interna di prodotti esteri e ha sostenuto la domanda estera di prodotti svizzeri e giapponesi, il che spiega i persistenti avanzi delle partite correnti dei due Paesi (si veda il Grafico 2).

Grafico 3: Tassi di cambio nominali e reali, yen giapponese e franco svizzero rispetto al dollaro

Fonte: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Ministero della salute, del lavoro e del welfare (Giappone), Ufficio federale di statistica (Svizzera), US Bureau of Labor Statistics. Nota: il tasso di cambio reale è aggiustato all'inflazione dei prezzi al consumo. Un aumento (diminuzione) indica un deprezzamento (apprezzamento) dello yen giapponese e del franco svizzero rispetto al dollaro

I bassi tassi d'inflazione significano che il potere d'acquisto dei cittadini giapponesi e svizzeri è aumentato nel tempo rispetto a quello dei cittadini di altri Paesi? La risposta è no. Dopotutto, il tasso d'interesse reale e la crescita dei salari reali in entrambi i Paesi sono stati inferiori rispetto agli Stati Uniti, i quali possono essere considerati il ​​principale destinatario delle esportazioni di capitali giapponesi e svizzeri. Il rendimento reale medio dei titoli di stato decennali dal 1980 è stato del 2,9% sia in Giappone che in Svizzera, rispetto al 5,5% negli Stati Uniti (si veda il Grafico 4, riquadro di sinistra).

Allo stesso modo, l'aumento medio annuo del salario reale dal 1980 è stato dello 0,3% in Giappone e dello 0,6% in Svizzera, rispetto allo 0,9% negli Stati Uniti (si veda il Grafico 4, riquadro di destra). Da questo punto di vista, i cittadini in Giappone e Svizzera non hanno affatto beneficiato di un'inflazione dei prezzi al consumo eccezionalmente bassa. Piuttosto, i consumatori negli Stati Uniti sembrano aver beneficiato di un crescente livello di potere d'acquisto, cosa in parte dovuta agli afflussi di capitali dal Giappone e dalla Svizzera.

Grafico 4: Tassi d'interesse reali e indice dei salari reali negli Stati Uniti, in Giappone e in Svizzera

Fonte: Refinitiv, Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare (Giappone), Ufficio federale di statistica (Svizzera) e Social Security Administration (Stati Uniti)


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 22 febbraio 2022

L'inflazione del Giappone è nascosta dietro i sussidi del sistema bancario centrale

 

 

di Taiki Murai & Gunther Schnabl

Mentre i tassi dell'inflazione negli Stati Uniti e in Europa sono aumentati vertiginosamente nel corso del 2021, l'inflazione dei prezzi al consumo in Giappone si è attestata allo 0,1% ad ottobre 2021 (Grafico 1). Inoltre l'inflazione dei prezzi alla produzione in Giappone dell'8% è rimasta molto indietro rispetto a Stati Uniti ed Europa. Un'inflazione estremamente bassa in Giappone persiste da più di trent'anni, nonostante una politica monetaria estremamente espansiva e un debito pubblico in crescita. Ci sono tre ragioni per il "miracolo dell'inflazione" in Giappone.

In primo luogo, le aziende giapponesi sono state in grado di mantenere bassi i prezzi perché i costi del capitale e del lavoro sono diminuiti in modo significativo dallo scoppio della bolla finanziaria all'inizio degli anni '90. La prolungata politica monetaria accomodante della Banca del Giappone ha abbassato il tasso d'interesse medio sui prestiti alle imprese dal 7,5% nel 1991 allo 0,75% di recente. Le garanzie sui prestiti pubblici hanno ridotto i premi di rischio sui prestiti. A differenza dell'area Euro, le società giapponesi non devono pagare interessi negativi sui loro depositi presso le banche.

Fonte: Eurostat; Ministero degli Affari Interni e delle Comunicazioni del Giappone; Ufficio di Statistiche sul Lavoro; Ufficio britannico di statistica nazionale.

Inoltre la crisi permanente del Giappone ha indebolito il potere contrattuale dei dipendenti. I sindacati erano disposti a scendere a compromessi nelle trattative salariali per prevenire la disoccupazione. La percentuale di lavoratori precari (soprattutto giovani, donne e pensionati), che lavorano senza legami sindacali, è aumentata dal 20% nel 1990 al 37% nel 2020. Dalla crisi finanziaria giapponese del 1998, i livelli salariali del settore privato sono diminuiti di 12%.

In secondo luogo, il governo giapponese ha mantenuto bassi i prezzi di molti beni attraverso la generosa fornitura di sussidi ad un'ampia gamma di industrie. Secondo le stime della Washington International Trade Association, oltre il 40% del reddito degli agricoltori giapponesi proviene dal governo centrale. Gli aiuti generosi ai coltivatori di riso ne hanno contribuito al calo sostanziale dei prezzi. Inoltre vengono sovvenzionati grano, soia, grano saraceno e colza (usati anche come mangimi per animali). Il cibo rappresenta il 26% dell'indice dei prezzi al consumo.

Altri sussidi rilevanti possono essere trovati nel trasporto ferroviario, che svolge un ruolo vitale in un Giappone densamente popolato. I prezzi dei trasporti pubblici sono rimasti stabili per lungo tempo, così come i prezzi per l'istruzione, poiché gli aiuti del governo hanno abbassato le tasse scolastiche e universitarie sin dal 2009. La domanda di automobili è stata ripetutamente stimolata dai sussidi, più di recente per i veicoli elettrici, in modo che i prezzi delle auto rimanessero sostanzialmente costanti sin dal 1990. I contributi statali al sistema sanitario in rapida crescita hanno smorzato l'aumento dei prezzi dell'assistenza sanitaria. I prezzi di acqua ed elettricità, che sono controllati dal governo centrale, sono aumentati solo moderatamente. In risposta al recente forte aumento dei prezzi della benzina, il ministro dell'industria giapponese Koichi Hagiuda ha annunciato sussidi per i grossisti del settore.

Nel complesso, almeno il 50% dell'indice dei prezzi al consumo è controllato dal governo centrale, il che si riflette nella crescita significativa della spesa pubblica per i sussidi (Grafico 2). Secondo le nostre stime, dal 1990 i sussidi sono cresciuti in media di circa il 3,5% all'anno. La crescita è stata particolarmente forte negli anni della crisi. Nel 2020 i sussidi del governo centrale e locale (esclusi i sussidi per il sistema pensionistico e la previdenza sociale) hanno raggiunto il picco a circa ¥78.000 miliardi (circa €600 miliardi), ovvero circa il 15% del prodotto interno lordo.

In terzo luogo, mantenendo i tassi d'interesse a lungo termine ben al di sotto di quelli degli Stati Uniti, la Banca del Giappone ha mantenuto deflussi di capitali persistenti dal Giappone pari ad una media annua di $127 miliardi sin dal 1990. Se questa enorme quantità di capitale fosse rimasta nel Paese e se fosse stata spesa sul mercato interno, l'inflazione sarebbe stata probabilmente molto più alta. Un aumento dei prezzi degli immobili, ad esempio, avrebbe spinto verso l'alto i costi delle case, i quali sono rimasti sostanzialmente costanti sin dalla seconda metà degli anni '90.

Fonte: Ministero delle Finanze giapponese. Le stime escludono i sussidi per il sistema pensionistico, la spesa sociale ed i soccorsi in caso di calamità.

Pertanto il governo centrale è stato in grado di mantenere bassa l'inflazione solo perché la Banca del Giappone ha fornito sostegno acquistando titoli di stato. Poiché le sovvenzioni dirette e indirette finanziate dalla banca centrale hanno contribuito a mantenere l'inflazione al di sotto dell'obiettivo ufficiale del 2%, la Banca del Giappone ha giustificato i propri acquisti di titoli di stato rendendo possibili maggiori sovvenzioni governative. Lo svantaggio è che il debito pubblico del Giappone come quota del prodotto interno lordo è aumentato dal 67% nel 1990 al 266% nel 2020, con la Banca del Giappone che detiene circa la metà dei titoli di stato in circolazione. 

Il modello giapponese di controllo nascosto dell'inflazione attraverso una stretta collaborazione tra governo centrale e banca centrale potrebbe presto essere adottato in Europa, dove alcuni Paesi come Spagna e Francia hanno già lanciato sussidi energetici in risposta all'aumento dei prezzi dell'energia. Tuttavia questa inflazione nascosta non impedisce la perdita di potere d'acquisto, la quale è ampiamente attribuita all'inflazione dei prezzi al consumo.

In Giappone, la perdita di potere d'acquisto si è concretizzata nella diminuzione dei salari nominali, nella mancanza di interessi sui risparmi e nella fuga di capitali. Ulteriori rischi per il declino del benessere economico sono emersi dalla zombificazione delle società giapponesi, come riflesso nel calo dei livelli di produttività a causa della politica monetaria persistentemente espansiva della Banca del Giappone. Pertanto il modello giapponese di controllo nascosto dell'inflazione non sarebbe una saggia politica economica per domare un'elevata inflazione che si può attualmente osservare in Europa e negli Stati Uniti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 11 marzo 2021

Le società zombie ben pasciute del Giappone

 

 

di Gunther Schnabl & Taiki Murai

La crisi sanitaria ha intensificato la discussione sulla zombificazione dell'economia; le imprese sono diventate più dipendenti dai salvataggi statali, dai prestiti, dai sussidi, dalle prestazioni lavorative a breve termine e dai prestiti delle banche centrali. I governi di tutto il mondo affermano che le misure sono solo temporanee, tuttavia l'esperienza del Giappone suggerisce che la dipendenza delle imprese dal sostegno pubblico può continuare in una forma o nell'altra. Le imprese giapponesi hanno a lungo fatto affidamento sullo stato e ancora di più durante la crisi sanitaria, un percorso che gli Stati Uniti e l'Europa sembrano seguire.

Non esiste una definizione formale di imprese zombi. Investopedia definisce un'impresa come zombie se guadagna quel tanto che basta per continuare ad operare e per servire i suoi interessi, ma non è in grado di ripagare l'interesse o di investire. Uno studio dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) considera uno zombi un'impresa che non può coprire i suoi pagamenti degli interessi con profitti per diversi anni (Adalet McGowan et al. 2017). Caballero, Hoshi e Kashyab (2008) prestano attenzione al ruolo delle banche, che estendono i finanziamenti a mutuatari altrimenti insolventi a scapito di imprese redditizie. Questa pratica indulgente di concedere prestiti a mutuatari in difficoltà viene anche chiamata prestito di tolleranza (Sekine et al. 2003).

Visto attraverso l'obiettivo di Adalet McGowan et al. (2017), il numero di imprese zombie diminuisce se le banche centrali abbassano gradualmente i tassi d'interesse. Tuttavia il numero di imprese zombi dovrebbe aumentare quando le banche centrali allentano le condizioni di finanziamento in modo tale da mantenere in vita le imprese con scarsa redditività. Se la politica monetaria espansiva viene perpetuata, gli sforzi delle imprese per aumentare l'efficienza ed innovare diminuiscono (Leibenstein 1966). Le imprese sono "evergreen" (Peek & Rosengreen 2005), mentre i guadagni di produttività aggregati e la crescita reale diminuiscono. L'elevato stock di prestiti (potenzialmente) non performanti spetta alle banche zombie che sopravvivono perché lo stato fornisce garanzie esplicite o, attraverso una politica monetaria persistentemente accomodante, implicite (Schnabl 2015).

La zombificazione in Giappone inizia con lo scoppio della bolla giapponese nel dicembre 1989. Nella seconda metà degli anni '80 la Banca del Giappone (BOJ) aveva alimentato una bolla azionaria e immobiliare attraverso bruschi tagli dei tassi d'interesse. Quando è scoppiata la bolla, i crediti inesigibili si sono accumulati sui bilanci delle banche. La Banca del Giappone ha tagliato i tassi d'interesse portandoli a zero nel tentativo di isolare l'economia dalle devastazioni dei prestiti inesigibili. Questo piano sembrava funzionare, con deflussi di denaro giapponese verso il sud-est asiatico; tuttavia il piano è fallito con la crisi finanziaria asiatica del 1997/98, che ha innescato la crisi finanziaria giapponese nel 1998. Lo stock di crediti inesigibili (potenziali) è ulteriormente cresciuto.

Giappone: rapporto tra patrimonio netto e attivi in base alle dimensioni dell'impresa. Fonte: Ministero delle finanze, Giappone. Il rapporto tra patrimonio netto e attivi è definito come il patrimonio netto diviso per il totale degli attivi.

Il crescente accomodamento proveniva dai politici. I membri eletti di tutte le regioni del Paese temevano la rabbia dei loro elettori in caso di bancarotte. Poiché la politica monetaria persistentemente espansiva ha continuato a ridurre i proventi netti da interessi delle banche, quelle tra loro in difficoltà sono state ulteriormente destabilizzate (Schnabl 2020). Le banche giapponesi hanno esitato a prezzare sufficientemente i rischi di insolvenza ed a chiudere le linee di credito delle società deboli, perché il rischio di ulteriori prestiti in sofferenza sembrava troppo alto.

Le politiche di prestito bancario indulgente sono state sostenute dal governo, che ha ammorbidito i requisiti di prestito aziendale attraverso numerosi atti legislativi. Molte piccole e medie imprese hanno ricevuto garanzie sui prestiti pubblici nel corso delle crisi del 1998 e del 2008. La legge sull'agevolazione del finanziamento delle piccole e medie imprese del 2009, ad esempio, ha fornito alle banche l'incentivo a concedere linee di credito molto generose alle piccole e medie imprese. Le aziende dovevano solo presentare un business plan che promettesse un miglioramento delle loro situazioni. Molti prestiti che erano effettivamente in sofferenza sono stati riclassificati come prestiti sani. Nel 2012 ulteriori misure, come i differimenti, hanno garantito che l'onere creditizio delle piccole e medie imprese a rischio di insolvenza fosse mantenuto sopportabile.

Il risultato è che è stata frenata la ristrutturazione delle imprese. La crescita economica è stata paralizzata, le aspettative delle imprese sono rimaste negative e le vendite interne hanno ristagnato. Tuttavia i profitti aziendali tendevano a rimanere stabili, perché la Banca del Giappone ha ridotto le spese per interessi delle imprese e la crisi senza fine ha portato a richieste salariali contenute. L'aumento salariale medio delle grandi imprese attraverso i cosiddetti negoziati salariali Shuntô è rimasto bloccato a quasi il 2% dopo il 1998, rispetto al 9% in media dal 1956 al 1997. Il livello dei salari reali è diminuito sin dal 1998 (Latsos 2019).

Nonostante gli utili societari stabili, le società giapponesi non hanno investito. Inattive sulla liquidità, hanno ripagato i prestiti e aumentato il capitale proprio (si veda il grafico). Il settore societario è passato da mutuatario netto a risparmiatore netto. Le piccole e medie imprese trattengono gli utili non distribuiti principalmente sotto forma di depositi bancari. Le grandi imprese investono nell'espansione internazionale delle loro attività, in particolare sotto forma di fusioni e acquisizioni (M&A) e nella costituzione di filiali estere. Il rapporto tra patrimonio netto e attivi delle imprese giapponesi è aumentato, perché i profitti aziendali non sono riusciti a ricircolare nell'economia reale giapponese.

I rapporti patrimoniali sempre crescenti delle società giapponesi possono quindi essere visti come il risultato di sovvenzioni da parte dello stato, della Banca del Giappone, delle banche commerciali e delle famiglie (dipendenti). Molte aziende sono in difficoltà economiche a causa della stagnazione senza fine, ma sopravvivono grazie ad un aiuto globale. Il settore aziendale nel suo complesso è zombificato, nonostante un elevato rapporto di equity, perché non investe in aggiustamenti del mercato e fa affidamento sugli aiuti statali e sulle richieste salariali contenute da parte dei lavoratori. Poiché il calo dei livelli salariali sin dal 1998 deprime la domanda di consumo, sarebbe irrazionale investire in capacità maggiori. La sopravvivenza delle imprese non dipende più dalla loro efficienza, ma dal contesto di bassi tassi d'interesse creato dalla Banca del Giappone: le imprese hanno bisogno di generare profitti appena sufficienti per sopravvivere e per una graduale riduzione delle passività, cosa che si traduce in un graduale aumento dell'equity ratio, un corollario della zombificazione.

È quindi la Banca del Giappone che può aprire la via d' uscita dall'economia degli zombi. Se la Banca del Giappone aumentasse lentamente il tasso d'interesse chiave, il governo riconsidererebbe una legislazione indulgente e costosa e le imprese senza un modello di business dovrebbero uscire dal mercato. Per rimanere sul mercato, dovrebbero investire in miglioramenti in termini di efficienza e innovazione. Gli indici azionari eccezionalmente elevati calerebbero. I conseguenti guadagni di produttività consentirebbero aumenti salariali, i quali rafforzerebbero la domanda e la crescita dei consumatori. Gli investimenti tornerebbero ad essere attraenti e gli zombi cambierebbero in esseri viventi. L'economia giapponese, un tempo orgogliosa, potrebbe risorgere come una fenice dalle sue ceneri.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 24 novembre 2020

La politica monetaria ultra allentata del Giappone ha indebolito risparmi e prosperità

 

 

di Gunter Schnabl & Taiki Murai

L'incertezza della crisi sanitaria ha fatto aumentare i risparmi delle famiglie in molti Paesi. La chiusura di negozi, ristoranti e frontiere ha impedito alle persone di spendere; inoltre il sostegno statale a chi licenziato, a coloro necessitanti credito e la concessione di bonus esentasse ha stabilizzatoto i redditi. Anche in Giappone, dove la maggior parte dei negozi e dei ristoranti è rimasta aperta, la generosa elargizione di circa $950 a tutti i residenti ha aumentato i risparmi. Tuttavia è improbabile che ciò inverta la tendenza ribassista a lungo termine del risparmio delle famiglie.

Grafico 1: Tassi d'interesse e tasso di risparmio netto delle famiglie

Fonte: IMF e Thomson Reuters. Risparmio netto come quota del reddito disponibile.

I risparmi delle famiglie giapponesi sono diminuiti drasticamente dagli anni '90. Nel 1991 le famiglie avevano risparmi per ¥46.900 miliardi (circa $451 miliardi). Il tasso di risparmio superava il 15% come quota del reddito disponibile. Nel 2019 i risparmi sono diminuiti di quasi il 70%, a ¥14.400 miliardi (circa $138 miliardi), il che corrisponde ad un tasso di risparmio vicino al 5% (Grafico 1). Nel 2014 il tasso di risparmio era persino diventato negativo, poiché la spesa al consumo era salita prima che entrasse in vigore l'aumento della tassa ad essa associata. Da allora questa tendenza è stata invertita dall'impatto temporaneamente positivo dell'Abenomics sul ciclo economico e sul reddito aggregato, ma tale tendenza si è bruscamente interrotta con lo shock sanitario.

Il risparmio delle famiglie giapponesi ha origine dall'Accordo del Plaza nel settembre 1985. I cinque maggiori Paesi industrializzati decisero per un forte apprezzamento dello yen, cosa che fece precipitare il Giappone in un profondo "endaka fukyo ", ovvero una recessione indotta dagli yen rivalutati. La forte riduzione dei tassi d'interesse da parte della Bank of Japan mitigò la recessione, ma provocò anche una bolla azionaria e immobiliare. Con lo scoppio della bolla nel dicembre 1989, il Giappone cadde in una stagnazione duratura. La Banca del Giappone ha sin da allora inondato l'economia di credito facile abbassando il tasso di interesse ufficiale da oltre l'8% nel 1990 a zero nel 1999, e lì è rimasto (Grafico 1). Il bilancio della Banca del Giappone è passato dal 10% in rapporto al PIL nel 1990 a quasi il 140% oggi (Grafico 2).

Grafico 2: Stato patrimoniale della Banca del Giappone in rapporto al PIL

Fonte: FMI, Banca del Giappone. Stima 2020.

L'ondata senza precedenti di credito facile non ha prodotto la ripresa desiderata (Murai e Schnabl, 2019). Le entrate fiscali sono diminuite, mentre la società che invecchia rapidamente ha causato un aumento sostanziale dei sussidi statali al sistema pensionistico e sanitario (Murai e Schnabl, 2020). Il grande divario nella finanza pubblica poteva essere colmato solo dall'indebitamento pubblico, cosa che ha fatto salire il debito nazionale dal 67% del PIL nel 1990 a quasi il 250% oggi. L'unico modo per prevenire una crisi del debito sovrano è stato che la Banca del Giappone acquistasse grandi quantità di titoli di stato. Nessuna banca centrale nel mondo industrializzato è intervenuta così tanto nel mercato dei titoli di stato quanto la Banca del Giappone sin dal 2013 con la politica dell'ex-primo ministro Shinzo Abe (da cui il termine "Abenomics").

La persistente crisi e l'espansione monetaria in Giappone hanno causato un'inversione di tendenza nella sua cultura del risparmio. Durante la fase di forte crescita dell'economia giapponese dopo la seconda guerra mondiale, le famiglie giapponesi avevano accumulato grandi risparmi. La crescita sostanziale dei risparmi delle famiglie era dovuta all'aumento dei salari (compresi i pagamenti di bonus elevati), ad una classe media in crescita e agli incentivi fiscali per il risparmio (maruyû). Altrettanto importanti per il risparmio erano la ricchezza relativamente piccola delle famiglie giapponesi, il rudimentale sistema di previdenza sociale e la rigida regolamentazione del credito al consumo e dei mutui ipotecari.

L'avversione al risparmio in Giappone è iniziata nel 1990. Gli economisti spesso danno come spiegazione l'ipotesi del "ciclo di vita dei risparmi": le persone risparmiano quando sono impiegate e non risparmiano più quando vanno in pensione. Poiché sempre più persone, in un Giappone in rapido invecchiamento, hanno più di sessantaquattro anni, l'ipotesi implica un calo dei risparmi. Il Family Income and Expenditure Survey afferma che sin dagli anni '90 gli ultra sessantaquattrenni giapponesi hanno ridotto in modo significativo i loro risparmi. Tuttavia il tasso di risparmio degli anziani è ancora positivo e il risparmio è superiore a quello della generazione lavoratrice. Alcuni si aspettavano anche che la situazione economica sempre più incerta avrebbe aumentato il risparmio precauzionale, ma i tre decenni persi dal 1990 dicono che non è stato così.

Inoltre ci sono tre ragioni per le quali la politica monetaria persistentemente accomodante della Banca del Giappone è strettamente collegata al calo del tasso di risparmio del Giappone. In primo luogo, l'incentivo ad accumulare risparmi si è indebolito da quando l'abbassamento dei tassi d'interesse da parte della Banca del Giappone ha ridotto gli interessi sui depositi bancari. Inoltre la Banca del Giappone ha reso difficile accumulare asset come azioni ed immobili, dato che ha mantenuto alti i loro prezzi o li ha rilanciati con l'Abenomics. Entrambi questi fattori hanno contribuito ad un aumento della propensione al consumo (quindi diminuzione della propensione al risparmio).

In secondo luogo, la Banca del Giappone ha reso le condizioni di finanziamento sempre più favorevoli. Il finanziamento a buon mercato ha reso un numero crescente di imprese giapponesi dipendenti da bassi tassi d'interesse e prestiti a buon mercato. Il credito facile ha ridotto quasi a zero i guadagni di produttività, un tempo elevati invece. L'aumento della produttività è il prerequisito per la crescita dei salari reali. Con una produttività in calo, i salari reali del Giappone sono finiti sotto pressione, tendendo al ribasso sin dal 1998. I pagamenti di bonus una volta elevati sono scesi a livelli modesti. Gli effetti distributivi negativi della politica monetaria lavorano a favore dei ricchi ed a scapito della classe media, cosa che ha ristretto lo spazio per il risparmio per molti giapponesi.

In terzo luogo, il governo giapponese ha ampliato il sistema della previdenza sociale, cosa che ha ridotto in modo significativo l'incentivo al risparmio per la pensione. Il governo giapponese potrebbe aumentare ulteriormente le prestazioni pensionistiche e sanitarie, perché la Banca del Giappone ha finanziato indirettamente i sussidi pubblici in continua crescita. Si noti che la maggior parte delle imprese giapponesi non poteva aspettarsi un aumento della domanda, perché a causa del duraturo esperimento con tassi d'interesse bassi, i redditi dei giapponesi sono diminuiti. Pertanto hanno esitato ad espandere le capacità mediante investimenti. Il risultato è che, insieme al tasso di risparmio delle famiglie, il tasso di risparmio delle imprese è aumentato, mentre gli investimenti in percentuale del PIL hanno continuato a diminuire.

L'esperienza giapponese offre lezioni preziose per gli Stati Uniti e l'Europa. Una politica monetaria accomodante può stabilizzare una recessione a breve termine; tuttavia un diluvio persistente di denaro a buon mercato paralizza la produttività e la crescita economica. Se in una crisi, dove tassi d'interesse e salari sono in calo, i redditi di fasce crescenti della popolazione finiscono sotto pressione, il risparmio delle famiglie difficilmente potrà crescere. Se il sistema della previdenza sociale è finanziato da una combinazione di indebitamento pubblico e acquisti di titoli di stato da parte della banca centrale, la propensione al risparmio delle famiglie diminuirà ulteriormente.

Dopo tutto, risparmio e investimento rimangono collegati. Se entrambi diminuiscono, la ricchezza di una nazione è in pericolo. Risparmi più elevati e quindi investimenti più elevati sono le chiavi per mantenere la prosperità economica in Giappone, negli Stati Uniti e in Europa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 20 ottobre 2020

Il Giappone ha abbracciato il debito per rimediare alla sua crisi di bilancio, peccato non stia funzionando

L'articolo di oggi potrebbe sembrare semplicemente un'analisi asettica della situazione giapponese, una mera descrizione di come vanno le cose e solo marginalmente utile a lettori stranieri. Invece è un potente messaggio per tutti coloro che ancora credono alle frottole della MMT. Per i feticisti dell'empirismo, e purtroppo ce ne sono tanti a causa della scuola pubblica, la logica è un optional e a causa di ciò continuano ad essere trattati come imbecilli. A ragion veduta, aggiungerei. Infatti questa è la pistola fumante di come le tesi di maggiore debito e foglietti di carta colorata non portano a nessuna crescita economica. Ma gli MMTer sono come le anguille, tendono a sgusciare e a cavillare per portare giustificazioni al loro mulino. Ciononostante la realtà è un macigno che ingigantisce sempre di più il suo volume, schiacciando infine tutte le sciocchezze pronunciate da questa mandria di sciroccati economici. È un monito anche per l'Italia che sta percorrendo la stessa strada del Giappone: aumento del debito, della burocrazia fiscale e delle tasse.

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di Taiki Murai & Gunther Schnabl

Le improvvise dimissioni del primo ministro giapponese, Shinzo Abe, hanno portato alle inevitabili valutazioni della sua cosiddetta Abenomics. Molti hanno elogiato l'aggressiva politica monetaria di Abe, perché la lunga lista della spesa della Banca del Giappone (titoli di stato, obbligazioni societarie, ETF e fondi di investimento immobiliare) ha gonfiato i prezzi delle azioni e degli immobili (Shirai; Financial Times, 2020). Le preoccupazioni rimangono sul lato fiscale, poiché gli aumenti delle tasse sui consumi approvati da Abe, dal 5% all'8% nel 2014 e al 10% nel 2019, sono ampiamente visti come un fallimento (The Economist, 2020). Infatti Abe ha risolto solo a livello superficiale i profondi problemi fiscali del Giappone.

Grafico 1: Entrate fiscali del governo centrale del Giappone

Figura 1: Entrate fiscali del governo centrale del Giappone

Fonte: Ministero delle finanze, Giappone.

Il nocciolo del problema è il denaro a buon mercato emesso dalla Banca del Giappone, che aveva causato una bolla azionaria e immobiliare nella seconda metà degli anni '80. Mentre la bolla aveva gonfiato le entrate fiscali, il suo scoppio è stato seguito da un crollo economico senza precedenti durante il quale le entrate fiscali delle società e delle famiglie sono crollate da ¥43.000 miliardi (circa $390 miliardi) nel 1990 a ¥23.000 miliardi (circa $185 miliardi) nel 2012 (Grafico 1), quando Abe è entrato in carica.

Grafico 2: Spesa per la previdenza sociale ed imposta di allocazione locale come quota delle entrate fiscali

Fonte: Ministero delle finanze, Giappone. Governo centrale.

Allo stesso tempo l'invecchiamento della popolazione giapponese ha aumentato i contributi del governo al sistema pensionistico pubblico e all'assicurazione sanitaria, da ¥12.000 miliardi (circa $110 miliardi) nel 1990 a ¥36.000 miliardi (circa $327 miliardi) nel 2019. Inoltre i cosiddetti contributi fiscali di allocazione locale da circa ¥16.000 miliardi all'anno (circa $145 miliardi) alla periferia giapponese, economicamente in difficoltà, hanno continuato a costituire un pesante fardello per il governo centrale. Sulla scia della crisi finanziaria globale, entrambi sono aumentati ben oltre il gettito fiscale dei governi centrali (Grafico 2).

Le persistenti lacune finanziarie non possono essere colmate a causa di vincoli politici ed economici. Si pensava che il taglio dei benefici sociali e le sovvenzioni fiscali sull'allocazione locale fossero un harakiri politico perché la popolazione maggiorenne è concentrata nella periferia giapponese, dove si trova la base del potere del Partito Liberal Democratico al governo. Nella crisi senza fine, il governo non poteva imporre maggiori oneri fiscali né alle aziende né ai dipendenti.

Pertanto l'unico modo per aumentare le entrate è stato quello di aumentare l'imposta sui consumi, che era solo del 3% nel 1990 quando iniziò la crisi. Ma anche questo approccio è stato complicato, perché agli elettori giapponesi non piacciono le tasse e gli aumenti delle tasse sono stati visti come una minaccia per la ripresa economica. Pertanto l'unica soluzione politicamente fattibile è stata l'aumento del debito, con il debito delle amministrazioni pubbliche giapponesi che è passato dal 67% del PIL nel 1990 al 240% nel 2019 (Grafico 3). La Banca del Giappone ha impedito una crisi del debito pubblico acquistando enormi quantità di titoli di stato. Questo ha gradualmente ridotto il tasso d'interesse a lungo termine a zero (Grafico 3), mantenendo sotto controllo i pagamenti dei tassi d'interesse pubblici.

Grafico 3: Giappone: tasso d'interesse a lungo termine e debito lordo delle amministrazioni pubbliche

Fonte: Ministero delle finanze, Giappone.

Sebbene l'inflazione dei prezzi al consumo non sia aumentata nonostante l'enorme espansione monetaria, il grande appetito della Banca del Giappone per i titoli di stato non è stato un pasto gratis. I costi della politica monetaria ultra-espansiva a lungo termine sono emersi sotto forma di crescita economica paralizzata, poiché i tassi d'interesse costantemente bassi hanno zombificato gran parte dell'economia giapponese, in particolare nelle aree remote del Giappone. Poiché la crescita della produttività ha registrato una tendenza al ribasso, i salari reali sono calati sin dal 1998 (Murai e Schnabl, 2019). Le fosche prospettive economiche di gran parte delle giovani generazioni le inducono ad astenersi dall'avere più figli. Poiché molti giovani si spostano dalla periferia alle aree metropolitane per trovare lavoro, la periferia invecchia più rapidamente. Molte piccole e medie imprese vanno in bancarotta perché mancano i clienti.

In questo circolo vizioso, gli aumenti delle tasse sui consumi sono stati semplicemente un riempimento incompleto delle entrate fiscali perse a causa della stagnazione auto-imposta. Allo stesso tempo, l'enorme eccesso delle spese per la previdenza sociale è stato semplicemente monetizzato dalla Banca del Giappone a scapito del benessere generale e delle prospettive economiche dei giovani giapponesi. La recente crisi sanitaria rischia di invertire la ripresa del gettito fiscale, avvenuta nel corso dell'Abenomics. Pertanto il successore di Abe, Yoshihide Suga, dovrà escogitare nuove idee se intende rianimare l'economia giapponese.

 

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 25 luglio 2019

Il perdurare della stagnazione giapponese è nascosta dalle statistiche ufficiali





di Taiki Murai & Gunter Schnabl


Il recente riavvicinamento della Banca Centrale Europea verso politiche monetarie ultra-espansive ha riacceso il dibattito sulla potenziale "giapponificazione" dell'Europa. Lo scenario giapponese è cupo: dopo lo scoppio della bolla azionaria nei primi anni '90, la crescita è stata stagnante, i livelli salariali sono diminuiti e un numero crescente di persone è stato costretto a lavorare in condizioni precarie. La cosiddetta Abenomics, un immenso programma di spesa keynesiano finanziato dalla banca centrale, non è riuscito a far ripartire l'economia malata. Invece le statistiche sono interpretate e progettate in modo fantasioso.

Fig. 1: PIL pro-capite basato sulla popolazione in età lavorativa e impiegata

Paul Krugman (2014) ha sostenuto che l'avanzamento del PIL reale pro-capite in Giappone dall'inizio degli anni '90 non differisce da quello degli Stati Uniti e dell'area Euro. È arrivato a questa conclusione usando la popolazione in età lavorativa come denominatore per il calcolo del PIL pro-capite. In Giappone, a causa dei bassi tassi di natalità e della bassa immigrazione, il numero di persone tra i 15 ed i 64 anni è stato in rapido calo. Pertanto il PIL reale per popolazione in età lavorativa (cioè tra 15 e 64 anni) è aumentato in modo significativo (Figura 1). Molti commentatori ora seguono questo metodo di calcolo, mettendo così in buona luce la politica economica giapponese. Tuttavia i tre decenni perduti del Giappone hanno costretto, in particolare le donne ed i pensionati, ad entrare o rimanere nel mercato del lavoro per mantenere il proprio tenore di vita e quello delle loro famiglie. Il risultato è che il PIL per persona occupata ha ristagnato sin dal 1990 (Figura 1), indicando una bassa crescita della produttività. E come ben sappiamo, gli aumenti della produttività sono il prerequisito per aumenti dei salari reali.

Fig. 2: Livello del salario reale e numero di occupati in Giappone

Più di recente ha imperversato un dibattito sull'andamento del salario reale giapponese. La questione ha attirato l'attenzione a livello nazionale, perché il livello dei salari reali è in calo rispetto alla crisi finanziaria giapponese del 1998 (Figura 2). Nel 2004 il Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare aveva rimosso i due terzi delle grandi imprese a Tokyo dalle statistiche del mercato del lavoro. Poiché il livello dei salari è più alto a Tokyo rispetto ad altre parti del Paese, le statistiche connesse a questo parametro sono diminuite sostanzialmente. Come effetto collaterale positivo, il governo giapponese ha risparmiato le spese per la previdenza sociale, pagate a coloro che hanno un reddito personale significativamente inferiore al salario medio.

Questa distorsione statistica, in conflitto con le disposizioni legali del Giappone per le statistiche, è stata corretta segretamente nel 2018. Ciò ha causato un aumento sostanziale dello 0,6% del livello dei salari reali. Il primo ministro Shinzo Abe ha elogiato gli aumenti dei salari reali come prova del successo della sua Abenomics (2018). In tutto il mondo è stata acclamata un'impressionante ripresa dell'economia giapponese (si veda, ad esempio, Reuters 2018). Ma quando un membro dello staff del Ministero ha rivelato per caso le ragioni, l'opposizione giapponese ha lanciato un dibattito controverso sulla credibilità delle statistiche giapponesi. Infine il Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare ha corretto al ribasso l'aumento dei salari reali per il 2018, allo 0,2%, mentre l'opposizione segnalava che i salari reali fossero ancora in calo del -0,5%.

Per contenere il danno alla reputazione del governo giapponese, il primo ministro Abe ha annunciato che sarebbero stati versati i benefici sociali non retribuiti (circa mezzo miliardo di dollari). Tuttavia la reputazione degli uffici statistici giapponesi e dell'amministrazione ministeriale, precedentemente molto rispettata, ne ha sofferto. Fumio Hayashi, presidente dell'associazione economica giapponese (2019), ha espresso in una lettera aperta al governo la preoccupazione sulla credibilità del Paese, definendola compromessa.

Se questo aiuterà, nessuno lo può sapere. Il design creativo delle statistiche non può risolvere la crisi persistente. Il nocciolo del problema sta in una politica economica fuorviata che zombizza l'economia giapponese e indebolisce la prosperità. Servirebbero solide finanze pubbliche e una politica monetaria orientata alla stabilità, in modo da rafforzare le dinamiche di crescita del Giappone. Solo così il Paese potrebbe diventare un modello di comportamento positivo per gli stati membri dell'Unione Monetaria Europea e la Banca Centrale Europea.


Riferimenti:

Japanese Economic Association (2019): 「毎月勤労統計」をめぐる問題に関する日本経済学会理事会からの声明 [A Statement from the Board of Directors of the Japan Economic Association on the Issue of "Monthly Labor Statistics”], 29 gennaio 2019.

Krugman, Paul (2014): Notes on Japan, New York Times, 28 ottobre 2014.

Prime Minister of Japan and His Cabinet (2019): 経済3団体共催2019年新年祝賀パーティー [2019 New Year Party Jointly Hosted by the Three Economic Associations], 1 gennaio 2019.

Reuters (2018): Japan Wage Growth Hits 21-year High, Signals Pickup in Household Spending, 7 agosto 2018.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/