mercoledì 19 febbraio 2025

I costi delle nuove normative europee sulle compagnie aeree verranno scaricati sui consumatori

Gli stati sono quelli che alimentano l'inflazione dei prezzi. Nessuna corporazione, compagnia aerea o produttore di gas presumibilmente malvagi possono far salire i prezzi aggregati (da rotolarsi per le scale dalle risate quando i burocrati europei straparlano di competitività nell'aviazione pubblica citando Airbus, soprattutto alla luce dell'articolo di oggi). Le banche centrali non stampano denaro perché lo vogliono; aumentano l'offerta di denaro per assorbire la spesa pubblica in deficit. L'inflazione è una tassa nascosta, un lento processo di nazionalizzazione dell'economia e il modo perfetto per aumentare le tasse senza far arrabbiare gli elettori e incolpare le aziende private nel frattempo. Perché gli stati dovrebbero volere prezzi più alti? Perché dà loro più potere. Distruggere la valuta che emettono è una forma perfetta di controllo. Ecco perché hanno bisogno di più debito e tasse più alte. Le tasse alte non sono uno strumento per ridurre il debito, ma piuttosto per giustificare l'aumento dell'indebitamento pubblico. Per quanto si possa propagandare che lo stato ha la possibilità di prendere in prestito illimitatamente, è falso. Non può emettere tutto il debito che vuole: ha un limite inflazionistico, economico e fiscale. L'inflazione è un segnale di avvertimento di un calo della fiducia nella valuta e di una perdita di potere d'acquisto. Il limite economico è evidenziato da una crescita inferiore, da una minore occupazione, da salari reali più deboli, da una stagnazione e da una domanda estera in calo per il debito pubblico. Il limite fiscale è evidenziato da spese per interessi alle stelle anche con tassi bassi, entrate più deboli ogni volta che aumentano le tasse e cittadini/aziende che lasciano il proprio Paese per sistemi fiscali più favorevoli, tutti fattori che si aggiungono all'effetto moltiplicatore negativo o povero della spesa pubblica. Se si vogliono prezzi più bassi, bisogna dare meno potere economico agli stati, non di più.

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di Jack Watt

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/i-costi-delle-nuove-normative-europee)

I legislatori europei hanno creato una nuova regolamentazione per il settore dell'aviazione. ReFuelEU Aviation impone l'uso di carburanti sostenibili per l'aviazione (SAF) e vieta il trasporto di carburante in cisterne, una pratica comune a livello globale. È l'ennesima iniziativa legata al clima che ostacolerà l'industria locale, aumenterà i prezzi e ridurrà la scelta per i consumatori.


Carburante economico in uscita, carburante costoso in entrata

La spinta principale è quella di aumentare l'uso di carburanti sostenibili per l'aviazione (SAF), i quali sono incredibilmente costosi. Per citare una stima prudente, i SAF sono circa il 250% più costosi del carburante convenzionale. Ciò è a dir poco allarmante perché i costi del carburante in genere costituiscono il 25-30% dei costi totali di una compagnia aerea.

Con l'obiettivo di ridurre i costi, la nuova legge mira a “ridurre i rischi” dello sviluppo: impone requisiti sull'uso di SAF, dal 2% nel 2025 al 70% nel 2050, e concede condizioni di finanziamento favorevoli ai produttori. Avranno accesso ai fondi raccolti tramite i “green bond” dell'UE e gli investimenti dal bilancio europeo, a sua volta raccolti tramite la tassazione degli stati membri. Alcuni fondi proverranno anche dalle entrate generate da un altro onere: l'Emissions Trading Scheme (ETS), a cui le compagnie aeree che hanno voli all'interno dello Spazio economico europeo (SEE) e del Regno Unito sono obbligate a partecipare (l'ETS del Regno Unito è leggermente diverso ma ampiamente allineato: resta da vedere se accadrà qualcosa di simile con ReFuelEU).


Divieto al trasporto extra di carburante

Il fuel tankering è il caso in cui un operatore di aeromobili carica carburante extra su un volo specifico allo scopo di evitare, o ridurre, la quantità di carburante necessaria per il ritorno o la tratta successiva. A volte il costo del trasporto del peso extra è più che compensato dai costi più elevati del carburante all'aeroporto di destinazione. Ma i legislatori hanno deciso che poiché il peso extra comporta più emissioni, deve essere vietato su tutti i voli in arrivo o in partenza dall'UE. Questa è una logica curiosa, poiché significa che il peso extra che riduce i costi viene trattato in modo diverso dal peso extra che aumenta i ricavi (passeggeri e merci), nonostante entrambi comportino più emissioni.

Eurocontrol ha stimato che il 21% dei voli effettua la suddetta pratica in una certa misura. Ciò non sorprende, poiché i prezzi del carburante possono variare fino al 55% in Europa: si consideri il costo per portare il carburante per aerei a un'isola greca o a un aeroporto rurale (e il gasolio bruciato per portarlo lì!). La capacità di trasportare carburante extra assicura che i relativi fornitori affrontino una curva di domanda elastica. Per gli aeroporti con un unico fornitore, come molti aeroporti rurali e remoti, ora diventa anelastica al punto che le compagnie aeree smettono del tutto di servire quegli aeroporti.


Cosa significa questo per gli operatori?

L'effetto di questa linea di politica dipende dal modello di business della compagnia aerea. Ad esempio, che tipo di aeroporti serve, quanto durano i suoi voli e qual è la sua concorrenza?

Ricordate che i grandi hub hanno generalmente un panorama più competitivo rispetto agli aeroporti regionali, i quali possono avere un solo fornitore di carburante. Ciò significa che gli operatori point-to-point saranno più colpiti rispetto agli operatori hub. I primi sono generalmente i vettori low-cost, che operano più frequentemente verso aeroporti secondari e regionali che tendono ad avere prezzi del carburante meno competitivi.

Un altro fattore è che il costo del trasporto di carburante extra aumenta con la lunghezza del volo, quindi sono necessarie differenze di prezzo crescenti per giustificare il rifornimento di carburante man mano che aumenta la lunghezza del volo. Tra le compagnie aeree dell'UE una percentuale maggiore di voli dei vettori low-cost hanno tratte più brevi, sebbene anche le “major” abbiano operazioni a corto raggio. Le major dell'UE hanno un problema che le compagnie low-cost intra-europee non hanno, però: nel mercato a lungo raggio competono con gli operatori che collegano i passeggeri dal loro hub non-UE, in particolare le major del Golfo e degli Stati Uniti. Poiché solo la tratta UE è interessata da questa nuova legislazione, le compagnie UE che offrono voli diretti sono svantaggiate rispetto a quelle che offrono collegamenti tramite hub non-UE.

Vale la pena notare che questo non è il primo vantaggio relativo concesso ai vettori extra-UE dai legislatori europei. Le compagnie aeree UE e del Regno Unito hanno un'esposizione maggiore all'ETS, che è 25 volte più costosa dell'equivalente internazionale, chiamata CORSIA. Inoltre diverse nazioni applicano anche l'Air Passenger Duty, che viene imposto all'intera attività di una compagnia aerea con sede nelle nazioni interessate e tende a essere maggiore per i voli diretti più lunghi rispetto a quelli che si collegano tramite un hub intermedio.

Infine significa anche nuovi costi amministrativi. Ci sono molte ragioni per cui i voli partono con più carburante di quanto richiesto dalla legge (il carico di carburante è un punto di sicurezza, prima di tutto) e si possono immaginare modi per fare rifornimento (almeno parzialmente) senza chiamarlo così.


Conclusione

In sintesi, l'aviazione dell'UE si trova ad affrontare notevoli venti contrari con i mandati SAF e il divieto di rifornimento. Mentre i primi rappresentano una minaccia maggiore per la redditività degli operatori di tutti i tipi, il divieto di rifornimento introduce immediati aumenti dei costi. Il grado di impatto sui singoli operatori dipende dal loro modello di business e dalla concorrenza e, sebbene i vettori nativi dell'UE siano gravati più dei loro omologhi non UE, nessuno ne trae vantaggio in termini assoluti. Come sempre, quando i regolatori gravano le industrie con nuovi termini, saranno i consumatori a pagarne il prezzo: prezzi dei biglietti più alti, meno concorrenza e meno scelta.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 18 febbraio 2025

L'ombra di Obama: lo Stato profondo e i suoi veri volti

Lo stop all'USAID è stato possibile grazie alla fine della dottrina Chevron, la quale ha permesso alle varie agenzie governative statunitensi di interpretare arbitrariamente le leggi “ambigue”. Ma anche forzare linee di spesa che il presidente poteva non voler approvare. Lo sfoltimento delle incrostazioni burocratiche segnerà anche la fine di tutti quei soldi che finivano nelle ONG, usati per plasmare il mondo secondo la visione di chi le indirizzava... e gli inglesi hanno sempre usato proxy in tal senso. Ovviamente non se ne andranno senza combattere, perché suddette incrostazioni di potere sono impermeabili al cambio di casacca delle amministrazioni e servono sostanzialmente due padroni (l'amministrazione corrente e chi li ha messi lì, o il gruppo politico di riferimento che li ha messi lì). Di conseguenza quando c'è un Musk che tramite il DOGE vuole efficientare la spesa pubblica statunitense, lo Stato profondo si innervosisce e sguinzaglia i propri agenti affinché il suo controllo non venga messo in discussione. Non c'è da stupirsi, sapevamo che sarebbe successo ed era una strada obbligata per raggiungere il risultato finale. Ritengo, nonostante ciò, che il progetto di snellimento della spesa pubblica andrà avanti, con nuovi compartimenti burocratici che remeranno contro e cercheranno di fermare la scure; a vantaggio della nuova amministrazione Trump c'è da dire che i cosiddetti disfattisti della prima ora, ovvero della sua prima amministrazione, sono stati quasi tutti fatti fuori e c'è gente determinata a fare pulizia nel sistema amministrativo americano. Non sarà facile ma verrà fatto, almeno in una percentuale sufficiente a riportare equilibrio.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lombra-di-obama-lo-stato-profondo)

Nel discorso politico contemporaneo il termine “Stato profondo” emerge spesso come termine generico per descrivere le incrostazioni burocratiche e le forze invisibili che plasmano la governance degli Stati Uniti. Washington DC è spesso raffigurata come l'epicentro di questo cosiddetto Stato profondo, dove le dinamiche di potere operano indipendentemente dai risultati elettorali.

Sebbene sia vero che la governance degli Stati Uniti è guidata da entità non elette e non responsabili, come i complessi militari e di intelligence, il concetto di “Stato profondo” può semplificare eccessivamente le complessità della governance a Washington DC. Può anche servire a deviare la responsabilità da coloro che sono maggiormente colpevoli dei danni inflitti al nostro Paese.

Lo Stato profondo può sembrare un'entità monolitica, tuttavia è, in realtà, una complessa rete di attori umani con ruoli attivi in una qualche agenzia governativa. Tra questi individui Barack Obama si distingue come una figura fondamentale, la cui influenza e la cui eredità hanno plasmato in modo significativo il panorama politico negli ultimi 17 anni.

In questo articolo esploreremo il suo ruolo determinante nel plasmare la politica degli Stati Uniti, non solo durante la sua presidenza, ma anche durante il primo mandato di Trump e la presidenza Biden (a volte indicati come il terzo e il quarto mandato di Obama), e come questa sfortunata era potrebbe ora avvicinarsi alla fine.


La rete nelle agenzie governative

Obama esemplifica il concetto di rete all'interno di ciò che di solito viene definito “Stato profondo”. La sua presidenza non solo ha portato a significative divisioni e cambiamenti politici, ma ha anche gettato le basi per una rete di fanatici lealisti e alleati ideologici, molti dei quali sono rimasti trincerati sia nelle istituzioni governative che in quelle non governative. Queste figure, molte delle quali sono ex-membri dell'amministrazione Obama, hanno minato la democrazia e la volontà del popolo in molteplici presidenze.

Gli sforzi post-presidenziali di Obama, come la sua difesa politica, il suo ruolo di mentore dei leader democratici emergenti e il fatto che sia stato il primo ex-presidente dopo il morente Woodrow Wilson a rimanere a Washington, evidenziano la sua influenza continua. A differenza della burocrazia senza volto tipicamente associata al termine “Stato profondo”, Obama incarna la realtà della sua vera natura: non un'entità monolitica, ma una rete di individui, come lui, che plasmano la politica e l'opinione pubblica, spesso da dietro le quinte.

Un esame più attento rivela che molti individui che hanno prestato servizio sotto Obama sono rimasti attivi in ​​ruoli governativi attraverso più amministrazioni. Le figure chiave dell'intelligence, della difesa e di altri settori critici spesso mantengono le loro posizioni o riemergono in ruoli diversi, rafforzando la percezione di una continuità non democratica nella governance americana.

Questo fenomeno non è esclusivo dell'amministrazione Obama. Washington ha assistito al riciclo di funzionari e consiglieri in diverse presidenze, dando origine a una classe di insider che opera con un alto grado di autonomia rispetto alla volontà del popolo. Ma Obama ha senza dubbio portato le cose a un nuovo livello. Ecco alcuni esempi.


I nomi permanenti a Washington

Antony Blinken è stato vice Segretario di Stato e vice Consigliere per la Sicurezza Nazionale sotto Obama prima di diventare Segretario di Stato sotto Biden. Ha continuato le disastrose linee di politica di Obama, che spaziavano dall'Iran all'Ucraina.

Jake Sullivan ha ricoperto vari ruoli di sicurezza nazionale sotto Obama prima di diventare National Security Advisor sotto Biden. Tra questi incarichi è stato fondamentale nel promuovere la bufala della collusione con la Russia. Sebbene non ricopra più una posizione governativa, sua moglie, Margaret Goodlander, ha prestato giuramento di recente come nuovo membro del Congresso.

Victoria Nuland ha alimentato la guerra in Ucraina nel 2014 quando era Assistente Segretario di Stato sotto Obama. In seguito è diventata Sottosegretario di Stato per gli Affari Politici sotto Biden. Anche lei ha avuto un ruolo chiave nel promuovere la narrazione fraudolenta della collusione con la Russia. Il marito della Nuland, Robert Kagan, è un commentatore presso la Brookings Institution ed è stato, fino a poco tempo fa, un fervente anti-Trump sul Washington Post.

Susan Rice è passata da Consigliere per la sicurezza nazionale e Ambasciatrice delle Nazioni Unite sotto Obama a Direttrice del Consiglio per la politica interna nell'amministrazione Biden. La Rice ha tentato di nascondere il coinvolgimento di Obama nell'armare il governo americano contro Trump attraverso la bufala della collusione con la Russia, in particolare il ruolo di Obama nel licenziamento del generale Michael Flynn.

Mary McCord è stata Procuratore generale aggiunto sotto Obama, una posizione che ha permesso anche a lei di avere un ruolo nel promuovere la narrazione della collusione con la Russia. In seguito è diventata consulente legale della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti durante la farsa dell'inchiesta sui datti del 6 gennaio. Più di recente ha cercato di ostacolare le nomine di Pam Bondi a Procuratore generale e di Kash Patel a Direttore dell'FBI. Suo marito, Sheldon Snook, ha lavorato per il giudice capo John Roberts dal 2014 al 2020. A dicembre 2020 ha scritto un articolo anti-Trump sul The Atlantic.

Lisa Monaco, un'altra mistificatrice della collusione con la Russia, è stata Consigliere per la sicurezza interna sotto Obama ed è diventata vice Procuratore generale sotto Biden. Ha guidato la campagna del Dipartimento di Giustizia contro Trump e i manifestanti del 6 gennaio.

John Carlin ha ricoperto un ruolo nella sicurezza nazionale sotto Obama ed è tornato nell'amministrazione Biden come Procuratore generale aggiunto per aiutare la Monaco a perseguire il programma di Obama in materia di diritto.

Janet Yellen è passata da Presidente della Federal Reserve sotto Obama a Segretaria del Tesoro durante l'amministrazione Biden.

Ron Klain è passato dall'essere capo dello staff del vicepresidente Biden a capo dello staff della Casa Bianca sotto Biden.

John Kerry è stato Segretario di Stato sotto Obama e inviato speciale del presidente per il clima sotto Biden.

Denis McDonough è passato dall'essere capo dello staff della Casa Bianca sotto Obama a segretario per gli Affari dei veterani sotto Biden.

Samantha Power, ambasciatrice delle Nazioni Unite sotto Obama, è diventata amministratrice dell'USAID sotto Biden.

Jen Psaki ha lavorato come vice addetta stampa e portavoce del Dipartimento di Stato sotto Obama, prima di diventare addetta stampa della Casa Bianca sotto Biden.

Amos Hochstein, che aiutò Hunter Biden a nascondere i legami corrotti della sua famiglia in Ucraina, era l'inviato speciale di Obama per gli affari energetici. È stato ricompensato con un ruolo simile sotto Biden.

Alejandro Mayorkas è stato direttore dei Servizi per la cittadinanza e l'immigrazione degli Stati Uniti e vicesegretario alla sicurezza interna sotto Obama, prima di diventare Segretario alla sicurezza interna sotto Biden.

David Shulkin è stato Sottosegretario agli Affari dei veterani sotto Obama prima di ricoprire l'incarico di Segretario agli Affari dei veterani sotto Trump, fino al suo licenziamento definitivo nel 2018.

Norm Eisen è passato senza soluzione di continuità dai suoi ruoli nell'amministrazione Obama, tra cui quello di ambasciatore in Repubblica Ceca, alla guida di operazioni contro Trump presso organizzazioni di facciata dell'establishment come la Brookings Institution.

Altri, come i due principali funzionari dell'intelligence di Obama, John Brennan e James Clapper, potrebbero non aver ricoperto ruoli ufficiali nelle amministrazioni successive, ma sono stati inseriti in importanti organi di stampa tradizionali (Brennan alla NBC e Clapper alla CNN) dove potevano dare forma al dibattito pubblico. Non sorprende che siano stati questi due uomini a guidare la famigerata  campagna dell'intelligence che affermava falsamente che il laptop di Hunter Biden era disinformazione russa. Le loro azioni hanno avuto un ruolo fondamentale nel minare le possibilità di Trump alle elezioni del 2020.

Ci sono molti altri nomi, tra cui personaggi come Anthony Fauci, che facevano parte del governo non eletto prima della presidenza di Obama e hanno mantenuto i loro incarichi anche dopo.

Potremmo continuare, ma il punto è chiaro: la Washington permanente non è una “macchia” senza volto, ma una rete di élite interconnesse.


Trump

La presidenza di Donald Trump, caratterizzata dal suo status di outsider, ha posto una sfida significativa a questo ordine costituito. La sua elezione nel 2016 è stata vista da molti come una rivolta populista contro le élite radicate di Washington. Tuttavia i meccanismi dello Stato profondo, o più precisamente, le incrostazioni burocratiche e le reti di lunga data, si sono dimostrati resilienti e pericolosamente efficaci. Non ha aiutato il fatto che molti degli individui sopra menzionati, insieme ad altri, siano rimasti a Washington in ruoli governativi o quasi governativi, lavorando attivamente per minare la prima presidenza Trump.

Il secondo mandato di Trump rappresenta un'opportunità unica per sfidare il sistema consolidato e potenzialmente apportare cambiamenti radicali nel panorama politico. Se sarà in grado di interrompere in modo permanente la continuità delle élite di Washington, o semplicemente causare un temporaneo cambiamento di potere, rimane incerto.

La sfida è certamente formidabile. L'inerzia istituzionale è profonda e le sofisticate reti di influenza, costruite nel corso di decenni con personaggi come Obama al timone, sono saldamente radicate, così come i complessi militari e di intelligence che operano dietro le quinte politiche. Il primo passo è assumere le persone giuste e su questo fronte sembra che le cose stiano andando nel verso giusto.

Non ci sarà un quinto mandato per Obama, almeno non per un po'. Il velo è stato sollevato e i repubblicani non cadono più negli stessi inganni. Anche la posizione politica di Obama ha subito un duro colpo dal suo sostegno alla candidatura disastrosa di Kamala Harris. Tuttavia ciò non significa che non tenterà di ritornare. La sua cordiale interazione con Trump al funerale del presidente Carter allude a un possibile complotto.

Anche se il nostro incubo nazionale potrebbe concludersi con l'uscita di scena di Biden e Obama, almeno per ora, dobbiamo restare vigili per garantire che la storia non si ripeta.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 17 febbraio 2025

L'economia europea rallenta mentre cresce lo stato sociale

 

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Mihai Macovei

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/leconomia-europea-rallenta-mentre)

I Paesi europei hanno i più grandi stati assistenziali dell'OCSE e tra i più alti al mondo. Allo stesso tempo il dinamismo economico dell'Europa è svanito e i leader europei sono sempre più preoccupati a riguardo. Secondo Christine Lagarde, presidente della BCE, il modello sociale europeo è a rischio a meno che non si risolva il persistente declino della crescita. In una relazione recente Mario Draghi chiede con forza riforme e investimenti per rafforzare la crescita della produttività, mantenendo intatto lo stato assistenziale sovradimensionato del continente. Per gli economisti della Scuola Austriaca, questo suona come avere la botte piena e la moglie ubriaca, perché le questioni della crescita economica e della ridistribuzione del reddito sono intrinsecamente collegate.

 

Il problema dell'Europa con la crescita anemica

La Lagarde riconosce che l'Europa è indietro rispetto agli Stati Uniti in termini di crescita della produttività. Di fronte al rapido progresso dell'innovazione, l'UE è rimasta bloccata nella “trappola della tecnologia intermedia”, mentre gli Stati Uniti e la Cina stanno guidando la rivoluzione digitale. L'Europa sta rimanendo indietro nelle tecnologie emergenti come i microchip, l'intelligenza artificiale e i veicoli elettrici e solo quattro delle prime 50 aziende tecnologiche al mondo sono europee.

La relazione di Draghi su “Il futuro della competitività europea” rivela che la crescita economica è stata inferiore nell'UE rispetto agli Stati Uniti negli ultimi due decenni. Il divario sfavorevole UE-USA in termini di PIL a prezzi costanti è raddoppiato da circa il 15% nel 2002 al 30% nel 2023. Circa il 70% del divario è stato causato da una minore produttività nell'UE (Grafico 1). Inoltre le prospettive di crescita dell'Europa non sono buone. Il continente gode di un'apertura commerciale relativamente elevata, ma ora deve affrontare una forte concorrenza da parte degli esportatori cinesi e potenziali dazi dagli Stati Uniti. In aggiunta le aziende dell'UE sono gravate da elevati costi energetici e i Paesi europei dovranno probabilmente spendere di più per la difesa, aggiungendo questi numeri a una spesa pubblica già elevata.

Grafico 1: Produttività del lavoro UE & USA

Fonte: Il futuro della competitività europea: relazione di Mario Draghi

Le soluzioni proposte da Draghi per stimolare la crescita della produttività e l'innovazione hanno poco a che fare con l'aumento della libertà economica. Esse mirano principalmente a centralizzare e rafforzare l'intervento statale e a mantenere in piedi il massiccio stato sociale.

Draghi chiede una nuova strategia industriale per l'Europa che dovrebbe essere coordinata a livello UE. Potrebbe aiutare a superare l'attuale divisione tra linee di politica e fonti di finanziamento tra i Paesi, ma non può risolvere il problema dell'allocazione inefficiente delle risorse e dei cattivi incentivi che le politiche industriali comportano. In modo simile la decarbonizzazione e la cosiddetta energia pulita non possono ridurre gli attuali costi energetici elevati senza un costo economico. Gli attuali impianti di produzione basati sui combustibili fossili sono più economici e la loro sostituzione aumenterebbe il costo di fare impresa.

La relazione sostiene inoltre che il rapporto investimenti/PIL dell'UE dovrebbe aumentare di circa €800 miliardi, o 5 punti percentuali del PIL all'anno, il che richiederebbe ingenti sussidi pubblici. Draghi sostiene la creazione di un asset sicuro comune, finanziato dal debito europeo congiunto. Sebbene più economico, il debito mutualizzato si aggiungerebbe comunque a un debito già elevato.

 

Uno Stato sociale grande e inefficiente

Al culmine della crisi dell'Eurozona nel 2012, la cancelliera tedesca Angela Merkel disse che gli stati sociali europei erano troppo grandi, poiché l'Europa rappresentava il 7% della popolazione mondiale, un quarto del PIL globale e il 50% della spesa sociale globale. Nel frattempo la situazione non è migliorata e la spesa sociale in molti Paesi europei ha superato di cinque-dieci punti percentuali la media OCSE (21% del PIL nel 2022). Secondo l'OCSE la spesa sociale pubblica in Francia, Finlandia, Danimarca, Belgio e Italia è vicina al 30% del PIL, trainata da pensioni, spesa sanitaria e altri trasferimenti sociali come indennità di disoccupazione, indennità di invalidità e assegni per i figli (Grafico 2).

Grafico 2: Spesa sociale pubblica (% del PIL)

Fonte: dati OCSE [OCSE]

Nonostante le sue dimensioni il modello sociale europeo è piuttosto inefficiente. La grande spesa per la protezione sociale nelle economie dell'UE non si traduce necessariamente in una riduzione della povertà. Secondo la Brookings Institution questo è particolarmente il caso delle economie dell'Europa meridionale, come Spagna, Grecia, Italia e Portogallo, dove la spesa sociale è piuttosto elevata, ma la copertura dell'assistenza sociale del 20% più povero della popolazione è relativamente bassa. Al contrario, i piccoli stati assistenziali dell'Europa centrale e orientale spendono circa la metà, ovvero meno del 15% del PIL, per la protezione sociale, ma ottengono una migliore copertura degli strati più poveri della popolazione.

Il Manhattan Institute fa un ulteriore passo avanti e sostiene che gli stati assistenziali in Europa non stanno aiutando i lavoratori poveri. I programmi universali di “assicurazione sociale” che consentono a tutti i membri della società di vivere uno stile di vita da classe media durante i periodi di disoccupazione, malattia o pensione, sono finanziati dalla maggior parte dei Paesi europei attraverso tasse piuttosto elevate sui salari e sui consumi. Negli stati assistenziali più grandi dell'UE i lavoratori a tempo pieno più poveri sono contribuenti netti, i quali sovvenzionano chi non lavora, cosa che non accade negli Stati Uniti. In Paesi come Germania, Danimarca e Paesi Bassi, la metà più povera della popolazione paga una quota molto più alta del proprio reddito in tasse rispetto al decimo più ricco. Ciò distorce gli incentivi al lavoro e rende tutti più poveri.


L'errore assistenzialista di Draghi

È un pio desiderio credere che il problema della crescita dell'UE possa essere risolto senza prima ridimensionare il sistema dispendioso di ridistribuzione del reddito dai lavoratori ai non lavoratori e ridurre l'onere fiscale. La spesa pubblica complessiva in Europa è anche tra le più grandi al mondo, circa il 50% del PIL. Più alto è il livello di spesa pubblica in percentuale del PIL, maggiore è l'onere fiscale complessivo, che sarà in gran parte distribuito dai ricchi alla classe media e a coloro che hanno mezzi modesti.

Nel suo capolavoro “Human Action” Ludwig von Mises confutò la fallacia secondo cui produzione e distribuzione sono due processi economici separati e indipendenti. Secondo gli economisti mainstream quando la produzione di beni e servizi è giunta a saturazione, lo stato può intervenire per garantire una distribuzione più “equa” del reddito nazionale tra i membri della società. A quanto pare ciò non peserebbe sulla produzione economica che è percepita come indipendente dalla successiva ridistribuzione pubblica dei redditi. Ecco perché la Lagarde e Draghi credono che l’Europa possa aumentare le sue performance di crescita indipendentemente dal modello sociale. Ma questo è sbagliato.

In un'economia di mercato, beni e servizi nascono come proprietà di qualcuno e se lo stato vuole ridistribuirli, deve prima confiscarli. Gli stati possono facilmente invadere i diritti di proprietà privata, ma questo non può rappresentare una solida base per una crescita economica sostenibile. Secondo Mises gli investimenti e l'accumulo di capitale si fondano sull'aspettativa che i loro frutti non vengano espropriati. Senza questa garanzia le persone preferirebbero consumare il loro capitale invece di salvaguardarlo per gli espropriatori. Le persone ridurrebbero i risparmi e gli investimenti e gli imprenditori correrebbero meno rischi. I lavoratori lavorerebbero meno ore e godrebbero di più tempo libero se guadagnassero meno su base netta. Ciò deprimerebbe la crescita economica e gli standard di vita sia per i ricchi che per i poveri.

Gwartney, Holcombe e Lawson lo hanno dimostrato empiricamente. Poiché la dimensione della spesa pubblica è quasi raddoppiata in media nei Paesi OCSE dal 1960 al 1996, la loro crescita del PIL reale è scesa di quasi due terzi in media. Inoltre i peggiori performer sono stati alcuni Paesi dell'Europa meridionale che hanno visto aumentare di più la dimensione dello stato (Grafico 3).

Grafico 3: Spesa pubblica e crescita economica nei Paesi OCSE

Fonte: James Gwartney, Randall Holcombe e Robert Lawson, (1998), L'ambito dello stato e la ricchezza delle nazioni, Cato Journal, 18, (2), 163-190.

La lenta crescita economica dell'Europa, la scarsa produttività e la scarsa innovazione sono solo sintomi dell'eccessiva spesa pubblica e dello stato sociale. In un breve commento alla relazione di Draghi, Blanchard e Ubide notano che i Paesi non devono necessariamente essere leader nell'innovazione per prosperare. Possono usare le innovazioni degli altri e continuare a produrre prodotti competitivi. Ma, secondo Mises, questo può accadere solo se gli stati consentono ai mercati di funzionare liberamente e non soffocano l'imprenditorialità individuale. Questo è il problema fondamentale che l'Europa dovrebbe risolvere per primo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 14 febbraio 2025

Per non cadere divisi

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joshua Stylman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/per-non-cadere-divisi)

Il tessuto della società sembra più sfilacciato che mai. Ci ritroviamo sempre più separati, le nostre prospettive polarizzate e le nostre interazioni segnate da un'ostilità quasi tribale. Dalle ideologie politiche alle questioni sociali, dalle preferenze culturali alle politiche economiche, profonde fratture sembrano allontanarci dai nostri vicini, colleghi e persino familiari. Quelli che un tempo erano disaccordi si sono allargati in abissi apparentemente invalicabili, con ciascuna parte che vede l'altra non solo come fuorviata ma addirittura come una minaccia esistenziale.


Contesto storico e approfondimenti antropologici

L'amplificazione delle divisioni sociali non è un fenomeno nuovo, ma piuttosto una strategia secolare impiegata da chi è al potere. Nel corso della storia leader e gruppi influenti hanno riconosciuto la potenza di una popolazione fratturata. Il principio romano “divide et impera” (dividi e governa) riecheggia attraverso i secoli, trovando nuova espressione nel nostro mondo moderno e iperconnesso. Come vedremo, questa strategia secolare di divisione si manifesta oggi in varie forme.

Per comprendere la nostra attuale situazione difficile, dobbiamo approfondire le radici antropologiche della frammentazione sociale, in particolare il lavoro pionieristico di Margaret Mead e Gregory Bateson. La loro ricerca sulle società indigene in Papua Nuova Guinea, in particolare il loro concetto di schismogenesi, ovvero la creazione di fratture all'interno delle società, offre una lente affascinante e inquietante attraverso cui osservare il nostro panorama sociale moderno. Sebbene abbiano condotto una ricerca neutrale sulle dinamiche sociali, un'analisi più approfondita suggerisce che i loro studi potrebbero aver avuto uno scopo più insidioso, testando come le società potrebbero essere manipolate sfruttando le linee di faglia sociali. Questo lavoro fornisce un quadro cruciale per esaminare e combattere le forze che oggi lacerano la nostra coesione sociale.

L'opera fondamentale di Bateson, Steps to an Ecology of Mind, esplora il modo in cui individui e società sono plasmati da modelli di comunicazione, cicli di feedback e fratture interne. Nel contesto della loro ricerca, Mead e Bateson non si sono limitati a osservare il comportamento umano, ma lo hanno plasmato attivamente, applicando principi che avrebbero poi articolato nel loro lavoro accademico. Ciò solleva la preoccupante possibilità che la loro ricerca possa essere stata meno incentrata sulla comprensione delle culture indigene e più sul testare come la società potesse essere manipolata sfruttando le sue linee di faglia interne.

Il concetto di schismogenesi, sviluppato da Bateson, descrive un processo in cui una volta iniziata la separazione, questa si intensifica, creando un ciclo di feedback di opposizione che può fare a pezzi le società. Questo meccanismo di ampliamento della discordia non è confinato agli annali dell'antropologia: credo che sia uno strumento attivamente impiegato nel mondo odierno da vari attori, dai regimi autoritari alle agenzie di intelligence.

Le implicazioni del lavoro di Mead e Bateson si estendono ben oltre il loro contesto antropologico originale. Le loro osservazioni e teorie sulla schismogenesi forniscono una potente lente attraverso cui possiamo esaminare le attuali rotture sociali. Come vedremo, i meccanismi che hanno descritto nelle società indigene sono sorprendentemente simili alle forze divisive in gioco nel nostro mondo moderno, connesso digitalmente.


Manifestazioni moderne di disunità sociale

Vediamo questa manipolazione all'opera nella nostra società attuale, mentre le fratture si approfondiscono attraverso linee politiche, razziali e culturali. Le divisioni che sperimentiamo quotidianamente, siano esse politiche (sinistra contro destra), razziali (nero contro bianco) o culturali (urbano contro rurale), servono a indebolire la nostra forza collettiva. Inibiscono l'unità e rendono quasi impossibile affrontare la corruzione sistemica più ampia che ci colpisce tutti.

Un esempio lampante di questo fenomeno può essere trovato nella natura sempre più faziosa della politica americana. Il Pew Research Center ha documentato un crescente divario ideologico tra repubblicani e democratici negli ultimi due decenni. I loro studi rivelano che la quota di americani con opinioni costantemente conservatrici o costantemente liberal è più che raddoppiata dal 10% nel 1994 al 21% nel 2014, e al 32% nel 2017.

Questo scisma politico si manifesta in vari modi:

• Disaccordi politici: su questioni che spaziano dall'assistenza sanitaria ai cambiamenti climatici, i due partiti principali hanno sempre più opinioni diametralmente opposte.

• Distanziamento sociale: gli americani hanno meno probabilità di avere amici intimi o partner romantici del partito politico opposto. Nel 2016 il 55% dei repubblicani ha affermato che sarebbe stato infelice se il proprio figlio avesse sposato un democratico, rispetto al 17% del 1960. Per i democratici il numero è salito dal 4% al 47% nello stesso periodo.

• Consumo di media generalisti: conservatori e liberal tendono a informarsi da fonti diverse, rafforzando le proprie convinzioni. Nel 2021 il 78% dei democratici afferma di avere "molta" o "una certa" fiducia nelle organizzazioni giornalistiche nazionali, rispetto a solo il 35% dei repubblicani.

Queste divisioni rispecchiano gli ambienti manipolati studiati da Mead e Bateson decenni fa, che ora si manifestano sui social media.


Il ruolo dei media generalisti nell’intensificare le fratture sociali

Il ruolo dei media nel plasmare la percezione pubblica e nell'intensificare la discordia sociale non può essere sopravvalutato. Uno studio del 2021 intitolato “Prevalenza di parole che denotano pregiudizi nel discorso dei media: un'analisi cronologica” rivela una tendenza preoccupante nell'uso di un linguaggio incendiario da parte dei principali organi di informazione. Secondo suddetto studio i riferimenti a termini come “razzista”, “transfobico”, “sessismo” e “discriminazione di genere” sono aumentati esponenzialmente in pubblicazioni come il Washington Post e il New York Times sin dal 2012.

Questa ondata di linguaggio pregiudizievole potrebbe riflettere un conseguente aumento di casi di discriminazione e pregiudizio nella società. Tuttavia una possibilità più inquietante è che i media stiano plasmando la percezione pubblica e accrescendo la consapevolezza di questi problemi, fino al punto di enfatizzarli eccessivamente. Quest'ultima possibilità si allinea con il concetto di schismogenesi: evidenziando e amplificando costantemente questioni controverse, i media potrebbero contribuire inavvertitamente (o intenzionalmente) alle stesse fratture sociali di cui riferiscono.


Camere di eco digitali e bolle informative

Nell'era digitale le tattiche di dividi et impera vengono amplificate tramite piattaforme digitali, alimentando i nostri peggiori istinti per creare abissi sempre più profondi. Gli algoritmi rafforzano le nostre convinzioni esistenti, offrendoci contenuti che si allineano con le nostre opinioni predeterminate. Ciò crea camere di risonanza che consolidano il nostro dogma e rendono sempre più difficile sfidare o mettere in discussione le narrazioni che ci sono state propinate.

I nostri feed sui social media, le fonti di notizie scelte e i contenuti curati agiscono come filtri, plasmando la nostra percezione del mondo. Il risultato è una società frammentata in cui il dialogo oltre le linee ideologiche diventa sempre più raro e difficile.

La ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences ha scoperto che l'esposizione a opinioni opposte sui social media può effettivamente aumentare l'alienazione politica, contrariamente alla speranza che punti di vista diversi possano moderare posizioni estreme. Questa amplificazione digitale della discordia pone una sfida significativa alla coesione sociale nell'era moderna.


7 ottobre: ​​un catalizzatore per il riallineamento ideologico

Eventi recenti, come la tragedia del 7 ottobre, illustrano questa strategia di dividi et impera. Prima dell'attacco si stava formando una coalizione naturale di improbabili alleati: persone che erano state storicamente separate da linee politiche, razziali o culturali stavano iniziando a vedere attraverso la manipolazione. Questa coalizione si stava unendo per l'autonomia collettiva dell'umanità, passando oltre barriere di lunga data.

L'8 ottobre quell'unità si era frantumata. Molte persone che in precedenza avevano trovato un terreno comune nonostante le loro differenze, sarebbero improvvisamente tornate alle loro precedenti alleanze e posizioni consolidate. Indipendentemente dal loro punto di vista sull'attacco stesso o sulle successive reazioni, sostenendo una delle due parti o condannando del tutto la violenza, il risultato principale è stata la rapida disintegrazione delle alleanze che si stavano formando.

Molti di coloro che erano stati scettici nei confronti delle narrative ufficiali ora le avevano abbracciate con tutto il cuore, indicando i titoli dei media generalisti che avevano ridicolizzato per anni come se fossero vangelo. La velocità con cui le convinzioni radicate sulla sfiducia nei media sono evaporate è stata impressionante, così come il rapido ritorno ai campi ideologici preesistenti.

Questa improvvisa frattura dell'unità, nel giro di un giorno dall'attacco, è stato un esempio da manuale di quanto rapidamente le coalizioni possano essere smantellate quando la discordia viene abilmente manipolata. Ha dimostrato la fragilità delle alleanze formate attraverso le tradizionali linee di separazione e la facilità con cui le persone possono essere spinte di nuovo nelle loro zone di comfort ideologiche in tempi di crisi. L'evento in sé, sebbene tragico, è meno al centro dell'attenzione che la risposta della società, un rapido ritorno alle divisioni precedenti che minaccia la nostra capacità di mantenere l'unità di fronte alle avversità.


Tagliare il tessuto sociale

Le divisioni sono ovunque, si insinuano in ogni aspetto della vita: sinistra contro destra, vaccinati contro non vaccinati, pro-choice contro pro-life, attivisti del cambiamento climatico contro scettici del cambiamento climatico. Questi cunei, inquadrati come battaglie apocalittiche, vengono usati per distrarci e frammentarci. Il fenomeno è diventato così pervasivo che ora le persone tifano per le guerre come se fossero eventi sportivi, incitando i Paesi come se fossero squadre rivali in uno spettacolo grottesco di patriottismo desensibilizzato.

Questa strategia di separazione va oltre la creazione di semplici fazioni o campi opposti. L'obiettivo finale è la dissoluzione della società stessa. Sottolineando continuamente le nostre differenze e creando sottogruppi sempre più piccoli, questo approccio ci spinge verso un isolamento estremo. Mentre veniamo tagliati e sminuzzati in sottoinsiemi sempre più piccoli in base a identità o credenze sempre più specifiche, rischiamo di raggiungere un punto in cui ogni persona diventa un'entità isolata a sé stante.

Questa frammentazione non solo indebolisce la nostra forza collettiva e il nostro scopo condiviso, ma rende quasi impossibile affrontare questioni più ampie che ci riguardano tutti. È una strategia insidiosa che sfrutta la natura umana, facendo appello ai nostri innati istinti tribali e amplificando le nostre insicurezze. Il risultato è un percorso verso la completa atomizzazione sociale, dove la collaborazione diventa quasi impossibile.

Come abbiamo visto, la pervasività della discordia nella nostra società si estende ben oltre i disaccordi superficiali. Sta rimodellando le fondamenta stesse del modo in cui percepiamo e interagiamo con il mondo che ci circonda, con profonde implicazioni per le nostre istituzioni democratiche.


La moderna caverna di Platone: la frammentazione della realtà

Nella nostra società sempre più frammentata, ci troviamo di fronte a un fenomeno preoccupante: la creazione di realtà multiple e isolate. Questa situazione ha una sorprendente somiglianza con il mito della caverna di Platone, ma con un tocco moderno. Nell'esposizione di Platone i prigionieri erano legati in una caverna, in grado solo di vedere ombre sul muro e credendo che questa fosse la realtà. Oggi ci troviamo in una situazione simile, ma invece di una singola caverna, ognuno di noi abita le proprie caverne di informazioni personali.

A differenza dei prigionieri di Platone, non siamo fisicamente incatenati, ma gli algoritmi che ci forniscono informazioni su misura per le nostre convinzioni esistenti creano legami invisibili che sono altrettanto forti. Questo effetto da camera di eco digitale significa che viviamo tutti nella nostra versione della caverna di Platone; ognuno vede un diverso insieme di ombre e le scambia per verità universali.

Le implicazioni per una repubblica funzionante sono profonde e preoccupanti. Come possiamo impegnarci in un dibattito democratico quando non riusciamo nemmeno a concordare sui fatti basilari della nostra realtà condivisa? Questa frammentazione della verità pone una sfida critica alle fondamenta stesse della società democratica, rendendo quasi impossibile trovare un terreno comune o lavorare verso soluzioni collettive.

La forza di una repubblica risiede nella sua capacità di riunire diverse prospettive per forgiare un percorso comune. Tuttavia questa forza diventa una debolezza quando i cittadini non condividono più un quadro di realtà di base entro cui discutere e prendere decisioni.

Per salvare la nostra repubblica è fondamentale riconoscere l'importanza di stabilire e mantenere un quadro comune di comprensione. Ciò non significa che dobbiamo essere tutti d'accordo su tutto: il sano disaccordo è, dopotutto, la linfa vitale della democrazia. Significa invece che dobbiamo trovare modi per concordare sui fatti di base, condividere fonti di informazione che tutti riteniamo credibili e impegnarci in dibattiti in buona fede fondati su una realtà condivisa. Senza questo terreno comune, rischiamo la continua erosione delle nostre istituzioni democratiche e l'ulteriore frammentazione della società.

Sapendo quanto è alta la posta in gioco, è chiaro che non possiamo restare passivi di fronte a queste forze divisive. Dobbiamo adottare misure attive per colmare le lacune tra le nostre realtà individuali e ricostruire una base condivisa per il dibattito democratico. Ma come possiamo iniziare a liberarci dalle nostre caverne individuali e lavorare verso una comprensione più unitaria del mondo?


Resistere alla discordia sociale

Riconoscere l'intrappolamento in queste caverne digitali individuali è il primo passo verso la liberazione. Per resistere alla discordia sociale che minaccia di separarci in modo permanente, dobbiamo lavorare attivamente per smantellare i muri delle nostre prigioni virtuali. Questo compito, sebbene scoraggiante, è cruciale per la preservazione della nostra realtà condivisa e del dibattito democratico.

In questo mondo fratturato nessuno verrà a salvarci: gli unici eroi rimasti siamo noi stessi. Per combattere queste forze antagoniste, dobbiamo adottare diverse misure critiche. Innanzitutto dobbiamo prestare maggiore attenzione al mondo che ci circonda, chiedendoci costantemente chi trae vantaggio dagli scismi che vediamo. L'antica domanda “Cui bono?” non è mai stata così rilevante.

Mentre ci muoviamo nel complesso panorama dei media e delle informazioni moderni, dobbiamo diventare consumatori più critici. È fondamentale chiedersi perché ci vengono dette certe cose e considerare come queste informazioni potrebbero plasmare la nostra visione degli altri e della società in generale. Questo pensiero critico è la nostra prima linea di difesa contro la manipolazione.

Inoltre dobbiamo resistere alle tattiche di frammentazione sociale. Ciò significa rifiutarci di essere divisi e riconoscere che il vero nemico non è il nostro vicino, ma piuttosto i sistemi che sfruttano queste separazioni per mantenere il controllo. È fin troppo facile cadere nella trappola di vedere coloro che non sono d'accordo con noi come avversari, ma dobbiamo resistere a questa tentazione.

Nonostante le nostre differenze, è fondamentale che cerchiamo un terreno comune con coloro che percepiamo come diversi da noi. Ciò non significa abbandonare i nostri principi, ma piuttosto cercare attivamente valori e obiettivi condivisi. Spesso scopriremo di avere più cose in comune con i nostri presunti “avversari” di quanto pensassimo inizialmente.

Infine dobbiamo promuovere l'alfabetizzazione mediatica, sia per noi stessi che per gli altri. Comprendendo come i media possono plasmare le percezioni e intensificare la discordia, possiamo proteggerci meglio dai suoi effetti provocatori. Questa istruzione è fondamentale in un'epoca in cui l'informazione, e la disinformazione, sono più abbondanti che mai.

Intraprendendo questi passi, prestando attenzione, pensando in modo critico, resistendo alla divisione, cercando un terreno comune e promuovendo l'alfabetizzazione mediatica, possiamo sperare di creare una società più unita e resiliente. La strada da seguire non sta nel soccombere a scismi creati ad arte, ma nel riconoscere la nostra umanità condivisa e i nostri interessi comuni. È una strada impegnativa, ma che dobbiamo percorrere se vogliamo superare le forze che cercano di tenerci divisi e reclamare la realtà comune, essenziale per la sopravvivenza della nostra repubblica democratica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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giovedì 13 febbraio 2025

Bitcoin FUD: 6 tesi comuni degli scettici durante i mercati rialzisti

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da CoinTelegraph

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/bitcoin-fud-6-tesi-comuni-degli-scettici)

Fin dalla sua nascita Bitcoin ha dovuto affrontare un'opposizione implacabile alimentata da paura, incertezza e dubbio, o anche etichettato con l'acronimo FUD. I critici denunciano regolarmente Bitcoin come qualcosa di volatile, insostenibile, o uno strumento per il crimine.

Queste narrazioni riemergono a ogni mercato rialzista, spesso scoraggiando i nuovi arrivati. Dan Held, un importante sostenitore di Bitcoin, ha affermato: “I detrattori cercano di far fronte al fatto di aver perso il treno razionalizzando il motivo per cui fallirà attraverso 'Paura, incertezza e dubbio'”. Ma quanta verità contengono queste argomentazioni?

Una volta liquidato come un progetto di nicchia, Bitcoin è ora abbracciato da istituzioni finanziarie, investitori e persino politici. Tuttavia lo scetticismo persiste, con i critici che mettono in dubbio il suo valore, il consumo di energia e l'utilità sociale.

Ecco alcune tesi legate al FUD che emergono ogni volta che Bitcoin va bene.


Bitcoin non ha alcun valore

Tra i critici più accaniti di Bitcoin ci sono il leggendario investitore Warren Buffett e il defunto Charlie Munger.

Buffett definì Bitcoin “veleno per topi al quadrato”, sostenendo che non avesse alcun valore perché non genera guadagni o dividendi. Munger fece eco a queste affermazioni, descrivendo Bitcoin come “disgustoso” e il suo sviluppo “contrario agli interessi della civiltà”.

“Odio il successo di Bitcoin”, disse Munger.

Bitcoin esiste dal 2008 e il suo valore è cresciuto notevolmente, diventando l'asset con le prestazioni più elevate nell'ultimo decennio.

Le performance di Bitcoin rispetto a importanti asset del mercato tradizionale nell'ultimo decennio. Fonte: CoinGecko

Held ribatte a queste argomentazioni affermando che non ha senso criticare Bitcoin perché non ha alcun valore “quando la valuta fiat non ha assolutamente alcun valore”.

Il 10 gennaio 2018 gli economisti Aleksander Berensten e Fabian Schär scrissero, in un articolo di revisione per la Federal Reserve: “Bitcoin non è l'unica valuta che non ha alcun valore intrinseco. Anche le valute di monopolio statale, come il dollaro statunitense, l'euro e il franco svizzero, non hanno alcun valore intrinseco. La storia delle valute monopolistiche di stato è una storia di forti oscillazioni di prezzi e fallimenti [...] ecco perché le criptovalute decentralizzate sono un'aggiunta gradita al sistema monetario esistente”.

Il valore di un asset è astratto, poiché dipende dalla percezione delle persone. La scarsità, l'utilità e la tecnologia di Bitcoin ne sostengono il valore.

Bitcoin ha un'offerta limitata di 21 milioni di coin, il che gli ha fatto guadagnare il soprannome di “oro digitale”. L'interesse istituzionale, come i fondi negoziati in borsa (ETF), ha consolidato la sua posizione come riserva di valore, poiché è raro per progettazione.


Bitcoin è solo una mania come quella dei tulipani

La rapida crescita del prezzo di Bitcoin ha portato molti a paragonarlo a bolle finanziarie come il crollo delle dot-com o la mania olandese dei tulipani del XVII secolo.

Held non è d'accordo: “Bitcoin non è un tulipano. Fornisce al mondo il miglior deposito digitale di valore mai creato, consentendo alle persone di conservarlo e rendendone arduo il sequestro e la trasmissione a chiunque altro senza permesso”.

Nel 2017 l'amministratore delegato di JPMorgan, Jamie Dimon, criticò duramente Bitcoin, definendolo una “frode”. Nel 2018 affermò che Bitcoin era “peggio dei bulbi di tulipano”.

Da allora ha attenuato le sue osservazioni e ritirato alcune delle sue critiche. Durante una chiamata sui guadagni di JPMorgan nel 2021, Dimon ha osservato che “le mode in genere non durano 12 anni”.

Nel maggio 2024 sono emerse segnalazioni secondo cui JPMorgan aveva investito in Bitcoin tramite gli ETF spot e la banca aveva persino creato la propria valuta digitale, JPM Coin.

Sin dalla sua creazione, Bitcoin ha sperimentato costanti trend al rialzo caratterizzati da ondate cicliche. A differenza delle famigerate bolle finanziarie, non ha affrontato un crollo catastrofico che ha svalutato in modo permanente l'asset.

Confronto dal novembre 2020 tra Bitcoin, tulipani, South Sea Company e la bolla dotcom. Fonte:  James Todaro


Bitcoin è uno strumento per il riciclaggio di denaro

Bitcoin viene spesso attaccato per il suo presunto ruolo in attività illecite. La senatrice degli Stati Uniti, Elizabeth Warren, lo ha descritto come uno “strumento per il riciclaggio di denaro” e ha chiesto normative più severe per reprimere gli asset digitali.

Tuttavia la blockchain di Bitcoin è completamente trasparente, il che rende le attività illecite più facili da tracciare rispetto al denaro contante.

Inizialmente i criminali lo vedevano come un ottimo strumento per nascondere le loro attività illegali, ma hanno imparato rapidamente che usare la tecnologia di un registro trasparente non era così buono per i loro affari. Bitcoin è pseudoanonimo. Gli account sono anonimi, ma se uno di essi è collegato a un'identità, la sua cronologia e i suoi movimenti finanziari saranno esposti.

“Il problema risiede nei soldi fiat, non in Bitcoin o nelle criptovalute, i quali operano per lo più su registri trasparenti che rendono difficile nascondere i fondi”, ha affermato Held.

Detto questo, ci sono servizi che possono oscurare i movimenti di Bitcoin e favorire attività illecite. Servizi come mixer e tumbler, specializzati nell'oscurare il flusso di fondi, hanno visto un aumento delle attività di riciclaggio di denaro, secondo la società di analisi dei dati blockchain Chainalysis.


Bitcoin ha fame di energia

La rete Bitcoin utilizza la proof-of-work (PoW) come meccanismo di consenso, in cui i miner risolvono complessi enigmi matematici per convalidare le transazioni e proteggere la rete in cambio di ricompense.

Inizialmente chiunque avesse un computer portatile poteva minare Bitcoin, ma con l'aumento della concorrenza sono state create strutture di mining su larga scala, rendendolo un processo ad alto consumo energetico.

Le preoccupazioni sono legittime poiché, secondo l'indice di consumo di elettricità dell'Università di Cambridge, il consumo energetico di Bitcoin è superiore al consumo energetico annuale dell'Egitto e sta per superare quello del Sudafrica.

Grafico del consumo energetico nazionale e Bitcoin. Fonte: University of Cambridge

Held ha affermato che la PoW è un modello energetico efficiente. Ha criticato coloro che si lamentano del consumo energetico di Bitcoin senza “confrontarlo con il consumo energetico dell'estrazione dell'oro, del sistema finanziario, dei governi, dei tribunali, degli eserciti” o dei modelli generativi di intelligenza artificiale come ChatGPT.

Negli ultimi anni il mining di Bitcoin si è spostato sempre di più verso l'uso di energia verde. Le dinamiche della PoW spingono i miner a cercare le fonti di energia più economiche possibili e, poiché il mining è indipendente dalla posizione, i miner possono muoversi a livello globale.

Una delle fonti energetiche più convenienti è l'energia rinnovabile e i miner se ne sono accorti.

Una nuova ricerca ha dimostrato che il mining di Bitcoin potrebbe potenzialmente dare una spinta alla transizione verso l'energia rinnovabile. I ricercatori affermano che monetizzare l'energia in eccesso raccolta dalle rinnovabili potrebbe generare centinaia di milioni di dollari di entrate, grazie al mining di Bitcoin.

Il 12 maggio 2021 Elon Musk ha ordinato a Tesla di smettere di offrire Bitcoin come mezzo di pagamento per i suoi veicoli elettrici, poiché era preoccupato per i suoi effetti sull'ambiente. Il 13 giugno 2021 Musk ha affermato che Tesla avrebbe consentito nuovamente le transazioni BTC una volta che fosse stato sicuro che almeno il 50% dell'energia utilizzata dai miner fosse pulita e avesse un trend futuro positivo.

Secondo l'analista di dati blockchain, Willy Woo, e il sostenitore di Bitcoin e ambientalista, Daniel Batten, l'utilizzo di energia rinnovabile da parte di Bitcoin è vicino al 57%; tuttavia Musk non ha reagito di fronte a questi nuovi numeri.

La mancanza di trasparenza nei dati del mining rimane una sfida continua. Batten sostiene che i media generalisti pubblicano spesso informazioni fuorvianti sull'impatto ambientale di Bitcoin, basandosi su studi scarsamente documentati o “scienza spazzatura”.

Batten ha osservato un crescente cambiamento nel sentimento dei media generalisti, con molti organi di informazione che adottano una posizione più favorevole, o neutrale, nei confronti del mining di Bitcoin mentre conducono indagini più approfondite sull'argomento.


Q-day: Bitcoin è sotto minaccia quantistica

Internet si basa su protocolli di crittografia per proteggere i dati, con la National Security Agency statunitense che ha impostato la crittografia AES a 256 bit come standard. Bitcoin utilizza questa stessa crittografia per i suoi wallet, ma molti affermano che un futuro computer quantistico potrebbe facilmente violare questa crittografia, compromettendo la sicurezza di Bitcoin.

Con ogni svolta nell'informatica quantistica, i mercati delle criptovalute vengono inondati da FUD e affermazioni secondo cui Bitcoin potrebbe diventare un bersaglio facile.

Il 10 dicembre 2024 Google ha presentato il suo nuovo chip di calcolo quantistico, Willow. Si suppone che possa risolvere problemi computazionali in meno di cinque minuti, mentre l'informatica tradizionale impiegherebbe 10 settiliardi di anni.

Le preoccupazioni riguardo la “minaccia quantistica” trascurano un punto cruciale: un computer quantistico in grado di violare la sicurezza di Bitcoin probabilmente prenderebbe di mira honeypot molto più grandi, come i sistemi bancari tradizionali, prima di Bitcoin.

Held ha affermato che Bitcoin è già pronto per un simile attacco e che, nel caso di una reale minaccia quantistica, basterebbe semplicemente aggiornarne il protocollo: “I computer quantistici sono ancora in gran parte sperimentali; sapremo con largo anticipo quando saranno utilizzabili”.


La storia infinita di Tether

USDT di Tether, la più grande stablecoin per capitalizzazione di mercato e una coppia di trading comune con Bitcoin, è una delle fonti più significative di FUD correlato a Bitcoin. I critici sostengono che le riserve di Tether mancano di trasparenza, alimentando i timori di un crollo.

La controversia è iniziata anni fa, quando Tether fu accusata di aver emesso USDT senza un'adeguata copertura, per manipolare i prezzi di Bitcoin durante i rally di mercato. La questione si è intensificata nel 2021 dopo che la società ha rivelato che solo una parte delle sue riserve era detenuta in contanti, mentre il resto era in cambiali commerciali, prestiti garantiti e altri asset.

Nonostante gli sforzi di Tether per migliorare la trasparenza, gli scettici rimangono poco convinti. Sostengono che il predominio di Tether nel trading di criptovalute e l'assenza di un audit completo di terze parti presentino rischi sistemici.

Justin Bons, fondatore del fondo di criptovalute CyberCapital, ha affermato che queste preoccupazioni coinvolgono molti investitori in criptovalute e afferma che un crollo di Tether potrebbe essere “una delle più grandi minacce esistenziali per le criptovalute nel loro complesso”.

Held ha affermato che è a dir poco assurda l'idea che il fallimento di Tether possa danneggiare Bitcoin, visto che il primo rappresenta solo il 10% della capitalizzazione di mercato del secondo. Held ha aggiunto che la vera preoccupazione dovrebbe essere rivolta a Ethereum e al suo ecosistema di finanza decentralizzata (DeFi): “Se Tether diventasse inutile causerebbe un enorme terremoto strutturale nell'ecosistema di Ethereum”.

Il crollo di USDT sarebbe catastrofico, ma Held ha ricordato che Bitcoin alla fine sopravvivrebbe, proprio come è successo negli ultimi 12 anni attraverso crisi come l'hacking di Mt. Gox, la chiusura di Silk Road, il divieto cinese al mining e la guerra civile di Bitcoin con Bitcoin Cash.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 12 febbraio 2025

Saccheggiati dal denaro fiat

Il cappello di oggi è necessario per colmare un gap di consapevolezza: per quanto sia necessario arrivare a un mondo in cui il denaro sia quanto di più disintermediato da poteri centrali, allo stato attuale la FED è quanto di più vicino a qualcosa che possa aprire a un mondo del genere. Se, ad esempio, fosse stata abolita durante l'amministrazione Biden, e il Dipartimento del Tesoro avesse potuto stampare denaro direttamente, vivremmo in un mondo in cui la cricca di Davos avrebbe preso il sopravvento. In un mondo fatto di questi colossi, la persona media può solo auspicarsi una lotta interna tra di essi per aspirare a un cambiamento. Infatti c'è la concreta possibilità, adesso che ha ripreso il controllo sulla politica monetaria della nazione, che la FED possa essere regionalizzata nelle sue 12 succursali regionali, in modo da distribuire il potere e impedirne la cattura da agenti avversi alle sorti della nazione come è quasi accaduto nel 2021 quando Powell rischiava di non essere riconfermato. È sacrosanta l'abolizione del sistema bancario centrale, ma per farlo bisogna avere chiaro in mente in che mondo si vive. Le tesi di Tucker sono giuste, ma sono il punto “B”; dal punto “A” c'è un intermezzo che non può essere lasciato al caso. Lo stesso discorso possiamo farlo coi dazi. Partiamo dal fatto che sono una tassa e, in quanto tale, distorcono le informazioni di mercato. Questo, però, a patto che stiamo parlando di un libero mercato e un'economia di pace. Ciò infatti è stato vero fino al 2017, picco della globalizzazione. Ora è un mondo diverso, in guerra commerciale ed economica, in cui la contrazione degli intermediari finanziari, prima, e quelli commerciali, poi, sono strumenti per “far sanguinare” l'avversario. Nel Capitolo 16 del mio ultimo libro, “Il Grande Default”, ho esposto i motivi per cui Europa e USA sono ai ferri corti. Gli Stati Uniti hanno la possibilità di sfruttare la loro indipendenza energetica e l'onshoring delle industrie americane precedentemente all'estero. Non sottovalutate nemmeno la retorica positiva alimentata da slogan come “andremo su Marte!”, utile a sostenere una percezione ottimista sul futuro e di conseguenza un abbassamento della preferenza temporale delle persone (con conseguente abbassamento dei tassi reali). Ciò crea la forte possibilità di ridurre il deficit commerciale della nazione e le contromisure a nuove fiammate dell'inflazione dei prezzi (maggiore produzione e stipendi più alti). In questo contesto i dazi americani fanno più male all'Europa che agli USA stessi. Immaginate se l'UE risponda tassando le importazioni della Apple: dall'oggi al domani un Iphone costerebbe il triplo e l'intero continente sprofonderebbe nell'obsolescenza tecnologica. Tempo una manciata di mesi e la Commissione europea farebbe marcia indietro con la coda tra le gambe. Senza più accesso al mercato dell'eurodollaro, senza più carry trade sullo yen e con la prospettiva di perdere il proprio surplus commerciale, all'Europa non rimane altro che la preghiera. È un lento strangolamento per condurre al tavolo delle trattative l'avversario, affinché il coltello dalla parte del manico ce l'abbiano gli USA. Il dollaro, quindi, rimarrà ancora forte a fronte di un euro sempre più debole. A meno che... i singoli Paesi non stringano accordi bilaterali nazionali con gli USA staccandosi ufficiosamente, e poi anche ufficialmente, dal cancro europeo.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/saccheggiati-dal-denaro-fiat)

Il popolo americano pagherà un prezzo alto per le elezioni presidenziali del 2024 e probabilmente per anni. Non parlo dei risultati che hanno stupito il mondo; parlo del tentativo di manipolare i risultati attesi iniziato più di un anno prima.

Non sarà qualcosa che si presenterà sotto forma di tasse più alte. Sarà inflazione, un'altra forma di tassazione.

Il problema della svalutazione del dollaro avrebbe potuto essere ormai risolto, ma no. Tutto dimostra che l'amministrazione Biden, al servizio di altri interessi e preoccupata solo di aumentare la spesa pubblica, ha creato ingenti flussi di denaro a partire dal 2023 per accrescere le sue possibilità di rielezione. Non ha funzionato e ora siamo bloccati con il conto.

Certo, non c'è mai stata una volontà politica esplicita di tutto ciò, ma quanto ho detto sopra è un'interpretazione ragionevole del motivo per cui la Federal Reserve ha cambiato posizione sul rubinetto monetario nel 2023 e negli anni successivi.

Non c'è mai stata una giustificazione credibile a sostegno. L'inflazione aveva già devastato produttori e consumatori. La priorità era tenerla sotto controllo, invece è stato fatto l'opposto, rischiando così una seconda ondata che potrebbe essere appena iniziata.

Gli ultimi dati sui prezzi alla produzione e al consumo sembrano pessimi: un'inversione di tendenza radicale rispetto al calo, che rivela un riaccendersi del problema.

Ora che il presidente Donald Trump ha iniziato i suoi lavori, i media generalisti e il Bureau of Labor Statistics stanno improvvisamente diventando più disponibili a parlare del problema. L'inflazione è al 3%, o il 50% in più rispetto all'obiettivo ufficiale. La stima minima delle perdite di potere d'acquisto dal 2020 è di 23 centesimi a dollaro. Le stime reali sono più vicine ai 30 centesimi. La realtà, a seconda di cosa si acquista, sentenzia un numero molto più alto.

Non ci sono dubbi sulla fonte del problema. Non sono i droghieri che fanno la cresta sui prezzi, non sono i consumatori avidi, non sono i fornitori opportunisti, non sono nemmeno le restrizioni alla produzione di energia.

Sono gli stampatori di denaro a Washington che hanno dispiegato i loro poteri al servizio di un Congresso che ha speso senza freni, come se tutte le risorse di capitale apparissero come per magia. L'ondata di debiti ha concesso alla FED un portafoglio enorme per fare politica.

Basta osservare la relazione tra M2, la rappresentazione più accurata della massa monetaria che abbiamo, e l'indice dei prezzi al consumo. La relazione è impossibile da negare sia in termini di dati che di teoria. Non è complicato in realtà, ma richiede solo un po' di riflessione.

Thomas Massie fa l'esempio di 10 mele e 10 dollari, in un'economia in cui tutto il denaro viene speso. Ogni mela costa un dollaro. Se la massa monetaria raddoppia, ogni mela costa due dollari, e così via. È un esempio semplice, ma rende l'idea. Nel mondo reale c'è un ritardo tra causa/effetto tra 12 e 18 mesi. Nel caso attuale il ritardo raggiunge quasi esattamente il traguardo dei 12 mesi.

Dati: Federal Reserve Economic Data (FRED), St. Louis Fed

Niente di tutto questo è un mistero. L'odio per la stampa di cartamoneta risale alle fondamenta stesse della nazione. Thomas Paine ne scrisse ampiamente. Era un oppositore della tirannia e una persona molto riflessiva e brillante. Lesse molto sulla storia e la teoria economica, così come si presentavano ai suoi tempi:

• “Non so perché dovremmo essere così affezionati alla cartamoneta; non ha alcun valore intrinseco e non è denaro, ma una promessa di pagamento”.

• “La cartamoneta è come bere un bicchierino, ti risolleva il morale per un momento con l'inganno”.

• “I mali della cartamoneta non hanno fine. È una truffa ai danni del popolo e il fondamento di tutte le altre truffe”.

Le sue opinioni erano ampiamente condivise tra i Padri fondatori. Quando fu scritta la Costituzione, includeva una clausola che richiedeva agli stati (che gestivano il denaro) di usare solo oro e argento riguardo la monetazione. Quella clausola fu a lungo dibattuta dai tribunali e alla fine i sostenitori della cartamoneta trovarono un modo per aggirarla, tramite varie dichiarazioni di emergenza e sospensioni. Il gold standard fu ripristinato dopo la Guerra civile, ma sospeso più e più volte. Alla fine la copertura in metallo fu completamente rimossa.

Per molto tempo, tra il 1933 e il 1974, era illegale persino possedere oro per scopi d'investimento. Ciò cambiò e poi gli Stati Uniti ricominciarono a coniare monete d'oro, ma non come parte della linea di politica ufficiale sulla moneta. Sono ormai relegate a oggetti da collezione, molto belle, ma non utilizzabili come denaro a corso legale. Il legame tra la politica monetaria statunitense e l'oro è completamente spezzato.

L'ideale sarebbe ripristinarlo. Problema: nessuno sa davvero come ciò potrebbe accadere. Non esiste un vero piano per arrivare dal punto A al punto B. Gli Stati Uniti dovrebbero possedere grandi quantità di oro e ci dovrebbe essere un rapporto di cambio fisso, e questo dovrebbe riguardare non solo loro ma anche l'estero. La decisione da sola causerebbe un rimpatrio di massa di dollari ed esaurirebbe le scorte di oro in un giorno.

In breve, i problemi pratici associati al ripristino di un autentico gold standard sono inconcepibilmente enormi. Un problema ancora più grande è trovare la volontà politica per farlo. Entrambe le parti traggono vantaggio dal sistema monetario cartaceo e dalla politica monetaria flessibile, per la quale il cittadino statunitense alla fine paga il prezzo più alto.

Ci sono altri percorsi verso una moneta sana/onesta. La massa monetaria potrebbe essere congelata all'istante, ma ciò indurrebbe una deflazione su una scala che sarebbe considerata intollerabile. Io non penso che questa sarebbe una cosa negativa. Un crescente potere d'acquisto della moneta andrebbe a vantaggio delle persone comuni, ma la classe degli esperti non è d'accordo mettendo in guardia da una terribile recessione. E la realtà probabilmente confermerebbe questa previsione.

Il problema è che l'economia statunitense e, in realtà, l'economia mondiale, sono profondamente dipendenti dal finanziamento tramite debito. Porre fine a tutto questo sarebbe molto doloroso dal punto di vista economico. La volontà politica per farlo semplicemente non c'è.

La soluzione veramente costituzionale sarebbe quella di restituire ogni responsabilità per la politica monetaria ai singoli stati, abolendo il sistema bancario centrale. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti potrebbe coniare la propria moneta, ma ciò porrebbe pericoli a sé stanti. Se e in quale misura tali pericoli sarebbero gravi quanto quelli della FED è un'altra questione.

Nel breve termine la soluzione è semplicemente quella di costringere quest'ultima a smettere di fare politica con i suoi poteri monetari. I tassi d'interesse dovrebbero essere completamente liberati dall'interventismo centrale. Le operazioni di mercato aperto e l'acquisto e la vendita di debito dovrebbero cessare del tutto. Il resto si risolverebbe da sé.

Gli economisti che rispetto suggeriscono una regola quantitativa che legherebbe la politica monetaria alla produzione. Mentre questa soluzione sembra buona sulla carta, misurare la produzione in modo accurato non è più un compito così facile. I numeri del PIL, allo stato attuale, sono molto vaghi, così come i numeri sul tasso d'inflazione stesso. Senza numeri precisi, la capacità della FED di condurre una politica monetaria in modo scientifico evapora nella pratica.

Speriamo che la nuova amministrazione Trump alla fine si decida ad affrontare il problema dell'inflazione della cartamoneta. Potrebbe doverlo fare, dato che il rischio reale di una seconda ondata di inflazione condannerebbe letteralmente la sua eredità politica.

Spero che qualcuno nell'amministrazione Trump stia ascoltando: come minimo, la FED deve interrompere il suo quantitative easing e impegnarsi in una politica di stabilizzazione monetaria. Sì, potremmo trovarci di fronte a una recessione tecnica e questo è politicamente pericoloso, ma una continuazione dell'inflazione lo è ancora di più.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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