venerdì 17 gennaio 2025

Perché il progetto “America First” di Trump non richiede un budget per la sicurezza nazionale da $1.000 miliardi

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-il-progetto-america-first)

Se la politica estera incentrata sul cosiddetto “America First” di Donald Trump ha un significato, allora l'attuale bilancio per la sicurezza nazionale da $1.000 miliardi è il doppio di quanto effettivamente richieda uno scudo di difesa nazionale. Infatti non è esagerato dire che, nella ricerca incessante del proprio egoistico ingrandimento, il complesso militare/industriale ha gonfiato enormemente lo Stato militare americano quando ciò di cui c'è realmente bisogno nel mondo è qualcosa di più “piccolo”.

La base di questa sorprendente disconnessione risale alla storia della guerra fredda e alle sue conseguenze. La linea di politica sulla sicurezza collettiva del dopoguerra, le estese alleanze attraverso la NATO e i suoi cloni regionali, le capacità di proiezione di potenza militare a livello globale e una rete di 750 basi straniere sono state un errore storico epico. Hanno promosso l'opposto del cosiddetto “America First” e hanno definitivamente infranto la fiducia nella saggia ammonizione di Thomas Jefferson, il quale esortava a “[...] pace, commercio e onesta amicizia con tutte le nazioni, senza stringere alleanze con nessuna”.

Alla fine Washington è diventata la capitale mondiale della guerra e la sede di un regime politico improntato invece all'“Empire First”, abbracciato sia dai funzionari eletti che dalla numerosa nomenklatura del Deep State. Infatti il regime politico “Empire First” è diventato così profondamente radicato che persino 33 anni dopo che l'Unione Sovietica è scomparsa nel cestino della storia, si rifiuta di andare tranquillamente in pensione.

La ragione, ovviamente, è che l'elefantico stato militare americano non è mai stato fondato su una minaccia esterna oggettiva. Anche durante l'epoca sovietica, la circonferenza esagerata della macchina militare americana si basava su minacce provenienti da una burocrazia militare che cercava di assicurarsi i propri finanziamenti futuri e di espandere incessantemente le proprie missioni e competenze.

Che lo stato militare da mille miliardi di dollari di Washington sia radicato nell'autoperpetuazione interna piuttosto che in minacce esterne è evidente dal cane post-guerra fredda che non abbaiava. Vale a dire, gli archivi sovietici sono ora aperti, ma non c'è assolutamente nulla che convalidi l'assioma della guerra fredda secondo cui l'Unione Sovietica, insieme alla minaccia affiliata della Cina maoista, fosse determinata a dominare il mondo, a partire dall'Europa occidentale, dal Giappone e poi alle terre minori tutt'intorno.

Infatti gli archivi sovietici chiariscono che Mosca non ha mai avuto un piano, o anche solo una vaga aspirazione, a fortificare e scatenare offensivamente l'Armata Rossa verso Bonn, Parigi e Londra. La cosa più vicina a un piano per la mobilitazione militare verso ovest era il progetto “Sette giorni sul Reno”, ma quello era un piano di azione difensiva esplicitamente formulato per rispondere a un teorico primo attacco della NATO.

Secondo quel piano se la NATO avesse lanciato un attacco nucleare sulla Polonia, il Patto di Varsavia avrebbe risposto con un massiccio contrattacco mirato a sopraffare rapidamente le forze NATO nell'Europa occidentale. L'obiettivo era raggiungere il fiume Reno entro sette giorni, dividendo di fatto l'Europa e impedendo ai rinforzi NATO di raggiungere le linee del fronte nell'Europa orientale e potenzialmente imbarcarsi in una quarta invasione post-1800 della Madre Russia.

Infatti ciò che gli archivi sovietici mostrano in realtà non sono le deliberazioni di un minaccioso colosso, ma la cronaca di una lotta cronica per tenere insieme, con filo spinato e gomma da masticare, uno stato comunista ingombrante che non funzionava e non poteva durare.

Tuttavia fu la falsa paura di una marea rossa che scendeva sull'Europa, e in ultima analisi anche sull'emisfero occidentale, che consentì all'“Empire First” di superare la naturale e corretta tendenza dei politici di Washington a ritirarsi dietro i fossati oceanici sicuri dell'America dopo la seconda guerra mondiale. Infatti per un breve intermezzo si verificò una radicale smobilitazione militare, quando il picco di $83 miliardi del budget della difesa nel 1945 crollò a soli $9 miliardi nel 1948.

Ma quel tentativo sensato per la seconda volta nel XX secolo di smobilitazione postbellica e ritorno alla normalità in tempo di pace fu annullato nel 1949, quando l'Unione Sovietica ottenne la bomba atomica e Mao vinse la guerra civile in Cina. Da allora in poi la diffusione di basi, truppe, alleanze, interventi e guerre eterne procedette inesorabilmente sulla base del fatto che gli stati comunisti con sede a Mosca e Pechino rappresentavano una minaccia esistenziale per la sopravvivenza dell'America.

Non lo erano, nemmeno lontanamente. Come sostenne all'epoca il grande senatore Robert Taft, la modesta minaccia alla sicurezza nazionale rappresentata dal corpo devastato dalla guerra dell'Unione Sovietica e dal disastro collettivista imposto alla Cina da Mao avrebbe potuto essere facilmente gestita con:

• Una schiacciante capacità di ritorsione nucleare strategica che avrebbe scoraggiato qualsiasi possibilità di attacco o ricatto nucleare;

• Una difesa convenzionale delle coste continentali e dello spazio aereo che sarebbe stata estremamente facile da realizzare, dato che l'Unione Sovietica non aveva una Marina degna di nota e la Cina era sprofondata nell'anarchia industriale e agricola a causa dei catastrofici esperimenti di collettivizzazione di Mao.

Questo quadro taftiano non è mai cambiato fino alla fine della Guerra Fredda nel 1991, anche se la tecnologia della guerra nucleare e convenzionale si è evoluta rapidamente. Con una modesta spesa militare Washington avrebbe potuto mantenere il suo deterrente nucleare pienamente efficace e mantenere una formidabile difesa della patria, senza nessuno degli apparati dell'Impero e senza stivali americani su suolo straniero. E dopo il 1991, il requisito sarebbe stato ancora meno esigente.

Infatti la necessità di una vera politica “America First”, ovvero il ritorno allo status quo pre-1948 e a una corretta postura militare da “Fortress America”, si è notevolmente rafforzata negli ultimi tre decenni. Questo perché nel mondo odierno l'unica minaccia militare teorica alla sicurezza nazionale americana è la possibilità di un ricatto nucleare. Vale a dire, la minaccia di un avversario con una capacità di First Strike così schiacciante, letale ed efficace da poter gridare “scacco matto” e chiedere la resa di Washington.

Fortunatamente non c'è nazione sulla Terra che abbia qualcosa di simile e quindi evitare un annientamento per rappresaglia del proprio Paese se tentasse di colpire per primo. Dopo tutto, gli Stati Uniti hanno 3.700 testate nucleari attive, di cui circa 1.800 sono operative in qualsiasi momento. A loro volta queste sono sparse sotto i sette mari, in silos rinforzati e protette tra una flotta di bombardieri costituita da 66 B-2 e B-52, tutti fuori dal rilevamento o dalla portata di qualsiasi altra potenza nucleare.

Ad esempio, i sottomarini nucleari di classe Ohio hanno ciascuno 20 tubi missilistici, con ogni missile che trasporta una media di quattro o cinque testate: si tratta di 90 testate indipendenti per imbarcazione. In qualsiasi momento 12 dei 14 sottomarini nucleari di classe Ohio possono essere schierati e sparsi negli oceani del pianeta entro un raggio di tiro di 4.000 miglia.

Quindi, al momento di un eventuale attacco, si tratta di 1.080 testate nucleari in acque profonde che navigano lungo i fondali oceanici e che dovrebbero essere identificate, localizzate e neutralizzate prima ancora che un potenziale aggressore nucleare, o ricattatore, possa iniziare il suo spettacolo. Infatti la sola forza nucleare basata in mare è un potente garante della sicurezza nazionale americana. Nemmeno i tanto decantati missili ipersonici della Russia sono riusciti a trovare, o a eliminare di sorpresa, il deterrente statunitense in mare.

E poi ci sono le circa 300 testate nucleari a bordo dei 66 bombardieri strategici, che non sono nemmeno seduti su un singolo aeroporto (in stile Pearl Harbor) in attesa di essere annientati, ma girano costantemente in aria e sono in movimento. Allo stesso modo i 400 missili Minutemen III sono distribuiti in silos estremamente rinforzati nel sottosuolo, in una vasta fascia del Midwest superiore. Ogni missile trasporta attualmente una testata nucleare in conformità con il Trattato Start, ma potrebbe essere MIRV in risposta a una grave minaccia, aggravando e complicando ulteriormente il calcolo del First Strike di un avversario.

Inutile dire che non c'è modo, forma o aspetto in cui il deterrente nucleare americano possa essere neutralizzato da un ricattatore. E questo ci porta al cuore della nostra tesi: secondo le più recenti stime del CBO, la triade nucleare americana costerà solo circa $75 miliardi all'anno per il suo mantenimento nel prossimo decennio, comprese le quote per gli aggiornamenti periodici delle armi.

Proprio così. La componente fondamentale della sicurezza militare americana richiede solo il 7% dell'enorme budget militare odierno, come dettagliato nella tabella qui sotto. Nel 2023 la triade nucleare americana stessa è costata solo $28 miliardi, più altri $24 miliardi per le scorte correlate e l'infrastruttura di comando, controllo e allerta.

Inoltre si stima che la componente chiave di questo deterrente nucleare, la forza missilistica balistica basata sul mare, costerà solo $188 miliardi nell'intero prossimo decennio. Ciò rappresenta solo l'1,9% della base calcolata dal CBO ($10.000 miliardi) per suddetto periodo.

Dopo aver accantonato i $75 miliardi per la triade nucleare strategica, quanto dei restanti $900 miliardi sarebbero effettivamente necessari per una difesa convenzionale delle coste continentali e dello spazio aereo?

Nell'attuale ordine mondiale non ci sono potenze industriali tecnologicamente avanzate che abbiano la capacità o l'intenzione di attaccare la patria americana con forze convenzionali. Per farlo avrebbero bisogno di un'enorme armata militare che includa una Marina e un'Aeronautica molte volte più grandi delle attuali forze armate statunitensi, enormi risorse di trasporto aereo e marittimo, e gigantesche linee di rifornimento e capacità logistiche che nessun'altra nazione sul pianeta s'è mai lontanamente sognata.

Avrebbe anche bisogno di un PIL iniziale di $50.000 miliardi per sostenere quella che sarebbe la più colossale mobilitazione di armamenti e materiali nella storia dell'umanità. E questo per non parlare della necessità di essere governati da leader talmente desiderosi di suicidarsi da essere disposti a rischiare la distruzione nucleare dei loro stessi Paesi, alleati e commercio economico per realizzare... cosa?

L'idea stessa che ci sia una minaccia esistenziale post-guerra fredda per la sicurezza americana è semplicemente folle. Per prima cosa, nessuno ha il PIL o il peso militare necessari. Il PIL della Russia è di appena $2.000 miliardi, non i $50.000 miliardi che sarebbero necessari per mettere le forze di invasione sulle coste del New Jersey. E il suo bilancio della difesa è di $75 miliardi, che ammontano a circa quattro settimane del mostro da $900 miliardi di Washington.

Quanto alla Cina, non ha il peso del PIL per pensare di sbarcare sulle coste della California, nonostante l'infinita sottomissione di Wall Street al boom cinese. Il fatto è che la Cina ha accumulato più di $50.000 miliardi di debito in appena due decenni!

Pertanto non è cresciuta organicamente secondo il modello capitalista storico; ha stampato, preso in prestito, speso e costruito come se non ci fosse un domani. Il simulacro di prosperità risultante non durerebbe un anno se il suo mercato dell'export da $3.600 miliardi, la fonte che mantiene in piedi il suo schema Ponzi, dovesse crollare ed è esattamente ciò che accadrebbe se cercasse di invadere l'America.

Di sicuro i leader totalitari della Cina sono immensamente malvagi nei confronti della loro popolazione oppressa, ma non sono stupidi. Restano al potere mantenendo la gente relativamente grassa e felice e non rischierebbero mai di far crollare quello che equivale a un castello di carte economico.

Infatti quando si tratta della minaccia di un'invasione militare convenzionale, i vasti fossati dell'Atlantico e del Pacifico sono le barriere definitive all'assalto militare straniero nel XXI secolo, molto più di quanto abbiano già dimostrato di essere nel XIX secolo. Questo perché l'attuale tecnologia di sorveglianza avanzata e i missili antinave farebbero fare compagnia allo scrigno di Davy Jones a una qualsiasi armata navale nemica non appena uscisse dalle proprie acque territoriali.

Il fatto è che, in un'epoca in cui il cielo è pieno di risorse di sorveglianza ad alta tecnologia, una massiccia armata di forze convenzionali non potrebbe essere segretamente costruita, testata e radunata per un attacco a sorpresa senza essere subito notata da Washington. Non può esserci una ripetizione della forza d'attacco giapponese (Akagi, Kaga, Soryu, Hiryu, Shokaku e Zuikaku) che attraversa il Pacifico verso Pearl Harbor senza essere avvistata con largo anticipo.

Infatti i presunti “nemici” americani in realtà non hanno alcuna capacità offensiva o di invasione. La Russia ha solo una portaerei, una reliquia degli anni '80 e che è in bacino di carenaggio per riparazioni dal 2017; non è equipaggiata né con una falange di navi di scorta, né con una serie di aerei da attacco e da combattimento, e al momento nemmeno con un equipaggio attivo.

Allo stesso modo la Cina ha solo tre portaerei, due delle quali sono vecchie navi arrugginite e ricondizionate, acquistate tra i resti della vecchia Unione Sovietica, e non hanno nemmeno catapulte moderne per lanciare i loro aerei d'attacco.

In breve, né la Cina né la Russia spingeranno i loro minuscoli gruppi di battaglia di 3 e 1 portaerei verso le coste della California o del New Jersey. Una forza d'invasione che avesse una minima possibilità di sopravvivere a una difesa statunitense fatta di missili da crociera, droni, caccia a reazione, sottomarini d'attacco e guerra elettronica dovrebbe essere 100 volte più grande.

Ancora una volta, non esiste alcun PIL al mondo ($2.000 miliardi per la Russia o $18.000 miliardi per la Cina) che si avvicini anche lontanamente ai $50.000 miliardi, o persino ai $100.000 miliardi, necessari per sostenere una forza d'invasione senza far crollare l'economia nazionale.

Eppure Washington mantiene ancora una capacità di guerra convenzionale che abbraccia tutto il mondo, di cui non ha mai avuto realmente bisogno nemmeno durante la guerra fredda. Ma ora, a un terzo di secolo dal crollo dell'impero sovietico e dalla scelta della Cina di seguire la strada di una profonda integrazione economica globale, si riduce a una forza muscolare del tutto non necessaria.

Ci riferiamo, ovviamente, ai 173.000 soldati americani in 159 Paesi e alla rete di 750 basi in 80 Paesi. Washington equipaggia, addestra e schiera una forza armata di 2,86 milioni non per scopi di difesa della patria, ma per missioni di offesa, invasione e occupazione all'estero in tutto il pianeta.

Come illustrato nel grafico qui sotto, questa obsoleta postura militare dell'“Empire First” include, tra le altre cose:

• 119 basi e circa 34.000 soldati in Germania;

• 44 basi e 12.250 soldati in Italia;

• 25 basi e 9.275 soldati nel Regno Unito;

• 120 basi e 53.700 soldati in Giappone;

• 73 basi e 26.400 soldati in Corea del Sud.

Tutta questa inutile forza militare si erge come costoso monumento alla vecchia teoria della sicurezza collettiva, la quale portò alla fondazione della NATO nel 1949 e dei suoi cloni regionali successivi. E sì, c'erano considerevoli partiti comunisti locali in Italia e Francia alla fine degli anni '40, e il partito laburista in Inghilterra aveva una sfumatura rossastra. Ma, ancora una volta, gli archivi ora aperti della vecchia Unione Sovietica dimostrano in modo conclusivo che Stalin non aveva né i mezzi né l'intenzione di invadere l'Europa occidentale.

La capacità militare che l'Unione Sovietica resuscitò dopo il massacro con gli eserciti di Hitler era di natura fortemente difensiva, quindi la minaccia comunista in Europa avrebbe potuto essere sgominata da queste nazioni alle urne, non sul campo di battaglia. Non avevano bisogno della NATO per fermare un'imminente invasione sovietica.

Naturalmente ciò che la NATO ha realizzato è stato ridurre drasticamente il peso della spesa per la difesa nell'Europa occidentale, anche se la maggior parte di queste nazioni ha optato per uno stato sociale espansivo e costoso. Vale a dire, lo stato militare di cui l'America non aveva bisogno dal 1950 al 1990 ha alla fine reso possibili gli stati sociali che l'Europa non poteva permettersi, né allora né adesso.

Inutile dire che, una volta fondato l'Impero di basi, alleanze, sicurezza collettiva e incessante ingerenza della CIA negli affari interni dei Paesi stranieri, con sede a Washington, esso vi è rimasto attaccato come la colla, anche se i fatti della vita internazionale hanno dimostrato più e più volte che l'Impero non era necessario.

Vale a dire che le presunte “lezioni” del periodo tra le due guerre mondiali sono state manipolate. L'ascesa aberrante di Hitler e Stalin non è avvenuta perché la brava gente di Inghilterra, Francia e America ha dormito durante gli anni '20 e '30.

Invece sono sorti dalle ceneri dell'intervento di Woodrow Wilson in una disputa del vecchio mondo che non era affare dell'America. Infatti l'arrivo di due milioni di americani e massicci flussi di armamenti e prestiti da Washington hanno permesso una pace vendicativa dei vincitori a Versailles piuttosto che la fine di una guerra mondiale inutile che avrebbe lasciato tutte le parti esauste, in bancarotta e demoralizzate, e i rispettivi partiti di guerra interna soggetti a un massiccio ripudio alle urne.

L'intervento di Wilson sui campi di battaglia in stallo del fronte occidentale diede vita a Lenin e Stalin, e le sue macchinazioni con i vincitori a Versailles favorirono l'ascesa di Hitler.

Fortunatamente i primi portarono alla fine del secondo a Stalingrado. Ma quella avrebbe dovuto essere la fine della questione nel 1945 e, infatti, il mondo c'era quasi arrivato. Dopo le parate della vittoria, la smobilitazione e la normalizzazione della vita civile procedettero a passo spedito in tutto il mondo.

Ahimè, l'incipiente Partito della Guerra di Washington, composto da appaltatori militari, agenti e burocrati giramondo, cresciuto nel calore della seconda guerra mondiale, non era intenzionato a dare la buonanotte e andarsene. Invece la guerra fredda fu partorita sulle rive del Potomac quando il presidente Truman cadde sotto l'incantesimo dei falchi di guerra come il segretario James Byrnes, Dean Acheson, James Forrestal e i fratelli Dulles, tutti restii a tornare alle loro vite banali di banchieri civili, politici o diplomatici in tempo di pace.

Quindi nel periodo postbellico il comunismo mondiale non era realmente in marcia e le nazioni del mondo non erano implicate nella caduta di tessere del domino o nella gestazione di nuovi Hitler e Stalin. Ma i nuovi sostenitori dell'Impero insistevano che erano esattamente la stessa cosa e che la sicurezza nazionale richiedeva un impero esteso che è ancora con noi oggi.

Quindi non c'è mistero perché si tratti di Guerre Infinite, o perché in un momento in cui lo Zio Sam sta perdendo inchiostro rosso come mai prima, una larga maggioranza bipartisan ritiene opportuno autorizzare $1.100 miliardi all'anno per una forza militare enormemente eccessiva e sprechi in aiuti esteri che non fanno assolutamente nulla per la sicurezza interna dell'America.

Infatti Washington si è trasformata in un fenomeno della storia mondiale, una capitale di guerra planetaria dominata da un complesso panoptico di mercanti d'armi, paladini dell'intervento estero e nomenklatura bellica. Mai prima d'ora si era radunata e concentrata sotto un'unica autorità statale una forza egemonica che possedeva così tante risorse fiscali e mezzi militari.

Non sorprende che la Capitale della Guerra sul Potomac sia orwelliana fino al midollo. La guerra è sempre e ovunque descritta come la promozione della pace. Il suo stivale egemonico globale è abbellito nella forma apparentemente benefica di alleanze e trattati, progettati apparentemente per promuovere un “ordine basato su regole” e sicurezza collettiva a beneficio dell'umanità.

Come abbiamo visto, però, il fondamento intellettuale di questa impresa è falso. Il pianeta non è pieno di potenziali aggressori e costruttori di imperi onnipotenti che devono essere fermati di colpo ai loro confini per timore che divorino la libertà di tutti i loro vicini.

Né il DNA delle nazioni è perennemente infettato da macellai e tiranni incipienti come Hitler e Stalin. Sono stati incidenti irripetibili della storia e completamente distinguibili dalla serie standard di piccole cose quotidiane che in realtà nascono periodicamente. Ma queste ultime disturbano principalmente l'equilibrio dei loro immediati vicini, non la pace del pianeta.

Quindi la sicurezza nazionale americana non dipende da una vasta gamma di alleanze, trattati, basi militari e operazioni di influenza straniera. Nel mondo odierno non ci sono Hitler, reali o latenti, da fermare. L'intero quadro della Pax Americana e la promozione/applicazione di un ordine internazionale “basato su regole” con sede a Washington sono un errore epico.

A questo proposito, i padri fondatori ci hanno visto giusto più di 200 anni fa, durante l'infanzia della Repubblica. Come sosteneva John Quincy Adams: “[L'America] si è astenuta dall'interferire nelle questioni degli altri, anche quando il conflitto è stato per principi a cui si aggrappa [...]. È la benefattrice della libertà e dell'indipendenza di tutti. È la paladina e la vendicatrice solo della sua stessa libertà”.

Inutile dire che il commercio pacifico è invariabilmente molto più vantaggioso per le nazioni grandi e piccole rispetto all'ingerenza, all'interventismo e all'impegno militare. Nel mondo odierno sarebbe il gioco predefinito sulla scacchiera internazionale, fatta eccezione per il Grande Egemone sulle rive del Potomac. Vale a dire, il principale disturbo della pace oggi è invariabilmente promosso dal pacificatore autoproclamato, che, ironicamente, è la nazione meno minacciata dell'intero pianeta.

Il punto di partenza per una postura militare “America First”, quindi, è il drastico ridimensionamento dell'esercito statunitense, composto da quasi un milione di uomini. Quest'ultimo non avrebbe alcuna utilità all'estero perché non ci sarebbe motivo per guerre di invasione e occupazione straniere, mentre le probabilità che battaglioni e divisioni straniere raggiungano l'America sono praticamente inesistenti. Con una guarnigione costiera adeguata di missili, sottomarini d'attacco e caccia a reazione, qualsiasi esercito invasore diventerebbe un'esca per squali molto prima di vedere le coste della California o del New Jersey.

Eppure i 462.000 soldati in servizio attivo dell'esercito a $112.000 ciascuno hanno un costo di bilancio annuale di $55 miliardi, mentre le 506.000 forze di riserva dell'esercito a $32.000 ciascuna costano più di $16 miliardi. E in cima a questa struttura di forza, ovviamente, ci sono i $77 miliardi per operazioni e manutenzione, $27 miliardi per approvvigionamento, $22 miliardi per RDT&E e $4 miliardi per tutto il resto (in base alla richiesta di bilancio per l'anno fiscale 2025).

In totale, l'attuale bilancio dell'esercito ammonta a quasi $200 miliardi e praticamente tutta questa enorme spesa, quasi 3 volte il bilancio totale della difesa della Russia, è impiegata al servizio dell'Impero, non della difesa della patria. Potrebbe essere facilmente tagliata del 70% o di $140 miliardi, il che significa che la componente dell'esercito degli Stati Uniti assorbirebbe solo $60 miliardi all'anno in base a un quadro di bilancio esclusivamente improntato alla difesa.

Allo stesso modo la Marina e il Corpo dei Marine degli Stati Uniti spendono $55 miliardi all'anno per 515.000 militari in servizio attivo e altri $3,7 miliardi per 88.000 riservisti. Tuttavia, se si considerano i requisiti fondamentali di una postura di difesa, anche queste forze e spese sono decisamente esagerate.

Per missioni principali si faceva riferimento alla componente della Marina della triade nucleare strategica e alla grande forza di sottomarini d'attacco e missili da crociera della Marina. Ecco, di seguito, gli attuali requisiti di manodopera per queste forze chiave:

14 sottomarini nucleari strategici classe Ohio: ogni imbarcazione è composta da due equipaggi da 155 ufficiali e soldati semplici, per un fabbisogno di forza diretta di 4.400 unità e un totale complessivo di 10.000 militari, includendo (o meno) ammiragli, personale di bordo e personale vigile.

50 sottomarini con missili da crociera: ci sono due equipaggi di 132 ufficiali e soldati semplici per ogni imbarcazione, per un fabbisogno diretto di 13.000 persone e un totale complessivo di 20.000 persone, inclusi ammiragli e personale di bordo.

In breve, le missioni principali della Marina in base a un quadro prettametne difensivo coinvolgerebbero circa 30.000 ufficiali e soldati semplici, ovvero meno del 6% dell'attuale forza in servizio attivo della Marina/Corpo dei Marine. D'altro canto i gruppi di battaglia delle portaerei totalmente inutili, che operano esclusivamente al servizio dell'Impero, hanno equipaggi di 8.000 uomini ciascuno, se si contano le navi di scorta e le suite di aerei.

Quindi gli 11 gruppi di battaglia delle portaerei e la loro infrastruttura richiedono 88.000 militari diretti e 140.000 in totale se si includono il solito supporto e le spese generali. Allo stesso modo, la forza in servizio attivo del Corpo dei Marine è di 175.000 unità, e questo è interamente uno strumento di invasione e occupazione. È totalmente inutile per una difesa della patria.

In breve, ben 315.000 unità o il 60%  dell'attuale forza in servizio attivo della Marina/Corpo dei Marine funziona al servizio dell'Impero. Quindi, se si ridefiniscono le missioni della Marina per concentrarsi sulla deterrenza nucleare strategica e sulla difesa costiera, è evidente che più della metà della sua struttura di forza non è necessaria per la sicurezza della patria. Invece funziona al servizio della proiezione di potere a livello mondiale, funziona come controllo delle rotte marittime dal Mar Rosso al Mar Cinese Orientale e funziona come piattaforma per guerre di invasione e occupazione.

Nel complesso, l'attuale bilancio della Marina/Corpo dei Marine ammonta a circa $236 miliardi, se si includono $59 miliardi per il personale militare, $81 miliardi per O&M, $67 miliardi per gli appalti, $26 miliardi per RDT&E e $4 miliardi per tutte le altre voci. Un taglio di $96 miliardi o del 40%, quindi, lascerebbe comunque $140 miliardi per le missioni principali... di difesa.

Tra i servizi, i $246 miliardi contenuti nel bilancio dell'Aeronautica sono considerevolmente più orientati a una postura di sicurezza nazionale rispetto a quanto avviene con l'Esercito e la Marina. Sia la branca terrestre Minuteman della triade strategica che le forze dei bombardieri B-52 e B-2 sono finanziate in questa sezione del bilancio della difesa.

E mentre una parte significativa del bilancio per l'equipaggio, le operazioni e l'approvvigionamento di aerei convenzionali e di forze missilistiche è attualmente destinata a missioni all'estero, solo la componente di trasporto aereo e di basi estere di tali spese è al servizio dell'Impero.

Seguendo una linea d'approccio prettamente difensiva, quindi, una parte sostanziale della potenza aerea convenzionale, che comprende più di 4.000 velivoli ad ala fissa e rotativi, verrebbe riconvertita in missioni di difesa della patria. Di conseguenza più del 75%, o $180 miliardi, dell'attuale bilancio dell'aeronautica rimarrebbe in vigore, limitando i risparmi a soli $65 miliardi.

Infine un coltello particolarmente affilato dovrebbe essere fatto calare sulla componente da $181 miliardi del bilancio della difesa destinato alle operazioni generali del Pentagono e del Dipartimento della Difesa. Ben $110 miliardi, ovvero il 61% della somma sopraccitata (più di 2 volte il bilancio militare totale della Russia), sono in realtà destinati alla schiera di dipendenti civili nel Dipartimento della Difesa e ai contractor con sede a DC/Virginia che si nutrono dello stato militare.

In termini di sicurezza nazionale, molte di queste spese non sono solo inutili e controproducenti, ma costituiscono la forza di lobby e di traffico di influenze finanziata dai contribuenti che mantiene l'Impero in vita. Anche in questo caso un'indennità del 38%, o $70 miliardi, per le funzioni del Dipartimento della Difesa soddisferebbero ampiamente le vere esigenze di una struttura burocratica dedicata alla difesa della nazione.

Nel complesso, quindi, ridimensionare la forza del Dipartimento della Difesa genererebbe $410 miliardi di risparmi per l'anno fiscale 2025. Altri $50 miliardi di risparmi potrebbero essere ottenuti eliminando la maggior parte dei finanziamenti per l'ONU, altre agenzie internazionali, assistenza alla sicurezza e aiuti economici. Aggiustato all'inflazione fino al 2029, il risparmio totale ammonterebbe a $500 miliardi.

Risparmi sul budget in base a una strategia prettamente difensiva:

• Esercito: $140 miliardi

• Marina/Corpo dei Marine: $96 miliardi

• Aeronautica militare: $65 miliardi

• Dipartimento della Difesa: $111 miliardi

• Contributi delle Nazioni Unite e aiuti economici/umanitari esteri: $35 miliardi

• Assistenza alla sicurezza internazionale: $15 miliardi

• Risparmio totale, base anno fiscale 2025: $462 miliardi

• Aggiustamento all'inflazione, 8% all'anno fino al 2029: +$38 miliardi

• Risparmi totali sul bilancio per l'anno fiscale 2029: $500 miliardi

Le indennità risultanti (per l'anno fiscale 2025) di $60 miliardi per l'esercito, $140 miliardi per la marina, $180 miliardi per l'aeronautica e $70 miliardi per le operazioni del Dipartimento della Difesa ridurrebbero la componente dello stato militare a $450 miliardi all'anno. In potere d'acquisto attuale questo è esattamente ciò che Eisenhower riteneva più che adeguato per la sicurezza nazionale, quando mise in guardia gli americani dal complesso militare-industriale durante il suo discorso di addio 63 anni fa.

In fin dei conti, il momento di riportare a casa l'Impero è arrivato da tempo. Il costo annuale di $1.300 miliardi dello stato militare (incluse le operazioni internazionali e i veterani) non è più sostenibile, ed è stato inutile per la sicurezza della patria per tutto il tempo che è rimasto in vigore.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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giovedì 16 gennaio 2025

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da Bitcoin Magazine

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/esploriamo-6-indicatori-on-chain)

Con Bitcoin che ora fa sembrare normale il territorio a sei cifre e prezzi più alti una inevitabilità, l'analisi dei dati chiave on-chain fornisce preziose informazioni sulla salute di base del mercato. Comprendendo queste metriche, gli investitori possono anticipare meglio i movimenti dei prezzi e prepararsi per potenziali picchi di mercato o persino per eventuali imminenti ritracciamenti.


PREZZO TERMINALE

La metrica del Prezzo terminale, che incorpora i Coin Days Destroyed (CDD) e tiene conto dell'offerta di Bitcoin, è stata un indicatore affidabile per prevedere i picchi dei cicli di mercato. Coin Days Destroyed misura la velocità delle coin trasferite, considerando sia la durata di detenzione che la quantità spostata.

Grafico 1: il Prezzo terminale di Bitcoin ha superato i $185.000

Visualizza il grafico in tempo reale 🔍

Attualmente il Prezzo terminale ha superato i $185.000 ed è probabile che salirà verso i $200.000 con l'avanzare del ciclo. Con Bitcoin che ha già superato i $100.000, questo suggerisce che potremmo avere ancora diversi mesi di movimento di prezzo positivo davanti a noi.


MULTIPLO PUELL

Il Multiplo Puell valuta i ricavi giornalieri dei miner (in dollari) in relazione alla sua media mobile a 365 giorni. Dopo l'halving, i miner hanno subito un forte calo dei ricavi, creando un periodo di consolidamento.

Grafico 2: Il Multiplo Puell è salito sopra 1,00

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Ora il Multiplo Puell è risalito sopra 1, segnalando un ritorno alla redditività per i miner. Storicamente il superamento di questa soglia ha indicato le fasi successive di un ciclo rialzista, spesso caratterizzato da rally esponenziali dei prezzi. Un modello simile è stato osservato durante tutte le precedenti corse rialziste.


MVRV-Z

L'MVRV-Z  misura il valore di mercato in relazione al valore realizzato (base di costo medio dei possessori di Bitcoin). Standardizzato per tenere conto della volatilità dell'asset, è stato estremamente accurato nell'identificare picchi e minimi dei cicli.

Grafico 3: l'MVRV-Z è ancora notevolmente al di sotto dei picchi precedenti

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Attualmente l'MVRV-Z di Bitcoin rimane al di sotto della zona rossa surriscaldata con un valore di circa 3,00, a indicare che c'è ancora spazio per salire. Mentre i picchi decrescenti sono stati una tendenza nei cicli recenti, suddetto indicatore suggerisce che il mercato è ben lungi dal raggiungere un picco di euforia.


SENTIMENT DEGLI INDIRIZZI ATTIVI

Questa metrica traccia la variazione percentuale a 28 giorni degli indirizzi di rete attivi insieme alla variazione di prezzo nello stesso periodo. Quando la crescita dei prezzi supera l'attività della rete, suggerisce che il mercato potrebbe essere ipercomprato a breve termine, poiché l'azione positiva dei prezzi potrebbe non essere sostenibile dato l'utilizzo della rete.

Grafico 4: il Sentiment degli indirizzi attivi ha indicato condizioni di surriscaldamento sopra i $100.000

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I dati recenti mostrano un leggero raffreddamento dopo la rapida salita di Bitcoin da $50.000 a $100.000, indicando un sano periodo di consolidamento. Questa pausa sta preparando il terreno per una crescita sostenuta a lungo termine e non indica che dovremmo essere ribassisti nel medio-lungo termine.


RAPPORTO TRA OUTPUT SPESO E PROFITTO

Il Rapporto tra output speso e profitto misura i profitti realizzati dalle transazioni Bitcoin. I dati recenti mostrano un aumento delle prese di profitto, il che indica potenzialmente che stiamo entrando nelle ultime fasi del ciclo.

Grafico 5: grandi cluster di rapporto tra output speso e profitto segnalano player che incassano

Visualizza il grafico in tempo reale 🔍

Un avvertimento da prendere in considerazione è il crescente utilizzo degli ETF su Bitcoin e prodotti derivati. Gli investitori potrebbero passare dall'autocustodia agli ETF per facilità d'uso e vantaggi fiscali, il che potrebbe influenzare i valori del Rapporto tra output speso e profitto.


VALUE DAYS DESTROYED

Il multiplo Value Days Destroyed (VDD) si espande sui CDD ponderando i detentori più grandi e a lungo termine. Quando questa metrica entra nella zona rossa surriscaldata, spesso segnala importanti picchi di prezzo poiché i player più grandi ed esperti iniziano a incassare.

Grafico 6: il VDD è surriscaldato, ma non troppo

Visualizza il grafico in tempo reale 🔍

Mentre gli attuali livelli di VDD di Bitcoin indicano un mercato leggermente surriscaldato, la storia suggerisce che potrebbe mantenere questo intervallo per mesi prima di un picco. Ad esempio, nel 2017 il VDD indicò condizioni di ipercomprato quasi un anno prima del picco del ciclo.


CONCLUSIONE

Nel complesso queste metriche suggeriscono che Bitcoin sta entrando nelle ultime fasi del suo mercato rialzista. Mentre alcuni indicatori puntano a un raffreddamento a breve termine, o a una leggera sovraestensione, la maggior parte evidenzia un sostanziale rialzo residuo per tutto il 2025. I livelli di resistenza chiave per questo ciclo potrebbero emergere tra $150.000 e $200.000, con metriche come il Rapporto tra output speso e profitto e il VDD che forniranno segnali più chiari man mano che ci avvicineremo al picco.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 15 gennaio 2025

Perché in Europa non ci sono aziende da mille miliardi di dollari?

Nel mio ultimo libro, “Il Grande Default”, ho dedicato diversi capitoli ai motivi per cui l'Europa è destinata all'irrilevanza economica e commerciale. Il pezzo di oggi approfondisce brevemente questi aspetti, ma ne tralascia uno davvero dirimente: la burocrazia. L'esempio più recente ce l'abbiamo avuto con il MiCa che vuole imbavagliare fino all'asfissia il settore delle criptovalute e con la polemica sui satelliti di cui, si dice, Musk detenga il monopolio. L'Europa è indietro su tutto, ma piuttosto che liberalizzare continua a regolamentare. Perché non può fare altrimenti? Perché è nella sua natura: è la replica in salsa moderna dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Innovazione, competitività e libertà di espressione (si veda il DSA) sono tutti elementi che stridono con un controllo capillare del tessuto socioeconomico; per non parlare, poi, della tassazione predatoria nei confronti di chi crea valore aggiunto, il quale viene disincentivato a farlo. Perché è necessario questo controllo capillare? Perché per l'Europa sta suonando la campana del default e la classe dirigente sente l'urgenza di doversi riciclare nel nuovo sistema ricoprendo la stessa posizione che ricopriva in precedenza. Dopo Zuckerberg, infatti, anche Blackrock ci fa sapere che ha deciso da che parte sta, riducendo ancor di più la pletora di “alleati” su cui l'UE poteva contare. La mentalità della classe dirigente europea, e inglese, è quella di colonizzatori, quindi presuppongono in modo pretenzioso di godere di un potere di monopsonio. Questa presunzione, arrogante, di conoscenza sarà il loro epitaffio.

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di David Hebert

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-in-europa-non-ci-sono-aziende)

L'Europa è un continente diversificato, con 44 Paesi, ognuno con la sua ricca (e lunga) storia e una costellazione unica di linee di politica. Nonostante questo, però, non ci sono aziende da mille miliardi di dollari in tutta Europa. Infatti delle undici aziende in tutto il mondo che hanno raggiunto questo livello, nove sono negli Stati Uniti, mentre le altre due sono a Taiwan e in Arabia Saudita. Se guardiamo alle prime undici aziende in Europa, la loro capitalizzazione di mercato combinata ammonta a soli $2.200 miliardi, ovvero $1.000 miliardi in meno rispetto alla capitalizzazione di mercato della sola Apple.

Allora cosa succede? Perché non ci sono aziende da mille miliardi di dollari in tutta Europa?

Una risposta: la maggior parte delle aziende da mille miliardi di dollari che esistono oggi sono quelle che consideriamo “giganti della tecnologia”: Apple, Microsoft, Nvidia, Alphabet, Amazon e Meta. L'economista Harold Hotelling fornì spunti sul perché queste aziende hanno tutte sede negli Stati Uniti, già nel lontano 1929. Prima di applicare i suoi spunti ai giganti della tecnologia, facciamo una breve deviazione per capire perché tendono a esserci molte stazioni di servizio agli angoli dello stesso incrocio. Non avrebbe più senso che fossero sparse in tutta una città o area?

La spiegazione è la competizione. Supponiamo di avere persone sparse per tutta una città, a cui non importa molto di quale marca di benzina acquistare, vogliono solo andare alla stazione di servizio più facile da raggiungere. Se le stazioni di servizio fossero distribuite in tutta la città (e se ignoriamo i costi di spostamento delle stazioni di servizio), ognuna di esse vorrebbe spostarsi sempre più vicino a dove vive la maggior parte dei clienti per assicurarsene il maggior numero. Finiranno con il trovarsi l'una di fronte all'altra, o addirittura l'una accanto all'altra.

Lo stesso si può dire dei giganti della tecnologia. Vorranno stabilirsi dove vive la maggior parte dei loro clienti e, con una base di clienti enorme con uno dei più alti tassi di adozione della tecnologia al mondo, stabilirsi negli Stati Uniti ha senso dal punto di vista commerciale.

Ma anche questa spiegazione è carente, visto che presuppone che essi debbano solo decidere dove stabilirsi. La verità è che queste aziende non sono scese sul mondo come manna dal cielo; dovevano essere create e costruite da zero. Le vere domande che dobbiamo porci, quindi, sono:

  1. Cosa rende gli Stati Uniti così fertili per la crescita economica?
  2. Cosa rende l'Europa così reticente alla crescita?


America & Europa: una prospettiva economica

Non è un segreto che gli USA rimangano “la terra delle opportunità”. Anche solo dal punto di vista logico possiamo dire che si basano sui modelli di immigrazione, infatti gli USA rimangono uno dei Paesi con più immigrati al mondo. L'ONU segnala che il 20% del totale degli immigrati nel mondo intero si trova negli Stati Uniti. Ma questo solleva ancora una domanda: perché così tante persone vogliono vivere negli Stati Uniti quando potrebbero vivere altrove?

Ci sono molti fattori, ma il principale è di natura economica. Innanzitutto possiamo guardare ai salari medi nei vari Paesi. Gli Stati Uniti restano uno dei Paesi con i guadagni più alti al mondo. Per evitare di pensare che si tratti di un caso fortuito o di un incidente storico, studi transnazionali confermano che il semplice fatto di vivere negli Stati Uniti fa aumentare i salari dei lavoratori.

Gli economisti neo-premiati con il Nobel, Daron Acemoglu e James Robinson, lo hanno dimostrato osservando la città di Nogales, una città al confine tra Messico e Arizona. Ciò che rende unica questa situazione è che la gente della città condivide un'eredità e una cultura comuni; infatti ci sono famiglie che sono state divise in due quando il muro è stato eretto per la prima volta. A causa della loro eredità comune, l'unica vera differenza sta nel lato della recinzione che attraversa proprio il centro della città. Il lato statunitense è molto, molto più ricco di quello messicano. Infatti, nel 2012, i vigili del fuoco del lato statunitense hanno aiutato il lato messicano a spegnere incendi “esportando” acqua oltre la recinzione. Hanno potuto farlo solo grazie alla loro ricchezza notevolmente più elevata.

Poi possiamo prendere in considerazione anche la facilità con cui si può avviare un'attività. Gli Stati Uniti sono tra le nazioni in cui è più facile avviare un'attività, con soli 4,2 giorni come tempo medio necessario per farlo, rispetto alla media dell'Unione Europea di 12,17 giorni. Questa misura, sebbene imperfetta, fornisce la prova di quanto velocemente si possa passare dall'avere un'idea per un'attività all'iniziare a gestirla. Più basso è questo numero, più facile e veloce può essere realizzarla. Il tempo necessario per farlo dipende da molti fattori, come il processo di approvazione e se una persona o un gruppo di persone deve approvare la domanda dal vivo o deve compilare una serie di moduli online e poi rivisti periodicamente durante, ad esempio, la stagione delle tasse. Indipendentemente da ciò, più velocemente tutto questo può essere fatto, più velocemente un aspirante imprenditore può avviare la propria attività, iniziare a servire la propria comunità e iniziare a guadagnare.

Infine possiamo guardare alle tasse. Nonostante le chiacchiere sulla pressione fiscale, gli Stati Uniti rimangono uno dei Paesi con le tasse più basse al mondo. Ciò è molto importante per i lavoratori, poiché tasse più basse significa che possono trattenere una parte maggiore del valore che creano per sé stessi invece di rimetterla allo stato, il quale la utilizzerà invece per scopi collettivi. Significa anche che è più economico assumere lavoratori e quindi espandere la forza lavoro di un'azienda.

Nel complesso possiamo vedere che gli USA rimangono un posto di prim'ordine per lavoratori e aziende. Il nostro sistema promuove l'imprenditoria e la creazione di opportunità di lavoro in un modo che è l'invidia del resto del mondo. Questo è qualcosa che deve essere protetto.

Come disse Ronald Reagan: “La libertà non è mai a più di una generazione di distanza dall'estinzione”.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 14 gennaio 2025

Il capitalismo degli stakeholder e il culto degli indicatori chiave di prestazione

L'articolo di oggi mi riporta alla mente quanto disse l'ex-amministratore delegato di Stellantis, Tavares, qualche tempo fa: “Se le persone non vogliono l'auto elettrica, allora produrremo meno auto a combustione interna affinché comprino solo elettrico”. Un'impresa che rinuncia al “fare profitto” è l'espressione di un tessuto economico a brandelli e un incubo a livello di organizzazione sociale. Questa è una linea di politica voluta. Ciò che fa davvero paura sono le imprese che si inchinano al volere politico piuttosto che al volere economico del mercato. Ma qui c'è in gioco il futuro della cricca di Davos, quindi tutto passa in secondo piano. Soprattutto il futuro della persona media la quale deve essere sottoposta da qui ai prossimi 5 anni a un “sanguinamento” progressivo per sostenere un sistema in bancarotta. La macchina è simbolo di indipendenza e già il fatto che sia inaccessibile ormai la dice lunga sulla volontà alla base della classe dirigente. Lo stesso discorso lo si può fare per la casa. Disabituarsi alla indipendenza e abituarsi invece alla dipendenza (che sia dal welfare state o altro) è l'ingrediente principale per la portata madre di questo pastone, come ho anche scritto nel mio ultimo libro Il Grande Default: controllo capillare per un haircut degli obbligazionisti (di cui fanno parte anche i pensionati).

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di Thomas DiLorenzo

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-capitalismo-degli-stakeholder)

Nelle imprese private “non c’è bisogno di limitare la discrezionalità dei subordinati con regole o regolamenti diversi da quelli che stanno alla base di tutte le attività commerciali, vale a dire, rendere le loro operazioni redditizie”.

In questa citazione dal suo libro del 1944, Bureaucracy, Mises spiega perché le aziende private a scopo di lucro non hanno bisogno della burocrazia e non dovrebbero essere invischiate in regole e regolamenti imposti dall'alto di una gerarchia amministrativa. Invece dovrebbero fare il miglior uso della “conoscenza del tempo e del luogo” decentralizzata per svolgere il loro lavoro. L'ammonimento di Mises, secondo cui l'obiettivo delle imprese capitaliste è e dovrebbe essere “fare profitti”, divenne in seguito, nelle mani degli economisti della Scuola di Chicago, “massimizzare il valore per gli azionisti”. Questo punto di vista è associato a Milton Friedman ed è stato accettato dalla gran parte delle aziende americane per molti anni.

Poi, nel 2018, l'amministratore delegato di Blackrock, Larry Fink, che all'epoca gestiva $6.000 miliardi in asset aziendali, ha insistito pubblicamente sul fatto che i dirigenti d'azienda avrebbero dovuto concentrarsi sugli “stakeholder” (ovvero tutti coloro che sono in qualche modo collegati a una società) invece che sugli azionisti. A ciò fece seguito, nell'agosto del 2019, una dichiarazione di 200 amministratori delegati di grandi società secondo cui massimizzare il valore per gli azionisti non era più il loro obiettivo principale; lo era, invece, aggiungere valore per tutti gli “stakeholder”.

All'epoca George Reisman scrisse che questo dimostrava che “molti amministratori delegati sanno talmente poco di economia da ignorare che in un libero mercato produrre per il profitto dei propri azionisti implica di per sé produrre per il beneficio di tutti”. Un'attività di successo e redditizia in un libero mercato concorrenziale avrà clienti che traggono benefici più di quanto spendono; i lavoratori saranno pagati più di quanto potrebbero guadagnare altrove; ci saranno città e paesi prosperi; e ne trarranno beneficio tutti gli “stakeholder” in generale.

Ciò che era significativo nella dichiarazione degli amministratori delegati, scrisse Reisman, era che “mostra fino a che punto l'eredità intellettuale americana del diritto a perseguire la felicità (il che include la ricerca del profitto) sia marcita e sia stata sostituita da una mentalità improntata al socialismo”. Inoltre dobbiamo tenere a mente che “man mano che cresce il potere arbitrario dello stato, gli uomini d'affari vengono messi in una posizione sempre più simile a quella degli ostaggi sequestrati dai terroristi”.

Ciò che intendeva dire è che i poteri normativi dello stato sono cresciuti talmente tanto (si veda la pubblicazione annuale del Competitive Enterprise Institute intitolata “Diecimila comandamenti”) che gli imprenditori sono costretti a trascorrere gran parte di ogni giornata lavorativa a seguire le regole e i regolamenti governativi invece di essere produttivi, proprio come Mises aveva messo in guardia. I regolatori sono “i terroristi” e gli imprenditori sono “gli ostaggi”. Inoltre, scrisse Reisman, “sono arrivati al punto in cui tentano di anticipare i desideri dei loro padroni e cercano di gratificarli senza prima ricevere gli 'ordini' normativi”. Ecco perché gli amministratori delegati hanno rilasciato quella dichiarazione: annunciare allo stato che avrebbero adottato volontariamente tutti i controlli e i regolamenti socialisti che esso avrebbe voluto imporre loro. È di fatto socialismo.

Ecco perché vediamo banchieri imporre quote razziali sui loro prestiti ipotecari per paura di essere perseguiti ai sensi del Community Reinvestment Act e bollati come razzisti; o case automobilistiche che si impongono normative più severe sul chilometraggio rispetto a quelle attualmente in vigore per paura di essere viste in futuro ed etichettate come “ostruzioniste”; e la più predominante in assoluto, l'imposizione di quote di razza e genere per assunzioni e promozioni sotto le mentite spoglie di “diversità, equità e inclusione”. Tutte queste cose vi faranno guadagnare punti KPI (indicatori chiave di prestazione) in ​​qualsiasi azienda americana.

Prima del 2019 molte aziende avevano ignorato l'ammonimento di Mises sull'istruire i subordinati a “fare profitto”, o addirittura “massimizzare il valore per gli azionisti”, e li avevano valutati con un guazzabuglio di “indicatori chiave di prestazione” (per l'appunto KPI). Questi “indicatori” hanno rapidamente incluso una miriade di obiettivi nebulosi per gli “stakeholder” e annunci di pubbliche relazioni. Scrivendo su Forbes un articolo intitolato, “Perché i KPI non funzionano”, il consulente aziendale e autore Steve Denning ha scritto di come le aziende avessero adottato un “labirinto di offuscamenti in chiave pubbliche relazioni solo per far contento il pubblico [...]”.

Un problema persistente con i KPI è, come sottolinea Denning, che molti degli indicatori “portano a incentivi perversi e conseguenze indesiderate come risultato del fatto che i dipendenti lavorano in base a misurazioni specifiche a spese della qualità o del valore effettivo per i clienti”. Il risultato è che i dipendenti stessi tendono a sviluppare KPI che mostrano semplicemente che si sta facendo più lavoro di facciata, ma non dimostrano che le prestazioni o il servizio clienti siano migliorati. I KPI, afferma Denning, “misurano la velocità della burocrazia”, ma “sono inversamente proporzionali alla produttività effettiva”. Mises sarebbe d'accordo.

“Come criceti in una ruota, il personale lavora di più ma non riesce a fare granché dal punto di vista produttivo”. Ciò riporta alla mente le storie di come l'Unione Sovietica cercò di giocare al capitalismo con vari obblighi, come l'ordine di produrre tante tonnellate di chiodi all'anno per soddisfare il successivo piano quinquennale di costruzione di case. I direttori di fabbrica stabilirono che il modo più semplice per farlo era produrre chiodi molto pesanti, abbastanza pesanti da spaccare assi di legno da due per quattro!

Peggio ancora, la mancanza di performance causata dai KPI in genere porta i dirigenti a rispondere “offrendo una valanga di nuovi KPI nel tentativo di dimostrare quanto siano produttivi”. Essi sono quindi “un dono di Dio alla burocrazia”, ​​secondo Denning: “Aiutano a perpetuarla e a creare infinite giustificazioni per essa. È lavoro, si nutre di lavoro e crea altro lavoro, senza servire a uno scopo esterno”.

Denning conclude suggerendo che le aziende dovrebbero concentrarsi sulla “creazione di valore per i clienti”, che è un altro modo di dire “fare solo profitti” invece di creare una gigantesca mostruosità burocratica. Ci si chiede se abbia letto Bureaucracy di Mises, come ha di recente ammesso di aver fatto il senatore Ted Cruz.

In un altro articolo intitolato, “Non aggiustate la burocrazia, uccidetela”, Denning ricorda la Genentech Corporation che ha oltre 100.000 dipendenti, ognuno dei quali è tenuto a elaborare un elenco KPI. Pochissimi degli elementi negli elenchi, scrive Denning, “avevano a che fare con la fornitura di valore ai clienti”.

Anche le organizzazioni non profit e le agenzie governative hanno adottato i KPI, ma questi problemi sono destinati a essere ancora più gravi in tali settori. Come per le aziende, è probabile che vengano utilizzati per dimostrare che è stato svolto molto lavoro di routine, anche se quest'ultimo non contribuisce in alcun modo a realizzare la missione dell'organizzazione.

Esistono metriche facili da usare per tutti i tipi di organizzazioni che rientrano nella definizione di KPI e possono essere utili se non essenziali. Ma ciò che è successo nelle aziende americane è la “mentalità improntata al socialismo” descritta da Reisman: la folle anticipazione di obblighi, controlli e regolamenti governativi con l'autoimposizione degli stessi. Sembra tutto una pianificazione centrale socialista di fatto, non è vero?


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 13 gennaio 2025

Il costo della censura di Facebook

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-costo-della-censura-di-facebook)

La storia ricorderà quest'epoca come il momento in cui i principi più sacri dell'America si sono scontrati con un potere istituzionale senza precedenti, e hanno perso. Lo smantellamento sistematico dei diritti fondamentali non è avvenuto tramite la forza militare o un decreto esecutivo, ma tramite la silenziosa cooperazione di piattaforme tecnologiche, gatekeeper nei media generalisti e agenzie governative, tutti pronti a ripetere di sostenere una protezione contro la “disinformazione”.

L'improvviso smantellamento del programma di fact-checking da parte di Meta — annunciato da Zuckerberg come un “punto di svolta culturale verso la priorità della libertà di parola” — si legge come una nota a piè di pagina silenziosa a quella che la storia potrebbe registrare come una delle più sconvolgenti violazioni dei diritti fondamentali nella memoria recente. Dopo otto anni di moderazione dei contenuti sempre più aggressiva, che ha coinvolto quasi 100 organizzazioni di fact-checking che operano in oltre 60 lingue, Meta sta ora virando verso un sistema guidato dalla comunità simile al modello di X.

Nel suo annuncio, Zuckerberg ci tiene a far sapere che la censura è stata un errore puramente tecnico, poi cambia tono verso la fine e ammette ciò che è stato a lungo contestato: “L'unico modo in cui possiamo contrastare questa tendenza globale è con il supporto del governo degli Stati Uniti. Ed è per questo che è stato difficile negli ultimi 4 anni, quando persino il governo degli Stati Uniti ha spinto per la censura. Prendendo di mira noi e altre aziende americane, ha incoraggiato altri governi ad andare oltre”.

In molti casi giudiziari costati milioni di dollari, che hanno comportato ingenti richieste FOIA, deposizioni e rivelazioni, la verità è stata documentata in 100,000 pagine di prove. Il caso giudiziario Murthy v. Missouri da solo ha scoperto la profondità del coordinamento del governo federale con i social media. La Corte Suprema ha preso in considerazione tutto, ma diversi giudici non sono riusciti a comprenderne la sostanza e la portata, e quindi hanno annullato un'ingiunzione di un tribunale inferiore per fermare tutto. Ora abbiamo Zuckerberg che ammette apertamente ciò che era in discussione: il coinvolgimento del governo degli Stati Uniti in violazione del Primo Emendamento.

Questo dovrebbe come minimo rendere più facile ottenere un risarcimento man mano che i casi giudiziari vanno avanti. Ciononostante è lo stesso frustrante. Sono stati spesi decine di milioni per dimostrare ciò che avrebbe potuto ammettere anni fa, ma a quei tempi i censori erano ancora al comando e Facebook stava proteggendo il suo rapporto con i poteri forti.

La tempistica del cambiamento è significativa: un alleato di Trump entra nel consiglio di amministrazione, il presidente degli affari esteri di Meta è stato sostituito da un importante repubblicano, e una nuova amministrazione si prepara a prendere le redini del governo. Ma mentre Zuckerberg inquadra questo come un ritorno ai principi della libertà di parola, il danno del loro esperimento di censura di massa non può essere annullato con un semplice cambiamento di politica.

L'ironia è profonda: aziende private che rivendicano l'indipendenza mentre agiscono come estensioni del potere statale. Prendiamo in considerazione la nostra esperienza: pubblicata la definizione di fascismo di Mussolini, come “fusione del potere statale e aziendale”, abbiamo vista rimuoverla in quanto “disinformazione”. Non si trattava semplicemente di censura; si trattava di meta-censura: mettere a tacere il dibattito sui meccanismi stessi di controllo impiegati.

Mentre le piattaforme tecnologiche mantenevano la facciata dell'impresa privata, le loro azioni sincronizzate con le agenzie governative hanno rilevato una realtà più preoccupante: l'emergere di quel tipo di fusione tra stato e aziende di cui volevano di impedirci di discutere.

Come abbiamo visto in precedenza, non abbiamo semplicemente oltrepassato i limiti: abbiamo attraversato i sacri Rubiconi creati dopo i capitoli più oscuri dell'umanità. Il Primo Emendamento, nato dalla rivoluzione contro la tirannia, e il Codice di Norimberga, istituito dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, avrebbero dovuto essere indistruttibili guardiani dei diritti umani. Entrambi sono stati sistematicamente smantellati in nome della “sicurezza”. Le stesse tattiche di disinformazione, paura ed ingerenza governativa contro cui i nostri antenati avevano messo in guardia sono state impiegate con spaventosa efficienza.

Questo smantellamento sistematico non ha lasciato indietro alcun tema: dalle discussioni sugli effetti dei vaccini ai dibattiti sulle origini dei virus alle domande sulle linee di politica riguardo gli obblighi. Il discorso scientifico è stato sostituito con narrazioni approvate. I ricercatori non potevano condividere risultati che divergevano dalle posizioni istituzionali, come si è visto nella rimozione di discussioni credibili sui dati Covid-19. Anche le esperienze personali sono state etichettate come “disinformazione” se non si allineavano con il messaggio ufficiale, un modello che ha raggiunto livelli assurdi quando anche discutendo la natura stessa della censura ciò è diventato motivo di censura.

Il danno si è propagato a ogni strato della società. A livello individuale, le carriere sono state distrutte e le licenze professionali revocate solo perché si condivideva esperienze genuine. Scienziati e dottori che hanno messo in discussione le narrazioni ufficiali si sono ritrovati ostracizzati a livello professionale. Molti sono stati fatti sentire isolati o irrazionali per essersi fidati dei propri occhi e delle proprie esperienze quando le piattaforme hanno etichettato i loro resoconti di prima mano come “disinformazione”.

La distruzione dei legami familiari potrebbe rivelarsi ancora più duratura. Le tavole delle feste si sono svuotate. I nonni si sono persi momenti insostituibili con i nipoti. Fratelli che erano stati vicini per decenni hanno smesso di parlarsi. Anni di legami familiari si sono infranti non per disaccordi sui fatti, ma per il diritto stesso di discuterne.

Forse il danno più insidioso è stato quello a livello di comunità. I ​​gruppi locali si sono frammentati, i vicini si sono rivoltati contro i vicini, le piccole imprese sono finite nelle liste nere, le chiese si sono divise, le riunioni dei consigli scolastici si sono trasformate in campi di battaglia. Il tessuto sociale che consente la società civile ha iniziato a sgretolarsi, non perché le persone avessero opinioni diverse, ma perché la possibilità stessa di dialogo era considerata pericolosa.

I censori hanno vinto. Hanno dimostrato che con sufficiente potere istituzionale, potevano fare a pezzi il tessuto sociale che rende possibile il libero discorso. Ora che questa infrastruttura per la soppressione esiste, è pronta a essere dispiegata di nuovo per qualsiasi causa possa sembrare urgente. L'assenza di una resa dei conti pubblica invia un messaggio agghiacciante: non c'è linea che non possa essere oltrepassata, nessun principio che non possa essere ignorato.

Una vera riconciliazione richiede più di un'inversione di tendenza della linea di politica di Meta. Abbiamo bisogno di un'indagine completa e trasparente che documenti ogni istanza di censura, dai report soppressi sui danni dei vaccini ai dibattiti scientifici bloccati sulle origini del virus, alle voci messe a tacere che mettevano in discussione i vari obblighi. Non si tratta di rivendicare chissà cosa, si tratta di creare un archivio pubblico inattaccabile che garantisca che queste tattiche non possano mai più essere utilizzate.

Il Primo Emendamento della nostra Costituzione non era un suggerimento, è un patto sacro scritto nel sangue di coloro che hanno combattuto la tirannia. I suoi principi non sono reliquie obsolete, ma protezioni vitali contro l'eccesso di potere a cui abbiamo appena assistito. Quando le istituzioni trattano questi diritti fondamentali come linee guida flessibili, anziché come confini inviolabili, il danno si estende ben oltre qualsiasi singola piattaforma o linea di politica.

Come molti nei nostri circoli, abbiamo assistito a tutto questo in prima persona, ma farci dire che avevamo ragione sin dall'inizio non è l'obiettivo. Ogni voce messa a tacere, ogni dibattito soppresso, ogni relazione fratturata al servizio di “narrazioni approvate” rappresenta uno strappo nel nostro tessuto sociale che ci rende tutti più poveri. Senza una contabilità completa e garanzie concrete contro futuri eccessi, stiamo lasciando le generazioni future vulnerabili agli stessi impulsi autocratici che in futuro avranno maschere diverse ma stessa essenza.

La questione non è se possiamo ripristinare ciò che è stato perso: non possiamo. La questione è se finalmente riconosceremo questi diritti come veramente inviolabili, o se continueremo a trattarli come ostacoli scomodi da spazzare via ogni volta che la paura e l'urgenza lo richiederanno. Benjamin Franklin ci avvertì riguardo coloro che rinunciano alla libertà per acquistare un po' di sicurezza temporanea: essi non meritano né libertà né sicurezza. La nostra risposta a questa sfida determinerà se lasceremo ai nostri figli una società che difende le libertà fondamentali o una che le scarta in nome della sicurezza.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 10 gennaio 2025

Per chi suona la campana... del default

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/per-chi-suona-la-campana-del-default)

Ci sono punti da collegare, tra politica e mercati. E sebbene l'obiettivo di questo blog sia il denaro, viviamo in un'epoca politica. Non possiamo ignorarla. Il meglio che possiamo fare è cercare di vedere il quadro generale e questo è ciò che faccio nei miei articoli, cercando di indirizzare i lettori lungo quella strada per evitare la cosiddetta “Grande perdita”. Così come le storie e le favole alla fine hanno una “morale” — distillate da generazioni di esperienza — che si trovano nei detti popolari, nei romanzi, nella Bibbia e nei “racconti delle vecchie”, anche i mercati hanno una sorta di Trend primario rispetto al rumore quotidiano che segna la direzione di base dei prezzi, spesso per un intero decennio. Pensate, ad esempio, alla Corrente del Golfo: prende acqua calda dal Golfo del Messico, la trasporta attraverso l'Atlantico settentrionale e rende abitabile l'Europa settentrionale. Ma guardando solo le onde superficiali, non la vedreste.

La ricchezza è creata da persone che producono beni e servizi l'una per l'altra. Tutto ciò che la burocrazia fa per interferire con questo commercio riduce la soddisfazione materiale totale delle persone. Da una prospettiva economica lo stato e la sua burocrazia sono fondamentalmente un'impresa coercitiva, in cui si vince e si perde. Le sue numerose regole, normative, tasse, debiti, spese e guerre inutili riducono la produzione di beni e servizi che consideriamo “prosperità”. Ecco perché sono incompatibili col capitalismo dinamico e produttivo. Ci vuole, come minimo, uno stato minimo per produrre grandi guadagni economici. Curiosamente, però, l'interferenza statale tende anche a esagerare il Trend primario, anche se non intenzionalmente. Ad esempio, manipola i tassi d'interesse verso il basso e rende l'aumento dei prezzi degli asset finanziari più potente che mai (1980-2021) e/o ostacola gli aggiustamenti di mercato necessari peggiorando così la flessione (es. Grande Depressione).

Una parte fondamentale della mia analisi è che il mondo del denaro non funziona come si pensa comunemente. le banche centrali non sanno di quali tassi d'interesse hanno bisogno i rispettivi Paesi, ad esempio, né possono sapere cosa siano la “piena occupazione” o la “piena capacità” per l'economia. Inoltre il passaggio a un sistema monetario scoperto ha reso molto più facile manipolare il valore delle valute e quindi ha permesso e promosso grandi distorsioni in tutto il sistema finanziario globale. In breve, la maggior parte di ciò che sentite dagli economisti mainstream o dal megafono della burocrazia è probabilmente una sciocchezza. E in genere più economisti, o politici, sono coinvolti, meno produttiva è l'economia. Ad esempio, l'Unione Sovietica aveva così tanto controllo statale che la sua economia era estremamente inefficiente, il che portò la sua élite ad abbandonarla completamente.

Il trucco per creare ricchezza con successo è mettersi dalla parte giusta del Trend primario e rimanerci. Se ho ragione sul nuovo Trend primario, la cosa più semplice da fare per un investitore ora è semplicemente mettersi al riparo. “Modalità massima sicurezza", con enfasi su denaro liquido e oro rispetto ad azioni e obbligazioni. La maggior parte di coloro che hanno usufruito e usufruiscono del mio servizio di consulenze, ha circa 50 anni. A quell'età perdere denaro è una minaccia più grande rispetto a non riuscire a guadagnarne di più. Una persona più giovane può subire una perdita, imparare da essa e poi recuperare, ma oltre i 50 anni diventa sempre più difficile: non c'è il tempo di recuperare una perdita importante. Un modo semplice e chiaro per evitare la Grande Perdita pur continuando a partecipare attivamente ai mercati, in modo sicuro e prudente, è acquistare azioni quando costano poco e venderle quando costano tanto. Come si fa a saperlo? Basta utilizzare un modello molto semplice basato sull'oro: prezzare le azioni in termini di metallo giallo per sapere quando costano troppo o troppo poco.

In breve, quando si possono acquistare tutte le 30 azioni del Dow per 5 once d'oro, o meno, è il momento di vendere oro e acquistare azioni; quando il prezzo supera le 15 once d'oro è il momento di andare nella direzione opposta. Attualmente la raccomandazione è di mantenere una certa percentuale della propria ricchezza in contanti od oro, mentre tenere solo alcune azioni che hanno un “fair value” o si sono distaccata dal Trend Primario.

Il mio intuito mi dice che quest'ultimo verrà amplificato, verso prezzi degli asset finanziari più bassi e tassi d'interesse e inflazione più elevati, creando grandi deficit di bilancio, cercando di coinvolgere gli Stati Uniti in guerre inutili, indebolendo il dollaro con sanzioni e sequestri e drenando sempre più capitale dagli investimenti reali e sperperandolo in sciocchezze burocratiche. L'effetto della linea di politica dei tassi d'interesse ultra bassi prima del 2022 è stato quello di creare una montagna di debiti. In tutto il mondo hanno superato i $300.000 miliardi. Questo è più debito di quanto si possa sostenere o gestire in un contesto di tassi d'interesse alti. Ma ci sono solo due scelte: inflazionare o morire, o si continua a inflazionare (con tassi reali bassi e deficit elevati), oppure si taglia radicalmente la spesa, innescando grandi fallimenti, inadempienze e una depressione... uccidendo di fatto l'economia della bolla creata dai suoi tassi ultra-bassi.

Nel 1992 gli Stati Uniti hanno avuto l'occasione della vita: l'Unione Sovietica si era sciolta e gli oligarchi persero il potere e iniziarono a vendere materie prime, all'ingrosso, a prezzi bassi. I cinesi, nel frattempo, avevano già deciso di intraprendere la “strada capitalista”: negli anni '90 stavano abbassando i costi sui prodotti finiti. Tolti di mezzo i nemici e con i costi per i consumatori in calo, gli Stati Uniti avrebbero potuto tagliare il budget militare e usare il denaro per sostenere le proprie industrie e infrastrutture nazionali. Invece sono stati spinti a invadere l'Iraq e sono andati in guerra in Afghanistan. E poi hanno sostenuto le guerre in Ucraina e Gaza. Il budget militare è esploso al rialzo e la loro reputazione è scivolata al ribasso. A livello di Trend primario da seguire, questo significa che gli investitori vedranno occasioni nell'economia delle commodity piuttosto che in quella squisitamente finanziaria. Questo cambiamento, unito al caos sociale e politico che porta con sé, rischia di creare un disastro importante. A livello di microeconomia, quindi, bisogna mettersi dalla parte giusta del Trend primario: imparare a guardare i prezzi di mercato in termini reali, non in termini fasulli. E circondati di amici che vedranno il mondo per quello che è e scopriranno come navigarlo insieme.


UN DEFAULT INCOMBENTE

Lo stato — insieme alla stampa, ai politici, agli economisti accademici, ai think tank, al Deep State — ha risolto ogni problema che ci si è presentato: dai domino che cadono nel Sud-est asiatico alla povertà e alla discriminazione. Ma tutta questa risoluzione dei problemi ci ha lasciato con un problema molto più grande: un debito pubblico impagabile. Come verrà risolto? In gioco c'è l'intera economia mondiale, le valute fiat, la prosperità e il Trend primario, insomma l'intera baracca. All'inizio del secolo scorso l'economia dei vari Paesi occidentali era “capitalista”: le persone si occupavano dei propri affari, come meglio potevano, offrendo beni e servizi l'una all'altra. Poi lo stato (inclusi gli enti locali e di regolamentazione) è cresciuto così tanto che solo circa metà dell'economia è ancora libera di fare ciò che vuole, il resto è dettato dai bilanci e dalle normative. Quasi tutta questa spesa viene sprecata in bombe, salvataggi e raggiri. Oltre a ciò, l'intera economia viene distorta in forme grottesche da un altro ramo dello stato, la banca centrale.

La tanto criticata “era dello stato minimo” dei repubblicani del Tea Party e la “deregulation” seguita a Ronald Reagan non sono mai accadute. La spesa pubblica e la regolamentazione sono aumentate costantemente. La spesa militare e la spesa sociale sono aumentate. Chi pagherà? È così che funziona la politica. Il capitalismo non avvantaggia nessuno in particolare e tutti in generale. Nel complesso, le cose migliorano. La politica avvantaggia gruppi specifici, le élite, a spese di tutti gli altri. Nel complesso, le cose peggiorano. Più capitalismo si ha, più le persone sono libere di ottenere onestamente ciò che vogliono; più politica si ha, più le persone “distorcono il sistema” elaborando accordi con i politici e usando il potere statale per la loro ricchezza personale o per il loro ingrandimento.

O l'uno o l'altro. Capitalismo o politica. L'idea che ci sia un felice equilibrio tra i due, o che il tungsteno possa essere fatto passare per oro, è semplicemente una sciocchezza. Le grandi imprese con lobbisti che traggono vantaggio dai numerosi salvataggi statali, sussidi e altre opportunità sono cresciute. Ma esse rappresentano la crescita passata, le piccole aziende, invece, sono la speranza del futuro. E con il peso dello stato sulle spalle, riescono a malapena a strisciare, figuriamoci a correre. Il tasso di crescita della produttività è stato dimezzato sin dagli anni '60. Al vertice le grandi aziende dominano le principali industrie, in fondo ci sono gli “zombi”, aziende che non riescono nemmeno a pagare gli interessi sul loro debito. Deboli e improduttive, come lo stato stesso, sprecano risorse preziose. Nel mezzo c'è un bacino stagnante di aziende di medie dimensioni che lotta per innovare e sopravvivere in un ambiente ostile di leggi, regolamenti, tasse, inflazione e debito.

Come scrive anche il Financial Times:

[...] La sorgente da cui fluiva il capitale erano stati e banche centrali. Con debito e capitale a tassi ridicoli, le dimensioni dei mercati finanziari sono cresciute da poco più grandi dell'economia globale [PIL mondiale] nel 1980 a quasi quattro volte più grandi oggi. [...] La forza trainante dietro la finanziarizzazione incontrollata del capitalismo era il denaro facile che scorreva dallo stato.

Sì, è stato il denaro marcio ad aver rovinato le cose. Ma quale? Presto ci arriveremo, ma prima aggiungiamo un altro tassello a questo mosaico.

Il fatto che siano stati pubblicati “nuovi” coefficienti di trasformazione nel sistema pensionistico è una tacita e indiretta ammissione di bancarotta da parte di chi eroga una prestazione promessa. Ovviamente non è un'esclusiva italiana, ma si tratta solo dell'ultima notizia riguardo questo tema. Ogni Paese soffre dello stesso problema. Il pensionamento è una di quelle promesse più insostenibili che sono state fatte dalla classe dirigente. È un gioco in cui entrambi gli attori partecipanti non vogliono vedere l'ovvio: entrambi continuano a fingere che esiste un barlume di solvibilità. Ma come ogni schema Ponzi la Legge dei rendimenti decrescenti è un duro e severo maestro che costringe a guardare, e ogni volta le bacchettate sono più forti di prima: il dolore (economico) infine diventa troppo insopportabile da ignorare. Tra prezzi galoppanti, tasse invasive, burocrazia ingessante, le pensioni sono l'ultimo pilastro a reggere la fiducia nello stato... nella sua capacità e avallo di legiferazione ed estorsione di risorse. Non è un caso, infatti, che io abbia dedicato il primo capitolo del mio ultimo libro, Il Grande Default, a questo argomento e al modo in cui l'Europa intende trattare questi obbligazionisti “speciali”: haircut e default selettivo.


CHI?

Alla fine della fiera, tutto si riduce a una semplice domanda: chi decide? O siete voi a decidere cosa fare con il vostro tempo e denaro... o qualcun altro deciderà per voi. E quando sono gli altri a decidere, i soldi tendono ad andare nella loro direzione, non nella vostra. Nel precedente articolo ci eravamo lasciati con una domanda: per chi sarà il default? È ora di aggiungere ulteriore contesto alla domanda e dare una risposta. Prima, però, sappiate che a quanto scriverò adesso fornirò prove (storiche) pubblicando alcuni saggi di Richard Poe che saranno le fonti alla base dei ragionamenti “più maturi” che leggerete qui. Se c'è una cosa che da più fastidio ai colonizzatori è quella di perdere il controllo sulle proprie colonie. Questa è stata una caratteristica peculiare degli inglesi, ad esempio: per quanto possano essere diventati “indipendenti” gli USA dopo la rivoluzione americana, hanno sempre subito l'ascendente inglese. Perché è così che il colonialismo ha trasformato la sua essenza: da nemico delle popolazioni colonizzate ad alleato. “Investire” in un determinato posto ha significato immettere ingenti capitali nel sistema socioeconomico di quel Paese e farlo sviluppare a passi da gigante facendogli saltare step evolutivi fondamentali. Ogni cambiamento non aveva il giusto tempo per sedimentarsi. Questo è un punto cruciale che ho dettagliato meglio nel Capitolo 6 del mio primo libro, L'economia è un gioco da ragazzi, in cui porto all'attenzione del lettore l'importanza della teoria Austriaca del capitale. La formazione di quest'ultimo, infatti, è la chiave di volta per la sostenibilità e la prosperità a lungo termine.

Immettere dall'esterno ingenti quantità dello stesso ha lo scopo di velocizzare l'evoluzione di un Paese, affinché il colonizzatore abbia la rapida facoltà di sfruttare le risorse del luogo in cui “investe”. Poi, come uno sciame di locuste, consuma tutto e tutti. Gli Stati Uniti erano indirizzati lungo questa traiettoria, soprattutto dopo che la terza rivoluzione americana è stata persa: sedicesimo emendamento. Da quel momento in poi gli Stati Uniti sono stati ostaggio della politica europea, soprattutto se si considera la loro partecipazione nelle due grandi guerre e la sudditanza della FED nei confronti della BoE che ha piantato i semi della Grande Depressione. Gli USA continuavano a essere una colonia inglese e attraverso di essi hanno continuato a modellare il mondo a loro piacimento. Attraverso il soft power e le relazioni con l'aristocrazia gli inglesi si sono da sempre garantiti, in tutte le loro colonie, l'ultima parola nelle questioni dirimenti; l'assalto agli Stati Uniti, sin dalla Brexit, aveva come unico scopo il rimpatrio dei soldi “investiti”.

L'ultimo giro di giostra dell'eurodollaro ha come data il 2008 e sin da allora è diventato chiaro che quel famoso qualcosa che non poteva più andare avanti s'era fermato. Il sistema monetario e commerciale è rotto, i bilanci nazionali sono saturi di debiti impagabili e sopravvalutati, e il tutto è sull'orlo del collasso. L'unica via che Londra vede è quella del ripudio, parziale, di tutto questo ammontare di debiti e la classe dirigente intende rimanere in carica anche dopo questo evento di proporzioni epiche. Non fraintendetemi, non è la prima volta che accade una cosa del genere: il Consol britannico nacque proprio per questo motivo. Ciò che bisogna salvaguardare nella fase di transizione è il collaterale per poi impiegarlo nella iterazione successiva affinché i vecchi obbligazionisti sottoscrivano i nuovi bond. A questo giro, però, la giostra non può ripartire se prima gli Stati Uniti non vanno in bancarotta... perché? Perché rappresentano ancora un punto nel mondo in cui il capitale viene trattato meglio, sia quello umano che quello finanziario. Di conseguenza devono essere divisi e ridotti sul lastrico, così come la Russia, affinché Europa e Inghilterra possano apparire come i luoghi “più stabili” in cui investire e mettere al riparo i risparmi. In questo modo sarebbe più facile vendere la soluzione haircut: assenza di alternative.

Infatti gli Stati Uniti sono stati protagonisti di afflussi simili già in passato, in particolar modo nei Ruggenti anni '20, che poi la FED ha trasformato in Grande Depressione per spalleggiare il ritorno alla parità aurea pre-bellica da parte della Banca d'Inghilterra. E nonostante quest'ultima i capitali dall'Europa continuarono lo stesso a valore negli USA, contribuendo a costruire quella macchina da guerra che avrebbe riparato i danni causati da inglesi e francesi contro i tedeschi. Accade la stessa cosa oggi con la guerra in Europa orientale, dove sono stati impegnati ingenti capitali e promesse sui flussi di cassa futuri, a fronte di una guerra che Londra e Bruxelles stanno perdendo e da cui Washington vuole staccarsi. Per i russi non c'è niente di nuovo visto che combattono da tempo immemore contro gli inglesi. La classe dirigente europea, la quale è a corto di qualsiasi potere contrattuale dato che non ha capitali finanziari, know-how indsutriale rappresentato da industrie tecnologiche chiave e nemmeno materie prime, presuppone di avere ancora un potere di monopsonio e sventola questa percezione (fasulla) per ottenere credibilità. La cricca di Davos ha un unico incentivo: vuole sopravvivere, così come è sopravvissuta a tutte le altre iterazioni precedenti creando e poi facendo crollare i sistemi a cui si è posta al vertice. Questa storia non è affatto diversa oggi.

L'arbitraggio monetario è stato il mezzo, la manipolazione della valuta di riserva mondiale. Che si trattasse della sterlina, del gold standard o del sistema bimetallico, ogni volta bastava sottoporre a leva il sistema monetario di riferimento e guadagnare clientes. Questa è gente che ha scoperto questo “trucco” e nel corso del tempo l'ha reso più sofisticato, diffondendo la religione del globalismo. Il problema con questo punto di vista è che da questo treno sono scesi tutti gli altri: i russi, i cinesi e soprattutto gli americani. Questi ultimi hanno detto “No” sin da quando Trump è stato eletto la prima volta; addirittura la popolazione inglese ha detto “No” sin da quando è stata votata la Brexit e per questo affronto continuano a essere puniti ancora oggi (a tal proposito, si veda la serie La fattoria Clarkson).

In parole povere, sebbene gli Stati Uniti abbiano il miglior esercito del mondo e il miglior motore economico del mondo, la loro linea di politica estera è stata dettata a Londra e a Bruxelles. Persone come Lindsey Graham o John McCain sono esempi perfetti di personaggi allineati coi neoconservatori inglesi; Obama e i suoi accoliti, invece, fanno riferimento a Bruxelles e più propriamente alla cricca di Davos. Queste due fazioni vogliono le stesse cose e combattono per gli stessi obiettivi, oligarchie entrambe che non disdegnerebbero una lotta fratricida pur di essere quella al vertice. A questo giro se gli inglesi non risulteranno vincitori, se non metteranno a ferro e fuoco il mondo, verranno scaraventati nell'irrilevanza geopolitica per i prossimi 50-100 anni. Per quanto riguarda l'Europa, invece, dipende da quale parte si stia parlando: quella orientale graviterà nell'orbita russa, mentre quella centrale e occidentale si spezzetterà in spazi a sé stanti. Per quanto magro, questo è un risultato che continuerebbe a favorire gli inglesi dato che il gioco del divide et impera è sempre stato il loro tratto caratterizzante.

In questo contesto la FED è stato un attore principale, il vero asso nella manica degli Stati Uniti per emanciparsi da tale gioco di potere e ottenere una vera indipendenza dai suoi storici colonizzatori. Il ciclo di rialzo dei tassi di Powell sin dal 2022, anno in cui è stato inaugurato l'SOFR e dopo la sofferta rielezione dello stesso Powell a capo della FED durata 6 mesi, ha rappresentato la nemesi dell'amministrazione Biden. Detto in altro modo: “Volete una guerra in cui gli USA non vogliono avere niente a che fare? La pagherete a tassi più alti. Volete la rivoluzione green? La pagherete a tassi più alti”. Lo scandalo sull'insider trading di fine 2021 era stato studiato per far fuori politicamente Kaplan, Rosengren e lo stesso Powell, i tre più determinati a mettere un freno al lassismo monetario sfrenato. Quest'ultimo è stato risparmiato perché la fazione cui fa riferimento gli ha coperto le spalle. L'inversione di marcia più recente, così come il taglio dei tassi a settembre, non era affatto mirato a facilitare la vita alla Harris (se così fosse stato Powell avrebbe iniziato a tagliare i tassi a gennaio dell'anno scorso, come minimo) bensì a spianare la strada a Trump e a coloro che lo rappresentano per davvero. Li chiameremo New York Boys, o in termini più profani quel conglomerato di grande banche commerciali situate nella costa orientale degli Stati Uniti.

Il “dovere” della FED è quello di proteggere le banche commerciali degli USA, in particolar modo quelle grandi. Le banche centrali, alla fine della fiera, sono solo uno strumento per costringere le banche capitalizzate a fornire liquidità a quelle meno capitalizzate. Non hanno alcun potere sui tassi reali. Il loro gioco è tutto sulle percezioni, ma così come il mondo è costruito al giorno d'oggi esse sono fondamentali e dirimenti. Gli azionisti della FED sono le 12 banche regionali Federal Reserve e gli azionisti di queste ultime sono le grandi banche in quelle giurisdizioni. In un mondo che viene direzionato verso una CBDC e un sistema di credito basato su di essa, il sistema bancario commerciale è destinato a scomparire. Quello americano ha detto “No” e l'ha fatto sapere tramite la FED che, negli ultimi 7 anni, ha lavorato per cambiare la politica monetaria per la prima volta sin da Bretton Woods: piuttosto che mettere toppe all'economia mondiale mandando fuori i dollari, ricostruire quella interna rimpatriandoli. E questo lo si fa cambiando il modo in cui i dollari vengono prezzati nel mercato aperto: dal LIBOR al SOFR, un punto spiegato nel mio ultimo libro Il Grande Default. Questa svolta epocale ha permesso al dollaro di essere prezzato a livello globale in base alla salute reale degli Stati Uniti, delle sue istituzioni creditizie e dei suoi mercati monetari. Per quanto possa essere auspicabile un sistema monetario basato sull'hard money, l'attuale periodo di transizione è un passo nella giusta direzione. Per quanto si possa concordare, filosoficamente, sull'abolizione del sistema bancario centrale, a livello pratico, oggi, la Federal Reserve è quanto di più concreto per smantellare i piani per un futuro distopico.

Infatti è impensabile e suicida svoltare nettamente verso una soluzione hard money mentre nel resto del mondo esistono ancora le banche centrali. Voglio dire, come si crede abbia fatto l'Inghilterra a mandare avanti il suo impero colonialista negli ultimi 150 anni? Certo, l'avanzo commerciale nei confronti degli Stati Uniti è stato utile per controllare/influenzare la politica estera/interna americana e minarla dall'interno. Ma come l'hanno finanziato? Ovviamente non tramite i dazi, non sarebbero stati sufficienti, ma principalmente tramite la Banca d'Inghilterra che stampava sterline, svuotava la propria economia e la posizionava come collaterale, e colonizzava il resto del mondo facendo girare questa ruota per criceti attraverso il flusso di cassa proveniente dai Paesi colonizzati. Questo è quello che succederebbe domani se venisse abolita di colpo la FED. In un mondo fatto di banche centrali c'è bisogno di un esercito adeguato per difendersi.

Quindi l'obiettivo dell'amministrazione Trump e delle grandi banche commerciali americane è quello di regionalizzare il dollaro. Se altri Paesi vogliono usarlo come mezzo per saldare i loro commerci, ottimo, ma non potrà più essere usato come arma contro gli USA stessi. Questa linea d'azione è diventata chiara nel 2019 e successivamente nel 2021: impossibilità di apporre garanzie europee nel mercato pronti contro termine americano, rialzo dei tassi in quest'ultimo mercato e creazione di una finestra particolare nella Federal Reserve dedicata esclusivamente ai player esteri che vogliono entrare in tale mercato. Powell creò nell'effettivo un muro tra il sistema bancario americano e quello del resto del mondo: la Federal Reserve avrebbe funto da banca centrale degli Stati Uniti, non più del mondo attraverso il “ricatto” degli eurodollari. Questo risanamento monetario è stato contrastato in ogni modo dall'amministrazione Biden, infiltrata da player ostili, che ha cercato di costringere la FED a monetizzare ogni ridicolo piano di spesa partorito dalla loro mente contorta: leggi contro l'inflazione, aiuti esteri, ampliamento della burocrazia, leggi contro il cambiamento climatico, ecc. Il contingentamento dei flussi in entrata/uscita dei dollari ha reso necessario appoggiarsi esclusivamente sul lato fiscale dell'equazione da parte di coloro che avevano urgente necessità di dollari all'estero: Bruxelles, Londra, Pechino, spiccano di più. Meno efficace della “stampa” diretta di denaro, l'ulteriore saturazione dei bilanci pubblici americani ha dato l'idea di quanto fosse gonfio e profondo il mercato degli eurodollari.

Infatti non è mai stato un problema del mercato degli eurodollari stesso, bensì di riserva frazionaria applicata a esso in tempi di ZIRP. Il ruolo della FED nel porre ordine, guardrail se volete, tra i dollari in patria e quelli all'estero è stato cruciale per iniziare a drenare e ridurre l'ipertrofia della leva finanziaria cui è stato sottoposto il mercato degli eurodollari. Con Bernanke e la Yellen si potevano comprare dollari a costo praticamente zero e poi prestarli nel sistema bancario ombra affinché venissero creati tutta una serie di prodotti finanziari over the counter con cui tirare su ulteriori quantità di denaro da usare poi per comprare elezioni, finanziare operazioni d'intelligence, rivoluzioni colorate, finanziare le ONG, ecc. Era il Paese dei balocchi per tutti, tranne per il bilancio degli Stati Uniti stessi che veniva saturato progressivamente. Per l'appunto, oltre al Dilemma di Triffin, il problema reale era la saturazione dei bilanci e la valutazione del rischio fuori controllo. Se davvero Wall Street avrebbe potuto fare i soldi con la MMT a quest'ora sarebbe la linea di politica ufficiale e tutti conoscerebbero i nomi degli squinternati che la vanno decantando sui social media. Invece chi ha dato voce a tale marmaglia erano gli stessi che volevano semplicemente continuare ad avere una giustificazione per scalare ostilmente gli Stati Uniti. La crisi definitiva del sistema eurodollaro nel 2008, innescata sostanzialmente dalla Legge dei rendimenti decrescenti, ha aperto gli occhi allo zio Sam e le contromosse sono arrivate solo 8 anni più tardi: l'elezione di Trump e l'inizio dei lavori per l'SOFR un anno dopo.

Questo lasso di tempo vi da un'idea di quanto fosse intricato sbrogliare una matassa del genere, senza contare che l'SOFR è entrato in vigore ufficialmente nel 2022 e il pulsante dell'“armageddon monetario” contro i globalisti è stato spinto solo nel 2019. Ora la questione è tutta fiscale e il taglio preannunciato di circa $2.000 miliardi dal budget federale dovrà essere solo l'inizio. I prossimi 6 mesi saranno cruciali da questo punto di vista, perché poi bisognerà farsi trovare pronti per le elezioni di medio termine e mi aspetto, quindi, che Powell taglierà i tassi anche questo mese. Diversamente da quello che la maggior parte dei commentatori crede, ci sarà inflazione dei prezzi, sì, ma non nei settori finanziari. Non inizialmente almeno. Ci sarà inflazione dei prezzi nei settori delle commodity: i tagli alle tasse e un ambiente di credito più rilassato permetteranno di soddisfare una domanda latente per far ripartire la macchina economica americana. Costruire cose, efficientare il settore energetico, ottimizzare le catene di approvvigionamento, sono elementi questi che spingeranno in su i prezzi delle materie prime e spingeranno giù quegli degli asset finanziari. Solo dopo questa fase accadrà il contrario. Il ciclo di rialzo dei tassi serviva sostanzialmente a creare la famosa “onda rossa”.

Il controllo del Congresso da parte dei NY Boys serve innanzitutto a invalidare la yield curve control implementata dalla Yellen (come minimo) sin da aprile dello scorso anno, dando l'idea che gli USA fossero in grossi guai dal punto di vista squisitamente tecnico: inversione della curva dei rendimenti. Ripeto: mettere ordine sul lato fiscale dell'equazione è fondamentale per far riguadagnare credibilità allo zio Sam. La FED ha enorme influenza sul lato sinistro della curva (front-end) e, dato che esiste ancora una forte domanda per la parte destra (back-end) in virtù dell'alto livello qualitativo dei titoli sovrani americani, una volta che Trump implementerà i tagli alla spesa insieme a un abbattimento dell'imposta sul reddito, il mondo intero percepirà serietà e concretezza nella volontà di mettere a posto le cose. Al di là di quello che possono dire Moody's o Ficht. Una domanda reale e solida sosterrà la parte destra della curva in modo che Powell possa tagliare quella sinistra e avere una curva “normale”: rendimenti da 3 a 5 piuttosto che da 5 a 7. Questo a sua volta significa che le banche potranno tornare a prestare in base a un differenziale di rendimento 2/10 che permetterà loro di staccare un margine netto d'interesse decente. E questo fenomeno chi andrà a ricapitalizzare? Non le GSIB, bensì le banche locali, il credito cooperativo... insomma le banche di piccole e medie dimensioni che più hanno sofferto durante il ciclo di rialzo dei tassi da parte di Powell.

Lo sforzo più grande è quello di far riguadagnare fiducia nel sistema attuale, nel modo di fare americano. Per farlo il bilancio della Federal Reserve dovrà essere ricapitalizzato e, soprattutto, abbassato. Secondo me un obiettivo plausibile sarebbe quello di un bilancio della FED da circa $3.000 miliardi. E sì, è possibile abbassare i tassi e al tempo stesso restringere il bilancio. Inutile dire che questo processo dovrà essere puntellato. Come? Entrano in scena la riserva strategica di Bitcoin e l'oro. Entrambi gli asset rappresentano un barometro per la misurazione del rischio, il secondo più del primo data la sua storia. Malgrado ciò entrambi sono asset in grado di ripristinare credibilità e fiducia a qualsiasi bilancio percepito come compromesso. Questo significa che se i loro prezzi vengono lasciati correre, ciò servirà a schermare il bilancio dell'entità che li possiede dal rischio di controparte. Cedole dei titoli sovrani americani parzialmente redimibili in oro e prodotti finanziari emessi su Bitcoin, permetterebbero allo zio Sam di puntellare la propria strategia e prendere più piccioni con una fava: collateralizzare le passività non finanziate future, arginare l'aumento del debito pubblico, rendere felici gli investitori (flusso di cassa in dollari + hard asset che si apprezzano), attirare capitali esteri e ammorbidire la nuova ondata di inflazione dei prezzi delle commodity.

L'oro a Fort Knox, per quanto possa essere stato sottoposto a leasing multipli, rimane sempre lì; ciò che è cambiato sono le cambiali emesse su di esso. Alla fine della fiera vince chi ha l'asset fisico, che sia l'oro o Bitcoin. E non è un caso, quindi, che Blackrock ormai possegga lo stesso ammontare di BTC posseduti da Satoshi. Tutto questo, comunque, non sarebbe possibile senza il controllo politico/fiscale, ovvero senza il controllo del Dipartimento del Tesoro. Ora che la Yellen è andata e non può più fornire titoli sovrani americani a profusione a Bruxelles e a Londra, permettendo a queste ultime di usarli per tenere un tetto sui rendimenti sovrani delle rispettive giurisdizioni, il cappio al collo dell'euro si stringe ulteriormente. L'Europa è spacciata sotto ogni punto di vista, non ultimo il settore delle comunicazioni. E questo vale ancor di più per Londra.


CONCLUSIONE

In questo saggio ci siamo spostati progressivamente dal livello micro a quello macro. Abbiamo visto come dovrebbero comportarsi gli investitori nell'attuale contesto socioeconomico per proteggere i propri risparmi dalla guerra più ampia in corso tra cricca di Davos e NY Boys. Quest'ultimo è il livello macro, invece.

Nel fuoco incrociato finiranno tutti coloro che non si prepareranno: essere consapevoli di questa belligeranza permette di sapere altresì come togliere rumore di sottofondo dal quadro generale. Ad esempio, che fine ha fatto tutto il FUD di fine anno scorso nei confronti di Tether? Sparito.

Tanti bot sui social che ci tenevano ad ammorbarci coi loro sproloqui sul fatto che la nuova regolamentazione europea avrebbe depeggato irreversibilmente il dollaro col Tether dollaro. Forse non è chiara una cosa: senza il leveraging nel mercato dell'eurodollaro, Bruxelles e Londra non hanno potere contrattuale. Forse non è chiaro che è il crosspair EUR/USD che si sta schiantando. È una questione di consapevolezza: chi è preparato e ha capito chi sono le parti in guerra, e quindi si posiziona di conseguenza, e chi non ha idea di cosa stia succedendo e reagisce in base al vento che tira. Il massacro finanziario è garantito e le perdite anche. Chi invece ha letto il mio libro, Il Grande Default, o ha usufruito e usufruisce regolarmente del mio servizio di consulenze, ha chiaro in mente il quadro generale e si posiziona di conseguenza riuscendo altresì a rimuovere tutto il rumore di fondo, dannoso e inutile.


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