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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/i-settori-meno-competitivi-dellargentina)
Quasi due anni fa l'entusiasmo del 56% degli elettori argentini che invocava la “Libertà” dopo aver eletto Javier Milei come Presidente dell'Argentina sembrava inarrestabile. Anche il ritmo del cambiamento sembrava inarrestabile. Le aspettative erano enormi per un governo che aveva ridato speranza a un'Argentina afflitta da un'inflazione annua superiore al 210% e da un tasso di povertà superiore al 50%. Un presidente libertario si era insediato per salvare il Paese da una nuova crisi.
L'Argentina che Milei ha ricevuto
È difficile descrivere brevemente il Paese devastato che il Presidente Milei ha trovato al suo insediamento. Oltre al tasso di inflazione di cui sopra, a una banca centrale sempre più indebitata e a un livello di spesa pubblica del 44% (attualmente prossimo al 35%), un Paese in cui 7 bambini su 10 erano poveri e dove 7 giovani su 10 avrebbero scelto di emigrare se ne avessero l'opportunità: questa era l'eredità del populismo dei governi kirchneristi.
Attualmente il più grande risultato del Presidente Milei, così come percepito dall'opinione pubblica, è stato ed è la riduzione del tasso di inflazione da oltre il 210% annuo al 33,6% ad agosto 2025. Con il calo dell'inflazione la realtà economica degli argentini si è “calmata” per i cittadini comuni e hanno iniziato a guardare avanti, a pianificare, a realizzare i sogni, sfuggendo alla perversa situazione precedente di mera difesa e sopravvivenza.
Anche l'eliminazione delle normative è stata un'enorme conquista, sebbene meno visibile alle persone con una formazione tecnica poco avanzata. Un altro risultato importante è stata la parziale fine di quella che viene chiamata la “trappola del denaro”, la quale consente la circolazione internazionale del denaro personale, ma non ancora di quello delle aziende. L'impossibilità di portare fuori dal Paese il denaro investito nell'economia argentina è, senza dubbio, un forte disincentivo agli investimenti esteri nel Paese.
Ideologia o interessi?
Ma – a differenza delle speranze suscitate dal carismatico leader Javier Milei e dell'impatto globale della sua immagine e del suo messaggio – il suo potere politico, una volta insediatosi, ha dovuto affrontare notevoli limitazioni, sia a livello parlamentare (deteneva solo il 15% dei rappresentanti e il 10% dei senatori), sia a livello provinciale (0% dei governatori) e municipale (tre comuni su 1.100). Questa situazione ci dà un'idea delle sfide legate all'attuazione di riforme profonde, che – evidentemente – incidono sugli interessi di settori potenti che vivono del denaro del governo federale.
Una delle principali differenze tra l'attuale presidente e il precedente che riuscì a implementare riforme orientate al mercato (Carlos Menem, tra il 1989 e il 1999), è che quest'ultimo (nonostante fosse entrato in carica con un'iperinflazione di oltre il 5000% annuo) godeva della maggioranza nella Camera dei rappresentanti e nel Senato e godeva del sostegno politico di oltre la metà dei governatori del suo partito.
La rigidità delle possibili riforme è elevata. Ancora oggi, e nonostante le buone intenzioni, 21 milioni di argentini (su un totale di 46 milioni) continuano a ricevere stipendi o pagamenti dal governo federale ogni mese. Questa situazione persiste a causa delle difficoltà del governo nel ridurre i quattro milioni di dipendenti pubblici in un Paese in cui sei milioni di persone lavorano nel settore formale. Ciò deriva anche dall'impossibilità giuridica di eliminare i quattro milioni (su un totale di otto milioni) di “pensioni non contributive” elargite dai partiti populisti. E così via.
Non è facile per un presidente cambiare la realtà di un Paese come l'Argentina. Non basta vincere le elezioni, è anche necessario avere le idee giuste e avere la capacità di attuarle.
Politica senza romanticismo
Dall'inizio del 2025 l'amministrazione Milei ha dovuto affrontare sfide crescenti. Ha unito i suoi risultati nella riduzione dell'inflazione a misure sul cambio e sul sistema finanziario che mantengono una valuta estera relativamente economica per i cittadini. L'Argentina è ora un Paese costoso in termini di dollari (almeno rispetto ad altri Paesi latinoamericani), il che ne influenza la competitività. Il Big Mac Index riflette questo fenomeno.
Sebbene alcuni risultati – nonostante il potere limitato del parlamento e dei governi statali – siano stati rimarchevoli, l'influenza dello stato non è diminuita in modo significativo: il numero di persone che ricevono fondi dal governo nazionale (governo federale, province e contee) non è diminuito in modo significativo. Di fronte a riserve internazionali minime, il governo argentino ha ricevuto un prestito di oltre $20 miliardi dall'FMI ad aprile di quest'anno, il quale ha fornito una boccata d'aria temporanea e gli ha consentito di guadagnare tempo.
L'eliminazione dei sussidi in alcuni settori ha comportato un maggiore onere per servizi come elettricità, gas naturale, acqua e trasporti (autobus, metropolitana, treno) nei bilanci dei settori a basso reddito, generando disordini. Ciò ha portato anche a un calo dell'attività nei settori meno competitivi dell'economia (industria), che – paradossalmente – sono quelli che generano la maggiore occupazione.
La mancanza di una maggioranza parlamentare ha reso difficile per il governo approvare riforme radicali (tagli fiscali, deregolamentazione del lavoro e del sistema pensionistico), fondamentali per modificare i principali incentivi dell'economia.
Stiamo vivendo un periodo complesso. La sfida di invertire il destino di uno Stato come l'Argentina, sottomesso da decenni, è enorme. Ideologie fuorvianti possono essere una giustificazione per il populismo ridistributivo, ma gli interessi specifici dei gruppi in cerca di rendita – per usare i termini di James Buchanan – spiegano la resistenza al cambiamento. Come ci ha insegnato Mancur Olson, i settori economicamente meno competitivi sono spesso i più forti nel difendere i propri privilegi.
Il caso dell'Argentina ci spinge anche a riflettere sugli incentivi della ridistribuzione pubblica impliciti nelle democrazie maggioritarie.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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