In UE i leader europei temono che la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina porterà un'ondata di prodotti a basso costo provenienti da quest'ultima e che potrebbero mettere in pericolo i produttori locali oltre a creare un importante problema economico. Molti esportatori infatti si trovano ad affrontare una dura realtà: non possono vendere i loro prodotti se non li esportano negli Stati Uniti e gli importatori non accetteranno prezzi più alti a causa dei dazi. Il motivo per cui gli esportatori non possono trasferire il costo dei dazi sui consumatori statunitensi è che la maggior parte dei prodotti che hanno consegnato in America era attraente solo perché estremamente economica. Quando i prezzi aumentano, la domanda diminuisce. La guerra dei dazi ha dimostrato che la domanda non è anelastica. Il crollo degli ordini di container dimostra la Teoria mengeriana dell'imputazione: sono i prezzi di produzione a determinare i prezzi dei fattori, non il contrario. L'insostenibilità del trasporto marittimo globale costringerà i Paesi ad accelerare gli accordi commerciali con gli Stati Uniti, altrimenti rischieranno una cascata di crolli all'interno delle loro strutture aziendali. Il tonfo degli ordini di container dimostra che gli importatori statunitensi non accetteranno alcun prezzo, che l'eccesso di capacità nei principali settori della vendita al dettaglio è enorme e che non esiste un'alternativa ai consumatori americani. Se credevate che altri Paesi avrebbero esitato a negoziare accordi commerciali con gli Stati Uniti, dovreste ricredervi: il consumatore americano ama i prodotti a basso costo, ma non desidera gli stessi beni al doppio del prezzo. L'economia statunitense potrebbe anche subire una contrazione a causa di questo improvviso crollo delle importazioni, ma le conseguenze sono molto più gravi per i Paesi esportatori. L'esito non è positivo per nessun Paese, quindi c'è una sola scelta da fare: negoziare o perdere. Se gli altri Paesi non riusciranno a stabilire accordi commerciali con gli Stati Uniti nel futuro prossimo, i loro rivenditori al dettaglio rischiano di dover affrontare una grave crisi.
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da Zerohedge
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-fine-della-globalizzazione)
Il fine settimana scorso i policymaker occidentali hanno lanciato un messaggio chiaro: il mondo è di fronte alla fine dell'era della globalizzazione. Isabel Schnabel della BCE lo ha sottolineato in un discorso ai leader aziendali in Italia sabato scorso, quando ha affermato che “il Giorno della Liberazione non è stato liberatorio, ma ha segnato la fine del libero scambio globale”.
Allo stesso modo il primo ministro britannico, Keir Starmer, terrà un discorso più tardi oggi in cui dirà che la globalizzazione ha “fallito” come modello economico e che il suo tempo è ormai finito.
Tali commenti sono tanto sconcertanti per la loro sincerità e gravità, quanto invece per la loro inaspettatezza. Giovedì e venerdì della scorsa settimana, i mercati azionari erano in caduta libera, mentre l'annuncio dei dazi ha rapidamente smorzato le tensioni commerciali di Trump e i mercati hanno preso coscienza che non si trattava solo di una manovra negoziale e che i dazi stavano davvero prendendo piede.
Il governo cinese ha annunciato che avrebbe reagito imponendo dazi del 34% su tutte le importazioni dagli Stati Uniti, mentre i funzionari europei hanno affermato che avrebbero innalzato nuove barriere commerciali per impedire il dumping di beni a basso costo che distruggerebbe l'industria europea, mentre preparavano anche delle “contromisure” contro i dazi statunitensi.
I membri del gabinetto di Trump non hanno fatto nulla durante il fine settimana per placare i timori di ulteriori cali del mercato. Il Segretario al commercio, Lutnick, ha insistito sul fatto che “i dazi stanno arrivando” e il Segretario di stato, Marco Rubio, ha scrollato le spalle di fronte alle perdite dei mercati affermando: “Non credo sia giusto dire che le economie stanno crollando. I mercati stanno scendendo perché si basano sul valore delle azioni di aziende che oggi sono integrate in modi di produzione che sono dannosi per gli Stati Uniti”. In sintesi: non ci interessa il vostro portafoglio, stiamo rendendo l'America di nuovo grande. Come ho osservato alla fine della scorsa settimana: “Rendere l'America di nuovo grande significa rendere l'America di nuovo un'economia basata sulla produzione”.
Senza cavalieri in armatura scintillante del governo pronti a salvare i mercati azionari, i futures di questa mattina sono in forte ribasso. L'indice S&P 500 sembra destinato ad aprire in ribasso del 3,8% e i futures sul NASDAQ indicano una perdita del 4,9% in apertura. Anche i mercati asiatici sono in difficoltà. Il Nikkei è in calo dell'8% e l'ASX200, fortemente legato alla Cina, ha perso il 5,90% al momento della stesura di questo articolo. La FED potrebbe intervenire con un po' di liquidità a basso costo?
Il Brent è sceso del 3,40% questa mattina a $63,33, dopo il calo del 6,42% di giovedì e di un ulteriore 6,50% venerdì. Nonostante il suo status di bene rifugio, l'oro è trattato poco sotto i $3000 l'oncia (liquidato per soddisfare le richieste di margine altrove?), ma ha trovato un po' di interesse nelle prime ore di lunedì, in seguito alla notizia che la Cina aveva incrementato le sue riserve auree statali per il quinto mese consecutivo. I rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi a 10 anni sono ora scesi al 3,92% (e in calo). Questa dovrebbe essere una buona notizia per il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, che ha il compito di rifinanziare circa $25.000 miliardi di debito nei prossimi quattro anni.
Bessent ha ribadito la tesi di Rubio secondo cui “i mercati azionari non sono l'economia”, affermando di non aspettarsi una recessione negli Stati Uniti quest'anno e suggerendo che i tassi d'interesse bassi e i prezzi dell'energia fossero in realtà un'ottima notizia per le imprese americane. Ha anche fatto commenti interessanti nel podcast di Tucker Carlson, dove ha affermato che l'88% del mercato azionario statunitense è detenuto dal 10% più ricco degli americani, il 12% è detenuto dal successivo 40% e che il 50% più povero delle famiglie non possiede praticamente nulla, ma è invece indebitato.
Bessent ha affermato che sono proprio queste persone, quelle nel 50% più povero, ad aver bisogno di aiuto, quindi, ancora una volta, il sottinteso è: “Non ci interessa il vostro portafoglio azionario. Ci interessa ricostruire la base manifatturiera americana e, con essa, la classe media operaia”.
.@SecScottBessent: "The old system wasn't working and if you look at a system that's not working you have to be brave to change it ... It would've been easy to keep pumping up the economy, borrowing a lot of money, creating gov't jobs ... but you were going to end up in a… pic.twitter.com/NI5dZXF5Dt
— Trump War Room (@TrumpWarRoom) April 4, 2025
Il gestore di hedge fund, Bill Ackman, sta facendo notizia oggi, descrivendo i dazi come un “inverno nucleare economico” e chiedendo una “pausa” di 90 giorni prima della loro attuazione. I funzionari dell'amministrazione Trump sostengono che oltre 50 Paesi si siano offerti di riformare le proprie pratiche commerciali in cambio di una riduzione dei dazi annunciati.
Taiwan si è offerta di azzerare tutti i dazi sulle importazioni di beni statunitensi e di iniziare a investire di più negli Stati Uniti. Anche il Vietnam si è offerto di azzerare i dazi sulle importazioni statunitensi, ma il consigliere commerciale della Casa Bianca, Peter Navarro, ha respinto l'offerta affermando che non è sufficiente a colmare il persistente squilibrio commerciale a causa di tutti gli “imbrogli commerciali” in corso.
Naturalmente molti economisti e leader mondiali si sono indignati per la rozza semplicità dei dazi reciproci, che apparentemente sono stati calcolati prendendo la bilancia commerciale di ciascun Paese con gli Stati Uniti, dividendola per le esportazioni e poi dividendo per due. Molti economisti hanno sottolineato che i dazi non “massimizzano il benessere economico” perché creano perdite secche e che la Teoria ricardiana del commercio afferma che esso verrebbe massimizzato se ogni economia non avesse barriere commerciali e si specializzasse in base al vantaggio comparato.
Il problema è che la Teoria ricardiana del commercio afferma anche che non dovrebbero verificarsi squilibri commerciali persistenti (perché i tassi di cambio dovrebbero aggiustarsi per impedirli) e presuppone che sia il lavoro che il capitale non siano mobili a livello internazionale. Chiaramente questo non è il caso nel mondo reale e lo status del dollaro come valuta di riserva ha fatto sì che rimanesse sopravvalutato rispetto alle altre valute, ostacolando così la competitività commerciale degli Stati Uniti. Non è un caso che la svalutazione artificiale di varie valute rispetto al dollaro sia una delle principali lamentele di Navarro e Trump, quindi tenete d'occhio il cambio USD/CNY questa settimana e qualsiasi annuncio da parte della PBOC di abbassare il tasso reverse-repo.
Dal punto di vista degli americani, quello che sta succedendo ora è che i Paesi di tutto il mondo che hanno praticato silenziosamente un ampio protezionismo dove faceva loro comodo, stanno convertendosi in punto di morte al libero scambio. Adam Smith è tornato di moda, ma dato che gli Stati Uniti stanno adottando queste politiche protezionistiche per ricostruire la propria base manifatturiera nel caso in cui dovessero combattere di nuovo una guerra importante, i recenti convertiti sembrano dimenticare questa piccola perla di Smith: “La difesa è molto più importante dell'opulenza”.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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