lunedì 8 luglio 2013

"L'Austerità" è Responsabile per la Crisi in Europa?

Che l'Europa ormai versi in condizioni disperate non è un segreto, e non credo che qualcuno possa dire il contrario. Oggi analizzeremo se questo è stato acuito dalle politiche di austerità, ma prima di arrivarci snoccioliamo un po' di dati. L'Italia è in agonia da tempo ormai, continua imperterrito il calo della produzione industriale ed i poveri nel nostro paese sono aumentati drasticamente. La disoccupazione in Francia è a livelli da record insieme a Spagna, Grecia, Portogallo e in Italia stessa. A Cipro i depositi bancari vengono ritirati a ritmi sostenuti e la Deutche Bank naviga in acque oscure. In realtà potrei andare avanti tutta la giornata srotolando papiri di dati su come le ricette dei pianificatori centrali stiano fallendo in tutto il mondo. E questo è un fallimento che ha inasprito vertiginosamente le sue conseguenze da circa 60 anni, le quali non smetteranno di arrecare dolore economico fin quando i painificatori centrali perderanno il controllo delle loro manipolazioni e dei loro bluff.
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di Martin Masse


La maggior parte delle economie europee si trova in recessione, o quasi, sin dall'inizio del 2012 ed i tassi di disoccupazione stanno raggiungendo livelli record. Nel frattempo, il dibattito ha posto sotto i riflettori gli effetti deleteri delle misure di "austerità." Diversi capi di governo, ministri delle finanze e funzionari dell'Unione Europea hanno dichiarato che l'austerità è andata troppo oltre e sta mettendo i bastoni tra le ruote alla ripresa.

Gli economisti Keynesiani come Paul Krugman la considerano una prova inoppugnabile a difesa delle politiche di stimolo adottate quando iniziò la crisi finanziaria nel 2008-09, le quali non dovevano essere abbandonate e sostituite da misure di austerità (nonostante l'esplosione di debito pubblico che comportavano).

Secondo l'ottica Keynesiana quando le risorse inattive sono lasciate inutilizzate dal settore privato, gli stati dovrebbero metterle in uso. Dovrebbero smettere di preoccuparsi dei deficit di bilancio ed iniziare a spendere di nuovo.

Mentre i Keynesiani e il resto della professione economica considera le flessioni come degli eventi imprevisti e disastrosi da prevenire, gli economisti della Scuola Austriaca le considerano come un risultato inevitabile di un precedente boom insostenibile provocato dall'eccessiva espansione del credito e dall'interventismo dello stato.

Per gli Austriaci la recessione è in realtà una cura per eliminare le distorsioni che si sono accumulate durante il boom. Le risorse sprecate in usi improduttivi devono essere liberate e trasferite in settori in cui esiste una domanda reale e sostenibile. Purtroppo questo richiede tempo, e alcune risorse dovranno rimanere inattive fino a quando gli imprenditori troveranno il modo migliore per utilizzarle di nuovo. Questo significa una disoccupazione temporanea più elevata, impianti utilizzati a metà delle loro capacità o chiusi fino a quando non verranno riorganizzati e risorse finanziarie parcheggiate in asset di breve termine anziché investiti in progetti a lungo termine.

Gli stati non dovrebbero cercare di evitare questo processo di riallocazione. I programmi di stimolo Keynesiano ed i salvataggi prolungano solamente i processi economici insostenibili del boom e ritardano la ripresa. Inoltre creano un clima di incertezza per quanto riguarda gli oneri del debito e delle tasse, scoraggiando gli investimenti privati. In breve, a differenza dei Keynesiani che credono che lo stato dovrebbe intervenire e spendere di più in tempi di crisi, gli Austriaci sono a favore di un ritiro dello stato e di una riduzione della spesa e della tassazione.

Dato questo sfondo teorico, come dovremmo considerare la situazione in Europa? È l'austerità la responsabile della crisi, come credono i Keynesiani? O è parte di una cura necessaria, come pensano gli Austriaci? Come vedremo, queste alternative non riflettano con precisione ciò che sta accadendo in Europa a causa del significato ambiguo della parola "austerità."



Il Significato di Austerità

Il dibattito sull'austerità in Europa si è concentrato esclusivamente sui deficit di bilancio e sul debito pubblico in percentuale del PIL. Il Trattato di Maastricht prevede che i paesi che aderiscono all'Unione Europea dovrebbero avere deficit di bilancio non superiori al 3% del PIL ed i livelli di debito non dovrebbero superare il 60%. Questi paletti valgono anche per i paesi membri. La maggior parte di loro (con l'eccezione della Germania, tra i paesi più grandi) non riesce a soddisfare questi criteri. Un aspetto dell'attuale dibattito è se alcuni paesi dovrebbero avere più tempo per raggiungere questi obiettivi, come la Francia è appena riuscita a fare.

In tutte queste discussioni, i soli numeri presentati come prova che sono state attuate misure di austerità consistono in statistiche che indicano che i deficit sono scesi. In effetti è vero, come mostrano i numeri più recenti dell'Eurostat (Figura 1).[1] Nel 2012 il livello medio dei deficit in percentuale del PIL nei paesi dell'UE è molto più basso (4%) di quanto non lo fosse nel 2009 (6.9%).


Figura 1
Disavanzo delle amministrazioni pubbliche in percentuale del PIL

Fonte: Eurostat, deficit/surplus, indebitamento e dati associati.


Dovrebbe essere ovvio che non esiste una relazione diretta tra la riduzione delle dimensioni del deficit e la riduzione delle dimensioni dello stato, quest'ultimo infatti è un fattore chiave da considerare se vogliamo confrontare le soluzioni Keynesiane ed Austriache alla crisi. Un deficit di bilancio può essere ridotto mediante tagli alla spesa o aumento delle entrate; può essere ridotto se la spesa è tagliata di molto ma le tasse sono tagliate solo di poco; può essere ridotto anche se la spesa aumenta ma le entrate aumentano ancora più velocemente.

In pratica, "l'austerità" è in grado di coprire diversi tipi di situazioni con impatti economici differenti. Il termine può applicarsi altrettanto bene ad una crescita attraverso la riduzione delle dimensioni dello stato. In questo dibattito sembra essere dato per scontato che le misure di austerità adottate in Europa hanno comportato drastici tagli alla spesa, ed insieme ad alcuni aumenti delle tasse l'effetto netto è stata una riduzione dello stato. Ma è davvero così?



Gli Stati Continuano a Crescere

Come mostra la Figura 2, nel corso degli ultimi tre anni c'è stato solo un leggero calo di 1.7 punti percentuali nella spesa pubblica dell'UE in percentuale del PIL. Inoltre, la proporzione è ancora 4 punti percentuali più alta nel 2012 rispetto a prima che iniziasse la crisi, 49.4% rispetto al 45.6% nel 2007. Tra i principali paesi inclusi in questa cifra, solo in Polonia le spese sono tornate a dove erano nel 2007.


Figura 2
Spesa totale delle amministrazioni pubbliche in percentuale del PIL

Fonte: Eurostat, entrate, spese ed aggregati principali.


Tuttavia, c'è ragione di chiedersi se questi numeri siano stati distorti dai periodi di crescita economica negativa che hanno colpito il continente. Le spese possono essere scese in termini assoluti, ma sarebbero ancora più elevate in percentuale del PIL se l'economia si fosse contratta ancora di più. Quindi, diamo un'occhiata alle spese in termini nominali.


Figura 3
Totale delle entrate e delle spese pubbliche in miliardi di euro — Unione Europea (27 paesi)

Fonte: Eurostat, entrate, spese ed aggregati principali.


Figura 4
Totale della spesa delle amministrazioni pubbliche in miliardi di euro

Fonte: Eurostat, entrate, spese ed aggregati principali.


Come possiamo vedere, nell'UE la spesa pubblica non ha mai smesso di aumentare fin dall'inizio della crisi finanziaria, tranne nel 2011, quando è rimasta costante (Figura 3). La spesa è cresciuta del 6.3% negli ultimi tre anni, durante il periodo in cui si supponeva dovessero essere applicate le politiche di "austerità."

Così ogni volta che i ministri delle finanze hanno annunciato tagli di bilancio, in realtà non si stavano riferendo alle riduzioni assolute della spesa totale, ma semplicemente ad aumenti di spesa che erano inferiori a quanto precedentemente previsto o a tagli che venivano compensati da una maggiore spesa altrove.

Ci sono solo una manciata di paesi in cui la spesa nominale è veramente scesa tra il 2009 e il 2012, tra cui Grecia e Portogallo (Figura 4).[2] Va notato, tuttavia, che sia in valore assoluto che in proporzione al PIL, i governi di questi due paesi hanno speso di più nel 2012 rispetto al 2007.

Senza alcuna diminuzione netta della spesa, la riduzione del deficit osservata nella maggior parte dei paesi deve verificarsi in seguito ad entrate fiscali in aumento più velocemente delle spese. E questo è precisamente ciò che mostrano i dati dell'Eurostat, con le entrate in ​​crescita del 12.9% dal 2009 al 2012, il doppio del ritmo di aumento della spesa pubblica (Figura 3).

Gli stati non hanno preso in prestito più di tanto — anche se ancora lo fanno in maniera pesante, e il debito pubblico continua ad aumentare. Invece, tassano i propri cittadini per finanziare le loro spese crescenti (Figure 5). E questo è il caso anche di paesi come la Francia, dove "l'austerità" è stata criticata più fortemente. La Francia è in testa al drappello dei paesi in cui la spesa è aumentata di più e dei paesi in cui le tasse sono salite più drasticamente.


Figura 5
Totale entrate delle amministrazioni pubbliche in miliardi di euro

Fonte: Eurostat, entrate, spese ed aggregati principali.



Conclusione

Gli stati di quasi tutta l'Unione Europea sono tanto grandi quanto lo erano quando è iniziata la crisi nel 2007 (se non più grandi).

Se definiamo l'austerità come quelle misure adottate per ridurre i deficit di bilancio, allora in questo senso l'austerità è responsabile della crisi. Se, tuttavia, la definiamo più propriamente come quelle politiche che producono una riduzione delle dimensioni dello stato, allora queste politiche non possono essere ritenute responsabili per la crisi in Europa, perché non sono mai state applicate.

Purtroppo la confusione sul significato di austerità impedisce una migliore comprensione della situazione e impedisce un dibattito più rilevante sulle cause della crisi.

Ai Keynesiani, naturalmente, dispiace che negli ultimi anni non ci siano stati aumenti di spesa più consistenti, un maggiore indebitamento e deficit più ampi per stimolare l'economia. Ma, dal punto di vista Austriaco, stati enormi e tasse più alte contribuiscono di certo a spiegare perché le economie europee sono ancora in stasi, diversi anni dopo la crisi finanziaria.

Quello di cui ha bisogno l'Europa è stati più piccoli, non solo in termini di spesa pubblica ma anche per quanto riguarda la deregolamentazione del mercato del lavoro ed altre riforme strutturali per incoraggiare l'imprenditorialità, gli investimenti privati e la creazione di posti di lavoro. In Europa ci sarà crescita sostenuta solo quando gli stati, e non i cittadini o le imprese, sosterranno il peso dell'austerità.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Tutti i numeri usati in questo articolo provengono dall'Eurostat Government Finance Statistics Database, disponibili qui. I dati più recenti riguardo al 2012 sono stati resi pubblici il 22 Aprile 2013.

[2] Questo vale anche per alcuni altri paesi non inclusi in questo grafico: Irlanda, Bulgaria, Romania, Lituania e Slovenia.

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2 commenti:

  1. Ciao Francesco,

    etimologicamente la parola austerità viene da termini che qualificavano sgradevole al palato un vino che asciugava la bocca.
    Pensando a stati socialdemocratici e banche centrali che barcollano ubriachi sostenendosi a vicenda, mi pare che, fino ad ora, la sbornia l'abbian presa loro ma il mal di testa noialtri.

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  2. Ciao Dna.

    Adesso ci manca solo che vengano cambiati i significati delle parole nei vocabolari. :)

    A quanto sapevo austerità significava tirare la cinghia e ripagare i propri debiti. Ma a quanto pare alla maggior parte delle persone non risulta palese come questa espressione non sia soddisfatta dato l'aumento vertiginoso del debito pubblico italiano. Questo significa che, come per i deficit, vengono compiuti artifizi contabili per escludere e mettere off-budget determinate voci di spesa e presentare "nuovi dati" da mostrare al pubblico e farsi belli Lo sta facendo anche adesso il Giappone.

    La verità è che la spesa non ha fatto che aumentare in tutti questi anni (quella corrente ammonta a circa €750 miliardi, mentre quella totale a circa €800 miliardi) e non c'è alcun modo di fermare questo masso che rotola.

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