lunedì 9 febbraio 2015

Incombe una crisi fiscale senza fine





di David Stockman


A quell'epoca non esisteva affatto una scelta.

Non avreste trovato un solo economista keynesiano, o marxista, che avrebbe consigliato la via di un'enorme debito pubblico e della sua monetizzazione da parte della banca centrale (cosa che in realtà sarebbe accaduta tre decenni più tardi).

Allora Washington aveva barcollato fino alla cifra di $1 bilione. Nell'ottobre del 1981, con l'economia americana che stava scivolando in una recessione a doppio fondo, la matematica fiscale della Reaganomics stava già cominciando a strappare le cuciture del bilancio. Il "taglio fiscale di Reagan" aveva innescato una guerra monumentale a Capitol Hill tra le varie lobby di interessi particolari, e aveva finito per ridurre la base delle entrate permanenti di circa il 6.2% del PIL.

Allo stesso modo, il bilancio della difesa si prevedeva che dovesse crescere del 5% in termini reali per alcuni anni, ma il Pentagono aveva spaventato talmente tanto il nuovo presidente da fargli autorizzare un decennio di spese folli che a metà degli anni '80 avrebbero triplicato il budget della difesa (i neocon gli dissero che l'Impero del Male era prossimo alla vittoria militare, quando invece stava sprofondando in un baratro economico). Inutile dire che i modesti tagli nazionali approvati durante l'inizio dell'amministrazione Reagan non intaccarono minimamente questi eccessi monumentali sul fronte fiscale e della difesa.

Nell'autunno del 1981 non solo la Casa Bianca oltrepassò per la prima volta la soglia che conduceva oltre il bilione di debito pubblico; ma c'era la paura che grandi deficit permanenti sarebbero diventati la norma ed avrebbero condotto ad una crisi fiscale e, di conseguenza, alla rovina economica.

E in base agli standard del passato, sebbene si fosse tollerata l'infame politica "guns and butter" di Johnson che prevedeva un deficit pari al 2.5% del PIL, la prospettiva era terribile. Negli anni '80, infatti, la nazione arrivò ad avere un deficit del 6% del PIL.

E c'è un altro punto saliente. La banca centrale era gestita dal grande Paul Volcker, il quale era determinato a spezzare la schiena dell'inflazione a doppia cifra che i suoi predecessori, William Miller e Arthur Burns, avevano generato nel corso degli anni '70. Va da sé, quindi, che nessuno pensava che Volcker avrebbe monetizzato il debito federale per facilitare la vita ai politici spendaccioni.

Per l'ultima volta nella storia, Washington avrebbe dovuto stringere la cinghia.

Nei tre anni successivi, con le buone e le cattive, venne compensato circa il 40% del gigante taglio delle tasse di Reagan. Infatti nel 1983 venne aumentata di circa il 20% anche l'imposta sui salari per salvare dal fallimento il fondo fiduciario della Previdenza Sociale.

Nel complesso, queste misure di rigore fiscale non ebbero un effetto trascurabile. Misero un freno al deficit che altrimenti sarebbe andato fuori controllo a causa delle spese per la difesa, della riduzione delle imposte e della recessione economica che stava eruttando dall'inevitabile medicina monetaria di Volcker. Tuttavia, dal 1982 al 1986, il deficit federale era in media il 5% del PIL.

Niente del genere era mai stato immaginato prima, o perlomeno al di fuori di una guerra mondiale — nemmeno da professori come Samuelson, Heller, Tobin e altra marmaglia keynesiana. Durante il tempo di pace tra il 1954 e il 1964, ad esempio, il deficit federale era in media meno dell'1% del PIL e Eisenhower aveva effettivamente raggiunto diversi avanzi fiscali in quel periodo.

Fare ricorso a deficit massicci, nonostante gli sforzi di una ripresa nel 1982-84, non era minimamente preso in considerazione da tipi come Paul Krugman. All'epoca lui faceva parte dello staff economico di Reagan. Mai una volta aveva affermato che il debito nazionale al 33% del PIL era troppo piccolo e che fosse necessario uno "stimolo" a tempo indeterminato.

Poi arrivarono la vittoria di Volcker sull'inflazione, una forte ripresa economica e la campagna “morning in America” del 1984. Ai fini pratici, il lavoro di ripristinare completamente una rettitudine fiscale è rimasto incompiuto, come si è poi scoperto.

Il deficit strutturale aveva iniziato a ridursi in modo modesto grazie alla forte ripresa economica del 1983-1985 (quando la crescita del PIL raggiunse in media il 5% annuo), alle entrate di un triplice aumento delle tasse approvato da Reagan tra il 1982 e il 1984, e al massiccio aumento delle tasse sui salari nascosto dietro al cosiddetto salvataggio della Previdenza Sociale (1983).

Questo fu un punto di svolta storico. Infatti la riforma della Previdenza Sociale e del Medicare passò in secondo piano grazie al trucco dell'aumento delle tasse sui salari. Ciò fece registrare eccedenze di cassa nei fondi fiduciari e nei due decenni successivi permise un accumulo intra-governativo di IOU. Queste eccedenze servirono a spazzare sotto il tappeto il disastro fiscale dei cosiddetti "diritti intergenerazionali sociali", i quali incarnano proiezioni lunghe 75 anni che risultano sempre troppo ottimiste.

Dal gennaio 1985 qualsiasi altro aumento delle tasse o taglio al bilancio della difesa, sarebbe stato fuori discussione per la Casa Bianca. I politici di entrambi gli schieramenti, allergici a qualsiasi taglio della spesa, erano più che felici di accantonare eventuali riduzioni di spesa più significative.

Così dal 1985 la politica di bilancio è andata per i fatti suoi. La scritta sul muro era visibile ben prima della follia fiscale di George W. Bush scoppiata nel 2001. Durante i dodici anni delle amministrazioni Reagan-Bush, il debito pubblico avrebbe raggiunto $4.3 bilioni e sarebbe stato 4 volte superiore a quello che Jimmy Carter ci aveva lasciato.

Ironia della sorte, il flagello della spesa in deficit e il suo avversario primario (es. i repubblicani) avrebbero unito le forze per generare un deficit che in media sarebbe stato del 4.1% del PIL. Il ricorso dodecennale ad un deficit permanente non era dovuto ad un'economia debole o ad una crescita insufficiente del PIL, come i revisionisti di Reagan hanno sostenuto sin da allora. Infatti tra il 1982 e il 1993 la crescita del PIL è stata in media del 3.6% l'anno.

No, fu una scelta politica che cambiò per sempre la linea di politica. I deficit delle amministrazioni Reagan-Bush furono pari a 3 volte il deficit medio maturato in tempo di pace da FDR, Truman, Kennedy-Johnson e Jimmy Carter messi insieme. Di conseguenza i democratici non avrebbero mai più affrontato la grande paura di Tip O'Neill — ovverosia, che un giorno avrebbero perso la loro maggioranza al Congresso a causa di un attacco del GOP (come nel 1946) alla loro propensione per la spesa in deficit.

Ma c'è di più. Non c'è stata la rovina economica che sarebbe dovuta scaturire dai grandi deficit fiscali — almeno non nel lasso di tempo che ci si immaginava. Di conseguenza il GOP ha progressivamente abbracciato una dottrina anti-tasse che però ignorava i livelli abnormi del debito nazionale.

Nel frattempo, democratici e repubblicani cercarono di ristabilire (per l'ultima volta) una parvenza di rettitudine fiscale durante i primi tempi della presidenza Clinton. E sulla carta fecero notevoli progressi. In effetti, il bilancio federale fece registrare eccedenze tra il 1996 e il 1999; anche se insostenibili, a causa dei grandi guadagni inattesi della bolla dot-com di Greenspan.

Ma il problema fiscale strutturale non è stato mai risolto; è stato solo temporaneamente sepolto sotto tre illusioni.

La prima: la gigantesca macchina bellica di Reagan — che in realtà era una grande armata di forze terrestri, marittime e aeree ideali per guerre di invasione e occupazione — sarebbe dovuta andare in pensione quando finì la guerra fredda e l'Impero del Male crollò. Le cose non sono andate così.

Invece il complesso militare-industriale e i suoi propagandisti neoconservatori hanno costantemente mandato nel panico la nazione per un'inutile "guerra al terrorismo" dopo la tragedia del 9/11. In poco tempo il bilancio della difesa è raddoppiato, passando dal 3.0% del PIL nei primi anni post-guerra fredda a quasi il 6.0% del PIL dopo le campagne belliche di Bush.

Allo stesso modo, l'aumento delle tasse sui salari ha infine esaurito la sua capacità di compensazione. Di conseguenza nell'anno fiscale 2013 il Fondo AVS (pensione) ha registrato un deficit da $95 miliardi e il fondo DI (disabilità) ha registrato un ulteriore deficit da $45 miliardi. Ciò significa che il deficit complessivo è quasi di $140 miliardi l'anno e in rapida ascesa.

In effetti il cosiddetto surplus della previdenza sociale, che ha finanziato il deficit del fondo generale per più di due decenni, non solo è scomparso, ma è ormai entrato nella falsa contabilità del fondo fiduciario di Washington. Detto in modo diverso, oltre ai $3 bilioni di IOU rilasciati ai fondi fiduciari nei decenni precedenti, non c'è volontà di emetterne altri poiché ci si sta concentrando solamente sui redditi reali dei datori di lavoro e dei dipendenti.

Invece i fondi fiduciari sperano illusoriamente di intascare i proventi degli "interessi" intra-governativi sui bilanci precedenti, in modo da trasmettere un'immagine di apparente solvibilità. Ma anche secondo le proiezioni economiche dell'OMB, in cui la piena occupazione verrà raggiunta nel 2017 e rimarrà così per tempo immemore, il deficit del fondo fiduciario dovrebbe raggiungere i $190 miliardi l'anno entro il 2019.

Per quell'anno, però, il gioco contabile del fondo fiduciario sarà già stato esposto. In realtà le proiezioni dell'OMB mostrano solo $95 miliardi di falsi "interessi attivi" entro il 2019, il che significa che gli "attivi" del fondo fiduciario dovranno essere liquidati per $100 miliardi solo in quell'anno, e poi dovrebbero scomparire completamente nel decennio successivo.

Ciò significa che i $18 bilioni di debito pubblico rappresentano debito reale — non la comoda illusione spacciata da Washington e dagli economisti keynesiani secondo cui il debito "detenuto dal pubblico" è solo $13 bilioni e quindi il 75% del PIL.

No, il vero rapporto di leva della nazione è 106% del PIL. In trentatré anni l'onere del debito pubblico sul reddito nazionale è triplicato. E quando si aggiungono i $3 bilioni di debito statale e locale, il rapporto del debito pubblico totale è quasi il 120% del PIL.




E questo ci porta alla domanda finale. Come è possibile che al cospetto di cotanta dissolutezza fiscale siamo riusciti a cavarcela? La risposta breve è che non ce la siamo affatto cavata.

L'effetto crowding out e un'alta inflazione dei prezzi al consumo non si sono mai verificati perché la FED di Greenspan ha indirizzato l'intera economia mondiale lungo un sentiero di espansione del credito e massiccia finanziarizzazione — un processo insidioso ingegnerizzato dall'azione concertata di tutte le principali banche centrali. Questo convoglio di stampanti monetarie ha aperto le porte dei "caveau" delle banche centrali nei quali è stato temporaneamente parcheggiato il debito dello Zio Sam.

Il modello è come quello degli scarafaggi in casa: i bond statali entrano, ma non escono. Quello che è successo in termini pratici è che il credito fiat del settore bancario centrale si è sostituito al risparmio reale privato per quanto riguarda il finanziamento del debito pubblico.

Infatti, grazie alle economie mercantiliste dell'Asia e ai paesi esportatori di petrolio, quasi $5 bilioni di debito pubblico degli Stati Uniti sono stati assorbiti dalle banche centrali estere e dai fondi sovrani. Altri $3 bilioni sono finiti nella FED. E altri $5 bilioni, come indicato in precedenza, sono stati temporaneamente finanziati da fondi fiduciari inter-governativi che ora sono in procinto di immergersi in una modalità di liquidazione irreversibile.

Credo che ormai siano evidenti due cose. La prima è che la massiccia monetizzazione del debito pubblico non può andare avanti ancora a lungo, o il sistema monetario verrà distrutto. Questo è quello che significa essere bloccati dalla ZIRP. La follia monetaria in Giappone non è altro che il segno di come ci stiamo avvicinando alla fine dell'era della monetizzazione.

Nel caso del Giappone, il più grande debitore al mondo ha già distrutto il proprio mercato obbligazionario — la BOJ è l'unica che ancora acquista il decennale giapponese con un rendimento dello 0.4%. E la BOJ ora sta anche uccidendo rapidamente lo yen.

In secondo luogo, il PIL nominale degli Stati Uniti è cresciuto a meno del 4% l'anno negli ultimi dieci anni, e, in un mondo necessitante di deflazione, non c'è alcuna possibilità che si possa emancipare da tale "vincolo". Di conseguenza lo scenario ottimista proiettato dal CBO per il prossimo decennio, non ha la minima possibilità di realizzarsi. Invece degli $8 bilioni previsti dal CBO, l'attuale situazione politica di Washington — ormai in corso da 30 anni — genererà nel prossimo decennio (come minimo) $15 bilioni di nuovo debito pubblico.

Sì, aggiungeteli all'attuale montagna di debito pubblico della nazione e arriverete a $33 bilioni entro il 2024 o giù di lì. E poi non bisogna scordarsi la gigantesca bolla finanziaria e gli sconfinati investimenti improduttivi generati dalle banche centrali di tutto il mondo negli ultimi due decenni, i quali ci garantiscono un lungo periodo di deflazione globale.

Di conseguenza il PIL nominale degli Stati Uniti sarà fortunato se raggiungerà i $24 bilioni entro lo stesso anno. Il debito pubblico sarà pari al 140% del PIL. Questo significa che il futuro prospetta per questa nazione una crisi fiscale senza fine.

Questa è la fine dei giochi di una deplorevole dissolutezza fiscale senza precedenti vecchia di 33 anni.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


10 commenti:

  1. Sembra incombere qualcosa di molto peggiore di una crisi fiscale.
    Una maxi operazione di copertura del fallimento. Psy-ops e false flag attorno a noi.
    Bruttissimi segni premonitori ovunque.
    Servirebbero, dal momento che il sistema li prevede, dei leader di grande buon senso e grande umanità.
    Non ne vedo. Tranne, forse, uno tosto e vestito di bianco.

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    1. Penso a qualcosa di molto peggiore, che viene rimandato, che viene negato ma se ne parla, che sembra impensabile, ma nulla è impensabile quando si tratta di criminali.

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    2. su, dna, non fare il misterioso. Dacci qualche indizio, se no fai solo guerra psicologica :)

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  2. basta fare varoufakis, che è metà australiano ed insegna in texas, ministro delle finanze. la sua strategia: "non paghiamo, hahaha"

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  3. certo tra esplosione di bolle da moentarismo allargato keynesiano e debiti da programmi pubblici da keynesismo canitlloniano monetarista stiamo messi bene.... :)
    paradossalmente, in assenza di austriaco e libertà, ad evitare lo scenario da controllo tecnocratico alla 1984 o grande fratello sono o il ritorno allo stato nazione (farage, le pen) o i movimenti che incasinano tutto, alla podemos o quello di tsipras.

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    1. Nazionalismo ed internazionalismo (ed appendici) sono, tra tanti altri, sperimentati instrumenta regni. Narrazioni-guinzaglio.
      Dalle nostre parti si difende l'italianità dei prodotti alimentari e gastronomici con bandierine e certificazioni (difesa di qualità o prezzi protetti contro alternative di mercato?), si propugna una coesione socialista e l'unità nazionale, ma poi si appoggia la cessione progressiva di sovranità politica verso un superiore internazionalismo europeista, nello stesso tempo si difende il nazionalismo ucraino contro il nazionalismo russo, ma si consentono referendum secessionisti in Scozia come in Kosovo, ma non altrove, ...

      Quanto è lungo e complicato liberarsi!
      Liberarsi da tutte le catene occulte che mirano a negare l'espressione genuina della propria unicità ed individualità, cioè proprio di ciò che ci rende preziosi ed insostituibili. E, quindi, non sacrificabili a nulla ed a nessuno.
      Alla fine, l'individualismo volontarista porta a non schierarsi mai. Il massimo della libertà di scelta sta nel non scegliere mai?

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    2. No, sta nel non far scegliere il proprio destino ad altri.

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  4. Solo una "piccola" osservazione sulla traduzione. Il termine bilione è, specie per i più anziani, molto controverso (significa miliardo o mille miliardi? diversi paesi lo usano in un modo o in un altro, gli statunitensi per miliardo, i britannici per migliaia di miliardi). Sarebbe meglio non usarlo (ed essendo un articolo sull'america uno si aspetterebbe di leggere trilioni, dato che tutte le cifre sono in migliaia di miliardi).
    Sarà una mia tara mentale, ma lo trovo difficile da leggere. Peccato che gli economisti non abbiano ancora imparato a usare i prefissi standard del sistema internazionale (in questo caso Tera, 10^12). Sarebbe tutto più semplice.

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    1. Ciao Anonimo.

      Lo so, non sei il primo che mi "riprende" su questa cosa. :)
      Il termine "bilione" significa letteralmente mille miliardi, ed è un'epsressione comune che si può legittimamente usare in questo conteso (e in altri). Trilione invece è un parametro diverso, poiché indica un numero superiore al bilione (10^18).

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