martedì 3 giugno 2025

Il ritorno dei rendimenti reali negativi nell’area Euro

Ho già documentato su queste pagine come l'Europa sia stata la prima a sparare il primo colpo nella guerra commerciale attualmente in atto, e precedentemente è stata la prima a sparare il primo colpo nella guerra finanziaria contro gli Stati Uniti come avete letto nel mio ultimo libro “Il Grande Default”. Tenendo a mente queste premesse, si può meglio interpretare l'ultimo capitolo in materia dazi che ha visto protagonisti l'UE e gli USA. La chiave di lettura è solo una: lo scopo dell'UE, e la “cricca di Davos” dietro di essa, è quello di fare la cresta alle banche americane e affibbiare a queste ultime il costo della ristrutturazione del debito insostenibile europeo. Tutto il resto sono ragionamenti a valle di questo. Alla luce di ciò, non sorprende che i negoziatori dell'Unione Europea non siano interessati a rimuovere le barriere commerciali, preferendo mantenerle a tutti i costi, anche se ciò comporta l'indebolimento dell'economia di molti stati membri. Sono più preoccupati di trovare un capro espiatorio per la stagnazione dell'UE nell'amministrazione Trump piuttosto che promuovere un accordo che avvantaggi le aziende europee. Ora è facile capire perché la BCE stia abbassando i tassi d'interesse (indipendentemente dall'obiettivo del 2%): gli stati dell'area Euro fanno affidamento sulla stampa di denaro, sull'inflazione, e la BCE sta agendo di conseguenza. Aumentare le tasse e tagliare la spesa è politicamente impopolare. È molto più facile emettere nuovo debito, che poi viene monetizzato dalla BCE. Inoltre le “situazioni di emergenza” sono esattamente ciò che è nell'interesse dei politici: in questo modo possono espandere i loro poteri facendo cose che non sarebbero possibili in tempi normali. Adesso l'emergenza per eccellenza è la guerra. Chi detiene il potere ha un forte incentivo a esagerare o inventare minacce di guerra, perché la paura spinge la popolazione a soccombere ai dettami della burocrazia. L'incentivo è naturalmente maggiore se si è sull'orlo del fallimento e se è politicamente indesiderabile risanare le finanze pubbliche in modo onesto. Quanto detto finora dovrebbe fornire una spiegazione ragionevole di ciò che sta accadendo attualmente in Europa: si alimenta la minaccia della guerra, si chiede maggiore spesa militare, si prepara l'opinione pubblica alla guerra contro la Russia. Mentre le forze politiche in Europa – a Londra, Berlino e Parigi – rimangono incrollabilmente fedeli all'idea di un Nuovo Ordine Mondiale, i “globalisti” hanno subito una grave battuta d'arresto negli Stati Uniti. Ciò che rimane loro sono i contribuenti europei. I paesi dell'UE proseguiranno con i loro piani di riarmo finanziati dal debito, indipendentemente da un accordo di pace in Ucraina; la conseguente espansione dell'offerta di moneta sarà accompagnata da una spesa che aggiungerà poco o nulla alla produttività, infatti tali spese sono per lo più inutili e portano a una crescente corruzione e cattiva gestione. Ciò porterà a una significativa pressione al rialzo sui prezzi dei beni e quindi i dati ufficiali sull'inflazione torneranno a salire. L'aumento dell'inefficienza eroderà ulteriormente la competitività internazionale dell'Europa, soprattutto perché capitali e persone di talento emigreranno negli Stati Uniti. L'amministrazione Trump si sta assicurando che l'UE venga tagliata fuori da qualsiasi fonte di capitale fisico rimanente a livello internazionale. La BCE, non potendo far altro che ricorrere alla repressione finanziaria, prosciugherà gradualmente i risparmiatori europei fino all'arrivo di una crisi del debito sovrano.

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di Thorsten Polleit

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-ritorno-dei-rendimenti-reali-negativi)

Sebbene i rendimenti reali negativi pare non siano più un problema per molti investitori, stanno tornando a essere un tema urgente, soprattutto per chi di noi è concentrato sulla costituzione e la conservazione dei risparmi. La causa principale di questo problema è l'inflazione.

Prima di continuare a discutere dell'inflazione futura e dell'emergere di rendimenti reali negativi, chiariamo innanzitutto cosa significa realmente il termine “inflazione”. Esso, infatti, è spesso utilizzato in modo poco chiaro e le persone ne danno interpretazioni diverse.

Nel linguaggio comune inflazione fa riferimento all'aumento dei prezzi dei beni di consumo: quando gli articoli acquistati nei negozi diventano più costosi mese dopo mese, anno dopo anno. In altre parole, si ottiene di meno in cambio dei propri soldi.

Tuttavia, per comprendere veramente il fenomeno, è importante distinguere tra il sintomo e la causa.

Dal punto di vista economico, la causa dell'inflazione è l'aumento dell'offerta di moneta: questo è ciò che chiamiamo “inflazione monetaria”. Il sintomo di questa causa è l'aumento dei prezzi dei beni, noto anche come “inflazione dei prezzi dei beni”.

Per dirla in parole povere, l'inflazione dei prezzi dei beni è sempre e comunque un fenomeno monetario, come affermò giustamente l'economista americano Milton Friedman.

Tuttavia, se vogliamo essere davvero precisi, dovremmo dire che l'inflazione dei prezzi dei beni è il risultato di un aumento dell'offerta di moneta rispetto alla relativa domanda.

L'inflazione è un problema economico, soprattutto per risparmiatori e investitori, e può essere decisamente distruttiva. Questo vale non solo quando l'inflazione raggiunge livelli così elevati che il denaro perde letteralmente valore, ma anche quando è relativamente bassa ma comunque superiore ai tassi d'interesse nominali.

Ecco un esempio: supponiamo che abbiate un rendimento del 2% sul vostro deposito bancario, ma l'inflazione è del 3%. In questo caso il vostro tasso d'interesse reale – quello aggiustato all'inflazione – diventa -1% (ovvero, il tasso d'interesse nominale del 2% meno il 3% di inflazione). Ciò significa che il potere d'acquisto del vostro deposito bancario diminuisce dell'1% all'anno. E non dimenticate le imposte sulle plusvalenze, le quali vengono applicate ai rendimenti nominali e aggravano ulteriormente le vostre perdite.

Ora, potreste chiedervi: “”Chi è responsabile dell'inflazione come fenomeno monetario”?

La risposta: le banche centrali. Hanno il monopolio sulla creazione del denaro e, su questa base, le banche commerciali sono autorizzate a piramidare le loro riserve.

E ora capite perché è assurdo quando la gente afferma che le banche centrali (o i loro organi di governo) “combattono l'inflazione”.

In realtà, le banche centrali non combattono mai l'inflazione: la creano. A volte creano più inflazione, a volte meno, ma non la combattono mai.

Se prendiamo in considerazione l'area Euro, si potrebbe sostenere che la massa monetaria è cresciuta solo del 4% a febbraio 2025 rispetto all'anno precedente.

Non sembra un numero eccessivamente alto e i prestiti bancari – attraverso i quali viene creato nuovo denaro – sono cresciuti solo del 2% circa. Quindi, com'è possibile che l'inflazione sia in aumento, soprattutto senza una significativa ripresa economica in vista?

Questa argomentazione ha un certo fondamento. Tuttavia, guardando al futuro, ci sono solide ragioni per aspettarsi un massiccio aumento del debito pubblico nei Paesi dell'area Euro. Questo debito non sarà utilizzato solo per acquistare nuove attrezzature militari, ma anche per sostenere uno “Stato sociale” sempre più insostenibile e strutture politiche in crisi.

Per raggiungere questo obiettivo, gli stati dell'area Euro, soprattutto quelli più grandi, emetteranno ingenti quantità di nuovi titoli di stato. Questi ultimi saranno acquistati dalla Banca Centrale Europea. Allo stesso tempo, la BCE abbasserà i tassi d'interesse e conterrà i rendimenti obbligazionari a livelli artificialmente bassi.

Il denaro appena creato verrà speso per trasferimenti sociali, appalti governativi e altre attività politiche.

È noto che i politici tendono a spendere soldi per progetti che non comportano alcun aumento di produttività o ne comportano pochi. Di conseguenza l'aumento della massa monetaria, combinato con la spesa pubblica, farà inevitabilmente aumentare i prezzi dei beni, causando un aumento dell'inflazione.

Proviamo a mettere le cose in prospettiva con qualche numero.

Se i disavanzi pubblici nell'area Euro si attestassero intorno al 5% del PIL e la BCE acquistasse nuove obbligazioni, l'offerta di moneta potrebbe aumentare di circa €800 miliardi. Ciò rappresenterebbe un ritmo di crescita annuo di M3 di circa il 5%. Inoltre l'offerta di moneta aumenterebbe a seguito dell'indebitamento bancario del settore privato.

Nel complesso questo potrebbe spingere l'inflazione nell'area Euro a circa il 4% o più. Se la BCE mantenesse i tassi d'interesse a lungo termine intorno al 3%, il tasso d'interesse reale scenderebbe a -1% (3% del tasso di interesse nominale meno il 4% di inflazione). Ciò significa che gli stati europei ridurrebbero il loro debito reale a spese dei creditori, ovvero risparmiatori e investitori.

Per le obbligazioni a breve termine e i depositi bancari, che solitamente offrono tassi d'interesse più bassi, l'espropriazione attraverso tassi d'interesse reali negativi sarebbe ancora più grave.

In sintesi, questa situazione equivale a quella che viene definita “repressione finanziaria”.

Ma potreste pensare: “Non abbiamo già sperimentato di recente tassi d'interesse negativi”?

Esatto. Dalla fine del 2018 alla fine del 2020, ad esempio, il rendimento nominale del titolo di stato tedesco a 10 anni è stato negativo.

All'epoca l'inflazione rimase relativamente contenuta fino a metà del 2021, quindi non fu l'aumento dell'inflazione a causare il calo del tasso d'interesse reale, bensì il calo dei tassi d'interesse nominali. Successivamente l'inflazione aumentò vertiginosamente, in gran parte a causa dell'aumento del 25% di M3 e l'aumento dell'inflazione spinse ulteriormente i tassi d'interesse reali in territorio negativo.

Guardando al futuro, la situazione sarà probabilmente diversa. L'inflazione sarà la forza trainante dei tassi d'interesse reali negativi.

Nel contesto attuale la BCE avrà difficoltà a riportare i tassi d'interesse nominali allo zero o al di sotto dello zero. I rendimenti obbligazionari in tutto il mondo sono aumentati significativamente e le obbligazioni denominate in euro devono offrire tassi d'interesse sufficientemente interessanti per mantenere vivo l'interesse degli investitori.

Pertanto è probabile che la BCE manipoli il tasso d'interesse nel mercato dei capitali affinché risulti basso ma positivo, garantendo al contempo un'inflazione più elevata. Ciò spingerebbe i tassi d'interesse nominali al di sotto del tasso d'inflazione, facendo sì che i tassi d'interesse reali diventino negativi, con i debitori che ne trarrebbero beneficio a scapito di risparmiatori e obbligazionisti.

La repressione finanziaria derivante dall'aumento dell'inflazione avrà conseguenze economiche e sociali di vasta portata.

I tassi d'interesse reali negativi continueranno a trasformare le economie dell'area Euro in sistemi sempre più di comando e controllo, in cui gli stati dettano legge su produzione, consumi e ogni aspetto della vita economica. Ciò erode le libertà residue di cittadini e imprenditori, rendendo il sistema statale sempre più onnipotente.

I segnali di questo cambiamento sono già visibili. Si pensi, ad esempio, alla palese decisione dell'Unione Europea di sequestrare i risparmi dei cittadini per finanziare spese dettate dalla politica.

L'area Euro sta scivolando in una situazione estremamente precaria: gli stati non riescono più a finanziare la loro insaziabile fame di denaro con le sole entrate fiscali. Di conseguenza i politici faranno sempre più affidamento sul finanziamento tramite debito.

Gli investitori privati ​​acquistano titoli di stato europei perché sanno che la BCE non permetterà ai Paesi dell'area Euro di dichiarare default. La BCE continuerà a sostenerli con denaro di nuova emissione quando necessario. Per mantenere il debito accessibile agli stati in difficoltà finanziarie, la BCE abbasserà artificialmente i tassi d'interesse.

Ciò ci porta alla situazione attuale: la BCE sta espandendo l'offerta di moneta acquistando debito pubblico, l'inflazione sta aumentando e i rendimenti nominali delle obbligazioni rimangono artificialmente bassi, con tassi d'interesse reali negativi per risparmiatori e investitori.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 2 giugno 2025

La fine della globalizzazione

In UE i leader europei temono che la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina porterà un'ondata di prodotti a basso costo provenienti da quest'ultima e che potrebbero mettere in pericolo i produttori locali oltre a creare un importante problema economico. Molti esportatori infatti si trovano ad affrontare una dura realtà: non possono vendere i loro prodotti se non li esportano negli Stati Uniti e gli importatori non accetteranno prezzi più alti a causa dei dazi. Il motivo per cui gli esportatori non possono trasferire il costo dei dazi sui consumatori statunitensi è che la maggior parte dei prodotti che hanno consegnato in America era attraente solo perché estremamente economica. Quando i prezzi aumentano, la domanda diminuisce. La guerra dei dazi ha dimostrato che la domanda non è anelastica. Il crollo degli ordini di container dimostra la Teoria mengeriana dell'imputazione: sono i prezzi di produzione a determinare i prezzi dei fattori, non il contrario. L'insostenibilità del trasporto marittimo globale costringerà i Paesi ad accelerare gli accordi commerciali con gli Stati Uniti, altrimenti rischieranno una cascata di crolli all'interno delle loro strutture aziendali. Il tonfo degli ordini di container dimostra che gli importatori statunitensi non accetteranno alcun prezzo, che l'eccesso di capacità nei principali settori della vendita al dettaglio è enorme e che non esiste un'alternativa ai consumatori americani. Se credevate che altri Paesi avrebbero esitato a negoziare accordi commerciali con gli Stati Uniti, dovreste ricredervi: il consumatore americano ama i prodotti a basso costo, ma non desidera gli stessi beni al doppio del prezzo. L'economia statunitense potrebbe anche subire una contrazione a causa di questo improvviso crollo delle importazioni, ma le conseguenze sono molto più gravi per i Paesi esportatori. L'esito non è positivo per nessun Paese, quindi c'è una sola scelta da fare: negoziare o perdere. Se gli altri Paesi non riusciranno a stabilire accordi commerciali con gli Stati Uniti nel futuro prossimo, i loro rivenditori al dettaglio rischiano di dover affrontare una grave crisi.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-fine-della-globalizzazione)

Il fine settimana scorso i policymaker occidentali hanno lanciato un messaggio chiaro: il mondo è di fronte alla fine dell'era della globalizzazione. Isabel Schnabel della BCE lo ha sottolineato in un discorso ai leader aziendali in Italia sabato scorso, quando ha affermato che “il Giorno della Liberazione non è stato liberatorio, ma ha segnato la fine del libero scambio globale”.

Allo stesso modo il primo ministro britannico, Keir Starmer, terrà un discorso più tardi oggi in cui dirà che la globalizzazione ha “fallito” come modello economico e che il suo tempo è ormai finito.

Tali commenti sono tanto sconcertanti per la loro sincerità e gravità, quanto invece per la loro inaspettatezza. Giovedì e venerdì della scorsa settimana, i mercati azionari erano in caduta libera, mentre l'annuncio dei dazi ha rapidamente smorzato le tensioni commerciali di Trump e i mercati hanno preso coscienza che non si trattava solo di una manovra negoziale e che i dazi stavano davvero prendendo piede.

Il governo cinese ha annunciato che avrebbe reagito imponendo dazi del 34% su tutte le importazioni dagli Stati Uniti, mentre i funzionari europei hanno affermato che avrebbero innalzato nuove barriere commerciali per impedire il dumping di beni a basso costo che distruggerebbe l'industria europea, mentre preparavano anche delle “contromisure” contro i dazi statunitensi.

I membri del gabinetto di Trump non hanno fatto nulla durante il fine settimana per placare i timori di ulteriori cali del mercato. Il Segretario al commercio, Lutnick, ha insistito sul fatto che “i dazi stanno arrivando” e il Segretario di stato, Marco Rubio, ha scrollato le spalle di fronte alle perdite dei mercati affermando: “Non credo sia giusto dire che le economie stanno crollando. I mercati stanno scendendo perché si basano sul valore delle azioni di aziende che oggi sono integrate in modi di produzione che sono dannosi per gli Stati Uniti”. In sintesi: non ci interessa il vostro portafoglio, stiamo rendendo l'America di nuovo grande. Come ho osservato alla fine della scorsa settimana: “Rendere l'America di nuovo grande significa rendere l'America di nuovo un'economia basata sulla produzione”.

Senza cavalieri in armatura scintillante del governo pronti a salvare i mercati azionari, i futures di questa mattina sono in forte ribasso. L'indice S&P 500 sembra destinato ad aprire in ribasso del 3,8% e i futures sul NASDAQ indicano una perdita del 4,9% in apertura. Anche i mercati asiatici sono in difficoltà. Il Nikkei è in calo dell'8% e l'ASX200, fortemente legato alla Cina, ha perso il 5,90% al momento della stesura di questo articolo. La FED potrebbe intervenire con un po' di liquidità a basso costo?

Il Brent è sceso del 3,40% questa mattina a $63,33, dopo il calo del 6,42% di giovedì e di un ulteriore 6,50% venerdì. Nonostante il suo status di bene rifugio, l'oro è trattato poco sotto i $3000 l'oncia (liquidato per soddisfare le richieste di margine altrove?), ma ha trovato un po' di interesse nelle prime ore di lunedì, in seguito alla notizia che la Cina aveva incrementato le sue riserve auree statali per il quinto mese consecutivo. I rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi a 10 anni sono ora scesi al 3,92% (e in calo). Questa dovrebbe essere una buona notizia per il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, che ha il compito di rifinanziare circa $25.000 miliardi di debito nei prossimi quattro anni.

Bessent ha ribadito la tesi di Rubio secondo cui “i mercati azionari non sono l'economia”, affermando di non aspettarsi una recessione negli Stati Uniti quest'anno e suggerendo che i tassi d'interesse bassi e i prezzi dell'energia fossero in realtà un'ottima notizia per le imprese americane. Ha anche fatto commenti interessanti nel podcast di Tucker Carlson, dove ha affermato che l'88% del mercato azionario statunitense è detenuto dal 10% più ricco degli americani, il 12% è detenuto dal successivo 40% e che il 50% più povero delle famiglie non possiede praticamente nulla, ma è invece indebitato.

Bessent ha affermato che sono proprio queste persone, quelle nel 50% più povero, ad aver bisogno di aiuto, quindi, ancora una volta, il sottinteso è: “Non ci interessa il vostro portafoglio azionario. Ci interessa ricostruire la base manifatturiera americana e, con essa, la classe media operaia”.

Il gestore di hedge fund, Bill Ackman, sta facendo notizia oggi, descrivendo i dazi come un “inverno nucleare economico” e chiedendo una “pausa” di 90 giorni prima della loro attuazione. I funzionari dell'amministrazione Trump sostengono che oltre 50 Paesi si siano offerti di riformare le proprie pratiche commerciali in cambio di una riduzione dei dazi annunciati.

Taiwan si è offerta di azzerare tutti i dazi sulle importazioni di beni statunitensi e di iniziare a investire di più negli Stati Uniti. Anche il Vietnam si è offerto di azzerare i dazi sulle importazioni statunitensi, ma il consigliere commerciale della Casa Bianca, Peter Navarro, ha respinto l'offerta affermando che non è sufficiente a colmare il persistente squilibrio commerciale a causa di tutti gli “imbrogli commerciali” in corso.

Naturalmente molti economisti e leader mondiali si sono indignati per la rozza semplicità dei dazi reciproci, che apparentemente sono stati calcolati prendendo la bilancia commerciale di ciascun Paese con gli Stati Uniti, dividendola per le esportazioni e poi dividendo per due. Molti economisti hanno sottolineato che i dazi non “massimizzano il benessere economico” perché creano perdite secche e che la Teoria ricardiana del commercio afferma che esso verrebbe massimizzato se ogni economia non avesse barriere commerciali e si specializzasse in base al vantaggio comparato.

Il problema è che la Teoria ricardiana del commercio afferma anche che non dovrebbero verificarsi squilibri commerciali persistenti (perché i tassi di cambio dovrebbero aggiustarsi per impedirli) e presuppone che sia il lavoro che il capitale non siano mobili a livello internazionale. Chiaramente questo non è il caso nel mondo reale e lo status del dollaro come valuta di riserva ha fatto sì che rimanesse sopravvalutato rispetto alle altre valute, ostacolando così la competitività commerciale degli Stati Uniti. Non è un caso che la svalutazione artificiale di varie valute rispetto al dollaro sia una delle principali lamentele di Navarro e Trump, quindi tenete d'occhio il cambio USD/CNY questa settimana e qualsiasi annuncio da parte della PBOC di abbassare il tasso reverse-repo.

Dal punto di vista degli americani, quello che sta succedendo ora è che i Paesi di tutto il mondo che hanno praticato silenziosamente un ampio protezionismo dove faceva loro comodo, stanno convertendosi in punto di morte al libero scambio. Adam Smith è tornato di moda, ma dato che gli Stati Uniti stanno adottando queste politiche protezionistiche per ricostruire la propria base manifatturiera nel caso in cui dovessero combattere di nuovo una guerra importante, i recenti convertiti sembrano dimenticare questa piccola perla di Smith: “La difesa è molto più importante dell'opulenza”.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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