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giovedì 30 settembre 2021

Cosa non è l'individualismo

 

 

di Frank Chodorov

Adesso sull’etichetta della bottiglia c’è scritto “libertarismo”. Il contenuto, però, è qualcosa che conosciamo molto bene: risponde a ciò che nel XIX secolo, e fino all’epoca di Franklin Roosevelt, era chiamato liberalismo — la difesa di limiti rigorosi al governo e della libera economia. (Se ci pensate, noterete ridondanza in questa formula, in quanto un governo con poteri limitati avrebbe poche possibilità d’interferire nell’economia.) I liberali furono derubati del loro nome tradizionale da socialisti e quasi socialisti, la cui avidità per i termini prestigiosi non conosce limiti. Quindi, forzati a cercare una diversa etichetta distintiva per la loro filosofia, adottarono il termine libertarismo — non male, sebbene in qualche modo ostico alla lingua.

Avrebbero forse potuto far meglio adottando il più antico ed eloquente nome d’individualismo, ma lo scartarono perché anch’esso era stato più che infangato dagli oppositori…

Il getto di fango era cominciato molto tempo fa, ma l’orgia più recente e conosciuta avvenne nella prima parte del secolo, quando i fanatici dello stato messianico affibbiarono all’individualismo un aggettivo impregnato di giudizio — estremo. Il termine in sé non ha contenuto morale; riferito ad una montagna è puramente descrittivo, riferito ad un atleta ha una connotazione positiva. Nello stile letterario di quei fanatici, però, denotava quello che in linguaggio comune rappresenterebbe un comportamento losco. Questa connotazione non ha nulla a che fare con la filosofia più di quanto abbia ogni forma di comportamento indecente. Quindi, “l’individualista estremo” era il tipo che minacciava il pignoramento della vecchia proprietà di famiglia se la fanciulla graziosa rifiutava la sua mano; oppure era lo speculatore che usava il mercato borsistico per derubare “vedove e orfani”; o, ancora, era il pirata grasso e florido che copriva di diamanti la sua amante. Era, in breve, un tipo la cui coscienza non metteva ostacoli alla sua inclinazione ad afferrare ogni dollaro, che non riconosceva alcun codice etico che potesse tenere a freno i suoi appetiti. Se c’è qualche differenza tra un ladro ordinario e un “individualista estremo”, è il fatto che il secondo quasi sempre si mantiene entro i limiti della legge, anche se deve riscrivere la legge per farlo…

“L’individualismo estremo” fu una mera espressione propagandistica: utilissima nel portare il fervore legato al motto “spenniamo i ricchi” al punto di ebollizione.

L’espressione si diffuse in un’epoca in cui la mania di livellamento stava costruendo la sua strada nella tradizione americana, prima che il governo, usando appieno il nuovo potere acquisito con la legge della imposta sul reddito, afferrasse l’individuo per la gola e ne facesse un uomo di massa. È un fatto bizzarro che i socialisti siano ben in accordo con gli “individualisti estremi” nel promuovere l’uso della forza politica per ottenere il proprio “bene”; la differenza tra loro sta solo nel determinare le occorrenze, o gli assegnatari, del “bene” fornito dallo stato. È dubbio che i “baroni” (un sinonimo di individualista estremo) abbiano mai usato lo stato, prima della imposta sul reddito, con qualcosa che si avvicinasse al successo dei socialisti. Comunque sia, lo stigma “dell’estremismo” attecchì, cosicché gli “intellettuali” collettivisti, che non dovrebbero essere così ingenui, ignorano la differenza tra furto e individualismo.


Le parole diffamatorie originali

La denigrazione dell’individualismo, inoltre, aveva avuto una buona partenza prima dell’era moderna. I diffamatori originali non erano socialisti ma solidi difensori dello status quo, i paladini dei privilegi speciali, i mercantilisti del XIX secolo. La loro contrarietà scaturiva in parte dal fatto che l’individualismo pendeva pesantemente verso la fiorente dottrina del libero mercato, dell’economia del laissez-faire, e per questo poneva una minaccia alla loro posizione prediletta. Allora cercarono nell’antico sacco della semantica al fine di ricavarne due aggettivi infanganti: egoista e materialista; proprio come i socialisti più tardi, non avevano rimorsi nel distorcere la verità per adattarla alle loro tesi.

La teoria del laissez-faire – in breve, un’economia libera dagli interventi e dalle sovvenzioni politiche — sostiene che l’istinto dell’interesse personale è il fattore motivante dello sforzo produttivo. Niente è prodotto se non dal lavoro umano, e il lavoro stesso rappresenta qualcosa a cui l’essere umano concede molta parsimonia: se potesse soddisfare i suoi desideri senza sforzo, eviterebbe quest’ultimo molto volentieri. Questo è il motivo per cui inventa dispositivi che fanno risparmiare lavoro. Tuttavia, egli è „congegnato“ in maniera tale per cui ogni gratificazione dà origine a nuovi desideri, ch’egli procede a soddisfare investendo il lavoro risparmiato. È insaziabile. La capanna fatta di tronchi, abitazione sufficiente nella terra selvaggia, sembra decisamente inadeguata non appena il pioniere accumula un’eccedenza di beni di prima necessità; allora comincia a sognare di tende e quadri, acqua corrente, una scuola o una chiesa, per non dire del baseball o di Beethoven. L’interesse personale prevale sull’avversione al lavoro: il costante impulso a migliorare le proprie circostanze e allargare i propri orizzonti…

È nel libero mercato che l’interesse personale trova la sua migliore espressione; questo è un punto cardine dell’individualismo. Se il mercato viene regolarmente saccheggiato, da ladri o dal governo, e la sicurezza della proprietà viene compromessa, l’individuo perde interesse nella produzione, per cui si riduce l’abbondanza delle cose create. Ne consegue che per il bene della società, l’interesse personale nella sfera economica deve procedere libero e senza impedimenti.

Invero, l’interesse personale non coincide con l‘egoismo. L’interesse personale stimolerà il produttore a migliorare i suoi prodotti in modo da favorire il commercio, mentre l’egoismo lo indurrà a cercare i privilegi speciali e il favore dello stato, finendo per distruggere proprio il sistema di libertà economica dal quale egli dipende. Il lavoratore che cerca di migliorare il suo destino attraverso un perfezionamento delle sue capacità, difficilmente può essere chiamato egoista; questo termine si addice piuttosto al lavoratore che pretende di essere pagato per non lavorare. Il cercatore di sussidi è egoista, così come lo è qualsiasi cittadino che usa la legge per arricchirsi a spese degli altri cittadini.


Il libero mercato

Vi è poi l’accusa di “materialismo”. Il laissez-faire, naturalmente, ha dalla sua l’argomento dell’abbondanza; se la gente vuole molte cose, il modo di ottenerle passa attraverso la libertà di produzione e di scambio;  da questo punto di vista, potrebbe essere definito “materialistico”. Però l’economista a favore del laissez-faire, in quanto economista, non discute né giudica i desideri degli uomini; non ha alcuna opinione su quali dovrebbero essere le loro aspirazioni. Che preferiscano la cultura ai gadget, o che attribuiscano maggior valore all’ostentazione rispetto alle cose spirituali, non è oggetto del loro studio; il libero mercato è meccanicistico e amorale. Se la preferenza di qualcuno è per il tempo libero, per esempio, è attraverso l’abbondanza che il suo desiderio può essere soddisfatto al meglio; infatti l’abbondanza delle cose le rende più economiche, più facili da ottenere, quindi diventa possibile concedersi d’indulgere in vacanze. Un concerto è probabilmente meglio apprezzato da un esteta ben nutrito che da uno affamato. Comunque sia, l’economista rifiuta di giudicare le predilezioni degli uomini; qualsiasi cosa vogliano, ne otterranno di più da un libero mercato che da un mercato che funziona sotto il comando di poliziotti.

Tuttavia, i critici del XIX secolo ignoravano allegramente questo punto; persino i socialisti moderni lo ignorano, insistendo nel collegare contenuto morale alla libera economia…

In realtà — mentre il libero mercato in se stesso è un meccanismo neutro rispetto ai valori espressi dai desideri degli uomini — la teoria del libero mercato si basa sulla tacita accettazione di un concetto puramente spirituale, e cioè: l’uomo è dotato della capacità di fare scelte, per libera volontà. Se non fosse per questo tratto puramente umano, non ci sarebbero mercati, la vita umana sarebbe analoga a quella degli uccelli e delle bestie. L’economista promuovente il laissez-faire cerca di soprassedere questo punto filosofico e teologico; nondimeno, se pressato a sufficienza, deve ammettere che la sua tesi è basata sull’assioma della libera volontà, nonostante egli possa chiamarlo in un altro modo. Tale assioma non è materialistico; ogni discussione al riguardo conduce ineluttabilmente a dover considerare l’anima.

Per contrasto, sono i socialisti (di qualsiasi sottospecie) che devono iniziare la loro tesi con il rifiuto dell’idea di libera volontà. La loro teoria richiede di descrivere l’individuo come puramente materialistico. Ciò che viene chiamata libera volontà, secondo loro, è un gruppo di riflessi derivanti dal condizionamento ambientale…


“Edonismo”

Tornando alla diffamazione dell’individualismo, un’altra parola carica di giudizio morale scagliata contro di esso, in passato e ancora adesso, è edonismo. Questa etichetta deriva dal fatto che un certo numero di individualisti auto-definitesi tali, discepoli di Adam Smith, si associarono ad un credo etico noto come utilitarismo: i più famosi furono Jeremy Bentham, James Mill e John Stuart Mill. Il principio base di questo credo postula che per costituzione l’uomo sia spinto ad evitare il dolore e ricercare il piacere. Quindi, nella natura delle cose, l’unica condotta moralmente buona è quella che favorisce questa ricerca. Sorge però un problema di definizione, dal momento che quel che può essere piacere per un filosofo può essere dolore per l’imbecille. Bentham, fondatore della scuola, interessato più alla legislazione che alla filosofia, risolvette il problema redigendo un calcolo grossolano del piacere; poi enunciò un principio legislativo basato su di esso: è moralmente buono ciò che produce il maggiore bene per il maggior numero di persone.

Provenendo da un oppositore dichiarato dei privilegi e da un sostenitore dei limiti al potere del governo, questa dottrina di “fare del bene” è una strana anomalia. Se la misura morale della legislazione è il maggior bene per il maggior numero, ne consegue che il bene della minoranza, ancor più una minoranza di una sola persona, è immorale. Questo proprio non si accorda con il principio di base dell’individualismo per il quale l’uomo è dotato di diritti con i quali la maggioranza non può interferire…


I punti cardine dell’individualismo

Metafisicamente, l’individualismo sostiene che la persona è unica, non è un campione della massa, dovendo la sua peculiare composizione e la sua lealtà al Creatore, non al suo ambiente. A ragione dell’origine della sua esistenza, egli è dotato di diritti inalienabili, che è dovere di tutti gli altri rispettare, come è suo dovere rispettare i loro; questi diritti sono la vita, la libertà e la proprietà. In accordo a tale premessa, la società non ha alcun permesso di invadere questi diritti, nemmeno sotto il pretesto di migliorare le sue circostanze di vita; il governo non può fornirgli altro servizio se non quello di proteggerlo dagli altri nell’esercizio di questi diritti. Nel campo dell’economia (del quale i libertari si preoccupano giustamente perché è qui che lo stato comincia le sue infrazioni), il governo non ha competenza; il meglio che può fare è mantenere una condizione di ordine, in modo che l’individuo possa portare avanti le sue attività con la sicurezza che potrà tenere ciò che produce. Questo è tutto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


sabato 3 marzo 2012

Spennare il Povero

"A lungo è esistita ed ancora esiste una terribile superstizione, che ha provocato più danni, forse, delle più tremende superstizioni religiose, ed è questa superstizione che la cosiddetta scienza politica difende con tutta la sua forza e perseveranza. Tale superstizione è simile in ogni aspetto alle superstizioni religiose. Consiste nell'affermazione che, oltre ai doveri di un uomo verso un altro uomo, ci sono obblighi ancora più importanti verso un essere immaginario. Nella teologia l'essere immaginario è Dio, e nelle scienze politiche l'essere immaginario è il Governo. La superstizione religiosa consiste nella credenza che i sacrifici, spesso di vite umane, in onore dell'essere immaginario siano essenziali, e che l'uomo potrebbe e dovrebbe essere condotto a questo stato di pensiero con tutti i mezzi, non esclusa la violenza. La superstizione politica consiste nella credenza che, oltre ai doveri di un uomo verso un altro uomo, ci sono doveri più importanti verso un essere immaginario, il Governo, e che i sacrifici — spesso di vite umane — in onore dell'essere immaginario siano essenziali, e che l'uomo potrebbe e dovrebbe essere condotto a questo stato di pensiero con tutti i mezzi possibili, non esclusa la violenza. Questa superstizione è formalmente sostenuta da preti di varie religioni, come dice ora la cosiddetta scienza politica."Lev Tolstoy
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di Frank Chodorov


[Income Tax: Root of All Evil (1954)]


A dire il vero, i Populisti originali e gli irritanti Democratici e Repubblicani, per non parlare dei Socialisti coscienti, diedero poco pensiero al fatto che l'imposta sul reddito sarebbe stata utilizzata per "spennare i poveri". Era uno strumento, pensarono, ideato per espropriare i ricchi a favore dei poveri. Come i poveri avrebbero beneficiato dall'espropriazione, non lo spiegarono; il loro odio intenso per i ricchi riempì convenientemente questo vuoto nella loro argomentazione. La loro passione li accecò al fatto che questo "spennare i ricchi" avrebbe permesso al governo di rubare dalla busta paga.

La dottrina della lotta di classe è più feroce, non nel senso che mette uomo contro uomo, produttore contro produttore, ma in quanto distoglie l'attenzione dei partecipanti dal loro nemico comune, lo Stato. Gli uomini vivono di produzione, ma lo Stato vive di appropriazione. Mentre i ricchi e i non abbienti lottano per la spartizione della ricchezza esistente, è compito dello Stato prosperare a spese di entrambi; prende le biglie, mentre i ragazzi stanno combattendo. Questa è stata sin dall'inizio la storia degli uomini nella società organizzata. Che questa lezione di storia debba essere sfuggita ai riformatori del XIX secolo, quando l'abitudine alla libertà era ancora forte in America, può essere facilmente comprensibile; quello che non è facilmente spiegabile è l'accettazione della dottrina del governo benevolo ai giorni nostri, quando tutte le prove del contrario sono davanti ai nostri occhi.

Tuttavia, una buona "ragione" ne segue un'altra per fare un miglior uso del Sedicesimo Emendamento. Dopo il 1913, il governo, che per oltre un secolo era riuscito a fare a meno della tassazione sui redditi, sentiva un continuo bisogno di maggiori fondi.[1] Le aliquote fiscali sul reddito continuarono a salire, e le esenzioni a scendere; le maglie della rete vennero rese sempre più strette in modo che avrebbero potuto catturare più pesci. In un primo momento si trattava dei redditi delle corporazioni, poi di quelli dei ricchi cittadini, poi delle vedove ben sistemate e dei lavoratori opulenti e, infine, la ricchezza delle badanti e le mance delle cameriere.

Tutto ciò è in linea con la dottrina della capacità di pagare. I poveri, semplicemente perché ce ne sono di più, hanno più capacità di pagare rispetto ai ricchi. La busta paga nazionale contiene più soldi che tutti i tesori messi insieme di tutte le aziende del paese. Il governo non poteva trascurare a lungo questa ricca miniera. Tuttavia, considerazioni di ordine politico rendevano difficile il furto dalla busta paga. I salariati hanno voti, molti voti, e per non alienarsi tali voti, fu necessario mettere a punto alcuni strumenti per rendere accettabile la tassazione dei loro redditi. Dovevano essere cullati per accettare lo "spennamento dei poveri".

Il farmaco che venne inventato per questo scopo fu la "previdenza sociale". Venne detto all'operaio che non stava pagando una tassa sul reddito quando la sua busta paga veniva aperta e derubata: stava semplicemente effettuando un "contributo" ad "un'assicurazione" contro le inevitabili disabilità della vecchiaia. Avrebbe riavuto tutto indietro, quando non avrebbe più potuto lavorare, e con un profitto.

Questa è frode pura, come si può facilmente vedere, quando si fa il confronto tra la previdenza sociale ed un'assicurazione legittima. Quando si paga un premio per una polizza assicurativa, l'azienda ne mantiene una parte in riserva. L'importo così accantonato è basato sull'esperienza attuariale; la compagnia conosce attraverso lunghi studi quanti soldi deve tenere a disposizione per soddisfare probabili richieste di indennizzo. La maggior parte del premio viene investito in attività produttive, e dai proventi di tali investimenti l'azienda paga le sue spese correnti ed accumula un surplus per soddisfare eventi imprevisti; o paga agli assicurati una quota di questi guadagni extra sottoforma di dividendi. Senza entrare nei dettagli intricati del comparto assicurativo, il principio guida è che le prestazioni sono pagate dalla riserva o da utili provenienti da investimenti della compagnia.

È questo ciò che succede al vostro "contributo" per la previdenza sociale? Neanche lontanamente.

Ogni centesimo preso dai salari viene gettato nella cassa del Tesoro degli Stati Uniti, ed è speso per tutto quello che decide il governo. Stessa storia per i "contributi" dal datore di lavoro. Vale a dire, le tasse della previdenza sociale sono tasse, punto e basta; sono "dazi ed oneri coercitivi" imposti dal sovrano ai suoi sudditi per le spese dello stato. Il denaro non viene tenuto in riserva, niente viene investito in attività. Il tutto viene speso, e viene speso molto tempo prima che "l'assicurato" abbia diritto ai benefici.

Per dare una certa plausibilità alla farsa "dell'assicurazione", il governo istituisce un cosiddetto fondo di riserva. Al posto del denaro che raccoglie, accumula i suoi stessi bond, o IOU, per un importo pari al denaro raccolto. L'interesse su questi bond, dice, sarà sufficiente a soddisfare gli obblighi alla scadenza. Ma l'interesse su questi bond è pagato con quello che raccoglie in tasse; da quale altro posto il governo potrebbe ottenere il denaro? Dal momento che i cosiddetti premi sono soltanto le tasse, e dal momento che i pagamenti dei benefici sono anch'essi tasse, il funzionamento è lo stesso di una compagnia di assicurazioni che userebbe i suoi premi per salari e cocktail party e poi pagherebbe i benefici con nuovi premi. Agendo in questo modo, i dirigenti della compagnia potrebbero essere mandati in prigione. Tuttavia, le leggi fatte per i cittadini sono un pò diverse dalle leggi fatte per i funzionari pubblici.

Uno degli argomenti che ha contribuito a vendere la previdenza sociale è che il "contribuente" non sarà a carico dei figli per quanto riguarda i mezzi di sussistenza, quando non potrà più lavorare. Vediamo se questo è vero. Dobbiamo tenere a mente che le tasse fanno parte della produzione; sono imposte su ciò che viene prodotto nel presente, non in passato. I pagamenti agli anziani non più produttivi provengono pertanto da quello che il governo raccoglie da coloro che producono, i loro figli. Il governo non può ottenere il denaro da chiunque altro. Così, in effetti, i figli stanno sostenendo i loro genitori, collettivamente e senza amore.

La truffa è ulteriormente aggravata con la promessa di qualcosa in cambio di niente. Al lavoratore viene detto che il suo datore di lavoro, lo "sfruttatore", paga una parte del premio, ed è in effetti costretto a dare un contributo ai benefici per la vecchiaia. Il fatto è che, come ogni scolaretto dovrebbe sapere, il datore di lavoro deve includere nelle sue spese quello per cui è costretto a "contribuire". Questa spesa si manifesta nel prezzo dei suoi beni, e viene effettivamente pagata, come consumatore, dal salariato. Vi è una somiglianza in questo schema con il gioco delle tre carte alla fiera di contea.

Quanto più guardiamo a questa progenie del Sedicesimo Emendamento più rimaniamo stupiti dal suo carattere fraudolento. Prendete la questione dei bond nel fondo di riserva. Il governo può emettere moneta grazie ad essi — vale a dire, può "comprarli" con denaro stampato quando ha bisogno di denaro per pagare i benefici agli anziani; ciò fa parte della legge. Oppure, se il governo vende i bond a privati, o alle banche, gli acquirenti possono stipulare prestiti grazie ad essi. In entrambi i casi, sul mercato arriva nuovo denaro, abbassando il volume di tutto il denaro esistente. Questa è l'inflazione. Ora, i soldi presi dalla busta paga del lavoratore valgono di più, acquisteranno più beni rispetto al denaro che otterrà quando sarà vecchio, semplicemente perché esistono questi bond. Questo sistema della previdenza sociale venne avviato nel 1937. Uno non deve essere un economista per sapere che nel 1937 il dollaro comprava più pane e scarpe che nel 1954. L'uomo che nel 1954 comincia a ricevere l'indennità d'anzianità ottiene dollari che acquisteranno meno cose di cui ha bisogno rispetto ai dollari con cui fu costretto a "contribuire" nel 1937 e negli anni che seguirono.

Quando la legge entrò in vigore, i dottori della previdenza sociale capirono che il fondo avrebbe dovuto raggiungere $50 miliardi prima che gli interessi sui bond sarebbero stati sufficienti a pagare i benefici previsti a tutti coloro che ne avevano diritto. Cioè, se i vantaggi previsti non fossero aumentati. Tuttavia, per ragioni politiche ci furono cambiamenti sia nei benefici che nel numero di persone che furono costrette nello schema. Anche i "premi" vennero elevati. Questi cambiamenti vennero fatti sotto il nome di "assicurazione", ma il fatto evidente è che il governo li fece al fine di aumentare i suoi fondi spendibili. Voleva più tasse, e si immerse di più nella busta paga; il che è lo scopo reale delle leggi della previdenza sociale.[2]

In questo momento, il fondo fittizio di riserva ha accumulato $15 miliardi. Già alcuni economisti stanno cominciando a chiedersi come il governo sarà in grado di pagare i benefici a tutti coloro che nel corso degli ultimi 16 anni hanno versato "contributi" quando raggiungeranno l'età di 65 anni. Le cifre hanno dimostrato che l'interesse non sarà sufficiente a mantenere gli anziani a malapena in vita, se dovessero dipendere da questi stipendi; e secondo la legge sono privati di questi stipendi se guadagnano più di $75 extra al mese. Questa è la risposta:

Il governo dovrà adempiere ai propri obblighi distribuendo nuovissimi dollari stampati, con potere d'acquisto in calo, ed i vecchi dovranno dipendere da quel sostegno che possono elemosinare dai loro figli infestati dalle tasse.

Questo libro si occupa della tassazione dei redditi, non della previdenza sociale, cosa che avrebbe bisogno di un libro a sé. Ma avendo lo scopo di mostrare come il Sedicesimo Emendamento abbia cambiato il nostro paese economicamente, politicamente e moralmente, non c'è esempio migliore di questo cambiamento riguardante il funzionamento del ramo previdenziale della tassazione dei redditi ed i suoi effetti sull'individuo della nazione.

Nonostante il fatto che la previdenza sociale sia una truffa a tutti gli effetti, ci sono molti che, ignorando l'evidenza, la sostengono perché "non dobbiamo lasciare che i vecchi soffrano di miseria." Ciò implica che prima del 1937 era abitudine per i figli far morire di fame i loro genitori non produttivi. Non vi è alcuna prova di ciò, e non ci sono dati che supportano l'insinuazione che tutti i sessantacinquenni morissero di fame regolarmente. L'attuale gruppo di figli è altrettanto rispettoso dei loro vecchi così come lo era quello pre-1937, ed è una certezza che se le loro buste paga non fossero state intercettate sarebbero stati in una posizione migliore per mostrare la loro devozione filiale. Inoltre, se il governo non avesse preso così tanto dei nostri guadagni, saremmo stati più capaci di risparmiare per i nostri giorni futuri.

Il fatto è che non esiste una cosa come la previdenza sociale; solo l'individuo invecchia e si ritrova nel bisogno. La società non è mai nel bisogno e non invecchia mai, semplicemente perché la società non è una persona. La previdenza per le esigenze della vecchiaia è sempre stata un problema della vita, ed ogni persona a modo suo ha cercato di risolverlo. Pagare il mutuo sulla vecchia casa in modo che si avrebbe sempre avuto un tetto sopra la testa era un modo; accumulare un gruzzolo di denaro era un altro; la rendita assicurativa è la forma più recente di previdenza.

Questo metodo di prendersi cura di sé attraverso il risparmio, tuttavia, richiede fiducia in sé stessi, e questo è esattamente quello che i sostenitori della previdenza sociale distruggerebbero. E' in contrasto con l'intera filosofia del socialismo. Se all'individuo viene permesso di cambiare, non ci sarebbe bisogno dei servizi degli auto-consacrati benefattori. Quindi è necessario sviluppare una psicologia da schiavo, un sentimento di dipendenza inerme dal gruppo. Se questo richiede l'uso del potere di polizia — e lo richiede sempre — tanto meglio; il che significa che esiste un'organizzazione burocratica con un interesse a proseguire la povertà.

Nel pensiero della previdenza sociale c'è in agguato un concetto di società organizzata che è fiele e assenzio rispetto all'Americanismo fondamentale. E' il concetto che nella natura delle cose ci siano alcuni uomini destinati a governare e gli altri ad obbedire. E' un dato di fatto che gli invocatori della previdenza sociale devono fare ricorso al sistema delle caste per sostenere il loro sistema di "assicurazione". Sostengono che la previdenza sociale sia necessaria perché la maggior parte dei salariati sono incontinenti e devono essere protetti contro le proprie debolezze. Chi è più qualificato per occuparsi di loro? Ohibò, coloro che sono stati consacrati con diplomi appropriati e sono stati unti dal potere dello Stato.

Era proprio a questo concetto padre-figlio della società che mirava Bismarck, e per questo motivo introdusse la previdenza sociale. Nella sua filosofia politica era assiomatico che la classe Junker fosse investita da Dio per governare la Germania. In correlazione, era un obbligo di tale classe occuparsi del benessere dei governati.[3]

In una società feudale, dove l'economia è quasi interamente agricola e le persone non si muovono da un posto all'altro, era abbastanza semplice per il signore capire che i suoi locatari vecchi e malati erano mantenuti. Ma questo rapporto diretto tra governante e governato non poteva essere mantenuto in una economia industriale, ed al tempo di Bismarck, l'industria stava sconvolgendo il sistema feudale. La previdenza sociale venne in suo soccorso; era proprio quello di cui aveva bisogno per far funzionare il suo concetto feudale di governo.

Se qualcuno avrebbe potuto far funzionare la previdenza sociale, quelli sarebbero stati gli Junker. Erano per tradizione e per indipendenza economica liberi dalle tentazioni della carica; non erano legati ad un elettorato sia per il loro reddito che per la loro posizione. E tuttavia, non furono in grado di costruire una società sana sulla previdenza sociale.

La ragione del fallimento della previdenza sociale in Germania, ed ovunque venne imbastita, è psicologica, non politica. Quando l'individuo è esonerato dall'obbligo del rispetto di sé, acquisisce le abitudini dell'impotenza; è incline a ritirarsi nella previdenza dello stato prenatale. Più viene accudito, più vuole essere accudito.

Negli ultimi 20 anni, grazie alla filosofia prevalente della previdenza sociale, è diventata un'abitudine nella mente dei giovani Americani considerare il governo come loro tutore permanente; l'idea che uno sia responsabile per sé stesso viene sbeffeggiata come "reazionaria". E' quasi impossibile convincere un giovane nato dopo il 1920 che accettare un sussidio dal governo è degradante — o che l'intero business della previdenza sociale è una frode.

Ci sono alcuni sostenitori della previdenza sociale che sostengono che possa essere separata dalla politica e gestita secondo principi assicurativi sani. Potrebbe, ma non dal governo; che, tuttavia, non è ciò che si pensa che sia. Si presume che il governo possa far funzionare un'attività assicurativa onesta, restando molto vicino a cifre attuariali nel determinare i pagamenti delle polizze. Ma come può un'attività del governo sbarazzarsi della politica? Soprattutto un governo che si basa sul suffragio popolare?

Qualsiasi tentativo di limitare i pagamenti previdenziali con cifre attuariali solleverebbe un urlo di protesta, un urlo che avrebbe un eco fino alle elezioni successive. I politici hanno convinto il cittadino Americano che il governo gli deve il sostentamento, come una questione di "diritti", e cosa c'è di più facile che chiederne di più? E l'aspirante alla carica dovrebbe essere molto al di sopra della media se non ne ha promessi di più. Se dovesse dire al cittadino che l'intera faccenda è una truffa, che solo una compagnia di assicurazione privata può gestire tale business su una base solida, sarebbe sconfitto alle urne.

In Germania, la filosofia della previdenza sociale del governo ha portato a quella decadenza morale che ha facilitato l'avvento di Hitler. In Inghilterra, ha trasformato in mendicanti le persone che una volta erano orgogliose. Che cosa farà all'America?

Nel 1943, approfittando della guerra, il governo federale esercitò ulteriori pressioni su coloro in possesso di redditi modesti; promulgò una legge che imponeva ai datori di lavoro di detrarre il 20% dalla busta paga del lavoratore, o dall'assegno, per conto del governo. Il governo spendeva il denaro così in fretta che non poteva aspettare la fine dell'anno per gli incassi. Doveva apportare il taglio al reddito prima che il percettore lo vedesse. In linea con questa urgenza, richiedeva alle aziende ed ai professionisti e uomini d'affari di pagare ogni trimestre, in anticipo, un certo importo dei loro guadagni.

Le misure istituite dal governo durante la guerra hanno un modo di perpetuare sé stesse in tempo di pace. Il governo è incapace di rinunciare al potere. E così, la ritenuta d'acconto e le tasse pay-as-you-go sono ancora in vigore e continueranno ad esserlo. E, naturalmente, il governo troverà una buona ragione per spendere i soldi tanto velocemente quanto li incamera, o più velocemente. Nonostante il suo mostruoso prendere dalla produzione ed i suoi mezzi per accelerare la raccolta, le sue spese superano le entrate e l'eccesso viene ogni anno accudito da ciò che è noto come "finanziamento del deficit". Questo, come ogni spendaccione sa, vuol dire prendere in prestito incuranti delle entrate attese; vuol dire prendere in prestito contro il futuro. Ma mentre lo spendaccione privato è tenuto al guinzaglio dalla minaccia di fallimento, il governo non è ostacolato da una tale paura; può stampare i soldi o qualcosa di equivalente al denaro, e costringere i cittadini e le banche ad accettare questa carta in pagamento dei suoi debiti; può rubare ai suoi sudditi col trucco dell'inflazione, e quindi aumentare la sua spesa eccessiva.

La vera ragione per l'esistenza della ritenuta d'acconto è la riluttanza dei lavoratori a condividere il proprio reddito con il governo e le conseguenti difficoltà della raccolta. Per superare questo handicap, il governo ha semplicemente reso i datori di lavoro degli esattori delle tasse involontari e non retribuiti. Si tratta di una forma di coscrizione. Ignorando il diritto alla privacy, che è un elemento essenziale della libertà, gli agenti del governo possono, secondo la legge, invadere l'ufficio del datore di lavoro, chiedere i suoi conti, e punirlo per qualsiasi infrazione che a loro avviso abbia commesso; possono sequestrare i suoi beni ed infliggere una penalità per non aver raccolto le tasse per il governo.

Questa violazione dei nostri diritti è stata evidenziata da Miss Vivien Kellems, una produttrice del Connecticut, diversi anni fa. Mettendo alla prova la costituzionalità della legge, Miss Kellems si rifiutò di raccogliere le tasse e notificò al Governo la sua intenzione. Chiese di essere incriminata in modo che la questione sarebbe potuta essere portata in tribunale. Allo stesso tempo, istruì i suoi dipendenti a pagare regolarmente le tasse, li aiutò a calcolare gli importi, e fece in modo che avessero la prova del pagamento. Il governo si rifiutò di incriminarla. Piuttosto, i suoi agenti, senza ordine del tribunale (il governo non è ostacolato da tali formalità), sequestrò il suo conto in banca e la multò per la mancata riscossione delle imposte. L'unica cosa che potè fare date le circostanze, fu quella di denunciare il governo per recuperare il proprio denaro. In ciò ebbe successo. Ma la questione della costituzionalità venne assiduamente evitata dagli avvocati del governo, da trucchi legali, e non fu mai in grado di portare in discussione tale argomento. Le leggi sono fatte per i cittadini, non per il governo, affinché obbediscano.

Vi è grave questione per quanto riguarda la costituzionalità della ritenuta d'acconto. Ma questa non è una conseguenza; la Costituzione si è spesso dimostrata suscettibile alle considerazioni politiche. Il punto principale è che il Sedicesimo Emendamento ha allargato l'area del potere governativo, e di conseguenza ha ridotto l'area della libertà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Per un certo numero di anni tra il 1801 ed il 1890, tranne che nella Guerra Civile, le entrate del paese erano uguali alle sue spese o qualche volta mostravano un imbarazzante surplus.

[2] Inizialmente, la tassa per la "previdenza sociale" era dell'1% su tutti i salari tassabili fino a $3,000 l'anno, pagata sia dal datore di lavoro che dal dipendente. Nel 1951, la tassa fu estesa a salari di $3,600. Inoltre nel 1951 furono inserite le persone "auto-impiegate"; anche loro ora avrebbero dovuto pagare per la "previdenza sociale," che la volessero questa "assicurazione" o no, e la quota, che venne fissata al 2 ¼% nel 1951, venne aumentata ogni anno finché non raggiunse il massimo di 4 7/8% nel 1970. Inoltre anche le quote sul datore di lavoro e sul dipendente sono aumentate dall'1% iniziale al limite del 3 ¼% nel 1970.

[3] Disse Bismarck: "Riconosco incondizionatamente il diritto al lavoro e lo difenderò finché mi troverò in questo paese. Ma qui non sto difendendo il Socialismo… ma la legge comune Prussiana." Tale legge comune Prussiana, stilata durante diversi regni, ed infine codificata e promulgata da Federico II, conteneva le seguenti voci:

  • E' compito dello Stato fornire sostentamento e sostegno a quei cittadini che non possono […] fornire assistenza a sé stessi.
  • Dovrebbe essere appoggiato il lavoro adattato alla forza ed alle capacità di furto. […]
  • Lo Stato ha diritto e dovere di prendere contromisure per prevenire la miseria dei suoi cittadini e tenere sotto controllo la stravaganza eccessiva.
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venerdì 3 febbraio 2012

L'Unità della Vita Sociale

"Sarebbe un errore fatale supporre, come hanno fatto molti scrittori, che la grande formazione politica, che è lo stato, era un prodotto naturale della socialità umana. Sembra una supposizione abbastanza naturale, poiché la società, che è un'entità naturale, è un prodotto di tal genere. Ma una società naturale è una cosa piccola. Ed affinché una società piccola diventi una grossa c'è bisogno di un nuovo fattore. Poiché ci deve essere una fusione, e quest'ultima, nella stragrande maggioranza dei casi, non proviene da un istinto di associazione ma dalla dominazione. Le grandi formazioni devono la loro esistenza all'istinto di dominazione." -- Bertrand de Jouvenel
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di Frank Chodorov


[The Rise and Fall of Society (1959; 2007)]


Cominciando con l'ovvio — ci devono essere gli uomini prima che ci sia una Società, e ci deve essere una Società prima che ci sia un Governo. Le istituzioni sociali devono essere seminate nel terreno di cui è fatto l'individuo. Pertanto, siamo costretti a chiedere all'individuo, l'unità della vita sociale, di dirci perché socializza, perché diventa politico. I metafisici erano sulla strada giusta quando indagarono la natura del singolo per dare una spiegazione allo Stato, anche se erano distratti dalla loro mentalità teologica. Su questa strada non si trova una risposta positiva, né una risposta che non inizi con ipotesi. Se si guarda l'essere umano dall'esterno forse riusciremo a fare luce sulla questione, senza fare riferimento alla sua composizione spirituale.

Cosa si osserva come una costante nella sua carriera? A questa domanda non c'è che una risposta: egli è sempre e comunque preoccupato a guadagnarsi da vivere. Non possiamo nemmeno pensare ad un essere umano che è privo di questa preoccupazione. Egli è, fondamentalmente, un '"uomo economico" — per usare un termine che viene talvolta usato in modo spregiativo, ma che è più appropriato quando riflettiamo sul fatto che l'attività primordiale dell'uomo è l'esistenza. La sua ricerca economica è radicata in lui come una questione di necessità. Sembra logico supporre, allora, che la Società in cui lo troviamo sempre è o una fase dell'attività, o in relazione con l'attività, da cui non va mai in pensione. Non è probabile che se ci immedesimiamo nei mezzi e nei metodi che impiega per guadagnarsi da vivere, impareremo che la Società ed il Governo sono escrescenze di questo processo? Forse, dopo tutto, queste istituzioni hanno le loro radici nell'economia. Si tratta di un'ipotesi plausibile, in ogni caso.

L'obiezione che viene sollevata è che l'essere umano è troppo complesso per essere trattato solo come una creatura vivente. Anche le altre specie che abitano la terra sono a caccia costante dei mezzi per esistere e non hanno niente di quello che noi chiamiamo Società e Governo; il meglio che fanno per socializzare è formare un gregge o un branco o uno stormo, che sono organizzazioni del tutto diverse da quelle che vengono formalizzate. Questa obiezione, tuttavia, deriva dalla definizione limitata e irreale di "uomo economico", che descrive la sua vita come una mera acquisizione di cibo, vestiario e riparo. Un tale uomo non esiste, o esiste solo sotto la spinta delle necessità.

Per l'uomo, a differenza degli altri esseri viventi, il "guadagnarsi da vivere" comincia solo con l'acquisizione delle cose necessaie, perché egli è costituito in modo che una volta che il problema è risolto, o anche prima che venga completamente risolto, la sua immaginazione dà luogo ad altri desideri che, quando gratificati, danno luogo ad ancora altri desideri e così via ad infinitum. Il suo lavoro di "vivere" non ha alcun perimetro fisso. Eppure, la soddisfazione di ogni desiderio che scaturisce dalla sua fantasia coinvolge gli stessi mezzi e metodi che egli impiega per garantirsi il necessario. Il libro e il violino vengono alla luce da processi che sono in sostanza gli stessi di quelli applicati per produrre pane e vestiti; tutto quello che vuole l'uomo, coinvolge i macchinari della produzione.

Quindi, "l'uomo economico" non è un tipo d'uomo speciale, e anche se per motivi di studio potremmo separarlo nel nostro laboratorio mentale "dall'uomo culturale", "dall'uomo religioso", o da quello "militare", egli è infatti l'unico uomo che utilizza i mezzi economici nella ricerca di qualsiasi "modo di vivere" a cui lo conduce la sua inclinazione o l'opportunità. L'agente catalizzatore di tutte le aspirazioni umane è la produzione.

Cos'è, quindi, la produzione? È l'applicazione del lavoro alle materie prime che la natura offre per la realizzazione di cose che soddisfano i desideri umani. Nulla può essere prodotto in qualsiasi altro modo. È vero, ci sono cose che gli uomini vogliono che apparentemente non comportano l'uso di materie prime, cose che di solito sono descritte come servizi. Ma anche il cantante ha bisogno di sostentamento, e il predicatore nudo potrebbe scoprire come il freddo sia un ostacolo al pensiero. Non vi è alcun servizio desiderabile nella misura in cui si allontana dalla produzione di base — come l'assicurazione o l'istruzione — ma che dopo un esame non risulti una suddivisione o una ramificazione dell'applicazione del lavoro alle materie prime. Quando si pensa a questo processo, ci si rende conto che tutte le cose tangibili che gli uomini desiderano, come cibo e vesti, sono servizi congelati, come la cucina e la progettazione, e dunque ogni distinzione tra beni e servizi, in senso economico, è accademica.

Il fatto che l'uomo sia sempre dipendente dalle materie prime per vivere, anche nel senso più ampio della vita, lo bolla come un "animale della terra". Ma, a questo proposito, tutti gli altri animali sono altrettanto circoscritti. Quindi, sorge spontanea la domanda, in che modo l'essere umano, le cui istituzioni sociali ci riguardano, è diverso dai suoi vicini che pensano solo a mangiare? Lo è nel fatto che egli non è, come loro, dipendente da quello che trova, ma ha la capacità di fare uso della natura per promuovere i propri fini. Questa capacità si chiama ragione, che è la facoltà di estrarre da una serie di fenomeni correlati un principio causale e di applicarlo ai suoi affari.

Per esempio, egli osserva che dalla natura non crescono cose commestibili ovunque e in qualsiasi momento, ma solo quando e dove il terreno di una data consistenza gode di una certa quantità di sole e di una data quantità di umidità. Imparando questi segreti della natura, li trasforma in formule, che egli chiama leggi naturali. Poi, facendosi guidare da queste leggi, fa crescere il cibo che vuole; diventa un creatore di abbondanza. Ciò è quello che i suoi amici animali non possono fare.

Diciamo che l'uomo "conquista" la natura, ma il fatto è che la sua conquista è costituita dal suo adattamento ai mezzi impiegati dalla natura nel raggiungimento dei suoi fini; non può ottenere i risultati che vuole raggiungere a meno che non impari e si sottometta alle sue leggi. I popoli primitivi sono primitivi solo perché non si sono capacitati di queste leggi facendone, quindi, uso. Ed i fallimenti di ciò che chiamiamo l'uomo "civilizzato", in qualunque campo scelga di operare, sono probabilmente dovuti alla sua ignoranza delle leggi della natura o alla sua arroganza nel tentativo di farsi strada violandole; sono, tuttavia, immutabili e sempre presenti, ed i suoi fallimenti indicano che esse hanno le loro proprie sanzioni.

Egli costruisce una bomba atomica perché ha imparato le leggi fisiche ad essa connesse; egli distrugge la Società con questo ordigno perché né conosce né è disposto a sottomettersi alle leggi sociali che la natura ha scritto nel suo libro della conoscenza. E' particolarmente svantaggiante quando dichiara (come fa a volte, in particolare nei settori dell'economia e delle scienze sociali) che non esistono leggi naturali, che l'uomo non è inibito da tali finzioni; ecco quando si mette davvero nei guai.

Date le risorse naturali e la conoscenza delle leggi della natura, guadagnarsi da vivere richiede un dispendio di lavoro. Questo è il prezzo inesorabile della produzione. Ma la spesa del lavoro induce la spiacevole esperienza della stanchezza, qualcosa che l'uomo non vuole. (Siamo preoccupati solo del lavoro speso per scopi economici. Talvolta l'uomo troverà il piacere nello sforzo stesso, come lo trova nel fare una passeggiata. Ed a volte egli "amerà il suo lavoro," provando piacere nel farlo, indipendentemente da qualsiasi altro ritorno. L'euforia risultante è la ricerca del profitto. Ma non lavora nell'interesse di lavorare.)

Per evitare gli sforzi, l'uomo potrebbe, come altri animali, ridurre i suoi appetiti alle cose più necessarie, alle cose che rendono possibile l'esistenza e che si possono avere con il minimo sforzo. (Nulla si può avere senza alcuno sforzo.) Egli, tuttavia, non è costituito in questo modo essendo guidato da una curiosità sempre crescente di cercare nuove gratificazioni, ed è sempre in cerca della natura affinché gli dica come possa acquisirle con meno lavoro. Inventa dispositivi che diminuiscono il lavoro; spende del lavoro per risparmiare lavoro. Sfrutta il tempo "straordinario" — o del lavoro in eccesso rispetto a quanto è necessario per tenerlo in vita — per produrre cose che gli risparmieranno lavoro nelle sue imprese future o gli permetteranno di migliorare la sua situazione. Chiamiamo queste cose capitale.

Per quanto ne sappiamo, l'uomo è sempre stato un capitalista, un accumulatore di lavoro, e non possiamo concepire un tempo in cui lui non stava facendo uso di tali concetti. Così, l'ascia di pietra che ha inventato per domare un animale commestibile è diventata, dopo secoli di riflessione e di tentativi e di errori, una mannaia ed i recinti per il bestiame di Chicago. L'accumulo di capitale è sempre stata la carriera dell'uomo. Non conosciamo un uomo o una società non-capitalista. In ogni distinzione tra l'uomo primitivo e l'uomo civilizzato, usiamo come metro di giudizio i loro relativi accumuli di capitale e l'uso del capitale.

Una legge naturale viene derivata dall'osservazione dei modi della natura. La sua prima caratteristica è l'invariabilità — succede sempre così; non ci sono eccezioni. E poiché, in ogni cosa che fa, per quanto si ha una certa conoscenza del suo comportamento, in modo che non possiamo nemmeno concepire una deviazione, l'uomo cerca di soddisfare i suoi desideri con il minimo dispendio di lavoro, e potremmo definirla come una legge naturale del comportamento umano. Un secondo requisito di una legge naturale è che ci permette di prevedere cosa accadrà in futuro, e la legge si qualifica soprattutto su questo punto. Noi inventiamo ed usiamo gli elettrodomestici perché sappiamo che ogni casalinga è interessata a risparmiare lavoro; offriamo tangenti agli agenti perché siamo sempre alla ricerca di "qualcosa in cambio di niente", e se gli agenti accettano le tangenti, è perché preferiscono ottenere le loro soddisfazioni senza dispendio di lavoro. La nostra struttura dei prezzi è interamente basata su quella "legge della parsimonia".

In effetti, ogni teoria economica deve tener conto — e le dottrine sociali che prescindono da questa si dimostrano impraticabili — del caso in cui, per esempio, viene proposto che gli uomini vendano i loro prodotti a meno del costo di produzione, o a meno di quello che altri gli uomini sono disposti a pagare per essi, avremmo quindi quello che viene chiamato un "mercato nero". La nostra reazione immediata al concetto socialista secondo cui gli uomini lavoreranno con poca attenzione ai guadagni, è considerarlo senza alcun senso; gli umani non si comportano in questo modo.

Ora, la Società, il Governo e lo Stato sono istituzioni fatte dagli uomini, e deve essere dato per scontato che anche queste sono espressioni di questa legge del comportamento umano. Se in tutti i suoi compiti è sempre motivato da questa avversione al lavoro, perché dovremmo supporre che essa non svolga alcun ruolo nella sua organizzazione sociale e politica? Egli non subisce una mutazione, quando parliamo di società e politica; è ancora lo stesso uomo. Forse, dopo tutto, le sue istituzioni sono, in un modo o nell'altro, analoghe ai meccanismi di risparmio di lavoro. Ha più senso condurre un'indagine sulle sue istituzioni con una tale ipotesi piuttosto che iniziare a postulare l'idea che le sue istituzioni derivino da forze a lui esterne, forze che lo utilizzano come strumento, non come il creatore, come pensano i metafisici ed i socialisti.

In correlazione con questa "legge della parsimonia" c'è un'altra caratteristica costante dell'essere umano, che getta luce sulle sue istituzioni. E' il fatto che egli è l'unico animale i cui desideri non sono mai soddisfatti. Egli non evita il lavoro al solo scopo di rifuggire il lavoro stesso; non è pigro. Infatti, lo troviamo che investe ogni risparmio del lavoro in un nuovo desiderio, uno di cui difficilmente ne era a conoscenza prima che avesse un surplus di energia da mettervi a disposizione. Quando padroneggia l'arte di entrare in possesso dei mezzi di sussistenza e trova facile tale compito, comincia a pensare alle tovaglie ed alla musica insieme ai suoi pasti. La sua vita consiste in una salita costante verso altezze più elevate, fino a che vengono a volte chiamate lussi o soddisfazioni marginali, come libri, francobolli rari, baseball, e Beethoven. I desideri dell'uomo sono illimitati.

Ma ogni nuovo passo nella ricerca di una vita più piena deve essere preceduto da alcuni collegamenti per la messa in sicurezza di quelle cose di cui gode abitualmente, ed i lussi diventano necessità in proporzione alla facilità con cui può averli. Fin dall'inizio dei tempi, per quanto ne sappiamo, l'uomo è stato un risparmiatore di lavoro, un capitalista, non che avrebbe potuto accumulare energia ma che avrebbe potuto spenderla per risultati più grandi. E' per questo motivo, come vedremo, che la Società diventa il suo habitat naturale.

La "legge della parsimonia" non sostiene che gli uomini soddisfino sempre i loro desideri con il minimo sforzo; dice che cercano di farlo. L'ignoranza del più breve taglio, il mezzo più semplice, è la ragione del suo prendere la via più lunga. Prima che venisse a conoscenza dell'automobile, il proprietario del carro trainato da buoi doveva prendersi cura delle cose trasportate, ma è stata la sua avversione al lavoro che gli ha fatto inventare questo miglioramento primitivo rispetto ai piedi, ed è stato questo stesso stimolo che lo ha portato ad invetare l'automobile; la velocità è un'economia dello sforzo per la realizzazione dei risultati. Lo psicopatico ruba perché pensa che sia il modo più semplice per soddisfare i suoi desideri, ed il monopolista scaltro è colui che escogita modi per migliorare la sua situazione senza passare per lo sforzo che la concorrenza gli avrebbe imposto. Ogni crimine nel calendario, ogni male sociale, ogni imbroglio dei politici è riconducibile alla "legge della parsimonia". Così come ogni progresso nelle scienze e nelle arti.

E' al di là del bersaglio moralizzare su questa avversione al lavoro attraverso il lavoro. E' tanto amorale quanto i capelli sulla testa di un uomo. Ma se si guarda alla psicologia umana, si può trovare il germe del principio etico di questa legge comportamentale. Si scoprirà che il valore che la persona pone su se stessa è misurato in termini del lavoro che deve impiegare per soddisfare i suoi desideri. Il suo ego si espande o si contrae in proporzione al costo del lavoro della sua vita.

Così, uno schiavo, che conduce una vuota esistenza per i suoi sforzi, sviluppa un assetto mentale a quella tariffa salariale e acquista ciò che chiamiamo la psicologia da schiavo; cioè, non si considera di più di quello che ottiene. Dall'altra parte, il "pezzo grosso" tra i gangster ha una grande stima di se stesso, perché senza alcuna spesa di lavoro è in grado di vivere nel lusso. Le opinioni personali dello schiavo e del "pezzo grosso" sono condivise dai loro contemporanei, semplicemente perché le loro auto-valutazioni sono misurate analogamente. L'adulazione che noi accordiamo all'uomo opulento e il nostro godimento indiretto dei lussi del cinema evidenza il funzionamento della "legge della parsimonia"; non è tanto la nostra invidia che viene punzecchiata, poiché questa suscita in noi solo l'emulazione o il furto; è che ciò che desideriamo è stato acquisito senza la spesa di alcuno sforzo visibile; è il summum bonum.

Ciò premesso, un'economia gestita in modo da fornire un'abbondanza generale, un'economia di abbondanza, deve migliorare l'autostima o il morale di chi ne gode, mentre un'economia di scarsità ha l'effetto opposto; per dirla altrimenti, i prezzi bassi (o facilmente accessibili) inducono un aumento dei valori umani, mentre i prezzi elevati (in termini di spesa del lavoro) tendono a deprezzarli. Ma questa è un'altra questione. Il punto è che ci sono conseguenze morali alla "legge della parsimonia".

Qualsiasi altro attributo l'essere umano porta all'ordine sociale di cui egli è parte integrante, la sua volontà di vivere viene prima nella gerarchia; la voglia di vivere non è semplicemente aggrapparsi alla vita, ma è anche uno stimolo a migliorare la propria situazione e ad ampliare i propri orizzonti. Ciò è innato; il Nirvana, o la negazione del desiderio, è una caratteristica acquisita, che richiede molto esercizio della volontà. La voglia di vivere è accompagnata da mezzi e metodi di cui è anche costituita — la tendenza ad evitare il lavoro.

La società può essere spiegata da altre caratteristiche umane, come ad esempio il trucco metafisico dell'uomo, le sue aspirazioni culturali, e la sua voglia di compagnia. Ma queste sono variabili discutibili. Non vi è dubbio circa la persistenza e l'universalità degli attributi menzionati, e quindi devono essere considerati degli imperativi. In qualunque altro modo cerchiamo di spiegare la Società, Governo, e lo Stato, non possiamo ignorare "l'uomo economico".


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


giovedì 20 ottobre 2011

La Natura Umana e la Società "Perfetta"


"Intendo con esso [lo Stato] quella somma di privilegi e posizioni dominanti che sono portati alla luce da un potere al di là dell'economia. […] Con Società intendo, la totalità dei concetti di tutte le relazioni puramente naturali e le istituzioni tra uomo e uomo." ~ Franz Oppenheimer, The State


[Questo articolo è un estratto da The Rise and Fall of Society (1959). Un file audio MP3 di questo articolo, narrato da Keith Hocker, è disponibile per il download.]



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di Frank Chodorov


Chiunque ragioni sulla capacità dell'uomo di mantenere la sua vita sociale in perfetto ordine deve tenere in conto il fatto biologico della longevità. L'uomo cerca di soddisfare i suoi desideri mentre vive, non quando la morte li ha eradicati, e le cifre attuariali gli dicono quanto gli resta da vivere.

Il suo modello di comportamento è necessariamente determinato dalla sua speranza. C'è da dire che nella natura delle cose il suo è un punto di vista a breve termine, sebbene la sua prospettiva possa essere allungata da una preoccupazione per il suo futuro immediato, per i suoi figli e per i suoi nipoti in potenza. Oltre a ciò c'è il "futuro del suo paese", un interesse speculativo che può incidere poco sui suoi lavori giornalieri.

Il banchiere sa bene che i bond dello Stato nel suo caveau non rappresentano beni prodotti ma sono solamente rivendicazioni sulla produzione; "l'interesse" che rendono è fatto di tasse, pescate dal mercato, ed egli difatti è un esattore delle tasse. Non è ignaro del carattere inflazionistico di questi pezzi di carta: nel lungo termine deprezzano il valore di tutti i suoi asset come anche quelli dei suoi depositanti, il mercato è difatti impoverito dai suoi possedimenti.

Per di più, se smette di pensarci, deve sapere che più bond detiene più deve sostenere le attività fiscali dello Stato, poiché il deprezzamento del valore di questi bond potrebbe mandarlo in bancarotta. La prudenza lo obbliga a trascurare tali considerazioni; egli coopera con gli schemi di finanziamento dello Stato, anche se egli sospetta che fare ciò lo abbasserà gradualmente ad una posizione segretariale. Nel suo bisogno di avere un profitto quest'anno mette da parte qualsiasi scrupolo possa avere nel comprare i bond dello Stato. Il futuro deve prendersi cura di se stesso.

Il presidente di una corporazione si è abituato ad uno standard di vita che richiede un certo numero di entrate. Gli piace ed anche a sua moglie. E' vero che ha guadagnato tre volte quell'ammontare e che lo Stato gli ha confiscato i due terzi dei suoi guadagni. E' infastidito dalla confisca, desidera poter conservare di più e così migliorare il suo standard, ma trova conveniente assecondare lo Stato per una buona ragione.

Forse la sua corporazione è interamente o parzialmente alle dipendenze dello Stato; in questo caso, i suoi guadagni sono praticamente derivati dalle tasse che è forzato a pagare. E' vero che i suoi impiegati nel complesso pagano di più di quanto paghi lui e, sebbene non se ne sia accorto, la probabilità è che egli percepisca un profitto da questa allocazione di tasse.

Forse se non fossero tassati i suoi impiegati comprerebbero i prodotti della corporazione come fa liberamente l'esattore delle tasse, ma vendere ad una moltitudine di compratori significherebbe più vendite e problemi di credito, e per il momento (dove è concentrata tutta la sua attenzione) trova più facile condurre affari con Un Grande Compratore. Ingaggia un lobbista per occuparsi delle vendite.

Continuando con il presidente della corporazione, se le vendite del suo prodotto calano ad un punto in cui i suoi profitti abituali sono minacciati — diciamo perchè le tasse hanno privato i suoi potenziali clienti del potere d'acquisto — è incline a guardare con favore alle attività inflazionistiche dello Stato. La distribuzione di maggiore denaro, anche se un pò contraffatto, arricchirà temporaneamente la popolazione e permetterà loro di rendere il suo grafico delle vendite una cosa gradevole da guardare.

Che l'infusione di nuovo denaro nel mercato avrà l'effetto di deprezzare il valore del suo stabilimento nell'intensità in cui la sua attività potrebbe ritrovarsi in una condizione insolvente, senza contare quanto egli potrebbe risparmiare per i ricambi, è una considerazione da fare; ma è qualcosa di cui si dovranno preoccupare il presidente successivo e gli azionisti del futuro. Quest'anno deve pagare i dividendi.[1]

Sarebbe un agricoltore stupido colui che non capisce che essere pagati per non produrre è un'anomalia; sarebbe un individuo indifferente che non era infastidito dalle regolamentazioni che accompagnavano l'elargizione. Tuttavia il bisogno immediato di un trattore o una televisione fanno svanire queste considerazioni, inclusa la probabilità che suo figlio non sarà mai un agricoltore indipendente.

Il locatore sussidiato potrebbe cogliere una certa relazione tra il suo privilegio e le deduzioni dalla sua busta paga; anche così, è bello sapere che le abitazioni gli costano meno rispetto ad un non-sussidiato che osserva abitazioni paragonabili.

La vecchia signora che vive con la paga della "previdenza sociale", lo Stato che si prende cura del conto del medico del veterano e quello che si da malato ricevendo indennità di disoccupazione non sono minimamente preoccupati del futuro. Anche il filosofo che vede infausti presagi nelle tendenze fa pace con esse, se la necessità lo richiede, e nel comfort di una sovvenzione immeritata trova consolazione per i suoi timori. Siamo condannati a vivere nel presente.

E' questa necessità biologica che priva del punto di vista a lungo termine della realtà e facilita le operazioni dello Stato. Il bisogno di vivere adesso piega la volontà di vivere nelle condizioni sotto le quali è possibile vivere; proprio come un uomo che nella natura selvaggia conforma la sua vita a condizioni primitive, così egli si adatta alle regole, alle regolamentazioni, ai controlli, alle confische ed agli interventi imposti su di lui dal potere politico.

Se queste limitazioni alle sue aspirazioni sono regolarizzate, in modo che il suo "modo di vivere" raggiunga una sembianza di stabilità, egli perde subito consapevolezza della limitazione; ciò che avrebbe potuto infastidirlo all'inizio non solo è accettato ma anche difeso. Essendo questa la composizione dell'uomo, il suo adattamento all'ambiente non è solo confinato alla sola abitudine fisica ed insensata; deve includere un'accettazione consapevole, una giustificazione, un supporto morale. Non può vivere confortevolmente senza dare la sua benedizione alle condizioni nelle quali vive.

La sua abilità con le parole aiuta il processo di adattamento; con le parole sviluppa una ideologia che soddisfa la sua mente alla correttezza e perfino all'aderenza dei principi morali del suo "modo di vivere". Questo è l'alleato segreto dello Stato — l'inclinazione dell'uomo ad adorare le condizioni che sono state imposte su di lui e nelle quali ha trovato un adattamento confortevole.

La sua macchina di propaganda, attraverso ripetizioni costanti, trasforma le frasi ideologiche in una liturgia; la sua burocrazia, che regolarizza l'amato "modo di vivere", acquisisce la gloria di un clero; i suoi edifici, perfino le sue prigioni, sono coperte con un'aura distinta; il suo formalismo diviene rituale, le sue dichiarazioni autorevoli.

Solo il teorico, l'economista e lo storico, si preoccupano per le conseguenze a lungo termine dell'interventismo dello Stato. Nel frattempo si deve vivere e nel frattempo "lunga vita al re".

In queste circostanze, colui che guarda al lungo termine, il profeta che batte sempre sullo stesso tasto dei principi fondamentali e delle conseguenze ultime della violazione, è un operatore di irrealtà ed è un disturbatore sgradito dell'adattamento. I suoi sghiribizzi potrebbero essere ricordati e la sua profezia richiamata alla mente quando a lungo andare i suoi presagi si avverano. Cioè, quando le limitazioni si moltiplicano al punto in cui l'adattamento lascia poco spazio per vivere, quando un'esistenza miserabile è tutto quello che si può raggiungere attraverso i propri sforzi.

E' allora che l'istinto primordiale per la libertà soverchia più prepotentemente l'istinto per la vita stesso e non c'è niente da fare se non liberarsi dalle catene dello Stato. Ma questo, nel presente, è l'irreale reame del lungo termine.

L'istinto per la libertà, il desiderio ardente dell'espressione della propria personalità senza intralci, è l'essenza di cui è fatta l'utopia. Se non fosse per questo elemento dell'enigmatico carattere dell'uomo, non sarebbe mai coinvolto negli affari politici e la sua storia sarebbe simile ad una storia della giungla.

L'uomo, il produttore, deve avere libertà, mentre l'uomo, il predatore, pone limiti alla libertà e questa dicotomia intrinseca è la trama della sua storia. La sua ricerca per una "società buona" è la sua ricerca per un epilogo. Se o no sia nella natura delle cose che la lotta debba andare avanti indefinitamente, non può fare a meno di cimentarsi a modellare un lieto fine. E ciò che segue da qui è semplicemente un altro tentativo verso la stessa cosa.

L'ingrediente principale in qualsiasi formula per una "buona società" deve essere un preventivo. Come la Società può proteggere se stessa contro la tendenza del potere politico ad invadere e liquidare il potere sociale? Questo è stato il problema continuo delle integrazioni sociali, e la sola soluzione a cui ha pensato l'ingegnosità umana è stata la sorveglianza e la supervisione.

La società deve sempre tenere i suoi occhi e, quando è necessario, mettere le sue mani sul potere politico. In pratica, la sorveglianza e la supervisione prendono la forma del costituzionalismo, o limitazioni scritte al potere politico, con il suffragio popolare come agenzia di applicazione. L'esperienza mostra, tuttavia, che le costituzioni ed il suffragio ritardano solamente, non impediscono, la fermentazione del potere politico; gli uomini possono votare e votano se stessi sotto la promessa di un vantaggio immeritato, e le costituzioni non sono scritte con l'inchiostro indelebile della legge naturale.

La fallibilità del costituzionalismo è possibile poiché il potere politico estende la sua area operativa ed è capace di mettere un gruppo contro un altro, rivolgendosi alle loro varie cupidigie, e sotto la copertura di tali conflitti intrasociali (lotte di classe) la sua intrinseca propensione all'espansione irrompe dai legami costituzionali.

C'è l'ulteriore fatto che la produzione, non la sorveglianza e la supervisione del potere politico, è la prima attività della Società e che questa occupazione aggiuntiva sarà probabilmente soprasseduta; in particolare quando coloro che esercitano il potere vanno oltre la sfera personale di coloro sopra i quali è esercitato. Come questione pratica, pertanto, la sorveglianza e la supervisione sono un limite efficace solo quando l'unità politica è piccola, così piccola che il personale politico non può sfuggire alle pressioni sociali. Cioè, il comune.

Stiamo parlando dell'unità politica, non economica. La grandezza dell'unità economica è sempre determinata dal raggio di scambi ed è sempre regolata dal senso del valore dell'uomo. Compratore e venditore, nonostante la loro distanza, sia di spazio che di cultura, diventano membri del mercato mediante l'atto dello scambio.

Il mercato si regola da se, operando sotto leggi che si auto-impongono e portano le loro proprie sanzioni; è un meccanismo che funziona senza l'uso del potere politico e la cui efficienza può solo essere abbassata dall'iniezione di tale potere. Sarà tanto grande quanto clienti e venditori vorranno che sia grande. Senza l'interferenza politica può essere mondiale.

La cosa migliore che il potere politico può fare nelle premesse è di impedire il furto (inclusa la violazione del contratto) e può farlo soltanto punendo il ladro dopo che l'atto è stato commesso, con la speranza che tale punizione scoreggerà la ripetizione o l'emulazione. Anche in questa funzione è meno efficace delle sanzioni sociali; bandire dal mercato una comunità che è incapace di mantenere la sua casa in ordine, o un individuo che si fa una reputazione come disonesto, è un castigo sufficiente.

Se è nell'interesse economico di qualsiasi unità politica mantenere relazioni di vigilanza con altre comunità, possono essere stabiliti legami mediante dei rappresentanti, ma i poteri e le funzioni di questi rappresentatni devono essere sostenuti nell'ambito dei loro datori di lavoro, il meeting locale del comune. Il potere politico può essere messo e sarà messo in pratiche antisociali solo quando coloro a cui è affidato agiscono come direttori, e non come agenti.

Il mezzo con cui la persona politica — il "diritto divino" del re o il funzionario eletto — raggiunge una levatura indipendente è il potere di appropriarsi della proprietà. Senza appropriazione non ci può essere uno Stato ed il potere dello Stato è in diretta proporzione alla quantità di proprietà di cui si appropria.

Al contrario il potere sociale è misurabile dall'ammontare di proprietà che il produttore individuale è in grado di conservare e disporre come più ritiene giusto. Lo Stato prospera sulla tassazione, la Società ne soffre. La differenza tra una Società libera ed una dominata è nella percentuale di proprietà su cui mette le sue mani lo Stato.

Tutte le tasse sono estorsioni obbligate — la "tassazione volontaria" è una contraddizione in termini — ed il problema che la Società deve affrontare, se vuole conservare la sua libertà, è se vorrà mantenere il potere di obbligare nelle sue mani, sotto stretta sorveglianza, oppure trasferirlo ai suoi agenti politici. Il trasferimento porta con se la cessione del potere sociale e l'allargamento del potere politico, o il deterioramento del Governo negativo in Stato positivo.

Di conseguenza la tutela della "buona società", o il mezzo con cui può essere raggiunta, è il costante, rigoroso e vigile controllo di ogni richiesta tributaria e l'attenta supervisione dell'esborso delle imposte. Soprattutto il politico non deve mai avere un'autorità in bianco per imporre tasse; ogni proposta tributaria deve essere considerata nei suoi meriti, come un'imposta temporanea intesa per uno scopo specifico, anche se l'individuo gestisce la sua stessa economia.

Così se deve essere costruita una strada, il costo dovrebbe essere affrontato da una tassa che termina quando la strada è completata; se una guerra viene forzata su una popolazione, il potere di tassare dovrebbe essere autorizzato solo per la sua durata. L'ideale di una "buona società" è l'abolizione di tutte le tasse, ma ciò presuppone l'esistenza di un "uomo" perfetto ed una comprensione generale di come la spesa pubblica può essere soddisfatta senza tassare la produzione; fino a che non arriverà quel giorno, la cosa migliore che può fare la Società per proteggere se stessa è mantenere un atteggiamento sospetto sulla tassazione.

La proposta di mantenere il potere politico così decentralizzato affinché non possa scappare dalla vigilanza del potere sociale pone le sue motivazioni sull'affermazione che il più alto valore nella gerarchia dell'uomo sia la libertà. E' posta al di sopra di tutti gli altri desideri? Anche di soddisfazioni materiali? Se si, cosa si intende per libertà? La definizione che viene subito alla mente è "assenza di vincoli".

L'abitante solitario di una zona di confine aveva questo tipo di libertà in abbondanza e anelava ad essa; era però disposto a rinunciare ad una parte di essa in cambio di salari più alti che derivavano dalla cooperazione con gli altri. Ma la cooperazione implica un obbligo, quello di modificare il proprio atteggiamento secondo i desideri degli altri, di tenere in considerazione l'opinione pubblica sia nella propria occupazione sia nella propria condotta.

Quindi, la libertà in una Società non è assenza di vincoli, ma la gestione di affari propri con un codice di auto-governo. Il prezzo dei benefici della cooperazione è la moderazione.

In particolare l'obbligo imposto dalla libertà nella Società è il rispetto per la proprietà privata. Quando l'abitante di confine lavorava per se stesso, direttamente, si preoccupava della proprietà solo quando un animale predatorio o un uomo che vagabondava minacciava la sua proprietà. Aveva un forte interesse nel possedere le cose che produceva — visto che il suo lavoro era il suo investimento — e teneva il suo fucile pronto per assicurarsi il possesso.

Ma il concetto dei diritti di proprietà assunse un significato determinante quando attraverso il meccanismo di mercato comparvero le abbondanze e gli accumuli. E' a questo punto che l'auto-governo è messo alla prova. Perché? Perché l'uomo cerca di soddisfare i suoi desideri con il minimo sforzo.

Aveva questa stessa esigenza quando lavorava da solo, ma la cosa migliore che poteva fare era ideare alcune rudimentali scorciatoie o strumenti che gli facevano risparmiare lavoro. Quando l'organismo sociale cooperativo cresce intorno a lui ed appare l'abbondanza, gli viene in mente che forse la soddisfazione dei desideri senza spendere lavoro è uno scopo raggiungibile. L'impulso del "qualcosa in cambio di niente" che è insito nel suo carattere a volte va oltre i limiti della moderazione.

A questo punto, o in attesa che avvenga, la preoccupazione comune per la proprietà fa sorgere un accordo tra i membri della Società; sono costituiti vincoli esterni al desiderio interno. Il governo è un'ammissione che "l'assenza di vincoli" è incoerente con la libertà.

Si potrebbe affermare che la ragione dovrebbe dire all'individuo che non esiste una cosa come "qualcosa in cambio di niente", che qualcuno deve lavorare per fornire soddisfazioni, che la condizione necessaria per l'abbondanza generale è la sicurezza del possesso. Infatti la ragione potrebbe metterlo sulla via di un principio: che la produzione può far aumentare il livello dei salari, mentre l'espropriazione tende ad abbassarli.

Ma, in linea di massima, l'uomo non sempre agisce su questo principio; più spesso agisce su considerazioni di immediato profitto e convenienza. La ragione non sembra essere una guida per il comportamento umano rispetto al desiderio. La sua storia fornisce un abbondante sostegno a questa opinione. Anche nella più piccola e più ristretta unità sociale, la famiglia, l'impulso predatorio trova espressione nell'inganno ereditario di Giacobbe-Esaù; l'uso della frode o della forza per acquisire la proprietà senza lavorare per essa è il motivo principale della saga sociale.

Se non fosse per questo elemento dominante nel carattere umano, la conquista non sarebbe mai stata praticata, la schiavitù non sarebbe mai stata conosciuta, le classi privilegiate non sarebbero mai comparse, i monopoli mai istituiti ed il "welfare state" mai immaginato. Non ci sarebbe stato uno Stato, che è solamente l'organizzazione della forza per il trasferimento della proprietà da "una tasca ad un'altra".

La libertà non è il più alto dei valori nella gerarchia dell'uomo. Potrebbe parlarne in termini molto laudatori, ma il suo comportamento smentisce le sue proteste. Sebbene a volte, quando la moltiplicazione dei vincoli esterni rende l'esistenza insopportabile, egli impieghi un grande sforzo per liberarsi da alcune delle sue catene, la sua biografia generale indica una passione irresistibile per "qualcosa in cambio di niente" ed una prontezza a sottomettersi ai vincoli sotto la promessa di bottino.

Il "welfare state" moderno è il più esemplificativo; è dichiaratamente e presuntuosamente l'organizzazione della forza della confisca e della distribuzione della proprietà. E' la completa antitesi di quella "assenza di vincoli" che è la sostanza della libertà.

Nonostante questo fatto essenziale, acquisisce una reputazione umanitaria e riceve la benedizione di tutti coloro che prosperano a spese della produzione degli altri come anche di coloro che ci sperano: il banchiere e l'industriale che traggono profitto dalle tasse che raccolgono, l'agricoltore che è pagato per non coltivare, la madre con i "pasti gratis", la moltitudine di supplicanti di privilegi speciali. E' la libertà quella che vogliono? Difficilmente. Le responsabilità della libertà sono in conflitto con la legge della parsimonia.

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Un'ultima parola, per gli americani che hanno una propensione per il lungo termine e la speranza "di fare qualcosa". Sostenitori con la speranza che una Società che ha gestito i propri affari con un minimo di moderazione esterna sia ancora viva nella memoria. Anche se lo Stato Americano è andato molto lontano nello stabilire il suo dominio sulla Società Americana, è ancora in lotta col folklore della libertà che potrebbe essere in grado di ostacolare il progresso dello Stato invocando questa tradizione.

Dopo tutto, questo è un paese giovane; la documentazione dei suoi inizi è ancora viva, infatti gli uomini in vita possono richiamare le lotte dello Stato per raggiungere la sua attuale posizione. Se l'entusiasmo originale per la libertà può essere ravvivato, potrebbe essere possibile a limitare il potere politico prima che divori completamente il potere sociale. Vale la pena provare.

Nella tradizione, per iniziare, c'è la dottrina dei diritti dello Stato. E' una dottrina decentralizzante, intesa a mantenere il potere politico contenuto e sbilanciato. Sebbene sia stata solo raramente invocata sin dalla formazione dell'Unione, e solo per alcuni scopi temporanei e fallaci, la sua idea originale di mantenere il potere politico sotto stretta sorveglianza e supervisione ha efficacia.

E' negli interessi degli establishment politici dei diversi stati impedire la loro fagocitazione da parte dell'autorità centrale, anche se ai vecchi tempi i leader locali tenevano un occhio vigile sul potere crescente del re. Se questa preoccupazione per l'autonomia locale può essere ravvivata, la tesi per la libertà non sarà compeltamente perduta.

Il direzionamento verso la centralizzazione iniziò molto tempo prima che lo Stato Americano acquisisse il potere di tassare i guadagni, ma questo strumento fornì il mezzo per ridurre gli Stati a mere suddivisioni amministrative; poiché si davano all'autorità centrale i mezzi finanziari per comprare il servilismo delle autorità locali. Di conseguenza non può essere fatto nulla per ripristinare l'equilibrio tra i due, a meno che non venga abrogato il Sedicesimo Emendamento della Costituzione.

Ma, mentre questo scopo politico richiede l'abrogazione dell'emendamento, esiste una ragione ben più fondamentale. E' che il potere di tassare i guadagni viola il diritto di proprietà, che sottolinea i sacri diritti di "libertà, vita e ricerca della felicità".

E' sciocco parlare di libertà fintanto che lo Stato può mettere le sue mani sui guadagni del produttore; a meno che l'individuo abbia la prerogativa del possesso, del diletto e dell'allocazione di tutta la sua produzione, senza ostruzioni, il suo status è inferiore a quello di un uomo libero; più gli viene preso, più si avvicina allo status di schiavo. E' interessante notare che l'emendamento non pone limiti all'ammontare che lo Stato può confiscare.

Pertanto, se il progresso dello Stato americano verso il soggiogamento della Società Americana debba essere fermato, il suo potere di tassare i guadagni deve essere abolito. Ma ciò può essere fatto solo se "l'assenza di vincoli" prende il sopravvento sul "qualcosa in cambio di niente" nella scala dei valori umani. La volontà per la libertà viene prima della libertà stessa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Nella tradizione economica classica era sempre la classe debitrice che invocava denaro "a basso costo". Ora scopriamo che l'industriale e, a volte, la folla finanziaria guardano con favore all'inflazione "controllata". Vale la pena esplorare questo fenomeno.

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venerdì 9 settembre 2011

La Psicologia della Classe Politica


"Facendo riferimento ad uno Stato fondato in un qualsiasi luogo, facendo riferimento alla sua storia in un qualsiasi momento, è impossibile per chiunque differenziare le attività dei suoi fondatori, dei suoi amministratori e dei suoi beneficiari da quelle di una classe criminale professionista." ~ Albert Jay Nock, Our Enemy the State

[Out of Step (1962). Un file audio MP3 di questo articolo, narrato da Colin Hussey, è disponibile per il download.]
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di Frank Chodorov


E' una grave esagerazione dire che tutti i politici sono "deviati". La percentuale di disonestà — l'uso spregiativo con cui si fa uso di tale parola — non è maggiore tra coloro che vanno in politica rispetto a mercanti, dottori, o agricoltori. Suppongo che i funzionari delle corporazioni siano probabilmente più arrendevoli alla tentazione di dollari facili rispetto ai funzionari che posseggono una carica ufficiale, semplicemente perché solo gli azionisti ne sono influenzati e probabilmente non farebbero storie su peculati minori se entrano regolarmente in possesso dei loro dividendi. Dall'altro canto, se un giornalista agguanta la notizia che una parente del funzionario pubblico abbia accettato una pelliccia derivata da una tassa criminale, i successivi titoli dei giornali daranno l'impressione che non ci si possa fidare di nessuno nella vita pubblica con un corposo conto in banca. Ciò non è vero; si può farlo senza dubbio.

La parola "deviato" è applicabile a tutti i politici in un senso completamente differente, ma è un senso con cui questa parola non è stata mai usata. Voglio dire che è semplicemente impossibile per qualcuno immerso nel gioco politico pensare normalmente o "chiaramanete" — supponendo che la mente non-politica possa essere così descritta. Se accettiamo come normali i processi di pensiero di coloro che ci spendono una vita nel mercato — lo stenografo, il banchiere, o il redattore — allora le tergiversazioni della mente politica devono essere considerate anormali o "deviate".

Arrivando al punto, la psicologia dei politici è ovviamente abbastanza differente rispetto a quella del produttore di tutti i giorni, ed è questa differenza che dovrebbe essere esplorata se si vuole comprendere la politica. Noi Americani, che parliamo così tanto di affari politici, non sapremo mai quello di cui stiamo parlando finché non prendiamo in considerazione il fenomeno della psicologia politica.

Per illustrare cosa intendo e non invocare paragoni insidiosi, dobbiamo presumere che ci sia una psicologia politica. Diamo per scontato che il delinquente recidivo abbia una mentalità "contorta", supponendo, ovviamente, che noi che siamo timorosi di violare la legge siamo totalmente sani. Allo stesso modo, dovremmo valutare le contraddizioni e le inconsistenze del pensiero politico come un azzardo professionale. Finché non lo facciamo, o finché la psicologia non avanza un'analisi precisa della mente politica, non saremmo mai in grado di trovare un senso alle stranezze dell'azione politica, e l'aria politica in cui siamo obbligati a vivere continuerà ad essere pregna di confusione.

Credo che lo studio psicologico suggerito dovrebbe iniziare con la premessa che la mente politica sia una caratteristica acquisita. Proprio come non c'è alcuna prova di una mentalità criminale intrinseca, così dobbiamo presumere che il politico era abbastanza "normale" prima che iniziasse a fare politica. In entrmabi i casi, la condizione ambiantale è la causa principale, sebbene si possa insinuare la tesi secondo cui sia il politico che il criminale abbiano iniziato la vita con una predisposizione per i loro rispettivi modelli di vita.

Così, la psicologia deve dare uno sguardo alla scienza politica e chiedersi: qual'è il pensiero nel mondo che produce la mentalità in questione? La risposta è ovvia. Il mondo gira intorno al fare ed imporre le leggi — nient'altro. Il cittadino ordinario, che è considerato normale semplicemente perché è nella maggioranza, vive dentro la legge. Il criminale vìola la legge e vive al di fuori di essa. Il politco è differente poiché la sua struttura di pensiero è modellata dietro la legge. Questi tre ambienti sono distinguibili in relazione alla legge; le abitudini mentali acquisite in ogni ambiente sono necessariamente indigene tra di loro.

E' sicuro che tutte e tre le categorie di persone hanno un comune denominatore: la necessità di guadagnarsi da vivere. Questo è il punto di partenza di tutti gli sforzi umani. La maggior parte di noi, ovviamente, è destinata a guadagnarsi da vivere producendo beni e servizi, e deve pertanto rispettare le regole del mercato. Non siamo preoccupati della legge, tranne se favorisce o sfavorisce il nostro scopo principale. Siamo inclini a fare aggiustamenti — vivere entro la legge — semplicemente perché è il modo più semplice per andare d'accordo. E da questi aggiustamenti sviluppiamo certi modelli di pensiero convenienti, o regole di atteggiamento, che ci sembrano essere "principi" immutabili.

Per esempio, noi del gruppo "normale" dichiariamo che "l'onestà è la migliore politica". Forse lo è, forse non lo è, ma l'esperienza ci dice che se pratichiamo abitualmente la disonestà perdiamo il favore dei nostri cncittadini e guadagnarsi da vivere diviene più difficile. Lo scopo del macellaio, del panettiere e del fabbricatore di candelieri è di prendere di più dalla vita, e sebbene la tendenza è quella di cavarsela con la minore spesa in lavoro, la competitività del mondo in cui operano li obbliga a dare tanto quanto ricevono, ed è da questa necessità che viene il sopracitato "principio".

Nel guadagnarsi da vivere al di fuori della legge — il mondo criminale — prendono forma altri "principi". Per la mente criminale, il "bene" più alto è l'acquisizione della proprietà delle altre persone cercando di non essere arrestato. Pertanto, l'aristocratico in questo mondo è il capo di una folla o di un'associazione, che opera sotto copertura della protezione politica; sebbene in realtà sia solo un borseggiatore, raggiunge lo status di "pezzo grosso" a causa del minimo rischio che prende. Così, si potrebbe dire che il primo "principio" del mondo criminale è "cavarsela". E, dovrebbe essere notato, che il criminale non trova alcuna differenza morale tra il suo modo di guadagnarsi da vivere e quello del cittadino ordinario o del politico; per lui tutto l'esercizio d'impresa è un "racket", con la sola differenza che alcune forme di "racket" sono legali ed altre no. Ecco come pensa.

Alcuni anni fà un'osservazione accidentale su un banale incidente mi ha dato da pensare sulla mente politica. Stavo in una macchina guidata da un capitano di polizia, in abiti civili, e dal momento che avevamo fretta egli prestò scarsa attenzione al codice della strada. Due tirapiedi della legge si accostarono a noi per fare il loro compito e da lì ogni volta che penso al mondo dietro la legge mi viene in mente il capitano che mostra il suo distintivo. La deferenza mostrata al distintivo, anche se i vigili urbani erano sotto la giurisdizione di un altro stato, indicava una tacita comprensione tra i poliziotti che fa riferimento ad una consapevolezza di classe.

Cosa differenzia il mondo dietro la legge dagli altri due? Semplicemente questo, che è interessato interamente all'acquisizione di potere sulle persone, criminali oppure ordinarie; il suo solo interesse è l'esercizio del monopolio della coercizione di cui gode. Noi che siamo dall'altra parte della barricata parliamo del governo — il nome che diamo a quel mondo — come se fosse un servizio specializzato, come quello del medico o del negoziante al dettaglio. Non lo è. Nessuno dei serivizi che compone il nostro tipo di mondo gode della prerogativa di regolare gli altri; forniamo sia un servizio di un certo tipo o ne soffriamo le conseguenze. Il governo, dall'altra parte, è completamente al di fuori del campo competitivo e non prospera in proporzione al servizio che fornisce ma in proporzione al potere che esercita.

Di conseguenza, l'investigazione psicologica proposta si deve applicare ad uno studio sulla natura del potere politico in modo da accertarsi di come il suo esercizio influisca sul pensiero di coloro che lo brandiscono. Cosa crea quel peculiare comportamento comune tra lo sceriffo di contea ed il funzionario nazionale? La psicologia potrebbe senza dubbio trovare un nome per il comportamento — suggerirei "complesso di potere" — ma nel frattempo potremmo descriverlo come una fissazione: il "bene" supeirore è la regolamentazione, il controllo ed il dominio. Il "principio" che si evolve da questo comportamento è che la "legge è suprema", ovvero che coloro che fanno ed impongono la legge sono supremi.

Noi della struttura di pensiero "normale" non sappiamo cosa fare semplicemente perché non facciamo sconti per questo comportamento. Ci aspettiamo un governo gestito come un'impresa — come la TVA o l'ufficio postale — che venga gestito efficientemente, senza un deficit. Ma l'efficienza in un'impresa pubblica non è il riflesso di un'organizzazione gestita secondo profitti/perdite; si ripresenta alle urne. Siamo inclini ad applicare le teorie economiche alle operazioni del governo; ma la sola economia "sensata" che un politico conosce è quella di rimanere in carica oppure farsi eleggere. Un cittadino produttivo sa che vivere oltre i propri guadagni è una atto di bancarotta; il governo, che ha un monopolio sulla produzione di denaro, non può andare in bancarotta e pertanto è tranquillo quando finanzia a deficit. L'elettore pensa che vota per un principio o una politica; il politico sa meglio.

In breve, il modello di pensiero dietro la legge è differente da quello che scaturisce dal mondo "normale" dei cittadini rispettosi della legge, o dal mondo "anormale" dei criminali. Potrebbe o non potrebbe essere psicopatico, ma è diverso.

Lo piscologo troverebbe sicuramente un numero di gradazioni e variazioni di questo "complesso di potere". Proprio come il ladro meschino ed il contraffattore sono su piani mentali differenti, sebbene la loro considerazione della vita è simile, così c'è una differenza marcata negli atteggiamenti dell'ispettore della dogana e del governatore di stato. Forse la differenza è commisurata al livello di potere esercitato da ognuno. Ma, sono incline a credere che i processi di pensiero del burocrate e del funzionario eletto siano così distinti nella tipologia da costituire una classificazione più grande.

La prima cosa che colpisce quando si viene a contatto con un funzionario nominato è la sua peculiare mescolanza di arroganza e servilismo. Verso il suo superiore, il suo benefattore, mostra una deferenza che non è diversa da quella di un lacchè, mentre verso il popolo il suo atteggiamento è altezzoso e condiscendente; egli è il governo, mentre loro sono il popolo. Forse una comprensione inconscia della sua totale inutilità, della sua posizione parassitaria nella vita, causa al burocrate di atteggiarsi a pallone gonfiato. Ad ogni modo, è una caratteristica inequivocabile di tutti i burocrati, perfino dei modesti addetti alla reception che selezionano quelli fuori nel mondo a cui può essere permesso di entrare nel santuario del loro superiore.

Il funzionario eletto, dall'altro lato, è un pò più complesso. Spesso la sua mente funzionerà quasi come quella dei suoi elettori e sembrerà assolutamente "normale". Forse è così perché la sua dipendenza dai voti non lo separa completamente dal mondo entro la legge; è obbligato a mantenere un tocco con esso. Tuttavia, se esaminate il suo pensiero più da vicino scoprirete che lui ed i suoi elettori sono mondi differenti. Pensano che sia un uomo che rappresenti i loro interessi, mentre sa nel suo cuore che il suo interesse è essere eletto, o rieletto, e per questo fine trova conveniente che essi pensino che lui sia uno di loro; pensa solo a riempirsi le tasche, sempre.

In ogni caso, questo è un soggetto che alcuni psicologi intraprendenti dovrebbero investigare. Renderebbero al mondo un grande favore se scavassero nella mente politica e troverebbero delle risposte.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/